Ha aperto la sezione
Orizzonti della 78. Mostra
Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia,
La promessa – il prezzo del potere,
secondo lungometraggio del regista Thomas Kruithof
(La meccanica delle ombre), scritto dallo stesso regista
insieme a Jean-Baptiste Delafon (sceneggiatore
della celebre serie politica di Canal+ Baron Noir).
Protagonista della pellicola, la carismatica musa del cinema
francese Isabelle Huppert, nei panni di un sindaco
dei sobborghi parigini in bilico tra fede politica e una ritrovata
ambizione. Nel cast anche Reda Kateb, apprezzato
interprete di pellicole d’autore come Django e The
Specials e l’attrice premio César Naidra
Ayadi (Polisse, Ha i tuoi occhi).
La promessa – il prezzo del
potere uscirà il 10 marzo
prossimo nelle sale italiane distribuito da Notorious
Pictures.
La promessa – il
prezzo del potere, la trama
Clémence (Isabelle Huppert),
impavido sindaco di una cittadina vicino Parigi, sta completando
l’ultimo periodo del suo mandato. Con il suo fedele braccio destro
Yazid (Reda Kateb), ha combattuto a lungo per questa comunità
afflitta da disuguaglianze, disoccupazione e povertà. Tuttavia,
quando a Clémence viene offerta la carica di Ministro, la sua
ambizione prende il sopravvento, mentre la devozione e l’impegno
per i suoi cittadini iniziano a vacillare. La sua integrità
politica e le promesse elettorali sopravvivranno a queste nuove
aspirazioni?
Arriva la notizia che
La profezia
dell’Armadillo primo Album a
fumetti dell’autore romano, diventerà un film, ad annunciarlo è lo
stesso Zero Calcare dal suo blog ufficiale. La pellicola in live
action sarà diretta dall’attore Valerio Mastandrea e
sarà un film a low budget prodotto dalla Fandango
di Domenico Procacci. La sceneggiatura è scritta a
quattro mani da Mastrandrea e Zero Calcare. Al momento non si
hanno ulteriori dettagli in merito, quindi non resta che aspettare
ulteriori notizie.
La profezia dell’Armadillo volume è stato
ripubblicato dalla casa editrice Bao Publishing
(2012, pp 143, € 16,00), nella versione a colori “8-bit”.
È stato diffuso il trailer e il
poster de
La profezia dell’Armadillo, il film tratto
dall’omonimo fumetto di Zerocalcare che sarà
presentato alla prossima Mostra del cinema di Venezia. Ecco di
seguito il trailer:
La profezia dell’Armadillo arriverà nelle sale
italiane il 13 settembre, è diretto da Emanuele Scaringi e vede
protagonisti Simone Liberati, Valerio Aprea, Pietro Castellitto,
Laura Morante, Claudia Pandolfi, Kasia Smutiniak, Diana del Bufalo,
Adriano Panatta e Vincet Candela.
Ecco il poster del film:
Di seguito, la trama de La
Profezia dell’Armadillo
Zero ha ventisette anni, vive nel
quartiere periferico di Rebibbia, più precisamente nella Tiburtina
Valley. Terra di Mammuth, tute acetate, corpi reclusi e cuori
grandi. Dove manca tutto ma non serve niente. Zero è un disegnatore
ma non avendo un lavoro fisso si arrabatta dando ripetizioni di
francese, cronometrando le file dei check-in all’aeroporto e
creando illustrazioni per gruppi musicali punk indipendenti.
La sua vita scorre sempre uguale,
tra giornate spese a bordo dei mezzi pubblici attraversando mezza
Roma per raggiungere i vari posti di lavoro e le visite alla Madre.
Ma una volta tornato a casa, lo aspetta la sua coscienza critica:
un Armadillo in carne e ossa, o meglio in placche e tessuti molli,
che con conversazioni al limite del paradossale lo aggiorna
costantemente su cosa succede nel mondo.
A tenergli compagnia nelle sue
peripezie quotidiane, nella costante lotta per mantenersi a galla,
è l’amico d’infanzia Secco.
La notizia della morte di Camille, una compagna di scuola e suo
amore adolescenziale mai dichiarato, lo costringe a fare i conti
con la vita e ad affrontare, con il suo spirito dissacrante,
l’incomunicabilità, i dubbi e la mancanza di certezze della sua
generazione di “tagliati fuori”.
Oltre al regista abbiamo avuto modo
di intervistare anche i protagonisti de
La profezia dell’Armadillo: Simone Liberati,
Pietro Castellitto e Valerio Aprea.
Zero ha ventisette anni, vive nel
quartiere periferico di Rebibbia, più precisamente nella Tiburtina
Valley. Terra di Mammuth, tute acetate, corpi reclusi e cuori
grandi. Dove manca tutto ma non serve niente. Zero è un disegnatore
ma non avendo un lavoro fisso si arrabatta dando ripetizioni di
francese, cronometrando le file dei check-in all’aeroporto e
creando illustrazioni per gruppi musicali punk indipendenti. La sua
vita scorre sempre uguale, tra giornate spese a bordo dei mezzi
pubblici attraversando mezza Roma per raggiungere i vari posti di
lavoro e le visite alla Madre. Ma una volta tornato a casa,
lo aspetta la sua coscienza critica: un Armadillo in carne e ossa,
o meglio in placche e tessuti molli, che con conversazioni al
limite del paradossale lo aggiorna costantemente su cosa succede
nel mondo.
A tenergli compagnia nelle sue
peripezie quotidiane, nella costante lotta per mantenersi a galla,
è l’amico d’infanzia Secco. La notizia della morte di Camille, una
compagna di scuola e suo amore adolescenziale mai dichiarato, lo
costringe a fare i conti con la vita e ad affrontare, con il suo
spirito dissacrante, l’incomunicabilità, i dubbi e la mancanza di
certezze della sua generazione di “tagliati fuori”.
Atteso dai tantissimi fan di
Michele Rech, ovvero Zerocalcare,
arriva a Venezia 75La Profezia
dell’Armadillo, il film basato sull’omonima grafic novel e
presentato nella sezione Orizzonti. La lunga produzione travagliata
non ha giovato alla buona salute del film, ma, tra detrattori e
scettici, il film non è il naufragio che tutti annunciavano (e
qualcuno si aspettava).
La profezia
dell’Armadillo segue Zero, che insieme al suo amico Secco,
cerca di rintracciare un’amica d’infanzia per riferirle che
un’altra ragazza con cui un tempo passavano le giornate è
prematuramente morta. Parallelamente, Zero fa i conti con la sua
vita senza direzione, tra ambizioni artistiche, lavoro precario e
ripetizioni a ragazzini ricchi.
Venezia 75:
presentato La profezia dell’Armadillo, dal fumetto
di Zerocalcare
A dirigere il film c’è
Emanuele Scaringi, esordiente che film con una
regia incolore una storia frammentata, che rispecchia molto poco
l’originale del fumettista italiano e che narrativamente è
inconcludente. Tuttavia, nonostante gli evidenti problemi, il film
è genuinamente divertente, soprattutto nella prima parte,
soprattutto per i dialoghi brillanti e i tempi comici ineccepibili
messi in scena da Simone Liberati e Pietro
Castellitto, soprattutto grazie al secondo, vera e propria
stella del film.
A dare voce e corpo (sotto ad un
ingombrante costume di cartapesta) all’armadillo del titolo è il
sempre divertente Valerio Aprea, tuttavia la scelta di
allontanarsi troppo dall’originale di cellulosa rende la presenza
stessa dell’animale e della sua profezia una pure formalità che dà
nome alla storia, senza avere poi un vero e proprio senso nella
narrazione. Nel suo insieme, La profezia
dell’Armadillo è un’onesta commedia che avrebbe giovato di
un processo di ideazione e lavorazione più solido ma che riesce a
farsi voler bene.
È stata diffusa una nuova clip da
La profezia dell’Armadillo, il nuovo film diretto da
Emanuele Scaringi e basato sull’omonimo fumetto di
Zerocalcare. Il film è stato presentato al
Festival di Venezia nella sezione Orizzonti e di seguito potete
vedere la clip con protagonista l’esuberante Diana del
Bufalo.
Il film arriverà nelle sale
italiane il 13 settembre, è diretto da Emanuele Scaringi e vede
protagonisti Simone Liberati, Valerio Aprea, Pietro Castellitto,
Laura Morante, Claudia Pandolfi, Kasia Smutiniak, Diana del Bufalo,
Adriano Panatta e Vincet Candela.
Zero ha ventisette anni, vive nel
quartiere periferico di Rebibbia, più precisamente nella Tiburtina
Valley. Terra di Mammuth, tute acetate, corpi reclusi e cuori
grandi. Dove manca tutto ma non serve niente. Zero è un disegnatore
ma non avendo un lavoro fisso si arrabatta dando ripetizioni di
francese, cronometrando le file dei check-in all’aeroporto e
creando illustrazioni per gruppi musicali punk indipendenti.
La profezia dell’armadillo interviste: Simone
Liberati, Pietro Castellitto e Valerio Aprea
La sua vita scorre sempre uguale,
tra giornate spese a bordo dei mezzi pubblici attraversando mezza
Roma per raggiungere i vari posti di lavoro e le visite alla Madre.
Ma una volta tornato a casa, lo aspetta la sua coscienza critica:
un Armadillo in carne e ossa, o meglio in placche e tessuti molli,
che con conversazioni al limite del paradossale lo aggiorna
costantemente su cosa succede nel mondo.
