Il cast di Daddy’s
Home si arricchisce di un’altra stella dopo
Vince Vaughn e il confermatissimo Will
Ferrell infatti la produzione ha offerto un ruolo anche a
Mark Wahlberg per formare la coppia che
Adam McKay (che in questo film figura come
produttore e sceneggiatore) creò per Poliziotti
diRiserva.
Precedentemente il film doveva
essere diretto da Ethan Cohen ma ora sono in
trattative Sean Anders e John Morris (entrambi
sceneggiatori di Come ti Spaccio la
Famiglia).
La storia, scritta a otto mani da Mckay, Cohen, Brian Burns e Chris
Henchy, racconta di un dirigente radiofonico che si sforza di esser
il miglior patrigno possibile per i figli di sua moglie, ma quando
il vero padre dei bambini arriverà a fargli visita sorgeranno
inevitabili complicazioni.
Dadapolis è stato
presentato in anteprima durante la Mostra internazionale del cinema
di Venezia nella
Giornate degli Autori. Questo documentario di Carlo
Luglio e Fabio Gargano è in grado di
rappresentare quanto Napoli sia cambiata nel bene
ma anche nel male. All’interno di questo docufilm si può notare
volti noti di scrittori, cantanti, attori e registi napoletani che
sono stati chiamati per raccontare, anche in modo differente
attraverso l’arte e la musica, la loro città.
Cosa racconta Dadapolis
Questo documentario è liberamente
ispirato all’omonima antologia Dadapolis: Caleidoscopio
napoletano di Fabrizio Raimondino e Andreas Friedrich
Muller del 1989. Dadapolis è diviso in precise
parti che sono scandite da quattro macro temi fondamentali che si
racchiudono nei quattro elementi naturali:
fuoco, terra, acqua ed aria.
Napoli tra fuoco, terra, acqua ed
aria
Dadapolis – una foto dal film
Il primo è il fuoco
che viene associato alla creazione della città e le sue
trasformazioni ovviamente anche accennando il Vesuvio. Una sagoma
identificatoria di Napoli, fonte d’ispirazione come una presenza
che inquieta e rassicura come un presagio da sempre per i
napoletani. Qui però non ci sofferma tanto sul vulcano ma sulle
rive, dove un gruppo di conoscenti composto d’artisti, di tutti i
generi e provenienze culturali, si ritrova ed espone i pensieri
liberi e non scanditi da un copione. Le spiagge di Napoli sono da
sempre il confine permeabile ad ogni sorta di passaggio, dalla
Sirena Partenope disperata per non aver ammaliato Ulisse fino alle
portaerei degli alleati americani.
Il documentario nella seconda
sezione, quella della terra, affronta la
creatività e il mercato nel mondo dell’arte. Si parla di
quella contemporanea fatta d’installazione, ma anche dei giovani
street artist che stanno cercando un loro posto, con opere che
cadono subito all’occhio sui muri abbandonati della città ma anche
su vecchi pescherecci al molo. In questa parte appare anche lo
psicanalista Guelfo Margherita, che induce un
gruppo di ragazzi e ragazze a riflettere sulla riconoscibilità di
alcuni valori ad esempio come la libertà nella produzione
artistica.
La terza è quella dedicata
all’acqua che rappresenta morte e rinascita di
Napoli. L’elemento acquatico però è in qualche modo il fil rouge
del documentario stesso. Il mare è da sempre presente fin dalla
prima scena c’è per i momenti a riva, nel porto, sulle barche e
nelle sirene che vengono continuamente citate anche perché
Partenope è la dea protettrice della
città, come quella omonima del film di
Paolo Sorrentino. Dadapolis si conclude con
l’aria, con la mobilità, l’immigrazione e uno
sguardo al futuro che come dicono tutti i vari interlocutori è
molto incerto.
Dadapolis
Dadapolis un docufilm non per
tutti
Napoli in questo
documentario viene raccontata in modo schietto, tante volte i vari
artisti affrontano il problema, sottinteso, di quello che si sta
trasformando nel cosiddetto luogo di turismo che pensa, come
qualsiasi località in Italia, a guadagnare e perdendo la sua
essenza. La città partenopea in questi anni sta
vivendo una rinascita, basta solo pensare a quanti film o serie
televisive sono ambientate lì, ma diventando però tutta
stereotipata perché in qualche modo il visitatore, soprattutto
quello straniero, vuole e cerca questo.
Dadapolis si rivela
un documentario che è riuscito a metà se si vuole pensare ad un
pubblico generalista anche perché la modalità si raccontare è molto
sperimentale. Interessanti le vedute dall’alto per ammirare la
parte più costiera ma non si va mai all’interno, questa si vede che
è una scelta specifica per non togliere l’interesse a quello che
dicono i vari artisti. Per concludere, visto anche il titolo che
cita il movimento dadaista, forse i due registi avrebbero dovuto
più concentrarsi sull’aspetto dell’arte che rimane quello più
interessante nell’insieme dei vari discorsi.
Ecco il trailer di
Dad’s Army, film tratto dall’omonima
serie televisiva inglese in onda sulla BBC dal 1968 al
1977.
https://youtu.be/Ahbkq6dln58
Oliver Parker è
alla regia del remake della celebre sit-com creata da Jimmy
Perry-David Croft, che vede trai protagonisti un gruppo di
attori di prim’ordine: Toby Jones (Captain George
Mainwaring), Bill Nighy (Sergeant Arthur Wilson),
Michael Gambon (Private Godfrey), Tom
Courtenay (Corporal Jones), Bill Paterson
(Private Frazer), Daniel Mays (Private Walker) e
Blake Harrison (Private Pike). Con loro anche
Sarah Lancashire, Alison Steadman e Mark
Gatiss.
Il film racconterà l’incontro tra
la Home Guard e una giornalista, interpretata da Catherine
Zeta-Jones, che cercherà d documentare il loro lavoro.
Ecco una nuova foto di
Dad’s Army, film tratto dall’omonima
serie televisiva inglese in onda sulla BBC dal 1968 al
1977. Nell’immagine possiamo vedere tutto lo schieramento di
protagonisti:
Oliver
Parker è alla regia del remake della celebre sit-com
creata da Jimmy Perry-David Croft, che vede trai
protagonisti un gruppo di attori di prim’ordine: Toby
Jones (Captain George Mainwaring), Bill
Nighy (Sergeant Arthur Wilson), Michael
Gambon (Private Godfrey), Tom Courtenay
(Corporal Jones), Bill Paterson (Private Frazer),
Daniel Mays (Private Walker) e Blake
Harrison (Private Pike). Con loro anche Sarah
Lancashire, Alison Steadman e Mark
Gatiss.
Il film racconterà l’incontro tra la
Home Guard e una giornalista, interpretata da Catherine
Zeta-Jones, che cercherà d documentare il loro lavoro.
Dacre Montgomery fa
il suo debutto a Hollywood con il film Power Rangers. Ha ottenuto il ruolo mentre
frequentava l’ultimo mese del corso triennale alla Western
Australia Academy of Performing Arts (che ha avuto tra i
suoi alunni Hugh Jackman).
Dacre Montgomery, biografia
Montgomery viene da Perth, in
Australia, e rappresenta una seconda generazione di professionisti
poiché sua madre è aiuto regista (originaria del Canada) e suo
padre è un tecnico del suono neozelandese. Ha cominciato a pensare
di voler far l’attore a nove anni mentre frequentava la Bayswater
Primary School.
Dopo essersi diplomato al corso
specialistico d’arte alla Mt. Lawley Senior High School, Montgomery
ha trascorso l’anno successivo in Canada prima di essere ammesso
alla Western Australia Academy of Performing Arts. Prima di
frequentare la prestigiosa accademia ha fatto il suo debutto
professionale recitando nel ruolo di un teenager nel corto
“Bertrand the Terrible” (2010) e nella puntata pilota di una tv
locale, “Family Tree” (2011).
Dacre Montgomery,
filmografia
Recentemente è apparso sul grande
schermo nella commedia “Tre uomini e una bara”, il
sequel del 2011 del film di Stephan Elliott
“Tre
uomini e una pecora”, seguito dal ruolo di
coprotagonista nel thriller “Safe Neighborhood”,
con Patrick Warburton, Virginia Madsen ed Ed
Oxenbould.
Promettente interprete,
Dacre Montgomery si è ad oggi distinto tanto al
cinema quanto in televisione, prendendo parte a titoli dal grande
successo di pubblico. In particolare, è noto per il suo ruolo nella
serie StrangerThings, dove si è affermato come
uno dei personaggi principali, nonché uno tra i più iconici.
Ecco 10 cose che non sai su
Dacre Montgomery.
Dacre Montgomery: i suoi film e le
serie TV
10. Ha recitato in un noto
reboot cinematografico. L’attore ha compiuto il suo
debutto cinematografico con l’horror Meglio stare attenti
(2016), per poi ottenere il ruolo del protagonista nella commedia
Tre uomini e una bara (2017). La grande notorietà arriva
poi con il film Power
Rangers (2017), reboot dei precedenti lungometraggi
dedicati ai noti personaggi. Qui ricopre il ruolo di Jason, alias
Red Ranger, recitando accanto agli attori
Bryan Cranston, Becky G, Naomi Scott
ed Elizabeth
Banks.
9. Ha partecipato ad una
nota serie TV. Nel 2017 l’attore viene scelto per
interpretare il ruolo del violento e imprevedibile Billy Hargrove
nella serie NetflixStranger
Things, comparendo a partire dalla seconda stagione.
Grazie a tale ruolo, l’attore ha la possibilità di recitare accanto
agli attori Winona Ryder,David Harbour,
Finn
Wolfhard e Millie Bobby
Brown.
8. Ha scritto, diretto e
prodotto un cortometraggio. Nel 2020 Montgomery debutta
alla regia del cortometraggio In Vitro, da lui anche
scritto. Questo narra la storia di Amanda, una donna che crea una
realtà idilliaca in cui il suo bambino non è frutto di uno stupro.
A recitare nel ruolo della protagonista è l’attrice Naomi
Scott, con cui Montgomery aveva collaborato nel film
Power Rangers.
Dacre Montgomery è su
Instagram
7. Ha un account
personale. L’attore è presente sul social network
Instagram con un profilo seguito da 6,5 milioni di persone.
All’interno di questo, Montgomery è solito pubblicare fotografie di
varia natura, portando avanti alcuni suoi progetti artistici. In
particolare, è solito promuovere i titoli in cui recita, come anche
immagini dagli eventi di gala a cui prende parte.
Dacre Montgomery: chi è la sua
fidanzata
6. Ha una relazione con una
modella. L’attore è da qualche anno impegnato
sentimentalmente con la modella australiana Liv Pollock. I due sono
molto riservati circa la propria vita sentimentale, non rilasciando
nessun dettaglio a riguardo. Hanno inoltre dichiarato come la
crescente notorietà di entrambi non abbia influito sul loro
rapporto, il quale rimane lontano dagli eccessi della
mondanità.
Dacre Montgomery in Stranger
Things
5. Ha dovuto trovare il
modo di fingere tensione verso una sua collega. Nella
celebre serie Netflix, l’attore ricopre il ruolo di Bill Hargrove,
fratellastro maggiore di Max Mayfield, interpretata da
Sadie Sink. I due attori nella realtà hanno un ottimo
rapporto, e perciò gli è stato difficile dar vita alla tensione
presente tra i rispettivi due personaggi. Per ottenerla hanno
dovuto lavorare a lungo affinché risultasse credibile.
4. Il suo personaggio non
era inizialmente previsto. L’idea iniziale degli autori
della serie era che una delle nemesi umane fosse il personaggio di
Steve. Tuttavia, dato l’apprezzamento del pubblico nei suoi
confronti, questi venne fatto diventare un buono. Per sopperire a
tale mancanza, allora, fu introdotto il personaggio di Bill, per il
quale Montgomery era un perfetto candidato.
Dacre Montgomery: il suo
fisico
3. Ha dovuto perdere massa
muscolare per il ruolo in Stranger Things. Al momento di
assumere il ruolo, Montgomery aveva da poco terminato di prendere
parte al film Power Rangers, per il quale aveva costruito
un fisico particolarmente scolpito. Per assumere i panni di Bill,
invece, decise di perdere molta della massa muscolare acquisita,
poiché riteneva che non sarebbe stata in linea con il
personaggio.
Dacre Montgomery in Power
Rangers
2. Il suo personaggio
doveva avere risvolti più romantici. Montgomery ha
dichiarato che tra il suo personaggio e quello di Kimberly,
interpretato dall’attrice Naomi Scott, doveva
inizialmente esserci una storia d’amore molto più approfondita. Si
decise però di non utilizzarla subito, lasciando aperto il futuro
sentimentale dei personaggi in vista dei sequel.
Dacre Montgomery: età e
altezza
1. Dacre Montgomery è nato
a Perth, in Australia, il 22 novembre 1994. L’attore è
alto complessivamente 178 centimetri.
Un regista che definiremmo
“surrealista” come Quentin Dupieux,
paradossalmente, firma con Daaaaaali! il suo film
più riflessivo, seppur stravagante dal punto di vista formale e
narrativo. Presentato fuori concorso alla
Mostra del Cinema di Venezia 2023,
Daaaaaali! è un “non-film” sul padre del
surrealismo Salvador Dalí, in cui l’impossibilità
di raccontare la vita dell’artista si fonde perfettamente con la
tendenza di Dupieux a sminuzzare il racconto
cinematografico, a rielaborarne le forme e sregolarlo. Nel cast,
Anaïs Demoustier, Gilles
Lellouche, Édouard Baer,
Jonathan Cohen, Pio Marmaï,
Didier Flamand, Romain Duris.
Daaaaaali!: un’intervista impossibile
Nel corso di
Daaaaaali! seguiamo una giornalista senza nome
(interpretata da Anaïs Demoustier) che vuole
intervistare quest’artista poliedrico, con l’intenzione di girare
un film sulla sua vita e le sue idee. Tuttavia, ogni incontro, ogni
tentativo di far parlare il maestro si rivela inutile: scappa
l’artista e scappa anche il film, proponendosi come un loop
infinito, una caccia al tesoro senza meta che dà le vertigini:
Dalí è ovunque e in nessun luogo. Il film di
Quentin Dupieux è un racconto che indaga la figura
di Dalì più che altro come genio della comunicazione, oltre il
Dalì artista, rifacendosi direttamente al modo in
cui egli cercava costantemente di sfuggire alla sua immagine
giocando con essa.
