Trailer italiano e nuovo spot tv
per il nuovo thriller interpretato da Nicolas Cage e John
Cusack, Il cacciatore di donne.
Film d’esordio per il regista
Scott Walker, che ha deciso di raccontare una storia
ispirata alla reale vicenda di Robert C. Hansen, che nel
1983 era conosciuto come il serial killer dell’ Alaska, pedinato e
inseguito da un poliziotto che per riuscire a ottenere giustizia,
si affiderà all’ultima vittima ancora in vita del carnefice, la
giovane Cindy Paulson.
Nicolas Cage nel film è il
sergente Jack Halcombe, che indaga sul killer, interpretato
da John Cusack, facendosi aiutare dalla Paulson, che
ha le vesti di Vannesa Hudgens.
Arriverà nelle sale
italiane il 10 Ottobre 2013 il film Il cacciatore di donne diretto
da Scott Walker e con
protagonisti Nicolas Cage, John Cusack, Vanessa Hudgens, 50
Cent.
Il cacciatore di
Dinosauri, in onda su National Geographic
(Sky 403) il 25 dicembre alle 20:55, segue
un’importante spedizione volta a sviluppare un sistema che possa
ostacolare in modo concreto il contrabbando di fossili.
Federico Fanti, docente di Paleontologia
all’Università Bologna ed Explorer di National Geographic, coordina
la prima missione internazionale a guida italiana. La spedizione,
finanziata dall’Università di Bologna con il supporto di National
Geographic, e composta da 14 esperti, parte dalla capitale Ulan
Bataar per raggiungere Gurliin Tsaav e viaggia attraverso le
Montagne dell’Altai verso il Nemegt, il cuore della paleontologia
della Mongolia.
Ogni anno gli scienziati di tutto
il mondo riescono a recuperare dalla Mongolia circa 90 tonnellate
di fossili. Ma il fenomeno del contrabbando è in continua crescita
e raccoglie finanziamenti per almeno 10 milioni di dollari
all’anno. Un sistema che si muove nella piena illegalità e
finalmente salito agli onori della cronaca solo quando ha visto
star di Hollywood contendersi i fossili all’asta.
Al danno economico per la Mongolia,
si somma il danno incalcolabile che i tombaroli causa alla scienza.
Ogni anno un enorme quantità di fossili viene scoperta e portata
via cancellando, in modo definitivo, le ultime tracce di nuove
specie vissute milioni di anni fa.
L’obiettivo di Fanti e del suo team
è sviluppare un sistema che possa contrastare questo fenomeno,
tracciando i fossili per capire da quale località siano stati
scavati illegalmente. A tale scopo il paleontologo ha un prezioso
alleato: la radioattività dei fossili della Mongolia. Si tratta
infatti di una caratteristica unica, propria dei fossili
provenienti dal deserto del Gobi scoperta accidentalmente nei primi
anni ’60 quando alcune lastre ospedaliere risultarono
inutilizzabili dopo essere state per diversi mesi a contatto con i
reperti scavati. . Questa peculiarità unita alla più avanzata
tecnologia, che permette oggi la mappatura delle diverse aree
attraverso l’utilizzo di droni, ha consentito al team di Fanti di
sviluppare un sistema che potrebbe finalmente porre un argine al
mercato nero dei fossili provenienti dalla Mongolia.
“Non siamo qui solo per cercare
dinosauri e inseguire i nostri sogni di bambini” dichiara Fanti.
“Siamo qui per capire come funziona il Pianeta. I dinosauri hanno
affrontato come noi un Pianeta che cambiava rapidamente e per
milioni di anni sono riusciti a vincere la battaglia per la
sopravvivenza. Capire come, diventa fondamentale per i nuovi
abitanti della Terra”.
Il buono, il matto, il
cattivo Kim Ji-woon è uno dei registi coreani più
interessanti che ci sono in circolazione, noto per lo stile
adrenalinico e sanguinolento dei suoi notevoli lungometraggi.
Questa volta il talentuoso regista affronta il western alla Sergio
Leone (citato sin dal titolo e ricordato nelle spettacolari
sequenze iniziali della corsa del treno che danno il via alla
storia), regista che rappresenta una inesauribile fonte di
ispirazione per tantissimi maestri del cinema.
Ne esce un bizzarro action movie
ambientato tra le valli desertiche della Manciuria durante gli anni
’30, che ricorda tanto il mitico Far West fasullo (e
spagnolo) degli spaghetti western, popolato di loschi banditi mossi
da avidità e sete di potere. Un bizzarro individuo (il matto del
titolo, ossia la star Kang-Ho Song molto
apprezzata in film come “Thirst”,“The host”, “Secret
sunshine” e “Mr. Vendetta”) ruba ad un ricco
contrabbandiere una famosa mappa che porterebbe al nascondiglio di
un immenso tesoro nascosto nell’antichità.
Quest’ultimo assolda un killer (il
cattivo, Byung.Hun Lee, attore feticcio di Kim Ji-woon che lo ha
diretto sia in “Bittersweet life” che in “I saw the devil”)
per recuperarla, ma sulle tracce di entrambi giunge un famoso e
abilissimo cacciatore di teste (il buono), non del tutto
indifferente all’idea di un bel malloppo di cui impadronirsi che si
andrebbe da aggiungere alla taglia che pende sui due
malviventi.
Lo scontro e la fuga tra i tre
protagonisti sono rocamboleschi e si snoda in un crescendo di
inseguimenti e sparatorie. Si deve ammettere che Ji-woon convince
di più nei magnifici thriller che hanno preceduto questa bizzarra
pellicola ma è importante ricordare che in Corea è conosciuto come
un regista pop, capace di alternare horror e noir girando storie
che viaggiano sempre a grandi velocità, tanto che in estremo
oriente i suoi film sono dei blockbuster annunciati.
Il buono, il matto, il
cattivo è un vero e ossequioso omaggio agli
spaghetti western, in cui la ricerca di personaggi iconici
sono parte di un teatrino variopinto e grottesco, in cui si possono
intravedere le tracce di Sukyiaki Western Django
di Takashi Miike. Mescolando il western e la pura avventura Kim
stupisce soprattutto per le scelte registiche al limite
dell’acrobatico, con piani sequenza ed altri spettacolari movimenti
della macchina da presa che rivelano le grandi abilità tecniche del
regista. Il buono, il matto, il cattivo arriva in
Italia dopo aver incassato nel mondo ben 44 milioni di dollari, e
vederlo in sala (rendendosi sempre conto che Sergio Leone è
tutt’altra cosa) è la classica occasione da non perdere.
Il regista italiano Sergio
Leone si è imposto come uno dei più importanti uomini di
cinema di sempre. Con i suoi film western egli ha saputo prendere
un genere prettamente americano e ritrasformarlo secondo nuovi
canoni e arricchendolo di nuove tematiche. Nel 1964 ha così dato
vita a Per un pugno di dollari, seguito l’anno successivo
da Per qualche dollaro in più. Nel 1966 ha infine concluso
la Trilogia del Dollaro con il capolavoro Il buono, il
brutto, il cattivo. Ancora oggi questo è considerato
uno dei più celebri film di questo genere, contenendo la
quintessenza dello spaghetti western.
Il titolo, nato per caso, rispecchia
il pensiero di Leone. Nei tre protagonisti, ognuno per la propria
parte autobiografico, coesistono bellezza e bruttezza, umanità e
ferocia: il regista demistifica tutti questi concetti e al
contempo, in una dichiarata denuncia della follia della guerra,
demistifica la stessa storia degli Stati Uniti d’America,
mostrandone il lato violento e brutale, appannato dalla tradizione
mitizzante dell’epopea western. Con una durata di 178 minuti, il
film porta all’estrema potenza tutte le caratteristiche tipiche del
cinema di Leone, dalla dilatazione temporale fino all’epica più
pura incarnata dai personaggi.
Come i precedenti, anche questo
terzo capitolo non mancò di dividere la critica, affermandosi però
come uno straordinario successo di pubblico. Il buono, il
brutto, il cattivo è oggi un classico senza tempo, citato e
omaggiato in ogni modo possibile. Prima di intraprendere una
visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune
delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella
lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli
relativi alla trama, al cast di
attori e alla colonna sonora. Infine, si
elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
Il buono, il brutto, il
cattivo: la trama del film
Ambientato durante la guerra di
secessione americana, nella metà dell’Ottocento, il film ha per
protagonista tre uomini senza scrupoli, ognuno con le proprie
regole morali che li collocano ai margini della società e della
legge. Si tratta di Joe, detto il buono,
Tuco, detto il brutto, e
Sentenza, detto il cattivo. I primi due sono
soliti collaborare inscenando alcune truffe, salvo poi tradirsi a
vicenda. Le loro strade finiranno però per rincrociarsi lungo un
percorso che porta ad un ricco tesoro nascosto. Alla ricerca di
questo vi è però anche il temibile Sentenza. Ben presto i tre
finiranno per scontrarsi all’ultimo sangue, mentre sullo sfondo
l’America cambia per sempre.
Il buono, il brutto, il
cattivo: il cast del film
Per dar vita nuovamente al
personaggio del misterioso Uomo senza nome, anche chiamato Biondo o
Joe, Leone contattò nuovamente Clint Eastwood.
All’epoca l’attore era ancora poco conosciuto e fu proprio questo
film a consacrarlo definitivamente. Eastwood, però, era
inizialmente restìo a recitare nel film, poiché giudicava il suo
ruolo meno affascinante di quello di Tuco. Fu necessaria una lunga
contrattazione tra lui e Leone, che infine riuscì a convincere
l’interprete ad accettare la parte in cambio di un compenso
maggiore. Per il personaggio di Tuco, invece, il regista era alla
ricerca di un puro talento comico. Finì con lo scegliere Eli Wallach, il
quale pur avendo recitato prevalentemente in ruoli drammatici,
sfoggiava le caratteristiche ricercate per il personaggio.
Una volta accettata la parte,
Wallach contribuì moltissimo alla caratterizzazione di Tuco,
riscrivendo alcune parti e fornendo suggerimenti sulla gestualità e
l’abbigliamento. Infine, per la parte del sicario Sentenza, Leone
scelse l’attore Lee Van Cleef, al quale aveva già
affidato un ruolo completamente diverso in Per qualche dollaro
in più. La parte lo consacrò come un’icona del genere,
nonostante l’attore avesse molta difficoltà a montare in sella ai
cavalli. Nel film sono poi presenti attori come Aldo
Giuffré nei panni di un capitano nordista alcolizzato e
Mario Brega in quelli del caporale Wallace.
Rada Rassimov è invece la prostituta Maria.
Il buono, il brutto, il
cattivo: la colonna sonora di Ennio Morricone
Come per i precedenti film di Leone,
anche in questo caso la colonna sonora del film fu composta da
Ennio
Morricone. Le sue caratteristiche composizioni,
contenenti spari, fischi e jodel, contribuiscono a ricreare
perfettamente l’atmosfera che caratterizza il film. Il motivo
principale, assomigliante all’ululato del coyote, è ad esempio una
melodia composta da due note, divenuta molto famosa. Essa viene
utilizzata per i tre personaggi principali del film, con un
differente strumento usato per ognuno: flauto soprano per il
Biondo, l’arghilofono per Sentenza e la voce umana per Tuco. Questo
motivo si ripropone durante tutto il film, senza però mai annoiare
né risultare scontato.
Leone fece inoltre in modo di avere
la colonna sonora pronta prima delle riprese del film, così da
poterla riprodurre sul set e contribuire al formarsi della giusta
atmosfera. Di particolare importanza, infine, sono i brani
Estasi dell’oro e Il Triello, presenti nella
sequenza finale del film. Grazie a queste composizioni Leone e
Morricone hanno dato vita ad un climax narrativo di rara bellezza,
ancora oggi insuperato. La dilatazione temporale, visiva e sonora
si fondono qui in modo straordinario. Quella di Il buono, il
brutto, il cattivo è dunque considerata una delle colonne
sonore per il cinema migliori di sempre.
Il buono, il brutto, il
cattivo: il trailer e dove vedere il film in streaming e in
TV
È possibile fruire di
Il buono, il brutto, il cattivo grazie
alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme
streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei
cataloghi di Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play, Apple
iTunes e Now. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma
di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere
un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale
comodità e al meglio della qualità video. Il film è inoltre
presente nel palinsesto televisivo di lunedì 10
ottobre alle ore 21:10 sul canale
Rai Movie.
Nel ruolo del giustiziere in cerca
di vendetta si è solitamente abituati a vedere personaggi maschili.
