Poche parole. Servono
davvero poche parole a Giacomo Abbruzzese per costruire una
storia nella quale è facile vederne così tante altre. Una storia di
fuga e di fantasmi, come era stato nell’America del 2019 (il
documentario che aveva preceduto questa opera prima di segno
diverso), che rappresenta il cinema italiano alla
Berlinale 2023, dove è in concorso. E da dove il suo
Disco Boy dà l’appuntamento agli spettatori per il
prossimo 9 marzo, quando arriverà nelle nostre sale distribuito da
Lucky Red.
Disco Boy: una fuga
verso la vita
Il regista pugliese
sceglie una doppia narrazione, dividendosi nel seguire il giovane
bielorusso Aleksei (il Franz Rogowski di Undine e Freaks Out), che durante una trasferta in Polonia si
sgancia dal gruppo di tifosi con cui viaggiava e con il suo amico
Mikhail tenta di raggiungere Parigi per arruolarsi nella Legione
Straniera e ottenere così il passaporto francese. Una possibilità
che lo storico corpo militare d’élite dell’esercito transalpino
offre a tutti, senza preoccuparsi che siano criminali,
“amministratori delegati” o clandestini.
In parallelo, e prima
che le loro strade si incrocino con quella di Alex, conosciamo
anche Jomo, giovane rivoluzionario a capo di una frangia del
Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger e in lotta contro
le compagnie petrolifere che hanno devastato il suo villaggio. Dal
quale anche la sorella Udoka (l’artista e attivista ivoriana
Laëtitia Ky) sogna di fuggire, verso la Francia,
verso Parigi.
Gli altri siamo
noi
Spesso le storie degli
esclusi trovano spazio al cinema, persone ai margini, costrette
dietro confini – fisici e non – e impossibilitate a riconoscersi, a
essere. Una alterità nella quale si muove Disco Boy
(Abbruzzese ha già diretto un documentario, come detto), una storia
di interessante esordio che che sceglie di affidarci a un
personaggio principale per accompagnarci in una contorta
esplorazione, una riflessione stilizzata e coinvolgente nella quale
il montaggio curato dallo stesso regista e sceneggiatore è
sincronizzato con il ritmo della colonna sonora firmata dalla
stella della musica elettronica Vitalic.
Musica che si conferma
via via elemento sempre più fondamentale del film, sia nella
costruzione della connessione tra i due personaggi, sia
nell’evidenziare tanto la loro ‘normalità’ quanto il bisogno di
trovare una forma di espressione di sé, e magari riconoscersi
simili ad altri altrimenti apparentemente diversi e lontani. Cura
che si aggiunge all’utilizzo da parte del regista di canzoni famose
e riconoscibili, decontestualizzate con un effetto straniante.
Una storia di
fantasmi e di ricerca di sé stessi
Il tentativo di
influenzare il nostro sguardo è evidente sin dal titolo, ma il
ritmo con il quale si procede nel processo di scoperta,
accettazione e superamento del nostro ‘eroe, però,’ è quello
scandito dai suoi lunghi silenzi, e dalle sue assenze. Spazi di
profonda analisi, affidata allo spettatore e suggerita – anche in
modo insistito e ammiccante – dalla messa in scena, più
“sciamanica” che psichedelica, per ammissione dello
stesso Abbruzzese,
che gioca in maniera intrigante con i fantasmi. Quello dell’amico
perduto, e celebrato in maniera grossolana eppure sentita, e quello
della sua vittima – casuale, conseguenza del plagio del miraggio
disumanizzante della Legione Straniera – alla quale Alex finirà per
dare una nuova vita, in qualche modo realizzandone il sogno.
Compagni di solitudine
prima, poi guide nell’affrancamento, i fantasmi sono l’elemento
chiave di una storia di rinunce e rinascita, che passa dal rifiuto
di una identità smerciata, scelta per opposizione, per sfuggire al
giudizio di “nullità” di una società violenta e interessata, a una
liberazione che arriva abbandonando il razionale e affidandosi
all’istinto più profondo. Una storia di passaggio non priva di
qualche manierismo ed eccesso di compiacimento, ma che riesce a far
convivere espressioni vitali e suggestioni intellettuali in una
forma comunque convincente.
Ecco la nostra intervista a
Giacomo Abbruzzese, il regista di Disco
Boy, film
che arriva al cinema in Italia il 9 marzo distribuito
da Lucky Red.
Disco
Boy,opera prima di Giacomo
Abbruzzese premiata con l’Orso d’Argento al 73° Festival
Internazionale del Cinema di Berlino per il Miglior Contributo
Artistico (Silver Bear for an Outstanding Artistic Contribution), è
stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale
Critici Cinematografici Italiani – SNCCI con la seguente
motivazione:
“Affidandosi a
una struttura narrativa metaforica e a un impianto visivo
stilizzato, il regista racconta una storia di sradicamento e
simbiosi, in cui la flagranza dei temi della contemporaneità
storica si intreccia alla statura morale dei personaggi.
Grazie a una sapiente struttura visiva, che definisce in
chiave astratta luoghi e figure, il film restituisce un prolifico
intreccio di elementi fisici, reali, pulsionali e
spirituali.”
Scritta e diretta dal
cinque volte premio Oscar Alfonso Cuarón, Disclaimer è
l’adattamento dell’omonimo best-seller di Renée Knight, un thriller
psicologico con al centro l’acclamata giornalista Catherine
Ravenscroft (Blanchett).
All’apice della sua carriera, dopo aver ricevuto un prestigioso
riconoscimento, la sua posizione di potere e prestigio, costruita
rivelando le malefatte e le trasgressioni degli altri, rischia di
crollare. Quando riceve un romanzo da un autore sconosciuto, si
rende conto con orrore di essere la protagonista di una storia che
mette a nudo i suoi segreti più oscuri e mai raccontati. Comincia
così una corsa contro il tempo per impedire al passato di venire a
galla e distruggere la sua vita perfetta, travolgendo i rapporti
con suo marito Robert (Sacha
Baron Cohen) e con suo figlio Nicholas (Kodi
Smit-McPhee).
Kevin Kline nel ruolo di Stephen Brigstocke (2001) in “Disclaimer”,
disponibile dall’11 ottobre 2024 su Apple
TV+.
Alfonso Cuarón
mette al servizio di una storia sensuale e disturbante il suo segno
distintivo, mettendo in scena una storia che cambia pelle man mano
che si scoprono i fatti raccontati e sepolti nella memoria del
tempo. La struttura narrativa si alterna infatti tra passato e
presente, con una continua riscrittura della storia che stiamo
ascoltando, in base a chi racconta. Un ruolo fondamentale nella
mutevolezza del punto di vista è da attribuire alla voce narrante,
quella di Indira Varma, che di volta in volta espone i pensieri
della protagonista Catherine, o di Robert suo marito, oppure ancora
il misterioso signore anziano con il volto di Kevin Kline.
Il punto di vista cambia
continuamente
Louis Partridge nel ruolo di Jonathan Brigstocke e Leila George nel
ruolo di Catherine Ravenscroft (2001) in “Disclaimer”, disponibile
dall’11 ottobre 2024 su Apple TV+.
E così come cambia il
punto di vista, cambia il genere, tra thriller a dramma purissimo,
con sfumature erotiche e poi psicologiche, mutazioni continue che
Cuarón mette in risalto con il suo grande gusto per la
narrazione. Nonostante la natura insolita del soggetto di
Disclaimer per la filmografia del messicano, il regista riesce
sempre a far vedere il suo stile, riconoscibile in molte sequenze,
o anche soltanto per l’utilizzo narrativo della luce. In
particolare, nella seconda parte della serie, fanno bella mostra di
sé molte sequenze in cui i generi si intrecciano in raffinati
montaggi alternati che Cuarón gestisce con estrema
eleganza.
Disclaimer è anche una
riflessione sul ruolo della donna e della donna di potere nella
società, su quello che le è concesso o meno di fare, sul fatto che
più in alto si trova, più deve in un certo senso tenere conto del
suo successo e essere pronta a pagarne il prezzo, più duramente di
un uomo nella stessa posizione. Ci sarebbe un’analisi approfondita
su quello che il personaggio del marito di Catherine, Robert, dice
e non dice a sua moglie, ma si correrebbe il rischio di fare
spoiler, per cui, basta sottolineare che si tratta del peggior
personaggio messo in scena dalla storia, quello che gestisce peggio
di ogni altro gli effetti delle verità scomode che vengono alla
luce pur essendo il meno inficiato da quelle verità.
Sacha Baron Cohen nel ruolo di Robert Ravenscroft (2024, “Present
Day”) in “Disclaimer”, disponibile dall’11 ottobre 2024 su Apple
TV+.
La ricerca della verità
La storia è certamente
un punto di forza di Disclaimer, che porta avanti una
rappresentazione della verità mutevole, come lo sono i personaggi
che la vivono e la ricercano, verità che troppo spesso sono
influenzate da chi racconta la storia e infatti è totalmente
inaspettato e appassionante il finale in cui è finalmente la
protagonista, Catherine, a trovare la sua voce e a raccontare la
sua verità, in definitiva l’unica che conta. E Cate Blanchett fa di
nuovo la sua magia e con generosità ci regala un altro potente
ritratto di donna che ancora deve pagare alla società il prezzo per
aver avuto successo.
Disclaimer farà il suo debutto l’11 ottobre
con i primi due episodi, seguiti da nuovi episodi ogni venerdì fino
al 15 novembre.
Apple TV+ ha svelato oggi
il trailer di Disclaimer, l’avvincente thriller
psicologico interpretato dai premi Oscar
Cate Blanchett e Kevin Kline e dal
candidato all’Oscar Sacha Baron Cohen. Scritta e
diretta dal cinque volte premio Oscar Alfonso
Cuarón, la serie farà il suo debutto l’11 ottobre con i
primi due episodi dei sette totali, seguiti da nuovi episodi ogni
venerdì fino al 15 novembre.
Prodotta da Apple Studios,
Disclaimer è coprodotta da Esperanto Filmoj e
Anonymous Content. Cuarón è produttore esecutivo per Esperanto
Filmoj insieme a Gabriela Rodriguez. Oltre a recitare, Blanchett è
produttrice esecutiva. David Levine e il compianto Steve Golin sono
produttori esecutivi per Anonymous Content. Anche il premio Oscar
Emmanuel Lubezki, Donald Sabourin e Carlos Morales
sono produttori esecutivi. Disclaimer è basata
sull’omonimo romanzo di Renée Knight che è co-produttore esecutivo.
Lubezki e il candidato all’Oscar Bruno Delbonnel sono direttori
della fotografia. La colonna sonora è composta da Finneas
O’Connell, vincitore di numerosi premi Oscar e GRAMMY.
L’acclamata giornalista Catherine
Ravenscroft (Cate Blanchett) ha costruito la sua
reputazione rivelando le malefatte e le trasgressioni degli altri.
Quando riceve un romanzo da un autore sconosciuto, si rende conto
con orrore di essere la protagonista di una storia che mette a nudo
i suoi segreti più oscuri e minaccia di distruggere la sua
famiglia
Mentre Catherine lotta contro il
tempo per scoprire la vera identità dello scrittore, è costretta a
confrontarsi con il suo passato prima che questo distrugga la sua
vita e i suoi rapporti con il marito Robert (Sacha
Baron Cohen) e il figlio Nicholas (Kodi
Smit-McPhee). Il cast comprende Lesley Manville, Louis
Partridge, Leila George e Hoyeon e presenta Indira Varma come voce
narrante.