Ci troviamo davanti a un non-film su
Dalí per un uomo che non avrebbe mai voluto e non
è mai stato possibile incasellare: Dalí come un’utopia scomparsa,
sia come uomo che come artista, appartenente a un modo in cui
l’arte occupa una posizone centrale, gli artisti sono sulle pagine
dei giornali e in televisione. Non hanno paura di essere
provocatori, assurdi, anche imbarazzanti. Tuttavia, l’arte è
scomparsa dalla nostra vita moderna e Dalí rimane un ricordo del
subconscio potenziato. È stato uno dei primi artisti ad assumere e
promuovere la sua libertà come forma d’arte. C’è una sorta di
sincerità nella sua follia, Dalì non rispetta
nessuna regola, cerca, inventa, a volte fallisce, ma sempre in
maniera inedita: un modus operandi che rispecchia in qualche modo
anche quello di Dupieux, che cerca di avvicinarsi
a questo aspetto di laboratorio nel suo personale parco giochi
cinematografico. Evocando Dalí, Dupieux si è
concesso il diritto di lasciare che l’inconscio prendesse il
controllo della scrittura. Daaaaaali! è un film
molto scritto, molto strutturato ma libero dalla necessità di
“raccontare“: un film che si metamorfizza, in cui
l’immagine racconta la storia.
Si può ancora parlare di surrealismo?
La giornalista senza nome
(Anaïs Demoustier) si definisce normale,
abbastanza noiosa, eppure sarà l’interlocutrice di una figura
straordinaria che, vessandola e sminuendo il suo lavoro, la porrà
sul gradino dell’attenzione, qualcosa a cui non era mai stata
abituata. Dalì “muore di sete“, sete di
vita e sete egocentrica di un artista vanesio oltre ogni limite. Si
fa attendere, ci mette ore a percorre il corridoio dell’hotel in
cui verrà intervistato dal personaggio della
Demoustier, perché la sua figura non si adatta a
nessun tempo e luogo in cui siano presenti altre persone.
Quello di Quentin
Dupieux è un Salvador Dalì mutaforma, che
non sopporta che gli venga fatto perdere tempo, lo stesso concetto
su cui ha plasmato gran parte delle sue opere più conosciute. A un
certo punto farà tutto al contrario, andrà avanti e indietro nel
tempo per cercare di trattenere la sua immagine, fermarla nel
tempo, come la firma con cui si appropria di un dipinto non suo
pensando che basti a identificarla per sempre come “un
Dalì“.
Emerge l’idea che il surrealismo non
abbia più significato nel mondo attuale: all’epoca di
Dalí era una battaglia, un desiderio di cambiare
il mondo, un modo di guardarlo in modo diverso. Oggi, il termine
“surreale” si è sostituito o amalgamato a tanti altri per definire
qualcosa di fuori dagli schemi o che fatichiamo a comprendere.
Daaaaaali! è un gioco, un esperimento, un
tentativo di fare cinema in modo diverso, un modo di evocare Dalí e
rifiutarsi di prendere le cose troppo sul serio, nel tentativo di
proporre l’arte nel suo aspetto più fisico e irrazionale.
I dettagli della trama del film sono
tenuti segreti, ma secondo quanto riferito è descritto come una
commedia romantica in cui i personaggi devono decidere con chi
vogliono trascorrere l’eternità. Patrick Cunnane
ha scritto la sceneggiatura di Eternity dopo aver
precedentemente fatto il suo debutto come scrittore nella serie TV
NetflixDesignated Survivor.
Trevor e Tim White produrranno il film per Star
Thrower Entertainment, e le star Teller e Olsen fungeranno anche da
produttori esecutivi di Eternity. Il film non ha
ancora una data di uscita ufficiale, ma la produzione inizierà
quest’estate.
Sono stati anni
importanti per la Randolph, che è stata recentemente nominata e ha
vinto il suo primo Oscar per la sua interpretazione di Mary Lamb in
The Holdovers – lezioni di vita, la commedia natalizia
interpretata anche da Paul Giamatti e
Dominic Sessa. È apparsa anche con una forte
interpretazione nel docudrama Netflix Rustin al
fianco di Colman Domingo, anche lui nominato agli
Oscar l’ultimo anno (ha però perso in favore di Robert
Downey Jr.).
Ha anche interpretato un ruolo
ricorrente nel ruolo della detective Donna Williams nella serie TV
Only Murders in the Building, che tornerà con la
quarta stagione entro la fine dell’anno. I fan possono anche
sentire la sua voce nel film d’animazione del 2022 Il gatto
con gli stivali: L’ultimo desiderio, che è stato nominato
all’Oscar come miglior film d’animazione. Si conferma che
Da’Vine Joy Randolph apparirà accanto a
Mark Strong e Omar Sy in
Shadow Force, il thriller d’azione di prossima
uscita dello scrittore/regista Joe Carnahan (Smokin Aces,
Copshop, Narc).
Mentre si chiude il sipario sul
Toronto Film Festival, che ha visto trionfare la commedia
Green Book con Viggo
Mortensen e Mahershala Ali), e
resta l’eco di una meravigliosa edizione della Mostra del cinema di
Venezia (dove a regnare sono stati Roma di
Alfonso Cuaron e La Favorita di
Yorgos Lanthimos), è già tempo di bilanci per
quanto riguarda l’imminente stagione dei premi.
Quali saranno i titoli che
rivedremo sicuramente agli Oscar? Quali otterranno più nomination?
Di seguito i nostri quindici candidati:
A Star Is born
In questa nuova versione di una
tormentata storia d’amore, Bradley Cooper interpreta il musicista
di successo Jackson Maine, che scopre la squattrinata artista Ally
(Lady Gaga) e si innamora di lei. Ally ha da poco chiuso in un
cassetto il suo sogno di diventare una grande cantante, fino a
quando Jack la convince a tornare sotto i riflettori. Ma mentre la
carriera di Ally inizia a spiccare il volo, il lato privato della
loro relazione perde colpi a causa della battaglia che Jack conduce
contro i suoi demoni interiori.
Presentato in anteprima mondiale,
fuori Concorso, alla 75. Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica di Venezia, A Star Is
Born segna il debutto dietro la macchina da presa per
Bradley Cooper, protagonista sullo schermo insieme
a Lady Gaga in quello che è il terzo rifacimento
del classico hollywoodiano. Un dramma ambientato nel mondo della
musica che, per caratteristiche e sofferte prove d’attore ha già
prenotato un biglietto per la stagione dei premi.
Quasi certe le candidature per i
due interpreti (ma è probabile che si spingerà più per Cooper) e
per almeno un brano originale della colonna sonora, a cui ha
lavorato la stessa Gaga insieme ad un ricco team di musicisti. Non
è esclusa una nomination al regista.
First Man
Dopo il
successo di La La Land, vincitore di sei premi
Oscar, Damien Chazelle e Ryan
Gosling tornano a lavorare insieme
in First Man, film
che segue l’avvincente storia della prima missione della NASA sulla
luna, focalizzandosi sulla figura di Neil Armostrong e sui dieci
anni che precedono la storica missione dell’Apollo 11. Resoconto intimo e
viscerale raccontato dal punto di vista di Armstrong, basato sul
libro di James R. Hansen, la pellicola esplora i sacrifici e il
costo – per Armstrong, per la sua famiglia e per l’intera nazione
stessa – di una delle missioni più pericolose della
storia.
Titolo d’apertura
della 75a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica
di Venezia, First Man segna il ritorno
alla regia del giovane premio Oscar Damien
Chazelle sullo scivoloso terreno del biopic americano.
Prova superata, se pensiamo a come riesce a divincolarsi dai
tradizionali schemi del genere, che senza dubbio meriterà di stare
sotto i riflettori della award season. Possibili
nomination per il protagonista maschile e per la protagonista
femminile (Claire Foy), colonna sonora originale
(Justin Hurwitz, Oscar per La La Land),
regia, sceneggiatura non originale, montaggio ed effetti
speciali.
Vox Lux
Dopo il folgorante esordio con
L’infanzia di un capo (The Childhood of a Leader),
Brady Corbet torna dietro la macchina da presa
conVox
Lux, il film che segue da vicino l’ascesa della
popstar Celeste dalle ceneri di un’immensa tragedia nazionale a
superstar americana. La storia abbraccia un arco di tempo di
diciotto anni che va dal 1999 al 2017, delineando alcuni importanti
momenti culturali attraverso lo sguardo della
protagonista.
Vincitore nella sezione Orizzonti
con il suo primo lungometraggio nel 2015, Brady
Corbet è tornato a Venezia quest’anno ma in concorso
ufficiale con Vox Lux, lucida e originale analisi
politica del XI secolo scandita attraverso uno sguardo sulla
società dello spettacolo e dei suoi falsi miti. Protagonista
assoluta Natalie Portman, autrice di una
performance che frutterà almeno una nomination agli Oscar (forse
l’unica ipotizzabile), anche se meriterebbe attenzione pure la
giovanissima Raffey Cassidy (che interpreta la
versione giovane della Portman).
Beautiful Boy
Basato sui libri “Beautiful
Boy: A Father’s Journey Through His Son’s Addiction” di David
Sheff e “Tweak: Growing Up on Methamphetamine” di suo figlio
Nic Sheff,Beautiful Boyporta al cinema
la vera storia un ragazzo tossicodipendente che attraversa un
viaggio di recupero insieme alla sua famiglia, percorso non privo
di difficoltà e contraddizioni.
Presentato in anteprima mondiale al
Toronto Film Festival 2018, Beautiful
Boy segna il ritorno sul grande schermo della
rivelazione dello scorso anno, Timothée
Chalamet (protagonista di Chiamami col tuo
nome di Luca Guadagnino), in una
pellicola che ha tutte le carte in regola per la prossima stagione
dei premi.
Scritto da Luke
Davies (Lion) e diretto dal
belga Felix Van Groeningen (sua la regia
di Alabama Monroe), Beautiful
Boy vede nel cast anche Steve
Carell. Possibili nomination ai due attori, sceneggiatura
e regia.
Colette
Dopo aver sposato uno scrittore
parigino di successo noto come Willy, Sidonie-Gabrielle Colette si
trasferisce dalla provincia rurale dove è nata e cresciutoa nello
splendore intellettuale e artistico di Parigi. Presto, Willy
convince Colette a farle da ghostwriter, e la ragazza scrive un
romanzo semi autobiografico su una intelligente e sfacciata ragazza
di campagna di come Claudine, che divene vendutissimo e
chiacchieratissimo. Dopo quel successo, Colette e Willy diventano
il centro delle attenzioni parigine, e le loro avventure ispirano
numerosi altri romanzi di Claudine. La battaglia di Colette per la
proprietà intellettuale delle sue opere e contro gli stereotipi di
genere la portano a superare i legacci della società, a
rivoluzionare la letteratura, la moda e le espressioni
sessuali.
Passato a gennaio al Sundance Film
Festival e poi presentato a Toronto, Colette è il
nuovo film del regista di Still Alice, Wash
Westmoreland e vede protagonista Keira
Knightley nei panni della scrittrice
teatrale Sidonie-Gabrielle Colette vissuta a
cavallo tra 800 e 900, donna libera, anticonformista ed emancipata,
che sfidò le convenzioni e le restrizioni morali dell’epoca,
contribuendo a rompere alcuni tabù femminili.
Secondo i commenti che arrivano
dall’America, l’attrice potrebbe ottenere la sua terza nomination
agli Oscar (dopo Orgoglio e Pregiudizio e
The Imitation Game), e le tematiche del film sulla
corrente del nuovo “risveglio femminile” a Hollywood potrebbero
favorire la corsa ai premi di Colette. Vi
ricordiamo che grazie
a Westmoreland, Julianne
Moore vinse l’Oscar come miglior protagonista per
Still Alice.
If Beale Street Could Talk
If Beale Street
Could Talk, tratto dal romanzo omonimo
di James Baldwin, racconta la relazione tra una ragazza di
diciannove anni di nome Tish, il cui vero nome è Clementine, e uno
scultore di ventidue anni di nome Fonny, il cui vero nome è Alonzo.
I due si fidanzano e successivamente lei rimane incinta, ma quando
Fonny viene ingiustamente accusato di aver stuprato una donna
portoricana, verranno alla luce questioni di razzismo da parte di
un poliziotto…
C’erano molte aspettative per il
ritorno sulle scene di Barry Jenkins, regista di
Moonlight (che due anni
fa strappò l’Oscar del Miglior Film a La La Land),
e a sentire le prime recensioni che arrivano da Toronto le promesse
sono state mantenute.
Lo rivedremo alla stagione dei
premi? A questo punto sembra scontato. Più sicure le nomination a
Jenkins (regia e sceneggiatura) che quelle agli
attori Kiki Layne e Stephan
James.
Widows
Quattro donne che non hanno
nulla in comunque, tranne un debito lasciato loro dalle attività
criminali dei loro defunti mariti, si ritrovano a Chicago:
Veronica, Alice, Linda e Belle, prenderanno in mano il loro destino
per costruirsi un nuovo futuro.
Cinque anni 12
anni schiavo (con cui vinse l’Oscar per il Miglior
Film) Steve McQueen torna alla regia con Widows traducendo sul
grande schermo la sceneggiatura di Gyllian
Flinn (Gone Girl, Dark
Places), a sua volta ispirata alla serie
televisiva Le vedove.
Presentato in anteprima al Toronto
Film Festival, il nuovo lavoro del regista americano vede nel
cast Viola Davis, Michelle
Rodriguez, Elizabeth
Debicki, Colin
Farrell e Liam Neeson e si
candida ad un ruolo da protagonista per la prossima stagione dei
premi. Nomination già in tasca per le attrici (la Davis su tutte),
ma avrà le sue chance anche McQueen.
Roma
Raccontando i suoi
ricordi, Alfonso Cuaron torna
al cinema (e su Netflix) con Roma, definito dallo
stesso regista “il più autobiografico che potessi realizzare”. Il
film è infatti basato sulla ricostruzione dei suoi ricordi
d’infanzia a Città del Messico, con la famiglia, la domestica, e
sullo sfondo il Paese in tumulto. Tre storie in una che raccontano
di fratture: Cleo, la domestica, che resta incinta e abbandonata
dall’uomo al quale si è concessa; la padrona, donna dell’alta
borghesia apparentemente eccentrica che si trova a dover badare a
quattro figli dopo l’abbandono del marito; il Paese che affronta le
rivolte interne, in quegli anni ’70 che furono uno dei periodi più
bui della storia del Messico.
