Dal momento in cui Benedict
Cumberbatch è entrato a far parte del cast di
Star Trek Into Darkness, si sono
susseguite le supposizioni sul suo personaggio. Il
regista J.J. Abrams
ha a lungo tempo tenuto coperte le proprie carte, ma in una recente
intervista ha cominciato a offrire qualche particolare in più.
Abrams ha spiegato che il suo nome
(come già era noto) sarà John Harrison e che avrà l’aspetto di una
persona comune: un uomo normale che lavora per un’organizzazione
denominata Starfleet contro cui improvvisamente si rivolta a causa
della sua storia e dei suoi obbiettivi personali. Dopo due
violenti attentati, uno a Londra e uno negli Stati Uniti, i
protagonisti lo inseguono e lo arrestano, ma le cose si faranno
molto più complicate del previsto.
Per sapere se e quanto di vero ci
sarà in tutto questo, dato che non sarebbe strano se Abrams avesse
voluto offrire qualche elemento fuorviante, bisognerà aspettare il
prossimo maggio.
Trama: Quando l’Enterprise è
chiamata a tornare verso casa, l’equipaggio scopre una terrificante
e inarrestabile forza all’interno della propria organizzazione che
ha fatto esplodere la flotta e tutto ciò che essa rappresenta,
lasciando il nostro mondo in uno stato di crisi. Spinto da un
conflitto personale, il Capitano Kirk condurrà una caccia all’uomo
in un mondo in guerra per catturare una vera e propria arma umana
di distruzione di massa. Mentre i nostri eroi vengono spinti in
un’epica partita a scacchi tra la vita e la morte, l’amore verrà
messo alla prova, le amicizie saranno lacerate, e i sacrifici
compiuti per l’unica famiglia che Kirk abbia mai avuto: il suo
equipaggio.
Arnold
Schwarzenegger ha parlato del suo imminente ritorno sugli
schermi, dopo otto anni passati in politica, in The
Last Stand nel corso di un’intervista rilasciata
a Total Film magazine.
Parlando del film, Schwarzenegger
ha detto che si tratta della storia di un ‘piccolo uomo’, sebbene
nel suo caso la definizione risulti un pò strana. Il personaggio è
un poliziotto sulla via del ritiro, circondato da giovani in una
stazione non attrezzata per grandi pericoli; tuttavia
improvvisamente la cittadina dove si svolge la storia viene invasa
da una gang di criminali che stanno cercando di riportare di
nascosto in Messico un boss del traffico di droga. La banda è
composta da una ventina di elementi, tutti con un addestramento
militare alle spalle.
Tornato a lavora con
Quentin Tarantino interpretando lo schiavo Stephen
in Django Unchained, Samuel L.
Jackson ha recentemente parlato dell’esperienza: l’attore
ha rivelato di aver letto il copione tutto d’un fiato, di aver riso
e pensato: tutto questo sarà divertente.
Jackson ha parlato anche del
colloquio avuto successivamente con Tarantino, al quale ha chiesto:
“bene, dato che il personaggio di Django è arrivato con quindici
anni di ritardo per me, allora vuoi che interpreti il più odiato
nero della storia del cinema, giusto? OK, per me va bene. Vediamo
che succede”.
Jackson è assolutamente convinto
che il pubblico detesterà il suo personaggio, suggerendo che il
materiale eliminato nella versione definitiva avrebbe portato a
delle reazioni ancora più forti.
Ironizzando sulla durata del film,
Jackson ha poi detto che ci sarà da aspettarsi un director’s cut da
cinque ore…
E’ online il poster ufficiale del
film After Earth di M. Night Shyamalan, con protagonisti Will
Smith e Jaden Smith. La pellicola che ha già un primo teaser
trailer si intitolerà in Italia After Earth – Dopo la fine del
mondo e uscirà nelle sale italiane il 5 Giugno 2013. Nel cast
anche David Denman, Isabelle
Fuhrman e Kristofer Hivju.
Vi ricordiamo che il film
intitolato in Italia, After Earth – Dopo la fine del
mondo uscirà nella sale il 5 Giugno 2013. Tutte
le info utili nella nostra scheda: After Earth. After
Earth è diretto da M. Night
Shyamalan, e tra il cast troviamo attori
quali David Denman, Isabelle Fuhrman, Jaden
Smith, Kristofer Hivju, Will Smith.
Ecco la sinossi ufficiale del film:
In “After Earth”, mille anni dopo un cataclisma che ha
costretto l’umanità a fuggire dalla Terra, Nova Prime diventa la
nuova casa dell’umanità. Il leggendario Generale Cypher Raige
(interpretato da Will Smith) ritorna da una lunga missione di
lavoro dalla sua famiglia, pronto per essere un padre per suo
figlio di 13 anni, Kitai (Jaden Smith). Quando un tempesta di
asteroidi provoca dei danni all’aereo di Cypher e Kitai, i due si
schiantano su una Terra poco familiare e pericolosa. Con il padre
mortalmente ferito, Kitai deve scoprire un territorio ostile per
cercare la salvezza. Kitai ha sempre voluto essere come suo padre e
questa è la sua possibilità.
Ecco le due cover della rivista
Empire dedicate a Into Darkness, il secondo episodio del franchise
di Star Trek diretto da J.J.
Abrams.
Protagonisti delle cover e delle
due immagini inedite sono Chris Pine e
Benedict Cumberbatch, new entry nel cast e villain
del film, che qui appare in manette.
Trama: Quando l’Enterprise è
chiamata a tornare verso casa, l’equipaggio scopre una terrificante
e inarrestabile forza all’interno della propria organizzazione che
ha fatto esplodere la flotta e tutto ciò che essa rappresenta,
lasciando il nostro mondo in uno stato di crisi. Spinto da un
conflitto personale, il Capitano Kirk condurrà una caccia all’uomo
in un mondo in guerra per catturare una vera e propria arma umana
di distruzione di massa. Mentre i nostri eroi vengono spinti in
un’epica partita a scacchi tra la vita e la morte, l’amore verrà
messo alla prova, le amicizie saranno lacerate, e i sacrifici
compiuti per l’unica famiglia che Kirk abbia mai avuto: il suo
equipaggio.
Ecco la prima foto di
Sharlto Copley nel film Elysium pubblicata
da Empire Magazine. L’attore è stato lanciato dal film
District 9 e l’abbiamo visto nel film
A-Team nei panni di Murdock; adesso
Copley sarà il super villain Kruger. L’attore su Empire ha smentito
le voci che volevano la sua interpretazione ispirata a quella del
Joker di Heath Ledger.
“Un
riferimento sbagliato. Intendevo dire che quella era stata l’ultima
volta che avevo visto un villain che mi ispirava realmente
qualcosa: qualcuno che aveva segnato un nuovo livello qualitativo.
Non ci sono collegamenti tra quel Joker e il mio
personaggio.”
Damon Lindelof non
scriverà il seguito di Prometheus: lo sceneggiatore, già
co-autore del primo film, ha annunciato che non si occuperà del
sequel, ufficialmente per i troppi impegni concomitanti.
Sulla decisione tuttavia sembrano aver pesato le critiche
negative giunte in occasione del primo capitolo. In una recente
intervista, Lindelof ha spiegato come con Ridley
Scott abbiano a lungo parlato dello sviluppo della storia
nei capitoli successivi; tuttavia in seguito sono arrivate le
critiche negative, che si sono sommate agli impegni dello
sceneggiatore nella nuova saga cinematografica di Star
Trek e ad altre idee, tra cui un altro film e un
progetto per la tv.
Matt Damon torna
al ruolo di sceneggiatore per la prima volta dai tempi di
Will Hunting: ha infatti scritto
Promise Land, che sarà diretto da
Gus van Sant.
Damon ha collaborato nell’occasione
con John Krasinski, conosciuto per il ruolo di Jim
in “The Office“, il quale non è nuovo
alle sceneggiatore, avendo già scritto e girato un
film, tratto dal romanzo di David Foster
Wallace Brevi interviste a uomini
schifosi. I due saranno anche protagonisti del
film.
