Le cartoline che vendono nei negozi di souvenir mostrano sempre tanta gente che sorride immersa in un paesaggio perfetto. Viene fotografata un’ambientazione bellissima come quella che potrebbe essere una Polignano a Mare innevata, abitata da gente come quella di questo La Cena di Natale dove tutti riescono a convivere tranquillamente con i loro problemi. Non importa se il marito è infedele, se la moglie è incinta di 8 mesi e deve vivere la gravidanza da sola, se il figlio è gay e deve mettere incinta la migliore amica lesbica: la tavolata di Natale porta sempre l’amore.
La Cena di Natale
A vedere le cartoline sembra tutto facile ma è proprio questo a renderle così lontane dalla fotografie ed insopportabilmente finte. Ed è la stessa sensazione che si prova di fronte al nuovo film di Marco Ponti, il secondo tratto da un romanzo di Luca Bianchini dopo Io che amo solo te del 2015. Del primo capitolo tornano Damiano e Chiara (Riccardo Scamarcio e Laura Chiatti) la coppia peggio amalgamata del nostro cinema che ci ripropone il loro poco feeling anche nella versione invernale. Eppure tutto sembra andar bene nelle scene che il regista confeziona con un perenne sottofondo rassicurante e tanti colori caldi. Come se fosse tutto lecito grazie allo scintillio delle luci natalizie, va avanti questa ostentazione di perbenismo ed ottimismo per 90 minuti in cui non c’è spazio per il disagio, per la comicità, per lo scherzo alla base di ogni buona commedia. Non si ride, non si piange, non ci si emoziona neanche per un secondo, e alla fine si rimane solo con il dubbio della reale intenzione di voler costruire un film.
Perché quello che invece sembra è un tentativo superficiale di mettere insieme delle scene da poter somministrare a degli spettatori annoiati ed ammaliati da tutto l’alone patinato intorno. Peccato perché Marco Ponti sembra uno cha ha studiato quali siano i linguaggi giusti per fare cinema e ce lo fa intuire da citazioni buttate qua e là dei classici western e dei film di Bava ma anche dalla realizzazione al suo esordio nel cinema indipendente di un cult come Santa Maradona. Sono anni però che non ci prova nemmeno più, perché in prodotti come questi non c’è nemmeno lo sforzo di tentare di fare cinema. E’ solo tutta una cartolina, da buttare via passata la stagione.

Richard Tanne dirige questo romantico film che racconta il primo appuntamento tra il futuro primo presidente di colore degli Stati Uniti e la sua futura moglie Michelle. Ti amo presidente racconta quella lunga giornata in cui il giovane Obama tentò in tutti i modi di conquistare il cuore della bella ma severa Michelle, sua superiore e che per nulla al mondo avrebbe voluto iniziare una relazione con un collega, per giunta alle sue dipendenze. Un film che, con molto garbo e delicatezza, cerca di farci conoscere meglio coloro che saranno destinati a diventare la coppia più famosa ed importante degli ultimi dieci anni. Un lento percorso fatto di lunghe conversazioni e scontri anche accesi tra due persone che non si intesero immediatamente ma che dovettero conoscersi a fondo prima di cedere uno tra le braccia dell’altro. In realtà il film si incentra sull’estenuante corteggiamento del giovane Barack verso quella ragazza chiusa, seria e poco disposta ad aprirsi agli altri oltre che a se stessa. Un film che, nel contempo, tratteggia con molta cura i contorni di queste due personalità forti e determinate, evidenziandone quei pregi che il mondo avrà modo di apprezzare…chi più chi meno, ma anche svelandone, se non i difetti, le debolezze come il tormentato ricordo che il futuro presidente conservava del padre. Due interpreti bravi e convincenti, straordinariamente somiglianti con i veri protagonisti della storia, soprattutto Parker Sawyer, dialoghi un po’ troppo impostati e patinati per una sceneggiatura che alla lunga risulta eccessivamente didascalica e monocorde.

Il regista, e anche sceneggiatore in questa occasione, riesce quindi a sostenere perfettamente il peso di questo ingombrante intreccio, presentandoci una storia in cui realtà e finzione si fondono e confondono, dove presente, passato e immaginazione corrono sugli stessi binari. Il thriller in questo caso si trasforma, grazie alla meravigliosa ed intensa