Vincitore del Leone d’oro come
Miglior Film alla 75a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica
di Venezia, Roma è il nuovo lavoro di
Alfonso Cuaron, girato in bianco e nero con attori
poco noti (alcuni esordienti). Volendo essere oggettivi,
meriterebbe riconoscimenti a valanga: regia, sceneggiatura,
fotografia, interpreti, ogni categoria può conquistare almeno una
nomination. E per un titolo Netflix, forse, sarebbe un record.
The Sisters Brothers
Il film racconta
di Charlie ed Eli Sisters, due fratelli che vivono in un mondo
selvaggio e ostile. Hanno le mani sporche di sangue: sangue di
criminali, ma anche di innocenti. Non hanno scrupoli a uccidere. È
il loro lavoro. Charlie, il fratello più giovane, è nato per
uccidere. Eli, invece, sogna una vita normale. Il Commodoro li
ingaggia per scovare un uomo e ucciderlo. Comincia così una
spietata caccia dall’Oregon alla California: un viaggio iniziatico
che metterà alla prova l’insano legame tra i due fratelli. Un
sentiero che condurrà alla loro umanità?
Presentato in concorso a Venezia
75, The Sisters
Brothers, è il primo lavoro in lingua inglese del
regista Jaques Audiard, strana commistione di
genere western e commedia che vede
protagonisti Joaquin Phoenix, John C. Reilly, Jake
Gyllenhaal e Riz Ahmed.
Dal Lido Audiard porta con sé il
Leone d’Oro alla regia (e chissà se non lo rivedremo agli Oscar
nella stessa categoria) e il plauso della critica; di certo uno
degli attori – più probabile Reilly o Phoenix – potrebbe essere
candidato, ma attenzione agli splendidi costumi di Milena
Canonero e alle musiche originali di Alexandre
Desplat (due personaggi che con l’Academy hanno un
felice rapporto).
Green Book
Quando Tony Lip (Viggo
Mortensen), un buttafuori di un quartiere italo-americano nel
Bronx, viene ingaggiato per guidare l’auto del Dottor Don Shirley
(Mahershala Ali), un pianista nero di fama mondiale, da Manhattan a
Deep South, deve affidarsi a “The Green Book”, una guida per
trovare le pochissime strutture all’epoca sicure per gli
afro-americani. Di fronte al razzismo e al pericolo, i due sono
costretti a mettere da parte le differenze per sopravvivere e
proseguire nel viaggio di una vita.
Fresco trionfatore al Toronto
Film Festival, dove ha conquistato il premio del pubblico,
Green
Book è il classico titolo che potrebbe – a sorpresa –
riservarsi il suo spazio sotto i riflettori durante la stagione dei
premi. D’altronde in un’edizione della rassegna canadese in
cui chiunque avrebbe scommesso sulla vittoria del
drammatico A Star Is born, il film
di Peter Farrelly rappresenta la novità
di cui preoccuparsi.Tematica sociale e attori in stato di grazia
(Viggo Mortensen e il premio
Oscar Mahershala Ali) gli assicureranno
qualche nomination.
Boy Erased
Tratto dalle memorie
di Garrard Conley, Boy
Erasedracconta la storia di
Jared, figlio di un pastore battista di una piccola città
americana, e del suo coming out con i genitori quando ha 19 anni.
Il ragazzo si troverà quindi di fronte ad un ultimatum: partecipare
ad un programma di “conversione” oppure essere permanentemente
esiliato ed evitato dalla sua famiglia, dai suoi amici e dalla sua
fede.
Insieme a Timothée
Chalamet, Lucas Hedges è l’altra
grande promessa del cinema americano, visto negli ultimi in alcune
delle pellicole più acclamate e premiate (Lady
Bird, Manchester by the sea, Tre Manifesti a Ebbing, Missouri) e adesso
protagonista del film che segna la seconda regia di Joel
Edgerton.
Le recensioni della critica
americana non sono state proprio entusiasmanti, tuttavia
un’eventuale nomination agli attori (tra cui Nicole
Kidman nel ruolo della madre del protagonista) non sarebbe
così impensabile.
Wildlife
Il
quattordicenne Joe Brinson è testimone del naufragio del matrimonio
dei suoi genitori, Jeanette e Jerry, una casalinga e un giocatore
di golf, in una cittadina del Montana degli anni ’60. Sul vicino
confine canadese infuria un incontrollato incendio boschivo e Jerry
decide di unirsi ai volontari per fronteggiare il fuoco, lasciando
da soli moglie e figlio. Joe si vede improvvisamente costretto a
diventare adulto per aiutare la madre, che nel frattempo ha trovato
l’amore tra le braccia di un altro uomo.
Questa potrebbe essere la vera sorpresa
della prossima Award Season, il puntualeunderdogdei premi americani: debutto alla regia
diPaul
Dano,Wildlifeè stato presentato con successo a Cannes
nella sezione Semaine de la Critiquee vede protagonisti due ispiratissimiCarey MulliganeJake Gyllenhaal. Nomination in arrivo per gli attori e per
la sceneggiatura, firmata dallo stesso Dano e dalla sua
compagnaZoe
Kazan? Noi ci
scommettiamo.
La Favorita
Mentre imperversa la guerra con
la Francia, la fragile e instabile Regina Anna (Olivia Colman)
siede sul trono inglese ma il regno è di fatto governato da una
persona a lei vicina, Lady Sarah (Rachel Weisz). Quando a corte
arriva Lady Abigail (Emma Stone), le due sfrutteranno la situazione
politica per diventare la favorita della Regina.
Presentato in concorso
alla 75a Mostra d’arte
cinematograficadi
Venezia, La
Favorita di Yorgos Lanthimos ha
ottenuto già due importanti riconoscimenti al Lido (Miglior Attrice
e Leone d’Argento) e si prepara a interpretare un ruolo da
protagonista nella award season in qualsiasi categoria.
Qualche previsione: la Colman e la Stone candidate come attrice
protagonista e non, Lanthimos per la regia, costumi, scenografia,
sceneggiatura e fotografia.
The Front Runner
Basato su All the Truth is
Out: The Week Politics Went Tabloid scritto da Matt Baie,
The Front
Runner racconta l’ascesa del
politico Gary Hart, dai suoi giorni da
senatore del Colorado fino alla sua candidatura con i Democratici
nel 1988 quando venne considerato un aspirante alla Casa Bianca con
lo stile di Kennedy. La sua corsa si interruppe quando arrivò alla
ribalta la notizia di una relazione di Hart con la
modella Donna Rice. Questo scandalo lasciò spazio
a Michael Dukakis che però si frantumò contro la corsa
presidenziale di George H. W. Bush. In molti si sono chiesti
in che modo sarebbe cambiata la storia americana se Hart avesse
concorso contro Bush.
Ben accolto dalla critica presente
al Toronto Film Festival, The Front Runner è il
nuovo lavoro di Jason Reitman e vede protagonista
Hugh Jackman nei panni di Hart. Otto anni fa, con
Tra le nuvole, Reitman riuscì ad ottenere ben sei
nomination agli Oscar (tra cui regia, attori, sceneggiatura) e non
è detto che non possa ripetersi anche quest’anno. Le premesse ci
sono e già si parla di un ottimo Jackman protagonista.
At Eternity’s Gate
Ispirato dai dipinti di Vincent
Van Gogh, dagli eventi della sua vita realmente accaduti, da
dicerie e scene completamente inventate,At Eternity’s
Gateporta sul grande schermo la violenza e le
tragedie sofferte dal pittore nella sua esistenza.
In concorso ufficiale a Venezia 75,
At Eternity’s
Gate segna il ritorno dietro la macchina da presa del
regista e pittore Julian Schnabel e vede
protagonista Willem Dafoe insieme
a Rupert Friend, Oscar Isaac, Mads Mikkelsen, Mathieu
Amalric, Emmanuelle Seigner e Niels
Arestrup.
Dafoe, fresco vincitore del Leone
d’Oro come miglior attore, dovrebbe ottenere una candidatura senza
problemi, mentre resta più complicato il percorso del film durante
la stagione dei premi. Qualcosa potrebbe ottenere il reparto
creativo (costumi, scenografia).
Robert Pattinson
nasce a Londra il 13 maggio del 1986. Vista la sua passione per la
recitazione decide di entrare nella Barnes Theatre
Company, una compagnia teatrale amatoriale situata nei
sobborghi londinesi. Dopo aver fatto la cosiddetta gavetta nel
backstage del teatro, finalmente gli viene affidato un ruolo
principale nella produzione di Tess of the
D’Ubervilles.
Qui viene notato da un agente che
gli propone un contratto per ruoli più
professionali. Partecipa nel 2004 come ruolo secondario nel
film tv L’anello dei Nibelunghi ed è inserito nel cast di
Vanity Fair – La fiera della vanità diretto da Mira Nair,
ma le sue scene vengono tagliate nella versione finale.
Nel 2005 il grande salto con il
film Harry Potter e il Calice di Fuoco dove interpreta
Cedric Diggory; grazie a questa interpretazione Robert viene
inserito nella lista del Times Online come una delle stelle del
futuro e viene definito addirittura il prossimo Jude Law.
Alla carriera di attore accosta
quella di modello, posando per diverse riviste in collezioni di
alta moda. Nel 2008 interpreta il ruolo del vampiro Edward Cullen
in Twilight diretto da Catherine
Hardwicke, basato sul fortunato romanzo di
Stephenie Meyer. Da questa prima collaborazione
con il franchise nato dalla penna della Meyer, arriva un periodo
fortunatissimo per il giovane Robert, che interpreterà il vampiro
Edward per tutta la saga, fino alla conclusione, prevista per il
prossimo novembre. Sul set conosce la sua co-protagonista Kristen
Stewart, e questo incontro farà gran parte del suo attuale successo
dal momento che il gossip si scatenerà continuamente sul genere di
relazione che intercorre trai due anche fuori dal set.
Tra una puntata e l’altra della
saga di Twilight, Robert
Pattinson cerca di dedicarsi ad altro, con scarso
successo di critica purtroppo: nel 2010 è in Remember Me e
nel 2011 è in Come l’acqua per gli elefanti. Entrambi i
film si considerano sconfitti da critiche negative, ma agli occhi
delle sue fan, Robert
Pattinson vince sempre. Il 2012 è l’anno di
Bel Ami, probabilmente la peggiore performance della sua
carriera, anche se realizzata accanto ad attrici di prim’ordine,
come Kristin Scott Thomas e Uma Thurman.
Ma a quanto pare la fortuna gli
arride, e ora, finalmente, Robert ha la possibilità di far vedere
quanto vale: sarà il protagonista di Cosmopolis, di David
Cronemberg, forse come successe a Di Caprio nel dopo-Titanic,
qualcosa in lui cambierà.
Occhi da adulta in un volto da
bambina Kirsten Dunst, prigioniera nel corpo
immortale in cui due vampiri, in preda ad istinti paterni non
meglio identificati, l’hanno costretta: Claudia, la piccola vampira
insinuante, bellissima e tragica, ruba la scena a Tom
Cruise e Brad Pitt nel film gotico
Intervista col vampiro, diretto da
Neil Jordan, dal romanzo omonimo di Anne Rice,
prima saga vampirica dell’era contemporanea.
L’anno era il 1993, Kirsten
Dunst, la bambina che dava volto ed anima a Claudia aveva
appena dieci anni, e poteva diventare forse una delle tante meteore
ragazzine: ma non era questo il suo destino, e del resto lo si
poteva presagire vedendo la sua Claudia, un personaggio che non si
dimentica.
Nei suoi anni da bambina Kirsten,
che ha debuttato comunque nel 1989 come figlia di Tom Hanks ne
Il falò delle vanità, è anche Amy March, la più pestifera
delle quattro sorelle, nel Piccole donne del 1994, appare
in serie televisive come Star Trek the next generation e
soprattutto Er, dove intepreta la prostituta bambina
Charlie, e in Jumaji al fianco di Robin Williams.
Nel 1999 rifiuta il ruolo
di Angela in American Beauty ritenendolo troppo scabroso,
e preferisce lavorare con l’amica Sofia Coppola ne Il giardino
delle vergini suicide, storia comunque non facile e
rassicurante di morte e amore, sogni e incubi. Negli anni
successivi, però, Kirsten sembra preferire un cinema più leggero:
oltre che la fidanzata di Spiderman Tobey Maguire nei film della
trilogia, appare in uno dei tanti sequel de Il corvo,
nelle commedie Bella da morire e Ragazze nel
pallone, ma riesce anche ad essere Betty, la conservatrice ma
pronta a ricredersi grazie ad un’insegnante illuminata e ad un paio
di batoste in Mona Lisa smile, e a doppiare la streghetta
Kiki in Kiki’s delivery service di Hayao Miyazaki.
Alcuni problemi personali di
depressione e qualche vicissitudine sentimentale le fanno allentare
il ritmo dei film, ma poi appare in un ruolo secondario in Se
mi lasci ti cancello, accanto a Jim Carrey e Kate Winslet, è
la fidanzata di Orlando Bloom in Elizabethtown e
soprattutto ritrova l’amica Sofia Coppola per Marie
Antoinette, ritratto in chiave rock dell’ultima regina di
Francia.
Da vampira a sposa: il
cinema per Kirsten Dunst
Negli ultimi anni è la timida ma
grintosa giornalista Alison in Star System, accanto a
Simon Pegg e Gillian Anderson e una giovane moglie dei primi anni
Ottanta che scompare misteriosamente in Love & Secrets,
che uscirà in Italia solo a giugno, due anni dopo l’uscita
statunitense.
Ma è
Melancholia di Lars von Trier che
permette a Kirsten di fare il salto definitivo: nel 2011, per il
ruolo di Justine, giovane donna che avrebbe tutto, si ammala di
depressione salvo poi diventare il punto ferma per la sua famiglia
mentre il mondo sta finendo per l’impatto con il pianeta
Melancholia, Kirsten Dunst vince
l’ambito premio per la migliore interpretazione femminile al
festival
di Cannes.
Prossimamente, oltre che finalmente
in Love & Secrets, la vedremo nel
fantascientifico Upside down, ma
soprattutto nell’attesissimo On the road,
dal romanzo di Jack Kerouac, accanto a Sam
Riley, Garret Hedlund e Kristen Stewart, uno dei film più
atteso del festival di Cannes, che l’anno scorso l’ha
incoronata.
Ma Kirsten Dunst
non ha intenzione di restare con le mani in mano e adagiarsi sugli
allori, e nei prossimi due anni ha in progetto ed è coinvolta in
vari film che non lasceranno a bocca asciutta i suoi fan, molti e
molte cresciuti con lei.