Promise Land segue le vicende di Steve Butler (Damon) che per
conto di una grande azienda va in una piccola città, cercando di
convincere gli agricoltori locali a vendere la propria terra alla
propria compagnia, che intende poi procedere alla ricerca di
giacimenti di gas naturale.
Il protagonista, accompagnato da
una partner più esperta (Frances McDormand)
sembra inizialmente avere successo, anche dal punto di vista
sentimentale, conquistando le attenzioni di una maestra del luogo
(Rosemarie DeWitt), fino a quando non si trova ad
affrontare l’ambientalista radicale Dustin (Krasinski), che farà di
tutto per mettere l’intera città contro i due rappresentanti.
Promise Land doveva in origine
essere anche diretto dallo stesso Damon, il quale poi ha dovuto
rinunciarvi per i troppi impegni: la regia è passata allora a Gus
Van Sant, rinnovando una collaborazione già sperimentata in
Will Hunting e in Jerry.
L’ultimo fine settimana
pre-natalizio è stato una vera e propria lotta a due, fra il primo
capitolo della nuova trilogia tolkeniana di Peter Jackson e la
nuova demenziale commedia italiana.
A spuntarla per un soffio è
Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato,
che conferma la prima posizione al suo secondo weekend di
sfruttamento. Il film incassa 2.490.000 euro, arrivando al totale
di 8,1 milioni di euro in dieci giorni.
Dopo essere rimasto al primo posto giovedì e venerdì, Lo
Hobbit: Un viaggio inaspettato ha faticato sabato e domenica,
tallonato da I 2 soliti idioti che alla fine, con
meno di mille euro di differenza, apre in seconda posizione con
2.489.000 euro.
Considerando che il film con Biggio e Mandelli disponeva di un
numero inferiore di sale (697 contro 417) e, in assenza di 3D, è
proprio quest’ultimo il vincitore morale del weekend, avendo
attirato più spettatori e fruttando una media migliore.
Sarà interessante vedere come nei prossimi giorni si evolverà lo
scontro tra Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato e I 2
soliti idioti.
Nel frattempo, le altre due
commedie italiane delle feste continuano a farsi una concorrenza
reciproca, con Tutto tutto niente niente che scende
al terzo posto incassando 1,2 milioni. Il film con Antonio Albanese
arriva così a quota 4,1 milioni, decisamente meglio di De Sica &
Co: Colpi di fulmine raccoglie infatti
1,1 milioni e giunge a 2,8 milioni totali.
Ralph Spaccatutto apre in quinta
posizione con 869.000 euro incassati in oltre 450 copie, un
risultato non particolarmente positivo.
Più incoraggiante, invece, l’esordio dell’acclamato Vita di Pi. Il film di Ang Lee
(presentato come “il nuovo Avatar” per attirare le folle) ottiene
742.000 euro in 238 sale, con una media che supera i tremila
euro.
Al settimo posto troviamo un’altra
new entry, La regola del silenzio. Presentato
all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, il nuovo film di Robert
Redford incassa 503.000 euro in meno di 200 copie a
disposizione.
Seguono due pellicole d’animazione
in calo, ovvero Le 5 Leggende (243.000 euro) e
Sammy 2 (182.000 euro), giunti
rispettivamente a 5,7 milioni e 612.000 euro.
La parte degli angeli conferma la
decima posizione della scorsa settimana, raccogliendo altri 149.000
euro per un totale di 292.000 euro.
La classifica di Natale
del box office USA non riserva molte sorprese, The
hobbit è infatti saldo in prima posizione con un incasso
settimanale di quasi 37 milioni per un totale di 150, che lo
distanzia decisamente dal secondo in classifica, il nuovo film con
Tom Cruise alle prese con un serial killer: Jack Reacher incassa quasi 16 milioni di
dollari.
Il terzo posto è occupato da This is 40, nuova
prova questa volta registica oltre che produttiva di Judd Apatow,
la miniera d’oro della commedia americana recente, a cui si devono
molti dei titoli con Katharine Heigl ad esempio. Questo film vuole
infatti essere una sorta di seguito di Molto incinta, per cui
vediamo i protagonisti del film qualche anno dopo. Il film incassa
12 milioni.
Scende in quarta posizione Rise of the guardians,
con un incasso settimanale di quasi 6 milioni di dollari, per un
totale di quasi 80 milioni.
A metà classifica rimane stabile e granitico Lincoln che incassa 5
milioni di dollari per un totale di 117.
La regista di un’altra pellicola con la Heigl occupa con il suo
film, ovviamente una commedia romantica che vede riuniti Seth Rogen
e Barbra Streisand, The Guilt trip, fa il suo
esordio al sesto posto con un incasso di 7 milioni di dollari.
La riedizione di Monsters &Co. della Pixar
rifatto in 3D per l’occasione, incassa 6 milioni di dollari e si
ferma in settima posizione, l’ottavo posto è invece occupato da
Skyfall, in caduta libera ormai, ma dopo aver
raggiunto un incasso totale di 280 milioni di dollari. La nona
posizione è per Vita di Pi, che scende dopo 5
settimane di classifica e un incasso di quasi 4 milioni di dollari
questa settimana, per un totale di 76.
Chiude la classifica Breaking Dawn parte 2, che
con i 2 milioni incassati questa settimana raggiunge un totale di
282 milioni.
La prossima settimana usciranno dei
grossi titoli: Django unchained di Quentin
Tarantino, probabilmente il titolo più atteso dell’inverno, seguito
da Les misèrables altro titolo musicale e con
grande casta che ipoteca grandi incassi ancora prima di uscire.
Spike Lee vs
Quentin Tarantino – Atto Secondo: dopo aver
duramente polemizzato col proprio collega ai tempi di
Jackie Brown – allora l’oggetto del
contendere era stato l’ampio utilizzo del termine nigger
nel film – Spike Lee torna alla carica in occasione di
Django Unchained.
Al centro dell’attacco del regista
di Atlanta, vi è stavolta il tema della schiavitù e il mondo in cui
Tarantino lo ha affrontato nel suo ultimo lavoro: in una recente
intervista, Spike Lee ha affermato di non avere alcuna intenzione
di andare a vedere il film poiché lo considera offensivo nei
confronti dei propri avi, che erano schiavi.
Lee ha portato al termine il
proprio attacco attraverso twitter, dichiarando che la schiavitù
non fu come uno spaghetti western di Sergio Leone:
fu un Olocausto; Lee ha concluso ricordando che i propri antenati
erano schiavi, deportati dall’Africa, che lui continuerà ad
onorare.
Dopo la comparsata di un giovane
Ciclope in X-Men Origins: Wolverine, Hugh Jackman
conferma che anche nel prossimo film dedicato al mutante artigliato
comparirà uno degli ‘uomini-X’.
Jackman ha dato la notizia nel
corso di una recente intervista rilasciata a Parade Magazine:
l’attore ha confermato che la vicenda di Wolverine si svolgerà
successivamente alla conclusione di X-Men: Conflitto finale, e che
nel film diretto da James Mangold vi sarà posto per un cameo di uno
dei vecchi X-Men: alcuni sono pronti a scommettere che si tratterà
di Jean Grey, anche perché nei mesi scorsi si è vociferato della
presenza sul set di Famke Janssen, che ha appunto interpretato la
telepate nella prima trilogia dedicata al supergruppo mutante.
Pat Solitano ama il
cinema, e ama i film a lieti fine. Crede che la sua vita sia un
film prodotto da Dio e che debba assolutamente finire con un
lieto-fine … da film, appunto. Per avere questo lieto-fine, Pat è
convinto che gli basterà recuperare la forma fisica perduta e
riacquistare il suo equilibrio emotivo, così da poter far finire il
“periodo di lontananza” dalla moglie Nikki.
