Da oggi è disponibile su NetflixHomecoming: A Film by
Beyoncé, un film interamente dedicato alla celebre
performance di Beyoncé in occasione del Coachella Music Festival
del 2018, un omaggio ai college e alle università storicamente
frequentate da persone di colore negli Stati Uniti (HBCU).
Partendo dal concetto creativo
all’origine dello show, talmente grande da generare un movimento
culturale, Homecoming: A Film by
Beyoncérivela il percorso emotivo
dietro a questa incredibile performance tramite immagini
straordinarie e interviste di approfondimento. Homecoming:
A Film by Beyoncé è anche un album live disponibile
sempre da oggi in digitale per Parkwood Entertainment e Columbia
Records.
In qualità di prima donna di colore
ad aprire il Coachella Festival, in Homecoming: A Film by
Beyoncé, Beyoncé omaggia i visionari rappresentanti della
cultura afroamericana che sono stati per lei fonte d’ispirazione,
tra cui gli alunni HBCU Toni Morrison e Alice Walker, l’attivista
Marian Wright Edelman e i ricercatori W.E.B. Du Bois, oltre a
luminari della cultura come Nina Simone, Maya Angelou, Chimamanda
Ngozi Adichie e Audre Lorde. Alla base del desiderio di Beyoncé di
celebrare l’importanza delle HBCU suo padre Mathew Knowles, alunno
della Fisk University.
Girato nel corso di otto mesi, il
film segue la star della musica mondiale nel momento in cui torna
sul palco dopo la nascita dei suoi gemelli, prestando particolare
attenzione alla sua preparazione personale. La rivoluzionaria
performance ha richiesto quattro mesi di prove musicali, seguite da
quattro mesi di prove di danza, che hanno coinvolto oltre 150
musicisti, ballerini e personalità creative – tutti scelti in prima
persona dall’artista stessa.
Nel destreggiarsi tra due ruoli,
regista sia della sua live performance che del film che ha ripreso
il processo che porta alla sua realizzazione, Beyoncé ha affermato:
«È stato uno dei lavori più difficili che abbia portato a
termine ma sapevo che dovevo spingere me stessa e il mio team oltre
i limiti, l’obiettivo era il passaggio da fantastico a leggendario.
Sapevamo che niente del genere era mai stato realizzato in un
festival musicale, la performance doveva essere iconica, oltre ogni
possibile paragone. Lo show era un omaggio ad un’importante parte
della cultura afroamericana. Doveva essere fedele per chi già
conosceva la sua storia, ma al tempo stesso divertente e
illuminante per le persone che invece avevano ancora bisogno di
imparare. Durante la realizzazione del film, raccontando questa
storia una seconda volta, il proposito è rimasto esattamente lo
stesso».
Molti cantanti e ballerini del cast
sono stati studenti HBCU, cresciuti nella tradizione delle
marching band tipiche di questi istituti e si sono uniti
al gruppo di performer che si esibiscono al fianco di Beyoncé da
anni. Dal documentario emergono l’intensità delle prove di danza e
il talento di questi artisti, è inoltre possibile assistere al
viaggio personale che li porta dall’essere normali studenti HBCU
all’esibizione, che non dimenticheranno mai in tutta la loro vita,
su un palco importantissimo e dall’alto valore storico come quello
di Beyoncé.
«Moltissime persone con
grande ricchezza culturale e intellettuale sono diplomate alle
HBCU, tra loro anche mio padre», racconta Beyoncé nel film,
«c’è qualcosa di incredibilmente importante all’interno
dell’esperienza HBCU, che deve essere celebrato e
protetto».
Come premio per i fan, nel film è
presente sui titoli di coda la versione di Beyoncé di “Before I
Let Go” di Frankie Beverly e Maze, un classico R&B del
1981, che viene spesso proposto ai giochi delle HBCU.
Homecoming: A Film by
Beyoncé è diretto e prodotto dalla stessa Beyoncé
Knowles-Carter, aiutata alla regia dal collaboratore di lunga data
Ed Burke. Steve Pamon e Erinn Williams sono produttori
esecutivi.
Arriverà su Netflix a partire dal 17 Aprile 2019
Homecoming: A film by Beyoncé, il film interamente
dedicato alla celebre performance di Beyoncé in occasione del
Coachella Music Festival del 2018.
Homecoming sarà
disponibile su Netflix dal 17 aprile 2019 in tutti i Paesi in cui
il servizio è attivo.
Si tratta di un omaggio ai college
e alle università storicamente frequentate da persone di colore
negli Stati Uniti. Dal concetto creativo all’origine dello show,
fino al movimento culturale che ha generato,
HOMECOMING rivela il percorso emotivo dell’artista
dietro a questa performance tramite immagini straordinarie e
interviste di approfondimento.
All’interno dell’industria dello
spettacolo statunitense, i reduci di guerra sono da sempre uno dei
soggetti privilegiati. Il loro reinserimento nella società è
tutt’oggi una problematica mai realmente risolta, e la serie Amazon
Prime Homecoming continua a riflettere a
riguardo, confezionando il tutto in un contesto che a suo modo
dialoga con la fantascienza. Ideata a partire dall’omonimo podcast
degli autori Eli Horowitz e Micah
Bloomberg, la serie è ora pronta a rivelare la sua
seconda stagione,
dopo quella con protagonista Julia
Roberts, rilasciata nel 2018.
La Roberts non sarà tuttavia
presente nei nuovi episodi, che si avvalgono invece di nuovi
protagonisti, come gli attori Janelle
Monáee Chris Cooper,
alcuni personaggi già noti e lo stesso universo narrativo. Ciò non
la rende propriamente una serie antologica, quanto invece
un’evoluzione di quanto visto precedentemente. Se una storia legata
al mondo mostratoci si è conclusa, ve ne sono altre da poter
raccontare e che permettono di andare ancor più a fondo rispetto a
quei misteri rimasti irrisolti.
Stavolta lo spettatore si troverà a
seguire le vicende di una donna risvegliatasi improvvisamente
all’interno di una barca in mezzo ad un lago. Questa non ricorda né
chi è, né come sia finita lì. La sua ricerca la porterà però ad
imbattersi nella nota Geist Group, compagnia impegnata
nell’iniziativa Homecoming, destinata alla reintegro nella società
dei reduci. Nel momento in cui il mistero si infittisce, pericolose
rivelazioni verranno alla luce.
L’essenziale è il segreto
Nel dare un seguito a quanto
narrato nella prima stagione, Homecoming dimostra di voler
continuare a perseguire il detto secondo cui “meno è più”. Con i
suoi episodi da circa trenta minuti l’uno, infatti, si concentra
solamente su ciò che è essenziale alla storia e al suo mistero. Non
vi è tempo per particolari sottotrame o ulteriori tematiche, che
potrebbero invece far perdere il focus centrale. E nel trattarlo,
si raccoglie quanto rimasto in sospeso nella precedente stagione
per darvi qui uno sviluppo, il tutto mantenendo quel ritmo pacato
che aveva caratterizzato gli episodi del 2018.
Al contrario, i due autori
dimostrano di aver ulteriormente raddrizzato il tiro, eliminando
tutte quelle particolarità estetiche che avevano finito con il
rendersi di troppo nella prima stagione, rendendone faticosa la
visione. Con questa ricerca per l’essenziale, tanto nella scrittura
quanto nella messa in scena, è invece possibile concentrarsi sui
grandi meccanismi che muovono la storia e le sue tematiche.
Al centro di tutto vi è nuovamente
la manipolazione della mente, e l’uso che si potrebbe fare di tale
capacità. Forze positive e negative si muovono nei confronti di
tale conquista, e nel centellinare i propri indizi la serie si
conferma come un affascinante thriller, dotato di elementi, se non
fantascientifici, certamente distopici. L’ulteriore riduzione degli
episodi, da dieci a sette, permette inoltre di vivere in modo più
concentrato i pochi essenziali eventi che si manifestano, anche se
in più occasioni questi si dimostrano essere piuttosto
dimenticabili.
Homecoming è una serie complessa
da catalogare
Come già avvenuto per la prima
stagione, continua ad essere difficile ricondurre
Homecoming a delle etichette prestabilite, e proprio
questa sua complessità è certamente un gradito elemento, il quale
contribuisce alla sua originalità. Aver rinnovato molto del suo
volto, con nuovi protagonisti e vicende, inoltre, permette di
aggiungere sfumature che dovrebbero rendere sempre più intrigante
il mondo che i due autori vogliono narrare, cosa che però non
sempre qui si verifica. Se, infatti, come accennato, da un punto di
vista estetico questa seconda stagione dimostra uno sviluppo
rispetto alla precedente, altrettanto non si può dire a livello
narrativo.
Probabilmente è anche per via del
discontinuo coinvolgimento che genera, che nel giungere alla sua
conclusione Homecoming potrebbe risultare indigesta. Con
un finale brusco, in linea con quello della precedente stagione, la
serie sembra pronta a cambiare ancora, a portare i suoi spettatori
su altre strade, lasciando però in sospeso dettagli che si spera
possano trovare evoluzione con un’eventuale terza stagione.
Ad ogni modo, Homecoming
va ad aggiungersi all’ampio catalogo di Amazon Prime Video, il quale nell’ultimo anno
sembra aver puntato molto su serie dal sapore fantascientifico,
come Tales of the
Loop e Upload,
quasi come se volesse dar vita ad un grande mosaico nel quale, al
di là del genere, è possibile ritrovare le evoluzioni, naturali o
meno, dell’essere umano contemporaneo. E di tale operazione,
Homecoming è certamente un tassello degno di nota.
Guarda il primo trailer di
Home, l’atteso nuovo film d’animazione
targatato Dreamworks. Nel cast di doppiatori sono
coinvolti attori di spicco del cinema, della televisione e dello
spettacolo in generale; tra questi nomi spiccano Jim
Parsons, Rihanna, Steve
Martin e Jennifer Lopez.
Un eccessivamente
ottimista, ma inetta razza aliena di nome Boov, guidata dal
capitano Smek invade la Terra per nascondersi da loro mortale
nemico e costruirsi una nuova casa. Convinti di star facendo un
favore, cominciano a trasferire la razza umana, ma una ragazza
intraprendente, Tip, riesce ad evitare la cattura. In fuga,
accompagnato da un Boov esiliato di nome Oh, accidentalmente
comunica i nemici dove si trovano gli alieni.
Home
uscirà nei cinema USA in 3D e IMAX il 27 marzo del 2015.
