Di un film dedicato alla vita di
Freddie Mercury si parla ormai da un paio di anni:
nel corso del tempo sono arrivate notizie frammentarie e abbastanza
isolate a riguardo, senza che il progetto sia al momento
effettivamente decollato.
Mentre sembra confermato che il
ruolo del cantante dei Queen sarà interpretato da Sacha
Baron Cohen, arrivano oggi novità riguardo la regia: ad
essere accostato al progetto è ora Tom Hooper,
reduce dal successo de I Miserabili, nel cui cast peraltro era
presente anche lo stesso Cohen. La notizia al momento non ha però
trovato alcuna conferma ufficiale.
Il film seguirà le vicende di
Mercury e dei suoi compagni di strada dalla formazione del gruppo
fino alla partecipazione al Live Aid nel 1985 che sancì il culmine
della loro carriera. Il progetto ha ottenuto l’appoggio degli altri
componenti del gruppo, che potrebbero anche esserne trai
produttori; la sceneggiatura è stata scritta da Peter Morgan
(The Queen, Frost /
Nixon).
Amadeus è un film del 1984
diretto da Miloš Forman con protagonista
F. Murray Abraham, Tom Hulce, Elizabeth Berridge, Simon
Callow, Jeffrey Jones, Roy Dotrice, Christine Ebersole, Richard
Frank, Cynthia Nixon, Charles Kay, Vincent Schiavelli, Patrick
Hines.
Trama: Vienna, 1823.
Durante la sua permanenza in manicomio, il compositore Antonio
Salieri narra la funesta ammirazione provata nel corso della sua
vita per Wolfgang Amadeus Mozart.
Consapevole della propria
mediocrità, Salieri ripercorre l’invidia suscitata dal genio
dell’esuberante rivale, mutata poi in tragica ossessione. Tra
follia, adorazione e intimi dissensi inestinguibili, l’ostilità di
Salieri nei confronti di Mozart alimenta la più ampia
conflittualità fra Salieri e Dio.
Analisi:
“Tramite quel piccolo uomo, Dio
riusciva a far giungere a tutti la propria voce, irrefrenabilmente,
rendendo più amara la mia sconfitta ad ogni nota”
Amadeus è uno dei
capolavori intramontabili della storia del cinema. La pellicola
diretta da Miloš Forman non è un vero e proprio
biopic, ma una rappresentazione senza tempo di un grande dilemma
che tormenta l’essere umano: l’eterno conflitto interiore.
Amadeus è una
strepitosa messa in scena della presunta rivalità tra il geniale
Wolfgang Amadeus Mozart e il compositore di corte
Antonio Salieri, considerato il migliore autore musicale a Vienna
sino all’arrivo del talentuoso enfant prodige salisburghese.
Amadeus è tratto dall’opera teatrale di successo di Peter
Shaffer, rappresentata negli anni settanta e ispirata a un dramma
scritto da Aleksandr Sergeevič Puškin in cui si narra la (mai
realmente documentata) opposizione tra Salieri e Mozart,
ipotizzando l’avvelenamento di quest’ultimo a opera del compositore
italiano.
Come mostrato superbamente nel
film, Salieri è infatti invidioso del talento prodigioso di Mozart,
un “vanaglorioso, libidinoso, sconcio, infantile ragazzo”. A
dispetto dell’astio del tormentato compositore di corte, la musica
di Mozart costituisce l’incarnazione di Dio in tutta la sua sublime
essenza. Questo il dramma per Antonio Salieri: consapevole della
propria mediocrità – malgrado il sincero desiderio di onorare Dio
con la sua musica – Salieri è impotente di fronte alla grandiosità
e all’armonia dell’arte di Mozart.
Tra implacabile ammirazione e
fatale invidia, l’uomo si ribella all’ingiustizia di Dio, che ha
scelto un “fanciullo osceno” come proprio strumento, e si
impegna a ostacolare la creatura terrena per trionfare
sull’irrisione divina, emblematicamente riconosciuta nella
squillante risata di Mozart.
Del resto
Amadeus (Theophilus) significa proprio
“amato da Dio”, mentre Salieri è costretto non solo a misurarsi con
quel schiacciante senso di mediocrità che chiunque coltivi un
talento riconosce nel proprio essere, ma deve anche fronteggiare un
Dio che, ai suoi occhi, si beffa di lui.
F. Murray Abraham
dà vita al tormento, alla follia e allo straziante rigore di
Salieri nella sua triplice lotta con se stesso, Dio e Mozart.
L’attore si mimetizza perfettamente nella maschera dell’anziano
Salieri dalla potente espressività, così come nei tratti del
compositore che convive con il crescente strazio suscitato dal
talento e dall’esuberanza di Mozart. Quest’ultimo è interpretato da
uno straordinario Tom Hulce, che anima il film con
la sua baldanza e spavalderia, restituendoci l’immagine di una rock
star ante litteram, terreno nella sua sregolata condotta,
fanciullesco, sfrontato e sicuro di sé, ma divino nell’armonia
imperturbabile della sua musica. L’attore suona davvero ogni
singola nota al piano, persino nell’iconica scena in cui suona
disteso all’indietro.
Amadeus
Le perfette interpretazioni dei due
protagonisti rappresentano una lezione di recitazione e sprigionano
un impressionante magnetismo nella parte finale, in cui Mozart
detta a Salieri il Confutatis sul letto di morte. Benché si
tratti di una licenza che esula dalla storicità, la scena è di una
suggestione impressionante non soltanto per la prova da manuale dei
due interpreti, ma anche per la carica emblematica della
situazione: Salieri non riesce a comprendere la frenetica dettatura
di Mozart, al quale ogni complicato passaggio e virtuosismo appare
invece chiaro e semplice. L’affaticato tentativo di Salieri di
seguire il ritmo del geniale rivale è la sua ultima sconfitta,
giacché la celeste armonia di Mozart rischia di essere offuscata
dal pietoso intento di assimilare la sua gloria: il prezzo da
pagare è il tormento esistenziale.
La sontuosa regia di Miloš
Forman dipinge l’opulenza e l’ottusità di una corte
sfarzosa che trova difficoltà ad adattarsi alla freschezza e
all’originalità delle composizioni di Mozart, la cui immortalità è
sancita all’indomani della sua morte.
A metà fra tragedia dell’umano,
esaltazione del talento, farsa e spiccata teatralità,
Amadeus è una pellicola fatta di contrasti
perfettamente orchestrati, di luci e ombre, di gioiosa musicalità
(Il Ratto del Serraglio, Le Nozze di Figaro,
Il Flauto Magico) alternata a inquietanti
rappresentazioni (su tutte, la lugubre sublimità del Don
Giovanni, uno dei momenti più alti del film).
Senza contare su una
colonna sonora apposita, Amadeus fa uso strepitoso
delle musiche e delle opere di Mozart sino alla solennità del
Requiem incompiuto, commissionato da un misterioso individuo
dall’angosciante maschera (nel film, si tratta di Salieri) e che
chiude questa ammaliante sinfonia visiva.
La spettacolare pellicola ha
conquistato innumerevoli premi, tra cui ben otto
Oscar (film, regia, attore protagonista –
F. Murray Abraham, sceneggiatura non originale,
costumi, scenografia, trucco, sonoro), quattro Golden Globe,
quattro Bafta e tre David di Donatello.
Nel 2002 è uscita una versione con
venti minuti aggiuntivi. La Director’s Cut è un
arricchimento perfetto e appositamente ridoppiato nell’edizione
italiana (eccezionale soprattutto il lavoro svolto da
Massimiliano Alto che dà voce a Mozart).
Amadeus è un’opera
magniloquente e ipnotica, in grado di celebrare al tempo stesso la
miseria e la grandezza dell’uomo e la secolare risonanza della sua
arte.
Lolita è il film
del 1962 di Stanley Kubrick con protagonisti nel
cast James Mason (Prof. Humbert),
Shelley Winters (Charlotte Haze), Sue
Lyon (Lolita) e Peter Sellers (Clare
Quilty)
Trama del flm
Lolita: Il professore Humbert, cinquantenne divorziato,
lascia l’Europa e si trasferisce in America per tenere una serie di
conferenze. Va a pensione presso la signora Haze, petulante vedova
che presto cerca di sedurlo.
La donna ha una figlia adolescente,
Dolores, detta Lolita: Humbert se ne invaghisce morbosamente, e
arriva a sposare la vedova per restare in America e non staccarsi
dalla ragazza. Dopo pochi mesi di matrimonio, la signora Haze viene
investita mortalmente: si realizza così un ferale progetto già
accarezzato, e per poco non messo in atto, dal professore, che può
dedicarsi al suo malato sogno d’amore e possesso per
Lolita. Tra i due nasce una torbida e
intermittente liason, su cui gravano i sensi di colpa del
protagonista, gli occhi indiscreti della folla e un ambiguo e
astuto scrittore, Clare Quilty, ben deciso a far sua Lolita.
Lolita,
l’analisi
Lolita, tratto
dall’omonimo romanzo di Vladimir
Nabokov, è il sesto lungometraggio di Stanley
Kubrick, penultimo in bianco e nero. Il cineasta affida a
Nabokov la sceneggiatura e sfrutta il romanzo del russo (che gli
offre ottime sponde) per raccontare l’asfissiante storia del
desiderio del professor Humbert per l’adolescente
Lolita. Un pervasivo mix di ironia e di
grottesco, fedeli militi kubrickiani, preserva salutarmente
il film da baratri melodrammatici.
Il racconto è diviso in due
macroblocchi dalla morte della signora Haze; nel primo, si stringe
attorno al protagonista Humbert una prigione fatta di convenzioni
sociali, avances indesiderate e lotta (persa in partenza) col
desiderio; nel secondo, il personaggio di James
Mason è attanagliato dal sentimento morboso per Lolita,
fino ad esserne logorato. La gabbia è continua, crudele, una
persecuzione opprimente: se ne scappa colo con rimedi e gesti
estremi.