“C’è la mia vita e ci sono le
altre, quelle che prendo a prestito ogni volta che interpreto un
film, e che finiscono per diventare altrettanto reali della mia. Il
problema è che devo imparare a dare priorità alla mia vita, invece
che a quella dei miei personaggi”. A parlare è Daniel
Day-Lewis, straordinario attore che ha segnato il firmamento
hollywoodiano con le sue straordinarie performance e che dopo due
Oscar, quattro nomination e innumerevoli titoli di grande spessore,
non è ancora stanco della recitazione e si prepara a stregare il
suo pubblico con un altro eccezionale ruolo, quello di Abraham Lincoln, il Presidente USA per
eccellenza, nel film di Steven SpielbergLincoln, già designato come la pellicola
protagonista della prossima stagione dei premi.
La sua turbolenta vita, il suo
voler rimanere britannico senza rinunciare alle radici paterne che
affondano in terra d’Irlanda, la sua totale abnegazione al suo
lavoro e il suo innegabile fascino, conservato anche ora a 55 anni,
ne fanno uno degli attori più amati, rispettati e ammirati del
panorama mondiale, sia dal pubblico popolare sia da quello di
nicchia, più esigente e schizzinoso.
Daniel Day-Lewis, biografia
Daniel Day-Lewis è nato a
Londra, britannico DOC, il 29 aprile 1957, da padre con origini
irlandesi, il poeta Cecil Day-Lewis, e da madre attrice di teatro,
Jill Balcon, proveniente da una famiglia ebrea di origini lettoni e
polacche. La sua vocazione artistica si può dunque rintracciare
nella sua famiglia, e così il giovane Daniel cresce in un ambiente
stimolante e sembra quasi ovvio che la sua vocazione si rivelerà
essere altrettanto artistica. Si butta a capofitto nella
recitazione e, strano a dirsi, il suo debutto al cinema si rivela
essere un fiasco, si tratta del film Domenica, maledetta
domenica (1971) diretto da John Schlesinger, al
quale poi succederà un periodo piuttosto incerto, principalmente
vissuto sulle tavole del palcoscenico teatrale, dove Day-Lewis
affina la sua tecnica e dove, possiamo dire, nasce il vero
‘animale’ che il buon Daniel diventa ogni volta che ha a che fare
con un nuovo personaggio.
Daniel Day-Lewis, filmografia
Dopo una serie di piccole
partecipazioni a film più o meno importanti, tra cui citiamo
Il Bounty di Roger Donaldson accanto a Mel
Gibson e Anthony Hopkins, arriva il 1985 anno chiave per
la carriera dell’attore. È questo infatti l’anno di due
collaborazioni con registi di alto livello come Stephen
Frears e James Ivory: per il primo, My Beautifull
Laundrette, Day-Lewis si trasforma in un giovane e
squattrinato dipendente di una lavanderia, amante del proprietario
dell’esercizio, che deve affrontare insieme al compagno le
complicazioni di un rapporto interraziale, omosessuale e tra
dipendente e titolare, un ruolo complesso e controverso che mette
in luce da subito il talento istrionico di Daniel. Per l’Ivory di
Camera con Vista invece Day-Lewis è il freddo Cecil,
rampollo di rango che cerca di strappare dalle braccia del suo vero
amore una giovane Helena Bonahm-Carter. Per quanto diversi i
due ruoli mettono già in luce due sfumature importanti che
compongono il composito mosaico che costituisce l’istrionismo di
Daniel Day-Lewis.
Come poi ci ha abituati,
l’attore britannico ritorna al cinema dopo qualche anno ed è solo
la fine degli anni ’80 che lo rivede protagonista, prima nel 1988
con L’insostenibile leggerezza dell’essere, basato
sull’omonimo e complesso romanzo di Milan Kundera, diretto da
Philip Kaufman e interpretato insieme all’attrice francese
Juliette Binoche, poi con un paio di film di scarso spessore
(Un gentleman a New York del 1988 e Fergus
O’Connel, dentista in Patagonia del 1989).
Daniel Day-Lewis chiude
infine gli anni ’80 con uno straordinario, eccezionale e commovente
ritratto di Christy Brown, scrittore e pittore irlandese,
condannato all’immobilità totale del suo corpo, fatta eccezione per
il suo piede sinistro. Il film in questione è appunto Il Mio
Piede Sinistro, è diretto da Jim Sheridan e consegna
definitivamente Daniel Day-Lewis all’Olimpo dorato di
Hollywood. Per impersonare al meglio il suo personaggio, Day-Lewis
ha passato tantissimo tempo alla scuola di Gene Lambert, fotografo
e pittore a sua volta paralizzato, imparando a sua volta a scrivere
con le dita del piede sinistro.
Pauline Kael del New Yorker
ha scritto della performance (facendo riferimento alla scena
chiave del film: “Puo’ essere il momento più emotivamente
devastante che io abbia mai vissuto al cinema. La grandezza della
performance di Daniel Day-Lewis è questa: ci trascina
all’interno della frustrazione e della rabbia di Christy, e della
sua sete infinita”. Il lavoro di simbiosi con il personaggio
diventa così una caratteristica fondamentale del suo lavoro
d’attore, riconoscibile e apprezzabile in tutti i suoi ruoli a
seguire. Lui stesso dichiarerà: “Ho un’unica ossessione, quella
di rendere giustizia a personaggi che mi affascinano, proprio
perché attraversano esperienze molto diverse dalle mie. Per questo
quando mi trovo sul set faccio il possibile per rimanere in
carattere anche fra una ripresa e l’altra. D’altra parte, penso che
la mia capacità di concentrazione sia la mia, principale
virtù”. Ma la performance di Daniel Day-Lewis in
Il Mio Piede Sinistro non gli valse solo le lodi
della critica, suoi sono stati quell’anno anche i riconoscimenti
più importanti del mondo del cinema internazionale, a partire dal
Bafta per la migliore interpretazione, fino
all’Oscar al miglior attore protagonista, dove Daniel concorreva
con Tom Cruise (per Nato il 4 luglio), Robin Williams (per
L’attimo fuggente), Morgan Freeman (per
A spasso con Daisy) e Kenneth Branagh (per
Enrico V).
Dopo un tale successo si ci
aspetterebbe ingaggi e titoli a profusione, invece Daniel
Day-Lewis si ritira dalle scene fino al 1992, quando guidato da
Michael Mann da vita al suo personaggio che più di tutti è
entrato nel cuore dei fan, e soprattutto delle sue fan. Infatti se
fino ad ora l’attore aveva mostrato abilità straordinarie di
mimetismo e dedizione al ruolo, con L’ultimo dei
Mohicani Daniel sfodera uno straordinario sex appeal
che aiuta a costruire la sua giganteggiante figura di mohicano
bianco di grande statura morale e fisica, completamente integrato
con il suo ambiente, appassionato, feroce e combattivo.
Anche per interpretare
questo ruolo l’attore si è dato anima e corpo al personaggio,
Hawkeye, e per diversi mesi prima delle riprese ha
vissuto nella natura, nutrendosi esclusivamente di ciò che riusciva
a cacciare. Il film è un epico affresco di scontro tra razze che
aumenta di spessore anche grazie alla colonna sonora, divenuta
leggendaria, realizzata da Randy Edelman e Trevor
Jones.
Il 1993 è un anno molto particolare
per Daniel Day-Lewis, infatti l’attore ottiene la doppia
cittadinanza, britannica e irlandese, quasi a simboleggiare la sua
natura elegante e ribelle allo stesso tempo. Dal punto di vista
professionale è questo l’anno di due pellicole di diversa natura:
la prima sigla la collaborazione di Daniel con Martin
Scorsese, regista che rincontrerà poi nella sua carriera, con
L’Età dell’innocenza, in cui recita con Michelle
Pfeiffer e Winona Ryder; la seconda invece replica la sua
collaborazione con Sheridan che gli affida un ruolo da protagonista
ne Nel Nome del Padre, film in cui il nostro
interpreta un ribelle irlandese, Gerry Conlon, ruolo che gli vale
la sua seconda nomination all’Oscar che però va a Tom Hanks per Philadelphia.