La profezia dell’armadillo – intervista:
intervista a Emanuele Scaringi
A tenergli compagnia nelle sue
peripezie quotidiane, nella costante lotta per mantenersi a galla,
è l’amico d’infanzia Secco. La notizia della morte di Camille, una
compagna di scuola e suo amore adolescenziale mai dichiarato, lo
costringe a fare i conti con la vita e ad affrontare, con il suo
spirito dissacrante, l’incomunicabilità, i dubbi e la mancanza di
certezze della sua generazione di “tagliati fuori”.
Venezia 75: La profezia dell’Armadillo, recensione
In occasione di Venezia
75 abbiamo intervistato Emanuele
Scaringi, regista de
La profezia dell’Armadillo, il film basato
sull’omonimo fumetto di Zero Calcare.
Zero ha ventisette anni, vive nel
quartiere periferico di Rebibbia, più precisamente nella Tiburtina
Valley. Terra di Mammuth, tute acetate, corpi reclusi e cuori
grandi. Dove manca tutto ma non serve niente. Zero è un disegnatore
ma non avendo un lavoro fisso si arrabatta dando ripetizioni di
francese, cronometrando le file dei check-in all’aeroporto e
creando illustrazioni per gruppi musicali punk indipendenti. La sua
vita scorre sempre uguale, tra giornate spese a bordo dei mezzi
pubblici attraversando mezza Roma per raggiungere i vari posti di
lavoro e le visite alla Madre. Ma una volta tornato a casa,
lo aspetta la sua coscienza critica: un Armadillo in carne e ossa,
o meglio in placche e tessuti molli, che con conversazioni al
limite del paradossale lo aggiorna costantemente su cosa succede
nel mondo.
A tenergli compagnia nelle sue
peripezie quotidiane, nella costante lotta per mantenersi a galla,
è l’amico d’infanzia Secco. La notizia della morte di Camille, una
compagna di scuola e suo amore adolescenziale mai dichiarato, lo
costringe a fare i conti con la vita e ad affrontare, con il suo
spirito dissacrante, l’incomunicabilità, i dubbi e la mancanza di
certezze della sua generazione di “tagliati fuori”.
Ecco il nuovo il trailer de
La profezia dell’Armadillo, il film tratto
dall’omonimo fumetto di Zerocalcare che sarà
presentato alla prossima Mostra del cinema di Venezia. Ecco di
seguito il trailer:
Il film arriverà nelle sale
italiane il 13 settembre, è diretto da Emanuele Scaringi e vede
protagonisti Simone Liberati, Valerio Aprea, Pietro Castellitto,
Laura Morante, Claudia Pandolfi, Kasia Smutiniak, Diana del Bufalo,
Adriano Panatta e Vincet Candela.
Di seguito, la trama de La
Profezia dell’Armadillo
Zero ha ventisette anni, vive nel
quartiere periferico di Rebibbia, più precisamente nella Tiburtina
Valley. Terra di Mammuth, tute acetate, corpi reclusi e cuori
grandi. Dove manca tutto ma non serve niente. Zero è un disegnatore
ma non avendo un lavoro fisso si arrabatta dando ripetizioni di
francese, cronometrando le file dei check-in all’aeroporto e
creando illustrazioni per gruppi musicali punk indipendenti.
La sua vita scorre sempre uguale,
tra giornate spese a bordo dei mezzi pubblici attraversando mezza
Roma per raggiungere i vari posti di lavoro e le visite alla Madre.
Ma una volta tornato a casa, lo aspetta la sua coscienza critica:
un Armadillo in carne e ossa, o meglio in placche e tessuti molli,
che con conversazioni al limite del paradossale lo aggiorna
costantemente su cosa succede nel mondo.
A tenergli compagnia nelle sue
peripezie quotidiane, nella costante lotta per mantenersi a galla,
è l’amico d’infanzia Secco.
La notizia della morte di Camille, una compagna di scuola e suo
amore adolescenziale mai dichiarato, lo costringe a fare i conti
con la vita e ad affrontare, con il suo spirito dissacrante,
l’incomunicabilità, i dubbi e la mancanza di certezze della sua
generazione di “tagliati fuori”.
Sono iniziate le riprese del film
La profezia dell’armadillo, tratto dall’omonima
graphic novel di ZEROCALCARE. Alla regia
c’è Emanuele Scaringi, mentre il cast è
formato da Simone Liberati, Pietro Castellitto, Laura
Morante, Valerio Aprea, Claudia Pandolfi, Teco Celio, Diana Del
Bufalo.
Scritto da Oscar Glioti,
Pietro Martinelli, Valerio Mastandrea con la
partecipazione dello stesso Zerocalcare, il film è
prodotto da Fandango con Rai Cinema e Domenico
Procacci. Le riprese del film avranno una durata di sei
settimane e si svolgeranno a Roma e in Francia.
La sinossi de La profezia
dell’armadillo
Zero ha ventisette anni, vive nel
quartiere periferico di Rebibbia, più precisamente nella Tiburtina
Valley. Terra di Mammuth, tute acetate, corpi reclusi e cuori
grandi. Dove manca tutto ma non serve niente. Zero è un disegnatore
ma non avendo un lavoro fisso si arrabatta dando ripetizioni di
francese, cronometrando le file dei check-in all’aeroporto e
creando illustrazioni per gruppi musicali punk indipendenti.
La sua vita scorre sempre uguale,
tra giornate spese a bordo dei mezzi pubblici attraversando mezza
Roma per raggiungere i vari posti di lavoro e le visite alla
Madre. Ma una volta tornato a casa, lo aspetta la sua
coscienza critica: un Armadillo in carne e ossa, o meglio in
placche e tessuti molli, che con conversazioni al limite del
paradossale lo aggiorna costantemente su cosa succede nel mondo. A
tenergli compagnia nelle sue peripezie quotidiane, nella costante
lotta per mantenersi a galla, è l’amico d’infanzia Secco.
La notizia della morte di Camille,
una compagna di scuola e suo amore adolescenziale mai dichiarato,
lo costringe a fare i conti con la vita e ad affrontare, con il suo
spirito dissacrante, l’incomunicabilità, i dubbi e la mancanza di
certezze della sua generazione di “tagliati fuori”.
È stata diffusa una nuova clip da
La profezia dell’Armadillo, il film tratto dal fumetto
di Zerocalcare che verrà presentato al
Festival di Venezia 2018. La clip in questione
mostra proprio l’armadillo del titolo, interpretato da
Valerio Aprea, mentre pronuncia la sua profezia,
che dà il titolo alla vicenda.
La profezia dell’Armadillo arriverà nelle sale
italiane il 13 settembre, è diretto da Emanuele Scaringi e vede
protagonisti Simone Liberati, Valerio Aprea, Pietro Castellitto,
Laura Morante, Claudia Pandolfi, Kasia Smutiniak, Diana del Bufalo,
Adriano Panatta e Vincet Candela.
Di seguito, la trama de La
Profezia dell’Armadillo
Zero ha ventisette anni, vive nel
quartiere periferico di Rebibbia, più precisamente nella Tiburtina
Valley. Terra di Mammuth, tute acetate, corpi reclusi e cuori
grandi. Dove manca tutto ma non serve niente. Zero è un disegnatore
ma non avendo un lavoro fisso si arrabatta dando ripetizioni di
francese, cronometrando le file dei check-in all’aeroporto e
creando illustrazioni per gruppi musicali punk indipendenti.
La sua vita scorre sempre uguale,
tra giornate spese a bordo dei mezzi pubblici attraversando mezza
Roma per raggiungere i vari posti di lavoro e le visite alla Madre.
Ma una volta tornato a casa, lo aspetta la sua coscienza critica:
un Armadillo in carne e ossa, o meglio in placche e tessuti molli,
che con conversazioni al limite del paradossale lo aggiorna
costantemente su cosa succede nel mondo.
A tenergli compagnia nelle sue
peripezie quotidiane, nella costante lotta per mantenersi a galla,
è l’amico d’infanzia Secco.
La notizia della morte di Camille, una compagna di scuola e suo
amore adolescenziale mai dichiarato, lo costringe a fare i conti
con la vita e ad affrontare, con il suo spirito dissacrante,
l’incomunicabilità, i dubbi e la mancanza di certezze della sua
generazione di “tagliati fuori”.
Ecco il trailer e il poster
di La
Profezia del Male, il nuovo horror Sony Pictures
scritto e diretto da Spenser Cohen (I
mercenari – The Expendables) e Anna Halberg
(Extinction,Moonfall). Nel cast sono
presenti Harriet Slater (Pennyworth),
Adain Bradley, Avantika (Mean Girls) e Jacob
Batalon (Avengers: Endgame, Spider-Man:
No Way Home). La Profezia del Male sarà solo
al cinema dal 9 maggio da prodotto da Sony Pictures e distribuito
da Eagle Pictures.
Mai usare le carte di qualcun altro:
questa la regola sacra nella lettura dei Tarocchi. Quando un gruppo
di amici la infrange scatena inconsapevolmente una terribile
minaccia imprigionata nelle carte maledette. Uno dopo l’altro, i
protagonisti dovranno affrontare il loro destino in una sfida
contro la morte per sfuggire al futuro predetto nella profezia dei
Tarocchi.
Le prime immagini de
La Profezia del Male, il nuovo horror Sony
Pictures scritto e diretto da Spenser Cohen (I
mercenari – The Expendables) e Anna Halberg
(Extinction,Moonfall). Nel cast sono
presenti Harriet Slater (Pennyworth),
Adain Bradley, Avantika (Mean Girls) e Jacob
Batalon (Avengers: Endgame, Spider-Man:
No Way Home). La Profezia del Male sarà solo
al cinema dal 9 maggio da prodotto da Sony Pictures e distribuito
da Eagle Pictures.