Lolita, il capolavoro di
Stanley Kubricl
Come accade nel romanzo, anche nel
film l’erotismo e lo scandalo sono costruiti per sottrazione,
dicendo e mostrando poco: la sessualità cade sotto i colpi delle
ellissi o si fa parola sussurrata in un a parte a spese
dello spettatore; e la sensualità di Lolita è tutta nel di lei
piede che ingombra lo schermo mentre scorrono i titoli
d’apertura.
Giova all’intero film l’incipit con
un fatto di sangue che si verifica alla fine della storia,
permettendo allo spettatore di concentrarsi sull’evoluzione del
rapporto Humbert-Lolita e sulle viscide scorribande di Clare
Quilty, personaggio che con le sue trovate e i suoi travestimenti
di dimostra attore (fingendo dentro la finzione) in gamba almeno
quanto quel grande Peter Sellers che gli dà vita,
e che con il suo estro improvvisato – è cosa nota – ha modellato la
scrittura del film.
Sottile l’utilizzo della voce
narrante: è Humbert che parla, racconta, con interventi utili
all’organizzazione del racconto. Si tratta di una voce di natura
misteriosa: a fine film, fatti alla mano, allo spettatore più
attento verrà da chiedersi da quale “luogo narrativo” il professore
si esprima.
C’è un Kubrick sottile e meno
adatto alle t-shirt, tutto da scoprire (senza rinnegare i
ragionevoli culti di Arancia Meccanica e simili): Lolita ne è
un’assolata e imperdibile creatura.
Shark Tale è il
film d’animazione del 2004 di Eric Bergeron, Vicky
Jenson e Rob Letterman e con le voci
di Will Smith, Jack Black, Robert De Niro, Renée
Zellweger, Angelina Jolie e Martin Scorsese.
Anno: 2004
Regia: Eric
Bergeron, Vicky Jenson, Rob Letterman
Cast: Will Smith,
Jack Black, Robert De Niro, Renée Zellweger, Angelina Jolie, Martin
Scorsese
Shark
Tale Trama: Oscar (Will Smith) è
un un umile pesciolino che lavora al lavaggio Catacei locale e
cerca di cambiare la sua vita: il caso mette sulla sua strada Lenny
(Jack Black), squalo vegetariano emarginato dalla
famiglia che cerca la comprensione e l’affetto del padre, il
temibile Boss Don Lino (Robert DeNiro): complice
una piccola bugia, i due diventeranno amici e cercheranno insieme
di cambiare il proprio destino e realizzare i loro sogni.
Analisi: La rivalità fra la
Pixar e la DreamWorks per il
controllo dell’animazione è storia antica: è vero che la seconda si
è sempre distinta per un taglio decisamente irriverente e per un
particolare gusto per la parodia e il citazionismo, ma se oggi la
distanza fra le due si va assottigliando sempre di più grazie a un
notevole innalzamento della qualità generale ( segnato in
particolare dallo splendido Dragon trainer del 2010)in passato la
battaglia non è sempre stata combattuta ad armi pari e a colpi di
originalità: dopo che la Pixar ci aveva deliziato con l’avventura
di un piccolo e coraggioso pesce pagliaccio con alla ricerca di
Nemo, la casa rivale ha tentato quindi di cavalcare l’onda
dell’appeal del mondo sommerso con Shark Tale,
lungometraggio d’animazione in CGI diretto da Eric
Bergeron, Vicky Jenson e Rob
Letterman.
Shark Tale, il film
d’animazione della DreamWorks
Assecondando il marchio di fabbrica
tipico della Dreamworks, Shark
Tale sceglie di sfruttare le potenzialità offerte dal
mare e dai suoi abitanti per costruire un una parallela realtà
metropolitana, vera e propria versione subacquea di New York
completa di Time Square e cronisti d’assalto della CNN:
naturalmente, l’organizzazione criminale abituata a tenere in
scacco la società non poteva che essere composta da Squali, che in
rispetto alla tradizione del cinema di genere spadroneggiano sul
fondale armati di accento siciliano e cattivi propositi.
Ciononostante, a differenza di quanto suggerito
dal titolo, Shark Tale non è alla fine la
storia di uno squalo: il piccolo Lenny, figlio del Boss Don Lino e
rifiutato dagli altri della sua specie perché vegetariano, è senza
dubbio l’erede designato dalla Dreamworks per
prendere il posto di Nemo e della sua pinna atrofica affermando la
propria diversità, ma appare chiaro sin dalle prime scene che il
vero protagonista della storia è il pesciolino Oscar, simpatica
canaglia senza un soldo che cerca di vivere una vita migliore di
quella che il destino ha scelto per lui; questa scelta narrativa,
che predilige un personaggio spigliato a un altro timido e
impacciato, si sposa bene col tono pop del film ma fa perdere del
tutto il fuoco degli eventi, annacquati da una sceneggiatura che
procede a tentoni e senza alcuna trovata interessante fino ad
arrivare a un finale rassicurante come da canone ma non per questo
particolarmente coinvolgente.
Se i colori sgargianti e il
character design antropomorfo, modellato ad hoc sul volto degli
attori che hanno dato le voci ai protagonisti del film, sono senza
dubbio il frutto di un lavoro tecnicamente pregevole e accurato, la
freschezza della pellicola finisce soffocata da un doppiaggio
nostrano che rinuncia a star del calibro di Will Smith,
Jack Black, Robert De Niro, Renee Zellweger e persino
Martin Scorsese per lasciar entrare
Tiziano Ferro, Luca Laurenti, Luisa Corna e
Cristina Parodi.
Non incoraggiato da un plot
sostanzioso, il sottile omaggio agli schemi del gangster movie di
Shark Tale si avvita su sé stesso e inizia a
imbarcare acqua portandosi ad un livello di noia pericolosa,
persino per i più piccoli che sono ansiosi di trovare meraviglia e
fantasia e non vogliono accontentarsi: vivere in fondo al mar va
benissimo, ma con stile.
C’era una volta il western
all’italiana. Siamo ormai nei primi anni sessanta e
l’ambientazione, tra polvere e praterie, è già stata ampiamente
sfruttata negli Stati Uniti consegnando al mondo una serie di
successi cinematografici realizzati, appunto, di là dell’oceano.
Tutto era iniziato fin dai primi del ‘900, con The
great train robbery, un film muto, uno dei
primi lavori ambientati nel selvaggio west. Sono però gli anni ‘30
e ‘40 a veder nascere le migliori espressioni del genere, opere
sintetizzabili con la mente registica di John Ford e il
volto di John Wayne. Negli anni successivi i western
avrebbero perso gradualmente d’interesse fino, appunto, agli inizi
degli anni sessanta, quando una svolta a livello di temi e
costruzione dei personaggi ridarà nuova linfa a un genere che
sembrava ormai destinato al declino. Quello che nessuno degli
addetti ai lavori avrebbe mai immaginato, però, è che questa
rinascita potesse avvenire in Italia e raggiungere un successo di
pubblico tale da accostarsi, e a tratti addirittura sopravanzare, i
western classici di stampo statunitense.
Gli “spaghetti” western, così
denominati in onore della loro provenienza geografica, nascono tra
gli anni ’60 e ’70. Il risultato sarà un netto revisionismo del
western inteso in senso classico, attraverso una serie di
caratteristiche peculiari che li distaccheranno completamente dai
“cugini” americani. In primo luogo niente eroi buoni alla John
Wayne, niente epica del west americano, eliminazione totale
degli stereotipi principali perpetrati nei western di stampo
statunitense, che erano, come logico, una sorta di elogio alla loro
storia.
Le pellicole a stelle e strisce ci
mostrano personaggi idealizzati, pieni di buone intenzioni e dotati
di una morale perfettamente integra, totalmente finalizzata al
raggiungimento della giustizia o dell’amore romantico. Nei western
all’italiana tutto questo non esiste. Evidente, innanzitutto,
l’assenza di veri e propri eroi. I protagonisti, al contrario, sono
rappresentati spesso come dei puri antieroi o, ad ogni modo, la
distinzione tra buoni e cattivi non è per nulla marcata. Furbi,
cinici, spesso sporchi e trasandati, doppiogiochisti e privi di
scrupoli, dotati di una particolare, cruda ironia. La
totalità dei personaggi introdotti nell’intreccio narrativo è mossa
da fini puramente egoistici. Spesso la molla è quella più futile,
meno moralmente accettabile, la sete di denaro.
Gli stessi scenari, pur partendo da
una comune ambientazione, sono altrettanto crudi. Le verdi praterie
vengono abbandonate in favore di paesaggi brulli e polverosi o di
piccoli paesi dimenticati da Dio e immersi nel fango. Le location
per queste produzioni erano situate in paesi del Mediterraneo, in
particolar modo Spagna e Italia, a causa del budget limitato che
solitamente avevano a disposizione, almeno prima di raggiungere un
discreto successo di pubblico. Saloon, chiese e cimiteri, feroci
sparatorie e scene di pura violenza, amputazioni, pestaggi e
torture, che avrebbero ispirato, tra gli altri, un regista come
Tarantino. Basti pensare a Django di Sergio
Corbucci e al taglio dell’orecchio di un sudista da
parte degli uomini del generale Hugo, ripreso anni dopo in uno dei
passaggi memorabili del film Le Iene.
Nomi
indimenticabili: Django, Sentenza, Sartana, Trinità, interpretati
da una serie di attori di grande livello, la maggior parte divenuta
celebre proprio grazie a queste produzioni. Primo fra tutti
Clint Eastwood, scelto da Sergio Leone per
interpretare il ruolo principale nel film Per un pugno di dollari quando ormai non lavorava
da ben cinque anni nel cinema e, si dice, si manteneva lavorando
part-time presso una pompa di benzina. Eastwood sarebbe diventato,
negli anni successivi, l’attore simbolo dell’intero genere. Con lui
Franco Nero, Giuliano Gemma, Bud Spencer e Terence Hill,
Volontè, Tomas Milian, Lee Van Cleef, Eli Wallach, per citare
solo i più noti. Più tardi anche attori già affermanti presero
parte ad alcune pellicole, come Charles Bronson e Henry
Fonda, protagonisti di C’era una volta il west, film del 1968 diretto
dal genio registico di Sergio Leone.