Altro periodo sabbatico per
Daniel Day-Lewis e poi rieccolo ancora dopo tre anni, nel
1996, a lavorare accanto ad Arthur Miller che curò la
sceneggiatura de La seduzione del male, tratto
proprio da un suo racconto. Nel film Day-Lewis interpreta un uomo
felicemente sposato oggetto delle attenzioni insistenti e più volte
respinte dell’adolescente Winona
Ryder, che ritrova qui dopo L’Età
dell’innocenza. Fu Arthur Miller in persona, sul set
del film a presentargli la figlia, Rebecca Miller, che
diventò alla fine di quell’anno sua moglie. Un bel passo per
Daniel, che fino ad allora aveva mostrato una tendenziale reticenza
a stringere legami sentimentali duraturi (lasciò infatti l’attrice
Isabelle Adjani alla notizia della gravidanza di lei e gli
sono stati attribuiti flirt conWinona
Rydere Julia Roberts).
Dopo la sua partecipazione nel 1997
a The Boxer, film che chiude la trilogia della sua
collaborazione con Jim Sheridan, arriva l’ennesimo periodo
di riposo durante il quale l’attore anglo-irlandese decide di
trasferirsi in Italia, a Firenze, e di diventare apprendista
calzolaio. Sarà nella sua bottega nei pressi di piazza Santo
Spirito che Martin Scorsese lo andrà a pescare per
convincerlo a partecipare al suo nuovo film. È anche questo il
periodo in cui Daniel Day-Lewis rifiuta il ruolo di Aragorn
ne Il Signore degli Anelli per portare avanti il suo
progetto da artigiano. Dove Peter Jackson fallì, riuscì
Scorsese, che coinvolse l’attore nel suo film sulle origini di New
York. È il 2002 e esce al cinema Gang of New York. Il
film, che vede protagonista Leonardo DiCaprio, da a Daniel un’altra possibilità di
mostrare il suo enorme talento, tanto da conferirgli la sua terza
nomination agli Oscar (vinto poi da Adrien Brody per Il Pianista) e da
regalare ai suoi fan una bellissima interpretazione di Bill il
macellaio, personaggio divenuto celeberrimo trai fan dell’attore e
del regista.
Moltissime sono le curiosità
relative alle riprese del film che coinvolgono in prima persona
l’attore: durante una scazzottata, DiCaprio ruppe
realmente il naso a Daniel, che però continuò a recitare noncurante
del dolore; anche tra un ciak e l’altro Day-Lewis
continuava a parlare con lo strano accento che usava durante le
riprese per interpretare il suo Bill, confermando, qualora ce ne
fosse stato bisogna, anche la sua abilità con gli accenti e le
lingue; l’attore si ammalò gravemente durante le riprese per
essersi rifiutato di indossare come costume una giacca più calda,
adducendo come scusa il fatto che giacche di quel materiale non
esistevano ancora all’epoca dei fatti raccontati nel film. Dopo tre
anni, nel 2005, recita, diretto dalla moglie Rebecca Miller,
in La storia di Jack & Rose accanto a Camilla
Belle, da noi uscito direttamente in home video.
Il 2007 è per Daniel
Day-Lewis un anno di trionfi e riconoscimenti. È sua, per la
seconda volta, la statuetta dorata dell’Academy per la migliore
interpretazione maschile da protagonista battendo la concorrenza di
George Clooney (per Michael Clayton), Johnny Depp (per Sweeney Todd), Viggo Mortensen (per La promessa
dell’assassino) e Tommy Lee Jones (per Nella valle di Elah)
e il primo Golden Globe in carriera. Il film è Il
Petroliere e il regista che dirige il nostro è Paul
Thomas Anderson. Day-Lewis ha rilasciato dichiarazioni
totalizzanti relativamente a questo ruolo, dichiarando di essersi
letteralmente abbrutito per interpretare il Daniel Plainview
scritto da Anderson in sceneggiatura: “Non è stato facile
calarsi in quei panni. Perché Plainview è un uomo violento,
ambizioso. Ho cercato di capire le dinamiche del lavoro nelle
miniere, lo stato d’animo dei minatori che scavano nel buio come
dannati, vivendo come animali. È stato faticoso. Io sono convinto
che per recitare la vita di un altro bisogna sporcarsi le mani,
bisogna viverla. Così mi sono trasformato in un essere
brutale”. Anche su questo set Daniel si ha messo tutto se
stesso, letteralmente, arrivando a rompersi una costola durante le
riprese per la ferma volontà di non avere controfigure. La sua
interpretazione straordinaria probabilmente va al di là dei premi e
dei riconoscimenti ricevuti. Daniel Day-Lewis ha dimostrato
ancora una volta di essere un attore di rara natura, dedito al
ruolo, completamente preso dalla parte, con i risultati inevitabili
di offrire performance fuori dalla norma.
Quando un attore è così grande è
difficile incappare in brutte performance, capita però che l’attore
in questione reciti in film di discutibile riuscita. È il caso di
Nine, film del 2009 diretto da Rob Marshall,
basato sull’omonimo musical a sua volta tratto dall’
8½ di Federico Fellini. Nel film Daniel è
Guido Contini, regista di successo, nevrotico e insicuro,
circondato da tutte le sue donne, un parterre di attrici di
prim’ordine: Sophia Loren, Marion Cotillard, Nicole Kidman,
Penélope Cruz, Judi Dench, Kate Hudson, Stacy Ferguson.
Arriviamo però all’attualità, al
2012, anno in cui l’America tutta ha già acclamato la grandissima
performance di Daniel Day-Lewis nei rispettabili e
impegnativi abiti di Abraham Lincoln negli ultimi quattro mesi del
suo mandato. A dirigere il film, intitolato Lincoln,
Steven Spielberg, forse il regista statunitense più atteso
per questo suo progetto che va avanti da diversi anni e che insieme
a Daniel Day-Lewis vede protagonisti Sally Field,
David Strathairn, Tommy Lee Jones, David Strathairn e Joseph Gordon-Levitt. Anche per questo ruolo la
dedizione di Daniel è stata totale, tanto che l’attore ha passato
ore intere con il trucco e la barba che ogni giorno lo trasformava
nel Presidente, appoggiato nel suo lavoro di trasformismo anche da
Spielberg stesso che sul set lo ha chiamato per tutto il periodo
delle riprese Signor Presidente, chiamando di conseguenza l’attrice
Sally Field, che interpreta la consorte del Presidente,
Signora Lincoln e adeguandosi alla situazione indossando sul set
sempre un abito elegante. Il film si annuncia come protagonista dei
prossimi mesi cinematografici, e mentre ha già raccolto lodi
oltreoceano noi dovremmo aspettare il 24 gennaio per vederlo in
Italia.
Con
Lincoln, siamo sicuri, Daniel Day-Lewis ha
aggiunto un altro capolavoro alla sua collezione di grandi
interpretazioni, e confermando, così come altri pochi colleghi, che
a 55 anni un attore del suo calibro ha appena cominciato. Sembra
quindi che il coperchio del suo vaso di Pandora sia stato appena
smosso e che la sua grande abilità, la sua dedizione, il suo
trasformismo intimo e efficace, la sua grande passione possano
regalarci ancora tanti ritratti di uomini indimenticabili.
Ecco il trailer di
Small Apartment, commedia delirante e
assurda che vede protagonista il comico britannico Matt
Lucas attorniato da una serie di volti noti
L’attore di One Tree Hill,
Chad Michael Murray, è in trattative per
partecipare al reboot di Left Behind
accanto a Nicolas Cage. Il ruolo di Murray
dovrebbe essere
Dopo Joel Edgerton
e Isla Fisher, ecco altri character poster per
Il
Grande Gatsby di Baz Luhrmann.
Protagonisti di queste nuove immagini sono Tobey
Maguire, Elizabeth Debicki e la
protagonista femminile Carey
Mulligan. Ecco i tre poster:
Il
Grande Gatsby uscirà il prossimo 16 maggio al
cinema. Tutte le info sul film le trovate nella nostra
scheda: Il Grande Gatsby. Il sito ufficiale
del film qui.