La Dreamworks ha pubblicato online
il poster di Home – A
Casa, prossimo film d’animazione dello studio
cinematografico statunitense. Nel cast di doppiatori sono coinvolti
attori di spicco del cinema, della televisione e dello spettacolo
in generale; tra questi nomi spiccano Jim Parsons,
Rihanna, Steve Martin e
Jennifer
Lopez. Ecco il poster:
Un eccessivamente ottimista, ma
inetta razza aliena di nome Boov, guidata dal capitano Smek invade
la Terra per nascondersi da loro mortale nemico e costruirsi una
nuova casa. Convinti di star facendo un favore, cominciano a
trasferire la razza umana, ma una ragazza intraprendente, Tip,
riesce ad evitare la cattura. In fuga, accompagnato da un Boov
esiliato di nome Oh, accidentalmente comunica i nemici dove si
trovano gli alieni.
Home
uscirà nei cinema USA in 3D e IMAX il 27 marzo del 2015.
Apple
TV+ ha annunciato oggi che la seconda stagione della
docuserie sul design “Home” sarà presentata in anteprima il 17
giugno. La nuova stagione della docuserie nominata agli Emmy ci
porta in nuove destinazioni, offrendo agli spettatori uno sguardo
inedito all’interno delle case più innovative del mondo.
Ogni episodio della seconda stagione di “Home” svela la
visionarietà di chi ha saputo osare e dare forma ai propri sogni in
tutto il mondo, inclusi Paesi Bassi, Sudafrica, Indonesia,
Australia, Messico, Islanda e tanti altri posti ancora. Attraverso
le storie uniche dei proprietari di queste case, il racconto delle
idee e delle intenzioni alla base della loro visione, la serie ci
svela le straordinarie case che hanno saputo costruire, lasciando
un impatto indelebile su coloro che li circondano.
Francia: Casa Hourré
Città del Messico: Casa di Carla e Pedro
Sudafrica: Casa del Grande arco
Islanda: The Concrete Factory
NY, Long Island: Sag Harbor
Amsterdam: 3 Generation House
Australia: Longhouse
Indonesia: Guha
Barcellona: Bene’s House
Ghana: Inno-Native House
“Home” è prodotta per Apple
da A24 e da Matthew Weaver, Kim Rozenfeld, Ian Orefice, Alyse
Walsh, Collin Orcutt, Ben Cotner, Emily Q. Osborne e Sarba
Das.
L’abbiamo vista in decine di film,
europei e statunitensi, action e drammatici, ma per molti di noi
Franka Potente sarà sempre – e per sempre –
Lola corre. Dal fortunato film di Tom
Tykwer, allora suo compagno di vita, in realtà sono
cambiate molte cose. Negli ultimi ventidue anni, tra alti e bassi,
abbiamo imparato a conoscerli in vesti anche molto diverse da
quelle di allora, eppure non può essere un caso che la prima scena
di Home, il suo tanto atteso esordio alla regia,
ci mostri un ragazzone tatuato, dai capelli colorati di rosso,
sfrecciare su uno skate sulle strade deserte della California meno
celebrata.
Home: accoglienza, rifiuto e
inserimento
Una citazione? Un’esca per vecchi
fan? Una casualità? Un’omaggio alla cultura Underground alla quale
si è sempre mostrata molto legata? Tutto è possibile, ma sono
domande che si dimenticano rapidamente quando si inizia a prestare
attenzione alla storia che si va sviluppando. Quella di Marvin
Hacks, tornato a casa per accudire la madre, gravemente malata,
dopo aver scontato 17 anni di carcere per l’omicidio di una signora
del paese. Ma oggi, a 40 anni, non riconosce quello che era il suo
mondo. A malapena conosce il mondo esterno che lo circonda, dove
non ci sono più CD e chiunque ha uno smartphone. L’unica costante
sembra essere l’odio dei Flintow, nipoti della vittima, ma è
l’intera comunità a rifiutarlo, a non accettare il suo ritorno.
Un tema che vanta mille e più
declinazioni nella storia del cinema e della letteratura, uno dei
topoi più sfruttati e universali che si possa scegliere, ma per la
sua Opera Prima l’attrice e cantante tedesca dai bisnonni siciliani
non poteva non avere qualcosa di più da raccontare. Soprattutto
dopo l’esperienza precedente della regia del cortometraggio
Digging for Belladonna, presentato al Festival di Berlino
del 2006, dai toni decisamente più sentimental-surreal-fantasy.
Grandi interpreti, emozioni
forti
Autrice di una sceneggiatura
asciutta, quasi povera a tratti, la Potente si rivela molto abile
nel gestire le incredibili interpretazioni dei suoi protagonisti
principali, Jake McLaughlin (Marvin) e Kathy Bates (sua madre). Due
figure che emergono gradualmente, senza bisogno di parole o grandi
dialoghi, grazie all’intensità delle espressioni e a una fisicità
che pur massiccia riesce a trasmettere tenerezza e resilienza,
forza e dignità allo stesso tempo.
Nel loro silenzio, nel loro
continuare a vivere il quotidiano con la normalità che gli è
consentita, resistendo al peso delle colpe del passato e dei facili
giudizi altrui, germogliano i semi di una umanità che appariva
impossibile. Nella scoperta reciproca dei due, nella loro sorpresa,
c’è anche quella degli spettatori, che inevitabilmente rischieranno
di ritrovarsi ad asciugarsi gli occhi davanti a un amore tanto puro
e semplice.
Più che espiazione e giustizia a
muovere questi personaggi sono la disperazione, l’isolamento,
l’incapacità di far spaziare lo sguardo e i sentimenti. Di
riconoscere la pietà dentro di sé e la diversità nell’altro, da
quel che ci si aspetta che sia e da quel che era. Il ritorno a casa
del nostro antieroe, in questo dramma esplicitamente e
insistentemente non violento, sembra suggerire altro. Altri viaggi,
esodi, incontri, più comuni e – di nuovo – universali, che siamo
abituati a giudicare come i cittadini di Clovis, nella contea di
Fresno. Per i quali il perdono è solo una conseguenza, lo sforzo
maggiore quello di scoprire di esser in grado di cambiare se stessi
e la vittoria più grande quella di saper vincere la paura di farlo
e delle sue conseguenze.
Il 26 marzo 2015 arriverà in
Italia, Home – A Casa, il nuovo film
della DreamWorks Animation diretto da Tim Johnson
e distribuito dalla Twentieth Century Fox, anche
in 3D. Video intervista ai doppiatori originali del film, Rihanna e
Jim Parsons:
https://www.youtube.com/watch?v=d3U-_9YfHb4
Tra una razza aliena
chiamata i Boov vive un tipo inetto e solitario di nome Oh che
cerca solo di integrarsi. Dopo un piccolo incidente, Oh è costretto
a rifugiarsi sulla Terra dove incontra una giovane terrestre di
nome Tip…
Un eccessivamente ottimista, ma inetta razza aliena di nome Boov,
guidata dal capitano Smek invade la Terra per nascondersi da loro
mortale nemico e costruirsi una nuova casa. Convinti di star
facendo un favore, cominciano a trasferire la razza umana, ma una
ragazza intraprendente, Tip, riesce ad evitare la cattura. In fuga,
accompagnato da un Boov esiliato di nome Oh, accidentalmente
comunica i nemici dove si trovano gli alieni.
Home
uscirà nei cinema USA in 3D e IMAX il 27 marzo del 2015.
All’inizio del mese,
Christopher Nolan ha fatto notizia
dichiarando che è importante comprare e avere Oppenheimer
in Home Video Blu-Ray in modo tale che “nessun
servizio di streaming malvagio possa rubartelo”.
Parlando con il Washington Post, in
un’intervista seguito, Nolan ha spiegato: “Naturalmente la mia
era una battuta. Ma niente è uno scherzo quando viene trascritto su
Internet. C’è il pericolo, al giorno d’oggi, che se le cose
esistono solo nella versione streaming, vengono cancellate, vanno e
vengono”. Ha poi aggiunto, in merito all’offerta dei servizi
di streaming.
Nell’ultimo anno, gli streamer sono
hanno ritirato titoli originali dalle loro piattaforme per
concederli in licenza altrove e aprire nuovi potenziali flussi di
entrate. Quando tali titoli sono offerti solo in streaming, la loro
rimozione rende impossibile vedere i film altrove. Per Nolan,
possedere supporti fisici è l’unico modo per combattere tali
tendenze dello streaming.
Si unisce alle osservazioni di Nolan
anche, Guillermo del Toro che si dice d’accordo,
avendo condiviso le recenti citazioni di Nolan su X (ex Twitter) e
aggiungendo il proprio commento sulla questione.
“I media fisici sono quasi un
livello di responsabilità Fahrenheit 451 (dove le persone hanno
memorizzato interi libri e quindi sono diventati il libro che hanno
amato)”, ha scritto del Toro ai suoi follower. “Se
possiedi un fantastico HD 4K, Blu-ray, DVD ecc. Ecc. di uno o più
film che ami… sarai il custode di quei film per le generazioni a
venire.”
Christopher Nolan
in precedenza aveva affermato di aver trascorso mesi a preparare
Oppenheimer
per l’uscita nelle sale cinematografiche, in modo che la versione
Blu-ray del film suonasse e sembrasse incontaminata come l’uscita
nelle sale del film.
“Ovviamente ‘Oppenheimer’ è stato un bel viaggio per noi e ora
è giunto il momento per me di distribuire una versione home video
del film. Ci ho lavorato molto duramente per mesi”, ha detto
Nolan. “Sono noto per il mio amore per il cinema e ci metto
tutta la vita, ma la verità è che il modo in cui il film esce a
casa è altrettanto importante.”
“‘Il Cavaliere Oscuro’ è stato
uno dei primi film che abbiamo formattato appositamente per
l’uscita in Blu-ray perché all’epoca era una nuova forma”, ha
continuato. “E nel caso di ‘Oppenheimer’, abbiamo dedicato
molta cura e attenzione alla versione Blu-ray… e abbiamo provato a
tradurre la fotografia e il suono, inserendoli nel regno digitale
con una versione che puoi acquistare e possedere a casa e metterlo
su uno scaffale in modo che nessun servizio di streaming malvagio
possa venire a rubartelo.”
Oppenheimer
arriva il 21 novembre su Blu-ray e piattaforme digitali.
La DreamWorks Animation ha diffuso via internet il
trailer del suo ultimo film d’animazione.
Si
intitola Home e nel cast di doppiatori
vede coinvolti volti di spicco del cinema, della televisione e
dello spettacolo in generale; tra questi nomi spiccano Jim
Parsons, Rihanna, Steve
Martin e Jennifer Lopez.
Home uscirà nei cinema USA in 3D e
IMAX il 27 marzo del 2015.
