Nel panorama del cinema messicano,
prezioso baluardo di una fiorente tradizione indipendente, si sono
distinti nell’ultimo ventennio autori che sono riusciti ad arrivare
anche al grande pubblico, con opere apprezzate (a volte più, a
volte meno) anche dalla più elitaria classe di cinefili incalliti.
I nomi in questione, o meglio, la Triade, si compone di autori come
Guillermo Del Toro, Alejandro Gonzàlez Iñárritu e
Alfonso Cuaròn, fresco dei riflettori della 70esima Mostra
d’Arte Cinematografica di Venezia, sotto i quali pare abbia
realmente brillato con la sua ultima fatica,
Gravity.
L’opera che il regista messicano ha
presentato in Fuori Concorso è uno sci-fi con due unici
protagonisti, interpretati da George Clooney e da
un’apprezzatissima Sandra Bullock, in quello che è stato
definito il ruolo più difficile della sua carriera. Vincitore del
Future Film Festival Digital Award, Gravity è un film
che, a detta di molti, resterà un punto di svolta nel genere
sci-fi, e del quale sono stati decantati gli spettacolari piani
sequenza e l’atmosfera ‘claustrofobica’ che il regista è riuscito a
ricreare, come nel precedente I figli degli uomini,
tratto dal romanzo della scrittrice britannica Phyllis Dorothy
James, che consacrò il suo talento nel 2006 con ben tre
nomination agli Oscar.
Nato e cresciuto a Città del
Messico, dopo essersi laureato in filosofia e cinema alla UNAM, il
giovane Alfonso Cuaròn comincia la sua carriera dalle
cosiddette “retrovie”: inizia infatti a lavorare in televisione
come tecnico e, da cosa nasce cosa, si ritrova a collaborare in
alcuni progetti come aiuto regista e coregista, fino a quando, nel
1991 debutta con la sua prima opera, Uno per tutte
(Solo con tu pareya), una brillante commedia con
protagonista un giovane playboy, vittima di uno scherzo che lo
condurrà quasi al suicidio.
Il film riscosse un grande successo, ma non fu subito tutto rose
e fiori per l’opera prima del regista: scritto dallo stesso Cuaròn
e da suo fratello, Carlos, a lavoro ultimato il governo messicano
si rifiutò di distribuirlo. Così, inviato a numerosi festival
cinematografici, tra cui quello di Toronto dove riscosse molto
successo, due anni dopo dalla sua realizzazione, il film poté
finalmente essere distribuito anche in Messico e, ad oggi, occupa
l’87esimo posto nella classifica dei 100 film messicani da vedere.
Ma questa non fu la sola, benché enorme vittoria che Cuaròn ottenne
grazie alla pellicola: Sydney Pollack ne rimase tanto
impressionato da chiedere la collaborazione di Cuaròn ad un
episodio della serie televisiva noir, Fallen Angels….
Insomma, quando si dice la persona giusta, nel posto giusto, al
momento giusto.
E Cuaròn, cominciata la sua
carriera con il piede sull’acceleratore, non accenna a fermarsi:
gli anni immediatamente successivi della sua carriera, sono
dedicati ai riadattamenti di due romanzi. Uno è A Little
Princess, primo film del regista messicano ad essere
prodotto negli USA, acclamato dalla critica nonostante il flop al
botteghino; il secondo, che è anche il più conosciuto è
Paradiso Perduto, in cui il regista messicano
trasporta il romanzo ottocentesco di Dickens, Grandi
Speranze, nella contemporaneità, dimostrando che una grande
storia può rivivere in tutte le epoche, a patto che sia ben
costruita e che si possa avvalere dell’aiuto di un cast che non
passa di certo inosservato: Robert De Niro, Gwyneth Paltrow
e Ethan Hawke.
E, come se tutto questo non fosse
bastato, ecco che il talento messicano accellera ancora: nel 2001
Alfonso Cuaròn realizza Y tu mama
tambien, pellicola sui temi dell’amicizia e del
sesso come scoperta di se stessi, con il quale è riconosciuto
definitivamente come autore cinematografico che riesce a
destreggiarsi abilmente in quel limbo impalpabile eppur così
presente che si crea tra la cultura e la tradizione del suo paese e
la tendenza verso un modello hollywoodiano che non si può certo
ignorare.
Una tendenza che prenderà
concretamente forma nel 2004, quando Cuaròn dirigerà Harry
Potter e il prigioniero di Azkban, cogliendo l’occasione di
arrivare a tutte le variegate categorie di spettatori che, volenti
o nolenti, non possono certo restare immuni dal fenomeno Harry
Potter.
Anche stavolta, il nostro mette a
segno un gran colpo, realizzando quello che, a detta dei più severi
critici che gli hanno sempre rimproverato un pizzico di retorica di
troppo, è l’episodio migliore (cinematograficamente parlando) della
saga creata dalla penna di J.K. Rowling. E d’altronde,
perché la cosa dovrebbe stupirci? Per un veterano degli adattamenti
letterari come Cuaròn, non potevamo che aspettarcelo.
Insomma, quando non gli va bene al
botteghino, la critica lo consola, e se la critica non gli è tanto
a favore, al botteghino è un successo: Cuaròn cade sempre in piedi!
D’altro canto, con la sua ultima opera pare aver messo d’accordo
quasi tutti, anche se non sembra disposto a lasciare andare quella
sua ridondanza che potrebbe trascinarlo pericolosamente sul baratro
del manierismo.
Per ora, però, letteralmente
stremato (per sua stessa ammissione) da
Gravity, il regista ha confessato che,
nonostante sia soddisfatto del risultato, non ha intenzione di
ripetere l’esperienza di un film così impegnativo, dichiarando di
volersi dedicare a un horror. Augurargli buona fortuna? Quasi
sicuramente, non gli serve.