Il film racconta la storia di un
aspirante scrittore, Nick Carraway che lasciato il Midwest
Americano, arriva a New York nella primavera del 1922, un’epoca in
cui regna la dubbia moralità, la musica jazz e la delinquenza. In
cerca del suo personale Sogno Americano, Nick si ritrova vicino di
casa di un misterioso milionario a cui piace organizzare feste, Jay
Gatsby, ed a sua cugina Daisy che vive sulla sponda opposta della
baia con il suo amorevole nonché nobile marito, Tom Buchanan. E’
allora che Nick viene catapultato nell’accattivante mondo dei
super-ricchi, le loro illusioni, amori ed inganni. Nick è quindi
testimone, dentro e fuori del suo mondo, di racconti di amori
impossibili, sogni incorruttibili e tragedie ad alto tasso di
drammaticità.
Risale al 2007 il progetto di
Vin Diesel di portare sullo schermo le avventure
di Annibale, il leggendario condottiero
cartaginese che spaventò la potenza romana nascenta attraversando
le Alpi con i suoi elefanti da guerra. Nelle dichiarazioni iniziali
il film doveva essere completamente recitato in punico antico e
avrebbe visto nel ruolo del protagonista proprio Diesel.
Nel 2010 l’attore ha rivlato che
Tony Scott sarebbe stato coinvolto nel progetto
come regista e che anche Denzel Washington avrebbe
partecipato al film, aggiungendo che l’intera storia si sarebbe
sviluppata nell’arco di una trilogia.
Adesso Vin Diesel
ha aggiornato il suo stato di Facebook con delle interessanti
novità riguardanti il suo progetto.
Così ha scritto oggi l’attore:
<<Quando un sogno nasce in te quando sei un
bambino … quando passi un decennio a far crescere in te quel
desiderio … Il giorno, in cui un dirigente di uno studio dice
“Voglio fare tutti e tre i film della tua trilogia di Annibale!” ci
mette un minuto epr entrarti dentro, e sta ancora
entrando>>.
Si conferma quindi il ruolo di
Diesel in quello di Annibale, resta però da vedere chi sarà a
dirigere i tre film, senza escludere che sia lo stesso Diesel ad
affrontare anche questo impegno.
Da Collider abbiamo oggi la versione originale del
trailer di Scary Movie 5. Il famoso sito americano si esprime molto
chiaramente (e negativamente) in merito
Il sito Worstpreviews ci presenta oggi il trailer di
Aftershock, un thriller simil
apocalittico co-scritto, prodotto e interpretato dal tarantiniano
Eli Roth, che ha come
E’ morto oggi il regista
Emidio Greco dopo una breve malattia. Ricoverato
al Fatebenefratelli di Roma da qualche giorno, il regista era una
figura carismatica all’interno
Il cinema è molte cose: è la magia
del suo farsi, è la possibilità per chi guarda di sognare una
realtà diversa dalla propria, è la speranza per chi crea di poterla
realizzare e racchiudere in un’unità perfetta e coerente. Può
essere un rifugio, un modo di fuggire la vita, o piuttosto uno
strumento, un veicolo di memoria e consapevolezza. È un mestiere da
artigiani, certosino, quello di stupire e commuovere con le
immagini, di saper trasmettere emozioni attraverso una forma
rigorosa, far convivere istinto e stile, e far sì che tutto
funzioni, come in una danza, o in una partitura musicale.
Tra i registi italiani d’oggi,
quello che forse più di tutti ha voluto e saputo raccontare il
fascino del cinema e il potere delle immagini, facendone al
contempo strumento d’indagine della realtà e dell’individuo, è
Giuseppe Tornatore. I suoi sono racconti di grande
respiro, anche magniloquenti, grandi affreschi di spazi
circoscritti – i paesini della sua terra d’origine, la Sicilia,
protagonista di tante pellicole, amata, ma al tempo stesso esposta
nelle sue contraddizioni e amaramente criticata; oppure contesti
chiusi come il commissariato di polizia di Una pura
formalità, o la nave Virginian de La
leggenda del pianista sull’oceano -ma dal valore
universale. Per questo le sue opere sono apprezzate anche
all’estero e Tornatore può vantare tra i premi vinti la famigerata
statuetta dell’Academy di Hollywood, ottenuta col suo secondo film
Nuovo Cinema Paradiso. Inoltre, ad aumentare
l’appeal del suo lavoro a livello internazionale, c’è
sicuramente lo sguardo aperto del regista verso quel mondo e quel
cinema, che ben volentieri ha coniugato più volte col nostro,
scegliendo di dirigere attori di fama internazionale come
Ben Gazzara, Philippe Noiret, Gérard Depardieu, Tim
Roth e ora, nel suo ultimo film in uscita il 1 gennaio
2013, La migliore offerta, Geoffrey Rush,
Donald Sutherland e Jim Sturgess. Una
carriera partita dal teatro, proseguita come documentarista e per
il grande schermo, dove in quasi trent’anni con una produzione
piuttosto contenuta – una decina di lungometraggi – ha
imposto il suo nome nel panorama italiano e internazionale, senza
tuttavia essere risparmiato da critiche e attacchi, come è accaduto
con Baarìa, non molto apprezzato dalla critica,
quasi per nulla premiato, al centro di polemiche per gli alti costi
di produzione, solo in parte ripagati dagli incassi.
Giuseppe Tornatore
nasce a Bagheria il 27 maggio del 1956. Come il personaggio di Totò
in Nuovo cinema paradiso, la cui storia contiene
diversi elementi autobiografici, Tornatore inizia presto (a dieci
anni) a lavorare nell’ambito del cinema, facendo il proiezionista.
Dunque non certo dalla parte delle “star”, bensì come artigiano del
mestiere. Ma è l’immagine in tutte le sue forme ad interessare il
futuro regista, così comincia anche ad approfondire la fotografia.
Ed è proprio grazie ai servizi fotografici che mette da parte i
primi risparmi. Questi gli consentono di acquistare la prima
attrezzatura da documentarista. Il suo documentario d’esordio,
Le minoranze etniche in Sicilia, è premiato e fa da
trampolino di lancio verso una collaborazione con la Rai. Seguono
infatti diversi lavori per l’emittente nazionale: il documentario
Diario di Guttuso e due regie televisive: Ritratto di
un rapinatore: incontro con Francesco Rosi,
Scrittori siciliani e il cinema: Verga, Pirandello, Brancati
e Sciascia.
L’esordio per il grande schermo
risale al 1986, quando Tornatore dirige Il
camorrista, in cui racconta il mondo della camorra
attraverso un suo personaggio di spicco dell’epoca. La figura del
protagonista, il Professore di Vesuviano, magistralmente
interpretato da Ben Gazzara, si ispira infatti a Raffaele Cutolo –
il film è tratto da un romanzo di Giuseppe Marrazzo ispirato
proprio a Cutolo. Per questo lavoro il regista siciliano è subito
premiato col Nastro d’Argento come miglior esordiente. Della
pellicola Tornatore è anche sceneggiatore, come accadrà per diversi
lavori successivi (qui assieme a Massimo De Rita).
Inizia anche la sua collaborazione col fotografo Blasco
Giurato, mentre le musiche sono di Nicola
Piovani. Nonostante sia solo all’esordio, Tornatore mostra
di saper ben padroneggiare il mezzo, realizzando un film
avvincente, ricco di pathos drammatico, ma al tempo stesso senza
fronzoli, coadiuvato dalle ottime interpretazioni del cast. Per
quel che riguarda la materia, poi, non si limita certo a parlare di
camorra come di un fenomeno locale e circoscritto, ma ne dà una
visione più ampia che non manca di coinvolgere livelli politici e
istituzionali nazionali e internazionali.