Di seguito la trama:Un
eccessivamente ottimista, ma inetta razza aliena di nome Boov,
guidata dal capitano Smek invade la Terra per nascondersi da loro
mortale nemico e costruirsi una nuova casa. Convinti di star
facendo un favore, cominciano a trasferire la razza umana, ma una
ragazza intraprendente, Tip, riesce ad evitare la cattura. In fuga,
accompagnato da un Boov esiliato di nome Oh, accidentalmente
comunica i nemici dove si trovano gli alieni.
Home Team,
produzione originale Netflix,
è in tutto e per tutto un feel-good movie:
leggero, ironico e adatto a tutta la famiglia. Kevin
James (Hitch, Un weekend da bamboccioni) e Taylor Lautner (The Twilight
Saga) sono gli allenatori di football di un simpatico team
di dodicenni, alle prese con i primi problemi adolescenziali. Con
un film quasi interamente girato sul campo da football, si parla di
sport a tutto tondo: dal punto di vista degli sportivi, degli
allenatori e dei genitori.
La trama di Home Team
Sean Payton (Kevin
James) è l’allenatore dei New Orleans Saints, squadra di
football americano che, anche grazie a lui, riesce a vincere il
Super Bowl. Sfortunatamente, in seguito ad uno scandalo,
Sean viene sospeso dalla National Football League per un
anno intero. Senza lavoro, l’allenatore decide di riavvicinarsi al
figlio Connor: il ragazzino vive con la madre in Texas e
gioca a football nel team locale. La sua squadra, i
Warriors, è pessima, perde tutte le partite e non ha
mai fatto un touchdown.
Vedendo il figlio giocare,
Sean non riesce a trattenersi: prima dà solo qualche
consiglio al coach Troy Lambert (Taylor
Lautner), poi diventa ”il responsabile dell’attacco”
dei Warriors, tentando, nell’arco di un solo campionato,
di portare la squadra in cima alla classifica e di restaurare il
rapporto con il figlio.
Sean Payton esiste davvero
Home Team è tratto
dalla storia vera dell’allenatore di football americano Sean
Payton. Ex-quarterback, dal 2006 guida i New Orleans
Saints in NFL. All’apice del successo, dopo la vittoria
del Super Bowl da parte dei Saints nel 2009, Payton viene
coinvolto nello scandalo detto Bountygate: si
scopre che i New Orleans pagano delle taglie per far compiere delle
prestazioni vietate ai giocatori. Accusato di aver insabbiato il
fatto, l’allenatore viene sospeso dalla NFL per un’intera
stagione. Sean prova a fare ricorso e, nell’attesa,
torna a Dallas per trascorrere un po’ di tempo con i suoi due
figli, Meghan e Connor.
Home Team è quindi
un mix di realtà e fantasia: alcune scene sono inventate, ma la
storia alla base è quella: Payton ha davvero allenato i
Warriors per una stagione, anche se, diversamente da
quanto visto nel film, il team non era inizialmente così male.
Simpatia e genuinità
Home Team non è il
primo
film americano che ruota attorno al football, e probabilmente
nemmeno l’ultimo. Nonostante ciò, il modo in cui il film affronta
il tema dello sport è interessante, anche per chi non conosce la
storia di Payton. Il team dei Warriors è genuino,
fatto di ragazzini più o meno bravi, ma tutti simpaticissimi. Il
ritratto che i registi hanno deciso di fare a questi
pre-adolescenti non è affatto banale: non sono antipatici e
scontrosi, si supportano a vicenda, gioiscono anche per i più
piccoli successi e, soprattutto, giocano per il gusto di fare
sport. Per Sean entrare in contatto con loro è catartico,
lo riporta all’essenza vera del football, fatta di gioco e
divertimento.
I Warriors sono un team
variegato, a livello di caratteri, conformazione fisica, etnie.
Nessuno viene escluso, tutti sono sullo stesso piano. L’allenatore
Kevin James fa di tutto per insegnare ai
ragazzi il gioco di squadra e, nonostante il ruolo di Taylor Lautner rimanga nell’ombra per la
maggior parte del film, è un’ottima figura.
Ogni personaggio a modo suo
contribuisce all’ironia del film. Tra gli altri,
l’aiuto-allenatore Mitch Bizone (Gary
Valentine) è un ubriacone panzuto che riempie le borracce
di birra e whiskey, mentre il nuovo compagno dell’ex-moglie di
Sean (Rob
Schneider) è un fricchettone appassionato di
cucina vegana e yoga.
Un film tutto giocato sul
campo
Home Team mette lo
sport al centro. La maggior parte del film si svolge nel
campo e negli stadi, con i ragazzi che si allenano o che competono.
L’azione è ben costruita e coinvolgente anche per chi non è un
appassionato del football americano. La storia cresce e si sviluppa
come la squadra, partita dopo partita.
Questa scelta mette sullo stesso
piano tutti i punti di vista: quello degli allenatori, più o meno
esperti, quello dei giocatori, in campo o in panchina, e quello dei
genitori sugli spalti. Con la scusa del football, Home
Team affronta tanti aspetti della vita, la competizione,
l’adolescenza, la separazione, l’amicizia, e riesce a farlo con
leggerezza.
In conclusione, Home
Team è un film godibile, da vedere in famiglia e perfetto
per farsi due risate anche con i più piccoli. L’ironia scelta dai
registi Charles e Daniel Kinnane
è rara di questi tempi. Piacevole, non volgare o esagerata: per
molti aspetti – e alcune particolari scene e personaggi – il film
ricorda il bellissimo Stand by me (1986) di Rob Reiner.
A interpretare l’erede di
Kevin McAllister è stato chiamato Archie Yates,
l’esilarante e tenerissimo co-protagonista di Jojo Rabbit che ora si cimenta in un ruolo che
lo vede in primo piano e che porta con sé anche tanta
responsabilità. Come è meglio di un attore consumato, Archie non si
è fatto intimidire dal ruolo: “Ho preso molta ispirazione dai
film originali. Voglio dire, li ho osservati religiosamente ogni
anno a Natale, quindi è stato abbastanza facile per me
relazionarmi. Ma il mio personaggio, Max Mercer, dovrebbe essere un
personaggio completamente diverso da Kevin
McAllister. Quindi, mentre volevo che ricordasse il
classico, ho cercato anche più originalità perché pur trovandoci
nello stesso universo e nelle stesse dinamiche, si tratta di una
storia completamente diversa.”
Non sarebbe un
Home Alone se non ci fossero due malintenzionati
che vogliono fare irruzione in una casa sorvegliata solo da un
bambino ingegnoso, e questo ruolo è stato affidato, in questo
revival, a Rob Delaney e Ellie
Kemper, che interpretano una coppia insolita ma di certo
non cattiva come quella dei due ladruncoli interpretati
nell’originale da Joe Pesci e Daniel
Stern.
Come afferma Kemper
stessa: “La nostra missione, nel film, è mossa da un intento
positivo, è stata ispirata, credo, dalla bontà. Penso che le nostre
motivazioni fossero buone, siamo stati spinti a fare quello che
facciamo perché volevamo di più per la nostra
famiglia.”
“Detto questo –
interviene Delaney – c’è un cattivo nel film ed è interpretato
da Archie Yates e il suo personaggio si chiama Max Mercer. Noi
stiamo cercando di riprenderci le cose di cui abbiamo bisogno per
salvare la nostra famiglia, quindi durante le riprese ho pensato
per tutto il tempo “Oh, Max è il nemico”. Quindi, quando ho visto
il film finale e il pubblico si è sentito in sintonia con Max, ho
pensato: “Questo deve essere un film diverso da quello che ho
girato”. Quindi sicuramente nel guardarlo, penso che non ci siano
antagonisti, ma nel filmarlo, ero tipo, “Max è il mio
nemico”.”
Home Sweet Home Alone, ecco l’erede di Mamma, ho perso
l’aereo!
E forse in parte ha
ragione, dal momento che Max, come Kevin, ha un modo abbastanza
sadico di difendere la propria casa, un modo che ha messo Delaney e
Kemper a dura prova.
“Abbiamo iniziato ad
allenarci per gli stunt molto prima di iniziare a girare, per
fortuna – ha raccontato Rob Delaney– E
ci è stato davvero richiesto di fare la maggior parte delle
acrobazie nel film. Gli stuntman professionisti ci hanno aiutati e
se abbiamo fatto male delle cose, loro le hanno modificate, ma ci
hanno davvero messo alla prova”.
Ellie
Kemper: “Sì. Si è rivelato molto divertente. Non avevo
mai fatto niente del genere prima. È stato impegnativo ma anche
divertente e atletico in un modo che non mi aspettavo.”
Archie Yates, dal canto suo, ha aggiunto un
nuovo personaggio alla sua galleria di caratteri che, nonostante la
giovane età, è già molto nutrita, tra Jojo Rabbit
e Wolfboy and the Everything Factory. Cosa
vorrebbe fare dopo?
Archie Yates: “Tutte le cose in cui sono
stato sono state commedie e la commedia è uno dei miei generi
preferiti. È quello che di solito guardi. Ma per quanto ami la
commedia e far parte di esilaranti film per famiglie, mi rendo
conto ora che maturando, posso fare molte più cose nella mia
carriera di attore ed è per questo che vorrei iniziare a esplorare
generi diversi come il dramma, forse un po’ di horror. Voglio anche
diventare un regista un giorno e di recente ho appena iniziato a
scrivere la mia sceneggiatura!”
Oltre ai ladri Harry e
Marv e a Kevin, il film originale vede protagonista anche una
esilarante e meravigliosa Catherine O’Hara nei panni di mamma
McAllister. In questa circostanza, la madre smemorata p stata
interpretata da Aisling Bea che ha una opinione
molto personale su quale sia il tipo di personaggio materno che
vorrebbe interpretare di più, al cinema: “Mi piacerebbe essere
il volto della cattiva maternità. E probabilmente inizierò la mia
attività sull’essere una cattiva madre lasciando i miei figli da
soli e sperando che se la cavino. Possono badare a se stessi, è
quello che stiamo dicendo, ed è un grande messaggio nel film. Non
puoi sempre essere lì a sorvegliarli, giusto?”.
Home Sweet Home Alone è disponibile su
Disney+ per accompagnarci verso un
periodo natalizio spensierato in famiglia.
Il trailer della nuova commedia
d’avventura Disney+Home Sweet
Home Alone – Mamma, ho perso l’aereo è arrivato!
La rivisitazione dell’amato film del franchise per le vacanze
scatenerà il divertimento in queste feste natalizie, come
anticipano il nuovo trailer e le immagini. In anteprima per il
Disney+ Day, Home Sweet Home
Alone – Mamma, ho perso l’aereo debutterà il
12 novembre 2021 in esclusiva sulla piattaforma streaming. Il
Disney+ Day è una celebrazione mondiale
che coinvolgerà tutte le divisioni di The Walt Disney Company nella
giornata di venerdì 12 novembre, con nuovi contenuti, esperienze
per i fan, offerte esclusive e molto altro ancora.
Home Sweet Home Alone –
Mamma, ho perso l’aereo è interpretato da
Ellie Kemper, Rob Delaney, Archie Yates, Aisling Bea, Kenan
Thompson, Tim Simons, Pete Holmes, Devin Ratray, Ally Maki e Chris
Parnell. Il film è diretto da Dan Mazer, da una
sceneggiatura di Mikey Day & Streeter Seidell, storia di Mikey Day
& Streeter Seidell e John Hughes basata su una sceneggiatura di
quest’ultimo. Hutch Parker, p.g.a. e Dan Wilson, p.g.a. sono i
produttori, mentre Jeremiah Samuels è executive producer.
Max Mercer è un ragazzo dispettoso e pieno di risorse che è
stato lasciato a casa mentre la sua famiglia è in Giappone per le
vacanze. Così, quando una coppia sposata che cerca di recuperare un
cimelio dal valore inestimabile mette gli occhi sulla casa della
famiglia Mercer, tocca a Max proteggerla dagli intrusi… e farà di
tutto per tenerli fuori. Ne deriveranno delle peripezie esilaranti
e epiche, ma nonostante il caos assoluto, Max si renderà conto che
non c’è davvero nessun posto come la propria “casa dolce casa”.
Katherine
Heigl è pronta a tornare al cinema
in Home Sweet Hell, una pellicola
dalle tematiche horror a cui l’attrice statunitense certamente non
ci aveva abituato. Ad anticiparci le atmosfere della pellicola
attesa al cinema per la primavera del 2015 giunge il nuovo
trailer vietato ai minori:
Protagonista del film sarà la
stessa Heigl che interpreta Mona, una
donna la cui serenità sarà interrotta in seguito ad un’estorsione a
sfondo sessuale, avvenimento che la indurrà anche ad uccidere al
fine di preservare la propria vita così com’è.
In Home Sweet Hell al fianco di
Katherine Heigl figurano anche Patrick
Wilson, Jordana Brewster, Kevin
McKidd e James Belushi.
Home Sweet Hell è
uno di quei film poco conosciuti: tuttavia, alla lunga, ha tutte le
carte per diventare un piccolo grande cult da non perdere e, anzi,
da recuperare senza esitazione.
Questo film, che vede Katherine
Heigl e Patrick Wilson tra i protagonisti, racconta gli eventi che
accadono in una coppia di coniugi quando lei viene a sapere
dell’amante di lui e come faccia tutto il possibile per riportare
ordine nel caos che ormai vige in famiglia.
Ecco, allora, dieci cose da
sapere su Home Sweet Hell.
Home Sweet Hell film
1. Il marito di Katherine
Heigl ha lavorato al film. In Home Sweet Hell non
c’è stato solo il coinvolgimento da parte di Katherine Heigl come attrice protagonista, ma
anche di suo marito Josh Kelley. Il cantante,
infatti, ha collaborato al film fornendo tutte le musiche e, di
fatto, componendo la colonna sonora.
2. Ha ricevuto un Razzie
Award. Uscito nel 2015, il film di Anthony
Burns non ha riscosso esattamente il successo sperato,
riuscendo ad ottenere addirittura una candidatura ai Razzie Awards
del 2016. Pare, infatti, che l’interpretazione della Heigl non sia
stata particolarmente apprezzata, tanto da meritare una nomination
come Peggior Attrice Protagonista.
3. È stato distribuito
prima online. Una particolarità di questo film è stata la
sua distribuzione. Questo lungometraggio, infatti, è stato
distribuito prima su alcune piattaforme digitali nel febbraio 2015,
per poi essere proiettato nelle sale americane nel marzo
successivo. In Italia, invece, il film è uscito direttamente in
versione Home Video nel maggio dello stesso anno.
Home Sweet Hell streaming
4. Il film è disponibile in
streaming digitale. Chi volesse vedere o rivedere il film,
è possibile farlo grazie alla sua presenza sulle piattaforme di
streaming digitale legale come Rakuten Tv, Chili, Tim Vision,
Google Play e iTunes.
Home Sweet Hell cast
5. Katherine Heigl e il
gioco della personalità. Ingiustamente o meno,
Katherine Heigl viene spesso e volentieri ritratta dai media
come un’attrice molto esigente, capricciosa e irragionevole. In
Home Sweet Hell sembra che lei abbia voluto, in qualche
modo, giocare con questi caratteri che farebbero parte della sua
personalità.
6. C’è anche Jim
Belushi. Non ce lo si aspetterebbe, ma in questo film è
possibile notare la presenza di Jim Belushi. Stando alle molte critiche
rivolte al film, pare che la sua interpretazione sia la migliore,
un deciso valore aggiunto alla messa in scena.
Home Sweet Hell trama
7. Una famiglia
apparentemente tradizionale.Don
Champagne (Patrick
Wilson) ha realizzato il sogno americano, riuscendo ad
sistemarsi una grande casa, svolgendo un’attività di successo e
avendo una famiglia perfetta. Tutto sempre essere tradizionale e
ottimale, fino a quando l’infedeltà dell’uomo non esce allo
scoperto.
8. Una donna disposta a
tutto. La moglie di Don, Mona (Katherine
Heigl), assume il controllo della situazione, a riportare ordine
nel caos scatenato dall’amante del marito, Dusty
(Jordana Brewster). Mona diventa una spietata
madre di famiglia pronta a tutto, proteggendo il nido creato per la
propria famiglia, marito fedifrago incluso.
Home Sweet Hell frasi
9. Frasi pronte a
stupire. Un film come Home Sweet Hell non poteva
non essere generatore di frasi memorabili. Ecco, allora, qualche
esempio:
Sento la tua puzza d’alcool
trasudare dai tuoi pori grassi anche adesso (Mona
Champagne)
La percezione è tutto, cara!
(Mona Champagne)
È un piacere per gli occhi!
Abbiamo bisogno di qualcosa da guardare durante il giorno, qualcosa
che distolga le nostre menti dalla sofferenza, dovresti saperlo
bene! (Les)
La paranoia è solo totale
consapevolezza (Mona Champagne)
Home Sweet Hell trailer
10. Un trailer tutto da vedere. Prima di
approcciarsi alla visione del film, è consigliabile vedersi anche
il
trailer per non perdersi proprio nulla di Home Sweet Hell.
Arriva anche la versione italiana
del primo trailer del film Home A Casa,
l’atteso nuovo film d’animazione targatato
Dreamworks. Nel cast di doppiatori sono coinvolti
attori di spicco del cinema, della televisione e dello spettacolo
in generale; tra questi nomi spiccano Jim Parsons,
Rihanna, Steve Martin e
Jennifer
Lopez.
http://youtu.be/8Z1dCG6rCuQ
Un eccessivamente
ottimista, ma inetta razza aliena di nome Boov, guidata dal
capitano Smek invade la Terra per nascondersi da loro mortale
nemico e costruirsi una nuova casa. Convinti di star facendo un
favore, cominciano a trasferire la razza umana, ma una ragazza
intraprendente, Tip, riesce ad evitare la cattura. In fuga,
accompagnato da un Boov esiliato di nome Oh, accidentalmente
comunica i nemici dove si trovano gli alieni.
Home
uscirà nei cinema USA in 3D e IMAX il 27 marzo del 2015. In italia
un giorno prima, il 26.
Preparatevi ad innamorarvi di Oh,
un tondeggiante alieno lilla dagli occhioni curiosi e il sorriso
contagioso! Arriva al cinema dal 26 Marzo, Home – a
casa, l’ultimo lungometraggio della
DreamWorks Animation per la regia di Tim
Johnson.
La storia di Oh (Jim
Parsons) inizia quando la sua razza aliena, i
Boov, decide di nascondersi sul pianeta Terra per
scappare dai cattivissimi Gorg, che continuano ad inseguirli
nell’Universo. Nell’invasione pacifica, i Boov hanno trasferito
tutti gli umani in una terra felice e si sono impossessati delle
loro vite. Guidati dal Capitano Smek (Steve
Martin), i Boov hanno sei zampe tentacolari,cambiano
colore in base all’umore e hanno la fobia dei rapporti
interpersonali: ma Oh no. Lui è diverso,è positivo e ottimista,
vuole fare amicizia, e la prima cosa che fa è organizzare una festa
per inaugurare la sua nuova casa sulla Terra.
Peccato che per sbaglio invia
l’invito a tutta la galassia, rischiando di rivelare il loro
nascondiglio! Mentre Oh fugge dai suoi compagni arrabbiati, si
imbatte in Tip Tucci (Rihanna) e il suo gatto Pig,
un’umana che è riuscita a rimanere nella sua casa, perdendo però
così la mamma (Jennifer
Lopez). Oh e Tip si ritrovano così costretti ad
affrontare insieme un’avventura in giro per il mondo che gli farà
scoprire i veri valori della vita e il vero significato della
parola casa.
Home – a casa: il film
Tratto dal romanzo per bambini di
Adam Rex, The True Meaning of
Smekday, HOME porta in scena una classica
storia d’amicizia tra un umana e un alieno. Ma i personaggi e le
loro personalità sono così ben concepite e delineate, che i Boov
strapperanno una risata anche a gli adulti, grazie anche al loro
particolare linguaggio comico fatto di parole frammentate e spesso
inventate.
Non solo momenti comici ben
scanditi, anche tantissime emozioni: Tip e Oh sono infatti entrambi
due emarginati nei loro mondi. Sono diversi, non capiti e non
accettati, temi ben noti nel mondo di oggi.
La Dreamworks
Animation per Home – a casa ha
utilizzato per la seconda volta la nuova piattaforma Apollo,
creando animazioni brillanti e un mondo a misura di Boov,
meraviglioso e pieno di elementi familiari rivisitati.
Mentre il prodotto originale vanta
l’aiuto di voci famose, bisogna ammettere che non se ne sente la
mancanza nella versione italiana, tanto si è immersi nel
racconto.
E con Rihanna e
Jennifer Lopez nel team, la musica doveva per
forza avere un ruolo centrale nella storia, usata perfettamente per
accompagnare le scene più importanti del film (Towards The Sun di
Rihanna usata in un momento essenziale del finale vi farà
emozionare, garantito!). Ma oltre a loro anche
Kiesza, Charli XCX e
Stargate a dare ritmo all’avventura intergalattica
di Oh e Tip!