Apple
TV+ ha condiviso due clip in anteprima tratte dal
primo capitolo di Disclaimer (recensione),
l’avvincente thriller psicologico raccontato in sette capitoli,
interpretato dai premi Oscar Cate Blanchett e Kevin
Kline e dal candidato all’Oscar Sacha Baron
Cohen. Scritta e diretta dal cinque volte premio Oscar
Alfonso Cuarón, la serie farà il suo debutto l’11 ottobre con il
Capitolo I e il Capitolo II.
https://www.youtube.com/watch?v=pnY3VLd3-KM
https://youtu.be/iu06JHetjdA
A seguire l’elenco completo dei capitoli di “Disclaimer”
Capitolo I
Immaginate che il vostro segreto più oscuro sia stato pubblicato in
un libro. Capitolo II
Vendetta? Ve la concediamo.
SEQUENZA DI USCITA DELGLI EPISODI di
11 ottobre – Capitoli I e II
18 ottobre – Capitoli III e IV
25 ottobre – Capitolo V
1 novembre – Capitolo VI
8 novembre – Capitolo VII
L’acclamata giornalista Catherine Ravenscroft (Cate Blanchett)
ha costruito la sua reputazione rivelando le malefatte e le
trasgressioni degli altri. Quando riceve un romanzo da un autore
sconosciuto, si rende conto con orrore di essere la protagonista di
una storia che mette a nudo i suoi segreti più oscuri e minaccia di
distruggere la sua famiglia.
Mentre Catherine lotta contro il tempo per scoprire la vera
identità dello scrittore, è costretta a confrontarsi con il suo
passato prima che questo distrugga la sua vita e i suoi rapporti
con il marito Robert (Sacha Baron Cohen) e il figlio Nicholas (Kodi
Smit-McPhee). Il cast comprende Lesley Manville, Louis Partridge,
Leila George e Hoyeon e presenta Indira Varma come voce
narrante.
Prodotta da Apple Studios, “Disclaimer” è
coprodotta da Esperanto Filmoj e Anonymous Content. Cuarón è
produttore esecutivo per Esperanto Filmoj insieme a Gabriela
Rodriguez. Oltre a recitare, Blanchett è produttrice esecutiva.
David Levine e il compianto Steve Golin sono produttori esecutivi
per Anonymous Content. Anche il premio Oscar® Emmanuel
Lubezki, Donald Sabourin e Carlos Morales sono produttori
esecutivi. “Disclaimer” è basata sull’omonimo romanzo di Renée
Knight che è co-produttore esecutivo. Lubezki e il candidato
all’Oscar® Bruno Delbonnel sono direttori della fotografia. La
colonna sonora è composta da Finneas O’Connell, vincitore di
numerosi premi Oscar® e GRAMMY.
Sarà presentata oggi fuori concorso
nell’ambito dell’81.
Mostra Internazionale d’Arte CinematograficaDisclaimer, la nuova, la nuova serie limitata
di sette episodi di Apple TV+, un
avvincente thriller psicologico interpretato dai premi Oscar
Cate Blanchett e Kevin Kline. La serie farà il suo
debutto l’11 ottobre con i primi due episodi, seguiti da nuovi
episodi ogni venerdì fino al 15 novembre.
Scritta e diretta dal cinque volte
premio Oscar Alfonso Cuarón, è basata sull’omonimo
best-seller di Renée Knight e segue Catherine Ravenscroft
(Blanchett) un’acclamata giornalista che ha costruito la
sua reputazione rivelando le malefatte e le trasgressioni degli
altri. Quando riceve un romanzo da un autore sconosciuto, si rende
conto con orrore di essere la protagonista di una storia che mette
a nudo i suoi segreti più oscuri.
Mentre Catherine lotta contro il
tempo per scoprire la vera identità dello scrittore, è costretta a
confrontarsi con il suo passato prima che questo distrugga la sua
vita e i suoi rapporti con il marito Robert (Sacha
Baron Cohen) e il figlio Nicholas (Kodi
Smit-McPhee). Il cast comprende Lesley Manville, Louis
Partridge, Leila George e Hoyeon e presenta Indira Varma come
voce narrante.
Prodotta da Apple Studios,
Disclaimer è coprodotta da Esperanto
Filmoj e Anonymous Content. Cuarón è produttore
esecutivo per Esperanto Filmoj insieme a Gabriela
Rodriguez. Oltre a recitare, Blanchett è
produttrice esecutiva. David Levine e il defunto Steve
Golin sono produttori esecutivi per Anonymous Content.
Anche il premio Oscar Emmanuel Lubezki, Donald Sabourin e
Carlos Morales sono produttori esecutivi. Knight è
co-produttore esecutivo. Lubezki e il candidato all’Oscar Bruno
Delbonnel sono direttori della fotografia. La colonna sonora è
composta da Finneas O’Connell, vincitore di numerosi premi Oscar e
GRAMMY.
Oggi Apple TV+ ha svelato le
prime immagini di “Disclaimer“, la nuova serie
limitata di sette episodi che farà il suo debutto l’11 ottobre con
i primi due episodi, seguiti da nuovi episodi ogni venerdì fino al
15 novembre.
“Disclaimer” è un
avvincente thriller psicologico interpretato dai premi Oscar®
Cate Blanchett e Kevin Kline.
Scritta e diretta dal cinque volte premio Oscar® Alfonso
Cuarón, è basata sull’omonimo best-seller di Renée
Knight.
Disclaimer, la trama
L’acclamata giornalista
Catherine Ravenscroft (Blanchett) ha costruito la
sua reputazione rivelando le malefatte e le trasgressioni degli
altri. Quando riceve un romanzo da un autore sconosciuto, si rende
conto con orrore di essere la protagonista di una storia che mette
a nudo i suoi segreti più oscuri.
Mentre Catherine lotta contro il
tempo per scoprire la vera identità dello scrittore, è costretta a
confrontarsi con il suo passato prima che questo distrugga la sua
vita e i suoi rapporti con il marito Robert (Sacha
Baron Cohen) e il figlio Nicholas (Kodi
Smit-McPhee). Il cast comprende Lesley Manville,
Louis Partridge, Leila George e
Hoyeon.
Disclaimer, nuova serie Apple TV+
“Disclaimer” è
prodotta da Esperanto Filmoj e Anonymous Content. Cuarón è
produttore esecutivo insieme a Gabriela Rodriguez di Esperanto
Filmoj e David Levine e Steve Golin di Anonymous Content. Renée
Knight è co-produttrice esecutiva. Il premio Oscar® Emmanuel
Lubezki (“Gravity”, “Birdman”, “The Revenant”) e il candidato all’Oscar®
Bruno Delbonnel (“Macbeth”, “A proposito di Davis”, “L’ora più
buia”) sono direttori della fotografia e produttori esecutivi, come
pure Donald Sabourin e Carlos Morales. La colonna sonora è composta
dal vincitore di più premi Oscar® e GRAMMY Finneas O’Connell
(“Barbie”, “No Time to Die”).
In Disastro a
Hollywood Un produttore cinematografico d’eccezione
(Robert
De Niro) ci accompagna per una settimana nel difficile
mondo di Hollywood. Lo seguiamo nelle varie tappe delle sue
giornate, tra figli, ex mogli amiche e ex mogli ancora amate che
però non riescono ad avere la meglio sul proprio lavoro, tra star
capricciose, festival imminenti e major tiranne.
Un affresco asciutto e a tratti
eccessivo del mondo del cinema, quello dell’industria, che si
nasconde agli occhi del pubblico, quello delle star capricciose (un
inedito e divertente Bruce Willis nella parte di se stesso), dei
registi divisi tra l’arte e il mercato, della produttrice rigida
che ‘o fai come dico, o mi prendo il tuo film’, delle piccole
grandi tragedie di quelli che lo star system proprio non lo reggono
e decidono di uscirne definitivamente (vedi il produttore suicida)
… e tra tutti il produttore, diventato quasi atarassico a tutte le
sue incombenze, che si barcamena tra tutti cercando di non
soccombere.
Disastro a Hollywood – Un
affresco asciutto e a tratti eccessivo del mondo del
cinema
Film ironico ma distaccato, il punto
di vista è quello di un osservatore superiore, che guarda i
personaggi alle prese con i loro meschini problemi, trattandoli con
freddezza, senza scendere nel dettaglio psicologico, ma
semplicemente raccontando quello che succede quasi in maniera
documentaristica. E meno male. Il film scorre via, senza pretese, e
senza una storia di fondo, solo problemi su difficoltà dai quali il
nostro eroe alla fine verrà sopraffatto. Cast d’eccezione: oltre a
De Niro,
Sean Penn e Bruce Willis nei panni di se stessi,
Robin Wright,
Stanley Tucci,
Kristen Stewart, Catherine Keener,
John Turturro.
Nuovo progetto in vista per la Bad
Robot di J.J. Abrams. Infatti, giunge notizie che il
produttore e regista ha ingaggiato niente meno
che Dustin Lance Black (Milk, J.Edgar)
per scrivere il disaster movie Earthquake
Zac Efron ha
appena terminato le riprese del suo ultimo
film, Dirty Grandpa, una
commedia che lo vede al fianco del grande Robert
De Niro. Per festeggiare la fine dei lavori sul set,
l’attore ventisettenne ha postato su Twitter una foto di lui
con il “nonno” cinematografico.
«Riprese finite su set di
#DirtyGrandpa. Grazie al mio uomo #BobbyD»
La
pellicola è incentrata sulla vicenda di un ansioso adolescente che
si troverà costretto ad accompagnare suo nonno, perverso generale
dell’esercito, in Florida per partecipare ai festeggiamenti dello
Sping Break.
Insieme a Efron e De Niro, nel film
troveremoZoey
Deutch (figlia
diLea
Thompson), Julianne Hough(Rock of Ages) e Aubrey Plaza(Parks and
Recreation).Dirty Grandpa
sarà diretto da Dan Mazer (Da Ali G
Show) su una sceneggiatura di John
Phillips; mentre Bill Block,
Jason Barrett, Barry Josephson e
Michael Simkin saranno i produttori. Negli
Stati Uniti il film uscirà il 22 febbraio 2016.
Sembra che Robert De
Niro e Zac Efron stiano per avere
compagnia: Aubrey Plaza ha appena firmato per
entrar a far parte del cast dell’ attesissima commedia
Dirty Grandpa.
La pellicola, incentrata sulla
vicenda di un ansioso adolescente che si troverà costretto ad
accompagnare suo nonno, perverso generale dell’esercito, in Florida
per partecipare ai festeggiamenti dello Sping Break, è prevista in
uscita nelle sale americane il prossimo natale. La
Plaza interpreterà Lenore, una seducente
“party-girl” in cerca di divertimento durante le vacanze di
primavera.
Conosciuta per titoli come
Monster University, Scott Pilgrim vs. The World,
The To Do List, Funny People e Safety Not
Guaranteed (acclamatissimo al Sundance Film Festival),
l’attrice è in questo momento nelle televisoni americane con
la settima ed ultima stagione di Parks and recreation; ma
tornerà presto al cinema nel dramma Ned Rifle e in The
Driftless Area, thriller diretto da Zachary
Sluser ed interpretato da Anton
Yelchin, Zooey Deschanel, e John
Hawkes.
