L’Italia dei primi anni ’70 era
reduce dai bagliori ingannevoli della cuccagna offerta dal boom
economico rapido e travolgente che si abbatté nel decennio ’50 –
’60 modificando i contorni culturali e i rituali sociali di un
popolo da sempre ancorato alle proprie tradizioni e alle radici
secolari.
Gli italiani si ritrovarono nel
pieno di un profondo cambiamento legato soprattutto alle proprie
abitudini sessuali: i costumi erano ormai cambiati, ma gli uomini e
le donne “italici” non riuscivano ancora ad adeguarsi a queste
novità che erano arrivate a colonizzare perfino l’interno delle
loro camere da letto.
Il Merlo Maschio, il film
Pasquale Festa
Campanile, sottile autore di commedie graffianti, decide
nel 1971 di adattare per il grande schermo un romanzo di
Luciano Bianciardi (intellettuale che aveva già
ispirato Lizzani per il suo La Vita Agra
e che, in seguito, ispirerà Paolo
Villaggio nella creazione del personaggio di
Fantozzi), intitolato Il
Complesso di Loth.
Nel passaggio al cinema, il
protagonista diventa un violoncellista coi tratti maschili e
marcati di Lando Buzzanca, interprete del mite
uomo medio dal nome altisonante di Niccolò Vivaldi. Niccolò ha un
problema enorme, che gli crea un invalidante complesso di
inferiorità: nessuno sembra ricordarsi di lui, dal suo direttore
d’orchestra, ai colleghi, fino alla bella moglie – morigerata e
pudica – interpretata dalla compianta
Laura Antonelli.
Ma un bel giorno, proprio quando
accompagna la moglie a fare dei fanghi termali, spiandola di
nascosto e osservandola mentre espone le sue nudità al medico,
realizza di sentirsi pienamente uomo, realizzato e sicuro di sé,
solo quando gli altri ammirano le grazie della moglie Costanza.
Decide così di abbandonarsi ad una spirale – senza via d’uscita –
di sesso, feticismo e voyeurismo dal lato grottesco.
Il Merlo
Maschio è un “saggio” cinefilo sul tracollo del mito
del maschio italiano, il canto del cigno di un gallismo (per citare
Vitaliano Brancati) compromesso dalla modernità,
che mette a dura prova il mito della passionalità dell’uomo
italiano e riscrive il paradigma del classico “Italians do it
better”, sovvertendolo nel momento stesso in cui viene creato il
personaggio di Niccolò, uomo complessato e capace solo di vivere ed
esistere perché sposato con una donna bella e spiata, con occhio
voglioso, dagli altri uomini come lui.
Le leggi del desiderio vengono
riscritte da Campanile, e l’uomo italico medio Vivaldi (nomen
omen che affonda nell’estro culturale e nella tradizione
italiana) è simile ad un novello Zeno Cosini uscito dalla penna di
un inspirato Svevo: la ricerca del suo posto ideale in un mondo
rutilante e dominato dalla modernizzazione (vedasi l’introduzione
della macchina fotografica come… “giocattolo erotico” per ravvivare
il ménage della coppia) si trasforma in ossessione, fino a
confondere i confini tra fantasia segreta e realtà, intimo e
privato, che si materializzano sullo schermo anche grazie alle
trovate registiche di Campanile e all’effetto “caleidoscopio” che
introduce in alcune sequenze chiave, utili per analizzare – nel
profondo – i desideri e le passioni segrete di un’Italia
immortalata nel cambiamento.