Due anni dopo è di nuovo dietro la
macchina da presa per dirigere quello che a oggi è considerato il
suo capolavoro: Nuovo Cinema Paradiso, di cui è
anche sceneggiatore. Torna a lavorare con Blasco
Giurato e chiama attorno a sé un ricco cast:
Philippe Noiret, Pupella Maggio, Isa Danieli, Leopoldo
Trieste, Antonella Attili, Enzo Cannavale e Agnese
Nano, oltre a confermare la collaborazione con Leo
Gullotta e Nicola Di Pinto. Ma oltre a
Noiret, che interpreta Alfredo, il proiezionista del Cinema
Paradiso nella Sicilia post bellica, il protagonista del film è
Salvatore (da bambino, Salvatore Cascio, da
adolescente, Marco Leonardi, da adulto,
Jaques Perrin): la piccola peste che ama il
cinematografo e vuole rubare al burbero Alfredo i segreti del
mestiere, Salvatore che più tardi lascerà l’isola per Roma, dove
diverrà un affermato regista. Il film è la storia di una grande
amicizia, ma è innanzitutto un atto d’amore incondizionato per il
cinema visto dalla parte della gente comune – quella che affollava
le sale nel dopoguerra, quella come Alfredo che rendeva possibile
tutto ciò stando dietro al proiettore – il cinema come mestiere
artigianale dalla insostituibile funzione sociale, ma anche come
mezzo per recuperare memoria di sé e della propria storia. Poi c’è
il tema del coraggio e dell’emancipazione rispetto a una
realtà chiusa – quella dell’isola siciliana – che si ama ma
che può diventare ostacolo alla realizzazione delle proprie
aspirazioni e talenti.
Una realtà da cui è necessario
essere lontani per comprenderla, ma a cui tornare per comprendere
fino in fondo sé stessi. Un rapporto complesso quello di Tornatore
con l’isola natale che, ha affermato, “è stata a lungo il mio
tema ricorrente”. Nel personaggio di Salvatore troviamo poi una
caratteristica che sarà tipica anche di altri personaggi creati dal
regista, un duplice aspetto: da un lato possiedono un’indubbia
capacità, un talento, una grandezza in un certo campo – Salvatore,
ad esempio, è un affermato regista – dall’altro, rivelano grandi
debolezze, sono impauriti e fragili nell’affrontare il passato,
l’essenza più profonda di sé a lungo rimossa, oppure il mondo
esterno con le sue insidie, le difficili relazioni umane, l’ignoto,
la morte. Il film, prodotto da Franco
Cristaldi, ha una strana fortuna: la sua prima versione,
di 167 minuti, viene scarsamente presa in considerazione dal
pubblico e passa sotto silenzio.
La seconda invece, accorciata a 118
minuti, rinunciando al racconto dell’incontro tra Salvatore e il
suo amore di gioventù ormai adulti, ha un enorme successo sia nel
nostro paese che all’estero, dove Tornatore riceve i riconoscimenti
più prestigiosi, che lo lanciano nel firmamento delle star
internazionali come erede della grande tradizione cinematografica
italiana: innanzitutto l’Oscar, il Golden Globe e il BAFTA come
miglior film straniero – quest’ultimo premio va anche a
Philippe Noiret e Salvatore
Cascio come migliori attori, protagonista e non, allo
stesso Tornatore in veste di sceneggiatore e ad Ennio
Morricone per le splendide musiche. Ma i premi non
arrivano solo dal mondo anglosassone. Tornatore si aggiudica anche
lo European Film Award, e il Festival
di Cannes gli assegna il Premio Speciale della Giuria. È un
successo internazionale enorme, cui si aggiunge il David di
Donatello ottenuto in patria per la colonna sonora di Ennio
Morricone.
Nel ’90 il regista di Bagheria ha
l’occasione di dirigere Marcello Mastroianni, che
in Stanno tutti bene offre una delle sue ultime
intense interpretazioni nei panni di un anziano che gira l’Italia
alla ricerca dei suoi figli. La pellicola riceverà il Nastro
d’Argento per la sceneggiatura – opera dello stesso regista assieme
a Tonino Guerra e Massimo De Rita
– e il premio della Giuria Ecumenica al Festival di Cannes. Nel
2009 l’americano Kirk Jones ne ha tratto un
remake, affidando a Robert De Niro la parte che fu
di Mastroianni.
L’anno dopo, Tornatore vuole ancora
Philippe Noiret come protagonista de Il
cane blu, episodio da lui diretto facente parte del film
La domenica specialmente.
Nel ’94, cambia genere e stile con Una pura
formalità. Sceglie infatti le atmosfere cupe di un noir
claustrofobico, che ruota attorno alla sfida ad alta tensione fra i
due protagonisti: Gérard Depardieu e Roman
Polanski. Entrambi offrono delle ottime interpretazioni:
il primo è il noto scrittore Onoff, che si trova a vagare in un
bosco nel mezzo della notte. Raggiunto dai gendarmi, è condotto in
commissariato per accertamenti come presunto autore di un omicidio
(a stendere il verbale dell’interrogatorio che segue è un giovane
Sergio Rubini). Il secondo è il commissario che cerca di farlo
confessare, sebbene Onoff dichiari di non ricordare nulla. La
chiave del film è appunto il ricordo – Ricordare è anche il
titolo del brano cantato dallo stesso Depardieu sui titoli di coda,
con testo scritto da Tornatore e musica di Andrea ed Ennio
Morricone – che porterà a svelare il mistero e a dare al
film nella sua seconda parte una svolta e un significato del tutto
diversi da quelli inizialmente intesi.
Sfruttando la dicotomia tra sogno
(incubo) e realtà, la pellicola si trasformerà infatti da giallo
classico in riflessione sul tema della morte, dell’angoscia
dell’uomo di fronte a quest’evento, dell’inconsapevolezza con cui
lo affronta. Qui Tornatore è lontano dai grandi affreschi storico
sociali dell’Italia, preferisce il sano distacco di un’oscura
ambientazione europea e uno stile registico più scarno, funzionale
all’ambiente chiuso e ristretto in cui si svolge gran parte
dell’azione. Certo meno vistosi dei grandi “kolossal” diretti dal
regista, questo tipo di film, che pure occupano una parte non
trascurabile della sua produzione, hanno una serie di pregi:
offrono uno sguardo inedito, sono aperti alla sperimentazione e
meno sentimentali – in essi manca quel romanticismo nostalgico
presente nelle pellicole legate all’Italia, e in particolare alla
Sicilia. È proprio alla terra d’origine che il regista di Bagheria
sceglie di tornare artisticamente col suo successivo lavoro – oltre
che col documentario Lo schermo a tre punte –
a dimostrare come i due aspetti convivano nella sua carriera.
Nel ’95
infatti, sceglie ancora il binomio Sicilia-cinema per L’uomo
delle stelle, in cui dirige Sergio
Castellitto. Siamo negli anni ’50 e il Joe Morelli
interpretato dall’attore romano è un cialtrone, un truffatore che
sbarca in Sicilia per vendere agli abitanti di un piccolo paesino
il sogno del cinema, della fama e del successo attraverso finti
provini. Un film sul cinema come sogno, ma con un lato amaro e un
disincanto assai più marcati rispetto a Nuovo cinema
Paradiso, perché qui il cinema è assieme momento di verità
su sé stessi (durante i provini gli aspiranti attori mettono a nudo
la loro parte più autentica), ma anche una grande truffa, un
raggiro e la miriade di caratteristiche facce sicule che Morelli
scova appartiene a una massa di italiani creduloni, pronti a farsi
raggirare davanti al miraggio della fama, del successo.
Morelli stesso, appunto, è a sua
volta un disgraziato, ma anche un vigliacco truffatore. È esterno a
quell’ambiente, che vive e legge da romano, con la tipica
concretezza, il disincanto, il sarcasmo e una buona dose di
cinismo. Ne esce la fotografia di un’Italia non certo edificante,
in cui l’aspetto romantico, lo sguardo indulgente del regista si
stemperano, pur essendo presenti. Attraverso quei volti segnati,
quegli individui disposti a tutto pur di coltivare una speranza, il
regista ci racconta comunque un sud che ama profondamente, con le
sue ferite: arretrato, in perenne difficoltà, costretto a vivere di
sogni, di miti, abbandonato a sé stesso. La pellicola riceve una
buona accoglienza da parte di pubblico e critica e diversi
riconoscimenti: David e Nastro d’Argento a Tornatore come miglior
regista, Nastro d’Argento anche a Sergio
Castellitto come miglior attore e a Leopoldo
Trieste come non protagonista, oltre che alla fotografia
di Dante Spinotti e alla scenografia di Francesco
Bronzi; mentre a Venezia il film ottiene il Premio
Speciale della Giuria.