Dirty Grandpa sarà diretto
da Dan Mazer (Da Ali G Show) su una
sceneggiatura di John Phillips; mentre
Bill Block, Jason Barrett,
Barry Josephson e Michael Simkin
saranno i produttori. Ricordiamo inoltre che Zoey
Deutch,”erede” di Sarah Michelle Gellar
nel “vampiresco” blockbuster di prossima uscita Vampire
Academy, si è unita al cast il mese scorso.
Il regista e fotografo messicano
Carlos Alfonso Corral racconta i luoghi che ha
visto fin da bambino nel documentario d’esordio Dirty
Feathers. Nato nella zona di confine tra El Paso e
Ciudad Juárez, classe 1989, conduce lo spettatore alla scoperta di
quei luoghi e di un’umanità ai margini, facendo raccontare in prima
persona a un gruppo di senzatetto con storie diverse la propria
vicenda umana. Presto si fa strada la riflessione su una
società opulenta e consumista che esclude un numero sempre maggiore
di persone.
Corral alla Berlinale con
Roberto Minervini
Dirty
Feathers, selezionato per partecipare nella sezione
Panorama Dokumente al prossimo Festival di Berlino, che vede tra i
protagonisti anche l’italiano Pietro Marcello
(Martin
Eden), è un progetto che nasce anche grazie al supporto
produttivo di Roberto Minervini, col quale Corral
ha mosso i primi passi nel cinema. Il film non poteva non avere la
benedizione di Minervini, che da documentarista apprezzato nei
Festival internazionali si è spesso concentrato sulle
contraddizioni dell’America contemporanea. Basti pensare a lavori
come The passage, Bassa
marea e Ferma il tuo cuore in
affanno, che esplorano proprio la frontiera texana.
Dirty Feathers è prodotto da
Pulpa Film, Cine Candela, in
associazione con Cinezoic Media e El
Jinete Films. e Slingshot Films ne cura le vendite
estere.
Le storie di Dirty
Feathers
Brandon Ashford e sua moglie Reagan
sono in attesa di un bambino, una giovane di 16 anni col suo cane
sembra aver vissuto già molto per la sua età, ma di fronte a un
paio di scarpe “nuove” trovate chissà dove, compie un gesto da
adolescente quale è. Un veterano della marina racconta di come vi
abbia prestato servizio per sei anni prima di finire sotto i ponti.
Poi, un padre che ha perso il figlio, un’amicizia tra una
senzatetto e una bambina – lei potrebbe essere sua nonna. Felipe
racconta la sua esperienza in ospedale da malato senza
assicurazione sanitaria, una donna ispanica ripercorre una violenza
subita e si aggrappa alla fede. Queste e tante altre sono le storie
dei protagonisti di Dirty Feathers,
homeless che passano la notte all’Opportunity Center for
the Homeless di El Paso, dove li aspetta un pasto caldo e
un tetto sulla testa, mentre di giorno vagabondano cercando di
sopravvivere.
Viaggio tra gli homeless dalle piume sporche con tanta
angoscia e poca speranza
Dirty
Feathers, ovvero “piumaggio sporco”, è questo che
mostra il film documentario di Carlos Alfonso Corral. Lo sporco di
cui si parla non è certo nell’animo dei protagonisti, ma nella
privazione in cui sono costretti a vivere e in cui sono lasciati
dalla società che intorno a loro continua a muoversi, noncurante,
salvo rare eccezioni. Lo sporco è conseguenza dell’indigenza, della
fame, della scarsa assistenza e della mancanza di opportunità.
Bianco e nero con la fotografia di Nini Blanco e macchina a mano,
queste le scelte stilistiche del regista per portare lo spettatore
nel mondo che racconta. Brandon, Reagan e gli altri hanno volti
segnati e storie angoscianti.
Vite invischiate in una condizione
dalla quale sembra davvero difficile uscire, come quegli uccelli
ricoperti di petrolio che si vedono dopo un disastro ambientale,
destinati a morire se qualcuno non li aiuta a togliersi di dosso
quella melma, ma che sanno ancora volare. In queste vite in bianco
e nero, vuol dire Corral, c’è ancora una speranza.
Viene in mente a proposito una poesia di Emiliy
Dickinson, Hope is the thing with feathers, che dipinge la
speranza come una creatura alata, capace di resistere in ogni
situazione, anche la più estrema, senza chiedere di essere
alimentata.
Ebbene, il problema del film forse
è proprio qui: la speranza, invece, va alimentata. Ha bisogno di
qualcosa di concreto su cui fondarsi. Qualcosa che qui non c’è.
Vorrebbe dare speranza Corral con la sua visione poetica, con il
racconto anche intimo di queste storie, ma non sembra trovare
l’equilibrio giusto. Pochi i momenti più lievi, in cui quella
speranza così anelata riesce a filtrare: il vecchietto suonatore di
armonica che nonostante tutto sorride, il gioco e l’intimità tra
una donna anziana e una bambina, sconosciute ma amiche, il volto di
Brandon che parla al figlio non ancora nato, sognando un futuro
diverso per lui.
Questo però non basta a scostare,
anche solo lievemente, la coltre di angoscia che avvolge il lavoro.
Contribuisce il fatto che la speranza evocata da Corral somigli più
a una fede che a qualcosa di tangibile e concretamente a portata di
mano. Ci vuole un’opportunità concreta per ricominciare, perché
qualcuno dei protagonisti riesca a costruirsi una nuova vita, a
ripartire. Emblematico in questo senso il sogno di Brandon di
aprire un ristorante e dare un futuro diverso al suo bambino. Con
quali risorse potrà riuscire a realizzare questo sogno? Stante la
situazione che viene presentata, sembra piuttosto una speranza
vana, destinata a svanire all’orizzonte.
La dimensione in cui vivono i
protagonisti di Dirty Feathers resta dunque in bianco e nero, un
rigoroso bianco e nero che finisce per appesantire una realtà già
di per sé disperante, carica di angosce e dolori. Lo spettatore
potrà sentirsene sopraffatto e forse caricato di un eccessivo peso.
Il film finisce così per comunicare un senso di impotenza, più che
di speranza. Resta comunque una luce accesa sugli ultimi, su
situazioni troppo spesso dimenticate e relegate ai margini.
Guarda il trailer
del film Dirty Difficult Dangerous di Wissam
Charaf, nelle sale italiane dal 1 novembre grazie a
Intramovies, con la collaborazione di Cineclub Internazionale.
Secondo lungometraggio del regista franco-libanese Wissam Charaf, è
stato presentato alla79.
Mostra del Cinema di Venezia come film d’apertura
delle Giornate degli Autori, dove ha
vinto il Premio Label Europa Cinemas come Miglior Film
Europeo.
Ambientato a Beirut e al
confine tra Libano e Siria, il film segue l’intensa
relazione tra una ragazza etiope e un profugo siriano: una storia
d’amore raccontata con un tocco leggero e dai toni fiabeschi. Sullo
sfondo, la guerra, i rifugiati, il traffico di esseri umani,
tematiche che però lasciano spazio a un autentco e forte senso di
speranza che nasce dal coraggio.
«Ho voluto raccontare
l’incontro di due angeli caduti, Ahmed e Mehdia, due emarginati
costretti ad affrontare quotidianamente pericoli e discriminazioni
razziali – ha dichiarato il regista Wissam
Charaf – Un melodramma in cui crudeltà, commedia e
tenerezza si intrecciano, offrendo una visione intima della società
libanese odierna, descrivendo la tragedia di tre popolazioni
attraverso un solo paese: il razzismo verso i lavoratori domestici,
la miseria dei rifugiati siriani e la decadenza morale dei
cittadini libanesi che li sfruttano. Anche se ispirato a una realtà
crudele, ho preferito che il mio film proponesse una realtà
rivisitata e un punto di vista differente su miseria e
pathos».
L’apertura della 19ª edizione è
affidata al regista franco-libanese Wissam Charaf che ci porta a
Beirut. Una storia d’amore tra due “angeli caduti” (con le
parole del regista). Dirty difficult
dangerous, opera seconda del regista e film
d’apertura del concorso nel calendario delle Giornate, è un
melodramma (con sfumature di commedia) nel quale due migranti si
incontrano nella Beirut odierna e trovano nella loro unione l’unica
forza possibile.
Ahmed è un rifugiato siriano, Mehdia è un’immigrata etiope.
Vivono un amore clandestino fatto di baci furtivi nelle strade
della capitale libanese. Come molte storie tra migranti – in
questo nostro tempo di incertezze – è una storia senza futuro tra
discriminazioni razziali e le costanti difficoltà suggerite dal
titolo.
“Il Libano delle cronache più recenti”,
dice Gaia Furrer, direttrice artistica delle
Giornate, “è quello di una società colpita duramente dalla
miseria. Dirty difficult dangerous racconta il
dramma delle discriminazioni – che sono persino interne alle stesse
comunità di migranti che popolano il paese – con la giusta distanza
della leggerezza e della poesia. Wissam Charaf riesce a
rappresentare i grandi drammi sociali con l’ironia e la tenerezza
degna dei grandi maestri. Cominciare da questo film significa per
noi aprire la strada all’umore di una selezione fatta di generi
cinematografici che – mescolandosi – riescono a rappresentare le
sfumature delle emozioni e arrivano a diffondere messaggi
urgenti”. L’appuntamento è alle 16.15 in Sala Perla.
L’altra città è Roma. Tutta un’altra storia, quella iniziata
proprio cento anni fa con la Marcia su Roma, l’avvenimento che
cambiò la politica e le sorti dell’Italia. A ripercorrere i fatti
di quel giorno di Ottobre del 1922 è Mark
Cousins che, attraverso il montaggio di preziosi
materiali d’archivio, ci offre una lettura dell’ascesa del fascismo
in Europa in relazione al successo delle destre ai giorni nostri.
Il film vede anche la partecipazione di Alba
Rohrwacher.
Marcia su Roma è al tempo stesso un film saggio e
un documento storico di Mark Cousins, regista e scrittore
irlandese-scozzese, autore di documentari sui grandi maestri del
cinema, da Ėjzenštejn a Welles, che ha lavorato in Iraq, a
Sarajevo durante l’assedio, in Iran, Messico, Asia, America ed
Europa. Cousins contestualizza la storia osservando il mondo
contemporaneo e mostra un paesaggio politico oggi caratterizzato da
una grande popolarità dell’estrema destra.
“Sono cresciuto nell’Irlanda del Nord degli anni Settanta, i
nostri anni di piombo”, afferma Mark
Cousins, “quelli dei disordini politici e
settari. Era un periodo di guerra a bassa intensità –
ribattezzata The Troubles – ed era anche un periodo in
cui il governo britannico operava in clandestinità con i
paramilitari di estrema destra per reprimere il movimento per i
diritti civili. Le insidie della destra, perciò, hanno sempre fatto
parte della mia vita.”The March on Rome,
presentato come Evento Speciale, apre la giornata di programmazione
alle 11.30 in Sala Perla.
