Nel corso degli anni ’50 e ’60 il
genere fantascientifico, divenuto in breve tempo un vero e proprio
fenomeno di cultura popolare, dopo aver letteralmente invaso le
emittenti radiofoniche grazie ai primi programmi dedicati alle
fantastiche e bizzarre storie spaziali ed in seguito anche il
cinema con pellicole sempre più orientate verso i viaggi
intergalattici e invasioni aliene, anche la neonata televisione
incominciava a vedere i suoi piccoli e fievoli schermi riempiti di
programmi dedicati esplicitamente a futuribili avventure ambientate
in galassie sconosciute.
Mentre nel periodo pre-bellico
molti, tra cui il grande Orson Welles, si divertivano spaventare
migliaia di radioascoltatori con false cronache di invasioni
extraterrestri, subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale
gli schermi cinematografici di tutto il mondo videro trasportate
per i immagini le paure di oscure visite da altri mondi grazie a
pellicole del calibro di L’astronave atomica de dottor
Quatermass (1955), La
guerra dei mondi (1953) e L’invasione
degli ultracorpi (1956), in perfetta
sincronia con il dilagare della cultura fantascientifica
all’interno delle riviste dedicate e dei fumetti. Fu soltanto a
partire dai primi anni ’60 che l’interesse di tali racconti si
spostò gradualmente verso l’aspetto tecnologico dell’esplorazione
spaziale e della scoperta di nuovi orizzonti cosmici, grazie
soprattutto alla sempre crescente competizione aerospaziale fra
Stati Uniti e Unione Sovietica in seguito al lancio dello Sputnik
nel 1957.
Solo un anno prima che l’uomo
(americano) mettesse piede sul suolo lunare e coronasse il sogno
del grande scrittore Jules Verne, nel 1968 Stanley
Kubrick con
2001: Odissea nello spazio aveva
definitivamente traghettato l’immaginario della fantascienza al di
fuori del nostro pianeta, gettando le basi per nuovi orizzonti
all’alba del nuovo decennio. Nel frattempo le emittenti televisive
di tutto il mondo, già abituate a seguire in diretta gli ormai
consueti lanci di razzi e sonde spaziali, riempivano i loro
palinsesti con programmi dedicati, e furono soprattutto gli
inglesi, già pionieri radiofonici del settore, a sfornare le prime
vere chicche del genere di fantascienza televisiva, soprattutto
grazie alla collaborazione della coppia di coniugi e produttori
Gerry e Sylvia Anderson, autori
di serie di successo fra cui Thunderbirds
(1964-66), Captain Scarlet
(1967-68), Joe 90 (1968-69) e il
celeberrimo UFO
(1969-70), la prima vera serie tv ad affermare con
chiarezza l’estetica plastificata e multicromatica della
fantascienza dei primi anni ’70.
Spazio 1999 tra fantascienza e
dramma
Un volta conclusa fra alti e bassi
la prima stagione di UFO, i due autori decisero di
metterene in cantiere un possibile seguito, e perciò iniziarono a
lavorare ad un progetto denominato provvisoriamente UFO
1999, ambientato su una stazione lunare alle soglie del nuovo
millennio, progetto ambizioso e visionario che però venne subito
abortito e finì ben presto per arenarsi definitivamente.
Passarono alcuni anni e nel 1973,
tra mille difficoltà produttive e logistiche, i coniugi Anderson
decisero di riprendere in mano la loro azzardata idea, e grazie ad
una co-produzione fra la britannica ITC e
l’italiana RAI venne realizzato l’episodio pilota
(Separazione) di una nuova serie intitolata
Spazio 1999, ambientata per l’appunto
sulla base lunare Alpha1, istallazione scientifica di un
avamposto umano col compito di organizzare una spedizione sullo
sconosciuto pianeta Meta e di cui diviene subito capitano John
Koening (Martin Landau) assieme alla
collaborazione della dottoressa Helena Russell (Barbara
Brain).
Dopo un improvviso e inspiegabile
scoppio nella centrale di stoccaggio delle scorie nucleari della
base e il conseguente aumento del campo magnetico del pianeta
dovuto alle radiazioni, la luna si stacca dall’orbita terrestre ed
inizia a vagare nello spazio, rendendo prigionieri tutti i tecnici
e gli ufficiali presenti sulla superficie.