Sono come la Delorean per Doc e
Marty, come Sam per Frodo, come Chewbacca per Han Solo. Sono le Bond
Girl, stereotipo femminile evolutosi con il tempo che ha
contribuito al successo cinematografico dell’agente 007,
James
Bond, oltre a lanciare la carriera di tante attrici
giovani e avvenenti.
In attesa di vedere il azione in
SpectreLéa Seydoux e la
prima Bond Woman della storia del franchise, Monica
Bellucci, ecco 10 indimenticabili Bond Girl:
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E secondo voi? Qual è la migliore Bond Girl della storia?
In un mondo cinematografico di
remake, sequel, prequel e reboot, sembra strano davvero pensare a
qualche idea originale. Ma se ci guardiamo bene intorno scopriamo
che dietro alle industrie di Hollywood, dietro i grossi budget e
agli autori universalmente riconosciuti, c’è una nutritissima fauna
di personaggi che attraverso il cinema esprimono le loro più
profonde ossessioni, i propri turbamenti e le proprie paure, dando
vita a prodotto cinematografici di grandissimo valore artistico e
sperimentale. Qualche volta però, proprio gli stessi autori
realizzano dei film che lo spettatore medio non può che definire
strani. Ecco alcuni trai i film più strani e particolari mai
realizzati:
Topolino, Bugs Bunny, Picchiarello
e Spongebob hanno tutti qualcosa in comune: sono “funny
animals”. Con questo termine nel mondo dell’animazione e dei
comics si indicano gli animali antropomorfi, ovvero personaggi che,
pur mantenendo indubbiamente caratteristiche animali evidenti e
riconoscibili (la coda, le orecchie, il becco) sono allo stesso
tempo un “doppio” dell’essere umano. I funny animals camminano su
due zampe, parlano, spesso vivono in città e case in tutto e per
tutto simili alle nostre, indossano vestiti, guidano l’automobile e
utilizzano il cellulare.
Non è difficile capire come mai
questa tipologia di cartoon abbia avuto così tanta fortuna.
Innanzitutto, i funny animals sono, molto banalmente, più
semplici da disegnare e da animare rispetto a una figura umana
realistica. Non a caso, infatti, per la sua prima serie di
cortometraggi, le Alice Comedies, la
Disney si trovò costretta a utilizzare un’attrice in carne e ossa
per la parte della bambina protagonista, Alice, mentre i suoi amici
animali potevano essere tranquillamente disegnati e animati con
foglio e matita. Questo tipo di personaggi si prestava inoltre
moltissimo alla comicità fisica, basata sulle leggi della
slapstick. In un’epoca in cui non esisteva ancora il
sonoro sincronizzato era impossibile far ridere gli spettatori
attraverso le battute, e dunque era particolarmente importante
lavorare con forme semplici che potessero deformarsi, schiacciarsi
e allungarsi all’occorrenza per creare ilarità nel pubblico. E
ancora, non bisogna dimenticare che il mondo animale è protagonista
di favole e leggende fin dall’antichità. Lo spettatore tende ad
associare ogni animale ad alcune particolari caratteristiche, che
in animazione possono essere esagerate per ottenere effetti comici
oppure per evidenziare alcuni tratti della personalità.
L’animazione è spesso una questione di silhouette, ovvero di
“forma”: a colpo d’occhio lo spettatore deve essere in grado di
decifrare il ruolo del personaggio che si trova sullo schermo. È un
eroe? Un cattivo? Una spalla comica? Una principessa? È chiaro che
un rinoceronte antropomorfo grande e grosso sarà probabilmente un
personaggio tosto, forse un bullo, mentre non diremmo mai lo stesso
guardando il canarino Titti.
Ma i funny animals hanno
anche un altro grande punto di forza: la loro doppia natura che li
rende allo stesso tempo animali e umani, e tuttavia mai
completamente l’uno o l’altro. Questa loro natura di “ibridi”
permette molta libertà e li rende perfetti per la satira o,
talvolta, per trasmettere messaggi politici che sarebbero troppo
pericolosi se venissero dalla bocca di un essere umano. Negli
stessi anni in cui George Orwell pubblicava il
capolavoro La fattoria degli animali,
anche i personaggi Disney provavano a combattere le dittature con
la satira. Paperino si rivelò l’attore ideale: lo ricordiamo
specialmente nel geniale cortometraggio Premio Oscar
Der Fuehrer’s Face, in cui il povero
papero sogna di essere un operaio in una fabbrica nella Germania
nazista (chiamata Nutziland). Che effetto avrebbe fatto il corto,
se al posto di Paperino ci fosse stato un personaggio umano?
Col tempo i funny animals
si sono molto distaccati dai loro scopi primari: superati tutti i
problemi legati alla realizzazione materiale dell’animazione, la
Disney ha potuto fare della categoria una vera e propria tradizione
parallela a quella delle grandi fiabe (i cosiddetti princess
movies che sono forse il filone con cui il grande pubblico
tende a identificare maggiormente la Casa di Topolino). Ovviamente
è nei cortometraggi che si hanno i primi gioiellini con
protagonisti degli animali: il più noto è probabilmente
I Tre Porcellini, che all’epoca divenne
un vero e proprio fenomeno grazie al brano “Who’s afraid of the
big bad wolf?”. Uno dei miei preferiti in assoluto è però
Woodland Cafè, una geniale parodia
dell’America degli anni ’30 e del mondo dei cafè e dei pub, con le
loro danze sfrenate a ritmo della musica jazz.
https://www.youtube.com/watch?v=PeC6GBnFebs
Il capolavoro Disney con un cast
completamente composto da animali antropomorfi è sicuramente
Robin Hood. L’intuizione di portare sul
grande schermo la leggenda del ladro che rubava ai ricchi per
donare ai poveri utilizzando solo un cast animale fu a dir poco
brillante: oggi Robin, Little John, il Principe Giovanni e tutti
gli altri sono entrati nell’immaginario collettivo, grazie alla
loro straordinaria caratterizzazione. Anche qui, le caratteristiche
ma soprattutto gli stereotipi associati agli animali si sono
rivelati indispensabili per far breccia nei cuori degli spettatori.
E così, l’astuto Robin Hood non poteva che essere una volpe, il suo
compare Little John è un orso amichevole e bonaccione, mentre Re
Riccardo è ovviamente un maestoso leone.
Di prossima uscita, anche il nuovo
Classico Disney Zootropolis riprende questa grande
tradizione del mondo dei funny animals e si diverte a
giocare con gli stereotipi e i pregiudizi. Ormai l’abbiamo capito:
non è solo un tema sociale e culturale importante da trattare, non
è solo una morale, ma è anche in qualche modo la decostruzione di
un intero genere dell’animazione che si basa sul presupposto che lo
spettatore sappia già con sicurezza cosa aspettarsi da un
determinato tipo di personaggio. Zootropolis prende questo principio e
lo rovescia grazie al personaggio di Judy Hopps, “tenera”
coniglietta che in realtà vuole essere una poliziotta ed è convinta
che tutti possano diventare ciò che vogliono. Il film, insomma,
promette di reinventare il genere “animalesco” esattamente come ha
fatto Frozen per il princess
movie. Per scoprire se l’obiettivo è stato raggiunto o no non
ci resta che aspettare il 18 febbraio.
Esattamente 54 anni fa, il
personaggio dell’Uomo Ragno appariva per la prima volta nelle
tavole del fumetto Amazing Fantasy, battezzato dalla penna
Stan Lee e dai disegni di Steve
Ditko. Fu chiaro fin da subito che le azioni di
Peter Parker avrebbero incontrato per lo più il
favore e la curiosità di un pubblico giovane, pre-adolescente o in
piena fase di crescita, rappresentando una vera e propria
“rivoluzione” nell’universo cartaceo della Marvel. Ubriachi di super uomini
dotati di super poteri (e di una sconsiderata sicurezza di sé), i
ragazzi avevano finalmente trovato il loro punto di riferimento
fumettistico, in fuga dalle regole di infallibilità e vicino in un
modo inedito ai bisogni e ai desideri generazionali: come tutti i
teenagers, Peter interpreta la matrice di una fase particolare
della vita, ovvero l’inadeguatezza di stare al mondo e la ricerca
di un’identità, tema che nei fumetti ha subito un’evoluzione
temporale dalla classica serie di Spider-Man alla
moderna Ultimate.
Il cinema è ancora un potente mezzo
di comunicazione di massa che cambia nel tempo e insieme agli
spettatori, e a fronte di questi cambiamenti, ha saputo offrire
storie e personaggi aderenti alla società corrente. Ora, prendiamo
in esame uno dei fenomeni più significativi dell’ultimo decennio (e
oltre): l’avvento dei cinecomic nell’intrattenimento
cinematografico. La violenta irruzione di questi prodotti nel
mercato è riuscita a proporci ben tre versioni di
Spider-Man spalmate dal 2002 ad oggi, una
manovra che viene denominata “reboot”, “riavvio”; iniziata con la
trilogia di Sam Raimi, la fortuna di Peter Parker
nelle sale passa dallo sviluppo di un personaggio arrivando alla
sua completa affermazione, in un percorso dai volti diversissimi
che, in un modo o nell’altro, dicono molto della nostra storia e
del nostro gusto.
È il 1999. Intenzionata a
realizzare il primo lungometraggio dedicato all’Uomo Ragno, la Sony
assume Raimi alla regia dopo che James Cameron e
David Fincher avevano presentato alla casa di
produzione dei possibili script, giudicati poi infattibili. Nello
sguardo stralunato di Tobey Maguire c’è
l’imbarazzo dell’esordiente che debutta in un’arena rumorosa;
timido, discreto ed eccessivamente sfortunato, il Peter del film
sembra perfettamente inserito nel periodo storico in cui fa la sua
comparsa, una fase che segnerà l’anima del popolo americano. New
York, ancora traumatizzata dagli attentati dell’11 settembre, fa da
sfondo a svariate pellicole che escono in sala nel 2002
(La 25° ora, Gangs of New York), tra cui
anche Spider-Man. Potrebbe apparire un
dettaglio insignificante, eppure quell’evento risvegliò una
coscienza che chiamava a gran voce dei salvatori, supereroi dei
quali adesso abbiamo un’indigestione legata all’eccessiva quantità
ma che allora, nel pieno dello sconforto, rappresentavano l’unica
via di svago. Raimi non solo ebbe la grazie e l’intelligenza di
presentare il personaggio, addirittura lo permeò di una profonda
umanità che spesso ricerchiamo nei film più intimi e che il regista
ha distillato nel primo e nei successivi due titoli da lui
diretti.
Peter Parker cambia identità nel
2010, quando la Columbia Pictures ordina una nuova versione nel
reboot che Marc Webb avrebbe diretto in seguito;
all’epoca il regista era conosciuto dal pubblico per la commedia
romantica indipendente 500 Giorni
Insieme, un genere che difficilmente si adattava,
almeno sulla carta, agli scopi del blockbuster ma che, col senno di
poi, è diventato il tratto distintivo di The Amazing Spider-Man e
The Amazing Spider-Man 2. Ancora una
volta, il senso del realismo imprime una forza notevole sul profilo
del personaggio: appariva piuttosto verosimile che nel 2012 Peter,
a cui dava forma e cuore Andrew Garfield, fosse un
ragazzino molto più consapevole di se stesso. Nerd, non sfigato,
studioso, non secchione, tratteggia benissimo il carattere della
generazione a cui si riferisce, quella che oggi non ha timore di
mostrare al mondo le proprie stranezze ricavandone si insuccessi ma
anche piccole vittorie personali (come per Peter Parker la
conquista del suo grande amore Gwen Stacy). In un
periodo storico di stallo politico e culturale, l’idea di Webb di
trasferire l’universo Marvel sul pianeta del cinema indie
è stata quanto mai significativa, per molti vincente, per gli
incassi meno; rimane la certezza che questo Spider-Man abbia
costruito le basi per il futuro e sia servito da trampolino di
lancio per il nuovo “bimbo ragno” di Tom Holland
che conoscerete in Captain America: Civil
War.
Sono lontani i tempi della chiamata
alle armi, del senso “politico” e delle ragioni che spingono il
cinema di intrattenimento ad affidarsi agli uomini con i
superpoteri. Ormai la sequenza ininterrotta che produce cinecomics ha un po’ messo in disparte la bellezza
e la nobiltà della fonte (il fumetto) creando una serie di cloni
senz’anima indistinguibili se non grazie a dettagli che sfumano nel
marasma del botteghino. Le regole del mercato hanno stabilito
quindi che dovesse comparire sullo schermo un terzo Spider-Man nel
domani imprenditoriale dei Marvel Studios (visto che il
precedente aveva fallito le sue occasioni), invertendo quella rotta
verso nuovi lidi condivisa da Raimi e Webb. Atteso nel 2017,
Homecoming palesa fin dal titolo il
ritorno del personaggio a una dimensione infantile, ovvero il nido
che protegge i cuccioli prima del loro avvento nel mondo; per
questo la scelta di Tom Holland (classe 1996, il
più giovane dei tre attori che hanno vestito il costume) è così
appropriata e calzante da scacciare ogni dubbio circa le
possibilità di successo. In Civil War,
Peter Parker è la quintessenza del nerd contemporaneo, logorroico,
fastidiosamente comico. La funzione di “giullare” condensa i
caratteri di una generazione teen agli antipodi di quella
inquadrata dal film del 2002, marchiata da una forte
self-confidence e pronta a condividere la scena degli
adulti da protagonista, sulla pista da ballo e non incollato a una
parete. La cultura americana è cambiata, la società con essa, e di
pari passo, anche un ragazzo in calzamaglia rossa e blu.
Il genere coming-of-age è
tanto popolare nella letteratura quanto al cinema. La narrativa di
formazione (per dirla in italiano!) segue un personaggio principale
– in genere un bambino o un’adolescente – che deve scendere a patti
con l’arrivo dell’età adulta o con alcuni aspetti più specifici del
processo di crescita. Per quanto riguarda la letteratura, il
romanzo cardine del genere è indubbiamente “Il giovane Holden” di
J.D. Salinger, mentre per il cinema, non si può
non pensare ai classici degli anni ’80 The Breakfast
Clube Sixteen Candles.
Ecco di seguito 10 film appartenenti
al genere coming-of-age movie che forse non avete visto e
che dovete assolutamente recuperare:
Noi siamo infinito
Noi siamo
infinito è l’adattamento cinematografico
dell’omonimo romanzo di Stephen Chbosky, che del film è anche
regista e sceneggiatore. La storia segue il personaggio di Charlie,
una matricola che cerca di comprendere se stesso in relazione alla
vita e agli altri.