Nella giornata inaugurale sarà inoltre presentata la
mostra “L’ONDA LUNGA. Storia extra-ordinaria di
un’associazione”, realizzata
da ANAC in collaborazione con le
Giornate degli Autori e Isola Edipo. La mostra, che ripercorre i 70
anni di attività dell’ANAC, sarà presentata nella conferenza stampa
mercoledì 31 agosto alle ore 15.00 presso l’Italian
Pavilion – Hotel Excelsior, e sarà visitabile
dall’inaugurazione del 1 settembre alle ore 11.00 fino al 9
settembre presso la Sala Laguna di Via Pietro Buratti, 1, Lido di
Venezia.
Ricordato come uno dei più celebri film
sentimentali di sempre, Dirty Dancing – Balli
proibiti vanta ancora oggi un grandissimo numero di
fan, ed è continuamente citato da opere che ad esso si ispirano.
Diretto nel 1987 dall’allora esordiente Emile
Ardolino, il film contribuì a rendere delle vere e proprie
star gli attori Patrick
Swayze e Jennifer Grey, i quali però
dovettero poi faticare per riuscire ad affermarsi al di là di
questo film, indicato ancora oggi come uno dei loro migliori e più
grandi successi.
Il film venne scritto da
Eleanor Bergstein, la quale basò la storia sulle
proprie esperienze da adolescente. Questa, infatti, era solita
trascorrere le proprie vacanze estive frequentando competizioni di
ballo. Ella stessa, in occasione di queste, si assegnò il
soprannome di “Baby”, lo stesso poi utilizzato per la protagonista
del film. Desiderosa di dar vita ad un film basato sulla danza, la
Bergstein iniziò così a scrivere la storia di Dirty
Dancing. Ebbe tuttavia difficoltà nel vendere la sua storia,
salvo poi imbattersi nella Vestron Pictures, la quale sostenne il
progetto.
Le numerose peripezie produttive
furono poi ripagate al momento dell’uscita in sala del film. Questo
riscontrò infatti un grandissimo successo di pubblico in tutto il
mondo, facendo sognare intere generazioni, divenendo con il tempo
un vero e proprio cult, nonché uno dei migliori film sulla
danza. A fronte di un budget di soli 5 milioni di dollari,
inoltre, il film arrivò ad incassarne a livello globale oltre 214,
affermandosi come uno dei maggiori successi dell’anno. Anche la
critica apprezzò il film, lodando la chimica di coppia presente tra
i due protagonisti come anche le coreografie realizzate per le
iconiche scene di ballo.
Dirty Dancing: la trama
del film
La storia è quella di
Frances Houseman, detta “Baby”, una diciassettenne
che si ritrova a trascorrere le proprie vacanze estive in compagnia
della ricca famiglia presso un villaggio turistico a Catskils.
Annoiata dalla quotidianità e concentrata unicamente sul proprio
futuro universitario, la giovane si ritrova poi inaspettatamente a
fare la conoscenza di Johnny Castle, affascinante
insegnante di ballo del resort presso cui Frances soggiorna. La
ragazza si sente da subito attratta dal giovane, e lentamente
lascia che lui la introduca al mondo della danza. La tranquillità
delle loro giornate viene interrotta nel momento in cui
Penny, assistente ballerina di Johnny, rimane
incinta e si ritrova a dover abortire clandestinamente, aiutata da
dal padre di Frances, medico di professione.
Questi, convinto che sia stato
Johnny a mettere nei guai la ragazza, proibisce alla figlia di
continuare a vedere il ragazzo. Baby, però, sceglie di disubbidire
al genitore, e anzi si offre come sostituta di Penny per
un’importante competizione di ballo. Lei e Johnny iniziano così a
legarsi sempre di più l’uno all’altro, dovendo però evitare di
essere scoperti, cosa che comporterebbe rischi per entrambi. Con
l’avvicinarsi della gara, i due sono ormai una splendida coppia di
ballo e per Frances quell’estate ha finalmente assunto un
inaspettato significato. Improvvisamente, però, un’accusa di furto
fa perdere il lavoro a Johnny. Questi dovrà ora trovare il modo di
provare la propria innocenza, riacquistando la fiducia di Frances
per poter partecipare con lei alla competizione.
Dirty Dancing: il cast del
film
Nella scelta dei due protagonisti, i
produttori e il regista del film erano alla ricerca di nomi che
fossero in grado sia di ballare che di recitare, non volendo
trascurare nessuno dei due aspetti. Per questo motivo, il ruolo di
Baby andò all’attrice Jennifer Grey, apprezzata
per i suoi ruoli in alcuni popolari film degli anni precedenti. Per
il ruolo di Johnny venne invece scelto il giovane
PatrickSwayze. Questi, tuttavia,
aveva inizialmente espresso perplessità nei confronti del ruolo.
Pur essendo notoriamente un ballerino provetto, egli aveva da poco
subito un infortunio al ginocchio, che gli impediva di ballare.
Dopo aver letto la sceneggiatura completa, però, Swayze rimase
talmente affascinato dal personaggio che decise di accettare
ugualmente la parte.
La scelta di Swayze come
co-protagonista non fu una bella notizia per la Grey. I due,
infatti, avevano già lavorato insieme nel film Red Dawn,
manifestando divergenze relazionali. Al momento del loro provino in
un ballo di coppia, tuttavia, la chimica tra di loro risultò
eccezionale, a tal punto da convincere i produttori circa la scelta
dei due interpreti. La coreografia da loro eseguita in quel
momento, inoltre, fu giudicata talmente impeccabile da essere
inserita addirittura nel film. Ad ogni modo, la convivenza tra i
due attori sul set non fu delle più rosee e diversi furono i
diverbi tra i due. Per permettere loro di riacquisire un minimo di
tolleranza reciproca, i produttori gli fecero vedere più volte il
video del loro provino insieme. Ciò risultò efficace, e lì aiutò a
ritrovare l’energia giusta.
Dirty Dancing: le canzoni
e il sequel del film
Ad aver reso il film un classico
intramontabile, oltre ai due protagonisti e alla loro storia, sono
anche le splendide canzoni in esso presenti. Brani che ancora oggi
incantano il pubblico di tutte le età e che già all’epoca si
affermarono come successi eclatanti. Il più celebre tra tutti è
quello intitolato (I’ve Had) The Time of My Life, eseguito
da Bill Medley e Jennifer Warnes.
Questo arrivò ad ottenere un enorme fortuna anche al di là del
film, vincendo dischi d’oro e di platino. Il riconoscimento più
prestigioso fu però l’Oscar alla miglior canzone originale vinto
nel 1988. Nel film è poi presente anche She’s Like the
Wind, brano scritto ed eseguito dallo stesso Swayze e divenuto
anch’esso un grande classico.
Dato il grande successo del film, i
produttori erano inizialmente intenzionati a realizzare un sequel
diretto di questo. Il progetto tuttavia non prese mai piede,
specialmente per via del rifiuto di Swayze, il quale non apprezzava
i sequel. Nel 2004, tuttavia, è uscito al cinema il film Dirty
Dancing 2. Questo non è però il seguito del titolo del 1987,
bensì una rivisitazione. Viene infatti utilizzata la stessa trama,
ma l’ambientazione è spostata dal Nord dello stato di New York alla
Cuba di fine anni Cinquanta, nei giorni della rivoluzione di Fidel
Castro. Il titolo originale è infatti Dirty Dancing: Havana
Nights, e tra i protagonisti si annoverano gli attori Diego
Luna e January
Jones. Recentemente, però, lo studios Lionsgate ha
confermato i piani per la realizzazione di un
sequel diretto della pellicola originale.
Dirty Dancing: il trailer
e dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile vedere o rivedere il
film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari
piattaforme streaming presenti oggi in rete. Dirty
Dancing – Balli proibiti è infatti disponibile nel
catalogo di Rakuten TV,Chili Cinema,
Google Play, Apple
TV+, Amazon Prime Video e Netflix. Per vederlo, in base alla
piattaforma scelta, basterà iscriversi o noleggiare il singolo
film. Si avrà così modo di poter fruire di questo per una comoda
visione casalinga. È bene notare che in caso di solo noleggio, il
titolo sarà a disposizione per un determinato limite temporale,
entro cui bisognerà effettuare la visione. Il film sarà inoltre
trasmesso in televisione il giorno martedì 22
agosto alle ore 23:25 sul canale
TV8.
Chi non ha mai visto almeno una
volta il cult Dirty Dancing? ”Nessuno
mette Baby in un angolo” è di sicuro una delle battute più
famose della storia del cinema. Grazie alla bellissima colonna
sonora, al fascino di Patrick Swayze e ovviamente alle sue
scene di balli ”proibiti” estremamente erotici e sensuali,
Dirty Dancing è tutt’oggi uno dei film
più amati.
Proprio una di queste scene di
ballo venne però eliminata nel montaggio finale, sicuramente a
causa dell’altissimo tasso erotico, forse un po’ troppo per il
1987, anno in cui uscì il film. Si tratta di una scena con
Baby (Jennifer Grey) e
Johnny (Patrick
Swayze): sulle note della mitica She’s Like
the Wind, i due attori sono protagonisti di una danza
molto sensuale, che ricorda molto un amplesso. Non c’è da stupirci
se il regista decise di tagliarla, non trovate?
Sappiamo ormai da tempo che un
sequel di Dirty Dancing è ufficialmente in sviluppo
con Jennifer Grey, protagonista del film
originale del 1987 al fianco di Patrick
Swayze, coinvolta nel progetto. Diretto da Emile
Ardolino, il primo Dirty Dancing è stato un
grandissimo successo di critica e pubblico, incassando al box
office oltre 214 milioni di dollari a fronte di un budget di soli 5
milioni.
In una recente intervista con
People, Jennifer Grey ha voluto rassicurare i
fan della pellicola originale e del compianto Swayze, assicurando
che l’attore – scomparso nel 2009 all’età di 57 anni – non verrà
sostituito. “Tutto quello che posso dire è che nessuno andrà a
rimpiazzare chi non c’è più”, ha dichiarato Grey. “Non
puoi provare a ripetere qualcosa di magico come quello. Devi
cercare di fare qualcosa di differente.”
Ad agosto Jon Feltheimer, CEO di
Lionsgate, ha ufficialmente confermato che Dirty Dancing avrà un sequel che sarà
diretto da Jonathan Levine e Gillian Bohrer e sceneggiato da Mikki
Daughtry e Tobias Iaconis. Inoltre Jennifer
Grey, l’originale “Baby” della pellicola del 1987,
reciterà nel film e sarà coinvolta anche in qualità di produttore
esecutivo.
In una nota ufficiale, lo studio
aveva dichiarato: “Sarà esattamente il tipo di film romantico e
nostalgico che i fan del franchise stavano aspettando e che lo ha
trasformato nel film di maggior successo nella storia della nostra
compagnia.”
Il grande successo di Dirty Dancing
Oltre ad essere stato un grandissimo
successo, Dirty
Dancing ha ricevuto anche diversi riconoscimenti
importanti. La canzone portante della colonna sonora, “(I’ve Had)
The Time of My Life”, ad esempio, ha ricevuto l’Oscar e il Golden
Globes nel 1988 come miglior canzone originale. Sempre ai Golden
Globes del 1988, sia Patrick
Swayze che Jennifer
Grey ricevettero una nomination a testa come migliori
attori, mentre il film venne candidato come miglior film musicale o
commedia.
Un sequel di Dirty
Dancing è ufficialmente in sviluppo con Jennifer
Grey, protagonista del film originale del 1987 al fianco
di Patrick Swayze, coinvolta nel progetto.