Da Bruce Willis in Il giustiziere della notte
a Liam Neeson in Io vi troverò. Ecco perché
nel momento in cui a ricoprire tale ruolo è una donna il progetto
acquisisce un certo fascino da novità in più. Specialmente se
l’attrice protagonista è una carismatica personalità come
Jodie Foster. La premio Oscar è infatti stata
interprete nel 2007 del thriller Il buio
nell’anima, che la vede intenta a cercare vendetta
per un torto subito. Un’opera cruda e dura che a suo modo riflette
una volta di più sulla fragilità umana.
Diretto dal premio Oscar
Neil Jordan, celebre per i film La moglie del
soldato e Intervista col vampiro, Il buio
nell’anima non è infatti solo un classico revenge
movie, bensì un vero e proprio thriller psicologico. Si scava
a fondo nella mente e nell’animo della protagonista, donna
qualunque costretta da sé stessa ad azioni impensabili. Attraverso
una serie di azioni altrettanto criminose lei va ricercando
giustizia, se mai questa sia possibile da ottenere. Tra dubbi,
fragilità e istinti primordiali si sviluppa così una vicenda
particolarmente tesa, che spinge lo spettatore a mettersi nei panni
della protagonista, chiedendosi cosa avrebbe fatto al suo
posto.
Accolto in sordina al momento della
sua uscita, il film ottenne un successo inferiore rispetto a quello
che avrebbe meritato. Si tratta infatti di un’opera che dimostra
come questo non sia un genere esclusivo del maschile, contenendo al
suo interno una serie di elementi che contribuiscono a renderla
ancor più unica. Prima di intraprendere una visione del film, però,
sarà certamente utile approfondire alcune delle principali
curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà
infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla
trama e al cast di attori.
Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
Il buio nell’anima: la trama del film
La vicenda del film si svolge nella
città di New York, dove Erica Bain è una
conduttrice radiofonica di successo, conduttrice del programma
“Street Walk”, dove manda in onda i rumori della città per farne
scoprire la loro bellezza, che il più delle volte passa
inosservata. Un po’ per lavoro un po’ per piacere, Erica è dunque
solita fare lunghe passeggiate, alla ricerca di ogni angolo della
città da cui poter essere ispirata. Il più delle volte accanto a
lei vi è anche il suo amato fidanzato David, con
il quale progetta di sposarsi molto presto. I loro sogni d’amore e
la pace della donna verranno però spezzati proprio durante una
passeggiata a Central Park.
Aggrediti da una banda di balordi,
Erica finisce in coma per il trauma riportato, mentre David muore.
Guarita dalle ferite del corpo, ma non da quelle dell’anima, Erica
inizia a prendere consapevolezza di quanto accaduto. Profondamente
sconvolta, sente nascere in lei un forte desiderio di vendetta che
la spingerà a voler fare giustizia tanto per sé quanto per chi non
riceve la giusta protezione. Procuratasi una pistola, diventa
dunque una vigilante, attirando però l’attenzione del detective
Sean Mercer. Mentre quest’ultimo è sulle sue
tracce, Erica dovrà capire se ciò che sta facendo è giusto o se si
sta trasformando a sua volta in un mostro.
Il buio nell’anima: il cast del film
Come anticipato, ad interpretare il
ruolo della protagonista vi è l’attrice premio Oscar
Jodie Foster, la quale
da subito si disse interessata ad un personaggio femminile che
invece di diventare una vittima decide di esternare la propria
rabbia. Per il film ha ricevuto un compenso di 15 milioni di
dollari, il più alto da lei ottenuto nel corso della sua lunga
carriera. L’attrice contribuì poi molto alla riscrittura del
personaggio, suggerendo per lei di essere una speaker radiofonica
invece che una semplice giornalista. L’abitudine di Erica di
registrare i suoni della città è altrettanto stata un’idea della
Foster, che per prepararsi ha fatto lunghe passeggiate per New York
al fine di calarsi meglio nella mentalità del personaggio e
nell’ambiente circostante.
Allo stesso tempo, l’attrice ha
approfondito gli effetti del disturbo da stress post traumatico,
riportandoli nella propria interpretazione. Questa, particolarmente
intensa, le ha fatto ottenere una nomination ai Golden Globe come
miglior attrice in un film drammatico. Accanto a lei, nei panni del
fidanzato David vi è l’attore NaveenAndrews. Sono poi presenti le attrici Mary
Steenburgen nei panni di Carol e Zoë Kravitz in quelli
di Chloe. Terrence Howard è
invece il detective Sean Mercer, un ruolo per cui si è preparato
avendo come consulente personale il veterano della sezione omicidi
di New York Neil Carter.
Il buio nell’anima: il trailer e
dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire del film grazie
alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme
streaming presenti oggi in rete. Il buio
nell’anima è infatti disponibile nei cataloghi di
Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play e Apple
iTunes. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di
riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un
abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale
comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso
di noleggio si avrà soltanto un dato limite temporale entro cui
guardare il titolo. Il film è inoltre presente nel palinsesto
televisivo di giovedì 20 maggio alle ore
21:00 sul canale Iris.
Il buio nell’anima (The
Brave One) è un
film thriller d’azione del 2007 diretto da Neil Jordan e
scritto da Roderick Taylor, Bruce A. Taylor e Cynthia Mort.
Il film è interpretato da Jodie Foster nel ruolo di Erica Bain, una
conduttrice radiofonica di New York il cui fidanzato viene
picchiato a morte da alcuni criminali.
Terrorizzata per la sua incolumità,
acquista una pistola e subisce una trasformazione della sua
personalità, diventando una vigilante. Il detective Sean Mercer
(Terrence
Howard) indaga sulle sparatorie dei vigilanti, che lo
portano sempre più vicino a Bain. Il film vede la partecipazione di
Naveen Andrews, Nicky Katt,
Zoë Kravitz, Mary Steenburgen e Luis Da Silva in ruoli
secondari.
Il buio nell’anima è il remake
americano di Death Wish
Il buio nell’anima (The
Brave One) è il remake di Death Wish, ed è
uscito negli Stati Uniti il 14 settembre 2007. Il film ha ricevuto
recensioni contrastanti da parte della critica, che ha acclamato
l’interpretazione della Foster ma ne ha criticato l’esecuzione. Il
film è stato una delusione al botteghino, incassando 69 milioni di
dollari in tutto il mondo. Alla 65ª edizione dei Golden Globe
Awards, la Foster ha ricevuto una nomination come
miglior attrice cinematografica in un film drammatico.
La storia di Il buio
nell’anima
La conduttrice radiofonica Erica
Bain e il suo fidanzato, il dottor David Kirmani, vengono
ferocemente aggrediti da tre uomini mentre portano a spasso il loro
cane a Central Park; gli uomini filmano l’aggressione con i loro
telefoni e prendono l’anello di fidanzamento di Erica e il suo
cane. David muore a causa delle ferite riportate ed Erica si trova
nell’impossibilità di continuare la sua vita come al solito.
Traumatizzata e in preda alla
paura, tenta di acquistare una pistola, ma le viene negata la
vendita perché non ha il porto d’armi. Un commerciante di armi del
mercato nero sente la sua disperazione per la protezione e le offre
una pistola Kahr K9 per 1.000 dollari. Non volendo aspettare 30
giorni per avere un’arma legale, Erica compra la pistola da
lui.
Una sera, mentre Erica si trova in
un minimarket, un uomo entra e spara a morte alla cassiera del
negozio. Sentendo squillare il cellulare di Erica, l’uomo la pedina
nei corridoi prima che lei lo uccida con tre colpi di pistola.
Un’altra sera, su un vagone della metropolitana, due uomini
molestano i passeggeri, che se ne vanno tutti tranne Erica. Gli
uomini la minacciano con un coltello, ma lei li uccide entrambi.
Più tardi, Erica cerca di salvare una prostituta minacciando il suo
protettore. Quando quest’ultimo tenta di investirli con la sua
auto, Erica gli spara alla testa, facendo sì che la sua auto
travolga la prostituta. La donna rimane ferita ma sopravvive.
Cosa succede nel finale di
Il buio nell’anima?
Erica rintraccia i tre uomini, ne
affronta e uccide due prima di liberare il suo cane. Lotta con il
terzo aggressore che ha la meglio proprio quando arriva Mercer.
Mentre Mercer tenta di arrestare l’aggressore, Erica recupera la
sua arma e si prepara a giustiziarlo. Mercer convince Erica ad
abbassare la pistola, ma dopo averla guardata negli occhi
imploranti, le consegna la propria pistola da usare al suo posto ed
Erica spara all’aggressore. Mercer insiste poi affinché Erica lo
ferisca con la sua pistola, cosa che lei fa, permettendo così di
incastrare i suoi aggressori per gli omicidi del vigilante. Mercer
mette la pistola in mano all’ultimo aggressore ed Erica se ne va.
Cammina per Central Park accompagnata dal suo cane.
Il buio nell’anima (The
Brave One) ha ricevuto recensioni
contrastanti dalla critica. Rotten Tomatoes gli assegna un
punteggio del 43% sulla base di 183 recensioni. Il consenso del
sito afferma che: “La magnetica coppia Jodie Foster-Terrence Howard
non riesce a compensare la problematica e poco convincente morale
“occhio per occhio” di The Brave One” Su Metacritic, il film ha
avuto un punteggio medio del 56%, basato su 33 recensioni.
Roger Ebert del Chicago Sun-Times
ha dato al film tre stelle e mezzo su quattro, affermando che
Foster e Howard “sono perfettamente modulati in quel tipo di scene
difficili da interpretare per gli attori, in cui entrambi sanno più
di quello che dicono, e lo sanno entrambi”.
Più di tre anni dopo aver sconvolto
gli spettatori con uno dei suoi titoli di maggior successo,
Netflix sta ora tornando nel mondo di
The Platform, in Italia conosciuto come Il buco
(qui la recensione).
L’horror/thriller di Galder Gaztelu-Urrutia è
arrivato su Netflix nel marzo 2020, proprio all’inizio della
pandemia, e ha rapidamente preso piede tra tutti coloro che erano
alla ricerca di più cose da guardare a casa. Il buco
è così diventato il film originale spagnolo più popolare nella
storia di Netflix e il servizio di streaming si sta finalmente
preparando a rilasciare un sequel.
Giovedì, il servizio di streaming ha
infatti condiviso su Twitter alcune foto che rivelano la presenza
di un paio di nuovi personaggi, confermando dunque ufficialmente la
realizzazione del film. Sappiamo inoltre che Galder
Gaztelu-Urrutia sarà nuovamente regista, ma al momento non
c’è né un titolo ufficiale né finestra di rilascio prevista. Le
foto del tweet potrebbero significare che il film è completo,
oppure potrebbero significare che la produzione è appena iniziata.
Non si sa dunque ancora esattamente quando vedremo il nuovo film
arrivare su Netflix, ma sappiamo che sarà interpretato da
Milena Smit e Hovik Keuchkerian,
i due attori presenti nelle immagini.
The story is far from over…
Here's your first look at our sequel to The Platform, the most
popular Spanish film in Netflix history, once again directed by
Galder Gaztelu-Urrutia. pic.twitter.com/onEdPxCxHD
Come noto a chi lo ha già
visto, Il buco è un thriller cruento ed emozionante
ambientato in una prigione che funge anche da esperimento sociale.
Per ogni pasto, il cibo viene calato su una piattaforma attraverso
centinaia di livelli della struttura, ciascuno contenente due
prigionieri. Se tutti mangiassero solo ciò di cui hanno bisogno per
sopravvivere, ce ne sarebbe abbastanza per sfamare ogni
prigioniero, ma non è quello che succede. Le persone in alto
mangiano di più, lasciando morire di fame le persone in basso.
Alcuni prigionieri appartenenti a questi livelli inferiori
cercheranno dunque di sconvolgere il sistema, portando a risultati
sorprendenti e contorti.
Un libro ed un coltello, sono questi
i due oggetti che meglio descrivono Il
Buco, nuovo film Netflixche segna l’esordio alla regia
dello spagnolo Galder
Gaztelu-Urrutia. Due oggetti che si pongono in
contrapposizione per il loro valore metaforico, e che possono
essere facilmente utilizzati per riassumere le due forze che si
danno battaglia all’interno di un discorso sulla lotta di classe
qui particolarmente esplicito. Presentato in anteprima mondiale al
Toronto International Film Festival, la pellicola spagnola si è
infatti distinta per il suo intreccio tra fantascienza distopica e
horror, ed è ora disponibile al pubblico sulla celebre piattaforma
streaming.