Proprio il regista romano sarà il
massimo esponente del genere, unico universalmente riconosciuto fin
dagli esordi, ammirato anche dai colleghi americani. Altri
produttori e pellicole, al contrario, dovettero aspettare gli anni
‘80 prima di essere rivalutate. La trilogia del dollaro, iniziata
da Leone con Per un pugno di dollari e proseguita con
Per qualche dollaro in più e Il buono, il brutto, il cattivo, ebbe un grande
successo e diede una spinta che rivoluzionò il genere western,
portando sugli schermi elementi di crudo realismo, di cui anche le
produzioni statunitensi dovettero tenere conto.
Gli spaghetti western non sono,
però, solo Sergio Leone. Sono Sergio Corbucci,
Duccio Tessari, Sollima, Castellari, Barboni e tanti altri
ancora. Registi che, ognuno con il proprio stile, daranno vita a
diverse correnti all’interno del genere, riassumibili in tre filoni
principali.
Il primo vede come principali
autori Leone e Corbucci, ed è caratterizzato dalla presenza di un
protagonista solitario, dal passato misterioso, molto abile con la
pistola, in cerca di vendetta o denaro. Il Biondo nella trilogia
del dollaro, Django nell’omonimo film di Corbucci, sono
esempi principe di questo particolare tipo di personaggio. L’uno
animato dalla sete di denaro (come lasciano intendere i titoli,
Per un pugno di dollari e Per qualche dollaro
in più) senza badare troppo ai metodi usati per
raggiungerlo, l’altro alla ricerca di vendetta per la morte della
moglie, avvenuta mentre si trovava a combattere la guerra
civile.
Il secondo filone è
invece di tipo politico, spesso ambientato tra i rivoluzionari
messicani, ispirato a Damiani e Sergio Sollima. Sollima, ad
esempio, inseriva nei suoi film riferimenti politici a Che Guevara
e alle lotte nel Terzo Mondo, al punto che il suo personaggio
Chuchillo, apparso prima in La resa dei conti e poi
Corri uomo corri e interpretato da Tomas Milian,
divenne un simbolo per i giovani di lotta continua.
Un terzo filone, dal taglio più
leggero e comico, è invece percorso da Enzo Barboni alias
E.B.Clucher, regista di Lo chiamavano Trinità
e Continuavano a chiamarlo Trinità, film che ebbero
un enorme successo commerciale al punto che il secondo fu
addirittura campione di incassi assoluto della stagione 1971/72 e,
ancora oggi, detiene il record di spettatori nella storia del
cinema italiano. Un filone che prolungò l’epopea degli spaghetti
western fino ai primi anni ’80, dopo i quali il genere entrò in una
crisi dalla quale non si risolleverà più.
Oggi il western all’italiana è un
genere tutto da riscoprire, grazie alle attenzioni degli ultimi
anni, con la retrospettiva che l’ha omaggiato alla Mostra del
Cinema di Venezia del 2007, e con l’uscita, nel 2012, del film
Django
Unchained, realizzato da un estimatore come Tarantino e
carico di citazioni alle pellicole del periodo.
In Come Pietra
Paziente in un paesino senza nome dell’Afghanistan, una
donna (Golshifteh
Farahani) veglia il marito (Hamidreza
Javdan) in coma. Lui è un eroe di guerra ferito da una
pallottola al collo, lei un’invisibile compagna rimasta sola ad
accudirlo. Fuori, nelle strade e nelle case, gli scontri e i
bombardamenti, i miliziani che uccidono i civili, la mancanza di
cibo e di acqua.
Disperata per la sorte che le
toccherà se dovesse morire il marito, lei lo accudisce con cura,
nella speranza che lui si risvegli. Le sue attenzioni, però, col
tempo mutano: potendo parlare con il suo uomo senza ottenere
risposte né giudizi, la donna lentamente comincia a svelare al
compagno incosciente i suoi pensieri, i suoi sentimenti, le sue
paure, i suoi segreti. Un giorno un miliziano (Massi
Mrowat) irrompe in casa sua e, scambiandola per una
prostituta la costringe a fare sesso, facendola sentire
inizialmente in colpa e usata, ma poi, incontro dopo incontro, viva
e desiderata, cosciente di sé e del suo corpo. Il marito, chiuso
nel suo sonno forzato, resta immobile ad ascoltare, come la Pietra
Paziente della leggenda; una pietra a cui si può confidare tutto e
che, una volta distrutta, compie la magia di liberare da ogni
sofferenza.
Come Pietra Paziente, il film
I personaggi di Come
Pietra Paziente non hanno nome, ma solo il loro
ruolo: la protagonista è moglie, madre, amante, amata, l’uomo è un
marito, un eroe, un guerriero e il giovane che si invaghisce di lei
è un ragazzo, un miliziano, una vittima e un innamorato. Così il
film diventa una metafora universale e un percorso di liberazione
dall’oppressione del silenzio, di tutti i silenzi. Le parole della
donna da pudiche diventano sempre più audaci, le rivelazioni meno
trattenute e questo monologo che scorre come un flusso quasi fisico
da lei al marito ripristina un equilibrio di potere e di importanza
in una società, come quella afghana, che fa del disequilibrio di
genere e della repressione sessuale il suo tratto dominante.
Tratto dal romanzo Pietra di
Pazienza, dello scrittore Atiq Rahimi nel film in veste di regista,
Come Pietra Paziente si impone per il suo
ritmo discontinuo, le sue inquadrature in lento movimento, i suoi
dettagli e per l’effetto provocato dalla commistione della voce
della bravissima Golshifteh Farahani e le immagini che scorrono
sullo schermo.
L’abuso del parlato e la scelta di
rappresentare una sorta di monologo interiore, inizialmente
straniante, é decisamente funzionale alla riuscita del film e
soprattutto al messaggio che sembra voler veicolare, poiché la
protagonista, grazie alle parole e attraverso le parole, smette di
essere la serva invisibile del marito e acquista sostanza,
diventando un corpo pulsante, una mente riflessiva, una donna, un
profeta.
Come Pietra
Paziente che mostra come i regimi si possano abbattere
dall’interno delle mura di una casa, semplicemente infrangendo il
silenzio. In sala dal 28 marzo.
Il successo della colletta avviata
da Kristen Bell e Rob Thomas è
ormai diventato un precedente positivo per le trasposizioni
possibili di serial tv di successo, ebbene a pochi giorni dalla
notizia arriva il twitt si Zachary Levi che è
desideroso di riproporre l’esperienza per il suo
Chuck.
Ecco i suoi due twitt:
Prima di tutto congratulazioni a
Kristen Bell e Rob Thomas per aver aiutato il mondo
dell’intrattenimento a muoversi nella direzione in cui ho sempre
sperato sarebbe andato…
Seconda cosa, a tutti i fan di Chuck,
sappiate che questa notizia non fa che alimentare la mia fiducia
sul fatto che io possa fare qualcosa per portare sul grande schermo
un film di Chuck. Abbiate pazienza e rimanete in contatto…
#chuckmovie
Quindi, dopo il film su Veronica Mars bisogna
aspettarsi quello su Chuck?
Continuano ad arrivare estratti dal
numero speciale di Total Megazine dedicato al film
L’Uomo
d’Acciaio.Oggi
arrivano le parole di
AmyAdams che
interpreta Lois Lane:
Sul rapporto fra Lois e Clark
Direi che
siano semplicemente… amici! Volevo che Lois in questo film fosse
una donna più semplice, più simile alle altre, senza diventare
qualcosa di fastidioso. Lois può diventare onnipresente, saltando
fuori in situazioni un po’ sconvenienti, ma capirete le sue
ragioni.
Poi la Adamsrivela di aver fatto tre volte il
provino per la parte in tre progetti differenti:
Ho fatto il
mio primo provino quando J.J. Abrams e Brett Ratner erano a lavoro
su una prima versione. Poi con Superman Returns ho fatto di nuovo
il provino. E per l’Uomo d’Acciaio sono arrivata a
tre.
L’Uomo d’Acciaio, il film
Warner Bros. Pictures e Legendary
Pictures presentano L’Uomo
d’Acciaio, con
Henry Cavill nel ruolo di Clark Kent/Superman,
per la regia di Zack Snyder. Il film è
interpretato anche da
Amy Adams (“The Fighter”), attrice candidata tre volte
agli Oscar, nel ruolo della giornalista del Daily Planet Lois Lane,
e il candidato all’Oscar
Laurence Fishburne (“What’s Love Got to Do with It”)
in quello del direttore del giornale, Perry White. Nel ruolo dei
genitori adottivi di Clark Kent, Martha e Jonathan Kent, ci sono la
candidata agli Oscar
Diane Lane (“Unfaithful — L’amore infedele”) e il
premio Academy Award
Kevin Costner(“Balla coi lupi”).
A combattere contro il supereroe
sono due altri Kryptoniani sopravvissuti, il malvagio Generale Zod,
interpretato dal candidato agli Oscar
Michael Shannon (“Revolutionary Road”) e Faora,
interpretata da Antje Traue. Originari di Krypton
sono anche i genitori biologici di Superman, la madre Lara Lor-Van,
interpretata da Ayelet Zurer (“Angeli e demoni”) e
il padre Jor-El, interpretato dal premio Academy Award
Russell Crowe (“Il gladiatore”). Nel cast anche
Harry Lennix, nel ruolo del Generale Swanwick,
Christopher Meloni in quello del Colonnello Hardy
e Richard Schiff che interpreta il Dr. Emil
Hamilton. Tutte le news nel nostro
speciale: Superman: Man of
steel.
Iran e Quatar stanno lavorando per
portare sul grande schermo due biopic sulla vita del profeta
Maometto. Già lo scorso dicembre infatti, la società Alnoor
Holdings del Qatar ha annunciato di voler spendere fino ad 1
miliardo di dollari per creare alcuni kolossal ispirati alle figure
del corano, prima fra tutti quella del famoso profeta vissuto nel
settimo secolo. Il governo ha già chiesto a Barrie Osborne,
produttore della trilogia de Il Signore degli Anelli,
di collaborare al progetto assieme alla star Al Jazeera Yusuf
al-Qaradawi, esperto mondiale di storia islamica.
“C’è una molto comprensibile
cautela da questo punto di vista” ha detto Osborne. “
Come è noto infatti, le ricostruzioni della vita di Maometto
non sono gradite ad una parte dei mussulmani”.
Infatti va ricordata la sanguinosa
protesta del 1977 a Washington DC precedente all’uscita del film
biografico The Message proprio su Maometto, la quale si concluse
con il sequestro di 150 persone e che portò all’uccisione di due
ostaggi. Anche il futuro sindaco Marion Barry venne ferito. Più di
recente invece è famosa la vicenda di Trey Parker e Matt
Stone, creatori di South Park, hanno ricevuto una
serie di minacce dopo aver raffigurato il Profeta vestito con una
pelle di orso durante un episodio della serie. In Iran invece, il
regista Majid Majidi (The Song of Sparrows,
Children of Heaven) ha dato il via ad ottobre ad un
progetto gemello con un budget stimato attorno ai 30 milioni di
dollari, ma ovviamente ha deciso di dare alle vicende
un’interpretazione dichiaratamente sunnita, contrariamente a quella
sciita del Quatar.
“E’ soprattutto una battaglia
politica “ ha dichiarato Philippe Ragel, docente di
cinema iraniano all’Università di Toulouse “poiché le due
confessioni hanno due diverse interpretazioni del
Corano“.
Lesley Hazleton, autore di
una biografia su Maometto The First Muslim, ha
aggiunto:
“I Sunniti sono molto più
rigidi degli sciiti sulla rappresentazione del profeta. C’è da
sperare che non nasca una guerra a causa di un film. Sarebbe
proprio il colmo.“
Nuove indiscrezioni dal fronte di
Divergent,
la nuova pellicola di fantascienza distopica tratta dal celebre
romanzo di Veronica Roth. In quest’ultimo mese infatti il
regista Neil Burger ha continuato incessantemente a cercare
nuovi volti per costruire il suo cast, e proprio nei giorni scorsi
era giunta la notizia dell’entrata definitiva di
Jai Courtney nel progetto. Pare inoltre però che
anche Aaron Eckhart, Ray Stevenson e
Miles Teller siano in trattative per assumere dei
ruoli di primo piano al fianco di
Shailene Woodley, già impegnata come protagonista nei
panni dell’eroina Beatrice “Tris” Prior.
Nel cast figurano inoltre
Maggie Q nel ruolo della proprietaria di un
negozio di tatuaggi e Ansel Elgort, che sarà il suo fratello
gemello. Alcune indiscrezioni parlano inoltre di un piccolo ruolo
per
Kate Winslet nei panni della madre di Tris.
Rob Friedman e Patrick Wachsberger, co-presidenti del
gruppo Lionsgate Motion Picture, durante un’intervista per Variety
hanno dichiarato:
“Mentre continuiamo a
sviluppare il film, lo studio conferma il proprio impegno a fornire
ai fan con un adattamento cinematografico il più fedele possibile
al libro e siamo sicuri di aver fatto una buona scelta con
Shailene e Theo nei ruoli principali. “
Vanessa Taylor sta
attualmente scrivendo la sceneggiatura sotto la direzione di Burger
e le riprese inizieranno presto a Chicago per un rilascio entro il
21 Marzo 2014.
Dopo le recenti comunicazioni circa
la programmazione del 66 Festival del Cinema di Cannes, che avevano
visto Il grande Gastby aprire a sorpresa l’edizione
2013 della croisette, i fans di Lars Von Trier avevano
incominciato a sperare. Invece purtroppo è stato proprio il regista
danese a smentire le voci che volevano la sua partecipazione al
festival con il nuovo e controverso Nymphomaniac
con protagonista Charlotte Gainsbourg nei panni di una
ninfomane. Von Trier ha giustificato la sua assenza affermando che
il complesso montaggio del nuovo film sta ritardando moltissimo la
post-produzione e che perciò la sua distribuzione non potrà essere
garantita per il periodo del festival, che si svolgerà dal 15 al 26
maggio.
Amaro in bocca dunque per i fans
del “genio sregolato” i quali speravano che dopo la figuraccia del
2010 che lo aveva visto protagonista di commenti nazisti molto
inopportuni sulla figura di Hitler (e che ne aveva causato
l’espulsione come “persona non gradita”) in occasione della
presentazione di Melancholia, Lars avrebbe potuto
riscattarsi. C’è da dire però che alcune indiscrezioni
rivelerebbero proprio il timore di nuove ritorsioni dietro alla
defezione di Von Trier. Non resta dunque che aspettare per ammirare
il nuovo prodotto del regista dello scandalo, attorno al quale si
sono già levate numerose voci controverse (ma d’altronde è cosa
normale per il povero Lars). Nel cast di Nymphomanoac
ricordiamo anche Shia LaBeouf,Uma
Thurman, Christian
Slater, Jamie Bell,Stellan
Skarsgård e Willem Dafoe.
Dopo la pubblicazione nei giorni
scorsi del nuovo inedito trailer di Come Un
Tuono (The Place Beyond The Pines),
attesissimo film della coppia Bradley Cooper e Ryan
Gosling, ecco in atemprima i nuovi poster ufficiali selezionati
per la distribuzione del lungometraggio che vede Gosling nei panni
di Luke, uno stuntman che divide il suo tempo tra l’attività di
autista di rapine e cercando di essere un buon padre per suo
figlio. Bradley Cooper sarà il poliziotto incaricato di stanarlo e
di catturarlo.
Il film uscirà negli USA il 23
marzo mentre in Italia verrà distribuito nel mese di aprile.
Completano il cast del film: Ben
Mendelsohn, Bruce Greenwood, Dane
DeHaan, Harris Yulin, Rose Byrne e Ray
Liotta.
La certezza era quasi totale, ma
ora le voci ufficiali provenienti dalla Warner Bros confermano
definitivamente; Steven Spielberg non sarà il regista di
Gods and Kings,il nuovo kolossal sulla vita di Mosé,
scritto da Michael Green e Stuart Hazeldine e nel
quale era coinvolto da più di un anno. Già da alcuni mesi infatti
il progetto si trovava in una vera e propria fase di stallo, ma
ora, dopo l’annuncio ufficiale, la Warner potrà iniziare a cercarsi
un nuovo regista per guidare il progetto, e subito si è fatto a
gran voce il nome del neo premio Oscar Ang Lee.
Secondo alcune indiscrezioni lo
studio avrebbe già contatto il regista indiano, il quale si sarebbe
dimostrato molto interessato al suo coinvolgimento, ma per il
momento non sembra aver ancora preso una decisione. Alla produzione
vi saranno Matti Lesham e Dan Lin. La sceneggiatura,
come già detto, è opera di Stuart Hazeldine (che ha già scritto
Paradiso Perduto per la Legendary/Warner) e Michael
Green (co-sceneggiatore della serie The River,
prodotta da spielberg per la ABC). l’obbiettivo della Warner è di
fare concorrenza al progetto gemello Exodus, diretto da
Ridley Scott.
Il sodalizio tra il Maestro
Ennio Morricone e il regista Quentin Tarantino,
consolidatosi negli anni con alcuni grandi successi come la
trilogia di Kill Bill, e il più recente Django
Unchained, sembra destinata a spezzarsi definitivamente. Il
celebre compositore italiano infatti, parlando proprio dell’ultimo
lavoro sonoro scritta per Tarantino, ha affermato di non
voler più avere lulla a che fare in futuro con il regista, poiché
ritiene che i ritmi di lavoro a cui è stato sottoposto non siano
equiparabili con il prodotto finale, nel quale Tarantino avrebbe
appunto selezionato solo una piccola parte del lavoro svolto dal
Maestro. In un’intervista agli studenti della LUISS di Roma,
Morricone ha dichiarato:
“Non mi piacerebbe lavorare
di nuovo con lui a nessun progetto. L’anno scorso mi disse che
dopoBastardi senza Gloriavoleva lavorare
ancora una volta con me, ma io gli risposi che non potevo perché
non mi concedeva abbastanza tempo, quindi ha usato solo una canzone
che avevo scritto in precedenza. Lavorare così è frustrante, perché
piazza la musica nei film senza alcuna coerenza. Non puoi fare
nulla con qualcuno del genere “ M
Morricone inoltre afferma di aver
visto Django Unchained, ma afferma: “ A dire la verità, non è
che me ne sia importato più di tanto. Troppo sangue. Una trama
senza logica e con grandissime banalità”
Nelle scorse ore è avvenuto un
evento abbastanza curioso per il mondo della produzione
cinematografica, in quanto la Costatine Film, celebre casa
di produzione indipendente, ha denunciato una fuga di informazioni
dai propri server causata probabilmente dall’intrusione di un
gruppo di hacker, noto come M3du5a, il quale avrebbe carpito
una serie di informazioni riservate circa la pianificazione del
nuovo progetto 50 Sfumature di
Grigio.
Tali indiscrezioni riguarderebbero
la possibile partecipazione di Emma Watson al nuovo progetto
cinematografico come protagonista, ma subito i responsabili della
produzione hanno smentito prontamente ogni affermazione, ribadendo
che per il momento non esistono ancora nomi certi né per il cast
artistico né per quello tecnico. La presenza della Watson era stata
ipotizzata più volte negli ultimi mesi, ma ora sembra che tali voci
si siano trasformate in un castello di carta. Non resta che
attendere nuove notizie dal fronte !
