Grazie alla sua partecipazione a
grandi blockbuster, l’attore Lee Pace ha negli
anni guadagnato notorietà presso il grande pubblico. Alcuni dei
suoi personaggi sono infatti divenuti iconici, permettendogli di
ricevere apprezzamenti e riconoscimenti. Dotato di buona
versatilità, l’attore si è distinto anche per progetti più
indipendenti, dove ha potuto sfoggiare ulteriormente le proprie
doti da interprete. Ecco 10 cose che non sai di Lee
Pace.
Parte delle cose che non sai di Lee Pace
Lee Pace: i suoi film
1. Ha recitato in celebri
blockbuster. Dopo aver debuttato al cinema con il film
Soldier’s Girl (2003), l’attore recita in film come La
contessa bianca (2005), The Fall (2006), Infamous
– Una pessima reputazione (2006), The Good Shepherd –
L’ombra del potere (2006), Possession (2009), A
Single Man (2009), Sansone (2010) e The Twilight Saga:
Breaking Dawn – Parte 2 (2012), con cui ottiene maggior
notorietà. Nello stesso anno recita anche in Lincoln e nel
film Lo Hobbit – Un
viaggio inaspettato, dove ricopre il ruolo di Thranduil,
che riprenderà poi nei sequel Lo Hobbit – La
desolazione di Smaug (2013) e Lo Hobbit – La
battaglia delle cinque armate (2014). Nel 2014 è anche il
villain del film Guardiani della
Galassia, mentre negli anni successivi recita in The
Program (2015), Il libro di Henry (2017) e Driven
– Il caso DeLorean (2018).
2. Ha preso parte a
produzioni televisive. Nel corso della sua carriera
l’attore si è distinto anche per la partecipazione a note serie
televisive americane. Dopo aver recitato in un episodio di Law
& Order: Unità Speciale (2002), Pace recita in
Wonderfalls (2004) e in Pushing Daisies
(2007-2009), nel ruolo di Ned. Diventa poi celebre grazie al ruolo
di Joe MacMillan nella serie Halt and Catch Fire
(2014-2017), mentre prossimamente è atteso nella serie
Foundation.
3. Ha partecipato al
doppiaggio di un celebre film. Nel 2019 l’attore presta la
voce al personaggio di Keisuke Suga per il doppiaggio inglese del
film d’animazione giapponese Weathering with You,
incentrato su di uno studente delle superiori in fuga e la sua
relazione con una misteriosa ragazza dotata del potere di fermare
la pioggia.
Lee Pace è su Instagram
4. Ha un account
personale. L’attore è presente sul social network
Instagram con un proprio profilo, seguito da 215 mila persone.
All’interno di questo l’attore è solito condividere curiosità
quotidiane con i propri fan, come anche immagini scattate in
momenti di svago o ritraenti i luoghi visitati dall’attore. Non
mancano anche immagini e video promozionali dei suoi progetti da
attore.
Lee Pace è Thranduil
5. Si è allenato molto per
il ruolo. Nella trilogia dedicata a Lo Hobbit,
l’attore dà vita al personaggio di Thranduil, Re degli Elfi
Silvani. Nel ricoprire il ruolo, Pace ha dichiarato di essersi
allenato duramente per le scene di combattimento, avendo così la
possibilità di eseguire personalmente tali scene senza la necessità
di uno stuntman.
Parte delle cose che non sai di Lee Pace
6. Ha soffiato il ruolo ad
un altro attore. Originariamente per il ruolo del Re
Thranduil si era pensato all’attore Doug Jones,
celebre per i suoi ruoli in Il labirinto del fauno e
La forma dell’acqua. Tuttavia il regista Peter
Jackson affidò il personaggio a Pace poiché lo ammirava
come interprete sin dal film The Fall.
Lee Pace in Guardiani della
Galassia
7. Aveva fatto il provino
per un altro ruolo. Nel film dedicato ai Guardiani della Galassia l’attore dà
vita al personaggio di Ronan l’Accusatore, celebre villain che
opera per conto di Thanos. Originariamente però, l’attore aveva
sostenuto il provino per la parte di Starlord, poi andata
all’attore Chris
Pratt.
8. Ha paragonato il
personaggio ad un noto terrorista. L’attore ha affermato
di essersi particolarmente divertito a interpretare Ronan, poiché
la sua natura malvagia gli permetteva di sperimentare e di
liberarsi di ogni remora. Pace ha inoltre paragonato il personaggio
al terrorista Osama Bin Laden, affermando che anche Ronan è una
sorta di fanatico religioso.
Lee Pace in The Witcher?
9. Non ha recitato nella
serie Netflix. Alcuni fan hanno notato un volto
familiare nella serie The
Witcher, ipotizzando che l’attore avesse inaspettatamente
ricoperto un ruolo. Tuttavia la notizia è stata in seguito
smentita, e Pace ha affermato di non aver preso parte alla serie
Netflix. Pertanto quella dei fan si è rivelata una semplice
svista.
Lee Pace: età e altezza
10. Lee Pace è nato a
Chickasha, in Oklahoma, Stati Uniti, il 25 marzo 1979.
L’attore è alto complessivamente 196 centimetri.
L’atteso progetto di Steven Spielberg dedicato al presidente
degli Sati Uniti Lincoln si accresce di un altro nome che prenderà
parte alle riprese: si tratta di Lee Pace.
Dopo aver interpretato il Re degli Elfi,
Thranduil, nella trilogia dedicata a l’Hobbit,
l’attore Lee Pace confessa in un’intervista alla rivista
SciFiNow quanto sia divertente per lui calarsi in un ruolo
completamente diverso per Guardians of the
Galaxy, il futuro film di casa Marvel.
A lui infatti l’arduo compito di dare un volto
al principale antagonista dei Guardiani, Ronan, malvagio leader dei
Kree e luogotenente di Thanos. “I due personaggi non potrebbero
essere più diversi!”, Ha dichiarato. “[Ronan] è una vera bestia,
uno psicopatico. Mi sto divertendo moltissimo ad
interpretarlo.”
A schierarsi con entusiasmo dalla parte dei
cattivi anche Michael Rooker: tra i primi ad essere
scritturato per il film, l’attore è il perfido cacciatore Yondu
Udonta. Amico di lunga data del regista James
Gunn, non ha sul perchè abbia scelto proprio lui per quel
ruolo: “[James] ama torturarmi e conciarmi in modo strano. Ai
registi piace sempre dire agli attori quello che devono fare e lui
adora comandarmi, ecco perchè mi ha assunto!”
Il film è attualmente in pre
produzione nel Regno Unito e dovrebbe arrivare al cinema il primo
agosto 2014. I Guardiani della
Galassia (Guardians of the Galaxy) sono un gruppo di
personaggi dei fumetti Marvel Comics, creato da Arnold Drake (testi) e
Gene Colan (disegni). La prima apparizione avviene in Marvel Super-Heroes (seconda serie)
n. 18 (gennaio 1969).
Al cinema dal 13 marzo con
Vertice360, Lee
Miller, biopic diretto da
Ellen Kuras, vede protagonista assoluta Kate Winslet. Ecco il trailer ufficiale. Gli
orrori della prima e della seconda guerra mondiale sono fin troppo
familiari, grazie ai film e ai programmi televisivi che affrontano
l’argomento a testa alta. In queste narrazioni, è chiaro che molte
persone hanno avuto un ruolo nel rendere il mondo consapevole di
ciò che stava accadendo, mentre altre hanno sacrificato tutto per
fermarli. La pluripremiata attriceKate Winslet
interpreta Elizabeth ‘Lee’ Miller in Lee Miller, un film
biografico in uscita sulla famosa fotografa della Seconda Guerra
Mondiale. Miller lotta contro ogni previsione e lascia il suo
lavoro relativamente comodo a Vogue per recarsi in prima linea e
mostrare al mondo esterno le atrocità che stanno accadendo.
Il film è diretto da Ellen Kuras ed
è basato su una sceneggiatura di Liz Hannah, John Collee e
Marion Hume. Oltre alla Winslet, Lee è interpretato da
Marion Cotillard nel ruolo di Solange d’Ayen,
Andrea Riseborough nel ruolo di Audrey
Withers, Andy Samberg nel ruolo di David Scherman,
Noemie Merlant nel ruolo di Nusch Eluard, Josh O’Connor nel ruolo di Antony Penrose e
Alexander Skarsgård nel ruolo di Roland
Penrose. Il film è il debutto alla regia di Kuras e il progetto di
passione della Winslet. “Lee era una donna che ha vissuto la
sua vita alle sue condizioni e ha pagato un prezzo emotivo
terribile per tutto questo. Volevo raccontare la storia di una
donna di mezza età, piena di difetti, che è andata in guerra e l’ha
documentata”, ha dichiarato la Winslet a Vogue.
Il 13 marzo arriva nelle
sale Lee Miller, il film dedicato alla
straordinaria fotografa americana interpretata da
Kate Winslet, qui anche in veste di produttrice. Per
la sua performance intensa e coinvolgente, l’attrice ha ottenuto
una candidatura ai Golden Globes come Miglior Attrice
drammatica (il
premio è andato poi a Fernanda Torres).
Diretto da Ellen Kuras, alla sua prima regia
cinematografica dopo una lunga carriera come direttrice della
fotografia, il film trae ispirazione dall’opera Le molte vite di
Lee Miller di Antony Penrose, figlio della
fotografa e del surrealista Roland Penrose.