Protagonista del film è un uomo di
nome Goreng (Iván Massagué), il quale si risveglia
in quello che viene chiamato il buco. Questo edificio, che
si estende in verticale, è composto di innumerevoli livelli, i
quali presentano un foro rettangolare al centro. Da qui, una volta
al giorno, passa una piattaforma che si rivela essere una tavola
imbandita. Il meccanismo è semplice: chi sta più in alto ha la
possibilità di sfamarsi, chi si trova ai livelli inferiori finirà
invece con l’avere da mangiare solamente gli scarti.
Il Buco: la legge del coltello e la
sapienza del libro
All’interno del film non esiste
altra ambientazione se non quella rinominata il buco.
Questo non è altro se non una prigione infernale, dove i detenuti
possono portare con sé un solo oggetto di propria scelta. Per
Goreng, il protagonista, si tratta del romanzo Don Chisciotte
de la Mancia, per il suo compagno di livello, il viscido
Trimagasi, è invece un affilatissimo coltello. Nella loro scelta si
ritrova così da subito la lotta tra la forza bruta e l’intelletto,
in una dialettica che si articolerà per l’intera narrazione.
Compreso infatti il meccanismo che porta chi sta sopra a vivere a
discapito di chi sta sotto, il protagonista cercherà di usare il
cervello per cambiare quell’ordine innaturale delle cose, ottenendo
tuttavia scarso successo.
Si parla di lotta di classe, dunque,
e l’esordiente regista e sceneggiatore spagnolo sceglie di farlo
attraverso un ambiente probabilmente fin troppo esplicito a
riguardo, ma che viene arricchito da quei dettagli che rendono la
visione più interessante di tante altre opere a riguardo. Questo
perché all’interno di un film che fa della metafora il proprio
strumento di comunicazione prediletto, Gatzelu-Urrutia costruisce
una serie di indizi, riferimenti e chiavi di lettura che stimolano
lo spettatore, introducendolo in una serie di perversi meccanismi
dai quali è difficile uscire.
Se Il Buco è in
modo anche ovvio una gigantesca rappresentazione dell’inferno
dantesco, con i suoi gironi e personaggi raccapriccianti, ciò che
emerge realmente è l’utilizzo di un genere popolare per trattare un
tema sociale oggi particolarmente presente al cinema. Difficile non
pensare all’ormai iconico Parasite, di
Bong
Joon-Ho, mentre in questa variante spagnola del tema
si ritrova un occhio meno imparziale e più pronto al giudizio di
quanti fanno prevalere la propria individualità a discapito dei
meno fortunati.
Il Buco: la recensione del
film
Il nuovo film Netflix si inserisce
all’interno di un catalogo dove distopia e tematiche sociali non
mancano di certo, e sembrano anzi essere particolarmente sostenute
dall’azienda di streaming. Ciò che, al di là dei diversi
riferimenti biblici, letterari o sociali, appare interessante
all’interno della pellicola è l’abilità dell’autore nell’affermare
la propria regia. Pur trovandosi all’interno di un unico, minimale
ambiente, risulta infatti difficile avvertire una sensazione di
stanchezza nel corso della visione.
Gatzelu-Urrutia è attento a
costruire una grande varietà nelle inquadrature, permettendo così
allo spettatore di non assistere a qualcosa di troppo ripetitivo,
ma al contrario catturandone l’attenzione con una messa in scena
stimolante, dove non manca una generale claustrofobia, essenziale
per sostenere il tono orrorifico che il film assume con il
procedere della narrazione.
Con
Il Buco, lo
spettatore ha sul piatto molto di cui poter riflettere, con la
pellicola che non manca di arrivare a proporre una propria
interpretazione del problema e delle sue possibili soluzioni. E se
in parte a penalizzare il film può essere la costruzione visiva
della metafora trattata, che rischia di essere didascalica per il
tema, è nella costruzione della messa in scena che si possono
fortunatamente ritrovare le idee più brillanti, che conferiscono un
carattere unico all’intero lungometraggio.
Nel 2007, quando il
regista Michelangelo Frammartino stava girando in
Calabria Le quattro volte, viene invitato dal
sindaco per una visita nel Parco del Pollino e, nell’occasione, con
grande fierezza il primo cittadino gli fa vedere l’Abisso del
Bifurto. L’esperienza è così impressionante, da spingere
Frammartino a farne un film, mosso dalla suggestione di quei luoghi
primordiali, e dal suono senza fondo del baratro della grotta.
Perché è proprio attorno
a questi punti che ruota la narrazione de Il Buco,
presentato in Concorso alla 78esima Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica a Venezia. Il silenzio totalizzante, senza
alcun tipo di scelta musicale, i dialoghi praticamente inesistenti,
vengono fatti interrompere solo a tratti dal richiamo di un pastore
verso il suo gregge, o dai fischi di speleologi che si calano tra
le rocce, che risultano comunque essere parte di un codice
proveniente da un mondo antico.
Il Buco, un codice proveniente da un mondo antico
La storia, infatti, è
ambientata nel 1961, quando un gruppo di esploratori piemontesi
decide di partire per una spedizione volta a tracciare le
profondità dell’Abisso del Bifurto, appunto. E il tutto in un
periodo storico che stava gettando le basi per cui molti degli
equilibri biologici di quella zona si sarebbero iniziati
irreversibilmente a incrinare.
Quando in Italia il boom
economico stava esplodendo, e cominciavano a fiorire palazzi di
centinaia di metri, degli uomini si incuneavano nei primordi dei
meandri della Terra, evento che diventa l’ottima scusa per
Michelangelo Frammartino per raccontare e portare alla luce una
volta di più qualcosa che oggi abbiamo – evidentemente – sepolto
sotto strati di cemento.
Le uniche parole si
sentono all’inizio del film, e sono di una trasmissione televisiva
di quegli anni, nella quale il telecronista si mostra arrampicato
su un’impalcatura che sale verso la cima del Pirellone in
costruzione, nel cuore di Milano, e ne spiega la spettacolarità,
l’avanguardia. Ed è esattamente di questo calibro la missione che
vuole intraprendere il regista: scendere nella natura selvaggia e
incontaminata, grezza e inospitale, per narrarla in contrasto con
tutto quel che poi lo scintillio apparente della modernità avrebbe
inesorabilmente portato di lì a poco. E lo fa con espedienti che
lavorano per alternanza tra l’asprezza degli spazi e dei volti, e
l’affaccio di quel che stava penetrando man mano nel quotidiano,
proprio come la televisione vissuta come un rituale serale
condiviso nella piazza del paese. Il mondo artificiale,
l’intervento predatorio dell’uomo, è raccontato a chiazze di
colore, improvvise ma ancora timide, esemplificato da ritagli di
giornali raffiguranti Sophia Loren, Kennedy, Marilyn
Monroe, che vengono dati alle fiamme dagli speleologi e
poi gettati nella caverna per scorgerne eventuali passaggi.
Un inno al dominio del creato
Il quadro che dipinge
Frammartino è ancora avvolto dal dominio del creato, che abbraccia
e ingloba tutte le scene, quasi come se fosse un’entità che impera
dall’alto, e gestisce governando ciò che è concesso da ciò che non
lo è. È dell’incontaminazione che vuole parlare, di com’era un
tempo, lasciando una testimonianza che fa da monito su come sarebbe
davvero il luogo che abitiamo, dentro al quale siamo solo ospiti, e
che possiede una potenza che sa essere anche distruttiva.
Attraverso delle immagini
che spesso sono statiche, inamovibili come montagne, a volte
estenuanti per la lentezza, e che fanno sobbalzare dai rumori
tuonanti e inaspettati, Il Buco fa esattamente ciò
che promette: trascina in un terreno ostile, a cui è l’uomo a
doversi adattare, senza possibilità di contrattazione di sorta,
pena: la morte, oppure – e probabilmente, forse, è peggio –
l’estraniazione in grandi città che fanno dimenticare le radici
alle quali apparteniamo.
Dopo la clip esclusiva
rilasciata la settimana scorsa in occasione della Geeked Week, è
disponibile da ora anche il trailer de Il
Buco – Capitolo 2, la seconda parte dell’universo de
Il Buco, l’attesissimo sequel di uno dei film spagnoli più
popolari della storia di Netflix (con oltre 82 milioni di visualizzazioni). Il
Buco – Capitolo 2, con Milena Smit (Madres paralelas, La ragazza di
neve) e Hovik Keuchkerian (La Casa Di Carta), arriverà solo su
Netflix dal 4 ottobre.
Mentre un misterioso
leader impone il proprio dominio nel Buco, un nuovo “inquilino”
viene coinvolto nella lotta contro questo controverso metodo per
combattere il brutale sistema di alimentazione. Ma quando mangiare
dal piatto sbagliato diventa una condanna a morte, fino a che punto
saresti disposto a spingerti per salvarti la vita?
Il Buco – Capitolo 2, che
vede nel cast anche Natalia Tena (Game of Thrones) e Óscar Jaenada
(Luis Miguel: The Series), è diretto da Galder Gaztelu-Urrutia (Il
Buco) e prodotto da Carlos Juárez, Galder Gaztelu-Urrutia, e Raquel
Perea, per Basque Films.
Netflix ha
rivelato la data di uscita dell’attesissimo secondo capitolo
de “Il
Buco” (The Platform), uno dei film
spagnoli più popolari nella storia di Netflix, con oltre 82 milioni di visualizzazioni.
Il Buco – Capitolo 2, di cui da oggi sono
disponibili il teaser trailer e le prime immagini, con protagonisti
Milena Smit (Madres paralelas, La ragazza
di neve) e Hovik Keuchkerian (La
Casa Di Carta), arriverà solo su Netflix dal 4
ottobre.
Il Buco – Capitolo 2, la trama
Mentre un misterioso
leader impone il proprio dominio nel Buco, un nuovo “inquilino”
viene coinvolto nella lotta contro questo controverso metodo per
combattere il brutale sistema di alimentazione. Ma quando mangiare
dal piatto sbagliato diventa una condanna a morte, fino a che punto
saresti disposto a spingerti per salvarti la vita?
ELHOYO2 _
2023-06-07@Nicolás de Assas _ 6523 A1 _ FULLRES
Il Buco –
Capitolo 2, che vede nel cast anche Natalia Tena (Game of
Thrones) e Óscar Jaenada (Luis Miguel: The Series), è diretto da
Galder
Gaztelu-Urrutia (Il
Buco) e prodotto da Carlos Juárez, Galder Gaztelu-Urrutia, e
Raquel Perea, per Basque Films.
Arrivato su Netflix
il 20 marzo 2020, il film spagnolo Il buco
(qui
la recensione), ha involontariamente tratto vantaggio dalla sua
uscita in pieno periodo di lockdown causa Covid-19, trovando un
ampio bacino di spettatori affamato di contenuti con cui occupare
il proprio tempo in casa. Il film diretto da Galder
Gaztelu-Urrutia, forte anche di un concept quantomai
accattivante, è diventato in breve uno dei titoli più visti di
sempre per uno dei film originali della piattaforma. Impensabile
che un successo così non portasse ad un
sequel, arrivato ora su Netflix con il titolo Il buco – Capitolo
2.
Diretto anch’esso da
Gaztelu-Urrutia, è questo un sequel che riprende le dinamiche già
mostrate nel primo capitolo per offrire nuovi punti di vista e un
maggiore approfondimento delle tematiche affrontate. Cambia infatti
il cast di protagonisti, mentre all’allegoria della struttura della
prigione e della divisione del cibo come principi su cui
organizzare una società giusta si aggiungono riflessioni sulla
religione, il fanatismo e la divisione in schieramenti diversi
quali modi opposti di intendere la comunità e le sue regole. Sembra
molto, ma in realtà Il buco – Capitolo 2 non ha
poi tanto di più da dire rispetto a quanto già fatto dal suo
predecessore.
La trama di Il buco – Capitolo 2
Il film
ci riporta nel mondo della “Piattaforma”, una grande prigione a
torre al cui interno si ritrovano personalità di vario tipo. Le
centinaia di livelli ospitano due occupanti per piano e una
piattaforma fluttuante consegna loro il cibo secondo un programma
giornaliero. Quando però un misterioso leader prende il comando
della piattaforma, una nuova residente resterà coinvolta nella
battaglia contro il controverso metodo per distruggere il brutale
sistema di rifornimento viveri. Ma quando basta mangiare dal piatto
sbagliato per andare incontro alla morte, fino a dove ci si può
spingere per salvarsi la vita?
Nell’intraprendere la visione di
Il buco – Capitolo 2 conosciamo già le regole,
sappiamo già che chi si risveglia in un livello di numero basso
andrà incontro alla certezza di mangiare ogni giorno, mentre coloro
che hanno la sfortuna di risvegliarsi da un certo punto in poi di
questo inferno dovranno patire la fame per almeno un mese. A meno
che non si sia disposti ad atti di crudeltà indicibile. Sapendo
ciò, il film ci getta da subito nel vivo della vicenda, portandoci
a fare la conoscenza di Perempuan (Milena Smit)
e Zamiatin (Hovik Keuchkerian), già
anticipati da
alcune foto e teaser trailer.