Geopolitica e azione sono un
binomio ricorrente nella sua filmografia, ma Matt
Damon è indubbiamente un interprete versatile, dedito con
passione al proprio mestiere e lontano dal glamour
hollywoodiano. Una curiosità: un considerevole numero di film
a cui ha partecipato reca nel titolo il nome del suo personaggio.
Matt Damon ha lavorato in numerose pellicole per
le quali si è sottoposto a un’intensa preparazione fisica, in molte
altre prevale invece la sua straordinaria sensibilità umana.
Non solo film d’azione e opere
d’autore volte all’impegno, ma anche pellicole fantasy (I
fratelli Grimm e l’incantevole strega di Terry
Gilliam, accanto al compianto Heath
Ledger), film psico-romantici (I guardiani del
destino), commedie per tutta la famiglia (La mia vita è uno
zoo), western d’autore (Il Grinta dei fratelli
Coen).
Matthew Paige Damon nasce a
Cambridge l’8 ottobre 1970, nei pressi di Boston. Figlio di
un banchiere e di un’insegnante di pedagogia, Matt Damon è il
secondogenito di una famiglia agiata che si trasferisce a Newton
fino al divorzio dei genitori, quando Matt ha appena due anni. I
due figli vengono affidati alla madre e i tre tornano a vivere
nella città natale.
Entra in una compagnia teatrale per
bambini e a 10 anni conosce una delle persone più importanti della
sua futura vita artistica: Ben Affleck. I due stringono una solida
amicizia, condividendo numerose passioni, dallo sport (i Boston Red
Sox) alla recitazione.
Il giovane Matt è uno studente
brillante e a 18 anni si iscrive alla facoltà di Letteratura
Inglese alla prestigiosa Università di Harvard. Ma dopo tre anni
abbandona gli studi accademici per dedicarsi alla sua più grande
passione: il cinema. A proposito di quel periodo, l’attore ha
affermato: “I personaggi che vedevo al cinema e in televisione
erano quelli che volevo interpretare, volevo diventare Marlon
Brando pur rimanendo me stesso”.
Dopo alcune performance teatrali,
nel 1988 debutta sul grande schermo con un cameo in Mystic
Pizza, al fianco di Julia Roberts. Nei primi anni novanta
ottiene soprattutto ruoli minori, fino al ruolo di primo piano ne
L’uomo della pioggia di Francis Ford Coppola. Nel film
tratto dal bestseller di John Grisham, Matt Damon interpreta il
protagonista pronto a tutto pur di lottare in nome della
giustizia.
In questi anni, l’attore si diletta anche nella scrittura di una
sceneggiatura insieme all’amico Ben Affleck. Finalmente la loro
opera attira l’attenzione di un produttore e diventa una pellicola:
si tratta di Will Hunting – Genio ribelle, che segna una
svolta nella carriera dei due migliori amici di Boston.
Il film diretto da Gus Van Sant è
un successo: i due attori/sceneggiatori affiancano Robin Williams,
che vince la statuetta come Migliore attore non protagonista,
mentre i poco più che ventenni Matt e Ben trionfano con l’Oscar per
la Migliore sceneggiatura originale, dopo aver conquistato il
Golden Globe e il Satellite Award, nonché numerosi premi della
critica.
La storia del ragazzo prodigio
complessato che impara a rapportarsi con il mondo apre al giovane
Matt le porte di Hollywood: Steven Spielberg lo sceglie per il suo
acclamato Salvate il soldato Ryan. Nella pellicola bellica
che si aggiudica ben 5 Academy Awards, l’attore interpreta proprio
il soldato che il Capitano John Miller (Tom Hanks) cerca di trarre
in salvo con una missione di recupero.
Si tratta di un momento
d’oro per Matt Damon. Dopo aver preso parte a
Il giocatore al fianco di Edward Norton, nel 1999 recita per
un altro grande nome di Hollywood: Anthony Minghella. L’attore è
infatti l’ambiguo protagonista di Il talento di Mr. Ripley,
circondato da un cast stellare che include Jude Law, Gwyneth
Paltrow, Cate Blanchett, Philip Seymour Hoffman e una serie di
volti italiani (tra cui i fratelli Fiorello e Sergio Rubini).
Ripley è un ladro di identità che si vendica fatalmente di una
passione non ricambiata: inquietante con quel volto da bravo
ragazzo falsamente rassicurante dietro i suoi occhiali, Matt Damon
(che impara inoltre a suonare il piano appositamente per il film)
ottiene una candidatura ai Golden Globe come Migliore attore
drammatico.
Negli anni successivi, l’attore
continua a recitare per importanti registi, da Robert Redford
(La leggenda di Bagger Vance) a due fondamentali sodalizi
della sua carriera: Gus Van Sant (Gerry) e Steven
Soderbergh.
Per quest’ultimo, prende parte a
una delle due trilogie della sua carriera, ovvero Ocean’s Eleven
– Fate il vostro gioco, seguito da Ocean’s Twelve nel
2004 e Ocean’s Thirteen nel 2007. Nella scoppiettante
triade, la banda di ladri guidata da Danny Ocean (George Clooney)
si muove fra truffe, rapine, inganni nel mondo dei casinò e della
finanza.
Il 2002 segna l’inizio di una delle
più apprezzate saghe action di inizio millennio: la trilogia di
Bourne, ispirata ai romanzi di Robert Ludlum, in cui Matt Damon è
l’ex agente segreto Jason Bourne. In The Bourne Identity, il
protagonista è un uomo che non ricorda nulla del proprio passato,
ma braccato e ricercato e, dunque, costantemente in fuga. La
trilogia si completa con The Bourne Supremacy (2004) e
The Bourne Ultimatum – Il ritorno dello sciacallo (2007),
che hanno sbancato al box office mondiale affermandosi come grandi
successi al botteghino.
Ormai star agli occhi del grande
pubblico (nel 2007 People lo elegge come l’uomo più sexy del
mondo), Matt Damon è però un anti-divo che cerca di mantenere il
giusto distacco dalla fama e dal successo, dedicandosi alla
famiglia (la moglie Luciana e le tre figlie), agli amici e alle sue
attività filantropiche. La sua sensibilità nei confronti dei
problemi che affliggono il mondo matura anno dopo anno, mostrando
la sua indole altruista e solidale: “Devo ringraziare un amico,
George Clooney, per avermi aperto gli occhi”, confessa.
Matt Damon è un forte sostenitore
del movimento Occupy, nonché di ONE Campaign (organizzazione no
profit che cerca di aiutare le popolazioni più disagiate del
pianeta), H2O Africa Foundation e Water.org.
Oltre alla sua filantropia, Matt
Damon può vantare un curriculum che procede con lavori per altri
registi importanti, tra cui Martin Scorsese. In The Departed –
Il bene e il male, l’attore duetta con Leonardo DiCaprio in un
appassionante scambio di ruoli fra agenti di polizia e infiltrati:
i due lati della giustizia si mescolano nella caccia al boss Frank
Costello (uno strepitoso Jack Nicholson). Una vera e propria gara
di bravura fra i due protagonisti, intensi e carismatici, con una
buona dose di mistero e fragilità. The Departed trionfa agli
Academy Awards 2007 con quattro statuette, conferendo il primo
sospirato Oscar al grande regista italoamericano.
Ancora giustizia, inchieste e
spionaggio per Matt Damon, in The Informant! di Soderbergh
tratto dall’omonimo libro-inchiesta, ruolo per il quale l’attore è
ingrassato di diversi chili, e The Good Shepherd – L’ombra del
potere di Robert De Niro. Spietato agente segreto, il suo
personaggio è travagliato dal conflitto interiore, costretto a
scegliere tra ragion di stato e famiglia.
Un’altra importante parentesi della
sua carriera cinematografica è la doppia collaborazione con il
grande Clint Eastwood, per il quale recita
innanzitutto in Invictus – L’invincibile (2009), del tutto
credibile nei panni del capitano della nazionale sudafricana di
rugby François Pienaar, al quale Nelson Mandela (un monumentale
Morgan Freeman) fa comprendere l’esigenza di unire il Sudafrica
sotto il segno dello sport. Con Invictus, Matt Damon viene
candidato all’Oscar come Migliore attore non protagonista, ma la
statuetta andrà a Christoph Waltz per il suo Hans Landa in
Bastardi Senza Gloria.
Nel 2010 l’attore viene nuovamente
richiamato dal Maestro Eastwood nella sua pellicola successiva,
Hereafter. Il suo personaggio è un operaio con poteri
sovrannaturali, la cui storia si intreccia con quella di un bambino
e di una donna che hanno fatto fronte alla morte in modi diversi.
Pur di avere Damon come protagonista, il regista ha modificato i
piani di produzione affinché l’attore potesse completare le riprese
su un altro set.
Per Matt Damon, il cinema è anche
sinonimo di impegno, così nello stesso anno l’attore ritrova Paul
Greengrass, che lo aveva già diretto nei due sequel della trilogia
Bourne: il progetto in questione è Green Zone, in cui Matt
veste i panni di Roy Miller, un sottufficiale che aiuta un agente
della CIA nella ricerca delle armi di distruzione di massa: tra la
guerra in Iraq, inevitabili implicazioni geopolitiche e
inseguimenti, Miller è un uomo che non si arrende e disposto a
garantire l’autenticità dell’informazione.
Dopo l’ultima collaborazione con
Soderbergh nel corale Contagion, incentrato sulla minaccia
di una terribile pandemia, Matt Damon mostra una totale dedizione
al nuovo progetto diretto da Gus Van Sant: Primised Land.
Presentato di recente al Festival di Berlino e attualmente sui
nostri schermi, all’inizio Promised Land doveva segnare il
debutto alla regia di Matt Damon, che tuttavia ha dovuto rinunciare
per difficoltà di pianificazione. Basata su una storia dello
scrittore Dave Eggers, la sceneggiatura è stata scritta dai due
interpreti protagonisti, John Krasinski e lo stesso Damon, che dopo
Will Hunting continua a mantenere vivo l’interesse per la
sceneggiatura. Promised Land tratta temi scottanti ed
estremamente attuali relativi alle discutibili modalità di
estrazione del gas naturale ed è stato presentato in Italia come
“il film che la lobby dei petrolieri ha tentato invano di
sabotare”.
Matt Damon è la star hollywoodiana
per eccellenza che invita alla responsabilità civile: ce lo
mostrano la sua filmografia di attore e il suo impegno in primo
piano. Ci aspettiamo dunque che il prossimo futuro ci offra il suo
esordio alla regia, magari con un film che tratti i tempi oscuri
che stiamo vivendo negli ultimi anni in un contesto sempre più
globale e critico. Del resto, come egli stesso afferma,
“Dobbiamo cambiare tutti, dando l’esempio in prima
persona”.
La Universal Pictures ha chiesto
allo sceneggiatore di Men in BlackEd
Solomon di riscrivere lo script per lo sci-fi
Colossus, segretissimo progetto con Will
Smith protagonista. Blake Masters and Jason Rothenberg
avevano già scritto una sceneggiatura per il film,
remake del film del 1970 Colossus: The Forbidden
Project, ma la casa di produzione non deve essere rimasta
soddisfatta.
Nulla si sa della pellicola se non
che Smith prenderà il ruolo del Dr. Charles Forbin, creatore di un
computer che ha preso il controllo del pianeta e l’unico in grado
di fermarlo. Il film sarà prodotto anche dalla Imagine di Brian
Grazer e Ron Howard.
Kate Beckinsale è in trattative per
entrare nel cast di Eliza Graves, un Thriller
psicologico della Nu Image/Millennium. Il film sarà diretto
da Brad Anderson, già regista di
The Call , e sarà ispirato ad uno dei primi
racconti di Edgar Allan Poe Il sistema del dr. Catrame e
del prof. Piuma (The System of Doctor Tarr and Professor
Fether).
La Beckinsale dovrebbe vestire i
panni di Eliza, una paziente in un istituto di igiene mentale dove
i ricoverati hanno preso il controllo e fingono di essere i medici.
Eliza diventerà l’oggetto delle attenzioni di un giovane
neolaureato di Harvard che non ha alcuna idea del mondo oscuro e
capovolto in cui è stato risucchiato.
jOBS,
attesa pellicola diretta da Joshua Michael
Stern e scritta da Matthew Whitely con Ashton
Kutcher nel ruolo di Steve Jobs, non uscirà il 19 aprile,
in occasione del trentasettesimo anniversario della fondazione
della Apple, come originariamente annunciato.
La Open Road Films ha infatti
rinviato l’uscita a data da destinarsi per occuparsi meglio della
campagna promozionale del film, che è stato prodotto e interamente
finanziato dalla Five Star Feature Films di Mark Hulme.
Nel cast del film, troveremo anche
Dermot Mulroney, Josh Gad, Lukas Haas, J.K.
Simmons e Matthew
Modine.
La Bingbing avrà il ruolo di Blink,
una mutante con potere di teletrasportarsi. Lanciatissima in
patria, l’attrice è stata presente in Double Exposure
e Lost in Thailand, grandissimi successi al Box Office
cinese e ha già 3 film in cantiere per il 2013: The Lady in the Portrait, The Moon & the Sun e Empress
Wu Ze Tian. Sta anche negoziando per entrare nel cast del
sequel di Crouching Tiger, Hidden
Dragon.
Hanry Cavill intervistato da Total
Film, svela a sorpresa che da ragazzo non leggeva
fumetti “Quando stavo in collegio non avevo un negozio di
fumetti nelle vicinanze,ma non appena sono stato scelto per il
ruolo ho avuto la mia iniziazione” quindi, dopo aver letto un
sacco e visto i film conosceva bene la psicologia del personaggio.
“Ho cercato di mettere insieme il personaggio mantenendo tutte
le caratteristiche che o trovato, aggiungendoci le sfumature
presenti in sceneggiatura. E’ un progetto tutto nostro, non dipende
da nulla. Si parla di Superman, ma non è una storia tratta da un
fumetto in particolare. E questo è bene perchè è una storia
originale“.
Michael Shannon parlando dei
costumi:
Abbiamo un enorme rispetto per quanto è stato fatto in
passato. Ma oggi è oggi. E Superman non indossa i mutandoni neanche
nei fumetti. ha la cintura rossa, ma non i mutandoni. E’ tempo di
cambiare.
Vi ricordiamo che la pellicola
uscirà negli USA il 14 giugno 2013 e nel cast oltre ai già
citati Hanry
Cavill eRussell
Crowe ci sono
anche AmyAdams, Diane
Lane, Kevin Costner,Laurence Fishburne, Michael
Shannon. L’uomo d’Acciaioè
diretto da Zack Snyder.
Tutte le info utili nella nostra
Scheda Film: L’Uomo
d’Acciaio. Tutte le news nel nostro
speciale: Superman: Man of steel
L’attore
Michael Shannon, ha avuto modo di parlare del suo
personaggio in L’Uomo
d’Acciaio, ovvero la
nemesi di Superman il Generale Zod,
sulle pagine di Total Film Megazine, ebbene, sorprendentemente
l’attore non lo definisce un Villain:
“Non è un
villain. Non lo è più di quanto non lo sia un qualsiasi Generale
che combatte per la propria gente e a cui non piace fare del male
alle persone o rubare i diamanti; è concentrato nell’ottenere
successo nel suo lavoro. Penso che il modo in cui, in passato
Terrence Stamp si è avvicinato a lui, è questa non è una critica
alla sua performance, c’era qualcosa di distaccato in lui.
Purezza, rabbia, odio…qualunque cosa. Penso che questa
caratterizzazione sia più ambigua.”
Per quanto riguarda il vestito e la
sua armatura, l’attore sottolinea che l’utilizzo della Motion
Capture è stata necessaria:
“Le cose reali mi avrebbero
distrutto”.
L’Uomo d’Acciaio, il film
Warner Bros. Pictures e Legendary
Pictures presentano L’Uomo
d’Acciaio, con
Henry Cavill nel ruolo di Clark Kent/Superman,
per la regia di Zack Snyder. Il film è
interpretato anche da
Amy Adams (“The Fighter”), attrice candidata tre volte
agli Oscar, nel ruolo della giornalista del Daily Planet Lois Lane,
e il candidato all’Oscar
Laurence Fishburne (“What’s Love Got to Do with It”)
in quello del direttore del giornale, Perry White. Nel ruolo dei
genitori adottivi di Clark Kent, Martha e Jonathan Kent, ci sono la
candidata agli Oscar
Diane Lane (“Unfaithful — L’amore infedele”) e il
premio Academy Award
Kevin Costner(“Balla coi lupi”).
A combattere contro il supereroe
sono due altri Kryptoniani sopravvissuti, il malvagio Generale Zod,
interpretato dal candidato agli Oscar
Michael Shannon (“Revolutionary Road”) e Faora,
interpretata da Antje Traue. Originari di Krypton
sono anche i genitori biologici di Superman, la madre Lara Lor-Van,
interpretata da Ayelet Zurer (“Angeli e demoni”) e
il padre Jor-El, interpretato dal premio Academy Award
Russell Crowe (“Il gladiatore”). Nel cast anche
Harry Lennix, nel ruolo del Generale Swanwick,
Christopher Meloni in quello del Colonnello Hardy
e Richard Schiff che interpreta il Dr. Emil
Hamilton. Tutte le news nel nostro
speciale: Superman: Man of
steel.
Secondo Deadline, potrebbe essere
Christian Bale l’attore che
interpreterà Mosé nel film Exodus
di Ridley Scott, il film biblico che sarà prodotto
dalla 20th Century Fox. La pellicola è un progetto
parallelo a quello della Warner Bros di
Gods ans Kings, che proprio oggi Steven Spielberg ha abbandonato,
presumibilmente per dedicarsi completamente a
TinTin, e ad un altro misterioso progetto, che
però sappiamo non essere Robopocalypse dato che è
ritornato in fase di sviluppo. La pellicola di Scott invece è stata
di recente rimaneggiata da Steve Zaillian, che ha
riscritto un copione di Adam Cooper e Bill
Collage (sullo stile di 300) proprio per andare in contro
alle corde di Scott. Oggi, quindi il film sembra essere passato
alla fase di ricerca di un protagonista forte magari per chiudere
il finanziamento. E chi meglio di Christian Bale potrebbe
convincere e mettere d’accordo tutti?..
Continuano ad arrivare gli speciali
dedicati al ritorno di Superman sul grande
schermo. Oggi è la volta della rivista tedesca
Cinema, che ha pubblicato dei nuovi ritratti del
film L’Uomo
d’Acciaio, molto affascinanti che ritraggono tutti i
protagonisti del film di Zack Snyder e
prodotto da Christopher Nolan.
Immortalati Hanry
Cavill, Russell
Crowe, AmyAdams, Laurence
Fishburne, Michael
Shannon eKevin
Costner.L’Uomo d’Acciaio esordirà nelle
nostre sale il 20 giugno 2013. Tutte le
info utili nella nostra Scheda Film: L’uomo d’Acciaio. Tutte le news nel
nostro speciale: Superman: Man of steel
L’Uomo d’Acciaio, il film
Warner Bros. Pictures e Legendary
Pictures presentano L’Uomo
d’Acciaio, con
Henry Cavill nel ruolo di Clark Kent/Superman,
per la regia di Zack Snyder. Il film è
interpretato anche da
Amy Adams (“The Fighter”), attrice candidata tre volte
agli Oscar, nel ruolo della giornalista del Daily Planet Lois Lane,
e il candidato all’Oscar
Laurence Fishburne (“What’s Love Got to Do with It”)
in quello del direttore del giornale, Perry White. Nel ruolo dei
genitori adottivi di Clark Kent, Martha e Jonathan Kent, ci sono la
candidata agli Oscar
Diane Lane (“Unfaithful — L’amore infedele”) e il
premio Academy Award
Kevin Costner(“Balla coi lupi”).
