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Can You Keep a Secret?, Alexandra Daddario presenta il film alla Festa del Cinema #RomaFF14

L’attrice Alexandra Daddario, celebre per i suoi ruoli in True Detective e Baywatch, porta alla Festa del Cinema di Roma il suo nuovo film da protagonista, e di cui è anche produttrice. Can You Keep a Secret? è diretto dalla regista Elise Duran, ed è tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice Sophie Kinsella, già autrice del libro da cui è stato tratto il film I Love Shopping.

La trama del nuovo film verte intorno ad Emma, interpretata dalla Daddario, la quale lavora come assistente marketing per un’importante azienda. Durante un viaggio, l’aereo sul quale stava viaggiando rischia di precipitare e, senza rendersene conto, Emma inizia a raccontare tutti i suoi segreti all’uomo che le è seduto accanto. Quell’uomo, poi, si rivelerà essere il suo capo, Jack Harper, fondatore dell’azienda.

“Ho deciso di partecipare al progetto, – esordisce l’attrice in conferenza stampa – perché leggendo il libro vi ho trovato dentro tanta dolcezza ed un messaggio di fondo che mi ha affascinato.”

L’attrice passa poi a parlare della sua esperienza di produttrice, in un film da lei molto sostenuto. “Desideravo inoltre da tempo partecipare come produttrice ad un film incentrato sul femminile, poter dare il mio contributo. Questo si è verificato sia davanti che dietro la macchina da presa, dalla regia alla scrittura e fino alle interpretazioni. La storia è incentrata su donne forti, in posizioni di vero potere, e ognuna di loro sa cosa vuole e come conquistarlo.”

“Alexandra e gli altri produttori hanno amato da subito il libro, – afferma invece la scrittrice del romanzo – e desideravano trasportarlo così com’era. L’abilità è stata quella di averlo reso contemporaneo, apportando modifiche ma rimendovi fedeli. Perché i suoi contenuti sono universali, con un cuore e problemi che riguardano ognuno di noi.”

La parola passa poi alla regista del film, che rivela di come sia stata “una grande responsabilità mettere mano ad un’opera così popolare. Ammetto di averla vissuta anche come un peso in alcuni momenti, ma grazie a dei collaboratori fantastici tutto è andato per il verso giusto, e spero di essere riuscita a conservare lo spirito intrinseco del romanzo.”

La parola torna poi ad Alexandra Daddario, che ripercorre brevemente la sua carriera fino a qui, divisa tra cinema e televisione. “Da quando ho iniziato a recitare ad oggi, cinema e TV sono evoluti molto, la stessa Hollywood è evoluta parecchio, e oggi le differenze tra le due forme di intrattenimento sembrano essersi annullate. In generale è cambiato il modo di consumare i prodotti. Personalmente non ho mai vissuto lo stigma di essere un’attrice di TV piuttosto che di cinema, e penso che sia così un po’ per tutti oggi. Si passa tranquillamente dall’uno all’altro mezzo. Inoltre oggi vengono realizzate serie davvero fantastiche, che sono quasi come devi veri e propri film, solo molto più lunghi. C’è la possibilità di fruire in modo nuovo di queste, e tutto ciò ha aperto le porte a numerose nuove voci e personalità, permettendolo loro di inserirsi nel settore. Questo mi sembra dunque un periodo di grandi opportunità per tutti.”

 

“Credo nella ridondanza del presente”, Hirokazu Kore’eda arriva alla Festa del Cinema #RomaFF14

Si presenta silenziosamente e a capo chino il regista giapponese Hirokazu Kore’eda, protagonista di uno degli incontri ravvicinati della Festa del Cinema di Roma. Nonostante l’umiltà con cui si mostra al pubblico, Kore’eda è tra i più premiati e apprezzati cineasti oggi in attività. Con premi ricevuti a importanti festival come quelli di Venezia e Cannes, dove ha vinto la Palma d’Oro per Un affare di famiglia, il regista è attualmente in sala con il suo ultimo film, Le verità, con protagoniste Catherine Deneuve e Juliette Binoche.

Per inaugurare l’incontro il regista racconta di come si sia avvicinato al cinema, avendo lui intrapreso la sua carriera inizialmente nel mondo della televisione. “Dopo aver realizzato alcuni prodotti mi ero reso conto di esserne già stufo. Tutto andava fatto con tempistiche molto frenetiche, e questo semplicemente non era un lavoro adatto a me. Ho così iniziato a girare miei documentari, dove potevo gestire io la macchina da presa, potevo prendere il tempo di cui avevo bisogno e approfondire ciò che desideravo. Nonostante ciò non smisi mai di continuare a scrivere mie sceneggiature, e alla fine mi sono deciso a debuttare con una di queste al cinema, tornando al genere di fiction.”

Nel corso dell’incontro, durato circa due ore, sono state mostrate clip tratte dai più celebri film del maestro, raggruppate tuttavia per ordine tematico. Il primo di questi è stato riguardo il grande lavoro svolto dal regista, in quasi tutti i suoi film, con i bambini protagonisti. “Riprendere i bambini è un’attività indubbiamente complessa, ma altrettanto interessante. Di solito i bambini che scelgo per i miei film non hanno esperienze recitative, il che è un bene perché gli permette di essere naturali, non costruiti. Per aiutarli inoltre non li pongo al confronto con attori adulti protagonisti, perché il divario genererebbe soltanto stress. Quindi spesso prediligo attori senza o con poca esperienza davanti la camera. Inoltre raramente fornisco il copione ai bambini, perché per esperienza risultano più spontanei se sanno cosa fare solo poco prima di doverlo fare.”

Il secondo gruppo tematico riguarda invece i concetti di dolore, morte ed elaborazione del lutto, presenti sotto varie sfumature in tutta la filmografia del regista. “Si dice che nel momento in cui moriamo, si rivede tutta la nostra vita impressa su pellicola cinematografica, come un grande flashback che ci scorre davanti agli occhi. Non so se questo sia vero, però l’idea di riproporre questo concetto è certamente alla base di questa mia volontà di indagine sulla morte.”

“Per parlare di ciò tuttavia non mi rivolgo mai ai flashback. Io credo nella ridondanza del presente, nella persistenza del passato e nell’imminenza del futuro. Nei miei film ciò che è stato doloroso è già passato, non accade sullo schermo. Il dolore nei miei film appartiene al passato, esiste al di fuori del frammento di narrazione su cui mi concentro. Il fondo e la cima dell’emotività stanno al di fuori della pellicola, e mi concentro invece sul ritrarre ciò che è al centro di questa triplice spartizione, è questo che mi interessa.

Il terzo blocco è invece legato al concetto di tempo, che Kore’eda sembra rimutuare dalla tradizione cinematografica giapponese precedente, in particolare da Yasujirō Ozu. “Più volte mi è stato fatto notare che il tempo nei miei film è trattato in modo simile a quello nei film di Ozu, e la risposta più precisa che mi è stata data è riguardo il modo in cui scorre il tempo. Non c’è una linearità, ma una circolarità, e penso sia vero. Il punto di arrivo dei miei film è di poco distante dal punto di partenza, dopo aver compiuto tuttavia un viaggio intorno a questo.

oscar 2019 Hirokazu Kore-eda Un affare di famiglia

Al regista viene poi chiesto di parlare della sua prima esperienza regista al di fuori del Giappone, avvenuta con il film Le Verità, presentato proprio all’ultima edizione del Festival di Venezia. “Per quanto riguarda il set e il mio modo di gestire la regia, posso dire che non ci sono state grandi differenze con quanto avevo fatto già in Giappone. Anche in questo caso ho osservato gli attori, e sulla base di quanto loro fanno decido se apportare o meno modifiche alla sceneggiatura. È stato un set dove tutti noi imparavamo le cose direttamente sul posto. Molte cose le capivamo, percepivamo soltanto lì. La differenza di approccio è stata che in un momento difficile i giapponesi tacciono, mentre gli europei tendono più a scontrarsi. E a questo ho fatto attenzione  mentre scrivevo il copione.”

Per concludere l’incontro, il regista dedica un pensiero all’attrice Kirin Kiki, protagonista di numerosi suoi film e scomparsa nel settembre del 2018. “Quando abbiamo girato Un affare di famiglia stava piuttosto bene, non mi aspettavo assolutamente che sarebbe morta così all’improvviso. C’è una cosa in particolare che ricordo di lei in quel film. Quando abbiamo girato la scena sulla spiaggia, io ho ripreso il suo volto di profilo mentre guardava la famiglia. In sala di montaggio mi sono reso conto che lei stava muovendo leggermente la bocca. Guardando molto attentamente mi sono reso conto che stava dicendo “grazie”.”

“Non era una battuta presente nella sceneggiatura, – continua Kore’eda – ma lei la pronunciò lo stesso. Nel film ci sono tante cose che rimangono non dette, lasciate in sospeso, e lei ha capito perfettamente ciò, sottolineando questa cosa con il suo silenzioso “grazie”. È un contributo splendido, un regalo meraviglioso che lei ha fatto sia nei confronti dell’opera sia nei miei, e le sono eternamente grato.”