Il film, che segue Charlie durante
il suo primo anno di liceo, affronta con profonda delicatezza il
tema degli abusi e delle malattie mentali, nonostante queste non
vengano mai esplicitamente mostrate. Nel cast anche
Emma Watson
e Ezra
Miller.
Lady Bird
Lady
Bird, esordio alla regia di Greta
Gerwig, racconta la storia di una ragazza di nome
Christine McPherson, soprannominata – appunto – Lady Bird. Vive con
la sua famiglia a Sacramento, ma sta cercando di essere ammessa in
almeno una delle numerose università al di fuori della California,
dove sente possano esserci per lei maggiori opportunità.
Christine un
rapporto decisamente teso con sua madre ed il suo comportamento
mette quasi sempre a dura prova le sue relazioni con gli amici, con
le suore della scuola cattolica che frequenta e con i diversi
fidanzati che ha. Nel corso del film, vediamo Lady Bird,
interpretata da Saoirse
Ronan, imparare di più su se stessa, sulla sua
famiglia e sul concetto di gratitudine.
Le donne vere hanno le curve
Le donne vere hanno le
curve con America Ferrara (qui al
suo esordio cinematografico), racconta la storia di Ana Garcia,
un’adolescente messicana che vive nella zona ad est di Los Angeles.
Mentre la ragazza frequenta la Beverly Hills High School, dove si
distingue come un’ottima studentessa, lavora in condizioni di
degrado e sfruttamento presso la sartoria di sua sorella affiancata
da sua madre, che considera tale impiego la massima vocazione per
la sua figlia minore.
Ana deve tentare di equilibrare la
visione tradizionale femminile di sua madre con la sua e, al
contempo, accettare la propria immagine corporea e sperimentare una
nuova storia d’amore. Un film d’emancipazione che potrebbe
certamente ispirare tutti coloro che non sentono di soddisfare gli
ormai sempre più insostenibili standard di bellezza imposti dalla
società odierna.
La ragazza delle balene
La ragazza delle
balene racconta la storia di Paikea, figlia unica del
leader del suo villaggio Maori. Le tradizioni della tribù impongono
che il figlio primogenito del leader cavalchi sulla schiena di una
balena per ereditare il ruolo del padre. Paikea ebbe un fratello
gemello, che morì insieme alla madre durante il parto. La ragazza
viene lasciata crescere da suo nonno, convinta che non spetti a lei
diventare il nuovo leader della tribù.
Paikea si impegnerà con tutte le sue
forze per dimostrare di essere degna di guidare il suo villaggio e
che non dovrebbe essere trattata con condiscendenza per il semplice
fatto di essere se stessa. Diretto da Niki Caro,
regista dell’atteso live action di
Mulan.
Come l’acqua per il cioccolato
Come l’acqua per il cioccolato è un
film del messicanoAlfonso Arau,
basato sull’omonimo romanzo. Segue la storia di
Tita, il membro più giovane della sua famiglia. Dalla morte di suo
padre, Tita è stata scelta per prendersi cura di sua madre e non si
è ancora sposata, secondo quanto avrebbe invece voluto la
tradizione.
Nonostante non sia
in grado di sposarsi, si innamora di due uomini diversi e
incoraggia la nipote – che è anche la figlia di uno dei suoi amanti
– a non seguire le tradizioni familiari. Il film usa il realismo
magico e la passione per la cucina come espedienti narrativi. La
trama alza costantemente la posta in gioco, con Tita, personaggio
con il quale è impossibile non identificarsi, liberarsi dagli
elevanti e insostenibili standard della sua famiglia.
Stand by Me
Stand By
Me racconta il bellissimo viaggio di Gordie e di
tre suoi amici mentre si avventurano alla ricerca del corpo di Ray
Brower, un ragazzo del posto. Durante il viaggio, i ragazzi
dovranno fare i conti con loro stessi e con le loro vite,
rapportandosi con l’età adulta, lo spauracchio della morte e le
loro figure genitoriali, emotivamente assenti. Tutti questi eventi
vengono narrati dalla versione adulta di Gordie, che adesso è uno
scrittore affermato.
Considerato un classico da pubblico
e critica, è anche un must per i tutti i fan di Stephen King
(che ha scritto il racconto su cui si basa il film), oltre ad
essere un piccolo gioiello della cinematografica anni ’80 che
semplicemente non si può non conoscere.
La rivincita delle sfigate
La rivincita delle
sfigate, esordio alla regia di Olivia
Wilde, segue la storia di due migliori amiche, Molly e
Amy, la sera prima del giorno del diploma. Hanno trascorso gli anni
del liceo pensando solo allo studio (nella speranza di essere
ammesse al college) e senza mai divertirsi. L’ultimo giorno di
scuola decidono di andare ad una festa per cercare di non
rimpiangere troppo quegli anni che non ritorneranno più.
A metà tra commedia
e dramma, siamo di fronte ad uno dei migliori coming-of-age degli
ultimi anni, adatto tanto ad un pubblico di adolescenti che di
adulti.
Il coraggio della verità
Ne Il coraggio della
verità viene messa in luce la violenza gratuita
della polizia americana e le relazioni spesso tese che esistono tra
la comunità afroamericana e l’autorità. Inoltre, il film di
George Tillman
Jr. prova a sviscerare anche cosa vuol dire essere
adolescente di colore vittima di un’oppressione sistemica che però
sceglie di combattere.
Nel film, Starr assiste all’omicidio
di un suo caro amico per mano di un poliziotto: l’episodio la
spinge a reagire e a far sentire la sua voce all’interno della
comunità. Imparerà non solo che persona è e che tipo di persona
vuole diventare, ma inizierà anche ad accettare l’inevitabile
responsabilità che comporta il diventare adulti.
Eighth Grade
Eighth Grade segue la storia di
Kayla, uno studentessa di terza media che si prepara a frequentare
il suo primo anno di liceo. Il film si svolge durante la sua ultima
settimana alle medie e racconta dei suoi tentativi di adattarsi e
di farsi accettare dai suoi coetanei in vista del cambiamento di
scuola, dando attraverso i social un’immagine di sé che in realtà
non corrisponde alla realtà.
Durante il film,
Kayla acquista grande consapevolezza di sé, comprende che è proprio
la sua autenticità a renderla unica, migliora i rapporti con suo
padre e riesce anche a farsi degli amici che la apprezzano per
quella che realmente è.
Moonlight
Moonlight di
Barry Jenkins, premiato con l’Oscar al miglior
film, racconta la vita di Chirone attraverso tre fasi: infanzia,
adolescenza ed età adulta. Durante queste fasi, il ragazzo lotta
contro sé stesso e contro la sua sessualità, è vittima di bullismo
ed è trascurato dai non solo dai suoi amici, ma anche dalla sua
famiglia. Durante tutto il film incontrerà alcune figure chiave che
avranno un ruolo fondamentale nel suo percorso di
crescita.
Un film scritto
benissimo e girato magnificamente. Gli elementi della storia, la
fotografia e la regia di Jenkins conferiscono il giusto carico
emotivo al film, rispecchiando a pieno le malinconiche e spesso
tragiche esperienze di Chirone durante tutta la sua
vita.
Che lo si ami o lo si odi,
Rotten Tomatoes è oggi più importante che
mai quando si tratta di decidere se gli spettatori decidono di
vedere gli ultimi film in uscita sul grande schermo (almeno negli
USA), e non è raro che gli studios vantino i punteggi con lo stesso
orgoglio delle stelle.
Nel corso degli anni, il franchise
dell’Uomo Ragno è stato un vero e proprio viaggio. Il film del 2002
ha cambiato le carte in tavola per il genere, e quello che è
seguito è stato un viaggio sorprendente e a volte deludente per il
Folletto della Rete. Naturalmente, l’universo continua dei
film Marvel della Sony ad
espandersi ed è per questo che abbiamo incluso Venom, Venom: La furia di
Carnage,
Morbius e il recente Madame
Web.
Non abbiamo aggiunto le apparizioni
di Spidey in Captain
America: Civil War, Avengers:
Infinity War e Avengers:
Endgame, ma troverete gli altri film della
Sony/Marvel Studios, i loro punteggi e la nostra
opinione su di essi. Per dare un’occhiata a questa rubrica, non
dovete fare altro che cliccare sul pulsante “Avanti” qui sotto.
Madame Web
Dakota Johnson, Sydney Sweeney, Celeste O’Connor e Isabela Merced
in Madame Web.
Score: 14% Rotten or Fresh?
Rotten
Consenso della critica: TBC
Sarebbe improprio parlare di
delusione, mentre ci si accinge a scrivere la recensione di
Madame Web, dal momento che le aspettative degli
spettatori, in generale, non erano altissime. C’era però tanta
curiosità, dal momento che il film si preannunciava insolito anche
per il genere cinefumettistico che ormai vanta una grande varietà
di declinazioni. E in effetti il film prende una strada mai battuta
prima, raccontando la storia di una giovane veggente che
intraprende un viaggio personale alla scoperta di sé, mentre trova
lungo il suo cammino una serie di figure che la completeranno,
formando con lei una sorellanza di reiette che trovano il loro
senso di esistere nella comunione reciproca. La
recensione completa qui.
Morbius
Score: 15% Rotten or Fresh?
Rotten
Consenso della critica:
Maledetto per gli effetti poco ispirati, le interpretazioni
rozze e una storia al limite del nonsense, questo squallido
pasticcio è un tentativo di realizzare Morbius in vena.
La faccenda, purtroppo, è molto
semplice. Jared Leto ha un suo apporto ai personaggi che
incarna che è estremamente definito e, per così dire, accurato.
Sarebbe stato un dottor Morbius senza sbavature se fosse stato
guidato a dovere, ma così non è stato. Il flusso della personalità
del film gli viene lasciata follemente in mano, concedendo ai suoi
lunghi ciuffi corvini, e alla sua svenente asessualità, di prendere
delle vie che né si compiono – figuriamoci – né si definiscono.
Come se attirasse l’attenzione su di sé promettendo fascino a
palate, per poi girarsi sui tacchi e andarsene. Morbius non è un film fatto male, è
solo inconsistente.
La recensione completa qui.
Venom
Score: 30% Rotten or Fresh?
Rotten
Consenso della critica: Il primo
film standalone di Venom si rivela simile al personaggio dei
fumetti in tutti i modi sbagliati: caotico, rumoroso e con un
disperato bisogno di un legame più forte con Spider-Man.
“… l’ammasso informe del simbionte,
una poltiglia che fatica a prendere forma ma che riesce, in un modo
misterioso, ad attirare lo sguardo.La
recensione completa qui.
The Amazing Spider-Man 2
Score: 51% Rotten or Fresh?
Rotten
Consenso della critica: Sebbene il
cast sia eccezionale e gli effetti speciali siano di prim’ordine,
l’ultimo capitolo della saga di Spidey soffre di una narrazione
poco focalizzata e di una sovrabbondanza di personaggi.
The Amazing Spider-Man 2 è un
buon prodotto di intrattenimento che indulgendo eccessivamente, e
con toni oltremodo edulcorati, nella storia d’amore perde tutto il
potenziale disturbante della storia potente e importante che si è
deciso di raccontare. La
recensione completa qui.
Venom: La furia Carnage
Score: 57% Rotten or Fresh?
Rotten
Consenso della critica: Sequel
mirato ai fan della strana chimica di coppia dell’originale, Venom:
Let There Be Carnage abbraccia con entusiasmo il lato più sciocco
del franchise.
Distorsioni nel tono e una
sceneggiatura sciatta mettono in film in scia con quello che era
stato il primo capitolo del 2018. La
recensione completa qui.
Spider-Man 3
Score: 63% Rotten or Fresh?
Fresh
Consenso della critica: Anche se ci
sono più personaggi e trame, e le sequenze d’azione continuano a
stupire, Spider-Man 3 non è tuttavia così raffinato come i primi
due. La recensione completa qui.
The Amazing Spider-Man
Score: 71% Rotten or Fresh?
Certified Fresh
Consenso della critica: Un cast ben
scelto e una regia sicura permettono a The Amazing Spider-Man di
emozionare, nonostante la rivisitazione di molti degli stessi punti
della trama di Spider-Man del 2002.
The Amazing
Spider-Man era un film del quale non si sentiva necessità,
essendo un reboot così vicino all’originale, tuttavia può essere
una rilettura interessante che, una volta messa in carburazione,
potrà far meglio per i sequel (non ufficiali ma facilmente
intuibili) a venire. La
recensione completa qui.
Spider-Man
Score: 90% Rotten or Fresh?
Certified Fresh
Consenso della critica: Spider-Man
non solo offre una buona dose di divertimento a colpi di ragnatela,
ma ha anche un cuore, grazie al fascino combinato del regista
Sam Raimi e della star
Tobey Maguire. La recensione completa qui.
Spider-Man: Far From Home
Score: 90% Rotten or Fresh?
Certified Fresh
Consenso della critica: Una miscela
imprevedibile di romanticismo adolescenziale e azione
supereroistica,
Spider-Man: Far from Home getta con stile le basi per
la prossima era del MCU.
Tutto è orchestrato alla
perfezione, tra colonna sonora divertente e nostalgica, un’amore
adolescenziale degno delle migliori teen-comedy, effetti speciali
notevoli (c’è una sequenza in particolare che confonderà la mente e
vi farà venire un ansia pazzesca!) e nuovi scenari che non sono i
grattacieli di New York ma cattedrali e turisti. La
recensione completa qui.
Consenso della critica: Spider-Man:
Homecoming fa tutto quello che può fare un secondo
reboot, offrendo un’avventura colorata e divertente che si
inserisce perfettamente nel vasto MCU senza impantanarsi
nella costruzione di un franchise.
Spider-Man: No Way Home
rappresenta un cambiamento, è proprio vero che non c’è strada del
ritorno a casa e che ora Peter è diventato grande, che ha preso la
sua prima vera decisione da Spider-Man e ha abbracciato a pieno le
sue responsabilità. La
recensione completa qui.
Spider-Man 2
Score: 93% Rotten or Fresh?
Certified Fresh
Consenso della critica: Con un
cattivo divertente e un’attenzione emotiva più profonda, è un
sequel agile che migliora l’originale.
Spider-Man: No Way Home
Rotten or Fresh? Certified Fresh
Consenso della critica: Un sequel
di Spider-Man più grande e più audace, No Way Home espande la
portata e la posta in gioco del franchise senza perdere di vista il
suo umorismo e il suo cuore.