Il film ripercorre la
vita di Miller, una donna che ha rifiutato ogni etichetta: da
modella di successo a fotografa d’avanguardia, fino a diventare
corrispondente di guerra per Vogue durante la Seconda Guerra
Mondiale. Unica fotografa donna a documentare la liberazione dei
campi di concentramento di Dachau e Buchenwald, ha lasciato un
segno indelebile nella storia con le sue immagini di straordinaria
potenza. Intorno a Winslet, ruota un cast di supporto che vanta
nomi del calibro di
Alexander Skarsgård,
Marion Cotillard,
Andrea Riseborough,
Josh O’Connor,
Noémie Merlant ma anche Andy Samberg alla sua prima
performance drammatica (molto riuscita).
Kate Winslet e Andy Samberg in Lee Miller (film, 2024)
La trama di Lee
Miller
La narrazione inizia nel
1977 con un’intervista tra Lee e un giovane giornalista (Josh
O’Connor), che desidera conoscere la verità dietro le sue
fotografie. O almeno è quello che sembra all’inizio del film.
Questo espediente narrativo introduce la lunga retrospettiva sulla
vita della Miller, dal suo lavoro come modella e artista
surrealista fino alla sua esperienza sul fronte di guerra.
Tuttavia, il film fatica a mantenere un equilibrio tra il ritratto
intimo della protagonista e la sua carriera professionale,
risultando a tratti distaccato. Il finale si apre all’emozionante
rivelazione della vera identità di quel giornalista,
offrendo un interessante omaggio a quello che è veramente successo
dopo la morte di Lee, tuttavia è troppo tardi per sentire anche
il pur minimo gancio emotivo con i protagonisti.
Kate Winslet
regala una delle sue interpretazioni più intense, riuscendo a
restituire la determinazione e il coraggio di Miller. Tuttavia, la
sceneggiatura non offre un ritratto completamente sfaccettato del
personaggio e il film si concentra più sul suo lavoro come
fotografa di guerra, lasciando in secondo piano la sua vita
personale e le sue fragilità. Le relazioni con il partner Roland
Penrose (Alexander Skarsgård), l’amicizia con David Scherman
(Andy Samberg) e il rapporto con la direttrice di
Vogue Audrey Withers (Andrea Riseborough) vengono
accennate senza un vero approfondimento, facendo sì che molti
personaggi appaiano come semplici comparse o sponde su cui Lee
rimbalza.
Kate Winslet e Andy Samberg in Lee Miller (film, 2024)
Regia realistica e
fotografia spenta
Dal punto di vista
registico, Kuras adotta un approccio visivo potente, sfruttando il
contrasto cromatico tra il mondo vibrante e saturo del pre-guerra e
le tonalità spente e cupe del periodo bellico. La scelta di
integrare le fotografie reali di Miller nel film conferisce
autenticità alla narrazione, restituendo con forza il peso delle
immagini chela donna ha catturato e consegnato alla Storia.
Uno degli aspetti più
riusciti del film è la capacità di mostrare la Miller come una
testimone della storia, capace di cogliere dettagli che i suoi
colleghi uomini spesso trascuravano. La sua sensibilità nel
ritrarre la sofferenza e l’umanità dietro il conflitto è un
elemento centrale del film, ben interpretato da Winslet. Tuttavia,
il film manca di quel pathos che avrebbe potuto renderlo
memorabile, risultando a tratti troppo schematico, un biopic che
non sfrutta le potenzialità del materiale originale.
Un biopic innocuo anche
se visivamente affascinante
Nel complesso, Lee
Miller è un’opera visivamente affascinante e impreziosita da
una grande interpretazione di
Kate Winslet, ma che non riesce a scavare a fondo
nella complessità della sua protagonista risultando quindi innocuo.
Il film si limita a raccontare la sua carriera senza esplorare
appieno le sue contraddizioni e le sue battaglie interiori,
rendendo il racconto più informativo che emozionale.
In Lee
Miller di Ellen Kuras, Kate Winslet interpreta la fotografa di
guerra che dà il titolo al film e che è passata alla storia come
una delle più importanti figure del settore, una donna libera e
determinata. Ma quanto c’è di vero nel film?
La storia vera di Lee Miller
Quando Antony Penrose era un
ragazzino nell’Inghilterra del dopoguerra, sapeva che sua madre,
Lee Miller, era una fotografa. Gli insegnò a usare
la sua macchina fotografica Rolleiflex squadrata e lui la
accompagnò quando visitò e fotografò altri artisti della sua
cerchia, tra cui Pablo Picasso, Joan Miró e Man Ray. Ma c’erano
delle lacune nella conoscenza di Penrose. Non ha mai saputo, ad
esempio, che Miller era una leggendaria corrispondente di guerra
per Vogue che era stata in prima linea durante la seconda guerra
mondiale e aveva scattato alcune delle immagini più significative
del conflitto.
Semplicemente, Lee non parlava mai
di quel periodo della sua vita. Poco dopo la morte della madre nel
1977, Penrose e sua moglie, Suzanna, accolsero una figlia, Ami.
Salirono nella soffitta di Miller e aprirono scatole chiuse da
tempo per cercare foto di Penrose da bambino da confrontare con
quelle del loro neonato. Invece di trovare foto del piccolo
Anthony, inciamparono in una pila di pagine sottili contenenti un
manoscritto intitolato “The Siege of St. Malo”.
Il “resoconto incredibilmente
ravvicinato e personale di una battaglia orribile”, dice
Penrose. “Aveva guardato i ragazzi, con cui aveva scherzato per
qualche ora prima, essere falciati dal fuoco delle
mitragliatrici”. Chiese a suo padre, l’artista e collezionista
d’arte Roland Penrose, se l’autore di quello scritto fosse davvero
lei. Roland ridacchiò e diede a suo figlio una copia dell’articolo
di un vecchio numero di Vogue. Penrose aveva molto da imparare
sulle molte vite di sua madre.
Le vite di Lee Miller
Anthony Penrose ha poi dedicato gran
parte della sua vita adulta a custodire la straordinaria eredità di
sua madre. È l’autore di una biografia del 1985, The Lives of Lee
Miller, e il co-direttore (con la figlia, Ami Bouhassane) dei
Lee Miller Archives, con sede nell’ex fattoria e casa
della fotografa nell’East Sussex, in Inghilterra. L’ultimo
tentativo di preservarne l’eredità è Lee
Miller, il biopic con Kate Winslet
nel ruolo del titolo, e basato proprio sul libro di Penrose.
Il film attinge al materiale
conservato nei Lee Miller Archives, che hanno dato a Kuras
un accesso senza precedenti ai documenti. In Lee
Miller, Penrose, interpretato da Josh O’Connor di The
Crown, si siede con la madre anziana e scontrosa per
registrare una testimonianza e un flashback della sua vita,
concentrandosi principalmente sugli anni della guerra. I ricordi
sono in netto contrasto tra loro: in un primo momento, si rilassa
con artisti nel sud della Francia prima della guerra. In un altro,
scatta fotografie nelle città distrutte d’Europa sotto assedio.
Nella vita reale, Miller non
ha mai parlato di quegli anni con Penrose. È più facile
comprendere il suo silenzio a posteriori. “C’era una naturale
modestia, una naturale umiltà”, dice Penrose. “Ma penso
anche che ciò che nessuno di noi capì all’epoca era che soffriva
acutamente di disturbo da stress post-traumatico”.
Afflitto da problemi di
finanziamento e produzione, il film è stato in lavorazione per più
di otto anni. A un certo punto, Winslet, che ha sostenuto la storia
e coprodotto il film, ha pagato personalmente gli stipendi
dell’intero cast e della troupe per due settimane quando i
finanziamenti si sono bloccati. Lee
Miller, nelle sale italiane dal 13 marzo con
Vertice360, affronta l’eredità della donna, non solo come modella e
musa, ma come partecipante attiva nei momenti decisivi del XX
secolo; un’artista coraggiosa; e un essere umano imperfetto. Le
molte vite di Miller hanno bisogno di pochi abbellimenti.
Modella, artista,
musa
Nel 1927, il magnate delle riviste
Condé Montrose Nast tirò fuori dal traffico di Manhattan una
ragazza diciannovenne di Poughkeepsie, New York, e la trascinò nel
mondo dell’alta moda. Da lì le cose si mossero rapidamente. Un
disegno di Miller apparve sulla copertina del 15 marzo 1927 di una
delle riviste di punta di Nast, Vogue. Con un cappello a cloche
viola, uno sfondo urbano scuro oscurato dai suoi occhi azzurri e un
ciondolo di perle al collo, Miller era ufficialmente una modella di
New York City. Ma partì per Parigi solo due anni dopo, non
soddisfatta di essere solo un’immagine statica sulle copertine
delle riviste e nelle pubblicità di Kotex.
Elesse Man Ray, il fotografo
dadaista e surrealista, a suo mentore e lavorarono insieme per
sviluppare la tecnica della solarizzazione, in cui il tono di
un’istantanea viene invertito. I due divennero anche amanti e,
insieme, svolazzarono tra i circoli surrealisti dell’Europa tra le
due guerre e di New York. Miller interpretò la protagonista
femminile, una statua di marmo senza braccia, in The Blood
of a Poet, un film d’avanguardia di Jean
Cocteau. Le sue labbra e i suoi occhi divennero pezzi
iconici dell’arte surrealista. Nel 1934, Miller sposò un uomo
d’affari egiziano di nome Aziz Eloui Bey e si
trasferì al Cairo, dove continuò a fotografare senza le pressioni
finanziarie della sua precedente carriera. Ma l’elegante vita
domestica la lasciò irrequieta, così tornò a rimbalzare in
Europa—Parigi, i Balcani, l’Inghilterra rurale—questa volta con il
padre di Penrose, Roland.