Il 1998 è l’anno della trasposizione del monologo
teatrale di Alessandro Baricco, Novecento,
che diventa nelle mani di Tornatore La leggenda del pianista
sull’oceano. Potenti uomini e mezzi lo affiancano in
quest’impresa di respiro internazionale, che vede protagonista nei
panni del pianista Danny Boodman T. D. Lemon, detto Novecento –
abbandonato su una nave e lì cresciuto, diventato un portentoso
pianista e mai sceso – un Tim Roth in grande spolvero. Se già il
monologo di Baricco era toccante, intimo, ricco di piani lettura e
sfumature, capace di veicolare emozioni universali, tale ricchezza
viene resa perfettamente dal film, che aggiunge l’elegante
magniloquenza delle immagini, degli scenari e della musica,
quest’ultima opera ancora una volta del Maestro Morricone, al suo
meglio. Il film è ricco di momenti e scene che restano impressi
nella memoria dello spettatore, poiché è questo il cinema che piace
al nostro regista, quello che lascia lo spettatore stupito, a bocca
aperta di fronte alle immagini. Si disegna qui in maniera egregia
la figura di un uomo vissuto da sempre in un universo limitato,
quello del transatlantico Virginian, e abituato a valicare i
suoi confini solo con la fantasia e attraverso la magia delle note,
della musica che ha imparato a suonare alla perfezione sui tasti
del pianoforte. Dunque, come già in altri film di Tornatore, c’è
l’idea di uno spazio chiuso, di un universo circoscritto e della
difficoltà ad uscirne, a trovare il coraggio di affrontare il mondo
esterno. Questa difficoltà è spinta qui alle estreme conseguenze. E
come in altre opere del regista, a questa debolezza e fragilità del
protagonista fa da contraltare una straordinaria capacità, un
talento in un dato ambito. Sembra una fiaba, o appunto, una
leggenda, ma c’è nel personaggio di Novecento un’umanità in cui
tutti si possono riconoscere. Tornatore ottiene per questo lavoro
il Ciack d’Oro, il David di Donatello e il Nastro d’Argento
per la miglior regia. Con quest’ultimo è premiato anche per la
sceneggiatura. Mentre Ennio Morricone riceve il
Golden Globe per la colonna sonora.
Dopo questo
successo internazionale, il regista torna all’Italia, e alla “sua”
Sicilia con Malèna, che segue la vicenda
esistenziale di un’affascinante e disinibita donna (Monica
Bellucci) in un paesino della provincia siciliana in tempo
di guerra, vittima di una mentalità bigotta e ipocrita, considerata
puro oggetto di desiderio dagli uomini e d’invidia e rancore dalle
donne. L’unico che sembra nutrire per lei un sentimento autentico è
l’adolescente Renato (Giuseppe Sulfaro). Malèna
dovrà sopportare una serie di traversie, conoscere umiliazioni e
violenze, ma faticosamente e a caro prezzo sarà poi accettata.
Ancora un premio alle musiche di Morricone, il Nastro d’Argento, e
uno alla fotografia di Lajos Koltai, il David.
A questo punto della carriera,
Tornatore si concede una sosta per poi riprendere nel 2006 con quel
filone noir, thriller intrapreso anni addietro con Una pura
formalità. Riprende però anche, in un cero senso, il tema
di Malèna. La sconosciuta infatti, ci porta
nel territorio oscuro della suspense, ma la sua protagonista,
Irena/Ksenia Rappoport, vive una condizione per
alcuni versi non dissimile da quella di Malèna. È cambiata l’epoca,
qui siamo all’attualità, e Irena è una donna ucraina venuta in
Italia per lavorare, che invece finisce a fare la prostituta per
conto di un inquietante protettore di nome Muffa. Una donna che
diventa oggetto, viene usata dagli uomini.
Qui ci si spinge ancora oltre
rispetto a Malèna, perché Irena è per di più schiava dell’abbietto
Muffa e viene usata non solo come prostituta, ma anche come
fattrice di bambini da vendere alle facoltose famiglie del nord
Italia che non possono avere figli. Tutto questo però si scopre
solo gradualmente durante il film perché svelato poco alla volta da
sapienti flashback. All’inizio infatti, Irena è “la sconosciuta”
che fa di tutto per guadagnarsi un posto a servizio in casa
Adacher. Scopriremo poi il suo doloroso passato e quali conti con
esso lei voglia chiudere. Qui il regista, ancora coadiuvato dal
Maestro Morricone, sostenuto da un ottimo cast che vede accanto
alla talentuosa Rappoport, volti noti del cinema nostrano come
Alessandro Haber, Piera Degli Esposti, Michele Placido, Margherita
Buy, Claudia Gerini e Pierfrancesco Favino, dà una convincente
ulteriore prova della sua grande abilità registica riuscendo a
orchestrare un noir che tiene alta la tensione e vivo l’interesse
dello spettatore per tutta la sua durata, con un mistero che si
svela pian piano e che unisce abilmente una storia di rivincita, un
tentativo di riappropriarsi della propria vita e dignità, con la
denuncia di una tragedia sociale che si consuma nelle società
occidentali. Il film otterrà quattro David, fra cui quello come
miglior pellicola e miglior direzione, tre Nastri d’Argento e uno
European Film Award.
Tre anni dopo Tornatore si dà alla
realizzazione di quello che lui stesso ha definito “il film
della mia vita”, ovvero Baarìa, in cui racconta
uno spaccato di vita della sua città natale, Bagheria (Baarìa), a
partire dagli anni ‘30 e nel suo dipanarsi attraverso tre
generazioni. Il film può dirsi davvero corale: se infatti i
protagonisti sono Peppino Torrenuova/Francesco
Scianna e Mannina Scalia/Margareth Madè
con le rispettive famiglie, una miriade di interpreti – quasi tutti
siciliani, il che ha permesso di farne una versione in siciliano
stretto e una doppiata dagli stessi attori e destinata alla
fruizione fuori dall’isola – si muovono attorno a loro a comporre
un affresco poetico ed epico di grande raffinatezza estetica, come
solo Tornatore sa fare.
Il regista è anche autore del
soggetto e della sceneggiatura. Le musiche sono come sempre
affidate a Ennio Morricone, mentre la fotografia è di
Enrico Lucidi. Il film porta con sé grandi
aspettative, sia da parte del suo autore, che si è mosso sul
terreno a lui più caro con un grande impegno registico, sia da
parte del pubblico, che ormai conosce la maestria di Tornatore e si
aspetta sempre da lui cinema ai massimi livelli. L’impegno non
viene però suffragato dai riconoscimenti sperati: nonostante le
molte candidature, il film porta a casa solo il David alla miglior
colonna sonora, il David Giovani e il Nastro dell’anno. Altrettanta
delusione per quanto riguarda i premi internazionali: è candidato
all’Oscar ma non arriva alla cinquina finale, e neppure la
nomination al Golden Globe va a buon fine. Per quel che riguarda
l’accoglienza da parte del pubblico, il film incassa, sì, più di 10
milioni di euro, a fronte però di un impegno produttivo di 25
milioni da parte di Medusa. Addosso al regista piovono così molte
critiche, cui si aggiungono quelle degli animalisti per la sequenza
dell’uccisione di un bovino, girata in un mattatoio tunisino.
Un’esperienza con luci e ombre, dunque, questa di
Baarìa, di cui però Tornatore resta nel complesso
soddisfatto e orgoglioso.