Consenso della critica: Un sequel
di Spider-Man più grande e più audace, No Way Home espande la
portata e la posta in gioco del franchise senza perdere di vista il
suo umorismo e il suo cuore.
Spider-Man: No Way Home rappresenta un cambiamento, è
proprio vero che non c’è strada del ritorno a casa e che ora Peter
è diventato grande, che ha preso la sua prima vera decisione da
Spider-Man e ha abbracciato a pieno le sue responsabilità. La
recensione completa qui.
Spider-Man: Across the Spider-Verse
Score: 95% Rotten or Fresh? Certified Fresh
Consenso della critica: Visivamente
abbagliante e ricco d’azione come il suo predecessore, Spider-Man:
Across the Spider-Verse emoziona dall’inizio alla fine.
Spider-Man: Across the Spider-Verse si addentra nel caos del
Multiverso, sfruttando l’occasione per dar sfogo ad una maggior
varietà nelle tecniche d’animazione, nei colori e negli scenari. Il
risultato è un film visivamente travolgente, che riempie gli occhi
senza dimenticare di fare lo stesso con il cuore. Perché la tecnica
non prende mai il sopravvento sulle emozioni, le quali vengono qui
evocate grazie ad un’attenta costruzione di ogni elemento della
storia e dei personaggi. La
recensione completa qui.
Spider-Man: un nuovo universo
Score: 97% Rotten or Fresh?
Certified Fresh
Consenso della critica: Spider-Man:
Into the Spider-Verse abbina una narrazione audace a un’animazione
sorprendente per un’avventura puramente piacevole con cuore,
umorismo e tanta azione da supereroe.
Il film comprende in sé grande
divertimento ma anche toni ben più drammatici e riflessivi, che
rendono Spider-Man: Un nuovo universo un film per tutti, in grado
di parlare a grandi e piccoli, di divertire, emozionare e stupire
costantemente. La
recensione completa qui.
Il NICE (New Italian Cinema Event)
torna negli Stati Uniti. Il festival, fondato a Firenze nel 1991,
era nato con l’idea di promuovere il nuovo cinema italiano
all’estero, obiettivo che svolge eccellentemente da 21 edizioni.
Inauguratosi all’Anthology Film Archives-Courthouse Theatre a New
York il 10 novembre, si è trasferito a San Francisco al Landmark
Embarcadero Center Cinema, il 13 novembre.
Dal punto di vista professionale,
Bertrand Cantat ha segnatola scena musicale
francese e internazionale insieme al suo gruppo Noir Désir, di cui
era frontman. Il suo nome però è rimasto legato al feroce delitto
che ha commesso nel 2003. Il documentario di Netflix è
in questi giorni in Top 10 sulla piattaforma e racconta questa
storia tragica e scioccante. Ecco la storia vera dietro
Da rockstar ad assassino – Il caso Cantat.
Bertrand Cantat e Marie
Trintignant
L’evento che ha segnato per sempre
la vita di Bertrand Cantat (e non solo la sua) si
verificò nel luglio del 2003. Durante una notte a Vilnius, in
Lituania, la sua relazione con l’attrice Marie
Trintignant – figlia del celebre attore Jean-Louis
Trintignant – culminò in una tragedia irreparabile. Nel
corso di un violento litigio all’interno di una stanza d’albergo,
Cantat aggredì la donna con estrema brutalità, provocandole lesioni
gravi, tra cui una frattura del setto nasale, gravi danni interni e
un esteso edema cerebrale. Queste ferite la portarono rapidamente a
uno stato di coma. Nonostante la gravità delle sue condizioni, il
cantante non richiese immediatamente soccorso, lasciando
trascorrere del tempo prezioso senza intervenire.
Nel cuore della notte, Cantat
contattò Vincent Trintignant, fratello di Marie,
confessandogli di averla colpita. I racconti su quanto accaduto
successivamente divergono, ma è certo che Vincent, resosi conto
della gravità della situazione solo al mattino, chiamò i soccorsi e
la sorella fu trasferita d’urgenza all’ospedale universitario di
Vilnius. Nel disperato tentativo di sottrarsi alle conseguenze,
Cantat tentò di togliersi la vita ingerendo una combinazione di
farmaci sedativi e antidepressivi. Nonostante i tentativi dei
medici, Marie Trintignant fu trasportata in Francia, dove morì a
causa delle complicazioni legate alle ferite subite.
Le indagini, condotte con la
collaborazione delle autorità francesi e lituane, portarono alla
luce prove mediche che confermarono la compatibilità tra le
dichiarazioni di Cantat e le lesioni riscontrate nell’autopsia. I
referti medici evidenziarono chiaramente la violenza
dell’aggressione subita dalla donna. Il processo, celebrato a
Vilnius nel marzo del 2004, si concluse con la condanna di Cantat a
otto anni di reclusione per “omicidio commesso con intento
indiretto e indeterminato”, un capo d’imputazione che non
riconosceva l’intenzionalità diretta di uccidere, ma sanciva la
responsabilità per condotta violenta e negligente che aveva portato
alla morte della vittima.
L’opinione pubblica rimase
profondamente scossa dalla vicenda, e il caso generò accesi
dibattiti per anni. La pena, le successive misure di controllo e il
possibile reinserimento sociale e artistico di Cantat divisero la
popolazione. Nonostante la scarcerazione anticipata nel 2007 per
buona condotta, il peso della tragedia di Vilnius continuò a
incombere su ogni apparizione pubblica e sulla carriera del
cantante. Numerosi commentatori hanno sottolineato come questo
tragico episodio abbia rappresentato uno spartiacque nella vita di
Cantat, ma anche nel dibattito sulla violenza di genere e sui
diritti umani nel panorama culturale e mediatico europeo.
Bertrand Cantat e il suicidio della
moglie
Come se la sua esistenza non fosse
già segnata da tragedie, un altro drammatico evento sconvolse la
vita di Bertrand Cantat. L’artista conobbe Krisztina Rády al Sziget
Festival di Budapest nel 1993, e insieme ebbero due figli, Milo e
Alice. Nonostante la separazione avvenuta nel 2003, la donna rimase
al fianco di Cantat durante il processo per l’omicidio di Marie
Trintignant e, dopo il suo rilascio, i due tornarono a vivere
insieme. Tuttavia, il 10 gennaio 2010, Krisztina Rády si tolse la
vita impiccandosi nella loro abitazione a Bordeaux mentre Cantat
dormiva.
L’autopsia confermò il suicidio,
senza evidenziare segni di violenza fisica da parte del cantante.
Tuttavia, negli anni successivi, emersero accuse e controversie su
presunti comportamenti violenti da parte di Cantat nei confronti
della donna. Nonostante ciò, le indagini non trovarono prove che
collegassero direttamente le sue azioni al tragico gesto di
Krisztina Rády.
Tra qualche giorno arriverà al
cinema Fast and Furious 7, film che
sappiamo aver avuto una lavorazione travagliata perchè nel mezzo
delle riprese ci ha lasciati, in un tragico incidente, Paul
Walker.
L’attore però non è stato l’unico,
nel corso degli anni, a lasciare incompiuto un film, e purtroppo si
ricordano diversi suoi colleghi che durante le riprese di un film,
una serie tv o una sit-com ci hanno tragicamente lasciati per
sempre.
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Tutte queste dipartite sono state,
a modo loro, tragiche. Ci sono stati i brutti incidenti sul set,
come nel celeberrimo e triste caso di Brandon Lee,
oppure gli incidenti nella vita reale, come per Walker. Poi ci sono
state le tragiche fatalità della vita, come per Philip
Seymour Hoffman o Heath Ledger, e alcuni
di questi casi restano ancora nell’ombra, come la morte di
Marilyn Monroe, per sempre giovane, per sempre
simbolo di bellezza in ogni tempo, per sempre tristemente trappata
alla vita.
Da oggi The Fall, l’acclamato film di
Tarsem Singh, è disponibile in dvd e Blu-Ray nel nostro Paese.
Un’attesa lunga più di tre anni, ma finalmente giunta al
termine…
Dopo una limitata release lo scorso
settembre, la Eagle Pictures distribuisce da oggi The
Fall in dvd e Blu-Ray. Di certo è un peccato che
questo piccolo cult non sia arrivato sul grande schermo in Italia
ma, considerando il suo stato di pellicola dispersa degli ultimi
tre anni, che ha gradualmente conquistato il pubblico grazie al
passaparola, è già tanto che alla fine qualcuno abbia deciso
di distribuirlo.
La versione homevideo contiene il
film in lingua originale e doppiato in italiano. Tuttavia, vi
raccomandiamo indubbiamente la versione originale, visto che è di
facile comprensione e consente di apprezzare pienamente le
interpretazioni degli attori (in particolare della dolce
protagonista, Alexandria).
Per saperne di più su The
Fall, vi ricordo la nostra analisi.
17 ottobre 2012 – Moviemax Media Group
annuncia l’inizio delle riprese del film “Third Person”, film
acquisito dal gruppo durante l’ultimo Festival di Toronto.
Celebre per film come La
rivincita delle bionde, Tutta colpa dell’amore e Se solo
fosse vero, l’attrice premio Oscar Reese
Witherspoon si è affermata come una delle regine della
commendia romantica statunitense. Certo, ha poi nel corso della sua
carriera recitato anche in film di ben altro genere, ma è al film
di stampo sentimentale che è ora tornata con Da me o da
te (qui la recensione), che segna il
suo ritorno come protagonista di un lungometraggio a qualche anno
di distanza dall’ultimo. Disponibile su Netflix dal 10 febbraio, è infatti questa
una piacevole commedia che gioca sullo scambio come elemento di
partenza per risvolti romantici.
Il film è scritto da Aline
Brosh McKenna, sceneggiatrice nota per film come
Il diavolo veste Prada, 27 volte
in bianco e La mia vita è unozoo, che debutta con Da me o da te anche alla
regia. Questa sua opera prima, per via della distanza che
intercorre tra i due protagonisti, è stata da alcuni paragonata ad
un classico della commedia romantica come L’amore non va in
vacanza, interpretata da Kate Winslet e
Cameron Diaz.
Le somiglianze si limitano però appunto allo scambio di vita tra i
protagonisti, i quali devono però confrontarsi primariamente l’uno
con la quotidianità dell’altro.
Tra rimorsi, vecchi sentimenti mai
del tutto dimenticati, desideri di successo personale e nuove
riscoperte, il film esplora dunque il tema delle relazioni da un
punto di vista diverso dal solito. Attualmente al primo
posto dei film più visti su Netflix in Italia, Da me o
da te sembra dunque aver trovato ed appassionato il proprio
pubblico di riferimento. Prima di intraprendere una visione del
film, però, sarà certamente utile approfondire alcune curiosità
relative ad esso. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti
possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla
trama e al cast di attori.
La trama di Da me o da te
Protagonisti del film sono
Debbie e Peter, conosciutisi
durante una notte passata insieme, sono due ventenni di Los
Angeles, i cui obiettivi sono rispettivamente diventare una
redattrice e un affermato scrittore. Vent’anni dopo, durante i
quali sono rimasti grandi amici, tuttavia, le cose sono molto
cambiate: Debbie è divorziata e ha un figlio di 13 anni di nome
Jack pieno di allergie e senza amici, mentre Peter
ha un ottimo lavoro ed è un incallito donnaiolo. Inoltre, lui si è
trasferito a New York, in quanto è rimasto troppo amareggiato dopo
la gravidanza di Debbie (essendone innamorato senza mai averlo
rivelato), inventandosi la scusa di essersene andato per i
terremoti.
Quando però Debbie deve recarsi a
New York per svolgere un esame in modo da ottenere una promozione,
Peter si offre di recarsi da lei a Los Angeles per fare da
babysitter al figlio. Perciò i due amici si trasferiscono ciascuno
nella casa dell’altra. Peter inizia così ad instaurare un rapporto
con Jack, il quale soffre molto l’assenza di un padre nella sua
vita. Debbie, al contrario, conosce l’affascinante scrittore
Theo, con il quale inizia a frequentarsi mentre è
a New York. La lontananza e il trovarsi a confronto l’uno con la
quotidianità dell’altro, però, farà riscoprire ad entrambi molto
del loro rapporto, riportando alla luce sentimenti e desideri.
Da me o da te: il cast del film
Ad interpretare Debbie vi è dunque
l’attrice Reese
Witherspoon, che torna con questo film a recitare in
un lungometraggio a cinque anni dal fantasy Nelle pieghe del tempo.
Negli ultimi anni l’attrice si è infatti dedicata principalmente a
serie televisive come Big Little Lies, The Morning Show e Tanti piccoli fuochi.
Affascinata dal progetto, la Whiterspoon ha deciso non solo di
recitarvi ma anche di produrlo con la sua società Hello
Sunshine. Accanto a lei, nel ruolo di Peter, si può invece
ritrovare l’attore Ashton Kutcher,
a sua volta celebre per commedie romantiche come Oggi sposi…
niente sesso, Indovina chi e Amici, amanti e….
Anche lui assente da diversi anni
dal cinema, ha affermato di aver deciso di recitare in Da me o
da te per poter lavorare con la Witherspoon, attrice verso la
quale nutre una forte ammirazione. I due hanno raccontato di aver
sviluppato un ottimo legame sul set, cosa che li ha aiutati a
rendere più vero anche il rapporto tra i loro due personaggi. Ad
interpretare Jack, il figlio di Debbie, vi è il giovane
WesleyKimmel, mentre Jesse Williams,
noto soprattutto per il ruolo del Dr. Jackson Avery nella serie
Grey’s Anatomy, interpreta l’affascinante
scrittore Theo. Sono poi presenti anche gli attori Zoe
Chao nei panni di Minka, Tig Notaro
in quelli di Alicia e Steve Zahn nel ruolo di
Zen.
Il trailer di Da me o da
te e dove vedere il film in streaming
Come anticipato, è possibile fruire
di Da me o da te grazie alla sua presenza
nel catologo di Netflix. Per vederlo, basterà
sottoscrivere un abbonamento generale alla piattaforma scegliendo
tra le opzioni possibili. Si avrà così modo di guardarlo in totale
comodità e al meglio della qualità video, avendo poi anche accesso
a tutti gli altri prodotti presenti nel catalogo.