È con loro che scopriamo però una
serie di elementi di novità rispetto al primo film, come la
presenza di un gruppo di lealisti che si batte per far sì che il
cibo arrivi integro fino all’ultimo livello. Mentre nel primo film
questa missione era meno definita e lasciata più alla fiducia nei
piani alti, qui invece si abbandona la speranza per far sì che
quella che viene definita come una vera e propria legge venga
rispettata. Si struttura così un discorso più politico che ha però
alla base il medesimo principio del primo film, ovvero che quanti
stanno in alto (le classi abbienti) dovrebbero avere cura di quanti
si trovano in basso (le classi svantaggiate).
Come far rispettare questa legge?
La risposta la dà Dagin Babi (Oscar Janeada),
leader di un culto che mira a farla rispettare anche a costo di
diventare più barbaro di chi non lo fa. “Il terrore è il
messaggio”, afferma rivolto verso la macchina da presa,
guardando – seppur non vedente – lo spettatore per ricordargli
quella che è un po’ la chiave di lettura dei nostri tempi, in cui
con il terrore si controllano le masse e le si tiene soggiogate
alla propria volontà. La prigione dove si svolgono le vicende di
Il buco – Capitolo 2 continua dunque ad essere
un’ovvia rappresentazione della società.
Questa allegoria, che già nel primo
film si mostrava via via più ovvia, viene qui portata ancor di più
ad un grado 0, dove ogni elemento mira a ribadire e sottolineare i
concetti di fondo fin qui esposti. Non solo la ripartizione in
livelli per differenziare gerarchicamente le classi ma anche ogni
battuta qui pronunciata dai protagonisti mira a tal fine, dando
vita ad tale livello di esposizione dei temi alla base di
Il buco – Capitolo 2da non
permettere pressocché nessun pensiero aggiuntivo da parte dello
spettatore.
Come non essere d’accordo con il
concetto che dovrebbe esserci un maggiore interessamento verso i
“piani inferiori” e una maggiore ripartizione dei beni, ma è
proprio in questo porsi in modo così allineato con il pensare
comune che il film non riesce ad offrire nuovi spunti di
riflessione che possano stimolare un qualche costruttivo dibattito.
Neanche il “complicare” la vicenda con l’aggiunta di schieramenti
diversi ed elementi mistici permette di poter considerare di
particolare interesse quel poco che il film ha da dire.
Viene a questo punto da chiedersi
se perlomeno il film riesce ad offrire l’intrattenimento che
Il buco presentava. Anche in questo caso, però, ci
si ritrova davanti ad una risposta tendente al “no”. Il racconto
appare meno strutturato, pronto ad abbandonarsi ad un’orgiastico ma
difficilmente apprezzabile caos e ad una serie di violenze che
dovrebbero scioccare ma verso le quali si è ormai anestetizzati.
Il buco – Capitolo 2 aveva l’occasione di
raccontare qualcosa di nuovo su questo misterioso ambiente, ma si
limita invece a rimanere adagiato sul concept già esposto dal primo
film senza nulla di realmente significativo da aggiungere.
Come il suo predecessore (qui
la recensione), Il buco – Capitolo 2 lascia
intenzionalmente gli spettatori con molte domande senza risposta,
ma molti dettagli sottili nel corso del film avrebbero potuto
fornire alcune risposte concrete. Dopo una sequenza che rivela le
scelte alimentari di molti prigionieri nella fossa, Il buco
– Capitolo 2 fa un salto in avanti e mostra come qualcuno
dei piani superiori abbia mangiato la pizza di
Zamiatin. Quest’ultimo è pertanto attratto
dall’idea di mangiare il cibo di qualcun altro. Tuttavia, le
persone sopra di lui predicano la solidarietà e lo incoraggiano a
rimanere affamato per garantire che tutti abbiano la loro
parte.
Questa sequenza di apertura pone le
basi per il conflitto del film, evidenziando come le persone nella
fossa siano divise in gruppi: i lealisti e i
barbari. Mentre i lealisti credono di dover agire
in solidarietà e non consumare troppo, i barbari danno la priorità
alla loro sopravvivenza e mangiano a volontà. Il compagno di cella
di Zamiatin, Perepuan, inizialmente sostiene la
solidarietà. Tuttavia, gli orrori della fossa la costringono a
cambiare schieramento. Dopo aver raggiunto alcuni dei livelli più
bassi della prigione, però, troverà risposte che non sapeva di
cercare.
Che cosa significa per Perempuan
lasciare che il bambino salga nel finale del film?
Nell’arco finale di Il buco
– Capitolo 2, si scatena una guerra raccapricciante tra i
lealisti e i barbari, che lascia pochi o nessun sopravvissuto.
Perempuan coglie l’occasione per bloccarsi le vie respiratorie
ingoiando una sezione strappata del dipinto Il cane. Di
conseguenza, soffoca e cade a terra, impedendole di inalare il gas
che gli addetti alla pulizia della fossa usano per neutralizzare i
prigionieri rimasti. Tutto va come previsto quando riprende
conoscenza e trova gli addetti alle pulizie che la attaccano
all’imbracatura che raccoglie tutti i cadaveri.
Tuttavia, con sua grande sorpresa,
quando scende al livello 333 con gli altri corpi, nota che gli
addetti alle pulizie portano un bambino al livello più basso e lo
rimboccano. In quel momento, si trova di fronte a una scelta
terribile: può agire egoisticamente e fuggire in superficie o
mettere in gioco la sua vita per proteggere il bambino dalle
atrocità della prigione. Dopo aver ricordato le sue azioni
criminali passate, sceglie la seconda. Tuttavia, mentre salva il
bambino, batte la testa, suggerendo che, come Goreng nel finale di
Il buco, anche lei sperimenta una morte certa.
Quando sceglie attivamente di
proteggere il bambino invece di fargli del male, la piattaforma
scende al di sotto del livello 333, un livello che sembra
rappresentare la coscienza di Perempuan. Qui incontra altre anime,
tra cui Zamiatin, che sono proiezioni della sua mente morente e la
incoraggiano a lasciare che il bambino salga. Lo fanno perché si
rendono conto che anche se Perempuan, come loro, si è redenta, le
circostanze l’hanno corrotta, rendendola indegna di tornare
indietro.
Il bambino, invece, può ascendere
perché la sua innocenza e purezza giocheranno un ruolo cruciale nel
rendere il mondo un posto migliore. Lasciando che il bambino
ascenda e rimanendo indietro, Perempuan compie il suo sacrificio
finale per liberarsi dal senso di colpa e fuggire dal purgatorio
che si è autoimposta. Allo stesso tempo, accetta anche la sua
sofferenza, rendendosi conto che la redenzione ha un costo.
La spiegazione della scena a metà
dei titoli di coda
Nella scena di metà film di
Il buco – Capitolo 2, molti prigionieri scendono
verso il fondo della fossa con diversi bambini. La scena sembra
evidenziare che, mentre molti continuano a soffrire nella prigione
verticale, alcuni si riscattano salvando i bambini del livello 333.
Inoltre, mostra che l’Autorità di cui sopra mette a rischio la vita
dei bambini al Livello 333 ogni mese.
La scena a metà del sequel potrebbe
anche implicare che l’Autorità ha costruito molte prigioni
verticali simili in tutto il mondo, dove ognuno viene sottoposto a
cicli pervasivi degli stessi esperimenti sociali. In un’intervista
(via Collider), anche il regista
Galder Gaztelu-Urrutia ha confermato questa
ipotesi. “Molte e in molti modi diversi”, ha detto quando
gli è stato chiesto se ci sono altre strutture simili in giro.
Perché l’amministrazione mette i
bambini al livello 333
Sebbene lo scopo
dell’Amministrazione nel condurre l’esperimento sociale nella fossa
rimanga poco chiaro, sembra che non si voglia incoraggiare la
solidarietà tra i detenuti. Al contrario, vuole solo osservare cosa
li porta ad agire in modo solidale. In parole povere, i prigionieri
sono semplici cavie da laboratorio per l’Amministrazione, che vuole
comprendere le profondità del comportamento umano, probabilmente
perché desidera applicare le sue scoperte nel mondo reale per
stabilire un controllo. Come mostrato nel finale di Il buco
– Capitolo 2, anche i bambini sono semplici stratagemmi
dell’esperimento.
Il fatto che l’Autorità non risparmi
nemmeno i bambini evidenzia fino a che punto sia disposta a
spingersi per esercitare il controllo sulle masse. Poiché i
prigionieri non sanno come il bambino sia finito nel Livello 333,
si sentono fiduciosi quando lo mandano in superficie. Tuttavia,
dato che l’Autorità mette i bambini in un ambiente così pericoloso
solo per il bene dell’esperimento, sembra probabile che non gli
importi se i bambini riescono a tornare.
Il motivo per cui Perempuan si è
recata nella fossa
Alcuni flash dell’intervista di
Perempuan prima di entrare nella fossa rivelano che era un’artista
affermata. Una volta aveva creato una scultura di un cane che aveva
bordi taglienti. Molti l’avevano avvertita di tenere delle stecche
intorno alla scultura perché i suoi bordi frastagliati potevano
essere pericolosi. Tuttavia, non aveva ascoltato. Un giorno, quando
il suo fidanzato andò a trovarla, suo figlio scivolò e cadde su uno
dei bordi taglienti della scultura. Invece di accettare il suo
errore, Perempuan assunse i migliori avvocati ed evitò di andare in
prigione.
Ha persino venduto la scultura per
una somma ingente, utilizzando il ricavato per rafforzare la sua
carriera di artista. Alla fine, però, il suo senso di colpa ha
avuto la meglio su di lei. Nonostante avesse evitato i guai
giudiziari, non poté fare a meno di credere di meritare una
punizione. Decide quindi di imprigionarsi nella fossa, sperando di
riuscire a perdonarsi. Alla fine ci riesce, sacrificando se stessa
per garantire che il bambino del Livello 333 rimanga al sicuro e
raggiunga il Livello 0.
Sebbene Zamiatin cerchi di ritrarre
se stesso come una figura formidabile nella fossa, i flashback del
suo colloquio con l’Autorità rivelano che ha vissuto nella
menzogna. Afferma di aver abbandonato i figli e di aver bruciato la
casa dei genitori. Tuttavia, l’intervista rivela che la moglie e i
figli lo hanno lasciato prima che i genitori lo mandassero nella
fossa per disciplinarlo. Dopo essere rimasto senza cibo per
settimane, la falsa apparenza di Zamiatin va in frantumi e
finalmente inizia ad accettare la verità sulla sua vita invece di
creare una narrazione immaginaria autoconfortante.
La mancanza di cibo nella fossa
diventa una metafora della sua vita insoddisfatta, poiché si rende
conto di aver continuato a mentire a se stesso anche dopo essere
entrato nella fossa. Per pentirsi dei suoi errori, sceglie di non
mentire a sé stesso per l’ultima volta e salta sul fondo della
fossa. Il suo salto diventa un rifiuto definitivo di tutte le bugie
che aveva adottato nel corso della sua vita, mentre sperimenta una
morte certa.
Il simbolismo dietro il dipinto del
cane che annega
Il dipinto del cane che annega è
stato realizzato dall’artista spagnolo Francisco de
Goya. Chiamato “Il cane” (in spagnolo: “El Perro”), il
dipinto viene spesso interpretato come la lotta di un uomo contro
le forze del male. In Il buco – Capitolo 2, il
dipinto sembra rappresentare il viaggio di Perempuan, dove ogni
nuovo ostacolo è più grande del precedente dopo che lei rifiuta di
assumersi la responsabilità delle sue azioni nel mondo reale.
Pertanto, quando ingoia il quadro,
si assume la responsabilità delle sue azioni passate e accetta la
sofferenza che ne deriva. In questo modo, sperimenta una morte
certa che la porta sulla strada della redenzione e del perdono di
sé. Poiché quasi tutti i personaggi arrivano nel pozzo per cercare
la redenzione o per affrontare le proprie mancanze, l’ambientazione
può essere vista come una rappresentazione della biblica Torre di
Babele.
Proprio come la Torre di Babele
rappresenta lo sforzo dell’umanità di raggiungere Dio attraverso
mezzi superficiali, la fossa riflette la disperazione di Perempuan
e Zamiatin di rimediare alle loro mancanze passate. Tuttavia, come
gli umani nel racconto della Torre di Babele, i personaggi di
Il buco – Capitolo 2 faticano a trovare la pace
perché la cercano attraverso l’auto-glorificazione. Solo quando
Perempuan e Zamiatin si arrendono alla loro sofferenza e
riconoscono i loro fallimenti, si incamminano verso la
redenzione.