La scoperta di nuovi mondi
in Spazio 1999
Inizia così l’odissea
degli alphaniani alla scoperta di nuovi mondi ai limi estremi dello
spazio e verso la scoperta di un nuovo pianeta su cui poter
ricominciare a vivere. Passata quasi inosservata, la puntata pilota
venne ritrasmessa nel Regno Unito il 4 settembre del 1975 (in
Italia arrivò solo nel gennaio del 1976), e riscosse subito un
grandissimo successo, soprattutto per le storie avvincenti e ricche
di colpi di colpi di scena disseminate per le varie puntate e
soprattutto grazie all’ottimo design (erede dell’estetica di
UFO) e degli strabilianti effetti speciali, realizzati dal
celebre team di Bryan Johnson che aveva già
lavorato a 2001: Odissea dello spazio e sarà nuovamente
presente in Alien
(1979) e
Star Wars: L’impero colpisce ancora
(1980).
La serie colpì subito il pubblico
anche per il suo visionario immaginario grafico e le bellissime
scenografie ricche di tecnologie futuribili (tra cui computer,
visori computerizzati e un pionieristico videotelefono), luci
scintillanti e manopole, il tutto in perfetta sintonia con
l’atmosfera al cellophane degli anni ’70. Malgrado si fosse
attirata addosso le critiche di gran parte della comunità
accademica del tempo e di alcuni scrittori di fantascienza del
calibro di Isaac Asimov e Harlan
Eleison che la tacciavano di scarsa plausibilità
scientifica (soprattutto per il dir poco irrealistico effetto
slow-motion delle camminate spaziali riprese a 48
fotogrammi al secondo), la prima stagione della serie, costituita
da 24 episodi, ottenne un successo clamoroso, tanto da dare subito
largo ad un’ampia entusiasta schiera di fans e ad un fiorente e
redditizio merchandising, soprattutto legato alle action figures
dei personaggi e dei modellini in scala dei veicoli spaziali
(modellini per altro utilizzati già in maniera accurata per gli
effetti speciali).
Come non ricordare infatti le
fantastiche riproduzioni delle Aquile, le astronavi di
trasporto galattico provviste di cannoni laser; gli
Aphicat, i coloratissimi convogli a quattro ruote per le
ricognizioni di terra, oppure la famosa astronave aliena
dell’episodio “Fiocco azzurro su Alpha” del tutto simile
al Discovery One di 2001, senza poi contare i numerosi
giochi da tavolo Clementoni del 1976, i libri illustrati della AMZ
e le figurine messe in commercio dalla Panini a distanza di
anni.
Tutto ciò condito con le più
fantasiose e pseudo-scientifiche teorie cosmiche, che andavano
dall’antimateria fino ai buchi neri e al celebre campo di
curvatura della serie Star Trek A
causa dei numerosi problemi sorti fin da subito riguardo alla
programmazione e la distribuzione internazionale, ad oggi non
esiste una vera e propria cronologia ufficiale degli episodi (se si
escludono “Separazione” e “Psycon” che aprono
rispettivamente la prima e la seconda stagione), dunque si è soliti
tenere come riferimento la data di produzione ed edizione delle
singole puntate, anche se i fans più accaniti usano religiosamente
la sequenza di trasmissione ufficiale del Regno Unito.
In Italia addirittura la genesi fu
ancora più confusa: nel 1975 venne rilasciato nei cinema un
lungometraggio che riuniva gli episodi “Separazione”,
“Gli occhi di Tritone” e “Un altro tempo un altro
luogo” musicate da Ennio Morricone, prima che
l’anno successivo la prima stagione completa venisse rilasciata in
concomitanza alla messa in commercio di quaderni scolastici con le
immagini promozionali. La colonna sonora della sigla di apertura e
chiusura della prima stagione venne composta da Barry
Gray, già autore delle musiche Thunderbirds e
UFO, mentre la seconda stagione venne affidata alla
supervisone di Derek Wadsworth.
Spazio 1999, il cast
Pur mantenendo le sinfonie
elettroniche e cariche di distorsioni al theremin dell’edizione
originale, alcune variazioni musicali per l’edizione italiana
vennero affidate nuovamente a Ennio Morricone, autore di alcune
sconclusionate incursioni jazzistiche che non raccolsero il favore
dei fans. La prima stagione ottenne un grande riscontro grazie
soprattutto alla presenza di un cast di grande spessore e di
provenienza muticulturale, tra cui spiccano in prima linea
Martin Landau e Barbara Brain
rispettivamente nei ruoli del capitano Koening e della dottoressa
Russell, all’epoca sposati e già avvezzi a lavorare assieme grazie
alla precedente esperienza nella serie cult spionistica
Mission: Impossibile (1966-1973).