 

Trieste Science+Fiction Festival: Brian Yuzna tra gli ospiti

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Trieste Science+Fiction Festival: Brian Yuzna tra gli ospiti

Trieste Science+Fiction Festival, in programma dal 29 ottobre al 3 novembre nel capoluogo giuliano, annuncia la presenza di Brian Yuzna, autore di pellicole cult del cinema fanta-horror degli anni ‘80/’90, tra cui “Society – The Horror” (1989), “Re-Animator 2” (1989) e “The Dentist” (1996).

Il cineasta sarà presente alla manifestazione in veste di Presidente della giuria del Premio Asteroide, riconoscimento internazionale che ogni anno il festival dedica al miglior film di science-fiction e fantasy in concorso. Il Premio Asteroide è riservato alle opere di registi emergenti.

Regista, scrittore e produttore, Brian Yuzna è nato nelle Filippine, ma è cresciuto in Nicaragua, Puerto Rico e Panama, prima di stabilirsi negli Stati Uniti negli anni ’80. La maggior parte del suo lavoro si concentra nel genere horror, ma ha anche fatto incursioni nella fantascienza. Come il suo amico e collega Stuart Gordon, Yuzna è un fan appassionato di H.P. Lovecraft e ha adattato per le schermo molte storie dello scrittore di Providence. Autore di pellicole horror-splatter amatissime dal pubblico e che hanno fatto la storia del cinema, Yuzna è un cineasta poliedrico, originale e incisivo. 

Al Trieste Science+Fiction Yuzna festeggerà i primi 30 anni di “Society – The Horror” (1989), che per l’occasione verrà proiettato in versione restaurata alla presenza del regista. Feroce metafora in salsa splatter sulla borghesia snob americana, “Society” è il fulminante esordio alla regia di Yuzna, nonché uno dei migliori horror sociopolitici dell’epoca.

19° EDIZIONE DEL TRIESTE SCIENCE+FICTION FESTIVAL

Trieste Science+Fiction Festival è il più importante evento italiano dedicato ai mondi della fantascienza e del fantastico. Cinema, televisione, new media, letteratura, fumetti, musica, arti visive e performative compongono l’esplorazione delle meraviglie del possibile. Fondato a Trieste nell’anno 2000 ha raccolto l’eredità dello storico Festival Internazionale del Film di Fantascienza di Trieste svoltosi dal 1963 al 1982, la prima manifestazione dedicata al cinema di genere in Italia e tra le prime in Europa.

La selezione ufficiale del Trieste Science+Fiction Festival presenta tre concorsi internazionali: il Premio Asteroide, competizione internazionale per il miglior film di fantascienza di registi emergenti a livello mondiale, e i due Premi Méliès d’argento della European Fantastic Film Festivals Federation per il miglior lungometraggio e cortometraggio di genere fantastico europeo. La sezione Spazio Italia ospita il meglio della produzione nazionale. Immancabili, infine, gli Incontri di Futurologia dedicati alla scienza e alla letteratura, in collaborazione con le istituzioni scientifiche del Sistema Trieste, e la consegna del premio alla carriera ad un maestro del fantastico.

Trieste Science+Fiction Festival è organizzato da La Cappella Underground, storico cineclub triestino fondato nel 1969. La manifestazione si avvale del contributo, collaborazione e sostegno dei seguenti enti promotori: MiBAC – Direzione Generale Cinema, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Comune di Trieste, Fondazione CRTrieste, Fondazione Benefica Kathleen Foreman Casali, ARPA FVG LaREA, Università degli Studi di Trieste, e dei principali enti scientifici del territorio, AREA Science Park, ICGEB, ICTP, INAF – Osservatorio Astronomico di Trieste, IS Immaginario Scientifico – Science Centre, SISSA.

Trieste Science+Fiction Festival è membro ufficiale del board della European Fantastic Film Festivals Federation e fa parte dell’AFIC – Associazione Festival Italiani di Cinema. Il Festival è riconosciuto dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia tra i progetti triennali di rilevanza regionale di interesse internazionale in campo cinematografico. La manifestazione si avvale del patrocinio dei principali enti scientifici del territorio e partecipa al programma proESOF in vista di ESOF2020 – Euroscience Open Forum Trieste. 

Nomad: In the Footsteps of Bruce di Werner Herzog alla Festa del cinema

Alle 22.30, nella stessa sala, si terrà la proiezione di Nomad: In the Footsteps of Bruce Chatwin di Werner Herzog. Con il suo nuovo film, il visionario regista offre il ritratto di uno degli scrittori più carismatici del ’900.

In Nomad: In the Footsteps of Bruce Chatwin  quando Chatwin stava morendo, mandò a chiamare il suo amico Werner Herzog, chiedendogli di vedere il suo recente film sulle tribù del Sahara, e in cambio, come regalo d’addio, gli donò lo zaino che aveva portato con sé nei suoi viaggi per il mondo. Trent’anni dopo, prendendo con sé lo zaino di Chatwin, Herzog compie un viaggio ispirato dalla loro comune passione per la vita nomade, lungo il quale incrocia storie di dinosauri, tribù perdute, tradizioni aborigene, viandanti e sognatori. Dalla Patagonia, al Galles, fino all’Australia, il viaggio setaccia l’irrequietezza e l’erranza umane.

NOTE DI REGIA Bruce Chatwin era uno scrittore come nessun altro. Ha trasformato storie mitiche in viaggi della mente. Eravamo spiriti affini, lui come scrittore, io come regista. Volevo fare un film che non fosse una biografia tradizionale, ma una serie di incontri ispirati ai viaggi e alle idee di Bruce.
 Werner Herzog
 Louis Caulfield, Mike Paterson
 Marco Capalbo
 Ernst Reijseger
 Lucki Stipetic, Steve O’Hagan
 BBC Studios
 Sideways Film

Festa del cinema di Roma: il grande giorni di The Irishman

Festa del cinema di Roma: il grande giorni di The Irishman

La quattordicesima edizione della Festa del Cinema di Roma ospiterà domani, lunedì 21 ottobre, il nuovo attesissimo film di Martin Scorsese, The Irishman, che sarà proiettato alle ore 19.30 presso la Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica.

Con The Irishman il maestro statunitense porta sul grande schermo un’epica saga sulla criminalità organizzata nell’America del dopoguerra: la storia è raccontata attraverso gli occhi di Frank Sheeran, veterano della Seconda Guerra Mondiale, imbroglione e sicario che ha lavorato al fianco di alcune delle figure più importanti del XX secolo.

Il film è tratto dall’omonimo libro di Charles Brandt, racconta, nel corso dei decenni, uno dei più grandi misteri irrisolti della storia statunitense, la scomparsa del leggendario sindacalista Jimmy Hoffa, in uno straordinario viaggio attraverso i segreti del crimine organizzato, i suoi meccanismi interni, le rivalità e le connessioni con la politica tradizionale.

Protagonisti della pellicola, Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci, in un’epica saga sulla criminalità organizzata nell’America del dopoguerra. La pellicola è l’adattamento cinematografico del libro L’irlandese. Ho ucciso Jimmy Hoffa (I Heard You Paint Houses) scritto da Charles Brandt, basato sulla vita di Frank Sheeran.

Leggi anche: Guillermo Del Toro scrive un elogio di The Irishman in 13 tweet

The Irishman, il film

Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci sono i protagonisti di The Irishman di Martin Scorsese, un’epica saga sulla criminalità organizzata nell’America del dopoguerra, raccontata attraverso gli occhi del veterano della Seconda Guerra Mondiale, Frank Sheeran – imbroglione e sicario – che ha lavorato al fianco di alcune delle figure più importanti del 20° secolo. Il film racconta, nel corso dei decenni, uno dei più grandi misteri irrisolti della storia americana, la scomparsa del leggendario sindacalista Jimmy Hoffa, e ci accompagna in uno straordinario viaggio attraverso i segreti del crimine organizzato: i suoi meccanismi interni, le rivalità e le connessioni con la politica tradizionale.

Guarda anche: The Irishman: trailer ufficiale del film di Martin Scorsese

Bellissime: intervista alla regista Elisa Amoruso #RomaFF14

Bellissime: intervista alla regista Elisa Amoruso #RomaFF14

In occasione della presentazione ad Alice nella Città del suo nuovo documentario, Bellissime, Elisa Amoruso ha risposto alle nostre domande sul film tratto dall’omonimo libro di Flavia Piccinni.

Quattro esperienze straordinariamente emblematiche in una indagine su quale sia l’impatto, nella vita di un bambino, della fama, dei riflettori, della visibilità esibiti dalle riviste e dalla pubblicità. Un unico nucleo familiare, unito e protetto dal culto della bellezza.

Distribuito da Fandango, il film arriverà in sala a metà novembre e poi sarà disponibile su TimVision dal mese successivo.