La spiegazione della legge
dell’Unto
Per imporre la solidarietà tra gli
abitanti della fossa, l’Unto, Dagin Babi, attua
una legge che i suoi seguaci rispettano religiosamente. Chiamati
Lealisti, i seguaci di Dagin Babi devono mangiare solo i pasti che
hanno richiesto durante i colloqui prima di entrare nella fossa.
Tutti i lealisti tengono chiusi i bottoni superiori delle loro
camicie e si assicurano che le persone nelle celle vicine seguano
la legge. Quando qualcuno sfida la legge, le quattro persone che si
trovano direttamente sopra il trasgressore sono responsabili di
fargli giustizia.
I metodi socialisti di Dagin Babi
contrastano con la struttura economica di tipo trickle-down che la
fossa generalmente segue. Perempuan inizialmente sostiene i suoi
ideali perché li trova giusti. Tuttavia, ben presto scopre che
Dagin Babi non è diverso dagli avidi barbari quando adotta misure
estreme per applicare la legge. Alla fine, quindi, adotta una via
di mezzo: si allea con i barbari ma si rifiuta di ricorrere al
cannibalismo per sopravvivere.
Il vero significato del finale di
Il buco – Capitolo
Se l’ambientazione distopica di
Il buco – Capitolo 2 di Netflix viene percepita
solo come un esperimento sociale distorto, il finale evidenzia che
l’Autorità mantiene il controllo indipendentemente dal fatto che i
prigionieri nella fossa mandino i bambini al livello 0 come
“messaggio”. Le persone di cui sopra continueranno a mettere in
atto stratagemmi e ad adottare tattiche a basso costo per
controllare l’ambiente all’interno della prigione.
Tuttavia, in entrambi i film, la
fossa è anche rappresentata come un purgatorio autoimposto per i
personaggi. Possono scendere ulteriormente all’inferno o pentirsi
dei loro peccati. Poiché molti personaggi, come Perempuan e Goreng,
alla fine accettano i loro peccati e si sacrificano per salvare i
bambini, la loro redenzione compensa il senso di disperazione che
permea la fossa a causa degli esperimenti dell’Autorità.
Come il finale del film prepara un
terzo capitolo
Dal momento che la scena a metà dei
titoli di coda di Il buco – Capitolo 2 lascia
intendere che esistono molte fosse in diverse parti del mondo, un
terzo film potrebbe seguire l’approccio di Bird Box
e Bird Box:
Barcellona e svolgersi in un luogo completamente diverso.
Sebbene Il buco – Capitolo 2 chiarisca molti
dei misteri del suo predecessore, lascia anche nuove domande sul
vero scopo dell’Autorità. Un terzo capitolo del franchise
cinematografico potrebbe esplorare le implicazioni più ampie di
questi misteri e idee inesplorate. Tuttavia, il seguito vedrà la
luce solo se il sequel otterrà buoni risultati su Netflix.
La maggior parte dei registi ama
concludere i propri film con una dichiarazione succinta, diretta e
conclusiva. William Friedkin,
invece, preferisce che il suo pubblico se ne vada con domande
persistenti, spesso inquietanti, senza risposta. Dal finale
inquieto de L’esorcista alla conclusione del suo ultimo film
The Cain Mutiny Court-Martial, Friedkin è
chiaramente attratto dall’ambiguità, rendendo i suoi film dei
misteri non in senso narrativo ma tematico. Il suo impegno a
trovare la realtà all’interno della finzione fa sì che i suoi
finali siano raramente comodi e ben costruiti. È quello che accade
anche in Il braccio violento della legge, il
capolavoro del 1971 che gli è valso l’Oscar per la Miglior
regia.
Quando il film uscì in sala il
pubblico si aspettava probabilmente un grintoso thriller
poliziesco, un sottogenere che fino a quel momento era tipicamente
caratterizzato da risoluzioni chiare: un dato personaggio ha
commesso un crimine, viene catturato o ucciso, e così via. Il film
di Friedkin – impreziosito da un’interpretazione da Oscar di
Gene Hackman – tuttavia, si rifiutava di
permettere al suo pubblico o ai suoi personaggi una conclusione
così facile, presentando un finale che ancora oggi disturba e fa
discutere. In questo articolo, approfondiamo e spieghiamo proprio
la conclusione del film.
La trama di Il braccio
violento della legge
Il film ha per protagonista
Jimmy “Papa” Doyle (Gene
Hackman), affiancato da e Buddy “Tristezza”
Russo (Roy Scheider), e mostra come il
suo ossessivo e incessante bisogno di arrestare i criminali spinga
lui e il suo partner a un casuale appostamento di un piccolo
spacciatore, Sal Boca (Tony Lo
Bianco). Studiando le sue attività, i detective scoprono
che Boca è coinvolto in un accordo con Charnier,
un francese che è la principale fonte di eroina importata a New
York. Russo e soprattutto Doyle mettono così a soqquadro la città.
Tuttavia, il loro modo spregiudicato di comportarsi porterà ben
presto ad esiti del tutto imprevisti.
Il film mostra infatti come le
azioni di Doyle siano sempre più folli e al limite del criminale.
Russo è l’unica persona del dipartimento disposta a lavorare con
Doyle; l’agente dell’FBIMulderig (Bill Hickman) arriva
quasi alle mani con Doyle per un incidente passato in cui il
detective ha fatto uccidere uno dei suoi colleghi. Il personaggio
di Doyle, un misantropo casualmente razzista con seri problemi di
gestione della rabbia, era una novità assoluta per il thriller
poliziesco, un personaggio fortemente imperfetto che richiamava i
protagonisti dei film noir più che i poliziotti eroi. Era un segno
che il sottogenere si stava evolvendo per emulare più da vicino la
vita reale.
Gene Hackman e Roy Scheider in Il braccio violento della
legge
La descrizione del finale del
film
La grande svolta nella ricerca di
Charnier da parte di Popeye e Cloudy arriva quando sorvegliano
un’auto apparentemente di proprietà di uno dei soci del francese,
un conduttore televisivo di nome Devereaux
(Frédéric de Pasquale). Dopo aver letteralmente
smontato l’auto nel garage della polizia di New York, i detective
trovano 120 libbre di eroina nascoste nei pannelli laterali. Quindi
rimontano e restituiscono l’auto a Devereaux, che la consegna a
Charnier, rifiutandosi di portare avanti il loro precedente piano
di scaricare l’auto e la sua merce. Charnier stesso si reca con
l’auto all’incontro, che si tiene sulla deserta Ward’s Island.
Lo scambio avviene senza intoppi, ma
mentre Charnier se ne va con i suoi soldi e la banda di Boca si
prepara a partire con l’eroina, l’auto di Charnier viene bloccata
da una falange di veicoli della polizia di New York con davanti
Doyle in persona, che fa un cenno consapevole alla sua preda che
riecheggia quello fattogli da Charnier quando il francese gli era
sfuggito in precedenza. Intrappolati, Charnier, Boca e gli altri
criminali tentano di fuggire o di combattere, mentre Russo, Doyle e
il resto della polizia si avvicinano per la cattura.
Doyle, completamente immerso nella
sua ossessione e nella sua giusta vittoria, insegue lo scivoloso
Charnier in alcuni edifici decrepiti nelle vicinanze, perdendolo
rapidamente di vista. Doyle rifiuta il consiglio del suo partner di
interrompere l’inseguimento e apre il fuoco su una figura che crede
essere il francese. Mentre corre a reclamare la sua vittoria,
scopre l’agente Mulderig, che sta rapidamente morendo a causa del
proiettile di Doyle. Egli è però impassibile e pensa solo al suo
nemico. Doyle corre in modo disordinato attraverso l’edificio
inquietante e in decadenza, non vedendo alcun segno del francese ma
continuando comunque. Girato un angolo, esce dall’inquadratura e si
sente un solo colpo di pistola prima che il film diventi nero.
Gene Hackman in Il braccio violento della legge
Ambiguità senza compromessi, fatti
concreti e crudi
Fin dall’inizio della sua carriera
cinematografica, William Friedkin era più
interessato alla verità che alla pura finzione. Ha iniziato
realizzando cortometraggi documentari e quando è passato ai
lungometraggi narrativi ha portato il suo approccio
documentaristico al dramma, creando uno stile che ha soprannominato
“documentario indotto”. Questo stile è presente in tutti i suoi
primi lavori e Il braccio violento della legge ne
è probabilmente il miglior esempio. Friedkin, in collaborazione con
il direttore della fotografia Owen Roizman, non
commenta tanto con la sua macchina da presa, quanto piuttosto
lascia che questa catturi i personaggi nei loro ambienti,
permettendo a entrambi gli elementi di restituire la realtà.
Anche se ovviamente ogni scelta di
posizionamento della macchina da presa e di taglio è un commento,
lo stile presenta la sensazione indotta della realtà che si svolge
davanti ai nostri occhi. Questa veridicità è accresciuta dalla
netta mancanza di elementi tipicamente hollywoodiani in Il
braccio violento della legge: i personaggi non parlano di
sé stessi ma si svolgono semplicemente davanti alla macchina da
presa. La colonna sonora di Don Ellis non dice al
pubblico cosa sentire quando è presente (e lo è con parsimonia) ma
evoca invece uno stato d’animo, e il finale non è avvolto in un
fiocco ordinato e chiaro. L’unica conclusione che Friedkin concede
al suo pubblico è una serie di postille sullo schermo.
Frasi molto brevi e fredde, che
forniscono qualche scarno dettaglio su dove sono finiti alcuni dei
personaggi dopo gli eventi del film. Anche in questo caso, Friedkin
si rifiuta di fornire molta chiarezza: ci viene detto che
“Alain Charnier non è mai stato catturato” e che Doyle e
Russo sono stati “trasferiti dall’Ufficio Narcotici e
riassegnati”. La combinazione tra la drammaticità grintosa e
inequivocabile degli eventi del film e questa conclusione distante
e fredda è l’equivalente emotivo di un’immersione nell’acqua
ghiacciata, un campanello d’allarme che sembra troppo vicino
all’inconcludenza e all’ingiustizia della realtà.
Gene Hackman nel film Il braccio violento della legge
Nonostante il sequel, il film non
perde il suo valore
Il finale di Il braccio
violento della legge è così sconvolgente e scomodo che non
sorprende che il successo del film abbia implorato Hollywood di
seguirlo con un sequel che tentasse di rimediare allo schiacciante
fallimento di Doyle. Così, nel 1975 fu prodotto Il braccio
violento della legge 2, un sequel che cerca di soddisfare
quel pubblico lasciato frustrato e disturbato dal finale del film
originale. A sua discolpa, il sequel non ammorbidisce il
personaggio di Doyle e non gli permette di avere vita facile, in
quanto continua la sua ossessiva ricerca di Charnier in un paese
straniero dove non ha assistenza, mentre i suoi nemici sfruttano
ogni occasione per fermarlo con ogni mezzo necessario.
Tuttavia, il finale sembra un po’
scontato, un mea culpa per coloro che si aspettavano una narrazione
poliziesca più tradizionale. È anche un cenno al fatto che il film,
insieme alla serie di Harry Callaghan, il personaggio di Clint Eastwood, aveva dato vita al nuovo tropo
del poliziotto disonesto che infrange le regole e ottiene
risultati. Nonostante l’esistenza del sequel, la conclusione
persistente e molto meno ruffiana di Il braccio violento
della legge non poteva essere rivista o scossa così
facilmente. Il suo legame con la realtà, sia nei fatti che nei
sentimenti, aiuta il finale a mantenere il suo potere
ossessionante.
Sebbene si possa ragionevolmente
concludere che Doyle non sia morto (per mano propria o altrui),
dato il post scriptum del film sul suo trasferimento, non ha molta
importanza, poiché è chiaro che l’anima di quell’uomo si è
veramente persa. Papa Doyle ha oltrepassato il limite una volta di
troppo, si è spinto troppo in là nell’abisso e non riuscirà mai a
trovare la sua preda o la via del ritorno. Un personaggio dunque
specchio di un contesto, quello degli anni Settanta statunitensi,
sempre più cinico e violento, dove il confine tra legalità e
illegalità viene oltrepassato con grande facilità e totale
incuranza delle conseguenze.
La realtà supera il cinema. Che
il cinema potesse essere un vettore di comunicazione, fungendo da
catarsi di paure, come quando negli anni della guerra in Vietnam
proliferavano film di zombie, ce lo hanno insegnato molti autori.