Mai usare le carte di qualcun
altro: questa la regola sacra nella lettura dei Tarocchi. Quando un
gruppo di amici la infrange scatena inconsapevolmente una terribile
minaccia imprigionata nelle carte maledette. Uno dopo l’altro, i
protagonisti dovranno affrontare il loro destino in una sfida
contro la morte per sfuggire al futuro predetto nella profezia dei
Tarocchi.
Gentile concessione MIA |
Mercato Internazionale Audiovisivo
Gli investimenti nella produzione di
contenuti originali continuano a crescere in Italia, dove le
risorse di tutti i generi hanno raggiunto un totale di 1,8 miliardi
di euro (1,9 miliardi di dollari) grazie ai maggiori investimenti
da parte degli streamer statunitensi. Ma la TV lineare resta
il principale driver dell’industria italiana.
È quanto emerge dal rapporto annuale
sulla produzione locale presentato venerdì
dall‘APA, l’associazione dei produttori televisivi
italiani, al MIA di Roma.Secondo i
dati del rapporto APA, la liquidità di 1,9 miliardi di dollari
riversata nelle produzioni italiane di tutti i tipi nel 2022 ha
rappresentato solo un piccolo aumento rispetto al 2021, quando i
prodotto locali hanno compiutouno scatto di crescita
post-pandemia del 55%.
I prodotti cinematografici e
televisivi rappresentano attualmente il 55% di questi investimenti,
con un aumento delle risorse ora destinate ai documentari e ai
prodotti di animazione destinati principalmente alla riproduzione
in streaming. “L’investimento in costante crescita da
parte degli streamer vale attualmente quasi un terzo del mercato
televisivo totale”, ha illustrato il direttore dell’APA Chiara
Sbarigia. Ma ha osservato che “anche se stiamo vedendo che a
partire dal 2018 gli operatori globali [soprattutto streamer] hanno
aumentato gli investimenti, la TV lineare rimane il principale
attore di mercato nel nostro Paese”.
Sbarigia ha inoltre sottolineato che
l’APA sta cercando di “evitare il rischio di una polarizzazione
del mercato [italiano] con uno scenario che vedrebbe produzioni
globali [di fascia alta] da parte degli streamer contro [solo]
produzioni nazionali provenienti da operatori locali“.Eleonora Andreatta, vicepresidente Netflixper
gli originali italiani, presente al panel, ha sottolineato che
l’Italia è un territorio importante per Netflix. “Da
quando abbiamo aperto un ufficio italiano un anno e mezzo fa con un
management italiano a bordo, abbiamo svolto un lavoro sistematico
per costruire una lista di prodotti per il futuro“. I prossimi
prodotti originali Netflix Italia includono “Il
Gattopardo”, una serie di sei episodi basata sul classico
romanzo ambientato in Sicilia di Giuseppe Tomasi di Lampedusa che
costituisce l’originale italiano più ambizioso fino ad oggi del
colosso dello streaming e ha un budget di oltre 40 milioni di
euro.
Antonella d’Errico, vicepresidente
esecutivo dei contenuti di Sky Italia, ha citato un recente
rapporto della business school Bocconi di Milano, secondo cui la
piattaforma di pay-TV di proprietà di Comcast negli ultimi 10 anni
ha investito più di 11 miliardi di euro in
contenuti italiani, sia attraverso la produzione e
acquisizione. Per quanto riguarda gli originali Sky Italia di
fascia alta, ha citato la prossima sontuosa serie drammatica
“M”,
sull’ascesa al potere di Benito Mussolini, diretta da Joe Wright,
che “dovrebbe fare il giro del mondo”, ha detto.
Il suo viso pulito, lo sguardo
buono e il sorriso sempre a fior di labbra ci hanno dato
un’immagine dell’attore francese Guillaume Canet che in suo ultimo film
stravolgerà. Si intitola La Prochaine fois je
viserai le coeur, è diretto da Cédric
Anger e vede protagonista Canet nei panni di un gendarme
che nasconde un terribile segreto.
Frank è un gendarme che di giorno
va a caccia di criminali e cerca di far rispettare la legge e di
notte si trasforma in un maniaco omicida, che insegue e uccide la
sue vittime, tutte giovani donne. Quando questi suoi crimini, che
ci tiene a commentare in lettere che poi spedisce alla Gendarmeria,
diventano di tali proporzioni da coinvolgere nelle indagini anche
la polizia, Frank si impegnerà in prima persona a condurre le
operazioni di investigazione per cercare di occultare le prove che
portano a lui. Nel frattempo però scopriamo anche le sue abitudini
(inquietanti e masochiste), i suoi rapporti umani (difficili se non
inesistenti) e le sue manie, che nascondono un passato misterioso,
che forse ha contribuito a trasformarlo nel mostro che vediamo
nella storia.
Il regista Anger si basa su una
storia di cronaca degli anni ’70 e realizza un noir dal ritmo
dilatato, dai toni cupi che non si crogiola nei risvolti
sanguinolenti in cui si poteva indugiare e ci consegna un buon
prodotto di narrazione. Guillaume Canet riesce con grande presenza
scenica ad offrire un volto apparentemente impassibile al suo
tormentato personaggio, rivelando allo spettatore una figura
traumatizzata, in guerra con il mondo e, apparentemente, in alcuni
momenti, anche con se stesso.
La Prochaine fois je
viserai le coeur è un thriller dai ritmi lenti, privo
del linguaggio adrenalinico tipico del genere, ma comunque un
prodotto interessante, condotto da un ottimo protagonista.
La probabilità statistica
dell’amore a prima vista ha raggiunto in poco tempo la top 10
dei più guardati di Netflix. Si capisce presto il
perché: ha le caratteristiche giuste per un ottimo film passatempo
da guardare in qualsiasi momento. Una commedia romantica di 90
minuti dove Haley Lu Richardson e Ben
Hardy interpretano due sconosciuti Hadley e Oliver – che
si incontrano su un volo internazionale. Diretto da Vanessa Caswill su sceneggiatura di
Katie Lovejoy, il film, si basa sull’omonimo libro
di Jennifer E. Smith. Una commedia romantiche che
mette a nudo le paure dei protagonisti la cui interpretazione
rispecchia al meglio il disagio dei giovani adulti tra ansie e
perplessità.
Haley Lu Richardson, nota per le sue notevoli
interpretazioni in The White
Lotus e Five Feet Apart, interpreta Hadley, una giovane
donna vivace e amante della letteratura. Accanto a lei, Ben Hardy,
noto per i suoi ruoli in
Bohemian Rhapsody e X-Men: Apocalypse, interpreta Oliver, un laureato in
statistica affascinante e attento ai dati. Insieme, formano
un’affascinante coppia per questa commedia romantica targata
Netflix.
La probabilità statistica
dell’amore a prima vista, la trama
La probabilità statistica
dell’amore a prima vista ripercorre 24 ore di vita di Hadley e
Oliver, entrambi in volo per Londra per importanti cerimonie
familiari. I due si incontrano all’aeroporto internazionale JFK, si
appisolano su sedili congiunti della business class e per poco non
si baciano in fila per il bagno. Jameela Jamil, una dea fortuna travestita da
hostess di volo (e molti altri travestimenti), scocca tutte le
frecce al suo arco per far nascere questo amore. Ed è anche il
narratore onnisciente del film che mescola cultura cinematografica
a quella letteraria. C’è molto Shakespeare già
nelle prime immagini del film quando il personaggio di Jamil legge
Sogno di una notte di mezza estate.
Un viaggio in aereo di nove ore
permetterà a Hadley e Oliver di bruciare le tappe e vivere tre
appuntamenti in uno. L’amore a prima vista si presta molto al tema
della statistica, tema che ritorna preponderante nella pellicola.
Alcune coincidenze che coinvolgono un volo perso, una cintura di
sicurezza rotta e un telefono scarico portano i due giovani
protagonisti a sedere l’uno accanto all’altra sul volo. Nelle sette
ore successive, Hadley dice a Oliver che andrà a Londra per
partecipare al secondo matrimonio del padre (Robert
Delaney). Oliver non le dice per quale motivo sta
tornando a casa, ma da alcuni flashback capiamo subito che riguarda
la madre malata.
Nel segno della statistica
Questo legame così delicato, dolce
ed esitante, tra i due giovani verrà però incalzato dalla stessa
statistica e probabilità che li
ha fatti incontrare. Un numero di telefono disperso e un cognome
dimenticato saranno dei tasselli chiave in questo amore che sfida
la probabilità statistica. Oltre a questo, però si aggiunge anche
il tema delle famiglie, attori esterni alla coppia. Da una parte il
padre di Hadley che vuole recuperare il tempo perduto con la figlia
dopo il divorzio. E dall’altra la mamma di Oliver. Gli accenni alla
malattia e le dinamiche familiari complesse non rendono La
probabilità statistica dell’amore a prima vista un film
strappalacrime. Sicuramente dato le dinamiche trattate è un film
che lasciano con il groppo in gola.
Allo stesso modo di vuole una buona
dose di sospensione dell’incredulità poiché i due fanno sembrare
perfettamente ragionevoli ed emotivamente ovvi l’innamorarsi, il
perdersi, il primo litigio e il riappacificarsi nel giro di 24 ore.