Diretto da Emile Ardolino, il primo Dirty Dancing è stato
un grandissimo successo di critica e pubblico, incassando al box
office oltre 214 milioni di dollari a fronte di un budget di soli 5
milioni.
Nel corso degli anni, anche grazie
ai numerosi passaggi televisivi, il film è diventato un vero e
proprio cult. Dopo l’uscita del primo film, la Lionsgate ha cercato
più volte di cavalcare l’onda di quell’incredibile successo, prima
realizzando una sorta di rivisitazione dal titolo Dirty
Dancing: Havana Nights (uscito nel 2004) e poi un remake
destinato al piccolo schermo, trasmesso nel 2017 sulla ABC e
interpretato da Abigail Breslin nei panni della protagonista
Franes “Baby” Houseman.
Adesso, come riportato da Deadline
(via
Screen Rant), Jon Feltheimer, CEO di Lionsgate, ha
ufficialmente confermato che Dirty Dancing avrà un
sequel che sarà diretto da Jonathan Levine e Gillian Bohrer e
sceneggiato da Mikki Daughtry e Tobias Iaconis. Inoltre
Jennifer Grey, l’originale “Baby” della pellicola
del 1987, reciterà nel film e sarà coinvolta anche in qualità di
produttore esecutivo.
In una nota ufficiale, lo studio ha
dichiarato: “Sarà esattamente il tipo di film romantico e
nostalgico che i fan del franchise stavano aspettando e che lo ha
trasformato nel film di maggior successo nella storia della nostra
compagnia.”
Il grande successo di Dirty Dancing
Oltre ad essere stato un grandissimo
successo, Dirty Dancing ha ricevuto anche diversi
riconoscimenti importanti. La canzone portante della colonna
sonora, “(I’ve Had) The Time of My Life”, ad esempio, ha ricevuto
l’Oscar e il Golden Globes nel 1988 come miglior canzone originale.
Sempre ai Golden Globes del 1988, sia
Patrick Swayze che Jennifer Grey
ricevettero una nomination a testa come migliori attori, mentre il
film venne candidato come miglior film musicale o commedia.
Varie volte, in questo spazio e in
altri, ho spiegato perché spesso marino le feste durante i
festival. Ho detto ‘marino’? Davvero? Deve essere la stanchezza.
Intendevo dire ‘piscio le feste’. I soliti: c’ho mal de panza, c’ho
sonno c’ho fame, sono stanco e di solito non ho l’invito – grazie
ar cazzo, non ce vado mai. Te credo che non mi invitano – il che
non sarebbe un problema perché tanto mendicando da una parte
all’altra a entrare si riesce. Solo che se dovevo andare a fare il
mendicante me mettevo all’angoletto della fermata Vittorio Emanuele
e facevo pure più soldi che a venì ai Festival. Tra l’altro, una
delle poche cose che mi piace fare alle feste, non essendo un buon
ballerino e non volendo perdere la voce per fare rapporti di
pubbliche relazioni urlando come un’aquila per sovrastare la musica
demmerda che di solito mettono, è ubriacarmi come un marinaio
marsigliese, e visto come sto messo coi reni, meglio evitare.
Ieri sera però avevo pensato di
affacciarmi alla festa dei ‘Ciak,’ giusto perché ogni tanto vedano
che questa faccia dietro alle cazzate che scrivo esiste davvero.
Quasi ero pronto a uscire, quando purtroppo mi hanno colto delle
gravi allucinazioni che manco Leonardo di Caprio
quando si faceva di Quaalude in The Wolf of Wall
Street.
Mi metto un attimo in
balcone, che devo dire la vista della casa che ho qui al Lido non è
niente male, dà direttamente su uno dei canali principali – per cui
occhio che vi sento, quando parlate male dei colleghi tornando a
casa a tarda notte ubriachi come merde, voi non mi vedete ma io,
dal balcone, sì – in cerca di ispirazione. Magari mi viene voglia
di uscire, hai visto mai.
M’accendo un sigaro. E vedo una
barca passare. E che sarà mai una barca al Lido, direte voi. Solo
che non è una barca normale. È un’automobile. Con un motore per
barca attaccato, che bellamente se ne va in giro sull’acque alla
faccia del ‘dove stiamo andando non c’è bisogno di strade’ di
zemeckisiana memoria. Sgrano un paio di volte gli occhi, me li
stropiccio. E niente. La visione non scompare. Anche abbastanza
preoccupato penso che le traveggole mi vengano dall’abuso di
Toradol o da una sempre più presente stanchezza (e del resto, oggi
si fa il giro di boa della ‘settimana che siamo qui’, ci sta pure)
e mi dico che di andare a fare il cazzone a feste dove manco
m’hanno invitato, a maggior ragione che sto impazzendo, non è il
caso.
La pazzia incombente, però, la
prendo con nonchalance, un po’ come il protagonista del film di
Aronofsky prende l’orrenda esecuzione del figlio appena nato: come
uno scherzo un po’ pesantuccio, ma perdonabile. Ecco, per me la
follia non è che una seccatura, in questo marasma di appuntamenti e
corse. Quindi mi metto a letto pensando che il giorno dopo, dopo
qualche ora di sonno, le allucinazioni spariranno. Stamattina
l’auto-barca sta ancora là, attraccata proprio sotto casa mia. O
era tutto vero, oppure sto definitivamente dando di matto. Ma non
ho tempo per pensarci, devo correre all’alba alla proiezione del
film dei Manetti Bros. , che in qualche modo mi
rincuora.
Intendiamoci, sto Ammore e
malavita che presentano qui non è niente di che. Un
musical napoletano misto a Crime Story, come lo era in un certo
senso il precedente Song e’ Napule, e come in
Song e’ Napule – che, detto per inciso, era molto
migliore di questo – ci sono Giampaolo Morelli,
Serena Rossi e vari avanzi da ‘Un posto al sole’
che contribuiscono di molto a rendere la vicenda più partenopea
possibile, con tanto di volute sceneggiate alla Mario
Merola che sono la parte più divertente. Dopo un inizio
scoppiettante, però, il film si siede parecchio e si appoggia su un
fantastiliardo di citazioni messe lì a cazzo, da
Flashdance a 007 a Ritorno al Futuro, che mandano
in visibilio la platea manco stessero vedendo la madonna. Io
intanto mi appisolo, sereno. Perché evidentemente non sono l’unico
che sta impazzendo qua in giro.
Tra la proiezione e la conferenza mi
arriva una soffiata su dove si trova Michael
Caine, e scatta l’operazione selfie. Più che altro perché
è un investimento, dato che lui stesso va in giro a dire “sono
malato e tra poco vi lascio”. Michael, ti stimo e non è pé fa il
coccodrillo, ma sai com’è. Oggi sì, domani non se sa. Purtroppo
l’operazione non mi riesce. Lo portano fuori dalla lounge quattro
gorilla grossi il doppio di Vince Vaughn in
Brawl in Block Cell 99, perché deve andare in bagno e in
effetti molti dei presenti lo hanno beccato proprio al cesso, che è
un grande punto di ritrovo che accomuna star, addetti ai lavori e
comuni mortali inferiori (ogni tanto i lettori vanno sempre
insultati, ricordiamocelo). Dal cesso, tutti ci devono passare.
Però io e Michael siamo gentlemen, e tra noi gentlemen vige la
regola di non bloccare mai per nessun motivo un uomo che va a
pisciare. Quindi niente, me lo vedo passare davanti e basta, anche
perché incombono gli impegni di lavoro e mi devo allontanare. Ok,
la verità è che dovevo pisciare pure io.
Ang
Ieri ho sentito molto la mancanza di
Ang, perché in effetti alle feste ci vado con lo stesso spirito e
quindi siamo solidali l’uno con l’altro. Spesso utilizziamo una
famosa tattica militare che si trova nei testi di politica
internazionale, che si chiama ‘modalità Zoran’,
dal luogo in cui questa strategia fu messa in atto da due
irredentisti macedoni durante una battaglia. In sostanza questi
tipi si fecero vedere mentre brandivano con disinvoltura armi
davanti ai loro colleghi combattenti, e appena tutti erano
impegnati a menà come in un film con la bonanima de Bud Spencer si
sciacquavano allegramente dai coglioni.
Ecco, questa strategia a noi è molto
cara. Ma non perché siamo snob, semplicemente perché siamo due
amanti delle cose semplici (la famosa triade dormì/magnà/fa pipì),
quindi stare a informarci per raggiungere in ginocchio sui ceci un
posto che sta in culo ai lupi e forse riesci ad entrare ci sembra
davvero un’esagerazione. Invece ieri, dicevo, visto che l’invito lo
avevo e visto che per una volta la festa era in un posto
comodissimo, ho fatto un salto.
All’ingresso pronunciando la parola
magica si sono aperte le acque come se fossi Noè e sono entrata in
uno spazio temporale alienante, popolato da gente proveniente da
qualsiasi epoca, ricevendo prova che dio esiste, ma non è
classista. In tutto questo vorrei ricordarvi una cosa importante,
cioè che l’inferno deve essere invece un posto in cui esistono solo
open bar e buffet liberi, perché io mi sono sentita dannata. Sarò
banale, ma ancora rabbrividisco a vedere la gente che agli open bar
fa outing (tacito o palese non importa) sulla propria infanzia
agghiacciante, sul proprio lavoro, sul fatto che dorme ancora con
l’orsacchiotto de peluche. Così come rabbrividisco a vedere gente
normalissima che in quei posti si trasforma.
Per cui ti ritrovi a fare il trenino
su A-E-I-O-U-Y con uno che scrive magari
accanto a te in sala stampa e ti imbruttisce se ricevi una
telefonata mentre lavori, ti trovi a ballare
Flashdance con persone che te urlano
dietro se hai il pass in fila ed entri prima di loro. Perché
diventiamo solo contatto umano, quello che spesso in dieci giorni
di Lido ti manca. Ma di contatto in quei metri quadri ce n’era pure
troppo, tanto che a questo punto mi sono chiesta se non fosse un
trappolone messo in atto dagli autoctoni o da sedicenti registi di
opere prime per fare una marmellata di critici, e riempire i
cornetti del Mulino Bianco (no, non dirò i Buondì
cazzo, almeno io).
E infatti è così e col terrore negli
occhi mi allontano per fumarmi una sigaretta in pace, da sola. A un
certo punto mi si avvicina uno, che mi mitraglia di domande.
Stringo gli occhi e scuoto leggermente la testa, che universalmente
significa: “E’ inutile che ti accolli. Evapora“.
Ma lui non batte ciglio, per cui credo di capire di aver risposto
di sì a una specie di proposta in linguaggio elfico-lagunare
“ofrirajnlaejrvinoohcichetooo?” (ovvero: “bevi?”),
e mi ordina un barile di un liquame stranissimo, che considerando
che sto fumando e tengo la giacchetta dovrei essere un giocoliere
nano scappato dal Circo Togni per farcela, oppure
dovrebbe reggere tutto lui ficcandomi una cannuccia in gola. Sto
mostro della Laguna. Con i soli muscoli che riesco a muovere gli
mimo, diovirzì, che non voglio bere, voglio fumare
e possibilmente poi annà a dormì, da sola. Mi guarda incredulo,
come se tra i due lui brillasse per fascino e la deficiente fossi
io. Decido di evaporare io allora, nel modo più elegante possibile,
trattenendo quell’impeto improvviso di fargli il dito medio mi
avvio verso le mie amiche, barcollando (niente, la dignità non è
più il mio forte già dopo due cocktail) e mi levo dalle palle.