La guerra surreale di Lee
Miller
Dopo aver concluso il suo primo
matrimonio in termini amichevoli, Miller si stabilì con Roland in
Inghilterra, arrivando più o meno all’epoca dello scoppio della
seconda guerra mondiale. Nonostante il vuoto nel suo curriculum,
Miller fece di nuovo domanda a Vogue, che la
assunse come fotografa per sostituire gli uomini che ora
combattevano in guerra. Il normale lavoro di moda riprese,
presumibilmente una felice distrazione dalla cupezza del tempo di
guerra, ma lasciò Miller insoddisfatta mentre le bombe tedesche
cadevano sulla città intorno a lei. Sempre testarda, prese in mano
la situazione, elaborando le sue straordinarie foto della Londra
dilaniata dalla guerra negli uffici di Vogue e contribuendo con 22
immagini a Grim Glory, un libro sul Blitz.
Miller fu accreditata
come fotografa dall’esercito americano nel 1942, ma si occupò
principalmente del lavoro delle donne, non del combattimento. Fino
all’assedio di St. Malo, una città costiera in
Francia, nel 1944, si è limitata a scene con infermiere in una base
a Oxford, in Inghilterra. Tuttavia, è riuscita a reinventare queste
fotografie attraverso una lente surrealista: in un’istantanea, ad
esempio, ha catturato un’infermiera che puliva guanti di gomma, che
sporgevano dagli stendini come decine di mani senza corpo. “Ho
spesso detto che ritengo che l’unica formazione significativa per
essere un corrispondente di guerra sia prima di tutto essere un
surrealista, perché allora niente è troppo insolito”, afferma
Penrose.
Quando i redattori di Vogue hanno
assegnato a Miller il compito di coprire la liberazione di St.
Malo, hanno dato per scontato che la città fosse già stata liberata
dagli Alleati. Ma i combattimenti erano appena iniziati. Sebbene
non fosse accreditata per coprire i combattimenti, Miller era
l’unica reporter incastrata con le truppe. Si è rifiutata di non
coprire la storia. L’articolo che Miller scrisse in seguito per
Vogue (lo stesso scoperto da Penrose nella soffitta di sua madre
circa tre decenni dopo) è un resoconto vivido, franco e soggettivo
dell’assedio, dai rumori degli spari alle lunghe attese nelle
retrovie.
L’eredità di Lee Miller
Gli orrori della guerra in Europa
continuarono, e così fece il lavoro di Miller per documentarli per
i posteri. Lei e il suo caro compagno David E.
Scherman, corrispondente della rivista Life,
furono tra i primi membri della stampa a entrare nel campo di
concentramento di Dachau appena liberato il 30 aprile 1945. Le
scene che videro lì sfidavano la realtà. Insieme alle sue foto e
all’articolo, Miller inviò al suo editore a Londra un telegramma:
“TI IMPLORO DI CREDERE CHE QUESTO È VERO”. Vogue pubblicò le sue
foto del campo, accostate alla banalità della vita tedesca nei
villaggi vicini, e intitolò la diffusione “Believe
It“.
Più tardi, il 30 aprile, Miller e
Scherman andarono a Monaco e si accamparono nel vecchio
appartamento di Adolf Hitler, che era stato trasformato in
una base dell’esercito americano. Esaminarono le sue cose, che
sembravano spaventosamente normali, e lei posò nella vasca da bagno
di Hitler lo stesso giorno in cui il dittatore morì suicida
dall’altra parte del paese, a Berlino.
Dopo la guerra, Miller lottò per
trovare il suo posto nel mondo delle riviste e dell’arte in tempo
di pace. Cercò di diventare fotografa dello staff di Vogue. Nel
1956 abbandonò definitivamente il giornalismo, decidendo invece di
formarsi come cuoca gourmet e pubblicare ricette. Ma Miller
continuò a lottare con la sua salute mentale.
Penrose, nato nel 1947, descrive sua madre durante questo periodo
come “alcolizzata” e “depressa”. Avevano una relazione “piuttosto
terribile”. Fu allevato prevalentemente da una babysitter. Poi,
all’inizio degli anni ’70, Penrose escogitò un piano per guidare in
giro per il mondo in una Land Rover con suo cugino e un amico del
villaggio vicino. Mentre si preparavano, ricorda, sua madre
“divenne una persona diversa”, incoraggiata dalla prospettiva
dell’avventura, e offrì ai ragazzi consigli pratici.
Quando Penrose tornò in Inghilterra,
lui e sua madre divennero intimi come “due vecchi amici” per gli
ultimi anni della sua vita. Ma Miller non raccontò ancora a Penrose
della guerra. Quelle storie erano ancora un fascio di traumi,
fotografie e pagine di manoscritti che lei portava con sé e
lasciava in scatole intatte nella sua soffitta. Fu solo dopo la
morte di Miller che Penrose scoprì e iniziò a condividere la sua
straordinaria storia con il mondo.
Senza il suo lavoro, Miller sarebbe
stata ricordata solo come musa e modella. Le sue molte altre vite
non avrebbero mai ispirato gli altri.
La parte migliore del biopic
Lee
Miller è senza dubbio l’interpretazione di
Kate Winslet, estremamente convincente e degna di
lode. Adattato dalla biografia di Anthony Penrose
intitolata The Lives of Lee Miller, il film racconta
alcune parti della vita avventurosa di Lee Miller,
che passò dall’essere modella a fotografa quando l’Europa fu
devastata dalla seconda guerra mondiale. Nel complesso, il film è
sicuramente interessante da guardare, soprattutto per coloro che
hanno un minimo di interesse per la storia, ma di cosa parla il
film?
Lee
Miller inizia con un’inquadratura di una donna
che corre per le strade di una città europea colpita dalla guerra
intorno al 1945, con una macchina fotografica appesa al collo.
Mentre individua un soggetto interessante, uno stivale da soldato
che giace sulla strada con una serie di proiettili che ne
fuoriescono, e ne scatta una foto, si verifica un’esplosione molto
vicina, che la fa sbalzare all’indietro e la ricopre di polvere e
fumo. Mentre il film si sposta in avanti di molti anni, fino al
1977, vediamo la stessa donna, Lee Miller, da
anziana, che si versa un drink nella sua casa in Inghilterra. Viene
intervistata da un giovane, ma Lee è chiaramente un po’ riluttante
a rispondere alle sue domande, soprattutto perché trova tali
interviste inutili.
Crede fermamente che le interviste
siano solo una forma più gentile di interrogatorio e apparentemente
non desidera rivelare troppo sulla sua vita e sulle sue opere. Il
giovane intervistatore inizia con il piede sbagliato, insinuando
che Lee avesse fatto cose nella sua vita solo per fama e
riconoscimento, ipotesi che lei rifiuta con fermezza. Tuttavia,
mentre la donna inizia gradualmente a parlare con il suo
intervistatore, diventa lentamente evidente che la sua vita è stata
piena di avventure pericolose e dimostrazioni di spavalderia che
meritano sicuramente di essere documentate.
Veniamo riportati di nuovo al
passato, nel 1938, questa volta attraverso la narrazione di Lee,
mentre descrive la sua vita spensierata all’epoca. Dopo aver
lavorato come modella e musa per vari fotografi, tra cui
Man Ray, Lee era in vacanza a Mougins, in Francia,
quando incontrò per la prima volta un inglese di nome
Roland Penrose. L’ascesa di Adolf Hitler era già
oggetto di discussione all’epoca, ma nessuno degli artisti
conoscenti di Lee poteva prevedere cosa sarebbe successo nei mesi
successivi. Mentre Lee e Roland iniziavano una vorticosa storia
d’amore, Hitler ottenne il potere in Europa e mosse guerra al resto
del continente.
Kate Winslet e Marion Cotillard in Lee Miller (film,
2024)
Fu sia per allontanarsi da Parigi,
che stava diventando un focolaio di instabilità politica, sia per
andare a vivere con Roland, che Lee si trasferì a Londra. Era
sempre stata interessata alla fotografia e ora che meno persone la
volevano come soggetto delle loro fotografie, poiché le donne
trentenni erano già considerate troppo vecchie per fare le modelle,
mostrò interesse nel perseguire l’arte dall’altro lato della
macchina fotografica. Così, Lee incontrò una giornalista di nome
Audrey Withers e iniziò a lavorare per la rivista
Vogue England. Con il cambiamento dei tempi, Vogue, che era stata
una rivista di moda, voleva raccontare anche storie dal fronte di
guerra e Lee si candidò per fotografare gli eventi, senza sapere
che quelle esperienze le avrebbero cambiato la vita per sempre.
Quali furono le prime esperienze di
Lee Miller come fotografa di guerra?