Ma che le paure entrassero al cinema, fisicamente, facendo una
strage, non era sicuramente nei piani.
Nel weekend di esordio in sala
dell’atteso ultimo capitolo di Batman, The dark knight
rises, sempre diretto da Christopher
Nolan, un folle, come hanno riportato tutti i
media in questi giorni, è entrato in una sala ad Aurora, vicino
Denver in Colorado armato fino ai denti ed ha iniziato a sparare
sul pubblico che era lì. Risultato: 14 morti e oltre 50 feriti.
Un episodio orribile, che lascia
sullo stesso regista del film, Christopher Nolan, una sensazione di
come se qualcuno gli avesse violato casa, un luogo che dovrebbe
essere sicuro.
Di sicuro Nolan ricorderà molto la
fatica che ha segnato tutta la lavorazione della trilogia del
Cavaliere Oscuro, dalle intemperanze sul set di Christian
Bale, alla morte di Heath Ledger, non
legata al film, ma a problemi irrisolti con il quale il giovane
attore combatteva da un po’ di tempo ma collegato visto che
l’attore era sul set di Nolan nei panni di Joker, la cui
interpretazione straniante e allucinata è lontana anni luce da
quella psicotica ma allo stesso tempo leggera che ne fece Jack
Nicholson una decina di anni prima.
Per questa ragione,la WarnerBrosha
congelato i risultati del box office della pellicola, la cui
promozione ha subito radicali cambiamenti: rimandata la prima a
Parigi, che doveva avvenire il giorno dopo la strage, rinviata ogni
attività stampa.
Trapelano solo alcune notizie che
dicono che in fondo il film non stesse andando poi così bene.
Questi eventi drammatici congelano
quindi il box office alla settimana scorsa, caratterizzato dal
dominio di film meno cupi, come The Ice age 4, in prima
posizione e The amazing spiderman, che forse attira e
attiva menti meno distorte di quelle di James Holmes, il 24enne
autore della strage.
Il cinema rispecchia la realtà, a
volte la deforma, a volte ne crea una parallela, a volte parla di
demoni interiori che vengono esorcizzati dall’espressione
artistica. L’arte allontana da sé e dai propri mostri, a volte
riesce anche a curarli, il killer probabilmente cosciente di
questo, ha voluto portare i suoi mostri e lasciarli esprimere in un
luogo in cui si celebra un rito di distacco da sé, per
identificarsi in qualcun altro, lui però con la volontà di attirare
ogni attenzione su di sé.
Il Bluff Storia di Truffe e
di Imbroglioni è il film del 1976 di Sergio
Corbucci con protagonisti Anthony Quinn, Adriano
Celentano, Corinne Clèry, Capucine
Trama: Sergio
Corbucci, grande nome della cinematografia italiana, si mette
dietro la macchina da presa per raccontare la storia di un
truffatore italiano, tale Felice Brianza (Adriano
Celentano) che vive di espedienti e trucchetti per
raggirare gli altri. Tutto fila liscio finché incontra sulla sua
strada la biscazziera Belle Duke (Capucine), avida
e temibile, che gli propone di entrare in società, facendo evadere
dal carcere de La Cayenne Philip Bang (Anthony
Quinn) abile truffatore.
Dopo l’evasione, i due uomini
decidono di architettare una stangata ai danni della ex fiamma di
Bang architettando un bluff praticamente perfetto con la
collaborazione della figlia del vecchio truffatore, Charlotte
(Corinne Clèry)… solo che, tra truffatori e
truffati, è sempre più difficile fidarsi degli altri e capire qual
è la verità.
Il Bluff Storia di Truffe e di Imbroglioni, il
film
Analisi: Il cinema
italiano degli anni ’70 avverte la necessità, spasmodica e
inarrestabile, di sperimentare in continuazione adattando stili e
generi tipicamente americani ad una cinematografia ben lontana come
quella nostrana.
Il risultato? Un curioso e riuscito
(anche se a tratti) mash-up dove i registi si sforzano di
utilizzare- e di fondare- un nuovo codice audiovisivo per
raccontare delle storie diverse e lontane. Il Bluff
Storia di Truffe e di Imbroglioni ne è la prova. Pur
essendo sostenuto da un’idea di fondo potenzialmente inaffondabile,
il film purtroppo resta vittima delle sue inesattezze che
trascinano, con inesorabile malinconia, il prodotto fin dentro il
baratro della monotonia e della sciatteria.
Truffe accennate e mai portate fino
in fondo; macchinazioni losche e stangate poggiate sul nulla o su
deboli basi come pure delle assurde trovate della sceneggiatura non
garantiscono la credibilità, rendendo tutto più evanescente anche
per colpa di alcune interpretazioni che, sicuramente, non hanno una
funzione di supporto (come quella proprio del protagonista Adriano
Celentano o della co-protagonista Corinne Clèry); mentre invece se
la cavano bene i “vecchi leoni” come Anthony Quinn (credibile
sempre, perfino in un ruolo minore come questo) e Capucine, ex
modella convertitasi poi al cinema con discreti risultati, e qui
nei panni della ex fiamma nonché socia in affari di Quinn/Bang,
tale Belle Duke.
Eccesso, sfarzo, gags,
ambientazione anni ’20, la Francia tres- chic, azione,
motoscafi in fiamme e baracche sfondate: elementi che
potenzialmente potevano creare un cocktail dirompente ma che,
invece, si perdono diluiti in momenti da “fagioli western” conditi
da macchinazioni- e meccanismi comico/ drammaturgici- poco
credibili e un po’ figli anche del loro tempo.
Sicuramente una pellicola
cult per chi ama il genere Heist Movie/ Stangata
declinato in tutte le salse e per tutti gli spettatori che di
solito focalizzano la loro attenzione sulle pellicole Plot
Oriented trascurando la credibilità della storia e dei
personaggi che si muovono in essa.
E’ Batman-news che grazie ad un
attenta e meticolosa visione di uno dei trailer ha notato che la
data dell’uscita del Blu-ray de Il Cavaliere Oscuro – il
ritorno sarà nel periodo di Dicembre. Il video è stato postato
dalla Warner Bros sul canale youtube ufficiale Ecco
dov’è apparsa l’informazione:
Ecco invece il video in
questione:
Non ci sono notizie invece su un’uscita italiana del Blu-ray,
non ci resta che aspettare una comunicazione ufficiale della WB
Italia.
Trai film che hanno reso
cinematograficamente famoso Adriano Celentano, c’è sicuramente
Il bisbetico domato. Protagonista assoluto della
pellicola, Celentano ha messo a servizio tutte le sue peculiarità
per regalare un commedia leggera e spiritosa.
Un film che in quarant’anni si è
guadagnato un enorme successo popolare, tanto da diventare un film
cult nella memoria collettiva.
Ecco, allora, tutto quello
che c’è da sapere su Il bisbetico domato.
Il bisbetico domato film
Uno dei film che può essere
ascrivibile all’albo della commedia italiana è sicuramente Il
bisbetico domato. Realizzata nel lontano 1980 e diretta dal
duo Castellano e Pipolo, questa pellicola non fa altro che
confermare il sodalizio artistico tra i due registi e il
protagonista, Adriano Celentano, nato con Mani
di velluto (1979) e continuato con Innamorato pazzo
(1981), Grand Hotel Excelsior (1982) e Segni
particolari: bellissimo (1983).
Come gli altri film che vedono
protagonista il cantante della via Gluck, anche Il bisbetico
domato non si tratta di un film puramente musicale, nonostante
Celentano venga coinvolto nel progetto per curare le colonna sonora
o alcune canzoni presenti nel film stesso. Prodotto dalla Capital
Film, il film si basa su un soggetto originale di Castellano e
Pipolo, che hanno curato anche la sceneggiatura, e che vede come
protagonista assoluto proprio Celentano, nei panni di un
agricoltore, con eventi e caratteristiche che hanno preso spunto da
La bisbetica domata di William Shakespeare.
Girato in Lombardia, il film
(firmato da Mario e Vittorio Cecchi Gori) è stato montato da
Antonio Siciliano e le musiche originali sono
state scritte da Mariano Detto, mentre la
scenografia è di Bruno Amalfitano. Il film ha
avuto un successo enorme al box office, diventando il secondo film
più visto tra il 1980-1981, dopo Ricomincio da tre di
Massimo Troisi. Grazie al suo successo, si è
potuto procedere con la distribuzione sul mercato dell’Home Video,
rendendo questo film praticamente un cult della commedia
all’italiana.
Il bisbetico domato streaming
Chi volesse rivedere Il
bisbetico domato e ridere di cuore, oppure per chi volesse
approcciarsi per la prima volta, è possibile vedere questo film
grazie alla sua presenza sulle piattaforme digitali legali di
Infinity e Premium Play.
Il bisbetico domato Adriano
Celentano
Esistono una categoria di film che
se avessero avuto altri attori non avrebbero avuto lo stesso
successo, né sarebbero stati film davvero riusciti. Il
bisbetico domato fa esattamente parte di questa categoria
grazie alla presenza di Adriano Celentano. È proprio la sua
presenza in questo film ad essere un valore aggiunto, perché il
molleggiato mette a servizio del suo personaggio, e quindi del
film, tutte le sue qualità mimiche e pose plastiche, affinché
possano dare vita a siparietti da musical (come l’improvvisata
danza della vendemmia) e sia possibile realizzare un film, dal
preciso arco narrativo, costruito su dei semplici sketch.
In questo caso, le caratteristiche
attoriali del molleggiato vengono messe a servizio di
Elia, un agricoltore che vive completamente
isolato nel fittizio paesino di Rovignano, lontano dai contesti
sociali, cittadini, e da qualsiasi rapporto con il sesso femminile.
Il destino ha voluto che Lisa (interpretata da una
giovane e bellissima Ornella Muti) è rimasta a
piedi, a causa dell’auto rotta, e si trova a chiedere ospitalità al
rude campagnolo.
Dal loro incontro in poi,
all’inizio ostile – poiché Elia va d’accordo solo con gli animali –
diventerà una particolare quanto unica storia d’amore, con
un’evoluzione dominata da siparietti, situazioni quasi clownesche e
un carattere da bisbetico, poi domato.
Il bisbetico domato frasi
Questo film è famoso anche per le
diverse frasi in esso contenute che, nel corso degli anni, sono
diventare parte dell’immaginario collettivo e fonte di
citazioni.
“Con le bestie bisogna parlarci, non sono mica uomini.”
Ho capito, non ti piacciono le comiche. Non ti piace ridere.
Non ti piace niente.
Sapessi come mi fai imbestialire con la tua superiorità, con la
tua faccia impassibile. Per te non fa differenza se uno si mette un
vestito o un altro. Al limite, se io vado in giro nuda per te è la
stessa cosa!
“Io sono nato in una fredda sera di inverno esattamente il 4
agosto alle diciannove e venti ossia otto meno quaranta, in questa
stanza… mentre nel piano di sotto mia madre passeggiava
nervosamente su e giù fumandosi un sigaro di marca Minghetti.”
“Mia madre era un uomo alto biondo, uguale a mia nonna.”
Ci sposiamo. Qual è la tua risposta affermativa?
Lisa: ” Ti piace questo vestito? È di Valentino”. Elia: ”
Peccato, pensavo fosse il tuo”.
Sono tornata per dirti che sei un imbecille, un bifolco, uno
zotico, un maschilista, un cafone e un villano!
Il bisbetico domato location
Le riprese del film, come i tanti
di quel periodo e soprattutto quelli che hanno visto Celentano tra
i protagonisti, sono avvenuti in alcuni paesi tra il Comasco, il
Lecchese, Milano e la Brianza.
Proprio in queste zone ha avuto
origine il film: basti pensare che le scene finali dell’allenamento
e della partita di basket sono state girate alla palestra Parini di
Cantù, in provincia di Como. In effetti, non è un caso visto che la
squadra contro cui gioca il Rovignano sia comporta da giocatori
della Squibb Cantù. Tra gli altri luoghi utilizzati per le riprese,
si può citare Arluno, dove si è girata la scena del benzinaio,
situato nei pressi dello svincolo autostradale, mentre la scena
dell’autostop ha trovato posto a Oggiono, nei pressi del lago di
Annone, situato tra la Brianza e il Lecchese.
Infine, le scene del ristorante
sono state girare in un vero ristorante, dal nome Da Pio,
appartenente al comune di Somma Lombardo, nel varesotto: se nel
film, la vista viene data sul lago, in realtà quelle acque sono
appartenenti al fiume Ticino.