A combattere contro il supereroe
sono due altri Kryptoniani sopravvissuti, il malvagio Generale Zod,
interpretato dal candidato agli Oscar
Michael Shannon (“Revolutionary Road”) e Faora,
interpretata da Antje Traue. Originari di Krypton
sono anche i genitori biologici di Superman, la madre Lara Lor-Van,
interpretata da Ayelet Zurer (“Angeli e demoni”) e
il padre Jor-El, interpretato dal premio Academy Award
Russell Crowe (“Il gladiatore”). Nel cast anche
Harry Lennix, nel ruolo del Generale Swanwick,
Christopher Meloni in quello del Colonnello Hardy
e Richard Schiff che interpreta il Dr. Emil
Hamilton. Tutte le news nel nostro
speciale: Superman: Man of
steel.
Balzato prepotentemente in vetta al
box office della scorsa settimana, Il
Grande e Potente Oz sta riscuotendo un buon
successo di pubblico, raggruppando in un unico fandom gli
appassionati del fantasy e della magia Disney, i
fan dello strepitoso cast protagonista (James
Franco,
Michelle Williams,
Mila Kunis e
Rachel Weisz) e gli adepti del cinema di Sam
Raimi, che riesce con grande naturalezza a passare dal
film di genere al kolossal mantenendo intatta la sua grande
destrezza dietro la macchina da presa.
Ecco alcuni dei commenti più
entusiasmanti arrivati a noi di
Cinefilos.it da parte dei nostri lettori:
(Clicca sulla foto per vederla ad alta
risoluzione)
Chi ama le commedie romantiche
certamente la ricorda come protagonista di una saga cinematografica
sull’amore piuttosto sui generis, che l’ha portata al grande
successo ed ha raccolto grande consenso di pubblico, tanto che oggi
giunge al suo terzo capitolo: Before midnight di
Richard Linklater. Nato come piccolo esperimento
di cinema indipendente con Prima dell’alba – Before
sunrise (1995), americano ma senza gli stilemi del
blockbuster hollywoodiano, anzi con un’anima europea, che lo
connette in maniera intelligente a certo cinema francese, il
progetto ha saputo fidelizzare il pubblico e nutrire di dense
aspettative i lunghi anni di attesa (nel 2004 esce Prima del
tramonto – Before sunset e ora appunto, dopo altri nove
anni, eccoci al terzo momento). E la protagonista non poteva essere
che lei: eterea bellezza d’oltralpe, doppiamente figlia d’arte,
approdata presto negli Usa, dove ha portato la sua semplicità e si
è fatta apprezzare per quell’“esotica” aria parigina, scevra però
da snobismo e altezzosità. Un’attrice maturata artisticamente negli
anni, proprio come la trilogia cui ci si riferiva. Chi l’ha seguita
fin dalla sua prima fase, quella europea, ne ricorderà gli inizi
con partecipazioni nelle pellicole di Godard, o il ruolo da
protagonista in Tre colori: Film Bianco di
Kieslowski (1994). La nostra attrice è stata però diretta anche da
Carlos Saura (La notte oscura,
1989), Mika Kaurismäki (Los Angeles senza
meta, 1998) e Agnieszka Holland
(Europa Europa, 1990). È anche regista,
sceneggiatrice e produttrice, oltre che cantante.
Stiamo parlando di Julie
Delpy, nata a Parigi il 21 dicembre del 1969, figlia del
regista teatrale Albert Delpy e dell’attrice Marie Pillet. I
genitori le fanno frequentare fin da bambina il mondo del teatro e
conoscere l’arte in tutte le sue forme, cui la bambina presto si
appassiona.
È appena un’adolescente quando
viene scoperta da Jean-Luc Godard, che le dà una
piccola parte in Détective (1985). Due anni dopo si
guadagna la nomination al César come attrice più promettente,
grazie alla sua partecipazione a Quarto
comandamento di Bertrand Tavernier: cupa
storia di ambientazione medievale, in cui Julie
Delpy interpreta la giovane Beatrice De Cortemart, che
uccide il padre dopo esserne stata violentata. In quello stesso
periodo, l’attrice fa il suo primo viaggio a New York, dove poi
studierà regia alla New York University’s Tisch School of Arts. La
prima vera occasione di notorietà arriva con il ruolo della giovane
Leni in Europa Europa di Agnieszka
Holland, per cui impara anche il tedesco. Il film, tratto
dalle memorie di Salomon Perel, vince il Golden Globe come miglior
pellicola straniera.
Un’importante evoluzione nella
carriera della Delpy è rappresentata senz’altro dal lavoro fatto
sotto la direzione di Kieslowski per la trilogia legata alla
Francia e ispirata ai colori della sua bandiera. Il personaggio
interpretato dall’attrice, Dominique, è marginale sia nel
Film Blu (1993) che nel Film
Rosso (1994), ma è protagonista nel Film
Bianco (1994), il secondo della trilogia, l’unica
commedia, sebbene dai toni non troppo leggeri e anzi caratterizzata
dagli estremi: amore, ma anche dolore, crudeltà e vendetta.
Kieslowski è premiato con l’Orso d’Argento a Berlino.
Il 1995 è un anno di svolta. Delpy
passa alla regia col cortometraggio Blah, blah,
blah e inaugura il fortunato sodalizio con il regista
Richard Linklater che la vuole accanto a
Etahn Hawke per una commedia romantica
indipendente dal sapore anglo europeo: Prima
dell’alba. Non ha ambizioni smodate, e forse anche per
questo si rivela un piccolo capolavoro nel suo genere, tra i più
apprezzati della decade. È quello che ha il merito di dare alla
Delpy e a Hawke la grande popolarità internazionale. Julie
Delpy ha affermato di essersi occupata anche della
scrittura di molti dei dialoghi del suo personaggio: la studentessa
parigina Celine, che incontra per caso sul treno il giovane
Jesse/Hawke e si fa convincere a scendere con lui a Vienna e
passare la serata insieme fino all’indomani mattina, in attesa
della coincidenza che il ragazzo deve prendere per tornare in
America. È una proposta bislacca, un’avventura e sarà l’occasione
per conoscersi, parlare di tutto e innamorarsi. Delpy e Hawke,
oltre che giovani e belli, sono spontanei e naturali, nonostante il
film sia molto “scritto”. Portano infatti interamente sulle loro
spalle un film fatto di fitti dialoghi, in cui Vienna resta sullo
sfondo per lasciare spazio all’incontro di due anime gemelle.
A proposito della costruzione, di per sé un po’ rigida, del film la
protagonista ha dichiarato: “L’obbiettivo era di rendere il film
abbastanza entusiasmante, anche se ha una struttura limitata – due
persone che parlano per un’ora e mezza”. Il finale aperto, poi,
crea i presupposti per i capitoli che seguiranno, diventando un
caso e un successo clamoroso. Anche se su questo Delpy sembra
muoversi con cautela: “Non ha incassato milioni di dollari in
sala, ma abbastanza perché potessimo farne un secondo”. E non
era per nulla scontato che dopo nove anni il pubblico ricordasse la
vicenda e fosse tanto legato al film da voler assistere al sequel,
cosa che invece si è puntualmente verificata. Così come non lo era
il fatto che il regista scegliesse di puntare sulla stessa coppia
dopo nove anni e poi ancora dopo altri nove. Non era neppure detto
che il pubblico, specie quello americano, rimanesse legato a una
commedia come questa, che si prende i suoi tempi e i suoi ritmi,
molto più simili a quelli della realtà, che non all’incedere
incalzante della commedia romantica scoppiettante all’americana. La
critica accoglie il lavoro molto positivamente, accostandolo al
cinema francese più che alla sensibilità della commedia
sentimentale made in Usa. Linklater vince l’Orso d’Oro a
Berlino.
Ormai lanciata nel panorama
internazionale, nel 1998 Julie Delpy è chiamata da
Mika Kaurismäki per una parte in Los
Angeles senza meta. La vediamo poi in vari altri progetti
tra Europa e America, compresi alcuni episodi della serie tv
E.R. – Medici in prima linea (2001). Prosegue la sua
carriera da regista nel 2002 con il suo primo lungometraggio, da
lei anche scritto e prodotto, Looking for Jimmy.
Ormai vive stabilmente a Los Angeles e ha ottenuto la cittadinanza
americana, pur conservando anche quella francese.
Nel 2004, a nove anni di distanza
dal fortunato predecessore, Delpy veste di nuovo i panni di Celine
e Hawke quelli di Jesse per Befor sunset. Nove anni
sono passati non solo per gli attori, ma anche per i due personaggi
da loro interpretati nel film, che si ritrovano e ancora una volta,
sembrano avere poco tempo a disposizione per vivere un’altra
manciata di momenti indimenticabili insieme e trarre un primo
bilancio delle loro esistenze. Jesse è diventato uno scrittore di
successo, proprio raccontando la singolare storia del suo incontro
con Celine, che ora scrive canzoni e ha un rapporto assai
complicato con l’amore. Come sempre i dialoghi hanno il peso
maggiore, ma se nel primo capitolo riflettevano la spensieratezza e
certa ingenuità giovanile, oltre al desiderio di aprirsi all’altro
e conoscersi, qui c’è il confronto tra due diversi stili di vita,
due strade, che ciascuno ha intrapreso senza l’altro, ma entrambe
profondamente legate a quella breve esperienza comune.
L’inevitabile interrogativo è: cosa sarebbe successo se …? Cosa può
ancora succedere? C’è posto per rimpianti e recriminazioni, ma
anche per scoprire che i sentimenti sono intatti e che il tempo
sembra non essere passato. Tutt’altro che stanco, questo seguito ha
una sua anima pulsante, diversa, ma ugualmente forte rispetto a
quella del precedente. È agrodolce, romantico e amaro al tempo
stesso e trova ancora una volta nei suoi due protagonisti le
colonne portanti su cui reggersi. Due attori ormai perfettamente a
loro agio in questi ruoli, cui sanno dare spessore e consistenza.