La carriera di fotografa di
Lee Miller iniziò scattando scene dalle strade di
Londra in rapido cambiamento, dove sempre più uomini venivano
inviati a combattere nel conflitto globale. Come la maggior parte
delle persone, anche lei era scioccata e arrabbiata per la
situazione che si stava sviluppando in Europa e Lee era determinata
a fare qualcosa al riguardo. Molti dei suoi amici intimi erano
bloccati a Parigi, che era già stata invasa e occupata dai nazisti,
e questo la lasciò in uno stato di ansia impotente. La prima
interazione diretta di Lee con individui legati alla guerra fu
quando fotografò le donne che prestavano servizio nell’Auxiliary
Territorial Service, o ATS, che era fondamentalmente il ramo
femminile dell’esercito britannico all’epoca. Alla fine iniziò a
fare richieste per essere inviata sul campo di battaglia per
riferire sulla situazione e, sebbene Audrey Withers continuasse a
ricordarle le regole e le convenzioni, Lee non si arrese. Dopo
alcuni tentativi, Vogue le disse che la Gran Bretagna aveva regole
severe sul non inviare nessuna giornalista donna al fronte di
guerra, rovinando temporaneamente i suoi piani.
Poiché Lee era in realtà una
cittadina americana, tornò rapidamente negli Stati Uniti e fece
domanda per lo stesso ruolo presso la rivista Vogue nel paese.
Poiché gli Stati Uniti non avevano regole per quanto riguarda le
giornaliste donne, le fu permesso di andare in Francia e
fotografare la situazione lì, dando finalmente inizio alla carriera
di Lee come fotografa di guerra. Sulla base di quanto mostrato nel
film, l’argomento più importante nelle sue opere era la condizione
delle donne in guerra, e le sue migliori fotografie riguardavano
senza dubbio le donne sul campo di battaglia. A partire dagli
operai dell’ATS schierati per controllare i riflettori utilizzati
per tracciare i bombardieri tedeschi che attaccavano l’Inghilterra
dall’alto, fino ai numerosi piloti e dottori che Lee fotografò
durante il suo periodo sul campo di battaglia, la condizione delle
donne era il suo soggetto preferito. Come donna che viveva e
lavorava negli anni ’40, la stessa Lee Miller
dovette affrontare molto sessismo e un generale disprezzo da parte
degli uomini.
Kate Winslet e Andy Samberg in Lee Miller (film, 2024)
Come ha fatto Lee a scoprire gli
orrori dei campi di concentramento?
Mentre Lee lavorava come fotografa
di guerra, si imbatté in un altro fotoreporter di nome
David E. Scherman, un giornalista che lavorava per
la rivista “Life”. Sebbene ammettesse di aver trovato molto
difficile lavorare con gli altri, Lee non dovette fare quasi
nessuno sforzo per diventare amica di David e i due continuarono ad
accompagnarsi a vicenda sul campo set ogni volta che potevano. Dopo
la liberazione di Parigi, incontrò una vecchia amica,
Solange d’Ayen, e apprese che suo marito, Jean,
era stato portato via dai nazisti e da allora non c’era più traccia
di lui. All’epoca, il mondo esterno non aveva idea del tipo di
atrocità a cui migliaia di persone erano state sottoposte per mano
dei nazisti all’interno di campi costruiti appositamente per
torturare e uccidere. Mentre parlava con più persone, Lee si rese
conto che centinaia e migliaia di persone erano improvvisamente
scomparse da varie parti del continente e nessuno sapeva cosa fosse
successo loro.
Cercò persino di convincere Audrey
Withers a occuparsi della questione come approfondimento di Vogue,
ma quest’ultima non poteva farci quasi nulla. Alla fine, quando i
nazisti iniziarono a perdere la guerra, la stampa venne a
conoscenza di vari treni che erano stati utilizzati dai nazisti per
trasportare orde di prigionieri in diverse parti d’Europa, e poi
Lee e David furono lasciati entrare in un campo di concentramento
subito dopo la sua liberazione. Nonostante l’estremo costo fisico e
mentale dell’esperienza, i fotografi scattarono immagini delle pile
di cadaveri trovati all’interno dei campi e anche delle carrozze
dei treni. Le foto di Lee divennero alcuni dei primi scatti
pubblicati a livello mondiale per informare le persone
dell’orribile genocidio che i nazisti avevano segretamente
compiuto. Questa esperienza ebbe sicuramente un impatto negativo
duraturo sulla mente di Lee, e lo shock e lo stress che affrontò
durante il suo periodo come fotografa di guerra continuarono a
perseguitarla. Più avanti nella vita dovette persino ricorrere
all’alcol e alla droga, una dipendenza iniziata quando lavorava, e
che è anche accennata nel film.
Kate Winslet in Lee Miller (film, 2024)
Cosa rivelò Lee Miller del suo
passato?
Nel finale di Lee
Miller, la protagonista del titolo rivela
finalmente qualcosa di personale alla sua cara amica Audrey dopo
che questa si è infuriata con Vogue per non aver pubblicato gran
parte del suo lavoro. Mentre ha un crollo emotivo, Lee rivela di
essere stata violentata da un amico di suo padre quando era
adolescente e che l’orribile esperienza ha continuato a
perseguitarla fino ad oggi. Infatti, questo è il motivo per cui Lee
è vista essere estremamente protettiva nei confronti di qualsiasi
donna che ritiene in pericolo, a partire da quando vede un giovane
soldato britannico che si impone a una donna francese dopo la
liberazione di Parigi. È sempre rimasta consapevole del fatto che
essere una donna in tempo di guerra era ancora più difficile,
poiché non solo doveva temere gli avversari sul campo di battaglia,
ma anche rimanere cauta con gli uomini e la società in
generale.
Cosa significa l’ultima scena del
film?
Nel finale di Lee
Miller, il film ci riporta alla scena del 1977,
dove un giovane uomo intervista Lee. Dopo aver sentito parlare
della vita incredibilmente avventurosa e della carriera
appassionata della donna, l’uomo stranamente cambia argomento di
discussione e passa alla maternità, e Lee ammette di non essere
riuscita a essere una brava madre. Viene poi rivelato che il
giovane uomo che la intervista è suo figlio, Anthony Penrose.
Alcune scene dopo, viene persino chiarito che la sessione di
interviste non era reale, ma solo qualcosa inventato
dall’immaginazione di Anthony, che aveva trovato foto e scritti di
sua madre e aveva creato un dialogo immaginario con lei a
riguardo.
In realtà, sebbene Lee Miller abbia
vissuto con suo marito e suo figlio fino alla sua morte nel 1977,
non aveva mai parlato ad Anthony della sua professione di fotografa
di guerra. Anche se suo figlio sapeva cosa faceva da giovane, non
aveva sicuramente idea della vasta portata della spavalderia e
dell’esperienza lavorativa di sua madre.
Fu solo dopo la sua morte che trovò fotografie scattate da lei
e alcuni appunti che aveva scritto, dai quali ebbe modo di
apprendere un lato completamente nuovo dell’identità di sua madre.
Alla fine, Anthony Penrose non solo scrisse una biografia
dettagliata sulla vita e le opere di Lee, ma la onorò anche nel
miglior modo possibile diventando lui stesso un fotografo.
Al cinema dal 13 marzo con
Vertice360, Lee, biopic di
Lee Miller diretto da Ellen
Kuras, vede protagonista assoluta Kate Winslet. E c’è qualcosa che Winslet non è
in grado di fare? A parte un paio di passi falsi che possono
capitare in una carriera lunga e ricca, è il tipo di attrice che
rappresenta quasi una garanzia e che attira a sé immediatamente
l’attenzione del pubblico.
La sua presenza fa sempre la
differenza, e Lee, un progetto di passione in lavorazione da tempo,
non fa eccezione e offre all’attrice già premio Oscar un tipo di
ruolo audace che in passato le ha fatto vincere il plauso di
pubblico e critica.
Kate Winslet
interpreta la fotografa Lee Miller, che si è
scattata una foto nella vasca da bagno di Hitler lo stesso giorno
in cui il dittatore si è sparato nel suo bunker. La storia comincia
con Lee, ex modella che vive una vita di lusso con il suo amante
artista Roland Penrose (Alexander
Skarsgård) prima di diventare corrispondente di guerra
durante la seconda guerra mondiale e una fotografa molto celebrata
per la rivista Vogue. Mentre viaggia attraverso la Germania
dilaniata dalla guerra, Miller lavora al fianco del giornalista
ebreo newyorkese David Scherman (Andy Samberg) che
la aiuta a catturare le atrocità che si verificano nella Germania
nazista. Mentre l’audace fotografa inizialmente lotta per far
conoscere le sue immagini al mondo a causa della politica ostinata
degli Stati Uniti, le immagini che cattura diventano presto alcune
delle fotografie più riconoscibili e inquietanti della seconda
guerra mondiale, mettendo in guardia il mondo sulle ingiustizie che
si stavano perpetrando nella Germania nazista. Kate
Winslet, Andy Samberg e Alexander
Skarsgård non sono le uniche star di Lee.
Kate Winslet guida il cast di
Lee
Basta dare un’occhiata al cast e si
scopre che Lee è pieno di altri talenti di alto livello, tra cui
Marion Cotillard nel ruolo di Solange d’Ayen,
amica di lunga data di Miller e direttrice della rivista Vogue
francese, Andrea Riseborough nel ruolo di Audrey
Withers, direttrice della rivista Vogue britannica, Josh O’Connor nel ruolo del fotografo
britannico Antony Penrose e Noémie Merlant nel ruolo della modella Nusch
Éluard. Un corollario di grandi artisti che mettono sempre al
centro, la protagonista. Anche quando il film la vede indossare un
trucco pesante per permetterle di interpretare una Lee più anziana,
Winslet comanda ancora lo schermo e si mimetizza completamente con
la famosa fotografa.
Sebbene questo avrebbe
potuto essere un ruolo più convenzionale per Kate Winslet, si impegna completamente nella
parte e fa il possibile affinché la sua interpretazione risulti
accurata. L’inclusione di Samberg in Lee è probabilmente
quella che coglierà di sorpresa la maggior parte delle persone,
poiché l’attore non ha mai interpretato un ruolo completamente
drammatico come questo. Incredibilmente, offre quella che potrebbe
essere una performance ancora più notevole persino di Winslet ed è
al centro di uno degli unici momenti emotivamente risonanti del
film.
Senza dubbio, Lee
Miller è una delle fotografe più affascinanti ad aver mai
scattato una foto. È una delle persone più leggendarie ad aver mai
impugnato una macchina fotografica. Anche il personaggio di
Kirsten Dunst in Civil War, ha attinto
molto da Miller tanto che nel film viene anche citata per il fatto
che portano lo stesso nome.
Quando si sceglie un’attrice
venerata come Kate Winslet per questo tipo di ruolo, sai già
che l’attrice offrirà una performance eccellente, e alla fine è lei
il vero motivo per cui vale la pena vedere il film diretto da
Ellen Kuras.
Non abbiamo dettagli su chi
potrebbe interpretare, ma è probabile che non si tratti di un eroe
o di un cattivo specifico. È risaputo che Kevin Feige si rivolge ad attori con cui
desidera lavorare senza avere in mente un personaggio in
particolare, ed è anche possibile che a Jung-jae sia stata data la
possibilità di scegliere tra diversi ruoli.
In realtà non è la prima volta che
si vocifera di un ruolo Marvel per l’attore, visto che
l’anno scorso si era parlato di lui in trattative per interpretare
Mr. Negative in SSU della Sony (ovviamente non se ne fece
nulla).
The
Acolyte si è rivelato uno degli show di Star
Wars della Lucasfilm che ha suscitato più
divisioni, ma la maggior parte dei fan è probabilmente d’accordo
sul fatto che il Maestro Jedi Sol di Jung-jae sia stato un
personaggio di spicco.
Parlando con Vanity Fair della seconda stagione di
Squid
Game – attualmente in streaming – Jung-jae ha riflettuto
sul contraccolpo che la serie ha ricevuto da alcuni fan, con alcuni
membri del cast che sono stati oggetto di abusi razzisti, omofobi e
misogini online.
“I miei sentimenti sono
stati feriti ”, ha ammesso. “Soprattutto per
Leslye Headland, che deve aver sofferto molto.Posso solo avere fede che il razzismo finirà un giorno,
anche se sarà difficile”.
Lee ha aggiunto di essere ottimista
sul fatto che gli spettatori rivedranno L’Accolito più
avanti nel tempo, e potrebbero ottenere un nuovo apprezzamento per
il racconto ambientato nell’Era dell’Alta Repubblica. “Per
alcuni lavori ci vuole tempo per ottenere una certa presa, e io
spero vivamente che alla gente piaccia con il passare del
tempo”.
Sol è stato ucciso nel finale, e
probabilmente non sarebbe tornato per una seconda stagione, ma ci
sono stati molti fili della trama e archi di personaggi lasciati in
sospeso, tra cui la tanto discussa introduzione di Darth Plagueis
nel live-action.
In The Acolyte, un’indagine su una
scioccante serie di crimini mette un rispettato Maestro Jedi (Lee
Jung-jae) contro una pericolosa guerriera del suo passato (Amandla
Stenberg). Man mano che emergono nuovi indizi, i due si inoltrano
in un sentiero oscuro dove forze sinistre rivelano che tutto non è
come sembra.
La serie è interpretata da
Amandla Stenberg, Lee Jung-jae, Manny Jacinto, Dafne Keen,
Charlie Barnett, Jodie Turner-Smith, Rebecca Henderson,
Dean-Charles Chapman, Joonas Suotamo e Carrie-Anne
Moss.
Leslye Headland ha
creato la serie, basata su Star
Wars di George Lucas, e funge da produttore esecutivo
insieme a Kathleen Kennedy, Simon Emanuel, Jeff F. King e Jason
Micallef. Charmaine DeGraté e Kor Adana sono i produttori
esecutivi. Rayne Roberts, Damian Anderson, Eileen Shim e Rob Bredow
sono i produttori.
Headland ha diretto anche gli
episodi iniziali (Eps. 101 e 102). I registi Kogonada (episodi 103
e 107), Alex Garcia Lopez (episodi 104 e 105) e Hanelle Culpepper
(episodi 106 e 108) completano la regia della serie.
FOTO DI COPERTINA: Lee Jung-jae
alla première della seconda stagione di “Squid Game” di Netflix.
Foto di imagepressagency via Depositphotos.com
Il suo The
Butler ha diviso la critica, ma non per questo
Lee Daniels si è fatto scoraggiare. Il regista di
Precious ha infatti in cantiere molti
progetti, alcuni dei quali legati ai biopic. Infatti oltre al
confermato film sulla vita di Janis Joplin, sembra
che ora Daniels possa essere interessato anche ad un film su
Richard Pryor, il famoso comico statunitense
scomparso nel 2005.
Il progetto, in cantiere da molto
tempo, sembra aver coinvolto in veste di produttore anche
Forest Whitaker, mentre il giovane Michael
B. Jordan sarebbe in trattative per il ruolo da
protagonista.
Il film, gestito dalla The Weinstein Company, si
concentrerà sulla prima parte della vita e della carriera di
Richard Pryor.
Lee Daniels si sta specializzando
in biografie: dopo Selma, dedicato alla lotta per i diritti civili
degli afroamericani e il prossimo The Butler incentrato sulla
storia di un maggiordomo che servì per decenni alla Casa Bianca, il
regista è già all’opera sul film dedicato all’uccisione di Martin
Luther King, protagonista Hugh Jackman. Evidentemente però Daniels
non sembra averne ancora abbastanza di dedicarsi a personaggi
realmente esistiti: eccolo quindi entrare in trattative per
dirigere Get it while you can, film dedicato a Janis Joplin, stella
di prima grandezza della musica degli anni ’60.
L’idea del film risale ormai a
parecchi anni fa – se ne parla infatti almeno dal 2004 – e attorno
ad esso è circolata una lunga lista di nomi per registi,
sceneggiatori e soprattutto possibili interpreti, tra le quali
Catherine Hardwicke e Renee Zellweger, ma la scelta definitiva
sembra ora essere caduta su Amy Adams. La sceneggiatura è stata
curata da Ron Terry, assieme alla moglie Theresa Kounin-Terry. Le
riprese, ammesso che Lee Daniels abbracci definitivamente il
progetto, dovrebbero cominciare a inizio 2013. C’è peraltro da
aggiungere che in cantiere vi è un altro film dedicato alla Joplin,
intepretato dalla stella di Broadway Nina Arianda per la regia di
Sean Durkin.
Nexo Digital e Warner Music
Italy hanno adattato per il grande schermo Celebration
Day, storico tributo che i Led Zeppelin dedicarono all’amico
Ahmert Ertegun.
Si chiama
Ballers il film che vedrà il ritorno di
una All-Star NBA sul grande schermo,questa volta però non sarà
Micahel Jordan o Shaquille O’Neal
ma bensì il più forte giocatore di Basket del momento:
Lebron James,stella dei Miami Heat e bi-campione
in carica della lega.
Con James ci sarà anche l’attore comico Kevin Hart
a formare una coppia che per fisicità ricorda molto quella
De Vito-Schwarzenegger in I Gemelli.
Secondo i primi dettagli,James interpreterà una sorta di se stesso
intento a giocare a basket,mentre Hart sarà il fratello minore
,costantemente invidioso del primogenito e in cerca di un riscatto
che non lo tenga nell’ombra del suo familiare.
Per la sceneggiatura si parla di Lowell Ganz e Babaloo Mandel(già
autori di alcune commedie per ragazzi),con la collaborazione dello
stesso Hart.
Si sa inoltre che il film verrà girato quasi interamente in estate
2014,causa impegni sportivi di Lebron.
Universal
Pictures sta per definire un accordo per acquistare i
diritti di un progetto cinematografico sulla carriera scolastica
dell stella NBA Lebron James, in quella che pare
essere una vera e propria guerra di offerte tra diversi
studios.
A produrre il film ci sarà acnhe Terence
Winter (fresco nominato all’Oscar per la sceneggiatura di
The Wolf of Wall
Street) che ha in cantiere questo progetto da
diverso tempo e avrebbe già avviato i contati con Lebron.
La storia sarà basata anche sul documentario del 2008
More Than a Game, che ha seguito James
nella sua carriera da giocatore ma anche la sua vita fuori dalle
arene, dove il l’ala dei Miami Heat ha vissuto momenti
difficili.
Esistono oggigiorno davvero pochi
cineasti il cui lavoro non si stato influenzato in qualche modo dal
cinema di David Lynch. Anche i fratelli
Coen non farebbero eccezione con il loro tocco
surreale e il loro humor, secondo quanto riporta IndieWire e
secondo gli user di Vimeo Jae e Gail, i quali hanno ricostruito in
un video le similarità tra il film cult sullo scambio di identità
Il Grande Lebowski e l’altrettanto famoso
capolavoro lynchano Mullholland Drive, il
quale intreccia insieme le due complicate identità delle
protagoniste femminili in un sottile gioco di specchi.
Il risultato è appunto
Lebowski Drive, un qualcosa di davvero assurdo, un
mix tra il comico e il decisamente perturbante. Qui di seguito il
video in questione:
Il genere horror ha in più occasioni
regalato al cinema personaggi entrati da subito nell’immaginario
collettivo. Tra i più noti si citano il Michael Myers della
saga di Halloween, il
Freddy Krueger protagonista dei vari Nightmare e Jason
Voorhees, appartenente alla serie di film di Venerdì
13. Oltre a loro, un altro dei più temuti e spaventosi mostri
del horror è Leatherface, apparso per la prima
volta nel film del 1974 Non aprite quella porta. Ancora
oggi a lui vengono dedicati nuovi film, come l’imminente titolo distribuito da
Netflix, o il film del 2017
Leatherface (qui la recensione), il quale si
configura come vera e propria origin story del personaggio.
Ottavo film della saga, questo è
stato diretto da Alexandre Bustillo e
Julien Maury, a partire da una sceneggiatura di
Seth M. Sherwood. Si tratta di un prequel del film
diretto da Tobe Hooper nel 1974, che va ad
indagare le origini del mostro antagonista e che si configura come
un’opera accessibile anche a quanti non avevano visto neanche un
film della serie. Allo stesso tempo, questo nuovo film reinventa il
personaggio e la sua storia aggiornandolo secondo i canoni odierni,
così da renderlo ben più spaventoso e violento rispetto ai
precedenti film della saga. Accolto da opinioni contrastanti,
Leatherface è stato in realtà molto apprezzato dai fan
della saga.
Questi lodavano in particolare di
essere tornati ad un livello di violenza particolarmente elevato,
dopo che il precedente Non aprite quella porta
3D aveva deluso sotto questo punto di vista. Per gli
amanti della saga e del cinea horror in generale, si tratta di
godibile titolo da non perdere. Prima di intraprendere una visione
del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle
principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella
lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli
relativi alla trama, al cast di
attori e alla vera storia del
personaggio. Infine, si elencheranno anche le principali
piattaforme streaming contenenti il film nel
proprio catalogo.
Leatherface: la vera
storia dietro al personaggio
Non tutti sanno che, come anche per
altri celebri serial killer del cinema horror,
il personaggio di Leatherface si rifà ad una storia vera e alla
persona di Ed Gein, un crudele assassino del
Wisconsin. Nato il 27 agosto del 1906, egli è responsabile della
morte di almeno due donne e di aver occultato (si stima) circa una
ventina di tombe, commettendo su di esse degli atti di necrofilia e
di squartamento. Il killer è noto anche per la sua usanza di
arredare la propria abitazione con pelle e ossa umane, ricavate dai
corpi profanati al cimeto. La caratteristica tale per cui Gein è
identificabile come la fonte di ispirazione per Leatherface, è però
il fatto di essersi costruito della maschere per il viso con la
pelle umana delle sue vittime.
Il personaggio di Leatherface
ricorda dunque molto Ed Gein, anche per il rapporto morboso che
entrambi avevano nei confronti della madre. Il personaggio
cinematografico ha però una propria identità, che gli permette di
discostarsi dalla vera storia e personalità dell’assassino.
Leatherface è un uomo nato con il volto sfigurato, con un ritardo
mentale e che crede di essere costantemente minacciato dal tutto il
mondo esterno alla sua famiglia. Nel corso della saga il vero nome
del personaggio cambia in più occasioni, passando ad esempio da
Thomas Hewitt a Jedidiah Sawyer.
Questi cresce all’interno di un mattatoio e, quando questo chiude,
la sua follia prende pieno possesso della persona, dando sfogo alla
terribile sequela di brutali omicidi che gli si vede compiere.
Leatherface: la trama del
film e il cast del film
Il film, dunque, racconta la storia
di un ragazzino di nome Jedidiah “Jed” Sawyer, che
abita in una fattoria insieme ai genitori Drayton
e Verna. Proprio questi due si rivelano essere
tutt’altro che amorevoli, ma vantano invece una natura omicida
particolarmente raccapricciante e pericolosa. Per spingere anche
Jed a diventare un folle assassino, i due attirano un giorno nel
loro fienile la giovane Betty Hartman, che viene
poi brutalmente uccisa. Il padre della ragazza, il Texar Ranger
Hal Hartman decide di vendicarsi prendendo
in consegna Jed per portarlo in un riformatorio minorile. Tutto
precipita quando Verna, che rivuole suo figlio, fa irruzione
nell’istituto provocando una ribellione che sfocerà
nell’orrore.
Ad interpretare Jed vi sono due
attori, Boris Kabakchiev per la versione da
bambino del personaggio e Sam Strike per quella da
adulto. Quest’ultimo, per risultare più convincente nel ruolo,
acquisì una notevole massa muscolare. Nel ruolo della madre Verna
vi è invece l’attrice Lily Taylor, vista anche in
film come Nemico pubblico e Maze Runner – La
fuga. Il padre Drayton, invece, è interpretato da Dimo
Alexiev, mentre Dejean Angelov è Nubbins
Sawyer, fratello maggiore di Jed. Ultimo membro della famiglia è il
nonno, interpretato da Velizar Peev. Dei
protagonisti fanno poi parte anche l’attrice Vanessa
Grasse, nel ruolo dell’infermiera Elizabeth e
Stephen Dorff in quelli del ranger Hal
Hartman.
Leatherface: il trailer e
dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di
Leatherface grazie alla sua presenza su
alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in
rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten
TV, Chili Cinema, Google Play, Apple iTunes e Amazon Prime Video. Per vederlo, una
volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il
singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così
modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità
video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di
venerdì 11 febbraio alle ore
21:15 sul canale Italia 2.
Guarda il trailer ufficiale di
Leatherface,
il nuovo film horror diretto da Alexandre
Bustillo e Julien Maury e con protagonisti Lili Taylor
e Stephen Dorff.
Leatherface è l’horror che racconta le
origini di una delle figure più terrificanti del cinema,
Leatherface appunto o, come meglio lo conosce il pubblico italiano,
Faccia di cuoio, protagonista sadico e crudele della saga
cinematografica cult Non aprite quella porta.
Nel 1974 l’uscita di Non aprite
quella porta, un horror autoprodotto da un allora sconosciuto
Tobe Hooper, provocò un profondo turbamento nel pubblico di tutto
il mondo. La storia prendeva spunto dalla figura del serial killer
Ed Gein che uccideva le sue vittime e poi riutilizzava la loro
pelle per creare svariati oggetti e indumenti tra cui una
maschera. Il film ha fatto epoca ridefinendo il concetto di
terrore ed è stato così significativo nel suo genere che dopo più
di quarant’anni è ancora considerato uno dei film horror più
celebri e discussi, ispirando poi un’intera generazione di
filmmaker.
Leatherface
Leatherface
non è un remake o un rehash di Non aprite quella porta ma
è una storia originale, un altro tipo di racconto horror, che
indaga sull’origine della saga e scava alle radici della nascita
del suo iconografico personaggio con una narrazione quasi
lirica.
Il film, molto crudo e violento,
vuole raccontare attraverso sfumature viscerali, una componente
emotiva appassionante, una dimensione di rapporti complessa e
forte, le implicazioni psicologiche che hanno portato un ragazzo
particolarmente fragile a compiere atti di efferata brutalità
diventando il mostro che tutti noi conosciamo.
Leatherface,
che vede il coinvolgimento diretto di Hooper in qualità di
produttore esecutivo, è diretto da un duo di registi francesi
composto da Alexandre Bustillo e Julien Maury che hanno ottenuto un
notevole successo di critica con l’horror Inside. Il cast
è formato da un gruppo di giovani talenti tra cui Finn Jones, il
Loras Tyrell de Il Trono di
Spade, e guidato da due attori di grande esperienza e notorietà
come Lili Taylor (Maze Runner: La Fuga) e Stephen Dorff
(Somewhere).
Leatherface
trama
Quattro adolescenti violenti,
scappati da un ospedale psichiatrico, rapiscono una giovane
infermiera e la portano con loro in un viaggio all’inferno
inseguiti da un poliziotto altrettanto squilibrato in cerca di
vendetta. Uno dei ragazzi è destinato a vivere eventi tragici e una
serie di orrori che distruggeranno la sua mente per sempre
trasformandolo in un mostro noto come Leatherface, o Faccia di
cuoio.
A meno di un mese dalla scomparsa
del compianto regista Tobe Hooper, creatore
dell’intero universo orrorifico di Non Aprite Quella
Porta, esce l’ultimo capitolo della saga: Leatherface.
Sebbene Hooper
abbia fatto in tempo ad esserne produttore esecutivo, il film si
distacca di molto da quello che fu il capostipite nel 1974. La
regia viene affidata ad Alexandre Bustillo e
Julien Maury, che prendono la decisione – a conti
fatti azzardata – di risalire alle origini del mito di “Faccia di
Cuoio” (in inglese Leatherface). Il film cerca di spiegare come
questo assassino così feroce sia diventato tale, partendo da
un’infanzia traumatizzata da una famiglia folle e dalla seguente
reclusione in un centro psichiatrico minorile.