Bellissime, recensione del documentario di Elisa Amoruso

The Farewell, recensione del film di Lulu Wang #RomaFF14

The Farewell, recensione del film di Lulu Wang #RomaFF14

Tornare in un paese che non si riconosce come casa e dover fingere che lo sia per il bene degli altri, soprattutto per quella nonna a cui è stato diagnosticato un cancro inoperabile ai polmoni. La famiglia le ha raccontato una grossa bugia “buona”, e se è vero, come dice qualcuno, che è la paura ad uccidere e non la malattia, meglio nascondere la verità. Billi, trentenne nata in Cina ma trasferitasi da piccola a New York insieme ai genitori, è troppo “americana” ed emotivamente trasparente per fare visita alla sua amata Nai Nai, un pesce fuori dall’acqua della cultura del dolore che tutti vogliono evitare, a noi stessi, prima che a chi ci sta vicino; l’ordine di importanza cambia da persona a persona, di generazione in generazione, ed è ciò che mostra con un senso del raffinato, una mentalità aperta e un gran cuore Lulu Wang in The Farewell.

Un film splendido e ispirato (anche dalle esperienze reali della regista) su attori che recitano una parte e personaggi che recitano a loro volta un ruolo per la nonna. La vita come spettacolo, i luoghi della famiglia come palcoscenico dell’umanità, sono immagini di una storia che ha il potere disarmante di tirar fuori l’umorismo dai momenti drammatici e viceversa (tenete a mente la scena dell’orecchino scomparso e del commovente monologo di Awkwafina che ne segue).

The Farewell, un viaggio per dirsi addio

Ma quello della Wang è soprattutto il tentativo, riuscito, di fondere il concetto di famiglia e collettività e dello stare assieme tipico della cultura asiatica con la caratteristica più evidente della cultura occidentale, ovvero la totale assenza di empatia, di voglia di riunirsi intorno alla stessa tavola e di condividere, pure arbitrariamente, gioie e dolori. Per questo motivo The Farewell riesce a essere personale e culturalmente specifico ma anche universale, esplorando le differenze continentali e generazionali senza pronunciarsi troppo o giudicare, guardando la realtà da ogni prospettiva, e mostrando cosa accade nell’interiorità dei protagonisti e come l’emozione si riflette all’esterno.

Ecco perché nella messa in scena intervengono inquadrature molto ampie e statiche, un escamotage che permette allo sguardo di intercettare tutti i dettagli e di creare un vero e proprio paesaggio di volti; i personaggi vivono dentro una cornice, all’interno della quale lo spettatore vede l’unità familiare scontrarsi con l’individuo e uscire fuori, e quando succede chi rimane da sola è Billi, alter ego della regista interpretata da Awkwafina (bravissima ad enfatizzare l’inconfondibile personalità americana), in silenzio mentre contempla la loro assenza.

Una “buona” bugia

Forse il viaggio della ragazza in Cina non simboleggia soltanto l’addio a Nai Nai, ma rappresenta un’occasione per riconnettersi con quel paese che si è lasciata alle spalle, il ricordo di un quartiere che una volta era ricoperto di verde e dove poteva rincorrere le libellule, ora irriconoscibile perché sovrastato da grattacieli di venti piani (da fare a piedi, e che fatica arrivare in alto), tanto vivo quanto sfumato. Immaginare una “casa” che non c’è più può diventare triste, e al tempo stesso innescare una serie di meccanismi romantici patinati, pericolosamente vicini ai cliché; ma non è a questo mondo che si riferisce Lulu Wang, attaccata invece alla memoria e alla bellezza formale e sentimentale che una buona bugia sa imbastire sullo schermo e nella vita.

Le Kardashian, da domani su Sky Uno

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Le Kardashian, da domani su Sky Uno

Il reality show di culto che è diventato un fenomeno di costume negli Stati Uniti, dando vita a innumerevoli spin-off, arriva anche in Italia: da domani su SkyLE KARDASHIAN”, lo show che segue la vita di una delle famiglie più high-profile di Hollywood.

Creatore e produttore esecutivo della serie è Ryan Seacrest (conduttore di American Idol e co-conduttore di LIVE with Kelly and Ryan). Le star dello show sono le sorelle Kourtney Kardashian, Kim Kardashian West e Khloé Kardashian, insieme alle sorellastre Kendall e Kylie Jenner e alla loro “Momager” Kris Jenner. Kris, Kim, Kourtney e Khloé sono anche produttrici esecutive della serie.

Dal 2007 il reality segue gli alti e i bassi delle loro vite personali e professionali, i matrimoni e le rotture, le nascite dei loro figli, tensioni familiari e momenti felici. Uno sguardo senza filtri nelle loro vite che è il segreto del loro impero mediatico. Le cinque sorelle sono diventate celebrities, trendsetter, influencer, imprenditrici con le loro linee di moda o di cosmetica, regine assolute del jet set internazionale. Insieme raccolgono un totale di quasi 600 milioni di followers su Instagram, 170 milioni su Twitter e 100 milioni su Facebook.

Giunto alla 17° stagione negli Stati Uniti, in Italia si comincia dalla 13. “Le Kardashian” è da domani, 21 ottobre, tutti i giorni dal lunedì al venerdì, alle 18:45 su Sky Uno(canale 108, digitale terrestre canale 455). Disponibile on demand, visibile su Sky Go – su smartphone, tablet e PC, anche in viaggio nei Paesi dell’Unione Europea – e in streaming su NOW TV.

“LE KARDASHIAN” È IN ONDA A PARTIRE DAL 21 OTTOBRE DAL LUNEDÌ AL VENERDÌ ALLE 18:45 SU SKY UNO (CANALE 108, DIGITALE TERRESTRE CANALE 455), SEMPRE DISPONIBILE ON DEMAND, VISIBILE SU SKY GO – SU SMARTPHONE, TABLET E PC, ANCHE IN VIAGGIO NEI PAESI DELL’UNIONE EUROPEA – E IN STREAMING SU NOW TV.

Francis Ford Coppola dalla parte di Scorsese: “I cinecomic Marvel sono spregevoli”

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Francis Ford Coppola si unisce alla querelle che vede “schierato” Martin Scorsese contro i cinecomic della Marvel. Il regista di Apocalypse Now ha supportato le dichiarazioni del collega ed amico.

“Quando Martin Scorsese dice che i film Marvel non sono cinema, ha ragione, perché ci aspettiamo di imparare qualcosa dal cinema – ha spiegato Coppola – Ci aspettiamo di ottenere qualcosa che sia illuminazione, conoscenza, ispirazione. Non vedo in che modo qualcuno possa ottenere qualcosa guardando e riguardando sempre lo stesso film. Martin è stato anche gentile quando ha detto che non è cinema. Non ha detto che sono spregevoli e lo dico io”. Chiude, in maniera chiaramente provocatoria.

Francis Ford Coppola vs cinecomic, dalla parte di Scorsese

A chiusura del suo intervento, a Lione, dove è stato insignito di un riconoscimento per il suo contributo al cinema, Coppola ha dichiarato di essere al lavoro sul suo progetto più impegnativo, Megalopolis, che ha in cantiere da circa vent’anni.

“Vorrei fare un film sull’espressione umana di quello che è il paradiso in terra – ha detto – Direi che si tratta del mio film più ambizioso al quale ho lavorato, più di Apocalypse Now. Credo che costerebbe più di Apocalypse Now”.

Chissà cosa ne pensano i vertici Marvel Studios di questa posizione così decisa di Francis Ford Coppola nei confronti del genere cinema che ha guadagnato di più nel corso degli ultimi dieci anni.

Willow: recensione del film di Milcho Manchevski #RomaFF14

Willow: recensione del film di Milcho Manchevski #RomaFF14

Celebre per il suo Prima della pioggia, Leone d’Oro alla 51ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il regista macedone Micho Manchevski presenta ora alla Festa del Cinema di Roma il suo nuovo film, intitolato Willow. Girato tra la Macedonia del Nord e l’Ungheria, la pellicola è suddivisa in tre storie, ognuna delle quali con protagonista una donna. Tre storie agrodolci che esplorano i temi dell’amore, della fiducia e della maternità.

La prima di queste è ambientata nel Medioevo, dove un’anziana donna si offre di aiutare una giovane coppia che non riesce a concepire. In cambio chiederà tuttavia il loro primogenito. Nelle due storie successive, ambientate in epoca contemporanea, si affronteranno invece le questioni riguardanti la fecondazione assistita e l’interruzione della gravidanza, il tutto attraverso gli occhi di due sorelle.

Willow, il desiderio di maternità

“Willow” è il termine inglese per la pianta salice, il cui significato più comune è quello di dolore e lacrime. Non a caso, dunque, è un elemento così ricorrente all’interno del film. Questo attraversa le storie messe in scena nel film, le congiunge spazialmente e tematicamente. E numerosi oltre a questo sono i richiami presenti tra i tre episodi, oggetti o avvenimenti che ritornano e si ripresentano sotto differenti declinazioni, ma tutti mirati a narrare della medisima cosa, ovvero del desiderio di maternità, di come questo germogli e si sviluppi, di cosa renda davvero “madri”.

Si parte da un primo episodio ambientato in un indefinito periodo medievale, dove si parla di maledizioni, rituali da eseguire e forte devozione nel divino. Un episodio visivamente affascinante, che cattura inizialmente per i suoi spazi e per i sentimenti primordiali che animano i personaggi, capaci di macchiarsi di terribili peccati pur di preservare ciò amano. Da qui si viene bruscamente catapultati per le strade di una città di oggi, dove quei peccati sembrano ricadere sui discendenti di chi li ha commessi. Sono cambiati i tempi, ma il desiderio di maternità rimane invariato, costretto tuttavia ad affrontare nuove sfide.