Delpy collabora alla sceneggiatura e per questo ottiene anche una
nomination all’Academy. Inoltre, fa entrare anche tre suoi brani
musicali nel film – nel frattempo, infatti, l’attrice ha esordito
anche come cantante. Altro grande successo, dunque, per quello che
ormai con ogni evidenza ha oltrepassato i confini del piccolo film
indipendente.
Il 2005 la vede partecipare a
Broken Flowers di Jim Jarmush,
protagonista Bill Murray. Nel 2007, invece,
prosegue e intensifica il suo lavoro da regista uscendo con
2 giorni a Parigi, da lei anche scritto, prodotto e
montato. Qui Delpy è Marion e recita accanto ad Adam
Goldberg/Jack. Sempre alle prese con le difficoltà di
coppia, con un amore europeo-americano e con poco tempo a
disposizione per trovarsi o ritrovarsi o allontanarsi
definitivamente. La pellicola sarà seguìta nel 2012 da 2
days in New York. Nel 2009 nasce suo figlio dall’unione
con il compositore tedesco di colonne sonore Mark
Streitenfeld.
Presto la vedremo vestire di nuovo
i panni del suo personaggio più fortunato, Celine, accanto a
Ethan Hawke, in Before Midnight,
sempre per la direzione di Linklater. Il film è stato presentato
per la prima volta al Sundance Festival il 20 gennaio scorso,
mentre la premiere internazionale ha avuto luogo in febbraio al
Festival di Berlino, dove il film ha partecipato fuori concorso.
Linklater afferma di non aver cambiato nulla nello stile della
pellicola. Mentre entrambi i protagonisti sottolineano l’unitarietà
del progetto. Hawke lo vede come “Un unico film durato 18
anni”, e Delpy gli fa eco così: “Il film si è evoluto con
noi. Riflette anche le nostre vite in qualche modo”. Tutti e
tre poi concordano nel sottolineare l’importanza del particolare
processo creativo che dà vita alle pellicole: Delpy e Hawke infatti
partecipano attivamente alla scrittura della sceneggiatura. Delpy:
“È un processo creativo molto intenso, ma grandioso. È pura
creatività, e ci divertiamo anche, il che è una buona cosa”.
Altro aspetto importante nel quale gli attori individuano il
segreto del successo della trilogia è la veridicità, l’onestà dei
dialoghi, che l’attrice spiega così: “Quando scriviamo,
cerchiamo di mettere più verità possibile.
Quando ho scritto il primo film,
ricordo di aver inserito cose che erano molto significative per me
a quell’epoca”. Non dialoghi vuoti o banali dunque, ma uno
scambio d’idee che rifletteva il più possibile le reali convinzioni
e i punti di vista dei due attori. Perché, ribadisce la Delpy:
“Se fai qualcosa che è veritiero e reale per te, penso diventi
un po’ universale”, perché chi guarda, apprezza
quest’autenticità e può riconoscervisi. Altro aspetto importante
per la Delpy sceneggiatrice è dare una multidimensionalità ai
personaggi, e Celine è forse quello che nel corso degli anni si è
evoluto in maniera più complessa: “Quando scrivo cerco di dare
diversi lati ai personaggi, in modo che non siano unidimensionali.
Più dimensioni hanno, meglio è”. Questo, dice, è un aspetto che
l’ha sempre colpita, anche da spettatrice. Riguardo poi alle
anticipazioni sulla trama, l’attrice non vuole rivelare nulla se
non: “Vedrete come si evolvono realmente le persone nelle storie
d’amore; che non è tutto roseo, ma tanto reale quanto sentivamo che
fosse giusto”.
Attendiamo dunque l’uscita nel
nostro paese per verificare se ancora una volta il team conferma di
saper affrontare la tematica amorosa senza retorica e con sempre
nuova freschezza.
Dopo il grande successo de Il
Divo, il regista Paolo Sorrentino torna al suo sodalizio
artistico con Toni Servillo, lasciandosi alle spalle l’esperienza
internazionale di This must be the place. Il nuovo
lavoro, che vede i due per la quarta volta insieme sul set, è
La
grande bellezza. Presente con un promo alla scorsa
Berlinale, è molto atteso non solo in Italia, tanto che l’hanno già
acquistato: Germania, Benelux, Gran Bretagna, Israele, Grecia e
Brasile.
Poco si sa della trama, su cui,
come su tutto il film, regna il riserbo. Sappiamo però che Toni
Servillo veste i panni dell’affermato giornalista sessantenne Jep
Gambardella, abituale frequentatore della Roma mondana di oggi.
Come la Capitale, anch’egli non ha perduto il suo fascino.
Il titolo, dunque, è senz’altro
riferito alla Città Eterna, che fa da ambientazione, ma è anche
protagonista, come ha confermato Umberto Contarello – sceneggiatore
assieme a Sorrentino – definendolo un film “profondamente su
Roma” (vi è stato interamente girato). Omaggio a Fellini e alla
Dolce Vita? Può darsi. Ritratto inedito della
capitale? C’è da aspettarselo, dato lo sguardo sempre tagliente,
ironico, grottesco ma anche poetico, che caratterizza il lavoro del
regista. E viste anche alcune pagine del suo recente lavoro di
scrittore – in particolare, Hanno tutti ragione, edito
da Feltrinelli nel 2010 – in cui si soffermava proprio sulla natura
affascinante e decadente della città: “Roma, è un lungo
tramonto. (…) Questo grande catino di città che accoglie
tutti, democraticamente, con noncuranza e malevolenza. Senza
fartene accorgere , però. Come certi colpi astuti nei caveau delle
banche attraverso i tombini. Roma ti tende agguati continui e
raffinati, ma i colpevoli sono sempre introvabili. Perché sono
troppi i colpevoli (…)”. E la definiva “l’ombelico sporco di
questo paese, la capitale di questa Italia maledetta”.
“Questa Roma immutabile e copione di sé stessa
all’infinito.” Una Roma che sopravvive grazie alla frivolezza,
alla futilità: “È così che resiste brillantemente la storia
millenaria di questa città, rimescola continuamente le carte per
rinunciare a vedere una volta e per tutte l’asfissia del suo
involucro bellissimo”.
Quanto sappiamo finora de La
grande bellezza sembra consonante con questa visione.
Non è ancora disponibile il trailer, è stato possibile vederne
un’anticipazione solamente alle Giornate Professionali di Sorrento
a dicembre 2012, alla presentazione del listino Medusa del 2013. Ma
si evince dai personaggi principali che l’occhio della macchina da
presa è puntato sul mondo dell’alta borghesia romana, dei salotti
modaioli e cafoni al contempo (e qui immaginiamo che il gusto per
la caricatura grottesca di Sorrentino si sbizzarrisca).
Accanto a Servillo, Carlo Verdone in veste di
scrittore, e Sabrina Ferilli, che pare interpreti
una vamp. Ma sembra ci siano anche Isabella Ferrari, Iaia
Forte, Pamela Villoresi, Carlo Buccirosso, Luca Marinelli, Giorgio
Pasotti. La fotografia è di Luca Bigazzi e il montaggio di
Cristiano Travaglioli. La sfida sarà dunque tenere insieme una così
ricca materia e, cosa a cui il regista ci ha abituati, il grottesco
col realistico. È una coproduzione italo-francese: Indigo Film,
Medusa e Banca popolare di Vicenza, per l’Italia – Medusa inoltre
distribuisce il film nel nostro paese. Mentre per la Francia, Babe
Films e Pathé, che cura anche la distribuzione internazionale.
Non ci resta che verificare in sala
(uscita prevista per il 23 maggio) se l’ultima scommessa del
regista sarà vinta. E chissà che non lo vediamo anche a Cannes.
La festa di San Patrizio, ricorrenza
tipica irlandese, si sta diffondendo come è ormai normale, in tutti
i Paesi dell’Unione Europea, e anche oltre. In Italia, e in
particolare a Roma
Per chi non conoscesse ancora la
misteriosa figura di Makinov, basti sapere che perturbante
regista di origini russe ha pubblicato in questi giorni le prime
immagini on-line del suo ennesimo e controverso lungometraggio dal
titolo Come Out And Play. La figura di Makinov è
avvolta da un alone di leggenda e di mistero che impregna tutta la
sua giovane carriera di regista, che secondo alcune scarne
informazioni di seconda mano sarebbe iniziata come operatore per
convergere in seguito alla regia di numerosi spot pubblicitari e
documentari dal sapore gotico e disturbante. Si dice poi che, in
seguito a terribili allucinazioni causate da una massiccia
assunzione di peyote, Makinov abbia avuto la sua prima rivelazione
cinematografica, convergendo verso un cinema fatto di orrore e
distorsione. Dopo aver pubblicato on line un video-manifesto in cui
compare con il viso coperto da un cappuccio rosso e con una voce
distorta, Makinov si sta lentamente imponendo all’attenzione
internazionale attraverso la rete.
Come Out And Play, primo
lungometraggio del regista, si presenta come un remake dell’opera
Who Can Kill A Child? del 1976 diretta dallo spagnolo
Ibanez Serrador e tratterebbe di una giovane coppia che
decide di prendersi una vacanza in una tranquilla isola, per poi
scoprire che essa è abitata da bambini selvaggi intenti ad uccidere
tutti gli adulti. Per compensare il budget estremamente ridotto,
Makinov ha puntato molto su una campagna pubblicitaria fatta di
provocazioni e di un passa parola sul web, data la poca
considerazioni all’interno dei festival di genere. Inoltre vi sono
richiami diretti ed indiretti al racconto Children Of The
Corn di Stephen King, già ispiratore del film
originale. Per il momento non esiste ancora una data di uscita e
distribuzione internazionale, ma nell’attesa ecco i primi due
poster ufficiali.