Ma alla fine serve proprio a questo la commedia
romantica a trasportarci in un mondo dove tutto è concesso
e lasciarci andare all’immaginazione. L’amore a prima vista più
forte delle probabilità mette in moto una concatenazione di eventi
che esplodono nella testa di Hadley. Alla fine del film il
significato di amore prende sfumature diverse e l’idea stessa di
amore si riconcilia con tutti i personaggi regalando loro il lieto
fine.
Netflix non ha mai mancato di fornire ai
propri abbonati film romantici di ogni tipo e
provenienti da ogni parte del mondo, storie capaci di emozionare e
regalare una visione spensierata, grazie alla quale potersi
riappacificare con il mondo. Solo di recente, titoli come
Voglio crederci, Tattiche d’amore 2, Da me o da te, Dalla mia finestra: Al di là del
mare o Choose Love, si sono
affermati tra i film Netflix più visti sulla
piattaforma. A questi si aggiunge ora anche La
probabilità statistica dell’amore a prima vista,
adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di
Jennifer E. Smith, pubblicato nel 2011.
Diretto da Vanessa
Caswill, già regista dell’apprezzata miniserie televisiva
Piccole donne e qui al suo debutto dietro la macchina da
presa di un lungometraggio, il film porta dunque sullo schermo
un’apprezzata storia d’amore, senza risparmiarsi in momenti
divertenti e altri struggenti. Prima di intraprendere una visione
del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle
principali curiosità relative ad esso. Proseguendo qui nella
lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli
relativi alla trama e al cast di
attori, ma soprattutto riguardo alcune significative
differenze esistenti tra il film e il libro.
Infine, si elencheranno anche i passaggi da compiere per vedere il
titolo su Netflix.
La trama e il cast di La
probabilità statistica dell’amore a prima vista
Protagonista del film è
Hadley, una giovane che ha appena perso l’aereo
per Londra ed è rimasta bloccata in attesa del prossimo volo.
L’inconveniente passa però in secondo piano quando incontra
Oliver, un ragazzo inglese seduto nella sala
d’attesa. Anche lui è costretto a passare la notte in aeroporto
aspettando di partire per Londra e così i due iniziano a parlare,
facendo scattare immediatamente un’incredibile sintonia. Quando
dopo aver infine preso il volo ed essere arrivati a Londra si
perdono di vista, l’unico pensiero per entrambi è quello di
ritrovarsi. Il destino, in questo, darà loro una mano, cambiando
per sempre le loro vite.
Ad interpretare Hadley troviamo
l’attrice Haley Lu Richardson, principalmente nota
per il ruolo di Tess nella serie televisiva Ravenswood e per
i suoi lavori nelle pellicole 17 anni (e come uscirne
vivi), Columbus e A un metro da te. Oliver è
invece interpretato da Ben Hardy, noto per il
ruolo di Roger Taylor in Bohemian Rhapsody e nel
ruolo di “Quattro” in 6 Underground. Recitano poi nel film
Rob Delaney nei panni di Andrew Sullivan, padre di
Hadley, e Dexter Fletcher e Sally
Phillips nei panni di Val e Tessa Jones, genitori di
Olive. L’attrice Jameela Jamil fornisce invece la
voce narrata, che in italiano è invece fornita da Ilaria
Stagni.
La probabilità statistica
dell’amore a prima vista, le differenze tra il film e il
libro
Il libro di Jennifer E.
Smith, The Statistical Probability of Love At First
Sight è abbastanza compatto da aver permesso ai produttori di
non dover eliminare troppi dettagli importanti della storia.
Vengono però apportate alcune modifiche che conferiscono tuttavia
al racconto una propria identità. Non solo il film Netflix rimane
dunque piuttosto fedele al libro, ma i cambiamenti effettuati
migliorano il racconto. La prima differenza la si ritrova
nell’età dei protagonisti. Il film li rende
infatti leggermente più adulti rispetto al romanzo, dove sono
invece degli adolescenti. Nel libro, infatti, Hadley frequenta
ancora la scuola superiore e ha diciassette anni. Oliver, invece,
ne ha 19 anni e studia a Yale. Nel film, invece, Hadley ha 20 anni
e Oliver 22.
Tale cambiamento è stato
probabilmente apportato perché lascia alla storia più libertà di
mostrare i personaggi che bevono e compiono altre attività
più adulte. Un altro cambiamento lo si ritrova invece nel
modo in cui Oliver e Hadley si conoscono. Nel
libro ciò avviene quando in aeroporto lui cerca di aiutarla con i
bagagli, mentre nel film lui le offre il suo caricatore. Molte
delle scene in aereo si svolgono poi in modo diverso, ad esempio
quando finiscono per sedersi vicini. Nel libro i loro posti sono
già assegnati e vicini l’uno all’altro, mentre nel film una signora
anziana scambia il suo posto con Oliver per consentirgli di sedersi
accanto ad Hadley.
Nel rapporto tra Oliver e Hadley,
un’altra differenza la si ha riguardo il loro primo
bacio. Nel film questo avviene verso la fine, quando i due
partecipano ad un memoriale, mentre nel romanzo il loro primo bacio
lo si ha già all’aeroporto, prima che i due prendano strade
separate. Per il film, si è invece deciso di riservare tale
significativo momento per il finale. E proprio riguardo il
finale, La probabilità statistica dell’amore a prima
vista offre invece una conclusione più rassicurante, facendo
affermare al narratore che Oliver e Hadley staranno insieme per
tutta la vita, mentre tale dettaglio è omesso dal libro. Anche
riguardo il narratore vi è un’importante
differenza tra il film e il libro, poiché in quest’ultimo tale
elemento è del tutto assente.
Il trailer di La probabilità
statistica dell’amore a prima vista e come vedere il film
su Netflix
Come anticipato, è possibile fruire
di La probabilità statistica dell’amore a prima
vista unicamente grazie alla sua presenza nel
catalogo di Netflix, dove attualmente è al
1° posto della Top 10 dei film più visti
sulla piattaforma in Italia. Per vederlo, basterà dunque
sottoscrivere un abbonamento generale alla piattaforma scegliendo
tra le opzioni possibili. Si avrà così modo di accedere al catalogo
e di guardare il titolo in totale comodità e al meglio della
qualità video, avendo poi anche accesso a tutti gli altri prodotti
presenti nella piattaforma.
Ecco il trailer americano de
La Principessa Splendente, che si
intitolerà negli USA The Tale of the PrincessKaguya e che è stato prodotto dallo Studio
Ghibli.
Chloe Grace
Moretz doppierà il film nella versione anglofona insieme a
James Caan, Mary Steenburgen, Darren Criss, Lucy Liu, Beau
Bridges, James Marsden, Oliver Platt e Dean
Cain.
Il film è diretto da
Isao Takahata, cofondatore dello studio, che
ha dichiarato: “Quello che contava per me, era mostrare che il
nostro mondo è meraviglioso, straordinario, incredibile.
Sicuramente lontano da qui esisteranno altri corpi celesti con
caratteristiche simili, non so lo. Ma per me c’è della bellezza in
questo mondo che nasce dalla diversità, dalla vita vegetale e
animale che esiste sulla Terra. E’ in questo contesto che più
esistere la vita umana.”
La trama: Il film è la trasposizione
cinematografica di Taketori Monogatari, la storia del taglia
bambù. Narra di un contadino che, mentre tagliava del bambù,
all’interno di uno dei fusti trova una piccola bambina, grande
quanto un pollice. L’uomo, senza figli, la prende e la porta a casa
da sua moglie, ed insieme decidono di allevarla come bambina
propria. Ma crescendo, la piccola Kaguya si troverà a scoprire la
sua vera identità, quella di non essere una persona qualunque ma
una principessa.
Sappiamo che La
Principessa Splendente sarà il prossimo film dello
Studio Ghibli che vedremo qui in Italia. Lo stesso vale per gli
Stati Uniti, dove il film uscirà con il titolo
di The Tale of the Princess Kaguya e
dove si stanno approntando i preparativi per il doppiaggio. La
scelta è caduta sulla giovane Chloe Grace
Moretz che doppierà il film insieme a James Caan,
Mary Steenburgen, Darren Criss, Lucy Liu, Beau Bridges, James
Marsden, Oliver Platt e Dean Cain.
Il film è diretto da
Isao Takahata, cofondatore dello studio, che
ha dichiarato: “Quello che contava per me, era mostrare che il
nostro mondo è meraviglioso, straordinario, incredibile.
Sicuramente lontano da qui esisteranno altri corpi celesti con
caratteristiche simili, non so lo. Ma per me c’è della bellezza in
questo mondo che nasce dalla diversità, dalla vita vegetale e
animale che esiste sulla Terra. E’ in questo contesto che più
esistere la vita umana.”
La trama: Il film è la trasposizione
cinematografica di Taketori Monogatari, la storia del taglia
bambù. Narra di un contadino che, mentre tagliava del bambù,
all’interno di uno dei fusti trova una piccola bambina, grande
quanto un pollice. L’uomo, senza figli, la prende e la porta a casa
da sua moglie, ed insieme decidono di allevarla come bambina
propria. Ma crescendo, la piccola Kaguya si troverà a scoprire la
sua vera identità, quella di non essere una persona qualunque ma
una principessa.
Di seguito invece il trailer de
La Principessa Splendente, mostrato in
occasione del Festival di Cannes:
Sappiamo che
Si alza il vento, ultimo film di
Hayao Miyazaki, arriverà al cinema per un’uscita purtroppo ridotta il prossimo
autunno, ma lo Studio Ghibli continua a sfornare capolavori, e
il prossimo film della casa di produzione, distribuita da noi da
Lucky Red, che vedremo sul grnade schermo, è già stato designato.