Negli anni
’70, TobeHooper aveva
creato un microuniverso che funzionava perfettamente. La
storia prendeva spunto da fatti realmente accaduti, e cioè
dall’arresto di Ed Gein, maniaco omicida del Texas
che aveva fatto stragi di vittime e ne aveva utilizzato la pelle
per conciare elementi di arredo della sua casa o per farne maschere
da indossare. Quello che fu rivoluzionario all’epoca, fu l’uso del
genere mockumentary – oggi così inflazionato – che
Hooper usò per rendere tutto più credibile e che è
stato ripreso solo nel remake del 2003 (l’unico riuscito
dell’intera saga).
Leatherface dal
suo canto non brilla affatto per originalità. Sebbene cerchi di
discostarsi dai film che lo precedono, finisce invece per
amalgamarsi alla massa non tanto dell’universo-Non Aprite
Quella Porta, quanto dei più banali film horror di sempre.
In un melting pot di luoghi comuni come il manicomio,
l’elettroshock, la necrofilia, ecc ecc, la trama di
Leatherface cerca – invano – di sorprendere lo
spettatore, enucleando diligentemente tutti quei simboli che sono
diventati negli anni l’emblema della saga: la sega elettrica, la
pelle ricucita, i riti animisti. Un’opera che sa di fan-service,
dove il sangue scorre a fiumi sin dal primo frame ma che non si
preoccupa di avere un senso o di appassionare veramente lo
spettatore.
Ecco il primo inquietante poster di
Leatherface, film prequel di
Non Aprite quella Porta con protagonista,
come da titolo, colui che sarebbe diventato il temibile Faccia di
Cuoio negli anni dell’adolescenza.
La storia parte con il giovane
protagonista, interpretato da Sam Strike, rinchiuso in una
struttura psichiatrica.
Con il leggendario film di
Tobe Hooper, tre sequel, un remake, un prequel al
remake e un sequel diretto ambientato nei nostri giorni, questo
sarà l’ottavo film del fortunato franchise.
Diretto dal
francese Julian Maury,
Leatherface uscirà negli USA nel 2016 e
avrà trai protagonisti Stephen Dorff, Vanessa Grasse,
Sam Strike e Lili Taylor.
I rumors che volevamo il
giovane Sam Strike nuovo
Spider-Man sono stati zittiti sul
nascere. L’attore in effetti è alle prese con un ruolo iconico
nella storia del cinema, ma molto diverso da quello dell’Uomo
Ragno. Il protagonista della soap opera inglese Eastenders sarà un
giovane Leatherface negli anni della sua
adolescenza.
Il nuovo progetto che avrà come
protagonista il maniaco omicida di Non aprite quella
porta sarà infatti un prequel, oltre che un racconto
inedito delle sevizie che il futuro assassino seriale ha subito in
giovane età.
Sicuramente non avevamo necessità di
un tale progetto, ma tra sequel, reboot e simili, un pequel del
genere completerà la mitologia cinematografica di questo iconico
villain.
BD
Horror Trailers and Clips ha distribuito il primo trailer
di Leatherface,
il prequel di Non aprite quella porta che racconta
le origini del celebre villain Faccia di Cuoio.
Ecco il trailer vietato di
Leatherface
Leatherface
sarà distribuito in alcuni cinema americani e in Video On Demand il
20 ottobre del 2017. La
storia parte con il giovane protagonista, interpretato da Sam
Strike, rinchiuso in una struttura psichiatrica. Con il leggendario
film di Tobe Hooper, tre sequel, un remake,
un prequel al remake e un sequel diretto ambientato nei nostri
giorni, questo sarà l’ottavo film del fortunato franchise.
La M2Picture ha diffuso un nuovo
green band trailer Leatherface,
il film horror appartenente al franchise di Non aprite
quella porta, diretto da Alexandre
Bustillo e Julien Maury. Nel
cast Stephen Dorff, Lili Taylor, Sam
Strike e Finn Jones.
Leatherface
è l’horror che racconta le origini di una delle figure più
terrificanti del cinema, Leatherface appunto o, come meglio lo
conosce il pubblico italiano, Faccia di cuoio, protagonista sadico
e crudele della saga cinematografica cult Non aprite quella
porta.
Leatherface
non è un remake o un rehash di Non aprite quella porta ma
è una storia originale, un altro tipo di racconto horror, che
indaga sull’origine della saga e scava alle radici della nascita
del suo iconografico personaggio con una narrazione quasi
lirica.
Il film, molto crudo e violento,
vuole raccontare attraverso sfumature viscerali, una componente
emotiva appassionante, una dimensione di rapporti complessa e
forte, le implicazioni psicologiche che hanno portato un ragazzo
particolarmente fragile a compiere atti di efferata brutalità
diventando il mostro che tutti noi conosciamo.
Leatherface,
che vede il coinvolgimento diretto di Hooper in qualità di
produttore esecutivo, è diretto da un duo di registi francesi
composto da Alexandre Bustillo e Julien Maury che hanno ottenuto un
notevole successo di critica con l’horror Inside. Il cast
è formato da un gruppo di giovani talenti tra cui Finn Jones, il
Loras Tyrell de Il Trono di
Spade, e guidato da due attori di grande esperienza e notorietà
come Lili Taylor (Maze Runner: La Fuga) e Stephen Dorff
(Somewhere).
Leatherface
trama
Quattro adolescenti violenti,
scappati da un ospedale psichiatrico, rapiscono una giovane
infermiera e la portano con loro in un viaggio all’inferno
inseguiti da un poliziotto altrettanto squilibrato in cerca di
vendetta. Uno dei ragazzi è destinato a vivere eventi tragici e una
serie di orrori che distruggeranno la sua mente per sempre
trasformandolo in un mostro noto come Leatherface, o Faccia di
cuoio.
Ecco l’inquietante poster di
Leatherface,
il film che va a indagare le origini di uno dei più famosi mostri
del cinema horror: Faccia di Cuoio. Abbiamo
incontrato per la prima volta il villain in Non Aprite
quella Porta, e adesso scopriamo come il terribile mostro
è venuto alla luce.
Il film sarà distribuito in alcuni cinema americani e in Video
On Demand il 20
ottobre del 2017.
La storia parte con il giovane protagonista, interpretato da Sam
Strike, rinchiuso in una struttura psichiatrica.
Con il leggendario film di Tobe Hooper,
tre sequel, un remake, un prequel al remake e un sequel diretto
ambientato nei nostri giorni, questo sarà l’ottavo film del
fortunato franchise.
A mesi di distanza
dall’annuncio ufficiale
di Leatherface, prequel dell’ormai
film culto Non Aprite Quella
Porta, sono finalmente stati sciolti gli indugi
circa chi si occuperà della regia del film.
A scavare a ritroso partendo dalla
pellicola diretta da Tobe Hooper, sarà il duo
di registi composto da Julian
Maury ed Alexandre Bustillo,
oramai ufficializzati a capo del progetto.
Al loro fianco ci sarà lo
sceneggiatore Seth M. Sherwood che, ormai da
tempo, è alle prese con lo script della pellicola.
Secondo le ultime indiscrezioni, la
pellicola ci condurrà nell’adolescenza di Faccia di
Cuoio, periodo in cui il pericoloso killer sarà ospite di
un manicomio da cui, in compagnia di un gruppo di pazienti, evaderà
portando scompiglio per le strade.
Prodotto
dalla Millennium
Entertainment, Leatherface avrà
il difficile compito di riportare la serie alle origini a distanza
di oltre 40 anni dal suo debutto al cinema ed in seguito ad una
lunga serie di deludenti sequel e remake.
Oramai si sa, quando il cinema non riesce più a proiettare le
proprie storie in avanti decide di compiere un passo a ritroso e
tornare alle origini. Questo regola, spesso e volentieri, è
stata abbracciata dal genere horror che, forse più di ogni altro,
ha approfondito le origini dei mostri che ha contribuito a creare.
Ultimo film pronto ad inserirsi in questo filone
è Leatherface, prequel della
serie Non Aprite Quella Porta,
attualmente in lavorazione.
Proprio a tenere alta l’attenzione nei confronti di una serie
che ormai da tempo aveva perso il proprio appeal arriva un primo
poster ufficiale del progetto diretto da Alexandre
Bustillo e Julien Maury.
Prodotto
dalla Millennium
Entertainment, Leatherface
si baserà su di una sceneggiatura di Seth
Sherwood ed avrà il difficile compito di
riportare la serie alle origini a distanza di oltre 40 anni dal suo
debutto al cinema ed in seguito ad una lunga serie di deludenti
sequel e remake.
Ecco il trailer green band di
Leatherface il
film horror appartenente al franchise di Non aprite quella
porta, diretto da Alexandre
Bustillo e Julien Maury. Nel
cast Stephen Dorff, Lili Taylor, Sam
Strike e Finn Jones.
Guarda il trailer ufficiale di Leatherface, il
nuovo film horror diretto da Alexandre Bustillo
e Julien Maury e con protagonisti Lili Taylor e
Stephen Dorff.
Leatherface
è l’horror che racconta le origini di una delle figure più
terrificanti del cinema, Leatherface appunto o, come meglio lo
conosce il pubblico italiano, Faccia di cuoio, protagonista sadico
e crudele della saga cinematografica cult Non aprite quella
porta.
Leatherface
non è un remake o un rehash di Non aprite quella porta ma
è una storia originale, un altro tipo di racconto horror, che
indaga sull’origine della saga e scava alle radici della nascita
del suo iconografico personaggio con una narrazione quasi
lirica.