In Il Bianco Il Giallo e il
Nero Il giovane samurai Sakura (Tomas Milian) si mette
sulle tracce di un sacro pony che l’imperatore del Giappone ha
inviato in dono ad una colonia giapponese nel vecchio west, ma che
è stato rubato da alcuni falsi indiani per provocare una guerra
contro i pellerossa stessi. Come riscatto i rapitori chiedono un
milione di dollari custoditi in una cassa ed affidati, per la
consegna, allo sceriffo Black Jack (Eli Wallach). Ma il bottino fa
gola pure allo spregiudicato bandito svizzero Blanc de Blanc
(Giuliano Gemma) che, per mettere le mani su di esso, stringe un
accordo con lo sceriffo e Sakura, cercando però ovviamente di
fregarli in ogni modo…
Analisi: Siamo nel
1974 quando Sergio Corbucci gira uno degli ultimi western
italiani. Nella sua enorme carriera il regista romano ha spaziato
nei generi più disparati, una carriera multiforme, contraddista da
un enorme talento che gli permetteva proprio di sperimentare e
cambiare genere con estrema versatilità. Uno degli ambiti nel quale
ci ha sicuramente lasciato delle pietre miliari è sicuramente il
western: un genere che gli italiani hanno “desunto” dalla
tradizione prettamente americana popolata dal mito secessionista,
gli indiani, la lotta per i territori, le carovane, i mormoni, i
saloon, i banditi e gli eroi solitari e integerrimi alla John
Wayne. L’ultimo western, il più “crepuscolare”, è Il
Bianco Il Giallo e il Nero datato 1974 e che vede
protagonisti tre glorie del genere: Eli Wallach, Tomas
Milian e infine Giuliano Gemma, scomparso da pochi
giorni e già compianta “faccia d’angelo” che ha segnato un genere
con le sue interpretazioni di film memorabili come Una
pistola per Ringo (1965) e I giorni dell’ira (1967).
Il Bianco Il Giallo e il
Nero è una sorta di divertissement dalla trama
improbabile, che mescola la cultura pop, una sorta di antologia del
genere “spaghetti western”, con un occhio rivolto però verso il
sottogenere dei “Fagioli western”, film dal sapere decisamente più
comico come il filone inaugurato da Lo chiamavano
Trinità (1970) ed epigoni.
Sicuramente l’aspetto che più
colpisce è il gioco meta-cinematografico presente fin dall’inizio:
la moglie di Black Jack (il cui nome già richiama un tipo di gioco
d’azzardo) si “esibisce” in un delirante monologo costruito dagli
sceneggiatori in modo tale da camuffare le citazioni di titoli di
altri film western come delle invettive rivolte dalla signora al
consorte. Ma il gioco non si esaurisce qui: le autocitazioni sono
sparse in tutto il film, dalle tombe alle bare ridenti eredità del
“Django” originale, oppure Wallach stesso che rifà il verso
all’immortale “brutto” Tuco del film di Leone e Tomas Milian
che anticipa le peripezie del “suo” cinese nel cult “delitto al
ristorante cinese” improvvisandosi improbabile samurai nipponico
dall’umorismo rabeleisiano e dalle enormi- ma esilaranti-
difficoltà linguistiche.
Il clima farsesco della pellicola
serve a separare definitivamente- come un ultimo, estremo, “canto
del cigno” di un genere- il realismo dalla sua trasfigurazione
finale in leggera e briosa parodia, camminando però in bilico su di
un sottilissimo filo teso tra due entità apparentemente così
distanti e distinte.
Il film Baywatch ha
finalmente trovato il regista: Robert Ben Garant, co-creatore e
co-protagonista della serie Reno 911! e co-sceneggiatore di Una
notte al museo (2006). Il Baywatch per il grande
Il personaggio di
Batman della DC Comics,
si presta molto ad interpretazioni svariate sul suo look e sul suo
armamento e oggi tra le tante versione arriva la spettacolare
concezione dell’artista Mohammed Z. Mukhtar, che ha
concepito un Batman corazzato e futuristico:
Ecco tantissime nuove immagini da
Batman v Superman Dawn of
Justice ricavate da screenshot dell’album
di figurine realizzato per il film. Nelle immagini possiamo
dare uno sguardo da vicino al portentoso bat-arsenale di Bruce
Wayne/Ben Affleck, al quale l’oscuro eroe si
affiderà per provare a sconfiggere Superman.
“Temendo le azioni incontrastate
di un supereroe pari ad una divinità, il formidabile e
fortissimo vigilante di Gotham City decide di affrontare il più
riverito salvatore di Metropolis , mentre il mondo si batte
per capire di quale tipo di eroe ha bisogno. E con Batman e
Superman in guerra, sorge
qualcosa di nuovo che mette l’umanitá in un pericolo mai conosciuto
prima”.
Ricordiamo
che Batman v Superman : Dawn
of Justice, Zack
Snyder è stato
scritto da ChrisTerrio, da
un soggetto di David
S. Goyer.
In Batman v Superman saranno
presenti Henry Cavill nel
ruolo
di Superman/Clark Kent e Ben Affleck nei
panni di Batman/Bruce Wayne. Nel cast ci saranno
anche: AmyAdams, LaurenceFishburne, Diane
Lane, JesseEisenberg, Ray
Fisher, Jason
Momoa e GalGadot. Batman v Superman : Dawn
of Justice arriverà nelle sale di
tutto il mondo il 6 maggio 2016.
Il New York Comic-Con sta iniziando a scaldarsi e, prima che i
panel inizino, i Marvel Studios hanno svelato un nuovo
murale che ritrae diversi eroi e cattivi del MCU.
Non sappiamo ancora chi darà la voce a H.E.R.B.I.E., ma si
ipotizza che possa essere Natasha Lyonne, il cui ruolo nel prossimo
reboot non è ancora stato confermato (diremmo che è più probabile
che interpreti Alicia Masters, ma non si sa mai).
Guardate il banner completo qui sotto, insieme ad alcune foto
ravvicinate di H.E.R.B.I.E. e Red Hulk.
Apple ha
rilasciato il trailer del cortometraggio animato “Il
bambino, la talpa, la volpe e il cavallo“, basato
sull’amato best seller di Charlie Mackesy. Una storia di
gentilezza, amicizia, coraggio e speranza per gli spettatori di
tutte le età che farà il suo debutto il giorno di Natale su
Apple
TV+.
Un viaggio toccante e sentito che
segue l’improbabile amicizia tra un bambino, una talpa, una volpe e
un cavallo che si avventurano insieme alla ricerca della casa del
ragazzo. Con le illustrazioni del celebre autore Charlie Mackesy,
animate da bellissimi disegni a colori fatti a mano,
ai protagonisti del film prestano la
voce il vincitore del BAFTA Award Tom Hollander
(“The White Lotus”) nei panni della Talpa, il
vincitore del SAG Award Idris Elba (“Luther”) nei panni della
Volpe, Gabriel Byrne (“All Things Bright and Beautiful”) in
quelli del Cavallo e l’esordiente Jude Coward Nicoll in
quelli del Bambino.
Matthew Freud presenta un film di Charlie Mackesy, prodotto
dalla candidata all’Oscar® Cara Speller (“Pear Cider and
Cigarettes”) per conto di NoneMore Productions e da JJ Abrams e
Hannah Minghella per conto di Bad Robot Productions. Diretto da
Peter Baynton (“The Tiger Who Came To Tea”) e Charlie Mackesy, il
film è un adattamento del libro originale in collaborazione con Jon
Croker (“Paddington 2”) ed è prodotto da Jony Ive e dal candidato
all’Oscar Woody Harrelson (“Tre manifesti a Ebbing, Missouri”). La
colonna sonora originale è della compositrice Isobel Waller-Bridge,
eseguita dalla BBC Concert Orchestra e diretta da Geoff
Alexander.
“Il bambino, la talpa, la volpe e il cavallo” è
presentato in collaborazione con la BBC, che lo presenterà in
anteprima nel Regno Unito, mentre il film sarà disponibile in tutto
il mondo su Apple TV+
il giorno di Natale.
La crescente offerta di serie e film originali pluripremiati per
bambini e famiglie su Apple TV+
comprende anche straordinarie proposte per tutte le età, come la
serie vincitrice del Premio Humanitas e del BAFTA Children & Young
People’s Award “Supersorda”, la serie vincitrice del BAFTA Children
& Young People’s Award “La nostra piccola fattoria”, “Anatra e Oca”
e “Pigna e Pony”; la serie vincitrice del Peabody Award
“Acquasilente”, il vincitore del Daytime Emmy Award “Helpsters” di
Sesame Workshop, “Wolfboy e la fabbrica del tutto” della HITRECORD
di Joseph Gordon-Levitt e Bento Box Entertainment, “I tuoi amici
Sago Mini”, il candidato al Children & Family Emmy Award “Ciao,
Jack! Che spettacolo la gentilezza” di Jack McBrayer e Angela C.
Santomero, “Snoopy nello spazio”, la serie candidata al Daytime
Emmy Award, “Le avventure di Snoopy”, “Mettiamoci in moto Otis!” e
“Coccodè, tocca a me!”. Tra le proposte live-action ci sono “Ambra
Chiaro” di Bonnie Hunt, “Un passo alla volta”, “Le ragazze del
Surf”, “La vista secondo Ella”, la serie vincitrice del Daytime
Emmy Award “Lo scrittore fantasma” di Sesame Workshop, “Cuccioli
cercano casa” e “Circuit Breakers”, vincitrice dell’Environmental
Media Award.
in questa rosa sono inclusi anche gli speciali dei Peanuts e di
WildBrain, tra cui “Le piccole cose contano, Charlie Brown”,
candidato al Children’s & Family Emmy Award, “Snoopy presenta: la
scuola di Lucy”, “A mamma (e papà) con amore”, il candidato
all’Annie Award, “Snoopy presenta: Anno nuovo vita nuova, Lucy” e
“Noi siamo qui: dritte per vivere sul pianeta Terra”, l’evento
televisivo vincitore del BAFTA Children & Young People’s Award e
del Daytime Emmy Award basato sul libro best-seller del New York
Times e TIME Best Book of the Year di Oliver Jeffers. Apple
TV+ amplierà presto la sua offerta con “Jane”, una nuova serie
mission-driven di J.J. Johnson, Sinking Ship Entertainment e del
Jane Goodall Institute.
Nell’offerta di film per bambini e famiglie sono compresi il
film d’animazione “Luck” di Apple Original Films e Skydance
Animation e il film d’animazione “Wolfwalkers – Il popolo dei
lupi”, nominato agli Oscar® e vincitore del BAFTA Children & Young
People Award.
Il cortometraggio animato
Il bambino, la talpa, la volpe e il cavallo,
basato sull’amato e pluripremiato libro di Charlie Mackesy, è ora
disponibile per la visione in anteprima stampa.
Con le voci di Tom Hollander,
Idris Elba, Gabriel Byrne e Jude Coward
Nicoll, il film debutterà su Apple
TV+ il giorno di Natale. Una storia di gentilezza,
amicizia, coraggio e speranza per gli spettatori di tutte le età in
un commovente film d’animazione, basato sul libro di Charlie
Mackesy. “Il bambino, la talpa, la volpe e il cavallo” è un viaggio
toccante e sentito che segue l’improbabile amicizia tra un bambino,
una talpa, una volpe e un cavallo che viaggiano insieme alla
ricerca della casa del ragazzo.
Con le illustrazioni del
celebre autore Charlie Mackesy, animate da
bellissimi disegnati a colori fatti a mano, ha come
voce dei protagonisti il vincitore del BAFTA Award Tom
Hollander (“The Night Manager”) nei panni della Talpa,
il vincitore del Golden Globe e del SAG Award Idris
Elba (“Luther”) nei panni della Volpe, il vincitore del
Golden Globe Gabriel Byrne (“All Things Bright and Beautiful”) in
quelli del Cavallo e l’esordiente Jude
CowardNicoll in quelli del Bambino.
Matthew
Freud presenta un film di Charlie Mackesy, prodotto dalla
vincitrice dell’Emmy e candidata all’Oscar Cara Speller (“Love,
Death & Robots”, “Pear Cider and Cigarettes”, “Rocket & Groot”) di
NoneMore Productions e dal vincitore dell’Emmy JJ Abrams e Hannah
Minghella della Bad Robot Productions. Diretto da Peter Baynton
(“The Tiger Who Came To Tea”) e Charlie Mackesy, il film è un
adattamento del libro originale in collaborazione con Jon Croker
(“Paddington 2”) ed è prodotto da Jony Ive e dal candidato
all’Oscar Woody Harrelson (“Tre manifesti a
Ebbing, Missouri”). Colonna sonora originale del compositore Isobel
Waller-Bridge, eseguita dalla BBC Concert Orchestra e diretta da
Geoff Alexander.