Si tratta di La Principessa Splendente,
in originale Kaguya-hime no monogatari.
Non si hanno ancora date, ma il sito dello Studio Ghibli ci rassicura che il film arriverà
prossimamente.
Il film è diretto da
Isao Takahata, cofondatore dello studio, che
ha dichiarato: “Quello che contava per me, era mostrare che il
nostro mondo è meraviglioso, straordinario, incredibile.
Sicuramente lontano da qui esisteranno altri corpi celesti con
caratteristiche simili, non so lo. Ma per me c’è della bellezza in
questo mondo che nasce dalla diversità, dalla vita vegetale e
animale che esiste sulla Terra. E’ in questo contesto che più
esistere la vita umana.”
La trama: Il film è la trasposizione
cinematografica di Taketori Monogatari, la storia del taglia
bambù. Narra di un contadino che, mentre tagliava del bambù,
all’interno di uno dei fusti trova una piccola bambina, grande
quanto un pollice. L’uomo, senza figli, la prende e la porta a casa
da sua moglie, ed insieme decidono di allevarla come bambina
propria. Ma crescendo, la piccola Kaguya si troverà a scoprire la
sua vera identità, quella di non essere una persona qualunque ma
una principessa.
Di seguito invece il trailer de
La Principessa Splendente, mostrato in
occasione del Festival di Cannes:
La recensione del film
d’animazioneLa Principessa
Mononoke del maestro dell’animazione giapponese
Hayao Miyazaki.
Sinossi: Il giovane Ashitaka,
principe Emishi, per difendere il proprio popolo da un
demone-cinghiale di nome Nago comparso sul suo territorio, lo
affronta e lo uccide, uscendo tuttavia ferito dal combattimento. La
ferita del demone abbatte sul principe una maledizione che lo
condanna a morte certa, e così Ashitaka decide di abbandonare il
villaggio per la salvaguardia dei suoi cittadini e per scoprire le
origini del demone. Durante il viaggio, Ashitaka incontra San, una
ragazza cresciuta con i lupi e chiamata La Principessa
Mononoke. Il principe scoprirà molto presto che
l’intera foresta in cui San vive con i lupi, con le scimmie e con
il bellissimo Dio della Foresta è in lotta da tempo con la Città
del Ferro e con la sua padrona Eboshi, colpevoli di perpetrare lo
sfruttamento di alberi e di materie prime, indebolendo in questo
modo la foresta stessa.
Ashitaka scoprirà anche che il
demone Nago, da lui ucciso, era un Dio tramutato in demone dalla
ferita di un proiettile, sparato proprio da Eboshi. La Città del
Ferro, alleatasi con gli emissari imperiali, si prepara ad
abbattere per sempre il popolo della foresta, tentando di ucciderne
il Dio. Ashitaka si troverà coinvolto nella guerra, sperando di
riuscire a mediare le varie posizioni e schierandosi infine al
fianco di San, di cui si è innamorato. Un altro capolavoro di
Miyazaki, rovinato – in parte – dal doppiaggio
italiano.
Analisi: Ogni
opera di Miyazaki andrebbe vista con la dovuta
preparazione: bisogna prepararsi prima di immergersi in un mondo
che ha poco a che fare con le nostre idee di ‘cartone animato’ e di
‘favola’, ma che non può fare a meno di coinvolgerci e trascinarci
con sé. ‘Mononoke-hime’ debutta in Giappone il 12 luglio 1997 ed
è immediatamente un successo di pubblico, al punto da essere
trasmesso e ri-trasmesso nelle sale cinematografiche e da essere
tuttora il secondo film più visto di sempre in terra nipponica
(dopo ‘Titanic’). Nel 1998 venne scelto come film rappresentante
del Giappone per la candidatura all’Oscar per il miglior film
straniero, senza arrivare tuttavia alla fase finale. Nonostante il
grande consenso ottenuto dal film in Giappone, in Italia
La Principessa Mononoke arriva solo il 19
maggio 2000, grazie alla distribuzione della Buena Vista Pictures
(come è possibile immaginare, il film fu comunque distribuito in
pochissime sale). Non c’è dubbio che gli amanti del genere e di
Miyazaki si siano precipitati a vederlo; il più grande rimpianto
sta nel non riuscire a fare arrivare questi capolavori al grande
pubblico.
La Principessa Mononoke:
recensione del film
La storia de La
Principessa Mononoke è ambientata nel periodo
Muromachi (1392-1573), un’era considerata rinomatamente di
transizione verso i primi bagliori dell’epoca moderna. Umani e dei
al tempo coesistevano, insieme ai demoni, ma il periodo era caotico
e confuso, privo di punti di riferimento. Miyazaki
sceglie l’epoca Muromachi proprio con l’intento di creare
un’atmosfera simile a quella che si respirava nel 1997, il tramonto
del ventunesimo secolo, un’altra fase di transizione, anche se in
altri luoghi e in altri tempi. Eppure le tematiche affrontate –
quelle care al regista giapponese – sono più che mai attuali: la
distruzione della natura ad opera di popoli ambiziosi, egoisti e
senza scrupoli; le guerre, difficilmente utili, che popolano
l’intero pianeta; l’amicizia e l’amore. La morale, in fondo, è
facile da capire: l’uomo e la natura dovrebbero serenamente
coesistere e bisognerebbe imparare a costruire, più che
precipitarsi a distruggere. Ma c’è di più: se il mondo va a rotoli,
non è detto che non esista una ragione per viverci ugualmente.
Ashitaka era un condannato a morte, spinto solo dall’amore per il
suo popolo e da una vana speranza di guarigione, eppure rinasce
grazie a San. La voglia di proteggerla e di liberarla, nello stesso
tempo, dalla condanna di una vita infelice (né donna né lupo, come
spiega bene Moro) lo rendono un uomo se possibile più coraggioso,
più valoroso e più assennato. Come direbbe il principe Emishi,
“vedere cosa accade con occhi non velati dall’odio” ti dà una
visione del tutto diversa delle azioni che si compiono. Eboshi,
l’arrogante padrona della Città di Ferro, non riesce a liberarsi
dalla sua avidità, nemmeno alla fine, come il doppiaggio italiano
ci fa erroneamente dedurre. E su questo bisogna inevitabilmente
puntare il dito contro la distribuzione italiana, che spesso
pensando di far bene commette solo un terribile danno che colpisce
tanto il regista quanto lo spettatore. Quando Eboshi dichiara “Oggi
ho capito che la foresta è sacra e nessuno ha il diritto di
profanarla”, in realtà nella versione giapponese esclamava un ben
meno ‘pentito’ “Io ci rinuncio, non posso vincere contro gli
stupidi”. Il finale lascia la porta aperta all’immaginazione o, se
si vuole essere più precisi, ad un futuro inesplorato.
Miyazaki sottolinea che la natura umana non è
perfetta, che spesso l’amore incontra difficoltà insormontabili e
spesso non ci si pente del male commesso, anche se ha portato solo
distruzione. In fin dei conti, però, si va avanti lo stesso, senza
un lieto-fine eclatante, ma con piccoli spiragli di luce. A
dimostrazione che il mondo si sposta a passi infinitesimali e
all’uomo basta poco per vivere il tempo che ha a disposizione il
più felicemente possibile.
Siamo in Giappone, nel
cosiddetto periodo “Muromachi” (1392-1573). Il giovane e coraggioso
Ashitaka si scontra con un cinghiale posseduto da un Dio malefico e
si impregna della sua maledizione, che dovrebbe portarlo alla morte
in breve tempo. Partirà allora verso l’Ovest per tentare di
neutralizzare il suo effetto. Si imbatterà in una guerra tra un
piccolo villaggio “tecnologico” e un bosco incontaminato, dove vive
il Dio-Bestia, creatura che regna su ogni cosa esistente.
Uscito originariamente nel 2000 in
Italia, La Principessa Mononoke torna in
una versione ridoppiata (8-15 maggio) grazie a Lucky Red. Come del
resto tutte le pellicole di Hayao Miyazaki, non è
un semplice cartone animato, ma dietro alla perfezione del comparto
visivo, qui realizzato sia in computer grafica che a mano, si
palesa una storia che mette sul piatto moltissimi temi e
altrettante riflessioni: l’eterno scontro tra uomini e Dei, il
progresso tecnologico contrapposto alla natura incontaminata, il
ruolo degli uomini e delle donne, l’ignoranza (con significato di
non-conoscenza) e più in generale il senso della bellezza del
mondo, della vita. Temi che potrebbero essere raccontati in decine
di modi diversi, ma Miyazaki sceglie la via che gli è familiare,
dove lascia trasparire la passione per la natura, per la vita a
contatto con gli animali, in una raffigurazione incantevole dello
spazio aperto.
Non è affatto un film
consolatorio, che cerca a tutti i costi un lieto fine. Lo stesso
Miyazaki dirà che “non ci può essere un lieto fine tra gli Dei
della foresta e gli uomini”. Ma prova comunque a cercare una
soluzione e prima di arrivarci mostra storie di vendetta, violenza,
ma anche umanità e pietà. Insomma, un’ampia rosa di sentimenti
umani. L’intreccio narrativo non è per niente semplice, così come i
suoi personaggi, che vanno oltre il concetto di buono e cattivo,
perché ognuno ha delle ragioni ben precise su quello che fa e dal
canto suo, si trova dalla parte giusta. La figura del protagonista
si discosta da questa ambiguità e simboleggia invece una purezza
d’animo e di giustizia, che è presente sin da subito e, nonostante
il viaggio affrontato, non subisce scossoni, ma anzi consolida la
sua forte umanità. Parallelamente, la principessa Mononoke, che
vive in simbiosi con il mondo animale e degli Dei, compie un
percorso molto più profondo, che non la porta a cambiare opinione
sul mondo umano, ma ad entrarvi in contatto in un modo che non
aveva mai assaporato.
