E’ corriere.it a pubblicare in anteprima il content-Trailer che ripercorre tutta la saga di Harry Potter, cominciando dai provini di Daniel Radcliffe, Emma Watson e Rupert Grint, fino al gran finale.
Il Conte di Montecristo: Sam Claflin è Edmond Dantes nella prima foto
PALOMAR in collaborazione con DEMD productions e in collaborazione con RAI FICTION, FRANCE TELEVISIONS, MEDIAWAN RIGHTS ed ENTOURAGE sono orgogliose di annunciare la serie, in 8 puntate da 52 minuti, Il Conte di Montecristo. Il gruppo di partner europei ha interamente finanziato la serie – che è una produzione indipendente e rientra tra i nuovi progetti dell’Alleanza Europea – le cui riprese avranno luogo in Francia, Italia e Malta fino a metà dicembre.
La regia della serie è affidata al visionario regista danese Bille August, (“Pelle alla conquista del mondo”, Palma d’oro a Cannes e Oscar per il Miglior film straniero; “Con le migliori intenzioni”, Palma d’oro a Cannes; “La casa degli spiriti”, “I Miserabili”, “55 passi”).
Un prestigioso cast dà nuova vita a uno dei romanzi senza tempo e più popolari di sempre della letteratura francese, “Il Conte di Montecristo”. L’attore inglese Sam Claflin (“Pirati dei Caraibi: oltre i confini del mare”, “Hunger Games”, “Peaky Blinders”, “Daisy Jones & the Six”) è Edmond Dantes, l’iconico protagonista del romanzo.
Il cast include, tra gli altri, Ana Girardot, Mikkel Boe Følsgaard, Blake Ritson, Karla-Simone Spence e gli attori italiani Michele Riondino, Lino Guanciale, Gabriella Pession e Nicolas Maupas.
Guardando con rispetto al passato,
ma con un approccio moderno e sensibile, i
produttori e il regista hanno voluto conservare la ricchezza
originale della storia per valorizzare l’eredità letteraria di
Alexandre Dumas, esplorando e approfondendo allo stesso tempo le
motivazioni dei personaggi e gli aspetti emotivi e psicologici
delle loro personalità.
La serie si contraddistingue anche per un inedito punto di vista
sui personaggi femminili, tra tutti quello della giovane Haydée che
conferirà un tocco di modernità al racconto: non più la schiava
timorosa ma una giovane donna coraggiosa.
Carlo Degli Esposti – Palomar – «Il Conte di Montecristo è uno dei romanzi che più mi stanno a cuore e farne una serie è un grande risultato professionale, soprattutto perché vanta un talentuoso regista come Bille August (che porterà modernità all’interno della tradizione) e un protagonista di grande livello quale Sam Claflin. È inoltre un grande onore realizzare questa serie con DEMD e Mediawan, stimati colleghi francesi. La sfida che vogliamo vincere è quella di trasporre un grande classico della letteratura europea in una fiction televisiva per le nuove generazioni.»
Sébastien Pavard – DEMD Productions – «È un’incredibile opportunità e una grande sfida essere parte attiva di una serie di questo calibro, riprendendo un romanzo pubblicato nel 1844 da un autore francese così prolifico come Alexandre Dumas, adattato così tante volte per il cinema e la televisione, rinnovando la tendenza ad una nuova collaborazione europea, con attori di fama internazionale, insieme ai nostri cugini italiani di Palomar.»
Elisabeth d’Arvieu – Mediawan Pictures – «Il progetto Montecristo è estremamente emozionante perché incarna ciò che Mediawan è in grado di immaginare e costruire intorno a un’opera iconica interpretata da un cast prestigioso. È il frutto della collaborazione di due fra le più prolifiche case di produzione del gruppo – Palomar in Italia e DEMD in Francia – la cui esperienza e il cui know-how sono supportati dalla nostra divisione di distribuzione Mediawan Rights e da un partner come Entourage. È il risultato di tutto ciò che facciamo per coltivare il talento e portare al pubblico i progetti internazionali più creativi e ambiziosi.»
Maria Pia Ammirati – Rai Fiction – «Alexandre Dumas è un maestro di storie che hanno il motore della serialità. Riportare sul piccolo schermo, a distanza di 57 anni dallo storico sceneggiato del 1966 con Andrea Giordana, il racconto archetipico de Il conte di Montecristo non solo è coerente con la linea editoriale di Rai Fiction ma ci entusiasma anche per la possibilità di collaborare a una nuova coproduzione internazionale dell’Alleanza Europea con Palomar, Demd Productions e France Télévisions per offrire al pubblico di oggi – ai giovani in particolare – un grande classico in una rilettura contemporanea. Siamo felici di poterlo fare al meglio della qualità con un regista autorevole come Bille August e un cast internazionale guidato da Sam Claflin.»
Manuel Alduy – France Télévisions – “Il Conte di Montecristo contiene in sé tutti gli ingredienti di una grande serie internazionale che saprà intrattenere il nostro pubblico francese: l’adattamento di una famosissima storia che proviene dal patrimonio letterario nazionale, una produzione ambiziosa curata da Palomar e DEMD, un cast di alto livello guidato da un grande autore quale Bille August. Siamo molto orgogliosi di essere partner di RAI in questa nuova coproduzione, il nostro dodicesimo progetto internazionale coprodotto dalla European Alliance”
Il Conte di Montecristo: Jeremy Irons nel cast della nuova serie tv
Il premio Oscar Jeremy Irons si unisce al prestigioso cast della serie evento dell’Alleanza Europea “Il Conte di Montecristo”, prodotta da PALOMAR (Italia), in collaborazione con DEMD Productions (Francia) e in collaborazione con Rai Fiction e diretta dal premio Oscar Bille August.
Per questa sua terza collaborazione con il regista Bille August, Jeremy Irons interpreterà l’iconico abate Faria, l’anziano prete che stringe un’intensa amicizia con Edmond Dantès, interpretato dall’attore inglese Sam Claflin (“Pirati dei Caraibi: oltre i confini del mare”, “Hunger Games”, “Peaky Blinders”, “Daisy Jones & the Six”). Faria gioca un ruolo fondamentale nel piano di vendetta del protagonista nell’amatissimo romanzo senza tempo Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas, una delle opere letterarie francesi più famose al mondo.
Irons è noto per film come Inseparabili, Il mistero von Bulow (per il quale ha ricevuto il premio Oscar come miglior attore protagonista), La casa degli spiriti, House of Gucci e per il suo memorabile ruolo nella serie tv Watchmen. Le riprese della serie si svolgeranno a Malta nel corso delle prossime settimane.
Il cast di Il Conte di Montecristo comprende anche Ana Girardot (Les Revenants – Quando ritornano, Escobar) nel ruolo di Mercedes, oltre a Mikkel Boe Følsgaard (Royal Affair, The Rain, Ehrengard: l’arte della seduzione), Blake Ritson, Karla-Simone Spence, Michele Riondino, Lino Guanciale, Gabriella Pession e Nicolas Maupas.
Questo progetto è prodotto da PALOMAR (Mediawan) – Italia, in collaborazione con DEMD Productions (Mediawan) – Francia e in collaborazione con RAI FICTION – Italia e FRANCE TELEVISIONS – Francia. Distribuito nel mondo da MEDIAWAN Rights in collaborazione con CAA (North America) e con la partecipazione di ENTOURAGE.
La trama della serie Il Conte di Montecristo
Ingiustamente accusato di tradimento, Edmond Dantes, un marinaio diciannovenne, viene imprigionato senza processo nel castello d’If, una cupa isola-fortezza al largo di Marsiglia. Dopo molti anni di prigionia riesce finalmente a scappare e, celato dietro l’identità del conte di Montecristo, progetta di vendicarsi di coloro che lo hanno ingiustamente incolpato.
Il Conte di Montecristo con Gerard Depardieu
Serata all’insegna del grande romanzo
quello in programmazione questa sera. Infatti il film che vi
segnaliamo oggi è Il Conte di
Montecristo con Gerard
Depardieu in onda su Canale 5 giovedì 2 e venerdì 3
alle 21:10. Nel cast anche gli italiani Ornella Muti e Sergio
Rubini.
La fiction è tratta dall’omonimo, affascinante romanzo di Alexandre Dumas. Ambientata nell’ 800, anche la fiction racconta le avventure di Edmond Dantes (Gerard Depardieu), un giovane marinaio marsigliese che, la sera del suo fidanzamento con una bellissima ragazza, Mercedes, viene ingiustamente imprigionato in seguito ad una macchinazione ordita ai suoi danni. Rinchiuso per venti interminabili anni nelle segrete di un castello, Edmond evade mosso da un inestinguibile desiderio di vendetta ed andrà in cerca di tutti coloro che lo hanno ingiustamente condannato. Per la prima volta Gerard Depardieu recita per la televisione e fa tornare Edmond Dantes nel piccolo schermo. La storia di un eroesospeso tra vendetta e giustizia è stata girata combinando ritmo e sentimenti, spettacolarità ed eleganza, fascino e autenticità.
Il protagonista è affiancato da Ornella Muti che interpreta Mercedes, la donna tanto amata da Edmond Dantes, e da Sergio Rubini nel ruolo di Bertuccio, suo servitore e amico.
Il Conte di Monte Cristo: in arrivo un adattamento contemporaneo
Deadline riporta che alla Warner Bros è in lavorazione un nuovo adattamento de Il Conte di Monte Cristo, l’immortale romanzo di Alexandre Dumas. La WB, in collaborazione con la Safehouse Pictures, ha assegnato a William Eubank, regista di The Signal, il compito di dirigere un adattamento contemporaneo della storia di vendetta di Edmond Dantes. Il film sarà prodotto da Joby Harold e Tory Tunnell, mentre la sceneggiatura sarà firmata da Joe Pokaski (Underground).
Diffuso come racconto d’appendice, Il Conte di Monte Cristo vide la sua prima pubblicazione in forma di romanzo nel 1844. La storia è ambientata in Italia, in Francia e nelle isole del Mar Mediterraneo, durante gli anni tra il 1815 ed il 1838 (dalla fine del regno di Napoleone I al regno di Luigi Filippo). I principali temi trattati riguardano la giustizia, la vendetta, il perdono e la misericordia.
La storia della vendetta di
Edmond è stata raccontata più volte al cinema e in televisione, a
partire dalla versione del 1922, intitolata Monte
Cristo e diretta da Emmett J. Flynn.
Versioni relativamente recenti e conosciute dell’adattamento dal
romanzo sono quella del 1998 con Gerard Depardieu
e Ornella Muti, celebre in Italia, e quella del
2002, diretta da Kevin Reynolds, con Jim
Caviezel nel panni di Edmond e con un giovanissimo
Henry Cavill.
Cosa ne pensate?
Fonte: CS
Il contagio sarà il prossimo film di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini
Sarà il Contagio il prossimo film di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini già registi dell’apprezzato Et in terra pax e che ritornano a lavorane insieme a Kimerafilm e Axelotil Film di Andrea Arcopinto e Simone Isola con il sostegno di Rai Cinema e con il contributo del MiBACT.
Il contagio tratto dal romanzo omonimo di Walter Siti, si baserà su una sceneggiatura scritta da Matteo Botrugno, Daniele Coluccini e Nuccio Siano.
Trama del romanzo: Un angolo
di borgata, una casa popolare, tre piani di cemento. Dentro
abitano Chiara e suo marito Marcello, ex culturista dalla
sessualità incerta, Francesca, la paraplegica combattiva militante
di sinistra, Bruno, ultrà romanista in affidamento diurno. E poi
Gianfranco, lo spacciatore che prova a entrare nel giro grosso,
Eugenio detto “er Trottola”, che lavora in un’officina e si scopre
innamorato della prostituta con cui convive… In questo paesaggio
fatto di pezzi di campagna, villaggi e lembi di metropoli, le loro
storie s’intrecciano, unendosi a quelle di personaggi che la
borgata l’hanno scelta, per ribellione, per fascinazione. Come
Flaminia che s’è sposata Bruno rompendo con la famiglia; o come il
professore, che ama Marcello e lo mantiene.
Con una lingua “presa dal vero” ma non per questo meno letteraria,
che contamina il romanesco dei personaggi con l’italiano e piega
l’italiano dell’autore verso il dialetto, Siti costruisce un
romanzo che cancella se stesso in un brulicare di mille storie
violente e grottesche, la cui somma, alla fine, dà zero.
Il Contadino Cerca Moglie con Diletta Leotta: domani la penultima puntata
La quarta stagione de Il contadino cerca moglie, il dating show prodotto da Fremantle per Fox Networks Group Italy, è giunta alla sua fase più calda e romantica.
Domani, mercoledì 12 dicembre alle 21.00 andrà in onda la penultima puntata, e l’amore continuerà a illuminare la prima serata di FoxLife (canale 114 di Sky).
I 5 single di campagna che hanno aperto le porte delle loro fattorie ad altrettanti single di città, saranno protagonisti, poi, dell’ultimo atto del dating show mercoledì 19 dicembre alle 21 con il gran finale.
La conduttrice, DILETTA LEOTTA, la “Cupido” che tende l’arco dell’amore verso i cuori dei nostri contadini solitari ci accompagnerà in queste ultime due puntate alle decisioni finali dei contadini all’interno delle campagne italiane in un viaggio bucolico che continua dal Nord al Sud del Paese.
Il Contadino Cerca Moglie, la puntata
Diletta sarà sempre la confidente privilegiata di ciascun contadino, con lei i protagonisti continueranno a raccontarsi, sfogando i loro dubbi e chiedendo un consiglio spassionato fino alla puntata finale della prossima settimana, dove scopriremo se l’amore ha trionfato e si sono formate nuove coppie. Al momento degli addii, Diletta rivelerà la decisione dei contadini ai pretendenti: la prescelta (o il prescelto) potrà restare in fattoria e iniziare una nuova vita in campagna, mentre per tutte/i gli altri sarà tempo di fare i bagagli e tornare alla routine cittadina.
Nelle ultime edizioni il programma si è aperto anche alle contadine donne e anche quest’anno ci sono due protagoniste, una in cerca di “marito” e un’altra che cerca una “moglie” disposta a trasferirsi per amore dalla città alla campagna.
IL PROGRAMMA
Il programma è un adattamento del format internazionale Farmer Wants a Wife– ed è prodotto da Fremantle per Fox Networks Group Italy.Il contadino cerca moglie, felice incontro tra docu reality e dating show, è nato in Inghilterra nel 2001 e da allora è andato in onda in circa 30 Paesi, tra cui Francia, Germania, Spagna e Stati Uniti, riscuotendo ottimi ascolti e facendo nascere tante storie d’amore: 72 i matrimoni celebrati e 136 i figli nati nel corso delle varie edizioni. Solo in Francia, dove il programma ha raggiunto le 10 edizioni, sono stati 15 i contadini convolati a nozze e 24 i bimbi nati. Fiocco rosa anche per l’edizione italiana con la nascita della figlia di Manolo e Jennifer, una delle coppie protagoniste della prima stagione.
Il Contadino cerca moglie è un programma di Marta Marelli, Lorenzo Campagnari e Celeste Laudisio, con la regia di Giampaolo Marconato.
Il Console Italiano: recensione del film
Per la regia di Antonio Falduto, Il console italiano è un film indipendente che affronta in modo ambizioso l’annoso ma sottovalutato dramma del traffico di donne africane. E’ l’Africa, insieme a Giuliana De Sio, la protagonista di un film italiano, ma dal sapore decisamente internazionale che vede l’ambiente africano invadere prepotentemente lo schermo e fare da sfondo al giro di vite dei personaggi. Il caso vuole che Giovanna Bruno, console italiano a Cape Town, allo scadere del mandato, si imbatta nella graziosa e giovane Palesa Kubeka (Lira Kohl) alla disperata ricerca del suo fidanzato, il fotogiornalista Marco Borghi, scomparso in circostanze misteriose.
Il console italiano, il film
Quando il console si rifiuta di aiutarla, tra le due donne si innalza un muro di incomprensione e di diffidenza; Giovanna, la classica donna in carriera, sagace e razionale, aveva vissuto da ragazza una travolgente storia d’amore con Marco, che poi aveva interrotto bruscamente. Eppure lo scottante e doloroso ricordo di quell’amore, a distanza di anni, ancora le impedisce di trovare la pace interiore e di vedere le cose nella giusta ottica. Un po’ mordace ed arida nei confronti di Palesa, intraprende così un’ostinata quando assurda ricerca personale e solitaria del suo amato, durante la quale scopre che Marco stava indagando su un traffico illecito di esseri umani. Ancora una volta gli eventi la condurranno verso Palesa e, grazie a una serie di reciproche rivelazioni (la ragazza racconta a Giovanna di aver incontrato Marco dopo essere sfuggita al racket della prostituzione), le due donne si scopriranno meno diverse di quanto immaginavano: caparbie, ostinate, dai vissuti dissimili, ma accomunate da un profondo senso di solitudine.
Un film, Il console italiano, che cerca di far luce sulla tragica e ingiusta realtà vissuta da molte donne africane, ma anche sulla generale drammaticità dell’esistenza umana, attraverso una donna che tramite l’irrefrenabile legame con l’ambiente esterno, trova il modo di raccontare il suo dramma personale, di affrontare le proprie paure, di fidarsi degli altri, insieme alla scoperta di una realtà altra.
Il console italiano alterna sequenze emotive e personali – corredate da un evocativo commento musicale e intimi primi piani e particolari – a sequenze più narrative, la cui nota musicale investigativa sembra ricondurlo al poliziesco nostrano, ma in versione più soft. A fare da raccordo c’è l’invasiva e crudele mamma Africa in tutta la sua carica emotiva ambientale, e nella sua viscerale contraddittorietà.
Un prodotto filmico che convoglia alcuni momenti di ilarità nella forte drammaticità della storia raccontata, dall’evidente carattere televisivo – complice la forzatura e lo stile laccato e forse un po’ troppo melò dei dialoghi – , che pecca un po’ di innaturalezza e artificio nell’accostamento delle storie delle due donne. Nel complesso un apprezzabile tentativo di virare la direzione mainstream a cui di recente il cinema italiano ci ha abituato.
Il Confine: al via le riprese del nuovo film di Vincenzo Alfieri
Iniziano il 18 marzo le riprese de Il Confine, diretto da Vincenzo Alfieri con Edoardo Pesce e Massimo Popolizio. Vincenzo Alfieri, dopo I Peggiori e Gli uomini d’oro, torna alla regia con un thriller denso di colpi di scena, una storia che varca ogni confine.
Le riprese si svolgeranno in diverse località dell’entroterra laziale con inizio il 18 marzo 2021. Il confine sarà distribuito in Italia e nel mondo da Vision Distribution.
La trama
Uno sperduto paese al limite del bosco, un rave, due giovani scomparsi, l’incubo di un mostro che torna dal passato. Indagano i carabinieri Meda, un uomo sconfitto dalla vita e Rio, il capitano inflessibile e rigoroso. Ma questa volta il mostro ha rapito la persona sbagliata.
Il Confine, prodotto da Fulvio e Federica Lucisano, è una produzione Italian International Film – Gruppo Lucisano e Vision Distribution, liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Giorgio Glaviano (Marsilio Editore) ed è sceneggiato da Vincenzo Alfieri, Fabrizio Bettelli e Giorgio Glaviano.
Il condominio dei cuori infranti: recensione del film
In Il condominio dei cuori infranti un uomo rimasto temporaneamente paraplegico in seguito a un bizzarro incidente con una cyclette si finge un fotografo professionista per conquistare l’infermiera del turno di notte nell’ospedale in cui si rifornisce in segreto di snack. Un astronauta della NASA, durante un inaspettato rientro sulla Terra, si trova a dover chiedere ospitalità a un’anziana donna di origine magrebina appassionata di sit-com. Un giovane e apatico studente stringe un occasionale e complesso rapporto di amicizia con una nevrotica vicina, attrice di mezza età in piena crisi artistica. Queste le storie e questi i destini che s’incontrano (e scontrano) all’ombra di tre angusti appartamenti situati in un diroccato condominio della periferia francese, scatenando una serie di reazioni a catena che progrediscono allo straordinario ritmo di una favola grottesca e a tratti surreale. Prendendo spunto da due strambi racconti contenuti nell’antologia «Chroniques de l’Asphalte» la quinta pellicola del regista transalpino Samuel Benchetrit, presentata fuori concorso al 68° Festival di Cannes, si pone come uno dei casi cinematografici più interessanti degli ultimi tempi, in primis grazie alla straordinaria capacità di saper conciliare una garbata messa in scena squisitamente minimalista con tocchi di surrealtà e humor degni delle più acute opere sperimentali brechtiane.
Il condominio dei cuori infranti, il film
Il racconto si dipana attraverso uno stile straordinariamente essenziale che ricalca l’estetica kafkiana di Roy Andersson, rinunciando a barocchismi nei movimenti di camera e scegliendo invece di impiegare una serie di inquadrature per lo più statiche e teatrali, le quali ben sanno descrivere il doppio rapporto fra il dentro e il fuori, fra la “clausura” dei singoli locali e la brumosa atmosfera degli esterni, sempre ripresi attraverso illuminazioni crepuscolari o con aperture di campo molto ristrette.
Facendo ricorso a una prima parte affidata esclusivamente alla predominanza dell’immagine-azione e a una seconda in cui prevale il peso dell’immagine-parola (meglio, discorso) Il condominio dei cuori infranti impiega il procedimento della narrazione episodica – già sperimentato da Benchetrit nei precedenti lavori – per intersecare fra loro tre improbabili coppie, le quali non possono che affidarsi alla natura effimera e ambigua di rapporti destinati a sorprendenti trasformazioni, in una narrazione nella quale la donna si trova a ricoprire il ruolo centrale e contraddittorio di amica-amante, madre-salvatrice e sconosciuta.
Avvalendosi di partecipazioni internazionali eccellenti quali Michael Pitt, Isabelle Huppert e Valeria Bruni Tedeschi, il film appare come una divertente e profonda riflessione sul ruolo della solitudine, della solidarietà e delle relazioni d’occasione, spingendo lentamente il proprio eccellente pedale qualitativo entro un mondo suburbano fatto di cemento e apparente freddezza, dove uno sporadico e inquietante rumore di sottofondo contribuisce a sottolineare la natura criptica e a tratti perturbante.
Il concorso: la vera storia oltre il film con Keira Knightley
L’8 marzo si celebra la Giornata internazionale della donna, per ricordare le sia le conquiste sociali, economiche e politiche sia le discriminazioni e le violenze di cui troppo spesso le donne sono ancora oggi oggetto in tutto il mondo. In questa giornata si pone dunque l’attenzione su questioni legate alla necessità di un’uguaglianza di genere. Anche il cinema non dimentica di celebrare tutto ciò, proponendo specialmente negli ultimi anni diversi film attenti a queste tematiche. Tra i più recenti si possono citare titoli come Suffragette, Il diritto di contare e She Said, ma anche Il concorso.
Realizzato nel 2020, è questo il secondo film della regista Philippa Lowthorpe, meglio nota per aver diretto serie televisive come L’amore e la vita, Jamaica Inn e The Crown. Per questo suo secondo lungometraggio, la regista si è affidata ad una storia vera, attraverso cui poter raccontare alcune figure femminili di grande importanza nella storia dei diritti delle donne ed esaltare dunque l’eterna importanza del loro operato. A causa della pandemia da Covid-19, purtroppo, il film è stato distribuito direttamente in home-video, mancando dunque di raggiungere un ampio pubblico.
Si tratta però di un titolo molto apprezzato, che proprio per le sue importanti tematiche meriterebbe di essere riscoperto. Composto da un cast di celebri attori, Il concorso ha infatti tutte le carte in regola per poter essere indicato come uno dei migliori film sull’importanza dell’uguaglianza di genere. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà utile approfondire alcune curiosità relative ad esso. Proseguendo qui nella lettura sarà possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast di attori e alla vera storia oltre il film. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il titolo nel proprio catalogo.
La trama e il cast di ll concorso
La vicenda si svolge a Londra nel 1970, nei giorni in cui si sta svolgendo il celebro concorso di bellezza Miss Mondo, presentato dall’attore Bob Hope. La cerimonia è però destinata a passare alla storia, poiché un gruppo di donne esponenti del Women’s Liberation Movement, capitanate da Sally Alexander, ha deciso di interrompere la gara per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza dei diritti delle donne. La loro attività diventa da quel momento popolare in tutto il mondo e fa sì che, una volta che il concorso riprenda il suo regolare svolgimento, qualcosa di inaspettato accada al momento delle proclamazione della vincitrice.
Ad interpretare la protagonista del film, Sally Alexander, vi è l’attrice candidata all’Oscar Keira Knightley, meglio nota per essere stata Elizabeth Swan nella saga di Pirati dei Caraibi. Accanto a lei si ritrovano poi Jessie Buckley nei panni di Jo Robinson, Keeley Hawes in quelli di Julia Morley, Phyllis Logan in quelli di Evelyn Alexander e Lesley Manville nel ruolo di Dolores Hope, moglie di Bob. Quest’ultimo è interpretato da Greg Kinnear, attore noto per il film Qualcosa è cambiato. Infine, Rhys Ifans è è il fondatore di Miss Mondo Eric Morley, mentre Gugu Mbatha-Raw interpreta Jennifer Hosten, Miss Grenada.
