C’è uno spazio, nella mente di
ognuno di noi, dove il giudizio è sospeso. È lì che riescono a
farsi impunemente strada persone che fanno della loro vita uno
spettacolo, piegando il reale a pura e avvincente narrazione che,
scevri da morale, non possiamo fare a meno di amare.
Non accade di rado di affezionarsi
all’antagonista della storia o di trasformare il protagonista
delinquente nell’eroe della situazione. A lui doniamo
incondizionatamente venerazione senza sentirci in colpa, perché la
finzione è un’altra dimensione della libertà. Nel caso di
Renato Rinino, meglio conosciuto come l’Arsenio
Lupin di Savona, non è proprio così. La sua vita non è un prodotto
di fiction e lui, ladro gentiluomo, ne ha fatto un romanzo
rocambolesco di grande qualità, libero da tutto, se non dal suo
personale senso di giustizia.
Valerio Burli,
attraverso gli occhi di chi Renato l’ha conosciuto e vissuto, segue
le tracce di un personaggio incredibile, talmente abile nel giocare
con la vita che anche il destino si dimostra volenteroso di
tendergli una mano. Già noto a Savona per le sue marachelle,
arrivato alla fama a livello internazionale con il furto “casuale”
dei gioielli di Carlo d’Inghilterra, Renèe Lupen (con la “e”), come
egli stesso si firmava, ha colorato e continua a colorare la vita
di chi gli è stato intorno.
Il giovane regista, allievo del
Centro Sperimentale di Cinematografia – Scuola Nazionale di Cinema,
Sede Abbruzzo, come un pittore intento a restituire la
verosimiglianza nel ritratto che si appresta a dipingere, esplora
il ricordo che Renato ha lasciato di sé, ricostruendo non solo la
sua vita, ma l’essenza della sua persona. Con delicatezza, piega la
tecnica alle esigenze della personalità del suo protagonista,
fisicamente assente dal film, eppure così vivo. La sua mano diventa
invisibile e il personaggio esplode con la sua natura dirompente,
come può accadere solo in un bel film.
La natura romanzesca della vita vera
di Rinino viene religiosamente rispettata dal film, che ne adotta
la struttura, dividendo la storia in capitoli che il regista
costruisce visivamente in modi diversi, servendosi con prudenza
degli strumenti che il mezzo cinematografico mette a
disposizione.
Un gioiello di cui il pubblico
romano ha potuto apprezzare le qualità, grazie al MedFilmFestival,
kermesse capitolina dedicata alla promozione e diffusione del
cinema mediterraneo giunta alla sua ventunesima edizione, nella
sezione Perle: Alla Scoperta del Nuovo Cinema
Italiano.
Una testimonianza toccante che
dimostra come sia possibile anche per il cinema documentario, che
in Italia non riesce ancora ad avere facile, avere una fruibilità
universale.