New York e Los Angeles due mondi
opposti così come Peter e Debbie
i protagonisti di Da me o da te. In questa nuova
commedia romantica che Netflix porta sulla piattaforma giusto in
tempo per San Valentino Reese Witherspoon e Ashton Kutcher sono i protagonisti. Il film
del 2023 diretto da Aline
Brosh McKenna vede nel cast oltre a Reese Witherspoon
e Ashton Kutcher anche Jesse Williams, Steve Zahn, Tig
Notaro, Zoë Chao, Griffin Matthews, Wesley Kimmel, Rachel Bloom,
Vella Lovell e Shiri Appleby. Se volete
guardare una commedia romantica sulle note di L’amore non va in vacanza, allora dal 10
febbraio Da me o da te arriva su Netflix.
Da me o da te, la recensione
Debbie (Reese
Witherspoon) e Peter (Ashton
Kutcher) sono migliori amici e totalmente agli
antipodi. Lei adora fare la solita routine con il figlio a Los
Angeles, lui vive di cambiamenti a New York. Quando si scambiano
casa e vita per una settimana, scoprono che ciò che pensano di
volere potrebbe non corrispondere a ciò di cui hanno realmente
bisogno. Da me o da te ci porta quelle atmosfere
da commedia romantica come quelle di una volta. I sentimenti sono
messi in primo piano solo che ancora gli stessi protagonisti non lo
sanno. Viviamo di ricordi che fanno capolino dalla nostra mente
come un cimelio prezioso che pensavamo di aver perso e invece è
sempre stato davanti ai nostri occhi.
Debbie è meticolosa
ma allo stesso tempo disordinata, è una donna che ha dovuto mettere
da parte se stessa e reinventarsi per cercare stabilità. Lo spazio
di cui si circonda è colorato e variopinto così come i vestiti che
indossa e che stonano non appena mette piede a New York.
Peter, invece, rifugia da questa stabilità a causa
di un passato che lo tormenta. Chiuso in quel loft asettico di New
York – in palette con i toni del grigio e del blu – sembra che
nella sua vita sia invincibile. Da me o da te è
infatti un film di contrasti soprattutto di colori dove ci rendiamo
conto che New York è una piccola prigione, senza colori dove è
difficile trovare stabilità. Ma è anche un film di seconde
possibilità.
Cambio vita
Debbie ha sempre
sognato un futuro nel mondo dell’editoria, sognava di diventare una
ambiziosa caporedattrice ma ha smesso di credere nei suoi sogni.
Questa sua disillusione le ha fatto cambiare strada prendendo una
scelta più pratica che le permettesse di crescere suo figlio. La
sua routine da mamma single è molto rigida, dettata dalle
problematiche del figlio. Ma la sempre adorabile Reese
Witherspoon porta in scena il lato più difficile della
maternità in Da me o da te proiettando sul figlio
tutte le sue paure e insicurezze, costringendolo quasi a vivere
come in una bolla. Mentre Debbie si destreggia tra
la vita di mamma single e la sua carriera di contabile.
Peter, invece, vive nella Grande Mela e lavora
come dirigente di marketing con l’aspirazione di diventare uno
scrittore di successo. Vive in modo veloce e libero. La sua vita
quotidiana non ha una routine.
La commedia romantica prende una
piega inaspettata quando Debbie e
Peter si scambiano casa e vita per una settimana.
Scopriranno un lato diverso del proprio carattere e soprattutto si
renderanno conto di non conoscere così bene l’altra persona come
credevano. Una vita fatta di telefonate e di non detti è questo
quello che si lasciano alle spalle Dabbie e
Peter in Da me o da te. Entrambi
hanno dei motivi valiti per fuggire dalle proprie responsabilità e
crearsi, anche solo per una settimana, un piccolo posto nel mondo.
Debbie scopre una città ricca di possibilità ma
che stona con il suo modo di essere così colorato,
Peter invece riscopre la sua Los Angeles che ha
abbandonato per paura di soffrire troppo per amore. Così si
regalano questa seconda opportunità e mentre imparano cose
dell’altro che non avevano mai immaginato il loro legame si
rafforza.
E dopo che succede?
Aline Brosh McKenna
fa il debutto alla regia per Da me o da te, ma il
suo coinvolgimento nelle commedie romantiche non è nuovo. Ha
scritto classici come Il diavolo veste Prada e 27 volte in bianco.
Ha anche co-creato Crazy Ex-Girlfriend con la sua amica Rachel
Bloom, che appare nel film. Per questo film si è ispirata alla sua
vita. L’idea originale le è venuta quando si è recata a New York
per lavoro e ha alloggiato nell’appartamento di un amico scapolo.
L’esperienza le ha fatto pensare a cosa sarebbe successo se si
fossero scambiati le vite.
Da me o da te fa
pensare alle seconde possibilità, alle occasioni mancate. Quante
volte durante il film fa eco la domanda: “E dopo che
succede?” come se da un momento all’altro il sipario dovesse
chiudersi e comparire la frase “E vissero per sempre felici e
contenti”. Il film fa pensare che ci sia un’altra strada per una
vita migliore, nonostante le difficoltà anche dopo una certa età si
può raggiungere il lieto fine. Questo mix di speranza e pazzia che
accompagna la crescita di un nuovo sogno personale e intimo rende
Da me o da te il connubio perfetto di tante
commedie romantiche del passato. L’amore non va in
vacanza e Harry ti presento Sally sono sicuramente i
punti di riferimento, ma nel film Netflix viene data la spinta in più su temi e
disillusioni che accompagnano la vita della generazione Z,
descritta con il personaggio di Wesley Kimmel.
“E dopo che succede? E vissero
per sempre felici e contenti”.
Donne formose gioite! Da qualche
tempo a questa parte sembrano essere tornate di moda le curve, e
non solo quelle che si affrontano su ruote, ma anche quelle
pericolose e sensuali delle donne. Jennifer Lopez,
Beyoncé sono solo due esempi celebri di bellissime
donne con tanti argomenti che, mantenedo alto lo standard di
fascino e femminilità, hanno riportato in auge le taglie
abbondanti, così come era una volta, quando il modello di
femminilità per eccellenza era tale
Marilyn Monroe, taglia 46.
Final Girl, letteralmente “L’ultima
ragazza”. Questo termine, coniato da Carol J.
Glover nel suo libro del 1992 Men, Women, and
Chainsaws:Gender in the Modern Horror Film,
si riferisce al tropo, visto prevalentemente nei film
slasher, che vede l’eroe e colei che sconfigge il cattivo come una
ragazza timida, intelligente e buona a cui viene risparmiata la
vita perché non fa sesso e non si droga come i suoi amici. La
ragazza finale è stata vista ovunque alla fine degli anni ’70 e
per tutti gli anni ’80, prima di essere risuscitata nella
seconda metà degli anni ’90. Le tre più popolari sono
probabilmente Jamie Lee Curtis nel ruolo di Laurie
Strode in Halloween del 1978,
Heather Langenkamp nel ruolo di Nancy
Thompson in A Nightmare on Elm Street del 1984 e
Neve Campbell nel ruolo di Sidney
Prescott in Scream del 1996. Il tropo
dell’ultima ragazza ha dominato talmente tanto i film horror degli
anni ’80 che alla fine del decennio il pubblico si era stufato di
questa formula banale. Scream è riuscito a riportarlo in
auge solo grazie al suo approccio metaforico che cercava di
esaminare i tropi di questo tipo di film.
Dopo Scream c’è stata una
seconda vita per i film slasher con film come So cosa
hai fatto l’estate scorsa e Urban
Legend, ma si è rapidamente esaurita. Per un po’ di
tempo, l’horror è diventato di nuovo stantio e, quando è tornato, è
stato per film pieni di sangue come Saw o film di possessione e
case infestate come Insidious o
The Conjuring. Poi, nel 2014, è arrivata
Maika Monroe e l’attrice è diventata
una ragazza definitiva per le generazioni Millennial e Gen Z, con
una grande differenza rispetto alla maggior parte dei film
precedenti. 10 anni dopo, la Monroe è ancora una delle migliori
final girl di Hollywood. Se volete una prova di ciò, non guardate
oltre il successo horror di quest’estate, Longlegs.
The Guest ha mostrato per la
prima volta come potrebbe essere una nuova final
girl
Prima è arrivato The
Guest. Si tratta di un thriller, ma con molti
elementi horror, diretto da Adam Wingard, reduce
dal successo a sorpresa di You’re Next nel 2011. Il film,
interpretato da Dan Stevens, che stava vivendo un momento di
gloria grazie al suo ruolo da star in Downton
Abbey, racconta la storia di un veterano
dell’esercito della guerra in Afghanistan, David Collins, che si
presenta a casa della famiglia di un soldato ucciso, sostenendo di
essere suo amico. La madre e il padre del soldato caduto accolgono
David, ma quando le persone iniziano a morire, la figlia Anna
(Monroe) crede che David sia il responsabile.
Si capisce, attraverso le battute
familiari, che Anna è destinata a diventare una final girl, ma non
è una ragazza tradizionale. Ha un fidanzato che nasconde ai
genitori, va alle feste e si droga. È un personaggio basato su come
sono molti adolescenti reali, non solo attualmente, ma anche
decenni fa. L’unica differenza è che decenni fa Hollywood pensava
che i suoi eroi, soprattutto quelli femminili, dovessero essere
innocenti. Il pubblico di oggi desidera vere ragazze definitive,
con tutti i loro difetti.
Ciò che rende The Guest
particolarmente inquietante è che, mentre nel momento culminante i
genitori di Anna sono morti e lei sta lottando per la sua vita,
David è tranquillo e fa battute. Anna spara a David, ma in pura
tradizione slasher, lui scappa e lo si vede allontanarsi
nell’ultima inquadratura. Se da un lato è la comicità eccentrica
che ha aiutato The Guest a distinguersi da film simili,
dall’altro ha fatto sì che la Monroe venisse vista come una
potenziale nuova scream queen.
It Follows ha cambiato il modo
in cui guardiamo i personaggi femminili nei film horror
Più tardi, nel 2014, la Monroe è
stata la protagonista dell‘innovativo It Follows, scritto e diretto da
David Robert Mitchell. Come The Guest,
It Follows è in parte uno slasher simile a
Halloween, ma con una dose di qualcosa di più simile a
A Nightmare on Elm Street, pur
essendo completamente originale. La trama segue un gruppo di amici
adolescenti sulle tracce di una forza invisibile che si trasmette
attraverso il sesso. C’è un punto di vista intelligente sul fatto
che il sesso può uccidere. Nei film slasher tradizionali, era un
tropo che portava all’uccisione, ma qui sarà letteralmente la
ragione della vostra morte.
Monroe interpreta Jay, che non è il
tipico stereotipo di ragazza del college. Vive a Detroit, suo padre
è morto, sua madre è un’alcolizzata (questo aspetto è accennato
piuttosto che giocato in modo melodrammatico) e Jay frequenta un
community college. Anche se si può vedere che lei lotta
tranquillamente, questa lotta non rappresenta il suo personaggio. È
ancora una persona, a cui piacciono i ragazzi, si eccita agli
appuntamenti e fa persino sesso sul sedile posteriore di un’auto al
primo appuntamento. Non vedreste mai Laurie Strode fare una cosa
del genere. Questo è ciò che rende Jay così reale e relazionabile,
perché non è un personaggio stereotipato. È una giovane donna che
non rientra in nessun archetipo idealizzato di ciò che una giovane
donna dovrebbe essere.
Dopo aver fatto sesso con il suo
nuovo ragazzo, Hugh (Jake Weary), lui le rivela di
averle trasmesso un’entità sessualmente trasmissibile che la
ucciderà se non la trasmetterà a qualcun altro attraverso il sesso.
Si tratta di un caso estremamente raro di un film horror che ci
dice che il sesso può salvarci – ma si richiama comunque a vecchie
storie dell’orrore, poiché il sesso è il modo in cui Jay si mette
in pericolo in primo luogo.
It Follows ritrae la
complessità del sesso in tutte le sue forme, presentandolo come una
sorta di punizione e come una grazia salvifica. Anche Jay, o una
qualsiasi delle donne della storia, non sono soggetti
esclusivamente a questo: ogni personaggio rischia di essere preso
di mira dall’entità, basta che faccia sesso. Jay fa sesso con più
personaggi nel film (anche se alcuni sono suggeriti fuori dallo
schermo) e questo non definisce la sua persona. It
Follows, e Maika Monroe sovvertono le aspettative della brava
ragazza finale, che di solito veniva definita in base alla sua
verginità o meno.
Sono le sottigliezze che rendono
Maika Monroe la perfetta final girl Gen Z
Mentre il film è stato lodato per la
sua premessa intelligente, per l’emozionante colonna sonora di
sintetizzatori e per le domande che crea nel corso del film, la
Monroe ha ricevuto alcune critiche da parte di coloro che
ritenevano che non fosse abbastanza emotiva. Per essere una final
girl, non ha urlato abbastanza, non si è fatta prendere dal panico.
Non ha sorriso e riso costantemente nelle scene iniziali come
avrebbe fatto qualche scrittore maschio degli anni Ottanta.
Al contrario, nel primo atto c’è una
tranquillità in lei che possiamo percepire senza che ci venga
spiegata o esagerata. Borbotta. Sembra stanca. È una ragazzina che
cerca di sopravvivere alla vita. Questo non significa che quando
accadono momenti terribili, il suo personaggio non reagisca. Lo fa
di sicuro. Non avremmo paura del mostro invisibile se lei non lo
fosse. Piange, urla, si fa prendere dal panico e corre per
salvarsi, ma senza esagerare e quando lo fa, lo fa con una certa
stanchezza, come se avesse già abbastanza da fare nella sua vita, e
ora deve anche affrontare un demone sessuale che la perseguita.
La stanchezza e la sensazione di
essere sopraffatti che vivono le generazioni di oggi sono avvertite
anche da Jay e dai suoi amici. Non c’è una grande ed eroica ultima
battaglia in cui una forte Jay distrugge il cattivo. Al contrario,
non sanno cosa fare. Sono solo adolescenti. Il piano migliore che
riescono a escogitare è quello di attirare l’entità in una piscina,
farle seguire una Jay spaventata nell’acqua, poi lanciarle addosso
tostapane e asciugacapelli collegati, sperando che rimanga
fulminata. È un piano sciocco, ma realistico, perché cosa fareste
voi se foste al loro posto?
Villains ha preso il tropo della
final girl e l’ha stravolto
Cinque anni dopo, Monroe sarebbe
diventata un’altra final girl atipica in
Villains, iniziando proprio come
tale, il cattivo. Insieme a Bill Skarsgård, i due attori
interpretano una giovane coppia di nome Mickey e Jules che ha
appena rapinato una stazione di servizio. Fuggono in quella che
pensano essere una casa abbandonata, ma nel seminterrato trovano
una bambina legata. Vogliono salvarla, ma poi arrivano i
proprietari della casa (Jeffrey Donovan e
Kyra Sedgwick) e Mickey e Jules devono lottare non
solo per la vita della bambina, ma anche per la loro.