Dal 1 gennaio
2013, invece, nelle sale italiane ci sarà l’ultima fatica del
regista siciliano, di nuovo un tuffo nel giallo, come lui stesso lo
ha definito: “con una tessitura narrativa un po’ misteriosa, da
giallo classico, un po’ thriller, anche se nel film non ci sono
morti, assassini, assassinati o investigatori”. Il film si
avvale ancora una volta di un cast internazionale: Geoffrey
Rush, Donald Sutherland, Jim Sturgess, Sylvia Hoeks, ed ha
in comune con La sconosciuta l’ambientazione in una
città mitteleuropea. L’azione si svolge nel mondo delle aste: il
protagonista è infatti Virgil Oldman/Geoffrey
Rush, un battitore d’asta che si trova alle prese con una
particolare cliente (Sylvia Hoeks). Molteplici
saranno le chiavi della storia, che è anche e soprattutto una
storia d’amore, come dichiarato dallo stesso Tornatore. La
produzione stavolta è affidata a Paco Cinematografica e Warner
Bros.
Mentre, per chi è già oltre e si
sta chiedendo quali siano i programmi futuri di uno dei registi più
apprezzati del nostro cinema, pare stia cercando di concretizzare
un suo vecchio progetto: un kolossal sull’assedio nazista di San
Pietroburgo che dovrebbe intitolarsi Leningrado. Al
lavoro sull’aspetto produttivo di un progetto da cento milioni di
dollari dovrebbe esserci l’americano Avi Lerner. Per il momento
però, non c’è nulla di certo.
Dal 3 gennaio arriverà nelle sale
italiane Jack Reacher – La Prova Decisiva, il cavaliere
errante Jack Reacher, assetato di giustizia e di
nobili propositi, un eroe post-moderno dall’identità liquida e
cangiante, la cui aura di mistero e lucida spregiudicatezza lo
renderà, sicuramente, un gradito paladino metropolitano.
Christopher
McQuarrie prende in prestito La prova
decisiva, il nono romanzo della saga dedicata a Jack
Reacher di Lee Child e, entrando in simbiosi con la sua profonda
enigmaticità e sfaccettata nota action – già di per se molto
cinematografica – si affida all’eloquenza mimica di Tom Cruise, per interpretare il mondo celato e
contraddittorio, che lo sguardo fuorviante di Jack Reacher
nasconde. Bastano pochi minuti a innescare un criptico gioco di
rimandi e a minare l’inconfutabile certezza di prove ritenute fino
a quel momento schiaccianti. Una sete di verità pervade le nostre
menti: chi è Jack Reacher?
L’unico in grado di risolvere
questo fosco cocktail di dubbi, è il nostro caro Jack
Reacher (Tom
Cruise), un ex militare-investigatore che, nel pieno
rispetto del suo status di eroe onnisciente e onnipresente, piomba
sulla scena del crimine all’improvviso, come piovuto dal cielo, per
condurre la sua personale e volitiva battaglia verso la verità.
Jack Reacher – La Prova Decisiva, il film
Un fiuto da cane da caccia, un
animo solitario e nomade in grado di risvegliare il suo granitico
spirito quando si tratta di mettersi al servizio della giustizia.
L’astuzia e la destrezza di una volpe, l’ossessione per i piccoli
dettagli e una smodata dimestichezza a scavare nelle vite altrui.
Tutto quello che serve per costruire un personaggio invincibile, in
grado di spogliare anche la sua più remota parvenza di umana
sensibilità, di ogni senso logico.
Un personaggio dal fascino
magnetico e dalla faccia da schiaffi, costruito su misura per un
attore dall’ego smisurato come Cruise che, completamente a suo agio
nel panni del paladino superomistico, lo carica di prestigio e
infinita passione.
Un film che si fregia di una regia
sopraffina dove, la lentezza narrativa riesce nel ponderato intento
di acuire la tensione. Scelta questa che fa di Jack
Reacher – La prova decisiva, un
action senza quella sfrenata e adrenalinica dose di azione che
caratterizza un film appartenente al genere – fatta eccezione per
l’unico suggestivo e ansiogeno inseguimento automobilistico
piazzato a metà del film – ma arricchito di una nota torbida e
sfuggente che rivela la sua natura mentale di thriller.
Che dire poi del raccapricciante
criminale Zec, interpretato da un magistrale Werner
Herzog che, con un corpo sfregiato e un’irrazionale voglia
di annichilire l’umanità che lo circonda, rappresenta l’antieroe
americano per eccellenza, facendo da contraltare all’esagerato e
patinato machismo di Tom Cruise, l’uomo in grado di sconfiggere
orde di malfattori, sempre con un ghigno sorridente sulla bocca e
quella spigliata nonchalance che non gli fa versare neanche una
goccia di sudore. Qualche stereotipo di troppo, ma un godibile
intrattenimento che non ci fa pesare le oltre due ore di film.
Ha fatto parlare di sé film dalla
messa in produzione, ed ora The Master,
ultimo lavoro di Paul Thomas Anderson
arriva sugli schermi italiani (il 3 gennaio) dopo una trionfale
presentazione al Festival di Venezia, dove ha portato a
casa il Leone d’Argento alla regia e la Coppa Volpi alla migliore
interpretazione maschile, condivisa tra Joaquin Phoenix e Phillip
Seymour Hoffman.
In The
Master Freddie (Joaquin
Phoenix) è un reduce della Seconda Guerra Mondiale,
completamente dilaniato dall’esperienza della guerra che fatica a
ritrovare un suo spazio nel mondo, nonostante gli vengano offerte
diverse possibilità di reinserimento. La sua turbolenta strada si
intreccia con quella di un uomo molto carismatico, “maestro” di una
sorta di organizzazione religiosa, convinto di riuscire ad aiutare
il suo nuovo amico con i suoi “metodi” che affondano le radici in
un misto tra psicoanalisi, misticismo e non poca esaltazione.
Presto però Freddie comincerà a mettere in dubbio il credo del suo
mentore, trovandosi ancora una volta ad affrontare il mondo in
solitudine.
The Master, il film
The
Master è innegabilmente un film potente, un film che
scava nello spettatore a cercarne i nervi scoperti, tutto
attraverso due interpretazioni straordinarie, di quelle che
capitano una volta nella vita. Maghi assoluti della recitazione,
Phoenix e Hoffman si dividono la scena in un susseguirsi di
dialoghi e battibecchi completandosi a vicenda poiché sono tanto
violente e spropositate le reazioni del primo, quanto misurate e
calcolate quelle del secondo.
Anderson si affida principalmente
ai suoi due protagonisti, assolutamente all’altezza della tensione
emotiva della storia, senza apparentemente curarsi troppo del
dettaglio, e inserendo quasi a margine un altro personaggio
profondamente importante e a sua volta tormentato. Si tratta di
Amy Adams che interpreta la moglie di Hoffman e che si
rivela pian piano sempre più importante come ago della bilancia nel
rapporto del marito con il giovane “caso umano”.
Eppure il film sembra stagnare
proprio nella regia, nel ritmo del racconto, che non procede, si
impantana e conferisce al film una lentezza che non giova alla sua
godibilità. Non si può certo parlare di film non riuscito, poiché
Anderson ha sempre qualcosa di interessante da dire, ma questa
volta sembra che proprio la sua regia non sia stata all’altezza
delle interpretazioni laceranti dei protagonisti e della
sceneggiatura, straordinario racconto di due esistenze che si
scontrano per darsi reciprocamente equilibrio, senza però
riuscirci.
The
Master resta, con tutti i suoi difetti, un film
potente, straordinario affresco di individualità pubbliche e
private, superbo esempio di come un attore possa elevare la sua
arte al sublime.
Dopo la parentesi
fanciullesca con Le avventure di Tintin – Il segreto
dell’Unicorno e War Horse, Steven Spielberg torna alla regia dei
film storici. Schindler’s List e Salvate il
Soldato Rayan hanno dimostrato come il regista sapesse
trattare argomenti quali la shoah e la Seconda Guerra Mondiale
vincendo persino l’Oscar. Ma il lavoro che c’è dietro
Licoln è un percorso diverso intrapreso con
Il Colore Viola (1985) seguito poi con
Amistad (1998) che va a concludere il discorso sulla
trilogia abolizionista, altro tema caro al regista.