Jennifer Lopez, in
versione romantica e inedita, ha cantato live, ad American Idol,
Feel the Light, la canzone che fa parte della colonna
sonora di Home – a casa, nuovo film
d’animazione Dreamworks in questi giorni al cinema.
Tra una razza aliena
chiamata i Boov vive un tipo inetto e solitario di nome Oh che
cerca solo di integrarsi. Dopo un piccolo incidente, Oh è costretto
a rifugiarsi sulla Terra dove incontra una giovane terrestre di
nome Tip…
Un eccessivamente ottimista, ma
inetta razza aliena di nome Boov, guidata dal capitano Smek invade
la Terra per nascondersi da loro mortale nemico e costruirsi una
nuova casa. Convinti di star facendo un favore, cominciano a
trasferire la razza umana, ma una ragazza intraprendente, Tip,
riesce ad evitare la cattura. In fuga, accompagnato da un Boov
esiliato di nome Oh, accidentalmente comunica i nemici dove si
trovano gli alieni.
Home
uscirà nei cinema USA in 3D e IMAX il 27 marzo del 2015. In italia
un giorno prima, il 26.
Domani, giovedì26 marzo, arriverà in Italia, Home – a casa, il nuovo
film della DreamWorks Animation diretto da Tim
Johnson e distribuito dalla Twentieth Century Fox, anche in
3D.
https://www.youtube.com/watch?v=SMm-CzczSqE
https://www.youtube.com/watch?v=QmVMqGQFtmo
Tra una razza aliena
chiamata i Boov vive un tipo inetto e solitario di nome Oh che
cerca solo di integrarsi. Dopo un piccolo incidente, Oh è costretto
a rifugiarsi sulla Terra dove incontra una giovane terrestre di
nome Tip…
Un eccessivamente
ottimista, ma inetta razza aliena di nome Boov, guidata dal
capitano Smek invade la Terra per nascondersi da loro mortale
nemico e costruirsi una nuova casa. Convinti di star facendo un
favore, cominciano a trasferire la razza umana, ma una ragazza
intraprendente, Tip, riesce ad evitare la cattura. In fuga,
accompagnato da un Boov esiliato di nome Oh, accidentalmente
comunica i nemici dove si trovano gli alieni.
Home
uscirà nei cinema USA in 3D e IMAX il 27 marzo del 2015. In italia
un giorno prima, il 26.
Metti quattro amici annoiati dalla routine alle prese con una
partita di viagra da occultare, e ottieni un pugno nello stomaco, o
se si preferisce, un dito nell’occhio, alla cattolicissima Irlanda.
Ovvero, ottieni Holy Water.
Holy Water (Acqua
santa) è un film diretto da Tom Reeve, prodotto
nel 2009 dalla Feature Productions e distribuito in Italia da
Mediterranea a partire dal prossimo weekend. Veniamo alla trama.
Quattro amici di un tranquillo paesino sulla costa Irlandese,
Killcoulin’s Leap, sono profondamente annoiati dalla monotonia del
loro quotidiano. C’è chi fa il postino che butta le lettere che non
gli interessano; un ragazzone meccanico con poco lavoro;
l’albergatore che insieme alla sorella gestisce un alberghetto
perennemente semivuoto, e un giovane ragazzo che vive con i suoi e
con tanta voglia di evadere da quella monotona realtà. Tutti e
quattro suonano in un localino, in cui vanno a ballare vecchietti
che nemmeno badano alla loro musica.
Holy Water, il film
Quando i loro problemi raggiungono
l’apice, al postino viene un’idea per arricchirsi: dirottare un
furgoncino che trasporta Viagra diretto all’aeroporto, direzione
Stati Uniti. Dopodiché rubare le casse contenenti la magica pillola
blu, per poi rivenderla ad Amsterdam. Ma i quattro sono alquanto
impacciati e imbranati e il piano si complica; inoltre sulle loro
tracce ci si mette pure una squadra SWAT americana dalle tecnologie
avanzate e l’aspetto tipicamente severo. Decidono così di buttare i
fusti in un pozzo, contenente le falde acquifere che dissetano
l’intero paese. Ed ecco che il tranquillo e sonnacchioso paesino
irlandese si trasforma in un’inaspettata Sodoma e Gomorra…
Terzo film per Tom
Reeve, essendosi occupato, nella sua trentennale carriera,
come vedremo dopo, soprattutto di produzione. In Holy
water sfrutta tutte le caratteristiche tipiche irlandesi:
paesaggi mozzafiato, ironia verso gli inglesi e gli americani,
bigottismo cattolico, té, Guinness, paesini tranquilli immersi nel
verde; contrapponendo il tutto con un inaspettato evento esterno
che travolge siffatti equilibri e stereotipi. Ci aggiunge anche un
classico stereotipo americano, quello degli attrezzatissimi e
severissimi SWAT che si mettono sulle tracce dei ladruncoli
improvvisati. Il risultato finale è un film piacevole, divertente,
ma che non fa scompisciare dalle risate come forse ci si aspetta
conosciuta la trama.
Tornando al regista, che dicevamo
essere Tom Reeve, ha diretto solo tre film
(compreso questo). I precedenti sono una commedia “Diggity – A Home
at Last” (2001) e un fantasy “George and the Dragon” (2004). La sua
carriera è per ora caratterizzata soprattutto per altri ruoli,
principalmente come aiuto regista, ma anche come produttore di
diversi film tra la fine degli anni ’80 ed inizio 2000, nonché di
film per la tv e telefilm. Holy water potrebbe
essere l’inizio di una brillante carriera da regista.
Al Festival di Cannes
2022 suscitò particolare scandalo il film iraniano
Holy Spider, diretto da Ali Abbasi (regista
anche di Border – Creature di
confine e del recente The
Apprentice). Il film, basato su una storia vera, narra del
serial killer Saeed Hanaei della città iraniana di
Mashhad e nel lungometraggio il regista ricorre frequentemente
all’uso di violenza e scene esplicite per scioccare e far
riflettere sulla brutalità di un episodio come quello che vede
protagonista Saeed, purtroppo tutt’altro che isolato.
Secondo il regista, però, il film
non vuole essere una ricostruzione accurata degli omicidi (il
personaggio interpretato da Zahra Amir Ebrahimi è
composito e in buona parte fittizio), né aspira volutamente a
creare controversie. Abbasi era infatti principalmente interessato
ad approfondire la storia di questo serial killer e il fatto che
per buona parte della popolazione fosse diventato un eroe. Allo
stesso tempo, il regista voleva offrire un’immagine della
condizione femminile in Iran diversa da quella che si è soliti
conoscere.
Si tratta dunque di un film
particolarmente interessante, che propone numerosi spunti di
riflessione oltre ad una serie di immagini decisamente
indimenticabili. In questo articolo, approfondiamo dunque alcune
delle principali curiosità relative a Holy Spider.
Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare
ulteriori dettagli relativi alla trama, al
cast di attori e alla storia vera dietro
il film. Infine, si elencheranno anche le principali
piattaforme streaming contenenti il titolo nel
proprio catalogo.
Forouzan Jamshidnejad in Holy Spider.
La trama e il cast di Holy Spider
Ambientato in Iran nel 2001, il film
racconta la storia di un uomo di nome Saeed, un
padre di famiglia alle prese con la propria ricerca religiosa.
Saeed è intenzionato a compiere una sacra missione: purificare la
città santa di Mashhad, cercando di sradicare del tutto la
prostituzione, simbolo di immoralità e corruzione. Il modo che
sceglie per portare a termine questa impresa è l’eliminazione
fisica delle donne.
Dopo aver mietuto già qualche
vittima, Saeed si ritrova però in preda alla disperazione, perché
le persone non sembrano interessate affatto alla sua missione
divina. Nel frattempo una giornalista di Teheran,
Rahimi, giunge in città per indagare sullo
spietato serial killer, rendendosi conto che le autorità locali non
sembrano avere fretta di trovare il colpevole. Si scontra infatti
con pregiudizi sessisti ed una polizia apatica e potrà contare solo
sul reporter locale Sharifi.
Ad interpretare Saeed Hanaei vi è
l’attore Mehdi Bajestani, recentemente visto anche
in Tatami
– Una donna in lotta per la libertà (2023). Proprio la
regista di quest’ultimo film, Zahra Amir Ebrahimi,
è qui presente nel ruolo della giornalista Rahimi, per il quale ha
vinto il Prix d’interprétation féminine al Festival di Cannes 2022.
Recitano poi nel film gli attori Arash
Ashtiani nel ruolo di Sharifi, Forouzan
Jamshidnejad in quello di Fatima Hanaei e
Alice Rahimi in quello di Somayeh.
Mehdi Bajestani in Holy Spider.
La storia vera dietro al film: chi è Saeed Hanaei?
Holy Spider, come
anticipato, è basato sulla storia vera di un serial killer
iraniano, Saeed Hanaei, che ha ucciso 16 donne
nella città di Mashhad tra il 2000 e il 2001. Tutte le sue vittime
erano prostitute, che egli attirava in casa mentre la moglie e i
figli erano assenti per pregare. Qui Hanaei strangolava le donne
con il loro foulard mentre avevano un rapporto sessuale. In
seguito, non nascondeva i corpi ma li scaricava ai bordi delle
strade o nelle fogne a cielo aperto.
Qui le vittime venivano trovati
avvolti nel loro chador, una lunga e fluente veste nera che ricopre
le donne dalla testa ai piedi. Con il susseguirsi degli omicidi, la
stampa li definì “gli Omicidi del Ragno” in quanto Hanaei attirava
le malcapitate a sé e, una volta in trappola, le assaliva, come
fanno i ragni con le prede. Saeed fu poi arrestato il 25 luglio del
2001 a seguito di un tentato omicidio: una delle sue vittime
sopravvisse al suo assalto e corse dalla polizia a denunciare il
fatto.
In carcere Saeed confessò
tutti e 16 gli omicidi e spiegò di averli commessi in quanto
considerava le prostitute come “esseri peccaminosi, corrotti
moralmente e che corrompevano, uno spreco di sangue’’ e quindi
sentiva che era suo dovere ripulire la città dalla loro presenza.
La sua, come lui stesso la descrisse, era “una crociata
personale per amore di Dio e per la tutela della
religione’’.
Questo movente trovò l’apprezzamento
di alcuni gruppi fondamentalisti e militanti islamici, che
considerarono il killer come “un eroe che difende la città da
una piaga sociale crescente”. Qualche tempo dopo l’arresto,
altre 19 prostitute sono state uccise almeno 3 di questi omicidi
sono stati attribuiti ai seguaci di Hanaei. Nel settembre 2001 fu
giudicato colpevole di 16 omicidi e condannato a morte per
impiccagione, che fu poi eseguita l’8 aprile 2002.
Il trailer di Holy
Spider e dove vedere il film in streaming e in TV
Sfortunatamente il film non è
presente su nessuna delle piattaforme streaming attualmente attive
in Italia. È però presente nel palinsesto televisivo di
sabato 1 giugno alle ore 21:20
sul canale Rai 4. Di conseguenza, per un limitato
periodo di tempo sarà presente anche sulla piattaforma Rai
Play, dove quindi lo si potrà vedere anche oltre il
momento della sua messa in onda. Basterà accedere alla piattaforma,
completamente gratuita, per trovare il film e far partire la
visione.
Diretto da Ali Abbasi (regista
anche di Border – Creature di
confine e del recente The
Apprentice), Holy Spider è un film in
lingua persiana che presenta una ricostruzione fittizia di
eventi reali accaduti a Mashhad, in Iran. Nell’arco di circa
undici mesi, nel 2000-2001, un uomo di nome Saeed
Hanaei ha adescato e ucciso sedici donne che lavoravano
come lavoratrici del sesso e piccole spacciatrici di droga nelle
strade della città. Il regista Abbasi ha detto chiaramente che la
sua intenzione con questo film non era solo quella di raccontare la
macabra storia del serial killer, ma di concentrarsi maggiormente
sulla misoginia che esisteva, e esiste ancora, nella società
iraniana.
Abbasi era infatti principalmente
interessato ad approfondire la storia di questo serial killer e il
fatto che per buona parte della popolazione fosse diventato un
eroe, offrendo così anche un ritratto inedito della condizione
femminile in Iran. Ciò è evidente in tutto il film, poiché
Holy Spider si assicura di includere il fanatismo
religioso e il sostegno sessista a un assassino lungo tutta la
narrazione. Nel complesso, si tratta di un’ottima esperienza di
visione, con immagini e momenti lodevoli che si dipanano con
precisione. Il suo finale, inoltre, risulta l’apice di un racconto
particolarmente scioccante, tanto da richiedere una spiegazione
generale.
La trama e di Holy
Spider
Ambientato in Iran nel 2001, il film
racconta la storia di un uomo di nome Saeed, un
padre di famiglia alle prese con la propria ricerca religiosa.
Saeed è intenzionato a compiere una sacra missione: purificare la
città santa di Mashhad, sradicando del tutto la prostituzione,
simbolo di immoralità e corruzione. Il modo che sceglie per portare
a termine questa impresa è l’eliminazione fisica delle donne. Dopo
l’ennesima vittima, una giornalista di Teheran,
ArezooRahimi, giunge in città
per indagare sullo spietato serial killer, rendendosi conto che le
autorità locali non sembrano avere fretta di trovare il colpevole.
Si scontra infatti con pregiudizi sessisti ed una polizia apatica e
potrà contare solo sul reporter locale
Sharifi.
Mehdi Bajestani in Holy Spider.
La spiegazione del finale: come fa
Arezoo a scoprire l’identità dell’assassino?
La lotta di Arezoo Rahemi per
scoprire di più sul serial killer e gli ostacoli che deve
affrontare riassumono la posizione di una donna nella società dei
primi anni 2000. L’unica ragione per cui potrebbe non assomigliare
esattamente al presente è che il presente è ancora peggiore. Senza
entrare nello specifico, la società e la cultura che Abbasi
presenta in Holy Spider, in piena somiglianza con
la realtà, sono estremamente dure nei confronti delle donne. Nella
primissima scena di Arezoo, dopo essere scesa da un autobus che
l’ha portata a Mashhad, la donna fa il check-in in un hotel dove ha
prenotato una stanza. Tuttavia, l’impiegato dell’hotel non è
disposto a farla entrare perché è una donna single e non sposata,
sottintendendo che una donna senza una figura maschile di
riferimento non dovrebbe stare fuori casa.
All’inizio Arezoo non vuole
ostentare i suoi diritti, ovviamente, perché le viene negato un
servizio di base, ma quando la situazione le sfugge di mano, mostra
all’impiegato il suo tesserino da giornalista. Il fatto che sia una
giornalista costringe l’impiegato a cambiare la sua decisione, ma
fa subito notare che Arezoo dovrebbe coprire di più i capelli e la
testa con il suo foulard. Questo comportamento categorico e
sessista è qualcosa che Arezoo, purtroppo, affronta per tutto il
film e diventa parte del suo personaggio in senso positivo. L’unico
contatto che sembra avere a Mashhad per iniziare il suo lavoro è un
uomo di nome Sharifi, che lavora come direttore editoriale della
sezione penale del giornale locale.
Sharifi è perlopiù contenuto e ben
educato con Arezoo, ad eccezione dell’unica volta in cui ricorda di
aver sentito parlare del licenziamento di Arezoo da un lavoro a
Teheran. Anche se Sharifi non sembra avere intenzioni sbagliate nel
parlarne, il modo in cui lo presenta irrita Arezoo, perché anche
questa storia è carica di ingiusto sessismo. Il capo di Arezoo nel
suo precedente posto di lavoro voleva avere una relazione
sentimentale con lei e, quando lei ha negato il suo approccio, la
donna è stata licenziata. Non solo Arezoo ha perso il lavoro, ma il
capo ha anche diffuso la falsa notizia che il licenziamento era
dovuto al fatto che lei aveva avuto una relazione sentimentale con
lui, il che è contrario alle regole del posto di lavoro.
La giornalista cerca ora di mettere
da parte tutto questo e di concentrarsi sul suo lavoro, ma si trova
di nuovo di fronte a un comportamento simile quando incontra
l’ufficiale di polizia che si occupa del caso. L’agente, un uomo
orgoglioso del suo lavoro e della sua statura, a un certo punto
chiede ad Arezoo di uscire e ha una reazione inappropriata e al
limite dell’abuso quando lei lo rifiuta. Nella sua ricerca del
serial killer, Arezoo è quindi spinta da una preoccupazione simile
a quella di tutte le donne di questa società, perché sa che
probabilmente a nessun altro interesserà molto di quest’uomo in
preda a una furia omicida. È importante notare che, sebbene
Holy Spider sia
basato su eventi e personaggi reali, il personaggio di Arezoo è
in realtà completamente inventato, ed è un’aggiunta creativa di
Abbasi.
Va anche detto che questa aggiunta è
semplicemente meravigliosa, ed è Arezoo a rendere il film ancora
più stratificato e degno di nota. La giornalista inizia a studiare
il carattere di questo assassino attraverso le telefonate che egli
fa a Sharifi dopo ogni suo omicidio, vantandosi di informare lui e
il mondo su dove trovare il corpo della sua ultima vittima.
L’autrice si concentra sui fili comuni che legano tutti i crimini:
tutte le donne erano lavoratrici del sesso e la maggior parte di
loro erano anche spacciatrici e abusatrici di droga, oltre al fatto
che tutte sono state strangolate con le loro stesse sciarpe. Arezoo
e Sharifi capiscono dunque che si tratta di una questione
religiosa.
Forouzan Jamshidnejad in Holy Spider.
Per questo Sharifi era stato cauto
nel riferire la notizia, perché i suoi superiori gli avevano
ordinato di non mettere in cattiva luce i crimini religiosi. Dopo
numerosi omicidi da parte dell’assassino, però, Arezoo e Sharifi
vanno a incontrare uno dei leader religiosi, chiedendogli di
aiutarli a scoprire l’assassino. Con grande sorpresa, il leader
concede loro i suoi migliori auguri e il suo sostegno, ma è anche
diretto nel dire che non si fida di Arezoo per denunciare i crimini
nel modo esatto in cui sono stati commessi. All’epoca, c’erano
pressioni politiche su questi leader per non tollerare tali crimini
contro la legge, ma anche la pressione sociale di essere moralisti
non ha mai lasciato la scena.
Successivamente, Arezoo decide di
incontrare le donne che si prostituiscono per strada ogni notte, ma
nessuna di loro è disposta a parlare con lei. Aiuta poi una donna
di nome Soghra quando questa è malata in un caffè e all’inizio fa
amicizia con lei, ma le domande sulla droga e sull’assassino la
allontanano immediatamente. Nel giro di pochi giorni, però, Soghra
viene ritrovata cadavere, ultima vittima dell’a. Questo non solo
commuove Arezoo oltremisura ma le dimostra che ha cercato nel posto
giusto. Avendo ormai oltrepassato tutti i limiti e rendendosi conto
che, sebbene tutti le assicurino di aver trovato l’assassino ma che
nessuno ha realmente intenzione di farlo, Arezoo decide di prendere
in mano la situazione.
Si finge una prostituta per strada
per farsi prendere dall’assassino, ed è proprio quello che succede.
Ma una volta entrata nella casa dell’assassino, Arezoo non demorde
e riesce in qualche modo a fuggire. È la sua denuncia alla polizia,
il giorno seguente, a far arrestare Saeed, perché è l’unica donna
sopravvissuta alla presa dell’assassino. Negli ultimi minuti del
film, l’attenzione si concentra sul se Saeed sarà punito dalla
legge o meno. All’epoca tutti sapevano che l’arresto dell’assassino
era avvenuto solo perché c’erano pressioni politiche dovute alle
imminenti elezioni. Tuttavia, c’era anche la convinzione generale,
sostenuta fino alla fine anche da Arezoo, che Saeed sarebbe stato
lasciato fuggire o tenuto al sicuro.
L’avvocato difensore dell’uomo vuole
presentare Saeed in tribunale come affetto da problemi di salute
mentale, ma Saeed si rifiuta di accettarlo. In modo piuttosto
drammatico, dice a tutti in tribunale che aveva il pieno controllo
delle sue azioni e che la sua unica follia era l’amore per Dio e
per l’Imam Reza. Nelle sue conversazioni private, Saeed afferma di
essere consapevole di quante persone nella società lo ammirino e di
non volerle deludere dichiarando di essere un pazzo. È chiaro che
Saeed stesso crede di fare la cosa giusta perché è spronato da una
società che glielo faceva credere. Così, quando il suo migliore
amico Haji lo va a trovare in carcere dopo l’udienza della sentenza
definitiva e gli dice che è in atto un grande piano per farlo
evadere prima della pena di morte, Saeed si sente immensamente
sollevato.
L’uomo è estremamente spaventato
dalla morte, ma è spronato alle sue azioni solo dalla religione e
dalla società. Alla fine, però, questo grande piano non viene
portato a termine e Saeed Azeemi viene impiccato. Il motivo esatto
di questo cambiamento di piani o della falsa promessa di Haji non
viene chiarito, ma sembra che sia stata Arezoo a garantire che
l’uomo fosse consegnato alla giustizia. Dopo aver concluso il suo
lavoro a Mashhad, Arezoo Rahimi sale su un autobus diretto a
Teheran e, durante il tragitto, guarda l’intervista che aveva fatto
al figlio di Saeed, Ali, in cui il ragazzo esprime il suo orgoglio
per le azioni del padre. Holy Spider si conclude
con la triste constatazione che numerosi altri Saeed sono spuntati
nella società, spinti da cieche convinzioni e dal fanatismo
religioso.
Presentato in concorso al
Festival di Cannes 2022, dove Zar Amir
Ebrahimi si è aggiudicata il
Prix d’interprétation féminine alla miglior attrice,
Holy Spider è il terzo film di Ali
Abbasi, regista e sceneggiatore iraniano naturalizzato
danese. Girato in Giordania per ovvi motivi di censura, il film
tratta argomenti tabù in Iran come la prostituzione e la
tossicodipendenza, rendendo rischiosa ma allo stesso tempo
necessaria la loro visione sullo schermo come rappresentazione
fedele della realtà della vita nella nazione mediorientale. Senza
mai perdere l’essenza dell’incertezza e del terrore,
Abbasi costruisce il thriller più intelligente
dell’anno, che usa il genere per parlare dell’oggi, raffinatissimo
nel suo destrutturare le dinamiche tipiche dell’indagine per
mettere in primo piano l’azione politica, ciò che avviene
dopo che un killer è stato catturato.
Le notti di Mashhad
Iran, 2001. Un giornalista di
Teheran si immerge nei quartieri malfamati della città santa di
Mashhad per indagare su una serie di femminicidi.
Ben presto si rende conto che le autorità locali non hanno fretta
di risolvere la questione. I crimini sono opera di un uomo che
pretende di purificare la città dai suoi peccati e che di notte
attacca le prostitute. Sullo spider-killer – ovvvero
Saed Hanaei – così ribattezzato per il suo modo di
agire, setacciando minuziosamente il reticolato della città di
Mashhad – sono stati prodotti un documentario, Along came the
Spider (2002) e il film drammatico Killer Spider
(2020), testi audiovisivi che Abbasi ha
praticamente distrutto e riscritto.
Tra il 2000 e il 2001, l’iraniano
Saeed Hanaei (nel film interpretato da
Mehdi Bajestani) ha ucciso 16 donne nella città
santa di Mashhad, la seconda città più grande e importante del
Paese e luogo di pellegrinaggio per gli sciiti di tutto il mondo.
Hanaei era un veterano di guerra, sposato e con figli, in una
città, dichiarata capitale spirituale, dove circola anche la droga
proveniente dall’Afghanistan. Fanatico religioso, seguace dei
discorsi di odio degli ayatollah, sosteneva di essere in missione
per “ripulire” le strade della città dalla corruzione.
Il vizio sotto il tappeto
Holy Spider mette
in scena l’incoerenza di un regime teocratico, che reprime la
figura femminile ma in qualche modo tollera la prostituzione. Un
regime che convive con un enorme problema di tossicodipendenza,
anche in una città apparentemente santa, in cui i garanti della
legge minimizzano certi crimini perché non interessano nemmeno alle
famiglie delle vittime e dove il fanatismo religioso giustifica e
sostiene il machismo istituzionalizzato nella società iraniana.
Il nuovo film di Ali
Abbasi gioca bene con i confini di genere, allargandoli –
dal noir hitchcockiano al thriller fincheriano che connotano
l’indagine – e restringendoli se necessario. Dal secondo atto in
poi, per arrivare alla chiusa finale forse più emblematica del
2022, Holy Spider racconta l’orrore dell’oggi. Non
siamo nel territorio dell’horror di creature, che
Abbasi ha esplorato con Border – Creature di confine, ma nel terrore
dell’Iran della religione, dove il vizio è nascosto sotto il
tappeto. Dove una moglie può arrivare a giustificare un marito che
uccide prostitute e la città può addirittura manifestare in suo
favore. Ma, soprattutto, dove è proprio un ragazzo a spiegare che,
se il governo non farà nulla per ripulire le strade, qualcun altro
assumerà il ruolo di assassino.
L’indagine è donna
Film di denuncia necessario, ancora
e soprattutto oggi dopo i fatti del 13 settembre 2022 di
Mahsa Amin, picchiata a morte dalla polizia morale
iraniana per non aver rispettato l’obbligo di indossare il velo,
Holy Spider stesso gioca con la simbologia
dell’hijab tramite la sua protagonista.
Rahimi è una reporter incrollabile, che arriva
dalla capitale e non vuole mettersi il velo e che, comunque, lo
indosserà a suo modo (una ciocca di capelli tenterà sempre di
sfuggirgli). È una giornalista che si porta dietro uno scandalo
simile a quello per cui la stessa Zar Amir
Ebrahimi è stata esiliata dall’Iran. Proprio l’hijab,
permette a Rahimi di investigare, di condurre
un’indagine autonoma, lontana dall’inadempienza dei poliziotti.
L’hijab le permette di abitare le strade di Mashhad, di scrutare
con lo sguardo i tanti uomini che circolano in moto la notte, alla
ricerca del giustiziere impavido, un Ayatollah autoproclamatosi
tale e che trova nell’inamissibile consenso di una giuria di fedeli
il motivo per continuare ad attaccare. Abbasi cura
anche la fisionomia di Ebrahimi, rendendola parte fondamentale del
suo essere detective in una città che non è la sua:
paradossalmente, quando indossa il velo, Rahimi
sembra più giovane, prende tutta la frescrezza della sua posizione,
vive dell’indagine. In poche parole, è una donna di
Mashhad. Nella sua stanza, mentre telefona alla
madre, che le chiede se prima o poi avrà intenzione di tornare a
casa, Rahimi dimostra effettivamente la sua età: è
una donna che ha vissuto, con un passato difficile alle spalle,
annichilita dall’Iran e che vuole sventrarlo con l’arma della
denuncia.
L’attrice protagonista Zar
Amir-Ebrahimi offre una performance formidabile,
catturando in modo convincente il coraggio e la determinazione del
suo personaggio. Mehdi Bajestani, invece, assume
un ruolo difficile e complesso, permettendoci di vedere i diversi
lati di un uomo tormentato e di un mostro impenitente. Il duello
attoriale tra i due è sublime e ricorda a tratti gli incontri tra
Clarice e il dottor Lecter ne
Il silenzio degli innocenti.
L’azione politica, dopo la
cattura
Cosa succede una volta che il killer
è preso? Quando il film di Abbasi diventa
politico, ci rendiamo ancora più conto di quanto il regista di
origini iraniane sia abile a giocare coi generi. Il processo
mediatico in cui l’assassino viene trattato come un eroe e le
vittime vengono incolpate diventa sguardo cupo su una società che
non vede nulla di male nella morte delle prostitute, che riporta la
narrazione – e ci riporta come pubblico – al presente, chiarendo
che il machismo è perpetuato da generazioni di uomini. Holy
Spider è un film su una società di serial killer, oltre
l’indagine, che analizza la figura di Saed Hanaei
come segno, come prodotto di una morale che ti vuole uomo e
martire, che ti obbliga a ordinare una crociata personale se non
sei andato in guerra.
Se nei due film precedenti,
Shelley (2016) e Border (2018), Abbasi si era avvicinato al
terrore tentando di catturarlo visivamente, in Holy
Spider questo è latente, in ogni inquadratura. Il terrore
è essere una donna in Iran. Il terrore è l’idiosincrasia persiana,
è l’abitare una città sacra profanata dal colore verde. Il terrore
è una progenie che vuole mettersi sugli stessi palsi falsi dei
genitori, che non ha paura a nascondere una donna sotto al tappeto,
renderla cavia, muoverla e rigirarla – anche se si tratta della
propria sorella – per istruire l’altro. Qualcuno che verrà e
accetterà: un nuovo ragno.
Quante volte ci è capitato di
desiderare l’ultimo prodotto di tendenza lanciato sul mercato? Per
esempio, il nuovo e costoso modello di iPhone con le stesse
funzionalità di quello precedente, la nuova utilissima cover porta
lipgloss di Hailey Bieber, la minuscola borsa di Miu Miu tanto
celebrata dalla canzone di Tony Effe, o… un nuovo esclusivo e
costosissimo paio di scarpe. Ed è proprio un paio di
sneakers bianche dal design futuristico, chiamate
Typo 3, a essere al centro del dramma
italiano Holy Shoes. Il film, che segna il
debutto alla regia di Luigi Di
Capua (noto componente del collettivo The
Pills e già sceneggiatore per due Smetto quando voglio), sarà nelle sale
italiane dal 4 luglio 2024 con Academy Two.
Di cosa parla Holy Shoes?
Presentato Fuori Concorso nella
sezione La prima volta al
41° Torino Film Festival, Holy Shoes
è una fiaba dark che intreccia quattro drammatiche
storie ambientate nella periferia romana. I racconti sono
accomunati dall’ossessionante desiderio di essere ciò che non siamo
e possedere ciò che non abbiamo per sentirci parte del mondo
attuale. Un mondo fatto di etichette e listini
prezzi, dove c’è sempre meno spazio per l’autenticità e la
diversità. Pur con vite, attitudini e modalità differenti,
Filippetto, Bibbolino (Simone Liberati), Mei
(Tiffany Zhou) e Luciana (Carla
Signoris) vivono lo stesso dramma contemporaneo di
una società che inghiotte e aliena tutto ciò che incontra,
senza alcuna pietà.
I quattro protagonisti di
Holy Shoes sperimentano dunque quella
dolorosa solitudine e forte bisogno di
accettazione che tutti hanno provato nella propria vita:
mentre l’adolescente Filippetto fa di tutto per accaparrarsi un
paio di Typo 3 da regalare alla sua fidanzatina benestante,
sperando così di sentirsi meritevole del suo amore; l’insicuro
rampollo Bibbolino, nel tentativo di dissociarsi dalla famiglia
altoborghese, smercia costose sneakers tra i trapper e utilizza le
Typo 3 per dimostrare a sé stesso di essere un bravo padre. Infine,
Mei, una giovane donna cinese, inizia un commercio clandestino di
Typo 3 contraffatte per riscattarsi socialmente e garantirsi un
futuro migliore a Boston.