La Principessa
Mononoke è Miyazaki in tutto il suo splendore.
Sorretto da una storia complessa che può essere letta a più
livelli, il film è la bellezza delle immagini e l’amore che il
regista giapponese nutre per la Natura, nel senso più generico del
termine. Lo spettatore ne viene travolto e incantato.
Bellissimo.
La recensione del film d’animazioneLa
principessa e il ranocchio diretto
da Ron Clements e John Musker prodotto da
Walt Disney Pixar.
Nella New Orleans degli anni 20’ la
giovane Tiana lavora duramente per realizzare il sogno di suo padre
:aprire un ristorante tutto suo. Non sembra esserci tempo per il
matrimonio quando alla festa in maschera della sua ricca amica
Charlotte i proprietari del locale si dichiarano non più disposti a
vendere; finché , sul balcone con gli occhi al cielo in attesa di
un miracolo , Tiana non viene spaventata da uno strano ranocchio :
dice di essere il principe Naveen e di avere bisogno del bacio di
una principessa …
Regia: Ron Clements, John Musker
Anno: 2009
Con le voci di:
Anika Noni Rose/Domitilla D’Amico/Karima Ammar: principessa Tiana;
Keith David/Luca Ward: Dottor Facilier; Jim Cummings/Luca Laurenti:
Ray; Bruno Campos/Francesco Pezzulli: principe Naveen.
Trama del film La
principessa e il ranocchio: Nella New Orleans degli anni
20’ la giovane Tiana lavora duramente per realizzare il sogno di
suo padre: aprire un ristorante tutto suo. Non sembra esserci tempo
per il matrimonio quando alla festa in maschera della sua ricca
amica Charlotte i proprietari del locale si dichiarano non più
disposti a vendere; finché, sul balcone con gli occhi al cielo in
attesa di un miracolo, Tiana non viene spaventata da uno strano
ranocchio: dice di essere il principe Naveen e di avere bisogno del
bacio di una principessa …
Analisi: Col
dominio incontrastato della CGI e l’estenuante ricerca di
perfezione e profondità tridimensionale è davvero ammirevole il
tentativo della Walt Disney Pictures di ritrovare
sé stessa (dopo anni di oscurantismo e smarrimento ) a mezzo delle
vecchie tecniche d’animazione che hanno accompagnato la nostra
infanzia e che ancora ci fanno sognare ,attraverso una storia
di estrema classicità (forse anche troppa): La
principessa e il ranocchio è in tutto e per tutto un
film Disney secondo il canone tradizionale (curiosamente voluto con
insistenza proprio da John “MR Pixar “ Lasseter), che non solo si
basa sul più noto e immortale fra i topoi fiabeschi (il principe
ranocchio che per tornare normale ha bisogno di un bacio della sua
amata ) ma si caratterizza per un gusto volutamente patinato e
retrò al punto tale che probabilmente se il film fosse uscito dieci
anni fa ben poco sarebbe cambiato.
Anche se abilmente nascoste,
comunque delle novità ci sono e parecchio interessanti, soprattutto
nell’ambientazione: dopo tanti regni immaginari e luoghi perduti
nel tempo e nello spazio i riflettori sono tutti per lei, una
luminosa New Orleans, la città dove tutti quanti voglion fare il
jazz, terra del banjou e di riti vodoo da brivido;
impossibile non riconoscere negli sfavillanti colori del carnevale
e nelle inquietanti atmosfere del cimitero Lafayette una
dichiarazione d’amore smisurata, insieme a una lacrima di
nostalgia, per una città crocevia di culture uscita distrutta dal
terribile uragano Katrina e improvvisamente rinata, lì davanti a
noi al massimo del suo fascino magnetico.
La principessa e il
ranocchio, personaggi di una favola Disney
Moderna è anche l’indole della
bella Tiana , principessa di cuore e non di titolo che invece di
pensare al matrimonio come le tante sue colleghe lavora notte e
giorno per potersi permettere il ristorante dei suoi sogni e
che , perfettamente in sintonia con l’era Obama, è per la prima
volta (ed era ora )una giovane afroamericana; simpaticamente
scanzonato e spendaccione invece il tanto agognato principe
Naveen , assai poco avvezzo al risparmio e alle responsabilità che
proprio per cercare facile ricchezza finirà nella trappola del
villain.
Ben più stellari sono però i
personaggi di contorno: la lucciola sdentata Ray
,visibilmente modellata sul grande Louis Armstrong e innamorata
della stella Evangeline, la simpaticissima amica Charlotte La
Bouff, ossessionata dalla ricerca del suo principe azzurro e
disposta a qualsiasi sacrificio (chissà se riuscirà a sposare il
fratellino seienne del principe una volta diventato adulto…), il
Dottor Facilier , che nel “facilitare” la vita delle sue vittime
accumula un debito che può essere saldato soltanto a prezzo della
propria anima e il suo alter ego positivo Mama Odi , arzilla
vecchietta ultracentenaria simile a una santona nell’aspetto e alla
fata turchina nelle movenze.
Impeccabili i disegni e l’uso dei
colori , le pennellate arcobaleno degli incantesimi vodoo e gli
azzurri della palude e del cielo stellato che si sposano
perfettamente con l’atmosfera carnevalesca e multietnica della
mitica città a mezza luna, da gustarsi finalmente senza
odiosi occhialini inutili ma pronti egualmente ad entrare
nell’immaginario dei bambini di oggi che ormai quasi rischiano di
disconoscere il mondo in 2D.
E’ un peccato allora che nonostante
le interessanti premesse e la suggestiva opportunità di dialogare
con un passato che definire glorioso nel genere è dire poco, nel
tentativo di mixare al meglio la dimensione umana del cartoon con
quella “animale” (da sempre grande cavallo di battaglia della
Disney ) la pellicola di Ron Clements e John
Musker ( registi dei bellissimi “Aladdin “e la
“Sirenetta”) si smarrisce a metà strada : dal momento in cui i
protagonisti vendono trasformati in ranocchi il film inizia
inesorabilmente ad annoiare, non riuscendo più a emozionare neppure
al momento del necessario happy ending , salvando dal generale
senso di stanchezza solo pochissimi momenti (la ballata delle
lucciole sul banjou e la poetica riunione di Ray alla sua
Evangeline).
Nella favola La
principessa e il ranocchio le citazioni dal passato
Disneyano e non non si fanno certo mancare: Facilier ricorda
l’Ade di Hercules,
il ranocchio Naveen sembra il fratello gemello di Jean Bob ne
“l’incantesimo del lago” e il servo Lawrence è praticamente
fotocopiato dal Nathaniel di “come ‘incanto”, eppure la
giusta dimensione evocativa non viene aiutata dalla colonna
sonora di Randy Newman: pur in sintonia con le atmosfere jazz degli
anni ’20 , i motivi musicali si scoprono totalmente non
orecchiabili (è incredibile come tutti i pezzi della colonna sonora
scivolino via senza lasciare traccia quando in passato bastava un
solo ascolto perché restassero impresse).
Nessuno mette in dubbio che sia un
prodotto molto carino e deliziosamente fuori tempo e che
bisognerebbe cercare di investire di più nel candore e nella
semplicità del disegno a mano, ma per costruire una buona difesa
contro l’avanzata del digitale bisognerebbe cercare di osare di più
senza aver paura di scontentare gli “storici” né di essere mal
giudicati da chi è cresciuto ( a volte davvero male ) a pane e
pixel. Per dirla come la saggia mamma Odi: avremo anche avuto
quello che volevamo, ma abbiamo davvero avuto ciò di cui avevamo
bisogno?
Dopo il trionfo al
Festival di Sanremo dove hanno vinto il Premio della Critica “Mia
Martini” e il Premio della Sala Stampa “Lucio Dalla” con il brano
“Splash”, Colapesce e Dimartino
collezionano un altro grande successo con il loro film d’ esordio
La primavera della mia vita – evento speciale
nei cinema dal 20 al 22 febbraio – che ha incassato €213.000
(dati Cinetel), piazzandosi per il terzo giorno consecutivo sul
podio del box office .
La primavera della mia vita rappresenta così
il secondo film evento per incassi del 2023. Il percorso del film
prosegue ora in alcune sale selezionate sul territorio nazionale
dove rimane in programmazione. Il film è diretto da Zavvo
Nicolosi, alla sua opera prima. La sceneggiatura è di
Michele Astori, Antonio Di Martino, Lorenzo Urciullo e Zavvo
Nicolosi da un soggetto firmato Di Martino, Urciullo e Nicolosi.
Colapesce e Dimartino firmano anche la colonna
sonora originale pubblicata da CAM Sugar, di cui fa parte il brano
“Splash” (Numero Uno/Sony Music), che accompagna i
titoli di coda della pellicola.
La primavera della mia vita è prodotto da
Wildside, società del gruppo Fremantle, e Vision Distribution,
coprodotto da Sugar Play in collaborazione con Sky e con Prime Video con il sostegno della Regione
Siciliana, Assessorato del Turismo dello Sport e dello Spettacolo,
Sicilia Film Commission, ed è uscito nei cinema come evento
speciale con Vision Distribution.
Vision
Distribution, Wildside, società del
gruppo Fremantle, e Sugar Play presentano il trailer ufficiale del
film La primavera della mia vita, che segna il
debutto al cinema di Colapesce e Dimartino, in
uscita come evento speciale nelle sale italiane dal 20 al
22 febbraio.
Tra i più attesi
artisti in gara al prossimo Festival di Sanremo, con il
brano “Splash” (Numero Uno/Sony Music), presente anche
nei titoli di coda del film, Colapesce e Dimartino
sono i protagonisti, autori del soggetto e della sceneggiatura,
nonché autori e interpreti della colonna sonora originale in uscita
per CAM Sugar.
Un sorprendente
road movie con molti inattesi special guest musicali:
Madame, Roberto Vecchioni, Brunori Sas, ErlandØye e La
Comitiva. Nel cast Stefania Rocca, la
loro eccentrica agente, Corrado Fortuna, il
meccanico con un’imprevedibile passione per i Doors,
Demetra Bellina, la misteriosa Sofia,
accompagneranno i due protagonisti in un viaggio surreale e
poetico.
La
primavera della mia vita è la rocambolesca storia di
due amici, con un passato musicale in comune e un futuro tutto da
scrivere. Dopo la rottura del loro sodalizio professionale e un
lungo periodo di silenzio, Antonio (Dimartino) ricontatta Lorenzo
(Colapesce) per un nuovo, misterioso e affascinante progetto.
Questa volta la musica non c’entra, ma la posta in gioco è così
alta da smontare l’iniziale diffidenza di Lorenzo e la scadenza
così stretta da trascinare i due amici in una spericolata, quanto
temeraria, corsa contro il tempo in cui le sorprese non finiscono
mai. E Antonio e Lorenzo dovranno fare i conti con il proprio
passato e con se stessi. Fino ad una sconvolgente rivelazione.
Il film è diretto
da Zavvo Nicolosi, alla sua opera prima. La
sceneggiatura è di Michele Astori, Antonio Di Martino,
Lorenzo Urciullo e Zavvo Nicolosi da un
soggetto firmato Di Martino,
Urciullo e Nicolosi.
La primavera della mia vita è
prodotto da Mario Gianani e Lorenzo Gangarossa per Wildside,
società del gruppo Fremantle, da Vision Distribution, coprodotto da
Filippo Sugar ed Elisabetta Biganzoli per Sugar Play, in
collaborazione con Sky e con Prime Video con il sostegno della Regione
Siciliana, Assessorato del Turismo dello Sport e dello Spettacolo,
Sicilia Film Commission. Il film uscirà nei cinema come evento
speciale dal 20 al 22 febbraio 2023 con Vision
Distribution.
La primavera della mia
vita – “La vita è un susseguirsi di Gesù, tasse,
rapporti deludenti. E poi muori.”
Metti per caso un road movie in
Sicilia dove tra folklore ed estetica alla Wes Anderson si colloca
La primavera della mia vita. Il film con Colapesce Dimartino, reduci dal successo di
Sanremo 2023 con la vittoria del premio Sala
Stampa Lucio Dalla e il premio della critica Mia Martini con
“Splash” – che compone anche la colonna sonora di questo film. Il
duo canoro si è occupato anche dell sceneggiatura del film aiutato
da Zavvo Nicolosi, regista alla sua opera prima.
Un sorprendente road movie con molti inattesi special guest
musicali: Madame, Roberto Vecchioni, Brunori Sas,
ErlandØye e La Comitiva. Nel cast
Stefania Rocca, la loro eccentrica agente,
Corrado Fortuna, il meccanico con un’imprevedibile
passione per i Doors, Demetra Bellina, la
misteriosa Sofia, accompagneranno i due protagonisti in un viaggio
surreale e poetico. Il film sarà distribuito in sala dal 20 al 23
febbraio per Vision
Distribution.
La primavera della mia vita, la
recensione
Quello che fanno Colapesce
Dimartino alle parole è un regalo a tutto il pubblico.
Prima con le loro canzoni portando sul palco tematiche complesse
unendo una vibe dance anni ’70 e adesso con La primavera
della mia vita. Il film di Zavvo Nicolosi
– che dirige i videoclip del duo ma si trova alla prima volta
dietro la macchina da presa di un film – si riconcilia molto con la
natura in tutte le sue sfaccettature. In particolare, la
natura nel film è centrale per raggiungere la
riconciliazione interiore con noi stessi e con le persone a noi
care. Colapesce Dimartino interpretano una
versione più amplificata di loro stessi, Lorenzo e
Antonio, in un road trip per la Sicilia mostrano
le meraviglie del territorio grazie a delle inquadrature fisse e
movimenti di macchina ridotti a zero.
La primavera della mia
vita è la rappresentazione di una
rinascita che si articola su tre livelli: la
rinascita di Antonio e Lorenzo come singoli ma anche della loro
ritrovata amicizia. I due, infatti, anche nel film sono amici che
hanno iniziato la loro carriera canora insieme e a causa di visioni
artistiche differenti litigano e si separano per tre anni. In
questo periodo non hanno mai interagito: Lorenzo
ha intrapreso una carriera a Milano, il classico siciliano che va
al nord per trovare lavoro, Antonio ha subito un
grave incidente ed ha trovato nell’Ordine dei Semeniti il
ricongiungimento con se stesso. Il successo, infatti, è stata
proprio la causa della rottura tra i due amici così diversi: uno
intraprendente e l’altro dall’animo taciturno.
La vita è un paradiso di bugie
Antonio ha una
missione da compiere per conto dell’Ordine dei
Semeniti per farlo ha bisogno della persona a cui vuole
più bene: Lorenzo. Una bugia è il motore
scatenante del film perché Lorenzo scoprirà la
verità solo alla fine del viaggio. In La primavera della
mia vita siamo, infatti, messi di fronte all’ultimo
viaggio di Lorenzo e Antonio come
amici e come individui. Nel corso del film i due dovranno
affrontare una serie di prove per ricongiungersi e trovare la pace:
la Grotta dei Giganti, l’Isola
Cornuta e le pendici dell’Etna sono le
tre tappe risolutorie della narrazione. Lo spettatore, invece,
ammira estasiato le bellezze di questa Sicilia arida sotto il sole
di un’estate che sembra non finire mai. Non mancano il folklore e i
detti popolari, qualche tocco di denuncia a quei luoghi comuni con
cui si narra il territorio siciliano da secoli.
In un ristorante dal nome
L’Astice fuggente la narrazione dedica la denuncia
maggiore rispetto a questo tipo di narrazione. Infatti, durante il
pranzo Lorenzo e Antonio
assistono a una rapina per poi scoprire che in realtà è una messa
in scena della proprietaria del ristorante, una nobildonna tedesca
che ha acquistato il locale e fa vivere ai suoi commensali “una
esperienza tipica Siciliana” grazie alla compagnia “Speedy
Pizzo”. I due personaggi, in questa scena, così come in altre
lasciano che sia il silenzio a parlare per loro, subendo
passivamente queste scene senza commentare. Colapesce
Dimartino sono molto bravi a far parlare i luoghi comuni
pur non facendone la parte centrale del film. Poche volte la
Sicilia ha subito una narrazione così diversa da quella
stereotipata legata alla mafia.
Tagliare i rami secchi
Prima che arrivi la primavera è
necessario fare un lavoro accurato per far crescere i rami dei
nostri alberi più robusti. Ciò consente alla pianta di prendere
vita e di progredire in una strada diversa rispetto a quella
intrapresa. Così l’espressione metaforica di tagliare i
rami secchi diventa il centro de La primavera
della mia vita. Antonio ha voluto
Lorenzo come Testimone di questo viaggio per
aiutarlo a tagliare i rami secchi della sua vita e aiutarsi a sua
volta a compiere il sacrificio finale che ci porta alla fine del
film. Le tre prove, infatti, sono servite per questo scopo.
La prima, alla Grotta dei Giganti,
ha messo alla prova l’amicizia di Lorenzo per
Antonio. La seconda prova, invece, è servita a
mettere in luce le difficoltà di Lorenzo a trovare stabilità
nell’amore. La terza a trovare la risoluzione nel rapporto con il
padre che lo ha abbandonato da piccolo. Lorenzo,
dunque, taglia i suoi rami secchi grazie ad
Antonio che a sua volta ha raggiuto la sua
missione. Viene svelato il vero motivo di questo lungo viaggio de
La primavera della mia vita:
Lorenzo dovrà aiutare Antonio a
ricongiungersi con la natura e rinascere l’albero. Secondo l’Ordine
dei Semeniti questa era l’ultima prova da superare.
Mandorlo in fiore
La primavera della mia
vita diventa una duplice metafora di rinascita.
Antonio vive la sua primavera rinascendo come un
meraviglio mandorlo in fiore, Lorenzo dal canto
suo ha una rinascita interiore. Abbandona le questioni legate alla
fama e al successo che hanno consumato in primis il rapporto con
Antonio. Grazie al sacrificio di
Antonio, finalmente Lorenzo ha
scoperto se stesso e – una volta abbandonati i drammi del suo
passato – riesce a crearsi una famiglia. Il film con le sue
ispirazioni a registi di enorme portata come Wes Anderson e Wim Wenders riesce a portare sul grande
schermo un piccolo spaccato di realtà che, in primis, hanno vissuto
i due protagonisti. Lo fa in modo gentile e diretto, con ironia e
con uno sguardo sempre attento a non cadere nel banale della
rappresentazione di una terra schiava dello stereotipo che questa
volta rinasce come un mandorlo in fiore.
Il duo canoro dopo il successo di
Sanremo 2023 presenta alla stampa La
primavera della mia vita. Il film diretto da Zavvo Nicolosi alla sua opera prima vede
Lorenzo Urciullo (in arte
Colapesce) e Antonio Di Martino
(in arte Dimartino) alla sceneggiatura in quello
che è un viaggio introspettivo ed estetico con al centro una
Sicilia mai vista. Il racconto portato in scena è
sicuramente un’opera che si basa molto sul racconto personale dei
due cantanti e amici palermitani che trova uno sfogo nella
pellicola. Il film uscirà dal 20 al 23 febbraio in sala per una
proiezione speciale per Vision Distribution.
Come raccontano in conferenza stampa
i protagonisti seguiti dal regista e dal gruppo di sceneggiatori,
il film presenta moltissime inquadrature fisse, tutto a stacco e
pochi movimenti di macchina. Lo stesso regista Zavvo
Nicolosi si è espresso a riguardo: “Il cinema per me è
una mania di controllo, non è solo una passione che deriva da una
evasione dalla realtà. Nel film siamo come un dio per un tempo
limitato e possiamo gestire quello che succede e per me che sono
una persona ansiosa va benissimo”.
La primavera della mia vita, da Wim
Wenders a David Byrne
Il regista ha parlato anche dei
riferimenti registici a cui si è ispirato per La primavera della
mia vita. In conferenza stampa si è sottolineata la vicinanza
registica ad alcuni nomi come Yorgos Lanthimos, Wes
Anderson. Ma c’è un film più di tutti che ha ispirato
Nicolosi: “True stories di
David Byrne, dal punto di vista sia visivo che
anche come viene raccontato il territorio è uno dei punti
fondamentali. Con il direttore della fotografia abbiamo fatto uno
studio preciso. Abbiamo pensato al racconto del territorio che fa a
volte WimWenders come in
Paris, Texas. C’è anche tanta commedia, John Landis per me è il migliore nel genere.
C’è anche molto cinema italiano di fine anni 70 inizio anni 80 come
Non ci resta che piangere. Sia Antonio che Lorenzo
seguono un po’ questa linea musicalmente”.
L’idea era nella mente del duo da
molto tempo. La primavera della mia vita nasce
durante la pandemia e trova il pieno supporto di Nicolosi fin da
subito. L’ultimo componente ad unirsi alla banda è Michele
Astori che come sceneggiatore ha avuto il compito di
mettere insieme i pensieri del resto del gruppo. Principalmente
però i protagonisti tendono a precisare che questo film si discosta
da tutti gli altri progetti cinematografici incentrati sulla
carriera dell’artista. “Questo film rende l’esperienza diversa
rispetto ad altri progetti di altri cantanti che hanno voluto
intraprendere un progetto cinematografico. Per quanto ci
riguarda”, dice Lorenzo Urciullo,
“Abbiamo avuto un controllo totale su tutto il film dalle
sceneggiature alle musiche”.
Antonio continua:
“L’idea è nata prima ancora di fare il disco. Volevamo scrivere
un film e questo film è nato da una serie di note di cose che sono
successe durante il tour che ci hanno divertito, alcune delle quali
non sono finite nel film, che abbiamo scritto e conservato. Poi
abbiamo contattato Zavvo e insieme abbiamo scritto il soggetto del
film inserendo tutti gli elementi della mitologia. Inizialmente
però nella nostra idea il road movie era diverso. Era nato come
l’ultimo viaggio di Antonio con la sua vecchia auto che poi doveva
essere rottamata. Michele è stato fondamentele per noi. Avevamo
tante idee confuse e lui ci ha ordinato le idee, come arrivare a un
determinato punto e perché.”
La mitologia
Durante la visione del film ci si
imbatte nella storia della Sicilia, dalle sue
radici. Una terra di conquista che raccoglie al suo interno una
moltitudine di civiltà antiche. Sicuramente tra i riferimenti c’è
anche quello alla Sicilia araba di cui parlano gli sceneggiatori:
“La Sicilia araba è entrata naturalmente senza una scelta
iniziale. Il lavoro che abbiamo fatto è stato quello di riuscire a
riservare quello che era lo spirito del loro approccio ironico e
malinconico alla vita. Il soggetto che hanno portato era abbastanza
folle ma è stata una ventata di energia. Le opere prime sono quelle
che regalano un po’ di incoscienza”.
Il tema della
mitologia e anche un po’ della magia è centrale ne
La primavera della mia vita e ognuno dei
protagonisti prova a dire la sua. Per Lorenzo, la mitologia è più
interessante della verità: “Noi siamo molto appassionati della
mitologia. Nel film l’abbiamo disseminata un po’ questa passione.
La storia dei giganti parte dalla leggenda dei
Lestrigoni. Siamo convinti che la leggenda spesso
è più interessante della verità. Anche l’Isola Cornuta parte da una
storia vera, con questa farina che veniva impastata che dava
allucinazioni”. Per Antonio questa mitologia risiede proprio
nella narrazione della Sicilia e della sicilianità: “La Sicilia
la storia è basata sul verosimile, non sul vero, nel senso che
potrebbe anche esistere la teiera più grande dl mondo vicino
Enna”. Anche per Zavvo Nicolosi la Sicilia è
una terra dal pensiero magico: “La Sicilia è un posto dove
attecchisce il pensiero magico. Molte persone credono a queste
storie verosimili”.
L’Accademia di Francia
a Roma – Villa Medici presenta il 3, 10 e 17 novembre una prima eco
delle rivoluzioni popolari della Primavera araba, vista da registi.
Tre appuntamenti settimanali che ci portano sull’altra sponda del
Mediterraneo per una breve incursione nel cinema documentario
dell’Egitto e della Tunisia.
Di seguito vi mostriamo, via
blogs.disney, i primi concept realizzati per
alcuni dei personaggi Disney più amati dei lungometraggi
animati.
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Si tratta, per alcuni versi, della “prima volta” dei personaggi
Disney più amati, così come sono apparsi nella mente dei loro
creatori.
Concept Disney
Il processo creativo dietro a un
film è lungo e complesso. Quando si tratta di film d’animazione poi
si parte dal presupposto che i personaggi, il paesaggio, l’intero
film va costruito dal nulla. Nella fase iniziale i concept sono
davvero fondamentali e spesso sono anche molto diversi dal prodotto
finale che vediamo sullo schermo.
Capita così di vedere dei concept
come quelli della Bella e la Bestia che, paradossalmente, sono
storicamente molto più credibili del prodotto finale, ma certamente
meno belli e esteticamente meno rassicuranti della versione finale.
Che ne pensate? Preferite la versione grezza e primordiale, o
quella finale e rifinita?
Per il suo debutto alla regia,
La prima volta (di mia figlia), il comico
romano Riccardo Rossi ci narra la vicenda di
Alberto (Riccardo Rossi), un medico della mutua
meticoloso ed ossessivo quel tanto che basta ad evocare lo spirito
di alcuni personaggi di verdoniana memoria. In La prima
volta (di mia figlia) Alberto va in crisi leggendo
casualmente il diario della figlia quindicenne Bianca
(Benedetta Gargari) la quale, sembra essersi posta
come obiettivo quello di perdere la verginità a breve.
Così l’uomo mette in piedi una task
force composta dai padrini di battesimo della piccola, Marina
(Fabrizia Sacchi) e Giovanni (Stefano
Fresi), ai quali Alberto chiede di convincere la
ragazza a rinunciare per il momento a questo suo proposito. Ma
Alberto che programma sempre tutto non ha preventivato l’irruzione
della casualità nel suo ben congegnato piano, ovvero la presenza
nello stesso locale scelto per la riunione dell’odiata collega
Irene (Anna
Foglietta), una psicologa anticonformista. Riccardo
Rossi, che ha costruito la sua professionalità calcando fin
dall’inizio il palcoscenico di teatrini off e cabaret, non rinuncia
all’impianto teatrale per il suo primo lungometraggio.
La prima volta (di mia
figlia) ha la struttura narrativa di una
piece teatrale corale il cui fulcro sono i tic, le manie,
l’ossessività e le vicende tragicomiche del personaggio di Alberto.
Il mezzo cinematografico permette di intervallare le lunghe
sequenze costituite da battute tra il protagonista e le sue spalle
(ovvero tutti gli altri personaggi), con flashback che riguardano i
ricordi della prima volta rispettivamente di Marina e Giovanni,
Irene ed infine lo stesso Alberto. Ad innescare i ricordi, le
domande dirette della giovane Bianca che mette a nudo le ipocrisie
degli adulti tutti impegnati a “darle una lezione” ma che, di
fatto, hanno ancora molto da imparare sull’amore e sul sesso.
L’unica al tavolo che si accattiverà la simpatia di Bianca sarà
Irene perché in grado di connettersi sulla stessa lunghezza d’onda
della ragazza senza giudicare le sue scelte.
Oltre all’uso dei flashback, per
spezzare la monotonia di una struttura narrativa troppo incentrata
sui dialoghi e sull’unità di luogo e d’azione, Riccardo Rossi
sembra sforzarsi di fornire allo spettatore punti di vista
differenti tramite la creazione di inquadrature costruite a partire
da angolazioni insolite. E’ molto interessante, inoltre, anche se
non totalmente originale come idea, la sequenza iniziale in cui il
personaggio di Alberto viene presentato rompendo l’unità
dell’immagine e frantumando la sua figura in tanti particolari
significativi che ci parlano della sua personalità. D’altronde ciò
rispecchia la natura stessa della comicità di Riccardo Rossi, una
comicità mai volgare o scontata che si sofferma sulle piccole
idiosincrasie della vita quotidiana.