Accanto ad essi figurano anche
Nick Tate nelle vesti del capitano Alan Carter,
Barry Morse alias professor Bergman e l’ormai
iconica e sensuale Catherine Shell che nella
seconda stagione vestirà i panni dell’aliena Maya. Senza poi
contare le numerose presenze straordinarie che vanno da attori del
calibro di Christopher Lee, Joan
Collins e Peter Cushing, fino alle
occasionali presenze nostrane di Orso Maria
Guerrini, Gianni Garko, Carla
Romanelli e Giancarlo Prete. Addirittura
in alcuni episodi della seconda sfortunata stagione è più volte
presente una mostruosa maschera aliena interpretata dal gigantesco
David Prowse, che sarebbe divenuto in seguito
famosissimo nell’indossare il celebre e tenebroso costume di Dart
Fener nella saga di Star
Wars.
Dopo il grande successo ottenuto
dalla prima stagione i produttori della serie misero subito in
cantiere un ideale seguito, purtroppo funestato da alcuni eventi
imprevisti che, uno dopo l’altro, decretarono uno sconvolgente calo
qualitativo della seconda stagione. Dopo il divorzio professionale
e coniugale degli Anderson, si scelse di coinvolgere l’estroso
americano Fred Freiberger, già a suo malgrado
conosciuto nell’ambiente come “killer delle serie tv” e
responsabile del flop della terza stagione di Star Trek e
dell’insuccesso di L’Uomo da sei milioni di
dollari e The Wild Wild
West. Mosso da una pura e semplice sete di profitto
tutta americana e senza alcun interesse particolare nei confronti
della resa qualitativa, Freiberger decise di far scomparire alcuni
personaggi essenziali e molto amati (tra i quali Victor Bergman,
David Kano e Paul Morrow), optò per una radicale riduzione del
budget che costruisce a ridurre ed impoverire gli ambienti e le
tecnologie, sino ad una scrittura sconclusionata e priva
dell’originalità dell’edizione precedente.
Tutto ciò causò non solo lo
sconcerto dei fas ma addirittura lo sdegno degli stessi attori e
tecnici, i quali ebbero più volte modo di lamentarsi dell’aria di
dilettantismo e di poca serietà che si respirava sul set. Tutte
queste problematiche non impedirono comunque ai 24 episodi della
seconda stagione di venire trasmessi nella stagione 1977-78
(1979-80 in Italia), prima che una brusca interruzione abortisse
per sempre l’ipotesi di un ulteriore seguito. Prima di congedare in
maniera frettolosa e poco nobile la serie, i produttori avevano
pensato ad un ipotetico ed ideale finale ambientato in un remoto
futuro nel quale i discendenti degli alphaniani, attraverso un
viaggio nel tempo, vengono rimandati nel XXI° secolo per incontrare
i loro progenitori, ma purtroppo di questa brillante idea di
congedo rimane solo un pallido abbozzo di sceneggiatura mai
completato.
Mossi dalla nostalgia e dal grande
culto nato attorno alla serie nel corso dei decenni successivi, il
13 settembre 1999 (data coincidente con la famosa detonazione che
causa la fuoriuscita della luna dall’orbita terreste e che da il
via alla serie), un gruppo numerosissimo di fans vecchi e nuovi si
riunì a Los Angeles per una straordinaria conventions a tema dal
titolo “Breakway”, durante la quale venne
proiettato un cortometraggio dal titolo “Messaggio da
base lunare Alpha”, scritto dallo storico
sceneggiatore della serie Johnny Bryne e prodotto
amatorialmente dal fan club Fanderson,
nel quale l’ormai anziana e celebre attrice Zenia
Merton ritorna nei nostalgici panni dell’analista dati
Sandra Benes per parlare con i terrestri ed informali che gli
alphaniani si sono finalmente installati su di un nuovo
pianeta.
Pensato come un tanto sospirato
prologo ad un possibile sequel della storica serie, in realtà esso
rappresenta niente di più che un commosso e definitivo omaggio ad
uno dei fenomeni di culto televisivo che, per oltre quarantenni dal
suo esordio sui piccoli schermi, è riuscito a crearsi un seguito
senza pari, così come testimoniano le numerose riedizioni e le
citazioni dirette ed indirette nel corso del tempo, divenendo un
vero e proprio caposaldo della fantascienza raccontata in cinquanta
minuti.