A queste tre storie si aggiunge una
quarta, più adulta e commovente, in cui le
protagoniste non sono le tanto ambite Typo 3, ma un paio di
eleganti e sensualissime Marmont nere con suole rosse
indossate da Luciana. Il personaggio di Carla Signoris è una donna
di mezz’età, insoddisfatta della propria vita e del proprio
matrimonio, che riscopre un giorno la propria femminilità grazie a
dei tacchi gettati via dalla finestra dalla sua tanto affascinante
quanto sfortunata vicina di casa. Nonostante tutte le storie siano
accomunate dal fatto che le scarpe rappresentano il potere
disfunzionale che oggi gli oggetti esercitano su di noi,
la storia di Luciana si distingue nettamente dalle altre: Luciana
non desidera delle scarpe per elevarsi socialmente o per essere
amata e stimata dagli altri. Il suo desiderio è più profondo,
intimo e sincero: Luciana è alla ricerca di sé
stessa, della donna che era, e quelle scarpe diventano lo
strumento per poter amarsi nuovamente e riscoprire la propria
femminilità.
Dimmi che scarpe indossi
e ti dirò chi sei: la critica sociale di Di Capua
Tra scene oniriche
(per esempio, quella iniziale che mostra le Typo 3 come reliquia, o
la scena in cui decine di scarpe colorate piovono per strada) e
dura realtà, Holy Shoes
analizza profondamente gli effetti collaterali della nostra
società contemporanea. Una società che ha fatto del
consumismo e della globalizzazione un virus omicida. Si
riflette così la realtà raccontata dal filosofo Zygmunt
Bauman, quella di una “società liquida”, dove
l’apparente e perenne connessione tra individui (più online che
“onlife”) nasconde in realtà un crescente e preoccupante
individualismo che isola le anime, elevando l’apparire a
un valore supremo. Con una palette di colori freddi e pessimisti,
Di Capua porta quindi questa critica sociale e
universale sul grande schermo e lo fa servendosi di
una Roma anonima, insolita e accelerata come
sfondo principale, e che potrebbe rappresentare qualsiasi altra
grande metropoli del mondo.
Nonostante una narrazione
corale a tratti complessa, che potrebbe risultare confusa
e faticosa per lo spettatore, Holy Shoes
si distingue per essere una profonda critica sociale, arricchita
dal talentuoso cast e da una rappresentazione accurata e cruda di
un presente deprimente. Il film esplora come la società
contemporanea abbia paradossalmente permesso agli oggetti di
assumere un potere determinante nella definizione e nell’influenza
della nostra identità. Con il suo debutto alla regia, Di Capua
incita quindi a una riflessione sulla nostra relazione con
il consumo e sull’importanza di un’autenticità personale
che vada oltre le convenzioni superficiali della modernità.
Holy
Shoes esplora il rapporto tra l’uomo e l’oggetto,
individuando nella scarpa il simbolo cardine del potere
disfunzionale che gli oggetti esercitano su di noi. Lo
racconta Luigi Di Capua – attore e
sceneggiatore, noto anche per essere uno dei componenti del
collettivo The Pills – che ha iniziato le riprese del
suo primo lungometraggio da regista: Holy
Shoes – Storie di anime e oggetti.
Attraverso le storie di
quattro personaggi le cui vite, in forme e modalità differenti,
vengono cambiate o messe in pericolo dalle scarpe, oggetto simbolo
del desiderio per eccellenza, Holy
Shoes racconta cosa siamo disposti a fare per trovare la
nostra identità nel mondo, fino a che punto ci spingiamo per essere
amati e accettati. Racconta un mondo in cui tutti desideriamo ciò
che non abbiamo, in cui tutti vogliamo essere ciò che non
siamo.
Diretto da Luigi Di Capua,
tratto da un soggetto di Luigi Di Capua e Luca Vecchi, sceneggiato
da Luigi Di Capua con la collaborazione di Alessandro
Ottaviani, Holy Shoes è prodotto
da Pepito Produzioni con Rai Cinema e sarà
girato a Roma per sei settimane. Protagonisti del film sono
Carla Signoris, Simone Liberati, Isabella Briganti, Tiffany
Zhou, Denise Capezza,
Ludovica Nasti e Orso Maria
Guerrini.
Dal regista e sceneggiatore Leos
Crax, arriva Holy Motors, un viaggio in una notte di un attore che
si trasforma in nove diversi personaggi attraversando diversi
generi.
Holy
Motors racconta la giornata di Oscar, un uomo che per
lavoro cambia continuamente identità. Trasportato nei vari angoli
di Parigi a bordo di una limousine-camerino dell’autista e
segretaria Celine, il protagonista è ora un imprenditore e padre di
famiglia, ora un modello per la motion capture, un killer, un
vorace barbone guercio, un anziano morente, un suonatore.
Holy
Motors è un lavoro enigmatico e sperimentale,
orgogliosamente lontano al cinema tradizionale ma non per questo
noioso o fastidiosamente aristocratico. Una performance di quasi
due ore in cui il protagonista Oscar (interpretato da
Dennis Lavant, attore feticcio di Leos
Carax), per lavoro, cambia di continuo identità. Teatro
della martellante metamorfosi è Parigi, attraversata a bordo di una
limousine-camerino guidata Celine, fedele segretaria e autista di
Oscar.
Holy
Motors è un piacevole delirio che parla come un
sogno, o come un incubo. Lo spettatore ha tutto il diritto di
aspettarsi una rivelazione “razionale” che spieghi l’enigma,
ricomponga, motivi la processione parigina di Oscar. Attesa vana,
perché una risposta in tal senso, dal film, non arriva. Inutile
indagare sul piano della “storia”, perché la partita del
significato si gioca a un diverso livello. Holy
Motors è un trattatello sul cinema – come arte, come
industria – sulla finzione, sulla fruizione, sul guardare. Così
raffinato e puro dal mandare in tilt i tanti e troppi fan del
metacinema a ogni costo, che si emozionano al primo monitor
inquadrato.
L’esibizione della
macchina cinema è chiara sin dall’incipit, un meta-monolite (e
sequenza meno riuscita, perché banale, anche se affascinante): il
regista Carax si risveglia in una squallida stanza d’albergo; trova
in una parete una magica porta che lo conduce in una grande sala
cinematografica. La luce del proiettore è abbagliante, colta in
tutto il suo potere generatore. La sala è gremita, rischiarata dai
lampi dello schermo, solcata da un molosso ciondolante e
posticcio.
Ma Oscar, per chi lavora? Come
detto, non arriva un biondo angelo della razionalità a spiegarci
per quale criminosa e perversa società il protagonista agisca. Il
committente è lo spettatore, la sua voglia di vedere. Di vedere
morte, sesso, videogiochi, musical, addii, follie cannibali e
florofaghe. Chi guarda subisce un’escursione tra generi, immagini e
suoni articolata con una visionarietà tale che è davvero difficile
credere che quanto scorre sullo schermo sia cosa e cinema – anche
di quello che dice di sé – di questo mondo.
Obbligatorio lasciarsi trasportare
da Holy Motors, grande e indomabile
film.
Sony Pictures ha finalmente diffuso
il primo trailer ufficiale di Holmes and
Watson, ennesima rilettura dei personaggi letterari creati
da Arthur Conan Doyle che vedrà protagonisti Will Ferrell e John C.
Reilly.
La regia del film è firmata da
Etan Cohen, che aveva già lavorato con Ferrell sul
set della commedia Duri si Diventa del 2015,
mentre l’uscita nelle sale americane è fissata per Natale 2018. Nel
cast figurano anche Rebecca Hall,
Ralph Fiennes, Kelly Macdonald,Lauren
Lapkus, Hugh Laurie, Noah
Jupe, Pam Ferris, Bella Ramsey, Rob Brydon e
Bronson Webb.
La trama di Holmes and Watson
In Holmes and
Watson vedremo in azione il celebre duo di
investigatori dopo la scoperta di un cadavere ritrovato nella
residenza reale di Buckingham Palace. L’omicidio però è
accompagnato dall’avvertimento di un misterioso personaggio che
risponde al nome di Moriarty: i due avranno infatti quattro giorni
per risolvere il caso, o la Regina morirà. Il problema è che Watson
ha da tempo un debole per sua Maestà Vittoria…
Vi ricordiamo che è in programma
un’altra pellicola su Sherlock Holmes, ovvero il
terzo capitolo del franchise con Robert Downey Jr. e
Jude
Law, la cui uscita è fissata al 25
Dicembre 2020. Non è ancora chiaro se Guy
Ritchie, regista dei primi due titoli (Sherlock
Holmes, 2009 e Sherlock Holmes: Gioco di
Ombre, 2011) siederà nuovamente al timone del progetto o
se la produzione sceglierà un altro nome per dirigere il film. Di
sicuro, per ora, c’è solo il nome di Chris
Brancato (Hannibal), che si occuperà della
sceneggiatura.
Circa un mese fa era stato lo
stesso Downey Jr. a confessare il desiderio di vestire ancora i
panni dell’investigatore in un’intervista: “Attualmente sto
lavorando con Joe Roth, che è il produttore di The Voyage of Doctor
Dolittle, stiamo pensando a un nuovo Sherlock Holmes e sviluppando
Perry Mason per la HBO. E ovviamente voglio ancora fare
Pinocchio […] Ho un milione di idee in testa per
il film, ma devo essere onesto: ho girato Avengers 3 e 4 uno dopo l’altro e ora
sto lavorando a Dolittle”, ha commentato Downey
Jr. “Quando lo avrò finito, se sentite che non mi sto
prendendo una pausa chiamatemi e datemi del folle.“
Era dall’estate scorsa che non
avevamo novità rilevanti su Holmes and
Watson, che vedrà il duo comico Will
Ferrell e John C. Reilly
ricongiungersi per la terza volta.
Sulla base del solo cast, il film
sembra preannunciarsi come molto interessante. A maggior ragione
con gli ultimi due innesti. Il candidato all’Oscar Ralph
Fiennes, che ha abbagliato il pubblico con diverse
performance, dal franchise Harry Potter e
James
Bond e il recente lavoro alla voce nel film
animato Kubo. L’altra novità è il
due volte vincitore del Golden Globe Hugh Laurie
(House). Al momento si sa solo che i
due dovrebbero ottenere dei ruoli chiave nel film, ma ancora non si
sa esattamente chi interpreteranno.
La sceneggiatura e la regia sono
state affidate a Etan Cohen, già regista di
Men in Black 3.
La forza del progetto sarà
nell’inedito taglio dato ai personaggi di Conan
Doyle. Di fronte alla strada “filologica ma un po’ rock”
di Guy Ritchie e quella moderna della
BBC, Will Ferrell scegli
chiaramente il linguaggio che conosce meglio, quello della
commedia.