01 Distribution ha diffuso oggi il
trailer ufficiale de Il
bambino nascosto, il nuovo film del regista
Roberto Andò con
Silvio Orlando e Giuseppe Pirozzi,
dal 4 novembre al cinema. Nel cast anche Roberto Herlitzka,
Lino Musella, Francesco Di Leva, Enzo Casertano
Ne Il bambino
nascosto Gabriele Santoro vive in un quartiere popolare di
Napoli ed è titolare della cattedra di pianoforte al Conservatorio
San Pietro a Majella. Una mattina, mentre sta radendosi la barba,
il postino suona al citofono per avvertirlo che c’è un pacco, lui
apre la porta e, prima di accoglierlo, corre a lavarsi la faccia.
In quel breve lasso di tempo, un bambino di dieci anni si insinua
nel suo appartamento e vi si nasconde. “Il maestro”– così lo
chiamano nel quartiere – se ne accorgerà solo a tarda sera. Quando
accade, riconoscerà nell’intruso, Ciro, un bambino che abita con i
genitori e con i fratelli nell’attico del suo stesso palazzo.
Interrogato sul perché della sua fuga Ciro non parla. Nonostante
questo, il maestro, d’istinto, decide di nasconderlo in casa,
ingaggiando una singolare, e tenace, sfida ai nemici di Ciro.
Scoprirà presto che il bambino è figlio di un camorrista e che,
come accade a chi ha dovuto negare presto la propria infanzia, Ciro
ignora l’alfabeto dei sentimenti. Silenzioso, colto,
solitario, il maestro di pianoforte è uomo di passioni nascoste,
segrete. Toccherà a lui lo svezzamento affettivo di questo bambino
che si è sottratto a un destino già scritto. Una partita rischiosa
in cui, dopo una iniziale esitazione, Gabriele Santoro si getta
senza freni.
Ne Il bambino
nascosto Gabriele Santoro vive in un quartiere popolare di
Napoli ed è titolare della cattedra di pianoforte al Conservatorio
San Pietro a Majella. Una mattina, mentre sta radendosi la barba,
il postino suona al citofono per avvertirlo che c’è un pacco, lui
apre la porta e, prima di accoglierlo, corre a lavarsi la faccia.
In quel breve lasso di tempo, un bambino di dieci anni si insinua
nel suo appartamento e vi si nasconde. “Il maestro”– così lo
chiamano nel quartiere – se ne accorgerà solo a tarda sera. Quando
accade, riconoscerà nell’intruso, Ciro, un bambino che abita con i
genitori e con i fratelli nell’attico del suo stesso palazzo.
Interrogato sul perché della sua fuga Ciro non parla. Nonostante
questo, il maestro, d’istinto, decide di nasconderlo in casa,
ingaggiando una singolare, e tenace, sfida ai nemici di Ciro.
Scoprirà presto che il bambino è figlio di un camorrista e che,
come accade a chi ha dovuto negare presto la propria infanzia, Ciro
ignora l’alfabeto dei sentimenti. Silenzioso, colto,
solitario, il maestro di pianoforte è uomo di passioni nascoste,
segrete. Toccherà a lui lo svezzamento affettivo di questo bambino
che si è sottratto a un destino già scritto. Una partita rischiosa
in cui, dopo una iniziale esitazione, Gabriele Santoro si getta
senza freni.
Roberto Andò è uno
di quei registi che negli ultimi anni ha regalato al cinema
italiano film in grado di suscitare domande e riflessioni, spesso
attraverso l’utilizzo di generi diversi. Da Viva la libertà a
Le confessioni, da
Una storia senza nome e
fino al recente successo di La stranezza,
incentrato su un particolare momento della vita di Luigi
Pirandello. Proprio prima di quest’ultimo, Andò ha
realizzato Il bambino
nascosto, un film che è invece una denuncia degli
ambienti criminali dove i bambini perdono, prima che la vita, la
loro infanzia e la capacità di provare emozioni. Presentato Fuori
Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, si tratta dunque di un
film dal forte valore sociale.
Si tratta però di un film che non
calca la mano sulla difficoltà del contesto in cui si muovono i
protagonisti, ma che predilige piuttosto la bontà delle loro azioni
e del loro riscoprire la propria umanità attraverso il rapporto
instaurato. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà
certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità
relative ad esso. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti
possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla
trama e al cast di attori,
ma anche al libro da cui è tratto e alle
storie vere a cui si ispira. Infine, si
elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
La trama e il cast di Il bambino nascosto
Protagonista del film è
Gabriele Santoro, residente in un quartiere
popolare di Napoli ed titolare della cattedra di pianoforte al
Conservatorio San Pietro a Majella. Per lui tutto cambia quando una
mattina un bambino di dieci anni si intrufola nel suo appartamento
e vi si nasconde. Quando Gabriele se ne accorge si rende conto di
conoscerlo: è Ciro, che abita con i genitori e i
fratelli in quello stesso palazzo. Pur non riuscendo ad ottenere
spiegazioni da lui riguardo quella sua fuga, Gabriele capisce di
doverlo tenere nascosto con sé, al sicuro da qualcosa oltre la sua
porta che potrebbe minacciare la sua giovane vita. Piano piano,
mentre cerca di insegnargli cosa sono i sentimenti, il professore
scoprirà di più sulla tragica storia di quel bambino.
Ad interpretare il protagonista, il
professore Gabriele Santoro, vi è l’attore Silvio Orlando,
mentre il giovane Giuseppe Pirozzi è il bambino
nascosto del titolo, Ciro. Accanto a loro recitano poi Lino
Musella nel ruolo di Diego e Imma Villa
in quello di Angela Acerno. Salvatore Striano è
Carmine Acerno, mentre Gianfelice Imparato è
Renato Santoro. Fanno poi parte del cast anche Francesco Di
Leva nei panni di Biagio e Claudio Di
Palma in quelli di Antonio Alajmo. Alfonso
Postiglione è Alfonso De Vivo e Sergio
Basile interpreta Vincenzo Mezzera. Il noto attore
Roberto
Herlitzka, infine, dà volto a Massimo Santoro.
Le differenze con il libro da cui è
tratto e la spiegazione del finale
Nell’adattare il proprio romanzo
omonimo, Andò ha fatto in modo di mantenersi particolarmente fedele
ad esso, tagliando solo aspetti ritenuti superflui o difficilmente
adattabili per il grande schermo. Il romanzo, come dichiarato dal
regista, permette infatti di entrare nella mente dei personaggi
mentre il film ha la capacità di raccontare visivamente lo spazio,
elemento fondamentale del racconto di Il
bambino nascosto. Raccontando di una “prigionia”, con
una vicenda che si svolge quasi del tutto all’interno
dell’appartamento del protagonista, il regista ha dunque potuto
esaltare tale situazione grazie alle immagini.
Una cosa su cui però il regista ha
scelto di discostarsi dal libro è il finale. Rispetto al romanzo,
dove la risoluzione del racconto appare più chiara e definita, per
il film Andò ha scelto di affidarsi ad una maggiore sospensione
della vicenda, lasciando intuire in che modo si concludono
determinate vicende ma non svelando in che modo esse influenzeranno
il futuro dei vari personaggi. Così facendo, si è dunque donato al
film un finale più “aperto”, che spinge lo spettatore a riflettere
sui temi del legame famigliari di sangue e sulla famiglia che
invece ci scegliamo e attraverso la quale è possibile riscoprire la
bellezza della vita, sfuggendo ad un destino che appariva già
segnato.
Il bambino nascosto è tratto da una storia
vera?
Come dichiarato dal regista, la
vicenda narrata in
Il bambino nascosto non è direttamente tratta da una
storia vera, ma è possibile immaginare che nel concepire questo
racconto Andò si sia basato sui tanti casi di infanzia negata
legati agli ambienti camorristi e mafiosi. Il contesto riproposto
tanto dal libro quanto dal film fa infatti ovvi riferimenti a
situazioni che idealmente si verificano – purtroppo – nella realtà.
A partire da qui, però, i personaggi di questa storia sono frutto
dell’invenzione del regista, il quale attraverso di loro ha voluto
dar vita ad un racconto incentrato sui temi della famiglia,
dell’infanzia, della speranza e del superare le proprie paure
riscoprendo l’importanza dei sentimenti.
Il trailer di Il bambino
nascosto e dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di Il bambino
nascosto grazie alla sua presenza su alcune delle più
popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è
infatti disponibile nei cataloghi di Tim Vision e
Prime Video. Per vederlo, una volta
scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo
film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di
guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il
film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di sabato
13 luglio alle ore 21:10 sul canale
Rai Movie.
Roberto
Andò torna a Venezia per il suo Il
bambino nascosto, presentato fuori concorso alla
78esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Il regista
viene da un’esperienza lunga quasi quanto la sua vita, che affonda
le radici nel teatro, nella scrittura e, naturalmente, nella
regia.
Già a metà degli anni 90
era iniziata la sua avventura con la Mostra al Lido di Venezia,
dove aveva presentato diversi documentari. Fino ad
arrivare al 2018 quando porta Una storia senza nome, sempre fuori concorso.
Nel corso di tutti quegli anni, si aggiudica una grande quantità di
premi e candidature tra Nastri d’argento e David di Donatello. Un
percorso professionale ricchissimo, dunque, quello di Andò, fatto
anche di maestri e guide dai nomi altisonanti (da Leonardo
Sciascia a Francesco Rosi, passando per
Fellini e Harold Pinter), che
contribuiscono alla sua formazione artistica, ai suoi interessi e
allo stile che via via avrebbe raffinato nel tempo.
La storia de Il
bambino nascosto è tratta da un suo stesso libro dal
titolo omonimo, nel quale chiaramente ci sono tanti più dettagli di
contorno rispetto al risultato finale scritto in sceneggiatura. Il
film parla del professore Gabriele Santoro (Silvio
Orlando) che insegna pianoforte al Conservatorio San
Pietro a Majella e che un giorno, dentro casa propria, si trova un
giovane sugli undici anni (Giuseppe Pirozzi) che
riconosce essere il figlio di una coppia che vive nel suo palazzo
(Imma Villa e Sasà Striano). Il
tutto è ambientato a Napoli, in un quartiere popolare, in cui il
maestro Santoro – così è come viene chiamato in zona – abita da
diverso tempo, nonostante potrebbe permettersi di vivere in zone
ben più ricche, ma al regista è proprio questo che vuole
combinare.
La soddisfazione nel far
confluire insieme mondi così tanto diversi è il flusso primario
della corrente del film. Il desiderio di Andò è quello di mettere
in scena due correnti dall’impeto opposto che si scontrano, ma che
scatenano l’apertura verso la libertà, proprio quella che per vie
legali non è ancora realizzabile a causa della mancanza di
preparazione del nostro sistema giuridico.
Il piccolo e sfrontato
Ciro, così si chiama il giovinetto che irrompe nella vita del
professor Santoro, è dovuto fuggire dalla sua stessa famiglia a
causa di una situazione non chiara, ma evidentemente molto grave,
che ha combinato con un suo amichetto, e che ha scatenato le ire
della Camorra.
Il bambino non ha
protezione, se dovesse ritornare a casa sa che potrebbe essere
ucciso, nonostante la sua sia ancora un’età in cui di morte e
sparatorie non se ne dovrebbe capire nulla. Eppure tant’è. Il
maestro è chiuso, intimidito, al limite dell’asociale. Ma forse è
questa l’occasione che la sua personalità ripiegata in sé stava
giusto aspettando per uscire all’aria aperta.
Un incontro tra due solitudini
Roberto
Andò si appoggia completamente all’insolita coppia di
attori nella strutturazione del progressivo sviluppo della storia.
E sarebbe l’ideale in base a come l’idea originale è stata pensata,
al modo in cui la trama viene tessuta su carta, nella scrittura del
film. È evidente l’intento del regista-scrittore, così come
dell’ausilio dello sceneggiatore Franco Marcoaldi:
l’incontro dell’intellettuale un po’ burbero, reso legnoso dalla
vita solitaria, si schiude davanti alla semplicità sfacciata e
vitale del piccolo Ciro, finché l’uno salva l’altro.
Il problema è solo che la
chimica e la sintonia interpretativa non sono così immediate e, tra
l’altro, traspaiono da così tanti elementi che è praticamente
impossibile recitarle, anche se parrebbe un paradosso.
Silvio Orlando e il giovane Giuseppe
Pirozzi portano loro stessi e le loro reali fragilità
davanti alla macchina da presa, e il gioco risulta efficace
fintanto che è funzionale all’impaccio della prima parte del
racconto. Ma quando si arriva al nocciolo della questione, la
relazione vacilla e rimane la poca armonia. Per quanto sia
innegabile la buona intenzione dell’autore.