Ed è finalmente qui, con il secondo e terzo episodio che il regista può spalancare le porte allo spettatore, permettendogli di entrare nel suo mondo. Di scontrarsi con le vite apparentemente normali di due donne, le quali portano tuttavia su di loro i segni di quell’antico peccato, costrette a vivere le incertezze date dal complesso mondo della fertilità oggi.

Il regista cerca allora di raffigurare nella maniera più semplice e fedele possibile i drammi di chi si trova a vivere una tale situazione, e lo fa mettendosi al servizio della storia, senza forzare la mano dell’autore ma lasciando che siano i personaggi a lasciar trasparire la storia. Il risultato è uno struggente ritratto che scava alle radici del desiderio di essere madre, portando alla luce una verità rintracciabile anche nel tematicamente simile Un affare di famiglia, il film del regista giapponese Hirokazu Kore’eda vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes 2018.

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Willow: cosa fa di una donna una madre?

Pur trattando temi attuali come la fecondazione assistita, l’aborto, l’adozione e quant’altro sia legato al fragile mondo della maternità, il film si concede il piacere di non apportare un giudizio morale a tutto ciò. Al contrario sempre più appare chiaro quello che sembra essere il cuore del film, racchiuso nell’ultimo breve ma intenso episodio del film. Il regista compie un lungo percorso per arrivarvi, talvolta rischiando di depistare lo spettatore, ma arriva infine a porre, senza pronunciarla esplicitamente, la domanda su cosa faccia di una donna una madre. È sufficiente avere un figlio per diventare tale? La risposta sembrerebbe negativa, ed è tutt’altro che scontata.

Quella che appare come l’unica vera madre del film è anche l’unica che non lo è di sangue. L’essere madre allora sembra derivare non esclusivamente dall’atto di generare, ma anche dal rapporto che si costruisce con il proprio figlio. Dal dolore e dagli affanni, dalle preoccupazioni e dai sacrifici che si compiono in suo nome. È proprio per questo che nel chiudersi con un campo e controcampo del sorriso reciproco di madre e figlio, il film trova un suo compimento naturale, ed emotivamente toccante.

Michelle Dockery incanta la Festa del Cinema di Roma in Valentino

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Il grande pubblico la conosce come Lady Mary, l’aristocratica snob, figlia primogenita di Lord Grantham, nella serie Downton Abbey. E proprio per presentare il film, tratto dalla serie, che l’attrice inglese Michelle Dockery è arrivata a Roma, alla Festa del Cinema, in compagnia di Jim Carter e Imelda Staunton, anche loro nel cast del film scritto da Julian Fellows, ideatore della serie.

Bella proprio come Lady Mary, ma nient’affatto snob, la Dockery ha incantato il pubblico dell’Auditorium con grazia e simpatia, indossando un magnifico Valentino floreale. Ecco gli scatti dal red carpet:

Downton Abbey, recensione del film con Michelle Dockery

Bill Murray premiato alla Festa del Cinema di Roma tra ritardi e polemiche #RomaFF14

Meriti il premio anche solo per essere te stesso. Sei un attore straordinario, potresti fare qualsiasi cosa caro Bill motherfucker Murray”. Jim Jarmush sintetizza in poche parole l’amico e interprete dei suoi Coffee and Sigarettes, Broken Flowers e I morti non muoiono premiato ieri alla Festa del Cinema di Roma nientemeno che da Wes Anderson in persona. Sul palco, insieme al regista che l’ha diretto nove volte, è intervenuta anche Frances McDormand (“Sono qui per te, Bill, perché tu ci sei sempre stato per me”), corsa ad abbracciare Murray tra lo stupore del pubblico in quella che verrà ricordata come una delle serate più anarchiche e fuori controllo della manifestazione romana.

Il pubblico borbotta per il ritardo (40 minuti) e la mancata traduzione degli ospiti, Murray gigioneggia come sempre e Anderson conduce l’incontro raccontando aneddoti divertenti sulla lavorazione di Rushmore, Le avventure acquatiche di Steve Zissou e Moonrise Kingdom, passando in rassegna una carriera inaugurata nel 1979 da Polpette di Ivan Reitman: “Ricordo che all’epoca Ivan era preoccupato per il risultato finale…ci disse che in caso l’avremmo fatto vedere ai turchi. Fortunatamente funzionò al botteghino, ma la sera ero così stanco che mi mettevo un disco e mi addormentavo prima dell’ultimo brano”, dice la star a proposito della sua prima collaborazione con l’autore di Ghostbusters.

Ancora sul rapporto con Anderson l’attore spiega che “Una volta Wes mi spiegava i personaggi che avrei interpretato. Ora non più. Semplicemente ci sediamo a prendere un aperitivo, ci guardiamo e pensiamo o di ordinarne un altro o di parlare del film. L’ultima volta che mi hanno dato una sceneggiatura mi hanno chiesto se volevo incontrare il regista…Ho risposto solo no“. C’è tempo per ricordare colui a cui deve il successo, John Belushi, e i registi che più hanno “fondato” l’ultima parte della carriera, Sofia Coppola e Jim Jarmusch.

La cerimonia si chiude nel segno dei messaggi sociali, con Murray che invita i romani a “prendersi cura della città, costruita grazie al lavoro degli altri nell’antichità e da quelli che sono venuti prima. Oggi non vi resta che amarla e io mi sento oggi così, come loro, rispetto al cinema”.

Downton Abbey: recensione del film #RomaFF14

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Downton Abbey: recensione del film #RomaFF14

In una stanza di Buckingham Palace, una mano verga una missiva, è diretta a Downton Abbey, a Casa Crawley, dove il conte e la contessa di Grantham verranno informati che il Re e la Regina intendono passare una notte nella grande casa.

È questo l’innesco che dà il via a Downton Abbey – il Film, il ritorno, dopo tre anni, della serie ideata e scritta da Julian Fellows che ci catapulta nel mondo dell’aristocrazia inglese di campagna all’inizio del nuovo secolo, mentre il mondo nobiliare sta scomparendo in favore di quello borghese nel post Prima Guerra Mondiale. È il 1927 e la modernità irrompe nella grande casa sotto forma di elettrodomestici, di cameriere repubblicane e di maggiordomi omosessuali. E mentre si diffonde la notizia della visita reale, sia upstair trai padroni che downstairs tra la servitù serpeggia l’eccitazione per l’importante avvenimento a Downton Abbey.

Tanta ironia per Lady Violet

Alla regia c’è Michael Engler, che aveva già firmato l’ultimo Christmas Special e alcune delle puntate conclusive dell’ultima stagione, mentre alla sceneggiatura sempre l’affilatissima penna di Fellows, che per questo passaggio al grande schermo conferma una grandissima ironia, affidata principalmente al personaggio di Lady Violet, ma anche la sopraffina capacità di introdurre personaggi e sottotrame che portano tutte ad una quadratura del cerchio, nonostante la giostra emotiva che si attraversa per arrivarci.

Questa esperienza cinematografica è una sorta di speciale di Natale, per struttura e durata, ma anche un proseguimento della serie. Chi non ha mai visto lo show può godere della bellissima scrittura, dei costumi, delle location e degli interpreti, in un divertissement di due ore. Ma chi ha visto la serie e arriva alla visione preparato, può godere della trasformazione e del compimento di ogni personaggio, soprattutto alla luce di quello che è stato il suo percorso nel corse dei sei anni di serie.

Il compimento dei protagonisti di Downton Abbey

Vediamo dunque una Anna risoluta e trascinatrice, un Mr. Bates sorridente, una Lady Edith, ora marchesa, consapevole di se stessa e che sfoggia una femminilità sempre mortificata, un Lord Grantham serenamente arreso al progresso, un Tom Branson finalmente pronto a proseguire con la sua vita, pacificato con se stesso. Il ritorno a Downton Abbey, dunque, è sì un nostalgico tour per i fan, ma anche un valido prodotto cinematografico che delizia lo spirito e concede calde lacrime e rumorose risate. Julian Fellows è riuscito a sublimare il fan service, regalando allo spettatore affezionato tutto ciò che ha sempre desiderato (pur non sapendolo) senza abbandonare l’abitudine di toccare argomenti delicati e socialmente impegnati con leggerezza (e mai con superficialità).

Downton Abbey – il film racconta il valore del lascito, dell’eredità, e dell’impegno necessario per portarla avanti senza combattere contro il tempo ma assecondandone il fluire, e accomodando ciò che si incrina lungo il cammino. Un vero e proprio gioiellino per i fan della serie, Downton Abbey spicca per la raffinatezza della scrittura e per uno stuolo di attori straordinari, che conoscono a menadito i personaggi e si impegnano ad offrire sempre il loro lato migliore, quasi fosse lo spettatore il vero regnante da compiacere.

Festa del Cinema di Roma 2019, red carpet: Michelle Dockery, Jim Carter

Michelle Dockery, Jim Carter e Imelda Staunton hanno presentato il film di Downton Abbey, presente nella selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma 2019. Di seguito le foto dal tappeto rosso “animato” da figuranti abbigliati in pieno stile anni ’20.

Lady Mary e Mr. Carson portano l’eleganza di Downton Abbey al #RomaFF14

Living With Yourself: recensione della serie con Paul Rudd

Living With Yourself: recensione della serie con Paul Rudd

Cosa succederebbe se l’essere umano potesse clonarsi, dando vita ad una perfetta replica di sé, con tanto di ricordi ed emozioni in comune? La serie Living With Yourself, disponibile su Netflix dal 18 ottobre, propone una propria riflessione a riguardo, affrontando il tema da un punto di vista particolarmente affascinante. Con protagonista assoluto Paul Rudd, nel doppio ruolo del protagonista, la serie è ideata e scritta da Timothy Greenberg, e diretta dalla coppia Jonathan Dayton e Valerie Faris, già autori di Little Miss Sunshine e La guerra dei sessi.

La serie ruota intorno a Miles Elliot (Paul Rudd), pubblicitario in crisi personale, lavorativa e famigliare. La soluzione ai suoi problemi arriva nel momento in cui un collega gli fa scoprire un misterioso centro benessere grazie al quale è possibile ritrovare un equilibrio e la pace esistenziale. Miles deciderà così di sottoporsi al trattamento, ma nel momento in cui qualcosa non va come deve, i suoi problemi sembreranno raddoppiarsi.

Living With Yourself e la difficoltà di essere sé stessi

Non è certamente un tema nuovo quello proposto dalla serie. La clonazione è da sempre tra i principali discorsi della fantascienza, e ha recentemente trovato voce al cinema con il film Gemini Man. Tuttavia la serie con Paul Rudd non è una storia di fantascienza, bensì un delicato racconto su un desiderio recondito di ognuno di noi, ovvero quello di delegare ad un “altro sé” tutto ciò che non si ha voglia di fare, guadagnandone in tempo libero per i propri piaceri. La serie si apre così presentando questa struttura, alternando il punto di vista dei due Miles, quello sfigato e quello di successo, ma è quando quest’equilibrio si rompe che la serie acquista il suo vero fascino.

Si svela così il vero punto di vista della serie, che ne è anche la forza, ovvero quello di osservare la presenza del doppio protagonista con gli occhi di chi gli è accanto. Ciò permette di arricchire la tematica e la storia di nuovi elementi, che portano infine a parlare di ciò che all’autore realmente sta a cuore. Perché nel momento in cui appare chiaro che il focus non è tanto il difficile rapporto di convivenza tra i due personaggi interpretati da Rudd, quanto quello con colleghi, amici, e in particolar modo con la moglie, ad acquisire importanza è l’amore per sé stessi e per gli altri.

Tutti infatti hanno desiderato almeno una volta nella vita di poter essere migliori di come si è, aspirando a modelli che il più delle volte sono soltanto semplici distrazioni dal provare realmente ad essere la versione di sé che si desidera. La difficoltà è infatti convivere con sé stessi, e la serie propone questo aspetto sfruttando la metafora del clone, qui utilizzato in chiave nuova e brillante.

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Living With Yourself: tutt’altro che una commedia

La presenza di Paul Rudd potrebbe certamente essere fuorviante, facendo ipotizzare una nuova serie comedy con protagonista un attore che in più occasioni ha provato le sue doti in tal genere. Ma se anche non mancano momenti brillanti, ironici e divertenti, Living With Yourself è ben più di una semplice commedia, e acquista sempre più un sapore amaro che facilmente sfocia in diverse occasioni in toni drammatici ed emotivamente toccanti. Ed è così che Rudd svela anche nuove sfumature, affermandosi come un attore dal buon potenziale drammatico. Particolarmente efficace è poi la sua caratterizzazione dei due identici ma diversi protagonisti. Rudd può confondere lo spettatore riguardo a quale dei due dà vita in un dato momento, ma sa anche rendere ben evidente le differenze per distinguerli.

Va inoltre la semplice eppur efficace scrittura di Greenberg, che pur senza trovate estremamente innovative sa plasmare la materia per dar vita ad un racconto piccolo ma coinvolgente, scritto in modo tale da rendere chiaro in poche scene chi sono i personaggi, quale è il loro atteggiamento e quale il loro conflitto. Una serie di piccoli colpi di scena conduce poi la serie fino alla sua risoluzione, che acquisterà sempre più in emotività e fascino.

Bellissime, recensione del documentario di Elisa Amoruso #RomaFF14

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Quattro donne, due generazioni diverse, una caratteristica: tutte e quattro bellissime. E la bellezza è un mezzo per lavorare, per esistere, per riconoscersi, attraverso gli occhi degli altri.

Nello stesso anno in cui ha realizzato il documentario evento su Chiara Ferragni Unposted, presentato alla Mostra del cinema di Venezia 76, Elisa Amoruso realizza un secondo documentario sull’apparire, in cui però l’avvenenza è l’unico mezzo di esistenza.

Bellissime viene presentato nella selezione ufficiale della sezione parallela della Festa del cinema di Roma, Alice nella città, che come ogni anno seleziona pellicole attente ai giovani o a loro dedicate, come appunto questo documentario. 

Nella vita delle tre sorelle Giovanna, Valentina e Francesca, lunghi capelli biondi e una madre esuberante e decisa esiste solo ciò che lo specchio rimanda indietro, o che l’addetta al casting dice.

Il padre è una presenza fantasmatica che è presente solo per fare andare avanti questa macchina, di cui si scopre nello svolgimento del documentario, la madre è l’artefice principale.

Foto, video, specchio. Poco altro esiste. Non ci sono amici, scuole, attività che evadano dalla continua e, agli occhi di chi guarda, soffocante ricerca di se stesse attraverso l’occhio altrui.

Il riconoscimento, che la madre delle tre ragazze non ha mai ricevuto da sua madre diventa un fuoco che non si spegne, che le dà la forza per spostare ogni cosa per fare in modo che le sue ragazze riescano, abbiano successo, vengano notate.

Con una storia ordinaria di provincia, la Amoruso parla di due generazioni: quella dei millennial che sono nati e cresciuti nell’epoca del “video ergo sum” e quella dei loro genitori, cresciuti nell’Italia del boom, ma anche nell’Italia operaia e lavoratrice, fatta di persone che ora hanno più forze e opportunità ma che si scoprono fragili e affamate.

Questa è la distanza con il quasi omonimo film di Luchino Visconti, Bellissima, nel quale negli anni ’40 una madre affamata ma di fame vera, spera che le qualità estetiche della figlioletta possano aiutarla a portare il pane a casa, letteralmente.

In questo caso, invece, la fame è quella per l’identità, che è l’argomento di ricerca di questo documentario, e non è una ricerca semplice, se non si hanno delle basi forti.

Lady Mary e Mr. Carson portano l’eleganza di Downton Abbey al #RomaFF14

Jim Carter e Michelle Dockery, insieme ad Imelda Staunton, sono stati i protagonisti del primo sabato di Festa del Cinema di Roma 2019, dove hanno portato Downton Abbey – Il Film. Gli attori, che nella famosa e amata serie hanno interpretato il maggiordomo Carson e Lady Mary Crawley, poi Talbot, sono stati accolti dai fan con grande calore, dopo la proiezione del film per la stampa.

In merito al ritorno nei personaggi di Carson e Lady Mary, Jim Carter e Michelle Dockery sono stati concordi nel dire che è stato come ritrovare dei vecchi amici: “Tornare dopo tre anni a Carson è stato emozionante ma anche come tornare a casa, visto che per girare una stagione ci impiegavamo sei mesi, e io rimanevo tutto questo tempo con il personaggio. Sapevamo tutti quello che dovevamo fare, ed è stata come una grande rimpatriata, come tornare a un momento molto felice per molti di noi, il successo ha giocato un ruolo importante, voi (ai fan) siete stati molto generosi. E tornare e constatare l’accoglienza che è stata riservata al film, è stato meraviglioso”.

“Ormai siamo una grande famiglia, è stata come una rimpatriata – osserva Michelle Dockery – ti sembra che non ti sia mai lasciato indietro queste persone. E ripetere l’esperienza per il grande schermo mi ha fatto sentire privilegiata. La reazione del pubblico e della critica è stata calorosa, per noi.”

“È come a teatro – interviene Carter – in cui si lavora con la stessa compagnia per un certo tempo e si creano dei vincoli e dei rapporti. Era la versione televisiva, e ora cinematografica, di una grande compagnia teatrale. C’erano grande scene di gruppo, e tutti, da Sophie (la cameriera Daisy, ndr) e Maggie Smith (Lady Violet, ndr), abbiamo stretto amicizia. Questo nella tv non sempre si verifica.”

Imelda Staunton, che nella vita reale è sposata con Jim Carter, ha sempre visto lo show da vicino, tuttavia adesso ha avuto la possibilità di entrare nella storia con un personaggio legato ai Crawley. “Per me è stato un’enorme sorpresa essere invitata a partecipare. Sapevo della serie per il mio rapporto personale con Jim, ma è stato un piacere avere una linea narrativa così importante. Ho lavorato con persone che conoscevo e con cui avevo già lavorato, e questa è stata la ciliegina sulla torta. È stata una bella sensazione uscire ed andare a lavorare con mio marito, per tre giorni.”

La storia è stata costruita cercando di coniugare l’esigenza di far “tornare a casa i fan” ma anche quella di spettacolarizzazione, così la visita reale e lo sfarzo che si sarebbe portata dietro sembravano la strada giusta da intraprendere. Questo ha richiesto uno sforzo produttivo mai affrontato prima, con la crew che si è avvalsa anche di un uomo che aveva lavorato a Buckingham Palace come consulente.

“Credo che in un mondo in cui i politici e la classe dirigente spesso manchi di dignità, è bello fuggire in un mondo, quello di Downton Abbey, in cui gli uomini di potere sono anche uomini di principio.” Ha concluso Jim Carson.

Downton Abbey arriverà al cinema il prossimo 24 ottobre, distribuito da Universal Pictures.

Star Wars: L’Ascesa di Skywalker, ecco quando vedremo il nuovo trailer

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Lucasfilm e il regista J.J. Abrams uniscono ancora una volta le forze per condurre gli spettatori in un epico viaggio verso una galassia lontana lontana con Star Wars: L’Ascesa di Skywalker, l’avvincente conclusione dell’iconica saga degli Skywalker, in cui nasceranno nuove leggende e avrà luogo la battaglia finale per la libertà. Star Wars: L’Ascesa di Skywalker arriverà nelle sale italiane il 18 dicembre.

Star Wars: L’Ascesa di Skywalker, comprende Carrie Fisher, Mark Hamill, Adam Driver, Daisy Ridley, John Boyega, Oscar Isaac, Anthony Daniels, Naomi Ackie, Domhnall Gleeson, Richard E. Grant, Lupita Nyong’o, Keri Russell, Joonas Suotamo, Kelly Marie Tran e Billy Dee Williams.

Scritto da J.J. Abrams e Chris TerrioStar Wars: L’Ascesa di Skywalker è diretto da J.J. Abrams e prodotto da Kathleen Kennedy, Abrams e Michelle Rejwan, mentre Callum Greene, Tommy Gormley e Jason McGatlin sono i produttori esecutivi.

Black Adam: la produzione comincia a luglio

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Black Adam: la produzione comincia a luglio

È passato più di un decennio da quando Dwayne “The Rock” Johnson è stato associato per la prima volta nel ruolo dell’antieroe DC Comics Black Adam e mentre, da allora, non c’è stato molto movimento nella sua introduzione live-action, sembra che il recente successo al box office di Shazam! abbia convinto Warner Bros. e New Line a fissare finalmente una data di inizio per la produzione.

In una recente interazione su Twitter, Johnson ha rivelato che il suo film da solista su Black Adam comincerà ufficialmente la produzione nel luglio del prossimo anno, cosa che suggerisce una probabile data d’uscita intorno entro il 2021.

Mentre, con l’eccezione del protagonista, non ci sono ancora notizie in merito al cast del film, sappiamo che Jaume Collet-Serra (Jungle Cruise; The Shallows) è già stato confermato alla regia dell’adattamento DC con una sceneggiatura firmata da Adam Sztykiel (Rampage; Undateable).

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The Batman: Michael Giacchino alla colonna sonora

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Durante un’esibizione alla Royal Albert Hall di Londra, il compositore Michael Giacchino è stato raggiunto sul palco dal regista Matt Reeves, che successivamente ha chiesto al vincitore dell’Oscar se avrebbe firmato la colonna sonora del suo prossimo film, The Batman, un’offerta che Giacchino ha accettato con entusiasmo.

Giacchino e Reeves sono amici e collaboratori frequenti, avendo lavorato insieme in ciascuno dei quattro film precedenti di Reeves: Cloverfield, Let Me In, Dawn of the Planet of the Apes e War for the Planet of the Apes.

The Batman, che ha come protagonista Robert Pattinson (The Lighthouse) nel ruolo dell’eroe del titolo, è attualmente nel bel mezzo del casting e ha recentemente aggiunto Jeffrey Wright (Westworld) come il commissario James Gordon, Zoë Kravitz (Big Little Lies) come Selina Kyle / Catwoman e Paul Dano (Escape at Dannemora) nel ruolo di Edward Nashton / The Riddler.

Giacchino ha partecipato ad una vasta gamma di film di successo, tra cui Spider-Man: Far From Home, Spider-Man: Homecoming, Jurassic World, Jurassic World: Fallen Kingdom, Mission: Impossible – Ghost Protocol, Gli Incredibili, Sky High, Ratatouille, Up, Cars 2, John Carter, Tomorrowland, Inside Out, Zootropolis, Doctor Strange, Rogue One: A Star Wars Story, Coco, Incredibles 2, Alias, Star Trek, Lost, Super 8, 50/50, Fringe, Star Trek: Into Darkness e Star Trek Beyond.

A breve lo sentiremo anche in Jojo Rabbit di Taika Waititi e nel sequel di Doctor Strange di Scott Derrickson. The Batman arriverà nei cinema il 25 giugno 2021.

Festa del Cinema di Roma 2019, red carpet: Ron Howard

Festa del Cinema di Roma 2019, red carpet: Ron Howard

Ron Howard è stato l’ospite d’onore durante la serata di venerdì della Festa del Cinema di Roma 2019, dove il regista premio Oscar ha presentato il suo ultimo documentario, Pavarotti, sulla leggenda della lirica italiana e mondiale.

Festa del cinema di Roma 2019 oggi celebra Bill Murray

La quattordicesima edizione della Festa del Cinema di Roma assegnerà domani, sabato 19 ottobre alle ore 17.30 presso la sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica, il Premio alla Carriera a Bill Murray: il riconoscimento sarà consegnato da Wes Anderson, il regista che più di ogni altro ha contribuito a renderlo un’icona della contemporaneità.

Prima della cerimonia, Wes Anderson dialogherà con il suo attore feticcio, nel corso di un Incontro Ravvicinato durante il quale i due amici ripercorreranno le tappe principali del variegato percorso artistico di Murray e del magico sodalizio che li lega e che li ha visti collaborare in numerosi film: da Rushmore a I Tenenbaum, da Le avventure acquatiche di Steve Zissou a Il treno per il Darjeeling, passando per Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore, Grand Budapest Hotel e il più recente L’isola dei cani. Dopo il folgorante inizio nel mondo della televisione, come protagonista del “Saturday Night Live”, è il cinema a consacrare Bill Murray, prima con Ghostbusters di Ivan Reitman e poi con una serie di pellicole divenute veri e propri cult grazie, soprattutto, alla sua presenza: da Ricomincio da capo di Harold Ramis a Ed Wood di Tim Burton, da Broken Flowers di Jim Jarmusch a Lost in Translation – L’amore tradotto di Sofia Coppola che gli è valso il Golden Globe, il Bafta e una nomination all’Oscar.

La quattordicesima edizione della Festa del Cinema di Roma che si terrà fino al 27 ottobre con la direzione artistica di Antonio Monda, prodotta dalla Fondazione Cinema per Roma, Presidente Laura Delli Colli, Direttore Generale Francesca Via. L’Auditorium Parco della Musica sarà il fulcro dell’evento, con le sue sale di proiezione e il red carpet. Come ogni anno, la Festa coinvolgerà numerosi altri luoghi della Capitale, dal centro alla periferia.

Ghostbusters 2020: nuova foto dal set per la fine delle riprese

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Ghostbusters 2020: nuova foto dal set per la fine delle riprese

Si sono ufficialmente concluse le riprese di Ghostbusters 2020, terzo capitolo del franchise scritto e diretto da Jason Reitman che vedrà il ritorno del cast originale (Dan Aykroyd, Bill Murray, Ernie Hudson e Sigourney Weaver) più le new entry McKenna Grace, Finn Wolfhard, Carrie Coon, Paul Rudd, Bokeem Woodbine e Celeste O’Connor ). A testimoniarlo è la foto che trovate qui sotto pubblicata da una delle attrici su Twitter.

Vi ricordiamo che la pellicola sarà il sequel diretto dei due Ghostbusters diretti da Ivan Reitman e che non avrà nessun collegamento con il reboot al femminile di Paul Feig del 2016 e che la trama dovrebbe ruotare attorno alle vicende della giovane protagonista interpretata dalla Grace, e della sua famiglia formata dalla madre e dal fratello.

https://twitter.com/MckennaGraceful/status/1185307702500741120?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1185307702500741120&ref_url=https%3A%2F%2Fwww.comicbookmovie.com%2Fhorror%2Fghostbusters%2Fghostbusters-2020-wraps-filming-come-check-out-a-new-photo-of-the-films-principal-cast-a171194

Il regista ha definito il progetto come “una lettera d’amore ai fan, che sinceramente, fino a qualche tempo, fa non credevo fosse possibile…d’altronde ero solo un ragazzo che girava pellicole indipendenti per il Sundance. E poi è arrivato questo personaggio, una ragazzina di dodici anni. Non sapevo chi fosse, o perché mi fosse saltata in testa, ma l’ho vista con un pacchetto di protoni e la storia ha cominciato a formarsi“.

Abbiamo contattato tutti gli attori del cast originale, la troupe, insomma le persone che hanno contribuito a realizzare Ghostbusters, proprio per conservare lo spirito della saga.” ha spiegato il regista. “Non posso dirvi niente, tranne che sarà una storia nuova, con nuovi personaggi e una nuova location. Spero solo che i fan li amino quanto me, perché sono straordinari, e non vedo l’ora di presentarveli“.

Black Adam: Dwayne Johnson rivela la data di inizio riprese

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L’annuncio arriva direttamente da Dwayne “The Rock” Johnson su Twitter: l’inizio della produzione di Black Adam è fissato a Luglio 2020. Dunque in linea con le dichiarazioni del produttore Hiram Garcia della scorsa estate, sembrerebbe tutto pronto per le riprese del cinecomic spin-off di Shazam! che vedrà protagonista l’attore nei panni del supereroe.

Questo è il progetto che sognavo di realizzare da dieci anni”, scrive Johnson in risposta ad un fan che aveva condiviso una meravigliosa fanart. “La produzione inizierà il prossimo Luglio“. Vi ricordiamo che la New Line Cinema ha scelto Jaume Collet-Serra (Run all night, The Shallows) per dirigere il film, nome caldamente consigliato dalla star.

Jaume è un vero talento, e uno dei registi migliori con cui abbia mai lavorato. Non solo ha talento, ma è anche un collaboratore e un visionario incredibile. E quello che abbiamo in serbo con Black Adam per i fan mi rende entusiasta” aveva dichiarato Garcia. Personalmente sono orgoglioso di essere un fan boy, ho iniziato come appassionato e poi sono diventato un produttore, quindi cerco di rimanere aggrappato a quel DNA. La sua visione di ciò che vogliamo fare con Black Adam è fantastica e l’accordo è quasi chiuso. È pronto a partire, e penso che i fan saranno davvero felici.

https://twitter.com/TheRock/status/1185210200627675136

Shazam!: una scena eliminata anticipa l’arrivo di Black Adam

Il progetto originale della Warner Bros. su Shazam! aveva previsto l’epico scontro tra il supereroe e la sua nemesi, Black Adam, una soluzione esclusa dalla sceneggiatura per dedicarsi con più attenzione al protagonista e alla sua origin story. E come annunciato nei mesi scorsi, i piani per portare al cinema uno standalone con Johnson sono ancora vivi, e a quanto pare il film dovrebbe ispirarsi ai lavori di Geoff Johns dei primi anni Duemila.

“Questo progetto ha comportato dei rischi, ed è stato una sfida. Anni fa volevamo introdurre due origin story in un’unica sceneggiatura, e chi conosce i fumetti e la mitologia dei fumetti saprà che Shazam è collegato a Black Adam.” aveva raccontato l’attore in un video. “Questo personaggio è un antieroe, o villain, e non vedo l’ora di interpretarlo. Stiamo sviluppando il progetto che è nel mio DNA da oltre dieci anni. Dovremmo iniziare a girare in un anno e non potrei essere più eccitato all’idea“.

Pinocchio live action: Robert Zemeckis in trattative per la regia

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Robert Zemeckis è in trattative iniziali per dirigere il live action di Pinocchio in produzione alla Disney.

Andrew Miano e Chris Weitz produrranno il film con la loro compagnia Depth of Field con Weitz che scriverà la sceneggiatura. Il regista di Paddington, Paul King, era stato inizialmente scelto per dirigere, ma all’inizio dell’anno ha dovuto abbandonare il progetto per ragioni sconosciute. Anche David Heyman, che era a bordo per la produzione, non è più coinvolto nel film.

Sebbene l’accordo non sia ancora concluso, Zemeckis si aggira intorno al progetto dalla scorsa estate. Stava ancora lavorando al suo nuovo adattamento de Le Streghe per la Warner Bros e non voleva impegnarsi in un nuovo film fino a quando quel film non ha fatto ulteriori progressi nella produzione.

Con Le Streghe in post-produzione, Robert Zemeckis ha iniziato pensare che non è prematuro approcciarsi a Pinocchio. Il famoso regista ora cercherà di orientare il processo di casting, in particolare cercando di trovare il suo Geppetto, ruolo per cui è stato fatto il nome di Tom Hanks, ma alla fine ha passato.

Il film d’animazione originale racconta la storia di un burattino vivente che, con l’aiuto di un grillo parlante in qualità di coscienza, deve dimostrarsi degno di diventare un ragazzo vero. Il film si aggiunge alla lunghissima lista di live action prodotti e in produzione da Disney, basti pensare che solo quest’anno sono usciti Dumbo, Il Re Leone e Aladdin, e gli ultimi due sono stati dei successi al box office.

Negli ultimi anni, Zemeckis è stato più concentrato su film drammatici destinato ad un pubblico di adulti, come Flight o Allied, o ancora il bellissimo Benvenuti a Marwen, rispetto ai grandi blockbuster per tutta la famiglia che ha firmato nel corso della sua carriera. Il suo prossimo film sarà il nuovo adattamento de Le Streghe con Anne Hathaway.

Per quanto riguarda invece Pinocchio, a Natale arriverà al cinema, in Italia, la versione di Matteo Garrone, mentre negli Stati Uniti sono in produzione una versione in live action con Robert Downey Jr. nei panni di Geppetto, e un progetto guidato da Guillermo Del Toro che forse troverà il suo spazio produttivo su Netflix.

Fonte: Variety

Pavarotti, recensione del film di Ron Howard #RomaFF14

Pavarotti, recensione del film di Ron Howard #RomaFF14

“Come vorresti essere ricordato tra cent’anni? – Come un cantante che ha portato l’opera alle masse – E invece come Pavarotti uomo?” È a partire da questa fondamentale domanda che il regista premio Oscar Ron Howard costruisce il suo nuovo film documentario, intitolato Pavarotti, e dedicato al celebre tenore italiano. Il film, presentato all’interno della selezione ufficiale dell’edizione 2019 della Festa del Cinema di Roma, è un nuovo tassello all’interno della variegata carriera del regista, che negli anni ha affrontato ogni sorta di genere, dalla fantascienza al film storico.

Il documentario ripercorre l’intera vita di Luciano Pavarotti, dalle origini ai primi successi e fino alle esibizioni sui palchi più importanti del mondo. Attraverso un vasto repertorio di materiali d’archivio, il regista ricostruisce tanto il percorso dell’artista quanto quello dell’uomo. Importanti sono infatti anche le interviste alle due mogli, alle tre figlie, e ai numerosi amici e collaboratori, i quali raccontano lati nascosti, inaspettati e commoventi dell’amato cantante.

Pavarotti, dalla nascita alla consacrazione del mito

Luciano Pavarotti è uno dei cantanti globalmente più popolari, il quale per buona parte della sua vita ha perseguito il desiderio di portare l’opera, normalmente considerato un genere difficile e di nicchia, alle grandi masse. Si può dire che vi sia riuscito con successo, divenendo egli stesso una vera e propria “rockstar”. Howard, dal canto suo, insegue il desiderio di comporre il ritratto appassionato di un uomo buono, premuroso, misterioso e non privo di lati oscuri.

Il regista non manipola le immagini, non le utilizza per costruire la sua idea di Pavarotti, ma cerca di riproporlo nel modo più naturale, tanto nei suoi giorni migliori quanto in quelli in cui il tenore si sentiva più vulnerabile. Perché è proprio dal dolore che può nascere l’arte, ed è per questo che Howard scava per rintracciare quanto della vita privata abbia influito su quella artistica e pubblica.

Un proposito interessante questo, frenato soltanto dalla struttura stessa del documentario, che non si distacca dall’agiografia e segue in modo piuttosto pedagogico  e lineare il percorso di vita di Pavarotti. Per una personalità così popolare ciò appare tuttavia limitante, permettendo di fare una scorpacciata di fatti e curiosità, senza però soffermarsi in maniera approfondita su di essi. Ciò appare ancor più forte nel momento in cui, ad esempio, viene raccontato del celebre concerto di Pavarotti insieme a Placido Domingo e José Carreras, avvenuto alle Terme di Caracalla nel 1990.

La storia di questo particolare concerto, ciò che ha significato e il modo in cui i tre tenori si sono misurati e sfidati l’un l’altro, è in grado di catturare l’attenzione molto più di tante altre dispersive sequenze. Il risultato finale del documentario non è tuttavia privo di un certo fascino, ma ha quantomeno il pregio di permettere a tutti di potersi avvicinare alla figura di Pavarotti, amanti dell’opera e non.

pavarotti

Pavarotti: un documentario costruito sulla voce

Per quanto la scelta di fare un excursus più o meno completo sulla vita del tenore non sia errata, questa svela tuttavia l’attaccamento ad un canone che rivela i suoi limiti non presentando particolari motivi di attrattiva, e offrendo invece poco di aspetti che potevano da soli essere protagonisti del film. Uno di questi è certamente la voce.

È difficile non riconoscere che la voce di Pavarotti sia il vero intrattenimento del film. Così precisa, pulita, capace davvero di risuonare nel cuore degli spettatori che basterebbe quella a rendere superflua qualsiasi altra divagazione. La voce, come affermava lo stesso tenore, era la sua prima donna, il grande amore, ed è proprio questa a tenere alto l’interesse nei confronti del film.

Quella voce che veniva influenzata molto dagli eventi privati della vita del cantante, tanto da risultare straziante nel brano Ridi pagliaccio e invincibile in Nessun dorma. Quella voce che probabilmente svela meglio di qualunque parola o immagine l’uomo che la emetteva, che sapeva controllarla e utilizzarla come il suo strumento privilegiato. Alla domanda all’inizio del film, dunque, Howard lascia rispondere lo stesso Pavarotti, grato per molto, rammaricato per tanto altro. Alla sua voce, dunque, affida lo svelamento di sé stesso, lasciando così decadere il fazzoletto del cantante che copriva il volto dell’uomo dietro di esso.

Venom 2: Naomie Harris sarà la villain Shriek

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Naomie Harris è in trattative per interpretare Shriek, il nuovo villain al fianco di Carnage in Venom 2, che vedrà Tom Hardy nei panni dell’eroe alternativo del titolo. Andy Serkis dirigerà il film e sia Michelle Williams che Woody Harrelson riprenderanno i loro ruoli.

Shriek è stata strettamente associata a Carnage sin dalla sua introduzione in Spider-Man Unlimited No. 1 (maggio 1993) come parte della saga di “Maximum Carnage”. Al momento la produzione sta cercando l’interprete per questo nuovo personaggio.

Venom, diretto da Ruben Fleischer e interpretato da Tom Hardy, è stata la sorpresa tra molti film di supereroi del 2018. La produzione di $ 100 milioni ha accumulato $ 856 milioni al botteghino globale, con tanto di ricchissimo weekend di apertura di $ 111 milioni in Cina, tanto che il film detiene il debutto più forte di tutti i tempi per un’uscita Sony nel più grande mercato del mondo.

Fleischer, regista di Zombieland: Doppio Colpo, ha passato la mano del franchise e ora sarà Andy Serkis a girare il sequel che non ha ancora un titolo ufficiale.

Hardy ritornerà nel ruolo di Eddie Brock, un giornalista dai modi un po’ rudi che viene in contatto con un organismo extraterrestre che si fonde con il suo corpo per creare la superpotente bestia chiamata Venom. Nei fumetti, quello stesso organismo dà anche a Kasaday la facoltà di tramutarsi in Carnage.

Fonte: Variety

Scary Stories to tell in the dark, recensione del film André Øvredal #RomaFF14

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Scary Stories to Tell in the Dark di André Øvredal arriva in Italia il prossimo 24 ottobre, in tempo per la settimana di Halloween e il momento migliore dell’anno per raccontare le storie spaventose del titolo. Scritto e prodotto da Guillermo Del Toro, il film è un perfetto mix tra avventura per ragazzi e cinema di genere nella sua accezione più “rassicurante”, capace di giocare con gli archetipi senza mai cadere nello stereotipo.

Corre l’anno 1968 negli Stati Uniti, il Paese è in fermento, la guerra in Vietnam imperversa e le elezioni di Nixon sono imminenti, ma e il vento del cambiamento sembra non intaccare la cittadina di Mill Valley, sulla quale, ormai da generazioni, incombe la lunga ombra della famiglia Bellows. La loro dimora, ormai in rovina, sorge ai limiti della città e si dice essere infestata dal fantasma di Sarah, la figlia più piccola che in seguito a una misteriosa reclusione, si impiccò dentro la casa stessa.

La leggenda narra che Sarah fosse dedita alla magia nera e con le sue storie dell’orrore causasse la morte dei bambini del villaggio. Niente di più invitante, dunque, per Stella, Chuck, Auggie e Ramon che una visita alla casa stregata durante la notte di Halloween, ma qualcosa va storto e i ragazzini capiranno che non si scherza con le leggende e che certe storie possono essere molto molto pericolose.

Scary Stories è un horror per ragazzi con un grande cuore

Scary Stories to Tell in the Dark è un piatto innovativo ma con sapori conosciuti, un miscuglio di archetipi del genere accostati, giustapposti, intrecciati con grande maestria, grazie a una scrittura sapiente e una regia che si diverte a giocare con lo spettatore e con i protagonisti, ragazzini bellissimi con attaccate sul volto espressioni d’altri tempi.

Nell’essere un chiaro figlio del cinema per ragazzi degli anni ’80, Scary Stories omaggia anche il genere horror puro e classico, senza trascurare mai l’aspetto emozionale della storia, principalmente veicolato dalla protagonista, Stella, interpretata dalla giovane e promettente Zoe Margaret Colletti.

Il film tenta anche un approfondimento storico legato alla guerra in Vietnam, una specie di film dell’orrore reale, dove a morire sono i giovani mandati in guerra, cosa di cui ha paura Ramon, ragazzo che spera di sfuggire al servizio di leva. Tuttavia questo aspetto viene soltanto accennato, senza mai essere approfondito, mentre la scrittura preferisce addentrarsi nel significato e nel valore delle storie.

Il valore delle storie

“Una storia può ferire, una storia può guarire, e se la ripeti più volte, una storia può diventare vera”. Lo scoprono i ragazzini e ne pagheranno caro il prezzo, e lo scopre Stella che si assume la responsabilità del suo sogno di diventare narratrice di storie, liberando non solo l’anima della sventurata Sarah, ma anche permettendo a se stessa di sbocciare.

André Øvredal su Scary Stories: “Volevamo fare un horror con un cuore” #RomaFF14

Dei ragazzini coraggiosi, un libro incantato, una leggenda oscura, una casa stregata, la notte di Halloween, sembrano esserci tutti gli elementi giusti in Scary Stories to Tell in the Dark, il nuovo film diretto da André Øvredal (Autopsy) e scritto e prodotto da Guillermo Del Toro. Elementi giusti per un horror per ragazzi che però non ha paura di diventare davvero cattivo, nonostante i protagonisti siano dei Goonies moderni a caccia di (o meglio, cacciati da) fantasmi.

Il film è ambientato durante la Guerra del Vietnam, e all’alba dell’elezione di Nixon. Era il 1968, negli Stati Uniti, un periodo molto particolare, secondo il regista Øvredal“Senz’altro c’è un sotto testo politico nella storia, ma non lega necessariamente i ragazzi al Vietnam. Si tratta comunque di un’epoca molto politica nella storia degli Stati Uniti e non solo. Ci sono anche questi elementi nel film.”

Scary Stories to tell in the Dark prende spunto da una omonima raccolta di racconti che racchiude moltissime storie, alcune di esse sono state prese e assemblate intorno a una struttura narrativa per creare la macro racconto del film: “Le storie sono state scelte in sceneggiatura prima del mio ingresso nel progetto – ha spiegato il regista – chi ha scritto la sceneggiatura aveva come riferimenti un certo contesto operando una scelta tra centinaia di storie presenti nell’originale. Ci sono storie che sono state scartate, altre che invece sono entrate dopo. Quelle che sono rimaste sono state quelle che abbiamo pensato essere le migliori per far emergere i caratteri dei personaggi, affinché la storia fosse più coesa.”

Scary Stories to tell in the Dark è un omaggio ai film per ragazzi degli anni ’80

Come accennato prima, il film sembra una sorta di rilettura in chiave esplicitamente horror di quei film, esplosi negli anni ’80, che raccontavano avventure per ragazzi, l’ennesima declinazione di quei temi, che deve un po’ del suo appeal a Stranger Things o anche al remake di It: “Questi ragazzi vivono un’avventura e sono contento che questo tipo di film sia tornato in auge, visto che un tempo era molto di moda. Per Del Toro, questo è un horror umanistico, e io sono d’accordo, perché l’intenzione era quella di raccontare una storia che fosse umana, prima di tutto, volevamo che il pubblico si innamorasse dei personaggi. Volevamo fare un film con un grande cuore, cosa che unisce tutti i film di Guillermo.”

Scary Stories to tell in the Dark arriva al cinema il prossimo 24 ottobre distribuito da Notorius Pictures.

Edward Norton su Martin Scorsese e i cinecomic

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Edward Norton su Martin Scorsese e i cinecomic

Ospite alla Festa del cinema di Roma 2019, Edward Norton ha commentato le dichiarazioni di Martin Scorsese in merito ai cinecomic. Norton ha fatto parte del genere cinematografico prima che fosse di moda ed ha portato sul grande schermo l’Incredibile Hulk, ma rispetto a ciò che ha detto Scorsese sembra avere le idee molto chiare.

“Lui è immerso nel cinema più di chiunque altro. Credo che Martin Scorsese sia uno degli essere più addentro alla propria materia che esista sul Pianeta. Ha guadagnato sul campo il diritto di avere tutte le opinioni che vuole sul cinema. Ma penso anche che le sue parole non vadano prese fuori contesto. Lui faceva riferimento a un concetto più complesso e il rischio di estrapolare una sola frase è quello di offendere qualcuno. Lui invece parlava di ciò che in lui crea emozione, tutti noi abbiamo un modo di rapportarci alle storie e alla mitologia e alcuni vedono certe cose che altri non vedono. Non può esserci una formula o una quantificazione per questa magia.”

Ricordiamo che Martin Scorsese, che sarà a Roma allo stesso evento lunedì prossimo, ha dichiarato che i cinecomic non sono cinema ma adottano un linguaggio più simile a quello dei parchi a tema. Ha poi detto che quel genere di film non lo emoziona, scatenando le ire non solo dei colleghi che invece lavorano in quel business ma anche di moltissimi fan che difendono a spada tratta i propri eroi.

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