È un’impresa rara trasformare un
cattivo in un eroe nel corso dello stesso film, ma qui funziona,
grazie alla presenza e all’abilità recitativa della Monroe. C’è una
fragilità nei suoi lineamenti che ci fa fare il tifo per lei, a
prescindere dal personaggio iniziale. Se il tropo della final girl
deve essere portato avanti con successo nell’era della Gen
Z, la strada da percorrere è quella di un’eroina stratificata e
realistica, che rifiuta gli ideali della “brava ragazza”; e
Maika Monroe ha già dimostrato come farlo.
Longlegs dimostra che Maika
Monroe è qui per restare
Frame dal prologo di Longlegs – Credits: NEON
Nel 2022, Maika Monroe ha recitato
in Watcher della scrittrice e
regista Chloe Okuno. Sebbene si tratti di
un film minore che ha fatto il giro del mondo in streaming
piuttosto che al cinema, è un film che richiede di essere visto. In
Watcher la Monroe interpreta Julia, un’americana che vive
a Bucarest, dove il marito Francis (Karl Glusman)
si è trasferito per lavoro.
Julia non conosce nessuno e non
parla la stessa lingua di tutti gli altri, e non possiamo fare a
meno di provare pena per lei. Non è solo la trama a suscitare
questa emozione, ma anche lo sguardo di Julia. Maika Monroe sembra
sempre avere questa capacità naturale di trasmettere una profonda
tristezza sul suo volto. Sarà anche una giovane donna bellissima,
ma c’è anche qualcosa di imbarazzante in lei, come se non si
sentisse a proprio agio nella sua pelle.
Questo la rende un’attrice ideale
per interpretare un personaggio vulnerabile, come Julia è
sicuramente in Watcher, dove è perseguitata da un uomo
inquietante dall’altra parte della strada di nome Daniel
(Burn Gorman), che potrebbe essere un serial
killer. Watcher è volutamente frustrante, perché nessuno
crede a Julia che qualcuno le stia dando la caccia. Viene
costantemente trattata come una donna stressata e paranoica da
tutti i suoi conoscenti, compreso il suo stesso coniuge.
Questo la rende un bersaglio debole
per Daniel, che può gettare benzina sulle sue accuse e allo stesso
tempo pedinarla all’aperto. In una scena, arriva persino a portare
con sé una borsa con dentro una testa umana decapitata,
perché chi crederà a questa giovane donna americana isterica? Julia
combatte per la sua vita da sola, ma non importa se vince o
perde la battaglia contro il suo aggressore maschio, una parte
di lei è già stata sconfitta per sempre dal fatto di non essere
veramente vista. Julia è davvero la ragazza finale, tutta sola.
Watcher è un film più
tranquillo, fino al suo finale strampalato, ma non si può dire lo
stesso di Longlegs. L’incubo creato da Osgood
Perkins è diventato un fenomeno già prima della sua
uscita, grazie alla brillante campagna di marketing che ha
coinvolto Nicolas Cage nei panni del protagonista, un
serial killer selvaggio e scatenato. Queste aspettative mettono
sotto pressione la Monroe, che è la vera star di Longlegs
perché Cage è presente solo in una manciata di scene. A lei spetta
il compito di portare avanti la narrazione, che sarebbe potuta
crollare con un’attrice meno brava.
La Monroe interpreta Lee Harker,
un’agente dell’FBI a
caccia dello squilibrato serial killer “Longlegs”, ma questo non
è un clone de Il silenzio degli innocenti e la
Monroe non cerca di replicare la Clarice Starling di Jodie Foster. Entrambe possono essere donne
forti e indipendenti con un trauma passato, ma la Monroe lo
interpreta in modo diverso. In quasi tutte le scene, Harker si
mostra sicura di sé e coraggiosa, ma allo stesso tempo sembra
distrutta e spaventata.
Non parla molto, e quando lo fa la
sua voce è spenta dal dolore che porta con sé, e l’espressione del
suo viso cambia raramente. Dietro i suoi occhi si cela un mistero,
intrigante quanto chi sia Longlegs e come uccida. Questo la
rende la migliore controparte possibile: un assassino che
esteriorizza la sua follia in modo spaventoso, che si scontra con
una donna che interiorizza le sue forze e debolezze, portando a uno
scontro terrificante nella loro unica scena insieme.
Per decenni, il tropo della final
girl ha avuto le sue regole su come l’eroina avrebbe dovuto
comportarsi. Maika Monroe, con la sua giovinezza, il suo
bell’aspetto e i suoi capelli spesso biondi, potrebbe sembrare una
final girl stereotipata, ma non lo è mai stata. I suoi personaggi
hanno molto di più che essere delle semplici vergini intelligenti,
santarelline e timide che non sono capaci di nulla finché non
vengono spinte al limite. La Monroe interpreta ragazze finali che
sono state spinte al limite molto prima di conoscerle. C’è una
tristezza in loro, e un potere che aspetta di essere scatenato
sulla povera entità o sul selvaggio serial killer che commette
l’errore di inseguirla.
I villain, quelli
veramente malvagi e spietati, possono essere molto divertenti da
guardare sul grande schermo, e spesso il pubblico finisce col
preferire loro all’eroe di turno. Tuttavia, è
altrettanto interessante e soddisfacente assistere alla redenzione
del cattivo di una determinata storia. Il cinema
ci insegna che anche le menti più diaboliche possono essere
riportate sulla retta via e, in certi casi, dimostrare di possedere
un lato “eroico”.
Affinché un cattivo e, soprattutto,
un suo eventuale riscatto funzioni, la credibilità è il requisito
primario da soddisfare, soprattutto in termini di motivazioni del
personaggio. Ecco di seguito le10
migliori redenzioni dei villain nei film:
Squalo (Moonraker – Operazione spazio)
Squalo è uno dei nemici più
memorabili della saga di
James Bond: questo è sicuramente dovuto, almeno in parte, alla
sua redenzione. Il personaggio ha debuttato per la prima volta ne
La spia che mi amava in qualità di villain dai denti
d’acciaio che ha il compito di uccidere 007. In Moonraker –
Operazione spazio, Squalo cambia idea quando trova l’amore: si
rende conto, infatti, che lui e Dolly rischieranno di finire uccisi
per mano del suo capo Hugo Drax. Per questo motivo, Squalo decide
di aiutare Bond e combattere al suo fianco per sconfiggere il
principale antagonista.
Scarlet Witch (Avengers: Age Of
Ultron)
Wanda
Maximoff, meglio conosciuta come Scarlet Witch, è stata sia una
villain che un’eroina nei fumetti Marvel, e Avengers: Age of Ultron ha dato proprio vita a questa
sua doppia natura. Wanda e suo fratello Pietro incolpano Tony Stark
per essersi dedicato in passato alla produzione di armi e si
uniscono a Ultron per cercare di ucciderlo. Alla fine, però, Wanda
capisce che i veri piani di Ultron prevedono in realtà lo sterminio
di tutta l’umanità. Convince quindi suo fratello ad unirsi ai
Vendicatori e, anche dopo la sua morte, porta avanti il suo nuovo
percorso eroico, diventando infine uno dei membri dei Vendicatori
più potenti.
Nux (Mad Mad: Fury Road)
In
Mad Max: Fury Road, Nux è un fedele seguace di Immortan
Joe e uno dei suoi stimati Figli di Guerra. Il giovane non vuole
altro che compiacere il tirannico signore e guadagnarsi una morte
leggendaria. Per raggiungere tale obiettivo, tenta di impedire a
Furiosa di fuggire con le mogli dell’ex colonnello. Dopo essersi
pentito per le sue azioni, Nux cerca una nuova strada per
raggiungere la gloria. Si unisce così alla missione di Furiosa per
salvare le mogli e, alla fine, si sacrifica per abbattere il
convoglio di Immortan Joe.
Dottor Octopus (Spider-Man 2)
Otto
Octavius non è mai stato veramente un uomo cattivo, ma soltanto un
uomo corrotto. Durante un esperimento votato alla creazione di una
nuova fonte di energia, qualcosa va storto e il Dottore rimane
prigioniero dei quattro tentacoli meccanici del suo esoscheletro.
Dopo aver derubato le banche, tentato di uccidere varie persone e
aver distrutto un treno di New York City, Otto continua a portare
avanti le sue ricerche. Ma dopo che Spider-Man lo convince che i
suoi piani distruggeranno la città, alla fine di Spider-Man 2 Otto si sacrifica per eliminare una volta
per tutte il macchinario.
T-Rex (Jurassic Park)
Il T-Rex di Jurassic Park è una creatura terrificante che cerca di
divorare i nostri eroi per quasi tutta la durata del film. La scena
in cui il T-Rex invade la strada e attacca le jeep mostra quanto
sia formidabile e al tempo stesso pericolosissimo questo mostro
preistorico. Tuttavia, l’obiettivo del T-Rex è semplicemente quello
di nutrirsi; alla fine, aiuterà a salvare la situazione. Quando gli
eroi vengono messi alle strette da due restanti Velociraptor, il
T-Rex si abbatte su di loro e li uccide, permettendo agli eroi di
fuggire.
Roy Batty (Blade Runner)
Blade Runner di Ridley Scott immagina un mondo in cui
degli androidi (chiamati replicanti) dalle stesse sembianze
dell’uomo, vengono utilizzati come forza-lavoro nelle
colonie-extraterrestri. Non sorprende, dunque, che alcuni di loro
si ribellino e vengano inseguiti dalle autorità. Tuttavia, un
ribelle, Roy Batty, si rivela un essere molto più complesso di
quanto possa sembra. Batty cerca vendetta contro il suo creatore ed
è disposto a uccidere chiunque si metta sulla sua strada. Quando
Deckard lo rintraccia, Roy lo assale brutalmente. Ma quando Batty
vede Deckard in fin di vita, prova simpatia per lui e lo salva
prima di morire.
Loki (Thor: Ragnarok)
Loki è uno
dei cattivi più efficaci del MCU. In effetti, è stato il primo
cattivo ad affrontare l’intera squadra dei Vendicatori. Cerca di
uccidere suo fratello diverse volte, attacca New York City con un
esercito ed, generalmente, è sempre molto dispettoso. Tuttavia, in
Thor: Ragnarok vediamo Loki che inizia a cercare di
liberarsi dal suo “ingombrante” passato. Comincia a vedere Thor
come il suo vero fratello e torna ad Asgard per aiutare a salvare
la situazione. Questo arco narrativo termina in maniera eroico in
Avengers: Infinity War, quando Loki cerca di salvare il
Dio del Tuono da Thanos e muore.
Severus Piton (Harry Potter)
Severus
Piton è decisamente un personaggio interessante. Per gran parte
della serie, è stato semplicemente un’incombente minaccia per
Harry Potter e i suoi amici, poiché era chiaro che al
professore non importava affatto del mago. Assume i contorni di un
vero villain quando uccide Silente e si unisce a Voldemort.
Tuttavia, le vere intenzioni di Piton verranno presto rivelate e
diventa chiaro che, in realtà, non è mai stato cattivo. È stato
Silente a chiedere a Piton di ucciderlo: la preoccupazione
principale di Severus è sempre stata quella di proteggere Harry a
causa del suo amore nascosto per la madre.
T-800 (Terminator 2 – Il giorno del giudizio)
Il primo film della serie
Terminator ha creato uno dei cattivi più formidabili di
tutti i tempi. Quindi, è stata decisamente un’impresa per il sequel
trasformarlo in uno degli eroi più amati di sempre. Terminator 2 – Il giorno del giudizio introduce
nuovamente il T-800 come un cyborg riprogrammato dagli umani per
salvare John Connor. È adesso diventato un protettore e col tempo
diventa persino una figura paterna per John, sacrificando alla fine
la sua vita per impedire che il “Giorno del Giudizio” si
compia.
Darth Vader (Star Wars – Il ritorno
dello Jedi)
Darth Vader potrebbe essere
tranquillamente il villain film più iconico mai creato. Viene
presentato come il Signore Oscuro che uccide Obi-Wan. Viene poi
rivelato che si tratta del padre di Luke, oltre che del
responsabile del congelamento di Han Solo. Ma il suo arco termina in
modo epico ne
Il ritorno dello Jedi. Vader riesce a portare Luke
all’Imperatore e tenta di condurlo al Lato Oscuro. Tuttavia, Luke
si rivela troppo forte per cedervi, così l’Imperatore cerca di
ucciderlo. Dopo aver capito che suo figlio potrebbe morire, Vader
scaglia Palpatine nel reattore della Morte Nera e viene ferito a
morte.
In occasione della prossima uscita
di Locke, film capolavoro che vede
protagonista uno straordinario Tom Hardy, ecco un
elenco di film minimalisti, ovvero che fanno dell’unità di luogo il
loro punto forte: [nggallery id=589]
Per unità di luogo si intende
ovviamente il fatto che gli eventi del film vengono raccontati in
uno spazio univoco, che può essere un appartamento, come nel caso
di Carnage di Roman
Polanski, o in quello de La
Famiglia, il bellissimo film di Ettore
Scola.
Questa unità spaziale si
può ridurre all’osso, in uno spazio ancora più piccolo di un
appartamento o di un stanza. Iin questi casi i risultati sono
davvero interessanti come nel caso di Buried –
Sepolto, in cui il protagonista Ryan
Reynolds è per tutta la durata del film chiuso in una
bara, oppure Devil, di M. Night
Shyamalan, completamente ambientato in un’ascensore, o
infine, è sempre questo il caso di Locke,
in cui Tom Hardy tiene altissima la tensione per i
90 minuti di film soltanto parlando al telefono con personaggi che
non vedremo mai. In questi casi, è normale che il film faccia molto
affidamento non solo sui dialoghi e la sceneggiatura nel suo
insieme, ma anche sui protagonisti (o protagonista).
Ed è sempre in questi casi che
vengono fuori i grandi attori; questa definizione è senza dubbio la
più adatta per definire il talento straordinario di un attore quale
è Tom Hardy.
Un bravo attore è in grado,
all’occorrenza, di commuoversi davanti alla telecamera, di riuscire
a entrare così profondamente in sintonia con il personaggio da
sentire gli stessi sentimenti che sente e quindi avere le stesse
reazioni.
Ma non serve essere un bravo attore
per avere una grandiosa smorfia “da pianto”. Ecco di seguito alcune
delle migliori “facce da lacrime” al cinema: