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Venezia 74: Franco Colomba interpreta Árpád Weisz in Nobili Bugie, l’intervista

“L’incursione nel mondo dello spettacolo è stata particolare, sono stato piacevolmente impressionato” Così ha esordito Franco Colomba, ex calciatore del Bologna FC e interprete, in Nobili Bugie, di Árpád Weisz, allenatore della stessa squadra, tragicamente morto nelle camere a gas di Auswitz nel 1944.

“Ho girato una piccola parte e anche in quella mi sono reso conto dell’impegno che ci vuole per quelle poche scene è notevole, per tantissime persone. Si tratta di un lavoro di tanti mesi che serve a mettere in piedi un film di un paio d’ore.”

Il film è stato presentato alla 74° Mostra di Venezia, dove ha ricevuto il premio Kinèo. In questa occasione abbiamo incontrato Colomba che ha commentato così l’importanza di Weisz nella storia del calcio e del Bologna soprattutto: “Essendo di Bologna e avendo giocato e allenato il Bologna e avendo avuto come allenatori da ragazzino i giocatori di quell’epoca, ero già abbastanza documentato su quello che è stato Árpád Weisz. Un allenatore che ha vinto due scudetti, una coppa campioni che a quei tempi aveva il valore della Champions League adesso, quando mi ricapitava di vincere due scudetti e una coppa? Ho accettato subito. Anche perché ha sofferto moltissimo, era sulla cresta dell’onda quando è morto. Si è trovato perseguitato con la famiglia, nella noncuranza del mondo dello sport che si è dimenticato di lui. E questo si vede nel film, nella piccola parte che interpreto. Tengo a precisare che tutto è accaduto nella dimenticanza.”

Colomba ci tiene anche a ricordare il libro di Matteo Marani, Dallo scudetto ad Auschwitz: vita e morte di Arpad Weisz, allenatore ebreo: “Un paluso va a Marani che ha scritto un libro su di lui e che ha permesso alla storia di XX di venire fuori. Altrimenti tutti lo avremmo dimenticato.”

Ambientato durante la seconda guerra mondiale sui colli bolognesi, Nobili Bugie racconta di una famiglia di nobili decaduti sopravvissuta al proprio declino economico nell’unico luogo che ancora possiede: la tenuta di Villa La Quiete. Il Duca Pier Donato Martellini e la Duchessa Romola Valli, stanchi e avviliti, risiedono nel loro podere con la servitù ormai ridotta ai minimi termini: un giovane giardiniere cieco e un maggiordomo sordo, entrambi reduci di guerra; e Giovanna, la cuoca costantemente arrabbiata ed eternamente innamorata. Come se non bastasse devono prendersi cura del figlio Jean-Jacques, un immaturo cinquantenne che passa le sue giornate a comporre poesie con un unico tema ricorrente: il Bologna FC. La soluzione a tutti i problemi si presenta alla villa in un pomeriggio qualsiasi: un uomo e due donne in fuga, chiedono rifugio ai Duchi. Sono ebrei, si chiamano Beniamino, Anna e Stefania. Sono disposti a pagare con un lingotto d’oro ogni mese di permanenza e promettono di migrare altrove subito dopo la fine della guerra.

Il Festival di Venezia 2017 si svolge al Lido dal 30 agosto al 9 settembre.

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Balla, balla, ballerina (di Lapo Elkan)

Balla, balla, ballerina (di Lapo Elkan)

Quando sono arrivato qui vent’anni fa – o dieci, o un mese o sei giorni, non fa più differenza – mi sono reso conto di aver dimenticato a Roma le ciabatte. “E che sarà mai – mi son detto – a parte che a casa non ci sto mai, quanto vuoi che mi servano? Poi alle perse si comprano. Mica stiamo nell’Africa nera”. No, infatti. Perché nell’Africa nera qualche sciamano che te rimedia du ciavatte che non siano fottute infradito per duecento euro lo trovi. Qui no. E io odio le fottute infradito. Per tutto il tempo che sono stato qui ho resistito. Per una questione di principio, sarei stato disposto a camminare a piedi scalzi pure sulle pietre roventi, per non comprarle. Ma non a smettere di fumare il sigaro sul balcone, con le tempeste perfette che si son messe su questi giorni, senza ciabatte, era impossibile. Indovinate com’è andata a finì? Per fortuna viene in mio aiuto l’amico Lapo Elkann che, eccentrico com’è, si presenta sul red carpet non si sa per quale motivo con delle ballerine con tanto di fiocchetto. Non ridete. Non sto scherzando, adesso.

Mi sento sollevato perché al cospetto le mie infradito fosforescenti sono più mascoline che spaccare la legna in camicia a quadri con le maniche arrotolate e il deltoide in evidenza e più stilose di Orson Welles che fuma la pipa in smoking. Inoltre, non ci farei mai un dannato red carpet. Ma si sa, lui le cose le fa a cazzo di Elkann.

Oggi è il giorno di Virzì, l’uomo che quando ero ragazzino mi faceva morir dal ridere con il tizio che diceva ‘Wyoming’ a rutti in ‘Ovosodo’. Ho proprio voglia di un filmetto allegro. Esco che piango come ‘na fontana, mortacci sua.  The Leisure Seeker è una storia di vecchi che si amano e ancora fanno sesso (e te credo, Helen Mirren è bona come il pane pure all’età sua. Lui invece è Donald Sutherland, gravemente rincoglionito e diciamo che il ruolo gli calza. Calcolando la differenza di resa estetica tra i due, direi che gli va benone) ma decisamente meno zuccherosa dei cicì ciciò con cui ci hanno trastullato Jane Fonda e Robert Redford direi a occhio e croce sei anni fa (o due settimane, o due giorni, non conta. Qui il tempo non esiste). Sti vecchi prossimi alla fine a un certo punto rubano un camper al figlio e si mettono in viaggio per l’America. Il finale lo possiamo immaginare ma restate dopo i titoli di coda.

SPOILER……………………………………………. appare Thanos.

Ang

The Leisure SeekerIo questa mattina ho appuntamento per trucco e parrucco, e non perché ce ne sia particolarmente bisogno qui (come diceva Ang  passiamo le giornate tra persone vestite come DiCaprio in The Revenant a quelli vestiti da pinguini che se vengono solo a fà i selfie tra cinesi fuori dal red carpet), ma perché dopo due giorni di pioggia, ma di quelle monsoniche che pensi ti abbia mandato qualche ex fidanzato solo per romperti i coglioni e farti uscire vestita come una foca monaca, ero impresentabile pure per il Selvaggio Lido. Per cui realizzo che forse è il caso di rendermi un’umana e decido anche di farmi truccare, almeno per coprire le occhiaie da ore di sala al buio che ci rendono tanto truci, che poi sembriamo sempre incazzati col mondo andando ad alimentare l’orrendo cliché secondo cui i critici sarebbero sempre incazzati perché in verità volevano fare i registi ma erano pippe ar sugo.  Orrendo, ovviamente, in quanto vero, nel 90%. Ora uno che non lo sa pensa: ‘E che ce vò, vai, te mette un po’ di ombretto, mascara, rossetto, 5 minuti e via’. Colcazzo, miei amati ventiquattro lettori. Arrivo coperta con un foulard e gli occhiali come Mata Hari per la vergogna di mostrare le ore di sonno perse, e ti trovi davanti questo Dio che uccide le imperfezioni, bellissimo già alle nove del mattino, che ti scruta con calma, ti studia, e poi inizia a pulire i pennelli. Tu osi dirgli ‘guarda, una cosa veloce giusto per nascondere le occhiaie’ e quello emette un ultrasuono, simile forse a quello dei delfini in un delfinario quanto non acchiappano al volo er pescetto – o se preferite, a quello emesso del Mostro della Laguna nel film di delToro quando gli danno scosse elettriche sulle palle, e con buona ragione – e mentre tu cerchi di sdrammatizzare e intanto te copri le orecchie per non avere le convulsioni lui ha già sfoderato un porta arnesi che simile forse l’hai visto in un film di Tarantino, e conteneva cose non proprio piacevolissime, e inizia a lavorare. Con una cura meticolosa e sprezzante verso le lancette che io guardo con la coda dell’occhio mi tortura per circa mezz’ora – roba che al cospetto le ossa spezzate e le sevizie di Brawl in Cell Block ’99 sono scherzi al telefono che finiscono con ‘stocazzo’ – e  vi assicuro sono cose che pure io che faccio pipì in testa a Clio Make up non avevo mai visto fare. Dopo tutto questo lavoro, felice finalmente di potermi fumare una sigaretta, entrare in sala e godermi il film mi metto in coda per vedere Virzì. Non l’avessi mai fatto. Pure io ho pianto in maniera imbarazzante, scambiandomi kleenex col mio vicino di posto che a un certo punto, se non avesse tirato fuori una banana per far merenda (e io odio l’odore di molte cose, tra cui quello) avrei abbracciato. Poi il pensiero è andato al mio trucco, e al Dio dei pennelli e fortunatamente prima di uscire dalla sala sono passata dal bagno, che è sempre un piacere incontrare durante il festival, e ho cercato di ripulirmi senza sembrare Pierrot. In tutto questo incontro una ragazza che piagne pure lei, le faccio un cenno di intesa, le dico ‘Virzì eh’, me dice ‘no m’ha mollato quel gran figlio di una bòna donna del mio fidanzato, ora che torno lo ammazzo’. Bene, come non detto, pietra sopra. Finale con le feste, che non sempre sono una cosa bella. Perché il tipo di feste varia da quelle in cui invitano anche i cavalli di fronte al red carpet, a quelli in cui per entrare devi superare prove di sopravvivenza. Ad esempio ieri io e Ang abbiamo dovuto indossare una calzamaglia colorata e saltare su un tetto in un posto indicatoci da una mail anonima. Su quel tetto, dopo aver dato prova di saper stare 5 minuti nella posizione del Guerriero tipica dello Yoga Asana. Dopo questa prova, ci siamo calati dal tetto e io ho dovuto fare il bagno nella fontana davanti alla biglietteria, che ora copre la famosa buca della darsena, urlando ‘Ang, Ang, came here!’. E solo allora, finalmente, un ragazzo rasato vestito da Borghi ci ha consegnato 2 biglietti per andare alla festa. Com’è stata? Non lo sappiamo. Siamo annati a cena da Tiziano, ristoratore amabile che ce tiene il posto a qualsiasi ora, perché le cose troppo complicate ci stanno sul cazzo a prescindere. Ci vediamo domani, voi intanto fate 10 flessioni.

Venezia 74: Paolo Virzì presenta The Leisure Keeper

Paolo Virzì ha presentato in concorso alla 74° Mostra d’Arte cinematografica di Venezia il suo nuovo film The Leisure Keeper che uscirà in Italia il 25 gennaio con il titolo Ella e Jonh. Lo abbiamo incontrato e ascoltato raccontare particolari su questo progetto interamente girato negli USA, in lingua inglese e con due grandissimi attori: Helen Mirren e Donald Sutherland.

Virzì inizia confessando la sua grande emozione nel trovarsi oggi a Venezia con il suo film americano in concorso. Dice di essere molto più emozionato oggi, rispetto a vent’anni fa, quando presentò al Lido Ovosodo, e di aver passato una notte insonne, sentendosi piccolo, fragile e disperato.

Poi parla dei suoi due protagonisti e della paura che naturalmente aveva nell’affrontare una grossa produzione americana. Sparò due autorevoli nomi, quasi nella speranza di usare la loro rinuncia come scusa per ritirarsi (sorride sornione), ma poi si trovò costretto ad accettare quando Donald Sutherland e Helen Mirren si dimostrarono ben felici di salire a bordo. Lui con entusiasmo e senza timori, lei invece volle qualche rassicurazione in più e chiese di vedere i suoi film precedenti. Ma poi si aprì completamente affidandosi alla sua guida e dimostrando grande entusiasmo e affiatamento. Erano comunque i due attori ideali che aveva immaginato fin dall’inizio e lavorare con loro ha permesso di costruire la coppia di anziani coniugi esattamente come avrebbe voluto.

Per Helen Mirren Virzì confessa che ha sempre provato ammirazione e devozione e racconta di essersi trovato felice come un bambino quando insieme a lei oggi ha incontrato Stephen Frears, scattando ai due una fotografia ricordo. Di Donald Sutherland aveva scolpita nella mente la sua immagine come professore in Animal House e immaginava quell’insegnante in vecchiaia, un uomo che ha studiato una vita e finito intrappolato nelle pagine di letteratura che ha sempre studiato e amato.

Venezia 74: The Leisure Seeker recensione del film di Paolo Virzì

Dice di nutrire simpatia di tutti quei cineasti vagabondi che girano film su strada e lui si sente un po’ uno di loro, ma chiede di cercare da soli il vero Virzì, perché quando un film è finito e proiettato non è giusto spiegare troppo, ma è bello sentire o leggere quello che ognuno trova.

Quello che lui ha fatto per approcciarsi meglio al progetto è stato tradire alcuni elementi troppo americani che erano presenti nel romanzo omonimo da cui è tratto il film, come il viaggio verso Disneyland o la Route 666, lui voleva dare l’idea di luoghi che potessero per assurdo somigliare alla sua maremma o alle coste toscane. Non voleva assolutamente cadere nei cliché. Tutta sua l’aggiunta dell’ossessione per la gelosie e il tradimento, un sentimento tipicamente italiano. Parlandone con i due attori gli ha mostrato anche dei capolavori della cinema italiano, imperniati su questo tema. In particolare ha fatto vedere a Helen Mirren alcune interpretazioni di Monica Vitti. Ernest Hemingway non è tra i suoi scrittori prediletti, nonostante chiaramente nutra per lui una grande ammirazione, ma per esigenze di storia la scelta è stata quasi obbligata, visto che il viaggio conduce alla sua casa, ormai trasformata in attrazione turistica.

Alla domanda se preferisce mutande o boxer, una delle battute contenute nel film, alla quale Sutherland risponde di preferire le mutande per avere più controllo, lui risponde che per tutta la lavorazione ha sempre indossato slip. Questo gli ha permesso di controllare meglio gli attori. Ma dice anche che, scherzi a parte, la fiducia era reciproca e che da subito si è sentito tranquillo. Dopo ogni “azione” si sedeva e si godeva lo show, molte volte senza dare lo “stop”,  lasciandoli liberi di improvvisare. Virzì dice di amare il regista invisibile, non invadente e fa di tutto per esserlo. Quello che ha cercato è stato di dare più importanza ai silenzi, ha voluto imprimere alla narrazione un passo lento, languido, delicato, come quello di alcune ballad di Janis Joplin o di David Crosby.

Quando gli viene detto che in questo film si sente meno cinismo e una vena assai più romantica, inteso anche come grande miglioramento, Virzì si sente lusingato e ribatte che è la normale conseguenza della vita, delle ferite personali, del riflettere sulla vita e sulla morte. In poche parole forse è l’affacciarsi della maturità.

Infine ha annunciato che per il momento non prevede altri progetti oltreoceano, ma che in futuro si vedrà. Per ora sta per iniziare la lavorazione di un nuovo film a Roma.

Venezia 74: Stephen Frears e Judi Dench presentano Victoria and Abdul

Questa quinta giornata di festival ha visto la Laguna riempirsi di leggende del cinema; ad aprire le danze questa mattina è stato il nuovo film di Stephen Frears dal titolo Vittoria e Abdul, con una straordinaria Judi Dench protagonista. Si tratta di un’adorabile commedia in costume che racconta della bizzarra amicizia nata tra la Regina Vittoria d’Inghilterra e un giovane indiano di umili origini di nome Abdul Karim, capitato a corte quasi per uno scherzo del destino.

Dopo il successo di Florence Foster Jenkins, Stephen Frears torna ad occuparsi delle sue meravigliose regine e la bellissima Judi Dench torna a vestire dopo venti anni i panni di Vittoria in un momento assai diverso della sua vita. “Non ho mai neanche lontanamente immaginato che un giorno avrei interpretato di nuovo Vittoria – ha dichiarato la Dench – ma quando Stephen mi ha proposto lo script non ho potuto rifiutare: la sceneggiatura era davvero brillante”. È proprio questo infatti uno dei tanti punti di forza del film di Frears, la sceneggiatura, pregna di un’inedita e brillante comicità. “In tanti mi hanno chiesto se il tono del film dovesse essere davvero questo. Ebbene, era proprio così che io e Lee [si riferisce a Lee Hall, sceneggiatore del film e autore anche di Billy Elliott] avevamo sempre immaginato Victoria and Abdul. Volevo portare sullo schermo qualcosa che fosse davvero divertente e allora mi sono chiesto quale film Trump avesse voluto vedere [ride]. A quelli che mi chiedono perché ho deciso di fare un altro film su di una regina risponderò molto sinceramente: la sceneggiatura era eccezionale. Magari fossi sempre così fortunato!”.

leggi anche: Venezia 74: Victoria and Abdul recensione del film di Stephen Frears

Il riferimento alla politica e nello specifico a Trump fa un po’ sorridere se si pensa che Stephen Frears è un regista britannico ma in effetti il film affronta, grazie alla storia tra Vittoria e Abdul, delle tematiche molto scottanti e attuali. La storia d’amicizia e quasi d’amore tra i due è stata osteggiata dai figli della sovrana e dall’intera corte che non vedeva di buon occhio questo ragazzo di colore, sempliciotto e ‘selvaggio’, persone che hanno fatto di tutto pur di separarli e che per secoli ha tenuto nascoste al mondo le prove di queste relazione. C’è chi ha definito ambiguo il rapporto tra Vittoria e Abdul ma i due protagonisti a riguardo hanno idee molto diverse. “È proprio l’amore – ha ammesso Judi Denchche rende la storia così intrigante. Non si tratta di amore romantico ma di quel sentimento d’affetto che rende più piacevole la vita e che nel film permette alla Regina Vittoria, sempre sorvegliata dalla sua corte, di godere di piccoli momenti di autentico relax”. Il co-protagonista della Dench, il talentuoso ed affascinante Ali Fazal, ha poi aggiunto: “C’è qualcosa di molto spirituale nella loro relazione […] Non si tratta di semplice amore romantico […] Sono intellettualmente stimolati l’uno dall’altra e godono ogni giorno del piacere reciproco della scoperta. Trovo il loro rapporto molto misterioso e poetico”.

Durante la conferenza stampa di Vittoria e Abdul, gli interpreti e il regista hanno anche raccontato com’è stato girare insieme sul set e utilizzare la straordinaria location di Osbourne House. “Era la prima volta che qualcuno utilizzava la Osbourne House come set per un film ed è stato un grande onore poter usufruire di una location così prestigiosa” ha dichiarato lo sceneggiatore Lee Hall. Quanto alle riprese, pare ci sia stata una particolare attenzione per la creazione degli abiti di scena; i costumi, soprattutto nel caso di Judi Dench, dovevano poter dare l’illusione che l’attrice fosse fisicamente simile alla vera Regina Victoria. “I vestiti – ha dichiarato la Dench – sono stati un vera sfida. Tanto per cominciare io sono molto più alta di Vittoria e anche meno in carne […] Dopo la morte prematura del marito, il Prince Albert, Vittoria cadde in una profonda depressione e utilizzava il cibo come compensazione; è per questo motivo che in tutti i suoi ultimi ritratti appare sempre i sovrappeso”.

Ma se i costumi hanno fatto penare non poco Miss Dench, per Ali Fazal sono stati invece d’aiuto per la costruzione del suo personaggio. “I costumi erano fantastici, con quelle stoffe così riccamente decorate e dai colori sgargianti […] indossarli mi ha aiutato ad entrare meglio nel personaggio e a perfezionare la mia postura poiché nel film sto spesso in piedi in posa affianco alla regina. Ovviamente per prepararmi non è stato sufficiente indossare un bel vestito. Ho dovuto iniziare molti mesi prima che le riprese cominciassero a documentarmi sulla storia di Vittoria e Abdul. Nessuno prima d’ora aveva mai parlato di questa storia ma Abdul è stato davvero un personaggio importante per la Regina, forse il più importante della sua vita”.

Victoria and Abdul: recensione del film di Stephen Frears

Victoria and Abdul: recensione del film di Stephen Frears

Ci sono storie dimenticate, storie piene d’amore e grazia che meritano di essere raccontate ed è così che il grande Stephen Frears, a meno di un anno di distanza dalla sua stonata ma meravigliosa Florence Foster Jenkins, torna ad incantare il suo pubblico con un nuovo piccolo gioiello dal titolo Victoria and Abdul.

Ormai vecchia e affaticata, arrivata agli ultimi anni del suo governo, la Regina Vittoria riceve a corte un ospite inaspettato. Con la conquista dell’India da parte dell’Impero Britannico, ora la monarca inizia a sentire il peso delle troppe responsabilità governative, degli anni che passano, della solitudine e a non sopportare più la vita di palazzo. Ma il suo umore cambia drasticamente quando a corte arriva il misterioso ed esotico Abdul Karim.

Victoria and Abdul - Stephen Frears

Grazie a Frears, la straordinaria Judi Dench torna ad interpretare, dopo ben venti anni, la burbera e triste Regina Vittoria stavolta raccontata dal famoso regista di Le Relazioni Pericolose, sotto una luce diversa. Si parla infatti dei suoi ultimi anni di vita e della sua finora segreta storia d’amicizia e quasi d’amore con un comune ragazzo indiano capitato a corte quasi per sbaglio. Si tratta di una relazione di cui si era persa ogni testimonianza, una storia che Stephen Frears ha finalmente portato allo scoperto.

Victoria and Abdul, il film

E’ il 1887 quando la Regina Vittoria (Judi Dench) riceve a corte due ragazzi indiani provenienti dalla città di Adra arrivati in Inghilterra per rendere omaggio alla loro nuova sovrana. Il loro compito è molto semplice: dovranno comparire al cospetto della regina portando in dono un’antica moneta indiana come segno della loro devozione. Ma qualcosa durante la cerimonia va storto e uno sguardo fugace tra Vittoria e il giovane Abdul Karim (Ali Fazal), in barba al protocollo di corte, dà inizio a qualcosa di straordinario e quasi sconveniente. Rapita da quegli occhi magnetici, dall’avvenenza del ragazzo e attratta da quella che sembra una strana complicità, la regina apre le porte della sua corte ad Abdul che si ritrova catapultato in un mondo pieno di splendore e insidie.

Victoria and Abdul - Stephen Frears

Dopo la gloriosa Meryl Streep, interprete della cantante più dolce e stonata del mondo, Stephen Frears chiama a sé un’altra leggenda del cinema, la grande Judi Dench, per il suo nuovo film, Victoria and Abdul, presentato fuori concorso alla 74° Mostra del Cinema di Venezia. Negli anni molte persone hanno definito Frears un regista poco coraggioso, che non ama osare e fedele solo ad un certo tipo di cinema; ebbene, pur non snaturando il suo stile personale, stavolta Frears si spinge un po’ oltre la sua comfort zone e regala al pubblico qualcosa di un tantino differente.

Grazie alla superba sceneggiatura di Lee Hall – sceneggiatore anche del famoso film Billy Elliott -, che ha adattato per il cinema il libro Victoria & Abdul: The True Story of the Queen’s Closest Confidant di Shrabani Basu, il regista imbastisce quella che potremmo definire una commedia in costume che strizza l’occhio al genere del biopic, molto in voga negli ultimi anni. Victoria and Abdul racconta la storia dimenticata di questa strana e, per certi versi, ambigua amicizia tra la regina Vittoria e un umile ragazzo indiano diventato poi suo maestro e confidente. Essendo rimasta vedova molto presto, la sovrana si è trovata a dover gestire il suo regno senza l’appoggio di nessuno e a tenere a bada le sanguisughe di corte sprofondando così in una terribile depressione. Proprio quando si era ormai rassegnata all’idea di morire ed invecchiare da sola rinchiusa in quella gabbia dorata, la regina incontra Abdul, un giovane pieno di energia, entusiasta e sempre disposto a compiacere i suoi desideri: Vittoria è affamata di conoscenza e Abdul è un cantastorie perfetto.

Victoria and Abdul - Stephen Frears

Con estrema grazia e semplicità Stephen Frears racconta la nascita e l’evoluzione di questa bizzarra e dolcissima relazione d’amore, un sentimento puro che guarda al di là del protocollo di corte, degli obblighi politici, delle differenze sociali, razziali e religiose. Anche questo di Frears, come molti altri film già visti quindi a Venezia 74, affronta quindi la difficile tematica dell’intolleranza e lo fa raccontando con ironia la storia di questa improbabile coppia di amici. A conquistare sin dalla prima inquadratura sono la sempre mitica Judi Dench, nei panni di una perfetta regina brontolona, e lo sferzante humor inglese che rende la prima metà del film assolutamente irresistibile. Ma le risate ben presto lasciano il posto all’amarezza, alle lacrime e ad un odio così violento e gratuito da colpire lo spettatore quasi come un pugno nello stomaco; il cambio di registro è graduale ma non per questo meno traumatico e ci accompagna per mano verso un finale commuovente e quasi catartico.

leggi anche: Venezia 74: Suburbicon recensione del film di George Clooney

Avengers Infinity War: Thanos con il Guanto completo nella nuova promo art

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Stando a quanto ci suggerisce la nuova promo art di Avengers Infinity War, Thanos riuscirà a completare la sua ricerca delle Gemme dell’Infinito nel film diretto dai fratelli Russo.

Nell’immagine, il Titano Pazzo compare infatti in piedi, con la mano guantata dal potente oggetto, completo di tutte le sue Gemme.

Avengers Infinity War: il primo teaser dal Comic Con [LEAK]

La sinossi: Mentre gli Avengers continuano a proteggere il mondo da minacce troppo grandi per un solo eroe, un nuovo pericolo emerge dalle ombre cosmiche: Thanos. Despota di intergalattica scelleratezza, il suo scopo è raccogliere le sei gemme dell’Infinito, artefatti di un potere sconfinato, e usarle per piegare la realtà a tutto il suo volere. Tutto quello per cui gli Avengers hanno combattuto ha condotto a questo punto – il destino della Terra e l’esistenza stessa non sono mai state tanto a rischio.

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Avengers Infinity War: 15 villain che potrebbero venire dopo

Avengers Infinity War arriverà al cinema il 4 Maggio 2018. Christopher Markus e Stephen McFeely si occuperanno della sceneggiatura del film, mentre la regia è affidata a Anthony e Joe Russo.

Il cast del film al momento è composto da Cobie Smulders, Benedict Cumberbatch, Chris Pratt, Vin Diesel, Scarlett Johansson, Dave Bautista, Karen Gillan, Zoe Saldana, Brie Larson, Elizabeth Olsen, Robert Downey Jr., Sebastian Stan, Chris Hemsworth, Chris Evans, Tom Holland, Bradley Cooper, Samuel L. Jacksson, Jeremy Renner, Paul Rudd, Peter Dinklage, Mark Ruffalo, Josh Brolin, Paul Bettany, Benedict Wong, Pom Klementieff e Chadwick Boseman.

Fonte: SaviiMCU Exchange

La Villa: recensione del film di Robert Guédiguian #Venezia74

La Villa: recensione del film di Robert Guédiguian #Venezia74

I tre figli di un anziano uomo colpito da un ictus sono accanto al padre, completamente immobilizzato. La villa in cui lo assistono è sul mare, a La calanque de Méjean, una splendida baia nei dintorni di Marsiglia. C’è Angèle, che vive a Parigi e fa l’attrice di teatro, Joseph perso d’ amore dietro una ragazza estremamente più giovane di lui e perennemente depresso e insoddisfatto e Armand, proprietario di un modesto ristorante a pochi passi dalla villa, l’unico della famiglia rimasto a vivere nella zona. C’è poi un pescatore sognatore e colto, invaghito fin da bambino di Angèle, un giovane medico e i suoi ostinati genitori e dei militari che pattugliano la costa alla ricerca di migranti.

L’occasione forzata che li costringe a riunirsi è chiaramente il naturale spunto per fare i bilanci di una vita,  riflettere su scelte, sbagli e tragedie che hanno segnato il loro passato. Poi, un giorno, arrivano dei profughi a bordo di un gommone, tre bambini.

La villa, il film di Robert Guérdiguian

Robert Guérdiguian, di madre armena e padre tedesco, ha già diretto numerosi film di successo, tra i quali Marius e Jeannette (1997), Marie-Jo e i suoi due amori (2002), Le passeggiate al Campo di Marte (2005) e Le nevi del Kilimangiaro (2011). Spesso ha messo la città di Marsiglia, dove è nato, e i suoi bellissimi dintorni al centro delle sue storie. Ha sempre pensato a La Calanque de Méjean come a un teatro naturale, dove il mare sembra il fondale di tela dipinta e, soprattutto in inverno, quando non c’è più nessuno, assume quel sapore di abbandono bellissimo e malinconico,  un set ideale.

Ama definire “bolla all’aria aperta” la situazione che abilmente crea intorno ai suoi personaggi, una bolla dove “alcuni fratelli e sorelle, padri e madri, amici e amanti si confrontano sugli amori del passato e sugli amori che verranno. Tutti questi uomini e tutte queste donne condividono gli stessi sentimenti: sono in una fase della vita in cui si ha profonda consapevolezza del tempo che passa e dei cambiamenti del mondo. Le strade che hanno a lungo spianato si stanno gradualmente ricoprendo e devono essere costantemente mantenute, altrimenti se ne dovranno creare di nuove

Nonostante lo sguardo sia concentrato sui tre fratelli protagonisti, il film affronta, in maniera per niente marginale, il problema dei profughi. Quando fa riferimento  a questo, Guérdiguian sostiene “Per quanto possa sembrare un’esagerazione, mi sento di affermare che oggi non potrei fare un film senza fare riferimento ai profughi: viviamo in un mondo in cui le persone annegano in mare quotidianamente. Ho scelto intenzionalmente la parola “profughi”. A prescindere che sia da imputare ai cambiamenti climatici, ad altre ragioni, o a una guerra, queste persone sono alla ricerca di un rifugio, di un focolare”.

La villa è una continua riflessione sul tempo che scorre, sulla caducità della vita, sulla casa, sulla famiglia e sulla propria appartenenza. Ognuno dei personaggi cerca di fare i conti con questo. Gli attori sono tutti bravissimi, perfettamente calati nelle rispettive parti e assolutamente credibili come fratelli che hanno fatto scelte differenti che li hanno portati a vivere lontani l’uno dall’altro. L’attrice che interpreta con grande delicatezza e introspezione Angèla è la moglie del regista, Ariane Ascaride, già apparsa in altri suoi lavori. Molto struggente è un vecchio filmato in S8, inserito come flashback, dove si vedono i protagonisti giovani e spensierati, ancora spavaldi nei confronti della vita che verrà. La scrittura risulta assai efficace, estremamente naturale e mai forzata, abilmente punteggiata da momenti ironici che si contrappongono invece alla drammaticità degli eventi.  La regia è delicata, intima, umana, mai invadente.

Il finale di La villa è incantevole, affatto scontato. È il degno coronamento di un film come solamente i francesi sanno fare.

The Leisure Seeker: recensione del film #Venezia74

The Leisure Seeker: recensione del film #Venezia74

Due anziani coniugi, Ella (Helen Mirren) e John (Donald Sutherland) decidono di sfuggire dalle attenzioni apprensive-oppressive dei figli per compiere un lungo viaggio attraverso l’America a bordo di un camper con cui andavano in vacanza negli anni settanta. The Leisure Seeker è il nome che hanno affettuosamente dato al veicolo. Lui è malato di Alzheimer, la memoria lo abbandona di continuo, mettendolo nelle condizioni di dover essere sorvegliato continuamente, anche se il suo fisico è ancora forte. Insieme però riescono ad andare avanti, compensandosi e completandosi, come fossero una persona sola. Il viaggio sarà l’occasione per conoscersi ancora meglio e colmare quelle lacune e tutte quelle cose in sospeso, piccole e grandi, che ineluttabilmente si accumulano dopo una vita vissuta assieme. The Leisure Seeker è per Paolo Virzì il primo film interamente girato negli USA in lingua inglese, anche se in passato aveva già compiuto un’incursione sul suolo americano con My Name is Tanino (2002). È tratto dal romanzo omonimo di Michael Zadoorian.

Virzì dirige due autentici mostri sacri, due attori del calibro di Helen Mirren e Donald Sutherland. Lo fa con mano ferma e grande sensibilità, costruendo una coppia di navigati anziani coniugi in grado di passare disinvoltamente e con grande intelligenza da un registro recitativo all’altro, commuovendo, divertendo, facendo riflettere, creando apprensione e grande empatia. Il film è tutto sulle loro spalle, per quasi due ore, e lo sostengono con vigore, non lasciando mai trasparire fatica o forzature.

The Leisure Seeker

Paolo Virzì dice: “Mi sembra che ne sia venuto fuori un road movie sulla libertà di scegliere ogni istante della propria vita, con la semplicità di una canzone. Una ballad buffa e triste, con qualcosa di irragionevole e di pazzoide, ma vitale e felice”. E in questo è assolutamente riuscito, senza ombra di dubbio. Il film è perfetto, un vero ricettacolo di emozioni e sentimenti. Ma la sensazione finale è comunque strana, è come se il film lasciasse in una condizione di irrisolto, come se si volesse qualcosa di più, ma non si riuscisse bene a capire cosa. Semplicemente latita uno sguardo personale, una caratterizzazione maggiore, cosa che comunque potrebbe anche essere una scelta strategica, vista la sua prima prova con un sistema produttivo differente e così esigente. Nonostante la sua altissima professionalità, la sua regia ineccepibile, l’ orchestrazione perfetta di tutto il cast artistico e tecnico, manca quello sguardo personale con il quale l’autore livornese si è imposto fin dall’inizio, film dopo film. Certo, il cinema di Virzì e le sue relative caratterizzazioni  autoriali sono fortemente legate a un contesto italiano, ma dove sono quegli stilemi che aveva cominciato a disseminare a partire da La bella vita (1994) passando per  Ovosodo (1997) e Caterina va in città (2003), fino ad arrivare a Tutta la vita davanti (2008), La prima cosa bella (2010) La pazza gioia (2016)?

In The Leisure Seeker manca un po’ di Paolo Virzì in più.

Venezia 74: Suburra di Netflix infiamma il red carpet

Venezia 74: Suburra di Netflix infiamma il red carpet

Ieri a Venezia, si è tenuta la première di Suburra, la serie, la prima serie TV italiana originale Netflix presentata fuori concorso alla 74a edizione del Festival del Cinema di Venezia.

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Hanno partecipato alla première gli attori Alessandro Borghi, Filippo Nigro, Claudia Gerini, Giacomo Ferrara, Eduardo Valdarnini e Francesco Acquaroli, i registi Michele Placido, Andrea Molaioli e Giuseppe Capotondi, i produttori Gina Gardini e Riccardo Tozzi e Erick Barmack, vice presidente degli International Originals Netflix.

Suburra, la serie sarà disponibile su Netflix in tutti i Paesi in cui il servizio è attivo a partire dal 6 Ottobre 2017.

Sinossi:

Suburra, la serie, la prima serie originale Netflix italiana, debutterà il 6 Ottobre 2017 e raggiungerà 100 milioni di abbonati nei 190 Paesi in cui il servizio è attivo, rendendo la produzione originale Netflix disponibile per un pubblico globale.

Diretta da Michele Placido, Andrea Molaioli e Giuseppe Capotondi, Suburra, la serie, è un crime thriller ambientato a Roma, che descrive come la Chiesa, lo Stato e la criminalità organizzata si scontrano, confondendo i limiti della legalità e dell’illecito nella loro feroce ricerca del potere.

Al centro della storia troviamo tre giovani uomini: Numero 8 (Alessandro Borghi), Spadino (Giacomo Ferrara) e Lele (Eduardo Valdarnini), diversi per origine, ambizioni e passioni, che saranno chiamati a fare alleanze per realizzare i loro più profondi desideri.

Gli altri personaggi includono Sara Monaschi (Claudia Gerini), Amedeo Cinaglia (Filippo Nigro), Samurai (Francesco Acquaroli) e Manfredi Anacleti (Adamo Dionisi). Prodotta da Cattleya.

Venezia 74: oggi Sienna Miller con The private life of a modern woman

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Sarà presentato fuori concorso a Venezia 74 The private Life of a modern woman, il film di James Toback con protagonista Sienna Miller.

The private life of a modern woman racconta di Vera Lockman, un’attrice di successo che vive da sola in un favoloso loft newyorkese, si agita nel suo letto durante un incubo nel quale lotta con Sal, il suo spacciatore ed ex ragazzo, prima di sparargli e ucciderlo. Svegliatasi di soprassalto, scrive nel suo diario che l’omicidio dell’incubo è effettivamente avvenuto il giorno prima e che Sal giace morto in un baule in soggiorno. Leon, amante di Vera, arriva e viene congedato, definitivamente.

Franklin, un amico cineasta, passa a farle visita, preoccupato. Mette Vera sotto torchio, lasciandola confusa e un po’ spaventata. Vera trasporta con l’auto il baule in una zona isolata e lo fa rotolare dentro a un lago. Torna nel suo loft, e trasalisce alla vista di un detective della narcotici, McCutcheon, venuto a farle delle domande su Sal. Vera pensa che Mc Cutcheon abbia creduto alla sua falsa storia. Vera serve la cena al suo amato e malandato nonno, Arthur, e a sua madre, Elaine. Successivamente, Carl Icahn, ex compagno di classe di Arthur, passa a trovarli. Vera e Carl sono emotivamente in sintonia. Il giorno dopo Vera, per la prima volta calma, scrive. Il suo umore è turbato da un crescendo di sirene della polizia. Si precipita alla finestra e vede McCutcheon. I loro sguardi si incrociano. Le manette la attendono.

James Toback ha così commentato “Ho concepito e scritto The Private Life of a Modern Woman per Sienna Miller. Il nucleo tematico del film è costituito dalle mie personali fissazioni: l’affermazione del sé, l’impulso a creare, la tensione irrisolta tra rabbia e amore, l’onnipresente consapevolezza della morte. Strutturalmente, ho tentato di aderire (con licenza poetica) alle unità aristoteliche di tempo, luogo e azione: la struttura della tragedia greca. Volendo fare un’analogia letteraria, il film è una novella, piuttosto che una storia breve o un romanzo. Come sempre, mi sono sentito in dovere di inserire nella pellicola opere d’arte che hanno arricchito la mia vita ovunque potessero valorizzare il film: il Requiem tedesco di Brahms, la Settima Sinfonia di Shostakovich, la Messa in Si minore di Bach, la versione dei Cleftones di Please Say You Want Me e il Giardino delle delizie di Bosch.”

Venezia 74: Victoria & Abdul con Judi Dench

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Venezia 74: Victoria & Abdul con Judi Dench

Sarà presentato oggi fuori concorso Vittoria e Abdul, il nuovo film di Stephen Frears e che vede protagonista Judi Dench nei panni della Regina Victoria.

Victoria & Abdul racconta la vera, straordinaria storia dell’incredibile amicizia tra la regina Vittoria e il giovane segretario Abdul Karim, diventato suo precettore, consigliere spirituale e devoto amico. Nel 1887, Abdul parte dall’India per donare alla regina una medaglia in occasione dei festeggiamenti per il Giubileo d’oro, ma inaspettatamente entra nelle grazie dell’anziana sovrana. L’inaudito e incredibile legame scatena una rivolta all’interno della famiglia reale, ma la regina si oppone a corte e parenti. Victoria & Abdul esplora con ironia tematiche come razza, religione e potere, mettendo in scena le assurdità dell’impero alla luce di un’amicizia insolita e profondamente commovente.

Stephen Frears ha così commentato il film: Non conoscevo la storia della regina Vittoria e di Abdul, non sapevo dell’affetto che la sovrana provava per il servitore indiano. Lee Hall ha scritto una sceneggiatura brillante, divertente, attuale e romantica, su diversità e classi sociali, sulla donna più potente del mondo e su un servitore musulmano. Per me era più riconducibile a The thief of Bagdad (Il ladro di Bagdad) che ai film britannici sull’impero anglo-indiano; ho detto che l’avrei realizzato soltanto con Judi Dench, e con mia immensa fortuna, lei ha accettato

Venezia 74: il giorno di The Leisure Seeker di Paolo Virzì

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Venezia 74: il giorno di The Leisure Seeker di Paolo Virzì

Sarà presentato in concorso il nuovo film di Paolo Virzì The Leisure Seeker, con protagonisti Helen Mirren, Donald Sutherland e tratto dall’omonimo romanzo di Michael Zadoorian.

The Leisure Seeker è il soprannome del vecchio camper con cui Ella e John andavano in vacanza coi figli negli anni settanta. Per sfuggire a un destino di cure mediche che li separerebbe per sempre, la coppia sorprende i figli ormai adulti e invadenti salendo a bordo di quel veicolo anacronistico per scaraventarsi avventurosamente giù per la Old Route 1, destinazione Key West. John è svanito e smemorato ma forte, Ella è acciaccata e fragile ma lucidissima: insieme sembrano comporre a malapena una persona sola. Quel loro viaggio in un’America che non riconoscono più – tra momenti esilaranti e altri di autentico terrore – è l’occasione per ripercorrere una storia d’amore coniugale nutrita da passione e devozione, ma anche da ossessioni segrete che riemergono brutalmente, fino all’ultimo istante.

Commento del regista: Non avevo previsto che un giorno avrei diretto un film ambientato del tutto in un altro Paese. Finora mi ero sempre sottratto a progetti americani dei quali mi era stata offerta la regia. Mi hanno convinto a provare almeno a scrivere una sceneggiatura e ho promesso ai produttori: se Helen Mirren e Donald Sutherland interpretano Ella e John, faccio il film. Era solo un modo per spararla grossa e mettere le mani avanti. Il destino però mi ha spiazzato: imprevedibilmente Mirren e Sutherland hanno accettato. Poche settimane dopo facevo i bagagli per attraversare l’oceano: non potevo privarmi del godimento di condividere un’esperienza con due attori così geniali e leggendari. Ma senza alcun intento di diventare “un regista americano”. Mi sento figlio del cinema italiano, seppure ormai la condivisione globale di storie e visioni renda labili e obsoleti i confini territoriali. Anche sulla East Coast americana ho cercato di non rinunciare alle mie consuetudini di regista nato in Italia, anzi a Livorno, per usare ingredienti che ho a cuore da sempre: verità, umanità, ironia, provando a mescolare commedia e tragedia, disavventure comiche e istanti di gioia pura. Mi sembra che ne sia venuto fuori un road movie sulla libertà di scegliere ogni istante della propria vita, con la semplicità di una canzone. Una ballad buffa e triste, con qualcosa di irragionevole e di pazzoide, ma vitale e felice.

Venezia 74, red carpet: George Clooney, Matt Damon e Julianne Moore

Hanno sfilato sul red carpet di Venezia 74 George Clooney in compagnia dei suoi attori protagonisti, Matt Damon e Julianne Moore, volti dell’oscuro Suburbicon (leggi la recensione), pellicola in concorso alla Mostra. Ecco le foto della premiere: [nggallery id=3158]

Foto di Aurora Leone.

Il Festival di Venezia 2017 si svolge al Lido dal 30 agosto al 9 settembre.

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Venezia 74: George Clooney presenta Suburbicon, il suo nuovo film da regista

E’ stato presentato oggi alla stampa Suburbicon, film che vede George Clooney indossare ancora una volta i panni del regista, interpretato da Matt Damon e Julianne Moore, in concorso qui alla 74° Mostra del Cinema di Venezia. Sceneggiato dai Fratelli Cohen e diretto da Clooney, il film ha conquistato la critica grazie al suo aspetto così poco convenzionale e alle tematiche trattate. Si parla infatti di razzismo, intolleranza e violenza in una piccola cittadina della periferia americana degli anni cinquanta, argomento incredibilmente attuale nonostante l’ambientazione del film.

Data la natura del film e le pesanti accuse rivolte alla società americana ancora così poco tollerante verso le minoranze etniche e religiose, George Clooney ha voluto dire la sua e fare una piccola riflessione politica sulla tesissima situazione sociale negli States. “Pensavamo tutti che, dopo anni di battaglie e violenza, il razzismo fosse ormai stato quasi del tutto debellato e invece ancora assistiamo ad episodi come quello di Charlottsville […] Ambientare il film in una piccola città della periferia era una provocazione; nel film sono tutti impegnati a scacciare l’unica famiglia di colore, accusandola di portare scompiglio nella comunità quando il pericolo risiede altrove ed è molto più spaventoso”. Anche Matt Damon sembra condividere il punto di vista di Clooney e aggiunge: “In posti del genere puoi anche correre per strada sporco di sangue ma gli altri incolperanno sempre quelli che non si sono integrati, i diversi: è la definizione di White Privileged”.

Parlando di Matt Damon, che abbiamo già visto nel ruolo di protagonista nel film di apertura di Venezia 74, Downsizing, la sua incredibile trasformazione da bravo ragazzo ad assassino psicopatico ha sorpreso e deliziato il pubblico. “La cosa più divertente del film è proprio Matt Damon – ha dichiarato Clooney –, non è mai stato così spaventoso!”. Lo stesso Damon ha però poi ammesso: “Non mi capita spesso di interpretare ruoli da cattivo come questo ma tutto risulta più facile quando hai dalla tua un regista così talentuoso come George […] Ricordo che una volta Alexander Payne [regista di Downsizing] mi disse che il mio più grande pregio era il mio aspetto così poco da star, mi disse che sembravo un uomo comune e che proprio questa era la mia caratteristica più interessante”.

Alla bravura di Matt Damon si contrappone quella della bellissima Julianne Moore che per Suburbicon si è sdoppiata interpretando due sorelle gemelle omozigote, due facce della stessa medaglia. “Ho proposto io a George l’idea di interpretare da sola entrambe le sorelle. Mi incuriosiva il fatto che, nonostante i legami d’affetto e di sangue, una delle due desiderasse così ardentemente la vita dell’altra da ucciderla per coronare il suo sogno e realizzare una sua fantasia”. Nel film le due donne, oltre ad essere caratterialmente differenti, si distinguono anche dal colore dei capelli, biondo per Rose, la sorella buona, e castano scuro per Margaret, la sorella cattiva. “È stata sua [si riferisce a Julianne Moore] anche l’idea di far tingere di biondo i capelli di Margaret dopo la morte della sorella – confessa divertito il regista -, una delle cose più inquietanti del suo personaggio [ride]“.

C’è stato chi, pur amando il film, ha definito Suburbicon un film pieno di rabbia il cui scopo era distruggere il concetto di famiglia tradizionale americana. “Creare e girare un film solitamente porta via un paio di anni quindi la rabbia a cui si fa riferimento, che poteva esserci all’inizio delle riprese, con il tempo tende a scomparire o a cambiare ed evolversi – ha dichiarato il regista Clooney – ma, si, il nostro principale proposito era proprio quello di distruggere lo stereotipo della perfetta famiglia […] Quello che affascina della periferia è la possibilità di avere, per pochi soldi, una piccola e graziosa casa con un giardino e magari una piscina […] per noi quindi trasformare questo piccolo angolo di paradiso in un luogo pieno di violenza e depravazione era una provocazione […] volevamo mostrare che non sempre il male proviene da chi è diverso da noi ma anche da coloro che ci sono molto vicini poiché tutte le persone sono in grado di nascondere la propria vera natura […] I veri mostri non sono persone di aspetto sgradevole sempre intente a lisciarsi i baffi ma persone normali che fanno scelte sbagliate e diventano mostri. Un po’ come i nostri protagonisti; sono persone normali che assoldano due killer perché non sono in grado di uccidere e che poi di fatto si tramutano anch’essi in mostri. Quanto alla rabbia, beh, le persone oggi hanno tutto il diritto di essere arrabbiati”.

Ma se la rabbia, l’odio, la violenza e una certa dose di sadismo sembrano governare su Suburbicon, la speranza sopravvive ancora negli occhi di Nicky. Dopo aver assistito a eventi terribili e traumatici c’è l’ultima scena del film, in cui il bambino gioca con il ragazzino di colore della casa accanto, che per il regista George Clooney e il compositore Alexandre Desplat ha un significato molto particolare. “Era sempre stata una nostra idea utilizzare questa scena a chiusura del film […] Non volevamo chiudere una storia così turbolenta con un finale classico come l’adozione del piccolo Nicky da parte di un’altra famiglia per questo motivo abbiamo scelto i due bambini. Il fatto che entrambi, dopo aver passato la notte peggiore delle loro vite, avessero ancora la forza di giocare insieme a baseball, era per noi il finale perfetto. Anche la musica per quella scena era di vitale importanza; fui proprio io a parlare ad Alexander quello di cui avevo bisogno e lui compose per il film una stupenda melodia, dolce, spensierata e carica di speranza”.

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Foxtrot: recensione del film di Samuel Maoz #Venezia74

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Foxtrot: recensione del film di Samuel Maoz #Venezia74

Dopo il Leone d’Oro del 2009 di Lebanon, Samuel Maoz torna a raccontare la guerra, la vita e la morte alla Mostra del cinema di Venezia con Foxtrot, selezionato nel Concorso ufficiale di Venezia 74.

Toccante e brillante allo stesso tempo, il film racconta il dolore di un padre che scopre la morte del figlio arruolato nell’esercito. Il dolore, esplode in apertura film con una violenza insostenibile, quando viene comunicato ai genitori del soldato la perdita del figlio. La seconda parte del film si sposta invece alla vita del soldato, con i suoi commilitoni, nel mezzo del nulla, alle prese con un posto di blocco fantasma, inutile, mentre il conteiner dove i quattro giovani soldati dormono sprofonda nel fango. Nella parte conclusiva, il terzo atto, si cambia ancora tono, e si va ad indagare il dolore dei genitori, le dinamiche di coppia, il loro amore reciproco e per il figlio.

Toccante e brillante allo stesso tempo

FoxtrotMaoz cerca con formalizzazioni alla Sorrentino di dare un tocco magico, onirico, al suo racconto che si concentra comunque sulle brutture della guerra. La scelta precisa è quella di utilizzare un tono surreale per la sequenza centrale e spostarsi poi sull’iperrealismo nella prima e nella terza scena.

Il risultato è una danza che torna al punto di partenza, come il foxtrot appunto, e che si fa metafora di una parabola umana dolorosa e piena di segreti nascosti nel passato dei protagonisti. Questo grande dolore si esterna poi, in una scena liberatoria e malinconica, nel finale, in una chiacchierata schietta, romantica, realista, tra i due coniugi che hanno perso il loro primogenito.

La sequenza meglio realizzata è però la seconda, quella che descrive la vita dei soldati, dove si applica al meglio la tendenza onirico/surrealista che trova la sua massima espressione in una bella sequenza animata. Le quattro vite, i quattro volti, accomunati dalla divisa e dal fango ma tutti ben distinti tra loro, appresentano una gioventù e un futuro che non è dato per scontato, che non è detto arrivi per tutti. In una danza circolare e senza scopo, la poesia della sofferenza di Maoz in Foxtrot si svela riflessione sull’esistenza, ammantata di un gusto per il gioco e per il sorriso che sembre lenire il dolore delle ferite del cuore.

Suburricon: l’attacco dei Clooney

Suburricon: l’attacco dei Clooney

La Mostra è sempre bellissima, ma non ci vivrei anche per un altro paio di motivi, su cui stavo giustappunto riflettendo. Il primo: uno pensa sempre (sempre, anche se ormai dovrebbe saperlo) che quando arrivi in proiezione presto e ti fanno sedere hai il miracolo di un quarto d’ora pè cazzi tua, in cui stare tranquillo, controllare le e-mail, scrivere post cazzoni come questo, messaggiare la fidanzata, magari schiacciare un pisolino estemporaneo in attesta che inizi il film. Invece no. Tocca fare i conti con gli scassacazzi che ti chiedono di alzarti ogni due secondi per prendere posto (che le file sono strettine, e tocca incastrarsi che manco al Tetris) e se, come me, hai esigenza di sederti laterale per andare al cesso in qualsiasi momento di emergenza è dura.

Anche perché, per la quinta legge di Murphy dopo servire la salute pubblica, proteggere gli innocenti, difendere la legge e non uccidere alcun membro dell’OCP, questi chiedono di entrare sempre dal mio lato della fila anche se poi si devono sedere al posto sull’estremo opposto. Non fraintendete, non sono un ipocrita: siamo tutti lo scassacazzi di qualcun altro, è solo che quest’anno questa cosa la sento particolarmente.

Il secondo: le maledettissime cuffiette per la traduzione simultanea della sala conferenze: non funzionano MAI. Il jack fa sempre contatto e per riuscire a captare qualcosa lo devi tenere fermo in posizioni assurde, che se ci aggiungi il fatto di essere costantemente stracarico di arnesi per il lavoro, dal computer all’iPad passando per il tradizionale blocco di appunti, e di vari giornali, giornaletti e cartelle stampa che ti ammollano spietatamente a ogni angolo della manifestazione, rende necessario un duro allenamento annuale con un maestro esperto di yoga. E spendeteceli du’ spicci. Voglio dire, li avete spesi per il documentario di Friedkin. Comprà un duecento audioguide usate dagli Uffizi no?

Altra sonora delusione, e oggi la possiamo dire perché la Carducci è tornata e non si parlotta degli assenti, è la sua disillusa promessa di portare con sé un drone personale per le riprese e soprattutto selfie aerei con gli animali famosi. Già immaginavamo epiche scene di autoperculamento iper-tecnologico, e che il drone cominciasse a prendere coscienza come HAL-9000, si innamorasse di lei e facesse un massacro per gelosia di tutti i suoi ammiratori, con ampi schizzi di sangue e materia cerebrale che avrebbero reso il red carpet ancora più vivace. E invece no, non lo ha portato.

C’è da dire, a parziale scusante, che in tempi di terrorismo far passare un drone potenzialmente carico di esplosivo per i serrati controlli di sicurezza organizzati per la Mostra (ieri un agente me guarda in faccia, con tutto che ho una barba da Imam e almeno quattro borse diverse appresso, e mi dice “ma no tranquillo, passa. Ho fiducia”) sarebbe stato quantomeno complicato. Però che diamine, una promessa è una promessa.

Carducci, te volemo bene lo stesso, ma non si fa. Avevamo pure preparato una roboante locandina, ve la mostriamo, perché le cazzate sono come il maiale, non si butta via niente. Anche se – altro colpo basso – i petali del red carpet che avevo inserito con estrema cura grafica (perché a ste cazzate ci tengo) come già vi avevo anticipato, non ci sono più. E per questo facciamo le rimostranze a Raucone, che qui su Terra 2 è il presidente della Biennale. Lui pure lo perdoniamo perché quest’anno la selezione dei film è particolarmente buona – anche se questo ci complica il lavoro: i film belli sono difficilmente perculabili).

Oggi per esempio è il giorno di Suburbicon, cinica e spietata visione di George Clooney su un’America degli anni cinquanta ma che ricorda da vicino quella di Trump, con gente che mette su muri per sfuggire alla visione dei negri, omicidi in famiglia, cose così. A me piace il film ma piace soprattutto Julianne Moore, per cui cerco di farmi una foto con lei decidendo di investire mezz’ora e non di più, seguendo anche l’onda di improbabili soffiate secondo cui a una certa precisa ora si dovrebbe trovare a un certo preciso posto. Date retta. So’ cazzate. In compenso è arrivata Milena Vukotic. Buttala via. Io la stimo tantissimo, come direbbe il compianto Paolo Villaggio.

Quindi la foto me la faccio con lei e alla Julienne me ce faccio le carote. Clooney si presenta sempre come un regista raffinato e un uomo di grande fascino e intelletto. Peccato il fiuto per la politica. Un anno e mezzo fa lo incontrai a Cannes per Money Monster e mi disse ‘tranquillo, Trump non vincerà mai‘ (true story). Complimentoni proprio. Come se non bastasse Vì è stata sequestrata da Alessandro Borghi col toupet per provare insieme una scena di Suburra – sì, oggi passano solo film che iniziano col prefisso ‘Subur’ – la serie, e anche se l’Isis ancora non si è fatta sentire le bombe arrivano. Ma sono d’acqua. Ieri non mi sono fracicato per miracolo, oggi vedremo. E come direbbe George – e forse pure Paolo Villaggio – ‘What else?’

Ang

Suburbicon: recensione del film di George Clooney

Suburbicon: recensione del film di George Clooney

L’apparenza inganna e a volte i pregiudizi possono trasformare le nostre vite rendendoci schiavi dell’odio e dell’intolleranza, alterando la nostra percezione della realtà. C’è questo e molto di più nel nuovo film da regista di George Clooney dal titolo Suburbicon. Dopo aver archiviato il poco convincente Monuments Men di qualche annetto fa, il bel George ci riprova e regala al pubblico della Laguna un film pieno di humor nero.

Suburbicon è una piccola cittadina di periferia degli anni cinquanta con case modeste e di buongusto, abitata esclusivamente da persone bianche. Tutto scorre serenamente fino a quando una famiglia di colore decide di ‘turbare’ la tranquillità dei cittadini bigotti di Suburbicon comprando una casa e di stabilirsi in città. Ma mentre tutti gli abitanti si mobilitano per scacciare queste persone indesiderate, c’è qualcun altro invece che progetta qualcosa di nefasto.

Suburbicon - George-Clooney

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Nato da un vecchio soggetto datato 1999 dei fratelli Ethan e Joel Cohen – che hanno curato ovviamente la sceneggiatura del film -, Suburbicon utilizza l’apparente tranquillità della classica periferia americana degli anni cinquanta per sferrare non poche frecciatine all’attuale politica degli Stati Uniti che sembra voler ancora proteggere e giustificare atti di violenza, intolleranza ed odio raziale. Una casetta in periferia con una bella staccionata e un piccolo giardino dove fare giocare i bambini è da sempre considerata come uno dei simboli del sogno americano per ogni straniero che decida di vivere negli States. Attraverso le vicende del piccolo Nicholas e della sua famiglia, George Clooney invita gli spettatori a riflettere su quanto la paura verso ciò che è diverso e sconosciuto continui a condizionare le nostre azioni e ci renda ciechi dinnanzi alle ingiustizie della vita.

Suburbicon, il film

Una famiglia di origini afroamericane si è appena trasferita a Suburbicon proprio nella casa accanto a quella del piccolo Nicky (Noah Jupe) che vive con suo padre Gardner Lodge (Matt Damon), sua madre Rose (Julianne Moore) e la zia, gemella omozigote di Rose, Margaret (sempre Julianne Moore). L’arrivo dei Meyers, che crea malcontento tra i cittadini, distrae l’attenzione di tutti dalla vera bomba ad orologeria nascosta nel quartiere. Ma quando una banda di criminali entra in casa dei Lodge e uccide con una dose letale di cloroformio Rose, nella tranquilla Suburbicon niente sembra più come prima.

Suburbicon - George-Clooney

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Dopo il grandioso successo ottenuto con il suo Good Night, Good Luck, film che stregò pubblico e critica a Venezia nel lontano 2005, l’affascinante mister Clooney torna alla Mostra del Cinema con un film che sorprende per il suo stile vintage e sfrontato e le sue tematiche così incredibilmente attuali. Suburbicon è un po’ thriller e un po’ noir ed è caratterizzato da un irresistibile humor nero, merito anche e soprattutto della sceneggiatura dei fratelli Cohen. La storia si svolge durante i problematici anni cinquanta, un periodo emblematico della storia americana fatto di eccessi e contrasti; da una parte il rock da ballare, le gonne a ruota e i colori pastello e dall’altra l’incolmabile divario tra bianchi e neri e le continue manifestazione d’odio razzista che infiammano le città. La decisione di George Clooney di usare il piccolo paradiso terrestre da depliant di Suburbicon come teatro di crimini orribili e inaspettati non è affatto casuale; si tratta di una provocazione, di mostrare cioè come un uomo, accecato dall’odio e dai pregiudizi, riesca a farsi ingannare dalle apparenze e che il male non conosce distinzione di razza.

Suburbicon - George Clooney3

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Il geniale sadismo dei Cohen trova sfogo quindi nell’impeccabile regia di Clooney ma anche in un cast di attori davvero eccezionali; dopo averlo visto per anni interpretare il ‘bravo ragazzo’, finalmente Matt Damon ci mostra il suo lato oscuro imbastendo un personaggio freddo, cinico e spietato che trova in Julianne Moore una complice tanto inquietante quanto affascinante. Ma a meritare una standing ovation è Oscar Isaac che, pur avendo un ruolo secondario, riesce a rubare la scena anche alla meravigliosa Julianne regalandoci una delle scene più belle dell’intero film, carica di tensione e tagliente umorismo.

E’ proprio grazie al suo personaggio infatti che la situazione precipita e la storia prende una piega decisamente inaspettata. Così come il piccolo Nicky, che guarda il mondo che lo circonda con l’ingenuità caratteristica dei bambini, anche lo spettatore si lascia rapire dalla surreale bellezza di Suburbicon per poi avere purtroppo un brusco risveglio. Tutto sembra oscuro, corrotto e perduto per sempre ma, mentre gli adulti continuano la loro incessante lotta per la supremazia, che sfocia nella violenza e nel sangue, è l’immagine di due bambini, uno bianco e uno di colore, che giocano a football insieme, a mandare un messaggio di speranza.

A Nobili Bugie il Premio Kinéo alla Miglior Opera Prima

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A Nobili Bugie il Premio Kinéo alla Miglior Opera Prima

Dopo il passaggio all’ultimo Marchè del Festival di Cannes, al Biografilm Festival di Bologna e a numerose rassegne cinematografiche, la black comedy in costume Nobili Bugie, opera prima del regista Antonio Pisu prossimamente nei cinema italiani distribuita da Genoma Films, è stata insignita di due importanti premi durante la 74° Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

L’iconica Claudia Cardinale, tra i protagonisti della pellicola Nobili Bugie, verrà premiata con il prestigioso Premio Kinéo – Diamanti al Cinema, riconoscimento dovuto a un’interprete femminile simbolo del cinema italiano.

L’Associazione culturale Kinéo assegnerà inoltre un ulteriore riconoscimento al film Nobili Bugie, premiando Antonio Pisu e il cast del film con il Premio Kinéo alla Miglior Opera Prima.

La black comedy in costume Nobili Bugie, opera prima del regista Antonio Pisu, vede tra i suoi protagonisti l’iconica Claudia Cardinale assieme a Raffaele Pisu e tra gli altri Tiziana Foschi, Federico Tolardo, Gaia Bottazzi, Silvia Traversi, Carlotta Miti, Eraldo Turra, Luciano Manzalini, Leo Mantovani, Romano Treré, Tita Ruggeri e Franco Colomba, sarà distribuita prossimamente in Italia da Genoma Films.

Sinossi: 1944. Italia. Sui colli Bolognesi, una famiglia di nobili decaduti sopravvive al proprio declino economico nell’unico luogo che ancora possiede: la tenuta di Villa La Quiete. Il Duca Pier Donato Martellini e la Duchessa Romola Valli, stanchi e avviliti, se ne fregano della guerra e risiedono nel loro podere con la servitù ormai ridotta ai minimi termini. Come se non bastasse devono prendersi cura del figlio Jean-Jacques, immaturo cinquantenne che passa le sue giornate a comporre poesie dedicate al Bologna FC. La soluzione a tutti i problemi si presenta alla villa in un pomeriggio qualsiasi; un uomo e due donne in fuga, chiedono loro rifugio; sono ebrei, disposti a pagare con un lingotto d’oro ogni mese di permanenza. La Duchessa, dopo aver accettato, fa di tutto per sedare sul nascere ogni tentativo della servitù e del marito di rubare il tesoro agli ospiti ed ordina di aspettare che la famiglia di “rifugiati” mantenga la promessa e doni più lingotti possibili al fine di dar la possibilità di riacquistare i loro averi impegnati. I lingotti aumentano e proprio nel momento in cui il Duca e la Duchessa intravedono finalmente una rinascita nobiliare, la guerra finisce. Terrorizzati dalla possibilità di perdere l’unica fonte di guadagno organizzano rocamboleschi escamotage, pantomime e sotterfugi per fingere che il conflitto non sia ancora finito sino a quando un uomo che i rifugiati conoscono bene si presenta nella Tenuta e cambierà le carte in tavola.

Venezia 74: George Clooney sotto gli occhi dei fotografi

È il grande giorno di George Clooney a Venezia 74, dove l’attore e regista ha portato in concorso il suo ultimo film, Suburbicon, la realizzazione di una sceneggiatura dei Fratelli Coen. Nel cast del film Matt Damon e Julianne Moore.

Ecco le foto del photocall: [nggallery id=3158]

Foto di Aurora Leone.

Il Festival di Venezia 2017 si svolge al Lido dal 30 agosto al 9 settembre.

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Brawl in Cell Block 99: recensione del film – Venezia 74

Brawl in Cell Block 99: recensione del film – Venezia 74

Brawl in Cell Block 99 è il secondo lungometraggio di  di S. Craig Zahler in veste di sceneggiatore, regista e compositore. Il regista racconta che tutte riprese, soprattutto quelle di azione e combattimento, che sono veramente tantissime, sono state inserite nel film con pochissimi tagli di montaggio e nessuna manipolazione digitale successiva, in modo che queste sequenze apparissero reali e non costruite minuziosamente in fase di editing, come sempre più spesso avviene. Questo è stato altamente impegnativo per la troupe, ma soprattutto per Vince Vaughn, che dopo un lungo allenamento intenso e stressante, ha dovuto compiere azioni molto difficili e rischiose in continuità, senza avere la possibilità di farsi sostituire da uno stuntman.

In Brawl in Cell Block 99 Bradley (Vince Vaughn) viene licenziato e nello stesso giorno scopre che sua moglie (Jennifer Carpenter) lo tradisce. Per provare a costruirsi una vita migliore e riallacciare i rapporti con lei è costretto a lavorare come corriere per un narcotrafficante, con il quale aveva già avuto a che fare in passato. La sua situazione sembra finalmente migliorare, i soldi non gli mancano, può permettersi una bella casa e un buon tenore di vita, inoltre sta per diventare padre. Ma un giorno, durante una consegna, si trova coinvolto in una sparatoria tra la polizia e due partner che gli sono stati imposti contro la sua volontà da un nuovo socio del suo capo. Bradley viene arrestato e condannato a sette anni di carcere.  Sarà per lui l’inizio di un turbine di soprusi e violenza, oltre ogni immaginazione.

Brawl in Cell Block 99Il personaggio di Bradley è descritto progressivamente nella storia attraverso tragedie, successi, arresto, condanna, ricatto, mistero e violenza, in un crescendo di tensione che tiene per buona parte del film molto alta l’attenzione dello spettatore. Ci sono diversi snodi narrativi vincenti, caratterizzati da numerosi colpi di scena, soprattutto nella prima parte e dopo la metà. Poi purtroppo, inaspettatamente, tutto precipita e quello che era stato costruito sapientemente, come un perfetto meccanismo di genere, deraglia miseramente, o meglio impazzisce letteralmente, trascinando la pellicola in territori assurdi fino al trash. Tutto quello che fino a quel momento risultava credibile, pur nella fisiologica esagerazione di un action movie, diventa grottesco, per non dire ridicolo. Anche gli effetti speciali non aiutano, nella parte finale sono talmente beceri e riconoscibili da sembrare realizzati per un film a basso budget e da persone veramente poco pratiche, cosa che contribuisce ad affondare definitivamente il film.

Peccato che dei bravi attori, dei personaggi ben costruiti e una perfetta regia, siano stati compromessi da una scelta finale totalmente inadatta, che però potrebbe essere assai apprezzata dagli amanti del cinema spazzatura… e sono tanti.

Human Flow: recensione del film di Ai Weiwei #Venezia74

Human Flow: recensione del film di Ai Weiwei #Venezia74

Più di sessantacinque milioni di persone nel mondo sono state costrette a fuggire da carestie, cambiamenti climatici e guerre, provocando il più grande esodo umano dalla seconda guerra mondiale. Ai Weiwei ha raccolto immagini nel corso di un anno, in varie parti del pianeta, per documentare in un epico viaggio cinematografico questa sconvolgente migrazione di massa. È nato così Human Flow.

Ai Weiwei è un autore cinese, famoso per aver sfidato e denunciato pubblicamente il governo di Pechino e per essere stato invitato alla Biennale d’Arte Contemporanea di Venezia varie volte. È un artista che sconfina tra varie forme d’espressione e che spesso ha scelto il mezzo del documentario per portare avanti le sue istanze espressive e ideologiche. Tra i suoi lavori più famosi ci sono A Beautiful Life, Stay Home e Remember.

Human Flow mostra la catastrofica portata della crisi dei rifugiati, lontana da ogni forma d’immaginazione. Il pregio maggiore del film è infatti il fornire continuamente i numeri delle persone coinvolte nelle varie migrazioni, andando a creare delle struggenti annotazioni alle potentissime, quanto sconvolgenti immagini. A queste notizie vengono alternate frasi di poeti e scrittori, che tendono però a rendere il meccanismo didascalico e troppo reiterato.

Senza uno schema apparente e soluzione di continuità il film rimbalza di paese in paese documentando ciò che avviene in paesi come Afghanistan, Bangladesh, Francia, Grecia, Germania, Iraq, Israele, Italia, Kenya, Messico e Turchia. Peccato che Ai Weiwei si faccia riprendere in continuazione, mentre filma, mentre osserva, mentre aiuta, mentre arrostisce spiedini, per poi inserirsi disinvoltamente nel contesto della narrazione filmica, andando a tradire in pieno quel concetto di cinema verità che si dibatte e si mette in discussione dagli albori della storia del cinema. Ma in fondo lui è un artista, un provocatore, e gli artisti si sa, amano apparire.

Deadpool 2, foto dal set: ecco Cable con Slash

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Deadpool 2, foto dal set: ecco Cable con Slash

Continuano le riprese di Deadpool 2 e dopo i video dal set, oggi l’attore Josh Brolin che interpreta Cable ha postato una nuova foto che lo ritrae insieme all’attore che interpreta Slash. La foto nella nostra gallery di seguito.

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Deadpool 2 – grave incidente sul set, un morto

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Deadpool ha incassato 363 070 709 dollari in Nord America e 417 408 522 dollari nel resto del mondo, per un totale mondiale di 780 479 231 dollari. Deadpool è stato accolto generalmente bene dalla critica, soprattutto grazie alla recitazione di Ryan Reynolds e alla comicità pungente e ironica della sceneggiatura.

Diretto da David LeitchDeadpool 2 vedrà Ryan Reynolds tornare nei pani del Mercenario Chiacchierone della MarvelZazie Beetz sarà Domino, Josh Brolin sarà invece Cable.

Justice League: dalla Mattel un grosso spoiler su Superman?

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Justice League: dalla Mattel un grosso spoiler su Superman?

Mentre cresce l’attesa di vedere sul grande schermo finalmente la Justice League riunita oggi arriva dalla Mattel quello che potrebbe essere una conferma a tutte le speculazioni fatte riguardo il look di Superman

Infatti come possiamo vedere dall’immagine di seguito che riporta la serie di giocattoli basata sull’atteso film di Zack Snyder, sembra che Superman possa adottare con ogni davvero la versione nera e dark del costume. 

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Ci teniamo a precisare che al momento non c’è nessuna conferma ufficiale. La foto potrebbe riguardare solo la serie di giocattoli e non quella del film. Dunque non resta che aspettare ulteriori conferme.

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Ecco il primo trailer di Justice League dal Comic Con

Justice League sarà diretto da Joss Whedon, che ha sostituito alla fine della produzione Zack Snyder, ed è previsto per il 10 novembre 2017. Nel film vedremo protagonista Henry Cavill come Superman, Ben Affleck come Batman, Gal Gadot come Wonder WomanEzra Miller come Flash, Jason Momoa come Aquaman, e Ray Fisher come Cyborg. Nel cast confermati anche: Amber Heard, Amy Adams, Jesse Eisenberg, Willem Dafoe, J.K. Simmons e Jeremy Irons. I produttori esecutivi del film sono Wesley CollerGoeff Johns e Ben Affleck stesso.

Han solo: Paul Bettany nel cast del film

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Han solo: Paul Bettany nel cast del film

Arriva dal regista Ron Howard la notizia che l’attore Paul Bettany è entrato a far parte del cast dello spin-off su Han solo attualmente in lavorazione.

Il regista infatti ha pubblicato l’ennesima foto dal set nel quale compare proprio l’attore visto recentemente al fianco degli Avengers nel ruolo di Vision.

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Al momento non sappiamo il ruolo dell’attore, ed un alone di mistero ruota attorno alla notizia, dunque è probabile che si tratti di un ruolo importante. Non resta che aspettare ulteriori notizie in merito.

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Han Solo spin-offla verità dietro il licenziamento di Lord e Miller

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Ricordiamo che lo spin-off sarà ambientato dieci anni prima degli avvenimenti di Una Nuova Speranza. Nel film ci sarà anche ChewbaccaAlden Ehrenreich interpreterà il giovane personaggio che fu di Harrison Ford. Nel cast anche Emilia Clarke, Donald Glover e Woody Harrelson.

Lo spin-off sul personaggio è previsto per il 25 maggio 2018 e dopo il licenziamento dei registi Phil Lord e Christopher Miller, registi di 21 Jump Street e The LEGO Movie, è stato incaricato Ron Howard di completare l’opera. La sceneggiatura porterà la firma di Lawrence Kasdan e di suo figlio Jon Kasdan.

Joker, standalone: Leonardo DiCaprio possibile protagonista?

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Qualche settimana fa vi avevamo rivelato che alla Warner Bros è in sviluppo un film sulle origino di Joker sconnesso al DC Extended Universe, nel quale figurava trai produttori nientemeno che il regista premio Oscar Martin Scorsese. 

Ebbene oggi in merito a quel progetto arrivano nuovi aggiornamenti dal The Hollywood Reporter che rivela che il coinvolgimento dell’acclamato regista altro non è che un tentativo di far entrare nel mondo dei supereroi un attore del calibro di Leonardo DiCaprio. 

Il noto sito americano chiarisce però che al momento nessuna offerta è stata fatta all’attore, mentre Martin Scorsese è ancora nelle prime discussioni con lo studios, ma è chiaro che alla Warner Bros c’è l’intenzione di cercare di fare un film non solo per i fan, ma un film che riesca ad ottenere uno status anche nel mondo della critica, al pari della trilogia di The Dark Knight di Christopher Nolan

Sempre secondo il noto sito americano, una persona infelice dei piani dello studios è Jared Leto. L’attore infatti ha interpretato il Joker nel film Suicide Squad, stroncato dalla critica ma vero successo al box office. 

Qualunque cosa succeda, la speranza dello studio è di trovare un attore che possa interpretare un boss del crimine in una Gotham City che rispecchierà la visione di Martin Scorsese.

 

Star Wars Gli Ultimi Jedi: primo sguardo al mega Star Destroyer di Snoke

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Dopo avervi parlato del senso di colpa di Luke, oggi arriva il primo sguardo al Mega Star Destroyer del Leader Supremo Snoke che vedremo in Star Wars Gli Ultimi Jedi.

The SupremacyThe Supremacy“, così dovrebbe chiamarsi, è una nave di enorme dimensione e abbastanza formidabile e dove lui e la maggior parte delle forze del Primo Ordine opereranno nel film.

Star Wars Gli Ultimi Jedi – il trailer

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FIRST LOOK – Carrie Fisher in Star Wars Gli Ultimi Jedi

Il film sarà diretto da Rian Johnson e arriverà al cinema il 15 dicembre 2017. Il film racconterà le vicende immediatamente successive a Il Risveglio della Forza.

In Star Wars Gli Ultimi Jedi torneranno Mark Hamill, Carrie Fisher, Adam Driver, Daisy Ridley, John Boyega, Oscar Isaac, Lupita Nyong’o, Domhnall Gleeson, Anthony Daniels, Gwendoline Christie e Andy Serkis. Gli altimi attori unitisi al cast sono Benicio Del Toro, Laura Dern e Kelly Marie Tran.

Venezia 74: SUBURRA – LA SERIE

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Venezia 74: SUBURRA – LA SERIE

Sarà presentata nella sezione Cinema nel giardino SUBURRA – LA SERIE con i primi due episodi che vedranno protagonisti Alessandro Borghi, Giacomo Ferrara, Eduardo Valdarnini, Francesco Acquaroli, Filippo Nigro, Claudia Gerini, Adamo Dionisi, Barbara Chichiarelli, Federico Tocci, Gerasimos Skiaderesis. 

A presentarla oltre al cast anche i registi MICHELE PLACIDO, ANDREA MOLAIOLI, GIUSEPPE CAPOTONDI.

La trama: Stato, Chiesa, Famiglia. Non c’è più niente di sacro. Suburra: La Serie è un crime thriller ambientato a Roma, che descrive come la Chiesa, lo Stato e la criminalità organizzata si scontrino, confondendo i limiti della legalità e dell’illecito nella loro feroce ricerca del potere. Al centro della storia troviamo tre giovani uomini: Numero 8, Spadino e Lele, diversi per origine, ambizioni e passioni, che saranno chiamati a stringere alleanze per realizzare i loro più profondi desideri. Tratto dall’omonimo romanzo ma ambientato molti anni prima, Suburra: La Serie è una serie tv densa di azione, dramma e crimine, che racconta venti giorni di disordini in dieci incredibili episodi.

Venezia 74: fuori concorso BRAWL IN CELL BLOCK 99

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Venezia 74: fuori concorso BRAWL IN CELL BLOCK 99

Oggi sarà presentato fuori concorso BRAWL IN CELL BLOCK 99, il film che vede protagonista un inedito e violento Vince Vaughn. Nel cast anche Jennifer Carpenter, Don Johnson, Marc Blucas, Udo Kier, Fred Melamed, Mustafa Shakir, Dion Mucciacito, Thomas Guiry, Geno Segers, Devon Windsor, Clark Johnson.

Nel film l’attore interpreta Bradley, un ex pugile, perde il lavoro come meccanico di auto, e anche il suo tormentato matrimonio è in pericolo. In questo momento difficile, non vede davanti a sé altre scelte se non quella di lavorare come corriere per un trafficante, sua vecchia conoscenza. La situazione migliora fino al giorno tremendo in cui si trova coinvolto in una sparatoria tra un gruppo di poliziotti e i suoi spietati alleati. Bradley è gravemente ferito e finisce in prigione, dove i suoi nemici lo costringono ad atti di violenza che trasformeranno quel posto in un brutale campo di battaglia.

BRAWL IN CELL BLOCK 99

Il regista del film S. Craig Zahler, ha così commentato: Sono molto fiero di Brawl in Cell Block 99, il mio secondo lungometraggio come sceneggiatore, regista e compositore. Come in Bone Tomahawk, in questo film hanno lavorato i produttori Jack Heller e Dallas Sonnier, il direttore della fotografia Benji Bakshi, lo scenografo Freddy Waff, il montatore Greg D’Auria e Jeff Herriott, il compositore con il quale ho scritto la colonna sonora. Mi ritengo molto fortunato ad aver collaborato con Vince Vaughn, le cui qualità come attore e come essere umano hanno superato le mie già alte aspettative. Sono rimasto molto colpito da come abbia affrontato le riprese dei combattimenti, che sono state molto impegnative dal punto di vista fisico, e anche abbastanza pericolose, e che sono state elaborate dal bravissimo Drew Leary.

Vaughn ha eseguito tutte queste riprese con pochissimi tagli di montaggio e nessuna manipolazione. Volevo che queste sequenze apparissero diverse da quello che si vede nei film di oggi, e ci siamo riusciti. Il film segue Bradley attraverso tragedie, successi, incarcerazione, mistero e violenza, ma il cuore pulsante della storia è nel rapporto con sua moglie Lauren.

La interpreta Jennifer Carpenter, che dimostra ancora una volta di avere pochi colleghi alla sua altezza grazie al toccante lavoro che ha svolto in questo film, a vari livelli. Sono stato fortunato anche perché ho lavorato con Don Johnson, Udo Kier e Marc Blucas. Il mio vecchio sogno di scrivere musica soul con Jeff Herriott si è finalmente avverato con la colonna sonora originale di questo film. Leggende del soul come The O’Jay’s e Butch Tavares, insieme a una nuova leva come Adi Armour hanno cantato i pezzi, che danno energia e colore all’ambiente. Sono tutti questi elementi a costruire il mondo strano e brutale di Brawl in Cell Block 99. Preparatevi.

Venezia 74: il grande giorno di George Clooney

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Venezia 74: il grande giorno di George Clooney

Arriverà al lido oggi per presentare Suburbicon, il suo ultimo film da regista la star  George Clooney, accompagnato da Matt Damon e Julianne Moore, interpreti del film.

La pellicola scritta da Joel & Ethan Coen, George Clooney, Grant Heslov racconta di una pacifica e idilliaca comunità periferica caratterizzata da case a buon mercato e giardini ben curati… il luogo perfetto dove crescere una famiglia. Èesattamente quello che stanno facendo i Lodge nell’estate del 1959. Tuttavia, l’apparente tranquillità cela una verità inquietante, quando il marito e padre Gardner Lodge è costretto a farsi strada nel lato oscuro della città fatto di tradimento, inganno e violenza. Questa è la storia di persone imperfette e delle loro scelte sbagliate. Questa è Suburbicon.

suburbicon

Il commento di George Clooney – I fratelli Coen firmarono la sceneggiatura originale di Suburbicon negli anni ottanta. Per una serie di motivi il film non fu mai realizzato e venne accantonato. L’anno scorso io e il mio socio Grant Heslov stavamo lavorando a una storia accaduta a Levittown, Pennsylvania, nel 1957, ispirata al breve documentario Crisis in Levittown. Chiamai i fratelli Coen per chiedere loro se potevamo provare a dare un’occhiata al copione e farne un film storico ambientandolo in una città come Levittown. Loro si dimostrarono entusiasti, e noi ci mettemmo subito al lavoro.

È un film che volevo fare perché mi piacevano i temi. Mi sembrava un momento appropriato per parlare di muri e minoranze che fanno da capro espiatorio, anche se all’interno di un thriller insolito. Ho sempre amato l’idea di un omicidio consumato in una città perfetta con tutta la gente che guarda nella direzione sbagliata. È la storia di un’epoca e di un luogo dai quali, purtroppo, non ci siamo mai veramente allontanati.

Le nostre anime di notte: recensione del film

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Le nostre anime di notte: recensione del film

A 47 anni da A piedi nudi nel parco, Jane Fonda e Robert Redford si ritrovano al cinema, a raccontare un’altra storia d’amore, prodotta da Netflix e presentata a Venezia 74: Le nostre anime di notte.

Diretto da Ritesh Batra (Lunchbox), Le nostre anime di notte racconta di due vicini di casa, entrambi alla fine della rispettiva vita, che pur conoscendosi da molti anni non hanno mai intrecciato un vero rapporto. La solitudine di entrambi li spingerà ad avvicinarsi, per avere qualcuno con cui parlare di notte, a letto. Batra si concentra prevalentemente sui personaggi, sulle emozioni, sulle delicatezza di due solitudini che si incontrano e si fanno compagnia, senza però mai confondersi. L’amore da anziani è un tema che il cinema affronta di rado e Le nostre anime di notte offre al pubblico la possibilità di affacciarsi su una storia a strati. I due protagonisti cominciano a raccontarsi portando entrambi nella relazione storie di vita, alcune dolorose, che hanno caratterizzato i momenti di svolta del loro passato. E così la storia d’amore assume delle caratteristiche malinconiche, laddove un amore giovane guarda al futuro costruendo, l’amore maturo, in questo caso, guarda al passato, ricordando.

Le nostre anime di notte, il film

le nostre anime di notte

Nonostante questa caratteristica, il racconto non si abbatte mai, sviluppandosi in un sereno resoconto che non risparmia ai due protagonisti decisioni difficili che costringono entrambi a mettere da parte la propria individualità per un bene diverso. Le nostre anime di notte sembra confermare che, nonostante una vita lunga e più o meno soddisfacente, non si arriva mai al punto in cui si smette di fare progetti, reinventandosi e dandosi sempre una seconda occasione per fare bene o meglio qualcosa che in passato si è tralasciato.

Nel complesso il film fa leva prevalentemente sull’appeal dei due protagonisti, alla soglia degli 80 anni lei, oltre gli 80 lui, Robert Redford e Jane Fonda sono l’immagine di una Hollywood dorata che non esiste più, bellissimi e carismatici ci raccontano Louis e Addie con autentica emozione, tarando il film per un pubblico casalingo avvezzo alle lacrime. Nella sua confezione perfetta, Le nostre anime di notte trova il suo limite. Nessun guizzo particolare, nessuna invenzione narrativa, nessun deragliamento dalla sicurezza di una storia rivolta al grande pubblico. E dopotutto non sono questi i film che devono rispondere a queste esigenze.

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