Personal Shopper –
Nonostante l’uomo si creda l’essere più evoluto dell’universo, con
la sua tecnologia avanzata, la sua letteratura, le sue società,
esistono domande appartenenti al cosmo a cui ancora non riesce a
dar soluzione. Cos’è l’umanità, da dove viene, qual è lo scopo
dell’esistenza? Nessuno può rispondere, eppure ognuno ha qualcosa
da fare, qualcosa da compiere nel mondo lungo la sua intera vita.
Chi nasce però ha da subito, in una visione macabra dell’esistere,
la morte costantemente alle spalle; lei osserva, lei aspetta, lei
sceglie, e quando nella sua testa risuona il Rien ne va
plus è tutto finito, che il nostro compito sulla Terra sia
terminato o meno.
Lasciare conti in sospeso con il
mondo tangibile però significa il più delle volte rimanere
intrappolati sotto forma di energia, di entità che da sempre per
nostra comodità chiamiamo fantasmi, spiriti. Questi possono
prendere possesso dei luoghi che li hanno ospitati in vita, possono
diventare l’ombra di persone a loro care rimaste ad affrontare il
vuoto del lutto, possono continuare ad amare, possono inseguire,
possono ossessionare. In Personal Shopper Maureen
è una medium, una persona estremamente sensibile in grado di
percepire presenze, di vedere ombre dal passato, un dono che
dall’esterno può sembrare un vero privilegio, un sogno ad occhi
aperti, ma che dal profondo la fa soffrire, la prosciuga, la
confonde. Ancor più dopo la scomparsa improvvisa di suo fratello
Lewis, l’ossessione di ritrovarlo, di rivederlo, di ascoltare le
sue ragioni la fa sprofondare in un labirinto di azioni prive di
senso e ansie ingiustificate, e trascina in modo diretto anche lo
spettatore oltre lo schermo.
Personal Shopper, il film

Olivier Assayas dà
una sferzata violenta alla sua filmografia e scrive un thriller
d’autore con pesanti sfumature horror, che finisce per essere più
nevrotico e instabile della sua stessa protagonista. Se
Kristen Stewart ha trovato il ruolo della sua vita,
una ragazzetta solitaria, ansiosa, instabile ma incredibilmente
attraente, il regista di
Sils Maria – pur invocando
Victor Hugo e la pittrice Hilma Af
Klint – non riesce a dare una direzione alle sue idee.
Fra le righe di
Personal Shopper si trova tanta
spiritualità, tanto gusto per la scoperta come tanto fascino per
l’occulto, per l’invisibile, per la conoscenza; peccato soltanto
che fra questi temi importanti vengano incastrati anche degli
omicidi brutali, un ladro psicopatico, una ricerca dell’io condotta
a tappe casuali. Un peccato immane, poiché Assayas non è certo il
primo degli sprovveduti: molte scene e sequenze sono girate con
grande tensione e classe, persino alcune trovate di montaggio sono
di splendida fattura e gli attori sono diretti in modo impeccabile.
Ad essere più sforacchiata di una fetta di emmenthal è la
sceneggiatura, che avrà pure le sue buone ragioni, ma sono messe
sul tavolo in malo modo e neppure con una visione d’insieme se ne
riesce a cavare una storia appassionante.
Al contrario restano molti dubbi
d’intenti, primo fra tutti: che l’autore di
Aprés-Mai abbia strafatto, calcando la
mano su temi troppo lontani dal suo essere? Sarebbe bello poterlo
chiedere a uno spirito che conosce più di noi, dal fondo della
stanza potrebbe sempre risuonare un tonfo sinistro, spettrale, a
indicare un Si o un No. È che non tutti hanno voglia di conoscere
le risposte, quando le domande hanno poco interesse.