Il film, molto crudo e violento,
vuole raccontare attraverso sfumature viscerali, una componente
emotiva appassionante, una dimensione di rapporti complessa e
forte, le implicazioni psicologiche che hanno portato un ragazzo
particolarmente fragile a compiere atti di efferata brutalità
diventando il mostro che tutti noi conosciamo.
Leatherface, che vede il coinvolgimento
diretto di Hooper in qualità di produttore esecutivo, è diretto da
un duo di registi francesi composto da Alexandre Bustillo e Julien
Maury che hanno ottenuto un notevole successo di critica con
l’horror Inside. Il cast è formato da un gruppo di giovani
talenti tra cui Finn Jones, il Loras Tyrell de Il Trono di
Spade, e guidato da due attori di grande esperienza e notorietà
come Lili Taylor (Maze Runner: La Fuga) e Stephen Dorff
(Somewhere).
Leatherface
trama
Quattro adolescenti violenti,
scappati da un ospedale psichiatrico, rapiscono una giovane
infermiera e la portano con loro in un viaggio all’inferno
inseguiti da un poliziotto altrettanto squilibrato in cerca di
vendetta. Uno dei ragazzi è destinato a vivere eventi tragici e una
serie di orrori che distruggeranno la sua mente per sempre
trasformandolo in un mostro noto come Leatherface, o Faccia di
cuoio.
È ancora senza data di
uscita ma con uno sceneggiatore già a bordo il prequel di
Non Aprite Quella Porta intitolato
ufficialmente Leatherface. Seth M. Sherwood è stato ingaggiato per scrivere
il film che per ora ha una trama segreta ma sappiamo si aggirerà
nei primi anni 70 e probabilmente indagherà sulla nascita del
mostro Leatherface. Alexandra Daddario potrebbe avere una parte nel
film data il ruolo di cugina che aveva nell’altro film della serie,
uscito lo scorso anno, Non Aprite Quella Porta
3D. Christa Cammpbell e Lati Grobman saranno i
produttori esecutivi, due persone che hanno sempre lottato per
questo franchise e che per sicuramente metteranno tutto l’impegno
possibile per creare un buon film per i fan della serie.
Nel frattempo se siete dei fan nostalgici del primo capolavoro
di Tobe Hooper potete gustarvi il trailer per il
restauro del film in 4k cliccando su questo link
Leatherface
è l’horror che racconta le origini di una delle figure più
terrificanti del cinema, Leatherface appunto o, come
meglio lo conosce il pubblico italiano, Faccia di cuoio,
protagonista sadico e crudele della saga cinematografica cult
Non aprite quella porta.
Nel 1974 l’uscita di Non aprite
quella porta, un horror autoprodotto da un allora
sconosciuto Tobe Hooper, provocò un profondo turbamento nel
pubblico di tutto il mondo. La storia prendeva spunto dalla figura
del serial killer Ed Gein che uccideva le sue vittime e poi
riutilizzava la loro pelle per creare svariati oggetti e indumenti
tra cui una maschera. Il film ha fatto epoca ridefinendo il
concetto di terrore ed è stato così significativo nel suo genere
che dopo più di quarant’anni è ancora considerato uno dei film
horror più celebri e discussi, ispirando poi un’intera generazione
di filmmaker.
Leatherface non è un remake o un rehash
di Non aprite quella porta ma è una storia originale, un
altro tipo di racconto horror, che indaga sull’origine della saga e
scava alle radici della nascita del suo iconografico personaggio
con una narrazione quasi lirica.
Il film, molto crudo e violento,
vuole raccontare attraverso sfumature viscerali, una componente
emotiva appassionante, una dimensione di rapporti complessa e
forte, le implicazioni psicologiche che hanno portato un ragazzo
particolarmente fragile a compiere atti di efferata brutalità
diventando il mostro che tutti noi conosciamo.
Leatherface,
che vede il coinvolgimento diretto di Hooper in qualità di
produttore esecutivo, è diretto da un duo di registi francesi
composto da Alexandre Bustillo e Julien Maury che
hanno ottenuto un notevole successo di critica con l’horror
Inside. Il cast è formato da un gruppo di
giovani talenti tra cui Finn Jones, il Loras
Tyrell de Il Trono di
Spade, e guidato da due attori di grande esperienza e notorietà
come Lili Taylor (Maze
Runner:La Fuga) e Stephen
Dorff (Somewhere).
Leatherface trama
Quattro adolescenti violenti,
scappati da un ospedale psichiatrico, rapiscono una giovane
infermiera e la portano con loro in un viaggio all’inferno
inseguiti da un poliziotto altrettanto squilibrato in cerca di
vendetta. Uno dei ragazzi è destinato a vivere eventi tragici e una
serie di orrori che distruggeranno la sua mente per sempre
trasformandolo in un mostro noto come Leatherface, o Faccia di
cuoio.
La vicinanza della famiglia e delle
persone care è quello che ci permette di andare avanti e sopportare
tutte le ingiustizie e le difficoltà della vita. Ma poter contare
sull’appoggio degli altri è un lusso che alcuni non possono
permettersi, ragazzi come Charlie, il piccolo grande protagonista
di Lean On Pete, ultima fatica cinematografica di
Andrew
Haigh.
Tratto dal romanzo di Willy
Vlautin dal titolo La ballata di
Charley Thompson, il film racconta la storia di
Charlie, un ragazzino di appena quindici anni che, dopo essere
stato abbandonato dalla madre, ora vive con il padre, Ray, un don
giovanni e fannullone seppur molto affettuoso nei confronti del
figlio. Con entrambe le figure genitoriali quasi totalmente
assenti, Charlie impara presto a cavarsela da solo e a sopravvivere
lavorando per i poche decine di dollari. Ma tutto nella sua vita
grazie all’incontro con un allenatore di cavalli da corsa senza
scrupoli e il suo primo e unico amico, un puledro zoppo di nome
Lean On Pete.
Dopo aver stregato nel 2011 il
pubblico del Festival di Roma con il suo
delicatissimo Weekend
e più di recente quello del Sundance con 45 Years, il regista
britannico porta nuovamente sul grande schermo un dramma familiare.
Attraverso la straordinaria amicizia tra un cavallo e un ragazzino,
il film ci accompagna per mano in un viaggio di crescita e
formazione che pochi saranno in grado di dimenticare.
Lean On Pete – la recensione
Trasferitosi nei sobborghi di
Portland con il padre, Charlie (Charlie Plummer)
inizia a muovere i primi passi nella sua nuova vita. Dopo aver
lasciato i suoi vecchi amici, la sua scuola e la squadra di
football, il quindicenne è in attesa di riempire quel vuoto che
sente correndo per le strade di quella città ancora sconosciuta.
Con il padre troppo impegnato a sedurre le donne che a prendersi
cura di lui, Charlie trova rifugio in un nuovo e sconosciuto
lavoro; l’incontro casuale con Del Montgomery (Steve
Buscemi) lo trascina nel mondo sporco e corrotto delle
corse equine. E’ così che Charlie incontra il giovane e non troppo
promettente Lean On Pete, un cavallo con un
difetto ad una zampa che, in breve tempo, diventerà il suo migliore
amico.
Ancora una volta Andrew
Haigh dà sfoggio della sua incredibile sensibilità
servendoci un road trip, quasi un film di formazione, dallo stile
molto pulito ed essenziale ma che colpisce lo spettatore come un
fiume in piena. Grazie infatti all’interpretazione di
Charlie Plummer, un ragazzino dotato di un talento
quasi imbarazzante per la recitazione, e alla storia così intima e
coinvolgente, non c’è bisogno di nessun inutile abbellimento. Così
come nel romanzo anche la versione cinematografica di Charlie,
stanco di subire le angherie del destino, si rifiuta di lasciar
andare il suo prezioso amico a quattro zampe e si mette in marcia
da solo, come un moderno Huckleberry
Finn alla volta di quello che spera possa essere
un futuro migliore. Durante questo suo viaggio attraverso l’America
più selvaggia e inospitale, il dolce Pete diventa il confidente del
nostro protagonista che, pur essendo un ragazzino dall’aspetto
stoico e incapace di lasciarsi andare a inutili sentimentalismi,
riesce a liberarsi di alcuni dei suoi demoni grazie all’affetto
silenzioso del suo gigante quadrupede.
Ma se a incantare è la bravura di
Haigh nel trattare i sentimenti e le relazioni umane, il suo
Lean On Pete presenta non pochi difetti
soprattutto al livello narrativo. Dopo una lunga introduzione che
termina con la partenza di Charlie, la storia, fino a quel momento
molto scorrevole, subisce una repentina trasformazione. Il ritmo
sostenuto della prima parte del film rallenta e anche gli intrecci
narrativi sembrano gestiti dal regista in maniera assai
superficiale; il protagonista durante il suo folle viaggio si trova
a dover affrontare molte situazioni differenti e potenzialmente
problematiche che si risolvono sempre in modo fortuito e
approssimativo con Charlie che scappa e passa alla prossima
avventura. Nonostante quindi non si possa definire uno dei migliori
lavori del regista inglese, grazie alla sua incredibile
delicatezza, Lean On Pete riuscirà a conquistare
anche il più duro degli spettatori che finirà per sciogliersi in
una valle di lacrime.
Arrivano i primi due
attesi Trailer del video game multiplayer League of
Legends, annunciato come un’esperienza cinematografica, e
vedendo i video è evidente