Detto questo visto che
continuavo a sentirmi poco a mio agio e pressata come una fetta di
lattuga in un hamburger mi guardo intorno con orrore, e a un certo
punto ho temuto persino che si fosse imbucato
Aronofsky e al suo tre tutta quella gente
iniziasse a sbranarmi come un pollo allo spiedo, per cui al minimo
cenno delle mie amiche di andarcene scodinzolo come un Labrador. Ci
dormo (male) su. Stamattina me facevano male pure le ciglia ma
decido di andare comunque a vedere i Manetti, e
mentre stavo per rimuovere una frase in particolare mi rievoca
l’esperienza carnaio di ieri, fa più o meno così ‘per loro
l’umanità è come a pummarola ncopp o spaghetto avvongole. Non conta
nu cazz’.
P.S. gli autori ci
tengono a sottolineare che i fatti sono spesso (ma non sempre)
romanzati a partire da cose realmente accadute, questo per
tranquillizzare qualsivoglia fan di qualsiasi attore, regista,
organizzatore di party, protettore di morti di fi*a li legga per
sbaglio, involontariamente, o mentre è al cesso, compreso
Michael Caine.
Durante un’intervista con il
Los Angeles Times,
Jennifer Gray ha parlato di alcuni aspetti di ciò
che i fan potranno aspettarsi dal prossimo Dirty Dancing
2. Ha detto che “non ha alcun desiderio di rifare il
primo” e che questo film seguirà la storia di Baby a trent’anni
dagli avvenimenti del primo film. È interessata a indagare sulle
ricadute della storia del film originale e su come ora appare
attraverso una “lente completamente diversa”.
Grey ha poi proseguito spiegando che
si tratta di una storia nuova da raccontare e di un punto di vista
differente sia sull’oggi che su quello che è accaduto nel primo
film. Ritiene che il pubblico innamorato della storia possa
ritenersi soddisfatto di come andranno le cose.
Distribuito nel 1987, Dirty Dancing è
interpretato da Jennifer Grey nei panni di Frances
“Baby” Houseman, una giovane donna che trascorre controvoglia
l’estate in un resort di Catskills con la sua famiglia. Baby si
innamora dell’istruttore di ballo del campo, Johnny Castle
(Patrick
Swayze), e l’improbabile coppia si innamora mentre
impara a eseguire il ballo più importante dell’estate.
Nel 2020, è stato annunciato che
Dirty Dancing 2 era in lavorazione con Gray che
riprendeva il ruolo di Baby. Di recente, è stato dichiarato che il
film sarà diretto dal regista di Warm Bodies,
Jonathan Levine.
Ora, il film ha un altro importante
aggiornamento. Per Deadline, Dirty Dancing 2
uscirà nelle sale il 9 febbraio 2024. Scritto da
Elizabeth Chomko e Levine, Dirty Dancing
2 è incentrato sul ritorno di Baby al Kellerman’s Resort,
e la sua storia con il luogo si intreccia con una nuova giovane
coppia al resort come affrontano il romanticismo e la danza. Al
momento, Dirty Dancing 2 deve ancora annunciare
chi si unirà a Jennifer Grey nel cast.
Dirty Dancing 2 ha
ufficializzato una data di uscita nel 2024. Distribuito nel 1987,
Dirty Dancing è
interpretato da Jennifer Grey nei panni di Frances
“Baby” Houseman, una giovane donna che trascorre controvoglia
l’estate in un resort di Catskills con la sua famiglia. Baby si
innamora dell’istruttore di ballo del campo, Johnny Castle
(Patrick
Swayze), e l’improbabile coppia si innamora mentre
impara a eseguire il ballo più importante dell’estate.
Nel 2020, è stato annunciato che
Dirty Dancing 2 era in lavorazione con Gray che
riprendeva il ruolo di Baby. Di recente, è stato dichiarato che il
film sarà diretto dal regista di Warm Bodies,
Jonathan Levine.
Ora, il film ha un altro importante
aggiornamento. Per Deadline, Dirty Dancing 2
uscirà nelle sale il 9 febbraio 2024. Scritto da
Elizabeth Chomko e Levine, Dirty Dancing
2 è incentrato sul ritorno di Baby al Kellerman’s Resort,
e la sua storia con il luogo si intreccia con una nuova giovane
coppia al resort come affrontano il romanticismo e la danza. Al
momento, Dirty Dancing 2 deve ancora annunciare
chi si unirà a Jennifer Grey nel cast.
Ricordato come uno dei più celebri film
sentimentali di sempre, Dirty Dancing – Balli
proibiti vanta ancora oggi un grandissimo numero di fan,
ed è continuamente citato da opere che ad esso si ispirano. Diretto
nel 1987 dall’allora esordiente Emile Ardolino, il
film contribuì a rendere delle vere e proprie star gli attori
Patrick
Swayze e Jennifer Grey, i quali però
dovettero poi faticare per riuscire ad affermarsi al di là di
questo film, indicato ancora oggi come uno dei loro migliori e più
grandi successi.
Le numerose peripezie furono poi
ripagate al momento dell’uscita in sala del film. Questo riscontrò
infatti un grandissimo successo di pubblico in tutto il mondo,
facendo sognare intere generazioni, divenendo con il tempo un vero
e proprio cult, nonché uno dei migliori film sulla
danza. A fronte di un budget di soli 5 milioni di dollari,
inoltre, il film arrivò ad incassarne a livello globale oltre 214,
affermandosi come uno dei maggiori successi dell’anno. Anche la
critica apprezzò il film, lodando la chimica di coppia presente tra
i due protagonisti come anche le coreografie realizzate per le
iconiche scene di ballo.
La storia è quella di
Frances Houseman (Jennifer Grey),
detta “Baby”, una diciassettenne che si ritrova a trascorrere le
proprie vacanze estive in compagnia della ricca famiglia presso un
villaggio turistico a Catskils. Annoiata dalla quotidianità e
concentrata unicamente sul proprio futuro universitario, la giovane
si ritrova poi inaspettatamente a fare la conoscenza di
Johnny Castle (Patrick
Swayze), affascinante insegnante di ballo del resort
presso cui Frances soggiorna. La ragazza si sente da subito
attratta dal giovane, e lentamente lascia che lui la introduca al
mondo della danza.
La tranquillità delle loro giornate
viene interrotta nel momento in cui Penny,
assistente ballerina di Johnny, rimane incinta e si ritrova a dover
abortire clandestinamente, aiutata da dal padre di Frances, medico
di professione. Questi, convinto che sia stato Johnny a mettere nei
guai la ragazza, proibisce alla figlia di continuare a vedere il
ragazzo. Baby, però, sceglie di disubbidire al genitore, e anzi si
offre come sostituta di Penny per un’importante competizione di
ballo. Lei e Johnny iniziano così a legarsi sempre di più l’uno
all’altro, dovendo però evitare di essere scoperti, cosa che
comporterebbe rischi per entrambi.
La storia vera dietro il film
Dirty Dancing – Balli
proibiti è stato scritto da Eleanor Bergstein, la
quale raccontò di aver basato la storia sulle proprie esperienze da
adolescente. La sceneggiatrice, infatti, era solita trascorrere le
proprie vacanze estive frequentando competizioni di ballo. Ella
stessa, in occasione di queste, si assegnò il soprannome di “Baby”,
lo stesso poi utilizzato per la protagonista del film. Desiderosa
di dar vita ad un film basato sulla danza, la Bergstein iniziò così
a scrivere la storia di Dirty Dancing – Balli
proibiti. Ebbe tuttavia difficoltà nel vendere la sua
storia, salvo poi imbattersi nella Vestron Pictures, la quale
sostenne il progetto.
Un altra storia interessante legata
ai film è quella di Jennifer Grey, il cui ingaggio
ha avuto diverse somiglianze con il percorso di Baby nel film.
L’attrice era inizialmente considerata una scelta improbabile per
la parte, finché un momento chiave non l’ha distinta dal
gruppo. Grey era reduce dal film in Una pazza giornata di
vacanza del 1986 – dove aveva interpretato la sprezzante e
cattiva sorella adolescente di Ferris Bueller, Jeanie Bueller –
quando fece il provino per il ruolo di Baby. Nel film,
avvicinandosi al mondo della danza con una vulnerabilità da
bambina, Baby si allontana dalla vita curata che conosce come
figlia adorata dello stimato dottor Houseman, si innamora e
conclude l’estate non più da bambina, ma da donna.
Il film è dunque incentrato su Baby
combattuta tra il suo ruolo di figlia, alla disperata ricerca
dell’approvazione e dell’amore del padre, e il suo desiderio di
essere una donna a sé stante: una lotta che la Grey racchiuse nel
primo minuto del suo provino. Secondo la produttrice del film,
Linda Gottlieb, “Jennifer Grey è stata spinta
nella stanza dei provini da suo padre e ci siamo innamorati”.
La scrittrice di Dirty Dancing Eleanor Bergstein concorda, dicendo:
“Quando [la Grey] è entrata, ha detto al padre ”Augurami buona
fortuna, papà“, ed letteralmente diventata Baby… da quel momento in
poi è stata l’unica persona che volevo”.
Avendo in quel periodo stata
scartata dal provino per quello che sarebbe stato un altro grande
film di danza degli anni ’80, Flashdance, la Grey era
incredibilmente nervosa quando ha fatto l’audizione per la Baby di
Dirty Dancing – Balli proibiti. A peggiorare le
cose, c’era un’agguerrita concorrenza per il ruolo. I produttori
avevano già messo gli occhi su Sarah Jessica Parker per la parte, famosa per
i suoi ruoli nei successi di danza Footloose e Girls
Just Want to Have Fun.
Dopo aver quindi salutato il padre,
la Grey si rivolse a Gottlieb e disse: “So che non dovrei
dirlo, ma sarei fantastica in questo ruolo” e procedette a
ballare con grande energia sulle note dei Jackson Five. La Grey non
sapeva che si era aggiudicata la parte prima ancora di iniziare a
ballare. La Baby di Dirty Dancing – Balli proibiti
è diventata, e continua ad essere, uno dei ruoli più iconici nella
storia del cinema, nato dall’affetto e dalla fiducia della Grey nei
confronti del padre e dalla sua determinazione a ottenere il ruolo
dei suoi sogni.
Uno dei
film romantici più iconici della storia del cinema è Dirty Dancing, e il finale di
Dirty Dancing è ciò che rende il film un classico. Storia
di un’adolescenza, Dirty Dancing segue Frances “Baby”
Houseman (Jennifer Grey) mentre trascorre le
vacanze estive in un resort nelle Catskills con il padre, la madre
e la sorella. Quell’estate incontra un istruttore di danza di nome
Johnny Castle (Patrick
Swayze) e i due si innamorano l’uno dell’altra
nonostante le loro diverse condizioni economiche. Attraverso la
relazione tra Johnny e Baby e le ripercussioni sui personaggi
secondari, il film esplora i temi del classismo, dei primi amori,
della sessualità e del coraggio.
Sebbene Dirty
Dancing abbia molte scene e sequenze di ballo
memorabili, la scena più popolare è senza dubbio il finale del
film. Nella scena culminante, Johnny torna al resort dopo essere
stato licenziato per aver avuto una relazione con Baby. Davanti a
tutto il personale e agli ospiti del resort, Baby e Johnny si
esibiscono in un ballo sulla canzone “(I’ve Had) The Time of My
Life” di Bill Medley e Jennifer Warnes. Durante l’esibizione, Baby
ha il coraggio di completare la mossa dell’ascensore, mostrando la
sua trasformazione e completando il suo viaggio verso la maturità.
Anche se la scena finale di Dirty Dancing è un classico,
lascia il futuro dei personaggi all’interpretazione degli
spettatori.
Il futuro della relazione tra
Johnny e Baby è ambiguo alla fine di Dirty Dancing
Nelle scene finali di Dirty
Dancing, molteplici storyline giungono a conclusione. Baby
abbraccia la sua relazione con Johnny e la sua ritrovata sicurezza,
mentre Johnny si fa valere contro il proprietario del resort, Max
(Jack Weston). L’immagine finale di Dirty Dancing presenta
un’immagine di unità: lo staff di animazione del resort e gli
ospiti dell’alta società ballano tutti insieme. Mentre i film
romantici a volte danno un finale concreto di ciò che accade alla
coppia, Dirty Dancing non lo fa. L’ambiguità del finale di
Dirty Dancing corrisponde a quella di una storia di
formazione, e i personaggi sono lasciati in un punto di partenza
che potrebbe andare ovunque.
All’inizio di Dirty
Dancing, Baby progetta di unirsi ai Corpi di Pace dopo aver
frequentato il Mount Holyoke College. L’età di Baby in Dirty
Dancing non viene mai dichiarata, anche se si può presumere
che abbia 17 o 18 anni visto che sta per iniziare il college.
Johnny non ha progetti di carriera a lungo termine e fa
l’istruttore di danza e altri lavori per sbarcare il lunario.
All’inizio sembra che Baby e Johnny non abbiano nulla in comune.
Una volta innamorati, si incoraggiano a vicenda a essere la
versione migliore di se stessi. Essendo cambiati nel corso
dell’estate, non è chiaro se Baby e Johnny si atterranno ai loro
piani originali o se intraprenderanno nuove strade.
Come Johnny si guadagna
finalmente il rispetto del padre di Baby
Anche se alla fine di Dirty
Dancing il futuro dei personaggi è lasciato
all’interpretazione, gli sceneggiatori lasciano intendere che Baby
e Johnny erano seriamente intenzionati ad avere un futuro insieme.
Quando iniziano la loro storia d’amore, Baby e Johnny la tengono
segreta perché il padre di Baby, Jake (Jerry Orbach), pensa che
Johnny abbia messo incinta Penny (Cynthia Rhodes). Johnny affronta
Baby per nasconderlo a suo padre. Durante la discussione, si
riferisce a se stesso come al “ragazzo” di Baby e condivide la sua
preoccupazione che Baby non renderà mai pubblica la loro relazione.
Questa dichiarazione di Johnny dimostra la sua intenzione di avere
una relazione seria con Baby.
Una volta tornato al resort per il
ballo finale, Johnny si guadagna finalmente l’approvazione del
padre di Baby. Prima dell’iconica scena del ballo finale di
Dirty Dancing, Jake aveva scoperto che era stato Robbie
(Max Cantor) a mettere incinta Penny e che poi l’aveva abbandonata.
Rendendosi conto che Johnny si è preso la responsabilità di Penny e
ha tolto la colpa a Robbie, Jake si guadagna il rispetto di
quest’ultimo e ammette a Johnny di essersi sbagliato. Con Johnny
che ha l’approvazione del padre di Baby, le insicurezze che aveva
sulla sua relazione con Baby vengono risolte alla fine di Dirty
Dancing.
Ci sono accenni al fatto che
Johnny e Baby resteranno insieme
Dopo il licenziamento di Johnny dal
resort, lui e Baby si salutano. Il loro addio è agrodolce quando si
abbracciano. Johnny dice a Baby che “non si pentirà mai”,
ammettendo di non rimpiangere il licenziamento se questo
significava poter stare con lei. Baby è d’accordo e gli dice:
“Nemmeno io”. Johnny la bacia e le dice: “Ci
vediamo”. Sebbene sia evidente il dolore per il fatto di
doversi separare prima del previsto, l’osservazione casuale di
Johnny lascia intendere che lui e Baby avevano intenzione di
riunirsi una volta che Johnny fosse atterrato da qualche parte e
Baby fosse uscita dal tetto dei suoi genitori.
Quando Dirty Dancing fu
proiettato nel 1987, ci furono diverse scene che non vennero
tagliate. Nel corso degli anni, una manciata di scene eliminate
sono state condivise online. Una scena eliminata di Dirty
Dancing mostra Baby e Johnny che parlano del loro futuro
durante la scena del ballo finale. Baby teme che le persone della
loro vita critichino così tanto la loro relazione che non vorranno
più stare insieme. Johnny insiste sul fatto che lotteranno più
duramente per la loro relazione. Anche se la scena eliminata non fa
un salto nel futuro, conferma che Baby e Johnny avevano intenzione
di rimanere insieme una volta finita l’estate.
Ci sarà un sequel di Dirty
Dancing
Dal momento che Dirty
Dancing è così noto nella cultura pop, ci sono state
molteplici variazioni dopo il film originale del 1987. Una versione
teatrale del film, intitolata Dirty Dancing:The
Classic Story on Stage è stata realizzata nel 2004. Nello
stesso anno, Swayze è apparso in un prequel del film intitolato
Dirty Dancing:Havana Nights nel ruolo di un
istruttore di ballo senza nome. Nel 2017 è uscito sulla
ABC un remake di Dirty Dancing, diretto dal coreografo del
film del 1987, Kenny Ortega. Molti punti della trama dell’originale
sono stati modificati e il finale del remake mostra Johnny e Baby
che si separano anni dopo.
Anche se Swayze è morto nel 2009, è
in
programma un sequel di Dirty Dancing. La Grey
riprenderà il ruolo di Baby. Il film non sarà un remake
dell’originale e non è nemmeno previsto il rifacimento del ruolo di
Johnny con un altro attore. Dirty Dancing 2 uscirà il 9
febbraio 2024 e sarà diretto da Jonathan Levine. Non si sa molto
del sequel di Dirty Dancing, a parte il fatto che si
svolgerà negli anni Novanta. Anche se Grey e Levine riusciranno a
realizzare un sequel solido, non c’è dubbio che il sequel cambierà
il significato del finale del film originale.
L’ambiguità del finale di Dirty
Dancing funziona
Dirty Dancing è in fondo
una storia di crescita con una storia d’amore. Baby impara a tenere
testa al padre e abbandona la sua ingenuità nei confronti del
mondo. Alla fine del film, è pronta a raggiungere i suoi obiettivi
grazie alla ritrovata fiducia che Johnny le infonde. Nel frattempo,
Johnny acquisisce maggiore autostima e non si considera più
inferiore agli ospiti del resort di classe superiore. Altri
personaggi, come il padre di Baby, imparano a mettere in
discussione i loro preconcetti. Il finale di Dirty Dancing
è stato un successo perché gli spettatori vedono i personaggi
cambiare ma non vedono cosa succede dopo che le lezioni sono state
apprese.
Per far sì che una storia di
passaggio di età funzioni al meglio, i personaggi devono essere
messi alla prova e attraversare una metamorfosi che significhi il
loro ingresso nell’età adulta. Anche se non diventano adulti nel
corso del film, maturano psicologicamente e moralmente in un modo
che cambia la loro visione del mondo. Il finale di
Dirty Dancing funziona perché gli
spettatori non hanno bisogno di sapere se Baby e Johnny resteranno
insieme. Non è importante la durata della loro relazione, ma
l’impatto che hanno avuto l’uno sull’altra. L’apertura del finale
permette agli spettatori di credere che i personaggi siano cambiati
in modo permanente e che metteranno in pratica ciò che hanno
imparato senza bisogno di specificarlo.
Siria senza pace, India senz’acqua,
Beirut senza corrente, Sardegna senza lavoro, Palestina senza
futuro. Conflitti da prima pagina o trascurati dai media, narrati
attraverso storie esemplari di persone comuni: il profugo,
l’omosessuale, il detenuto, l’adolescente. Privazioni, lotte,
sofferenze e aspirazioni raccolte in ogni continente. Con 10
lungometraggi e 30 “corti”, scelti tra oltre duemila proposte,
nell’orizzonte del documentario d’autore irrompe Diritti a
Todi – Human Rights International Film
Festival.
Dal 27 ottobre al 1°
novembre proiezioni, spettacoli, convegni, mostre fanno
dell’Umbria (e di uno dei suoi gioielli più noti) uno schermo
speciale per riflettere sui diritti umani e per conoscere la
cinematografia che ne descrive le nuove sfide e i drammi
dimenticati. In luoghi suggestivi, dal Tempio di Santa Maria della
Consolazione alla Sala del Capitano del Popolo, i registi
incontreranno il pubblico, studiosi e organizzazioni impegnate in
prima linea su quella frontiera, nell’arco di sei giornate dense di
appuntamenti e di “première” (una nazionale, una europea e una
mondiale). Alle opere in concorso si affiancano infatti due focus
con titoli provenienti dall’Argentina e dall’Iran, cinque
film-evento italiani e una rassegna presentata dall’Archivio
audiovisivo del movimento operaio e democratico (Aamod), la cui
collaborazione è un altro dei motivi d’orgoglio di questa prima
edizione.
Arrivano dalla Directors Guild le
prime nomination per la stagione dei premi che presto entrerà nel
vivo. L’associazione dei registi americani ha annunciato la
cinquina con la sorpresa David Fincher, regista di Millennium: uomini
che odiano le donne, che presto arriverà anche da noi.
Le tanto attese nomination dei
premi della Directors Guild of America sono state finalmente
annunciate. I premi di categoria dei registi di Hollywood vedono
nominare tra gli altri Christopher Nolan, David Fincher e Darren
Aronofsky.
I premi della categoria dei registi
di Hollywood, è tra le manifestazioni più credibili per anticipare
l’Academy per le nomination agli Oscar tra due settimane.
Ecco i nominati:
* Darren Aronofsky, Black Swan
* David Fincher, The Social Network
* Tom Hooper, The King’s Speech
* Christopher Nolan, Inception
* David O. Russell, The Fighter
Il premio verrà assegnato durante il 63esimo Annual DGA Awards
Dinner sabato 29 gennaio. Da notare l’assenza dei Coen e questo a
noi non dispiace granché.
Con l’annuncio ufficiale che la
Snyder Cut di Justice
League vedrà finalmente la luce il prossimo anno su
HBO Max, sembra proprio che le case di distribuzione – anche se non
sempre – tengano in considerazioni quali siano i desideri e le
aspettative del pubblico. Al momento non possiamo sapere se la
versione del film di Zack
Snyder sarà effettivamente migliore del cinecomic
rimaneggiato da Joss
Whedon e arrivato nelle sale nel 2017. Ad ogni modo,
la questione più spinosa è una soltanto: perché le case di
produzione dovrebbero interferire con la visione di un regista?
Considerando ciò, Screen
Rant ha raccolto 10 potenziali Director’s Cut che meriterebbero
di essere rilasciate:
Suicide Squad
Proprio per il “caso” nato attorno
alla Snyder Cut di Justice
League, negli ultimi tempi si è parlato molto anche di una
possibile Ayer Cut di Suicide
Squad, il cinecomic diretto da David Ayer nel 2016.
Dopo la pessima accoglienza riservata a
Batman v Superman, i dirigenti della Warner Bros. chiesoro
ad Ayer di alleggerire il tono del film.
Nel corso degli anni, lo stesso
regista ha più volte confermate che le riprese aggiuntive del
cinecomic hanno totalmente stravolto la sua versione del film, con
drastici tagli che sono stati operati soprattutto in riferimento
alle scene con protagonista il Joker di
Jared Leto. Chissà che un giorno il regista non riesca a far
vedere ai fan la sua versione del cinecomic, al pari di quanto
accaduto con il film di Zack Snyder.
This Is Spinal Tap
La versione di This Is
Spinal Tap di Rob Reiner non è stata
dovuta a decisioni sbagliate prese dai produttori o alle pressioni
dello studio: si trattava semplicemente di maneggiare tantissimo
materiale e decidere cosa eliminare e cosa no per dare vita ad un
falso documentario che fosse il più coerente possibile.
Presumibilmente, sono state girate
circa 100 ore di riprese per il film, quando il minutaggio finale
ammonta a soli 82 minuti: ciò significa che, da qualche parte,
esiste una montagna di filmati inediti che nessuno ha mai visto. Si
potrebbe pensare ad una sorta di miniserie, dal momento che
This Is Spinal Tap è stato un grande successo,
trasformatosi negli anni in un vero e proprio fenomeno
culturale.
La sottile linea rossa
La sottile linea
rossa di Terrence Malick è un film già perfetto così
com’è, e non ha certamente bisogno di essere migliorato o
“sistemato”. Il film dura quasi tre ore, ma il taglio originale era
presumibilmente di circa cinque ore. Diverse scene non sono entrate
nel film, comprese le performance di attori quali Lukas
Haas, Mickey Rourke e Bill Pullman, oltre alla voce
narrante di Billy Bob Thorton.
Allo stesso modo, i ruoli di
John Travolta, Adrien Brody e Goerge
Clooney sono stati drasticamente ridotti. Stranamente,
tagliare i ruoli è una pratica diventata col tempo un’abitudine
ricorrente di Malick: proprio per questo, La sottile linea
rossa non è l’unico film del regista ad aver subito pesanti
tagli.
Alien 3
A voler essere precisi, esiste già
una sorta di Director’s Cut di Alien
3, nota come “The Assembly Cut”. Tuttavia, David
Fincher non è stato coinvolto nella sua realizzazione,
quindi si tratta più di un “Editor’s Cut” o qualcosa del genere,
con il team del film che ha seguito le note di produzione originali
del regista.
Il film ha avuto un lungo e
tormentato processo di sviluppo dopo Aliens – Scontro
finale: quando è finalmente arrivato nelle mani di David
Fincher (al suo debutto dietro la macchina da presa all’epoca), lo
stesso non ha avuto molto controllo creativo sul film. L’Assembly
Cut non ha ottenuto un grande riscontro da parte del pubblico
rispetto alla versione cinematografica; sicuramente, una Fincher
Cut potrebbe destare maggiore curiosità e interesse.
Breakfast Club
Come accaduto a Rob Reiner, neanche
John Hughes ha avuto particolari problemi durante
la produzione di Breakfast Club, nonostante le
scene girate siano di più del numero effettivamente finito
all’interno del film.
In effetti, il regista ha raccolto
circa un’ora in più di riprese. Apparentemente a Hughes è piaciuto
molto il film, ma forse un taglio più lungo non sarebbe stato
adatto al pubblico; così, ha deciso di tenere la Director’s Cut per
sé. Sappiate, dunque, che esistono diverse sequenze del film che
nessuno ha mai visto.
La cosa
Prequel
dell’omonimo cult di John
Carpenter uscito nel 2011, La cosa è stato pesantemente criticato per
l’uso eccessivo di CGI e per la mancanza di effetti pratici.
Tuttavia, la versione originale del film era stilisticamente
molto più fedele al film originale e vantava anche l’impiego di
effetti pratici. Purtroppo, la Universal ha deciso di intervenire e
ha richiesto la CGI, ordinando anche una sessione di riprese
aggiuntive e cambiando il finale del film.
Babe va in città
George
Miller ha co-sceneggiato l’originale Babe,
maialino coraggioso: quando è arrivato il sequel Babe
va in città, Miller ha preso le redini della regia.
Durante la realizzazione del film, alcune delle tendenze alla “Mad
Max” tipiche del regista potrebbero essersi sviluppate, in quanto
nel film sono presenti degli evidenti tagli, utili probabilmente a
renderlo un prodotto più adatto alle famiglie.
Apparentemente le
scene recise riguardavano alcune battute ritenute di cattivo gusto,
alcune scene molto violente e il personaggio del cattivo
interpretato da Mickey Rooney, che si abbandonava ad una serie di
vizi.
American History X
La storia della produzione di
American History X è piuttosto famosa. Il
regista Tony Kaye era riuscito ad ottenere il
primo taglio sul film attorno ai 95 minuti, con un budget limitato:
all’epoca il regista era molto soddisfatto del suo lavoro, e anche
le proiezioni di prova aveva dato ottimi riscontri.
Sfortunatamente, la New Line Cinema
chiese di aggiungere altre scene al film, allungandolo a circa due
ore. Kaye era furioso e si impegnò in azioni legali: chiese
addirittura che il suo nome fosse rimosso dal film, rifiutandosi di
guardare il prodotto finale e rinnegandolo. Successivamente, il
regista faticò non poco a trovare ingaggi presso altri studios di
Hollywood.
Qualcosa di sinistro sta per
accadere
Tra le produzioni più “oscure” della
Disney, Qualcosa di sinistro sta per accadere del
1983, basato sull’omonimo romanzo di Ray Bradbury, subì una
produzione molto travagliata. Lo stesso Bradbury lavorò alla
sceneggiatura, ma ebbe un litigio con il regista Jack
Clayton a causa di alcune “divergenze creative”. Clayton
era il regista, ma Bradbury era il creatore originale dell’opera:
alla fine, Clayton fu costretto a piegarsi alle richieste dei
dirigenti della Disney e a rendere il film più adatto alle
famiglie, ottenendo però un altro sceneggiatore (non accreditato)
che si occupò di revisionare lo script iniziale.
Nonostante ciò, i dirigenti della
Disney erano ancora scontenti del risultato: ordinarono così una
nuova revisione della sceneggiatura e anche una sessione di riprese
aggiuntive, mettendo da parte Clayton. Quando uscì, il film fu un
grandissimo successo al botteghino, ma sarebbe stato sicuramente un
film molto più complesso se la visione originale fosse stata
rispettata.
Solo: A Star Wars Story
Tra tutti i
film presenti in questa lista, quello che merita un Director’s Cut
più di ogni altro è sicuramente
Solo: A Star Wars Story, inizialmente affidato a
Phil Lord e Chris Miller e poi
portato a compimento da Ron Howard.
Sebbene non tutti i
pezzi del puzzle su ciò che è andato storto siano chiari, è molto
probabile che lo stile di Lord e Miller si sia scontrato con con la
Lucasfilm. Le numerose divergenze hanno fatto sì che i due registi
venissero licenziati dai dirigenti della Disney. Solo è
stato rilasciato nel 2018 ed è stato il primo flop della saga di
Star
Wars. Lord e Miller sono comunque riusciti a riscattarsi,
dal momento che l’altro loro progetto sempre di quell’anno, ossia
Spider-Man:
Un Nuovo Universo, ha vinto l’Oscar come miglior film
d’animazione.
Si è tenuta a Los Angeles la
consueta tavola rotonda tra i registi più quotati di Hollywood in
previsione del season awards del The Hollywood
Reporter. Tra i presenti Angelina Jolie
(“Unbroken“), Christopher Nolan (“Interstellar“), Richard Linklater
(“Boyhood“), Mike Leigh (“Mr. Turner“),
Bennett Miller (“Foxcatcher“) and Morten
Tyldum (“The Imitation Game“), che parlano della loro
esperinza e condivisono paure, desideri e aspirazioni.
In uscita
il 20 gennaio
2022, edito da Bietti,
il libro DIO SALVI LA
REGINA!Elisabetta II
sovrana di iconologia tra fiction e
realtàdi Anna Maria
Pasetti.Un
excursus nell’immaginario audiovisivo
di Elisabetta
II,
da The
Queena The
Crown,da Sorrentino
fino a Peppa
Pig.
Elisabetta II
festeggerà il suo settantesimo anniversario di Regno il 6 febbraio.
Nel corso degli anni, il cinema e le serie televisive, documentari
e fiction, la hanno descritta in innumerevoli modi. Il volume di
Anna Maria Pasetti indaga per l’appunto l’iconologia audiovisiva
legata a Elisabetta II, che merita attenzione per la sua valenza di
Segno, unico e irripetibile, capace di legare Icona e Simbolo
dentro a un Corpo eccezionale, in grado di vivere e trascendere il
Tempo in un gesto.
“Non è necessario
essere monarchici per abituarsi all’icona della Regina. Il tempo e
il mondo ruotano vorticosamente come tifoni tropicali: tutto è
mutevole, proprio tutto. Tranne lei,
Elisabetta”. Così la descrisse
il regista Roger
Michell, scomparso poco
prima di vedere la Regina omaggiata nel suo
documentario Elizabeth, probabilmente il
definitivo sulla sovrana britannica, e dunque meritevole di
troneggiare in testa a questo
volume.
A corollario, una
conversazione con il regista Stephen
Frears, che disserta sulla
figura della sovrana in una intervista esclusiva con
l’autrice.
DIO SALVI LA
REGINA! edito
da Bietti per la collana
digitale Fotogrammi, è stato realizzato
in collaborazione con l’Associazione
Culturale Red Shoes.
{La
collana digitale FOTOGRAMMI è disponibile in formato ePub a 1,99
euro sul sito Bietti.it; e su Amazon in formato Kindle a 2,69 euro
e in formato cartaceo a 4,99 euro}
Anna Maria
Pasetti, milanese, critica e
giornalista cinematografica, collabora
con ≪Il Fatto
Quotidiano≫ e altre
testate. Ha scritto per ≪Alias≫, ≪Ciak≫, ≪Rolling
Stone≫. Laureata in lingue
con tesi in Semiotica del cinema all’Universita Cattolica di
Milano, ha conseguito un MA in Film&Television Studies
al Birkbeck
College di Londra. È stata
selezionatrice per la Settimana internazionale della Critica
della Mostra del Cinema
di Venezia, per il concorso
del festival Sguardi
Altrove sul cinema al
femminile. Nel 2018 ha fondato l’associazione
culturale Red
Shoes.
Red
Shoes è un’associazione
culturale che si prefigge di guardare alla cultura cinematografica
britannica esaltandone i segni di (apparente) contraddizione che ne
determinano bellezza ed autenticità. Il tutto considerando il
cinema di passato, presente e “possibili futuri” in un duplice
rapporto: quello con le altre espressioni creative, e quello con
l’Italia, Paese tradizionalmente amato dai
sud-
diti di Sua Maestà. Un ponte virtuale e virtuoso atto a
connettere, che si (im)pone in netto contrasto con la proclamazione
della Brexit.