Il concorso: la vera storia oltre il film
Come anticipato, il film è basato su di una vicenda realmente avvenute. Si raccontano infatti due storie che si intersecano nella cornice del concorso di Miss Mondo svoltosi a Londra nel 1970. Una è la storia dell’ardente protesta guidata da un gruppo di femminister per i diritti delle donne, mentre l’altra è il racconto di una silenziosa rivoluzione attuata da una delle concorrenti. Oggi, i requisiti di ammissibilità del concorso Miss Mondo hanno subito un drastico cambiamento per soddisfare e difendere gli ideali del 21° secolo. Ma il concorso degli anni ’70 è emerso in un tempo e in un luogo in cui Eric Morley, il fondatore del concorso, faceva leva su ben precisi stereotipi di bellezza.
Intorno al 1970, i concorsi di Miss Mondo erano all’apice della loro popolarità, con addirittura 100 milioni di spettatori che si erano sintonizzati per l’edizione del 1969. Il concorso nel 1970 ha però guadagnato popolarità per motivi completamente diversi dalla semplice esibizione di bellissime donne. Il Women’s Liberation Movement (WLM) ha infatti quell’anno deriso lo sfarzo di Miss Mondo, indicando tale concorso come promotore dell’oggettivazione dei corpi delle donne e della mercificazione della loro sessualità. Nel 1970, dunque, il WLM iniziò a protestare attivamente per mostrare il proprio disappunto nei confronti di quel concorso.
Nella serata del concorso, dunque, il movimento, guidato da Sally Alexander, ha pianificato di interrompere, in diretta televisiva, lo svolgimento del suddetto. Un gruppetto di donne ha quindi preso d’assalto il palco armate di bombe di farina e frutta assortita. Le attiviste sono poi state arrestate e multate per una cifra oggi equivalente a circa 1.500 sterline. In concomitanza con la resistenza femminista, il film ritrae anche l’altra grande questione dei diritti sociali e civili dei nostri tempi: il razzismo. Al concorso del 1970, Jennifer Hosten, Miss Grenada, è stata infine dichiarata la prima Miss Mondo afroamericana, praticamente 20 anni dopo l’inizio dell’evento.
Il film descrive dunque la lotta della Hosten per l’uguaglianza razziale durante lo spettacolo e la sua trionfante vittoria alla fine di esso. Ma per Hosten, la battaglia non sarebbe finita qui. Più tardi, molti sosterranno che il concorso è stato pilotato a favore della Hosten da Sir Eric Gairy, allora Primo Ministro di Grenada, che ha servito come giudice per il concorso. Eric Morley, tuttavia, ha sempre confutato tali affermazioni, secondo cui la Hosten non avrebbe vinto per merito, e lo ha fatto anche rendendo pubbliche le schede elettorali della giuria, affinché il mondo le vedesse e capisse che tutti avevano indicato la Hosten come vincitrice.
Il trailer di Il concorso e dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di Il concorso grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Chili Cinema, Google Play e Rai Play. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di mercoledì 8 marzo alle ore 21:25 sul canale Rai 1.
Fonte: IMDb, TheCinemaholic
Il concorso con Keira Knightley in on Demand
BiM Distribuzione annuncia che Il concorso (tit. orig. Misbehaviour), della pluripremiata Philippa Lowthorpe, già regista della serie The Crown, con Keira Knightley, Gugu Mbatha-Raw e Jessie Buckley, che arriverà nelle sale virtuali MioCinema e #iorestoinSALA il 25, 26 e 27 dicembre.
Il concorso sarà poi disponibile dal 2 gennaio in Premium Video on Demand su Sky Primafila, iTunes, GPlay, Rakuten TV, TIMVISION, Chili e Infinity.
Il film racconta la protesta del Movimento di Liberazione delle Donne britannico durante la cerimonia di incoronazione di Miss Mondo 1970, anno in cui venne eletta la prima Miss Mondo di colore. In una serata indimenticabile in mondovisione, due eventi storici fondamentali per la lotta per l’emancipazione femminile e contro le discriminazioni razziali.
Il concorso, trailer
Il concorso, la trama
Nel 1970 a Londra ebbe luogo il concorso di Miss Mondo, presentato dal leggendario attore comico Bob Hope. All’epoca Miss Mondo era il programma televisivo più seguito del pianeta, con oltre cento milioni di spettatori. Sostenendo che i concorsi di bellezza fossero degradanti per le donne, il neonato Movimento di Liberazione delle Donne britannico divenne famoso da un giorno all’altro facendo irruzione sul palcoscenico e interrompendo la diretta in mondovisione della gara. Ma non fu l’unico scandalo della serata: quando il collegamento della trasmissione fu ripristinato, a conquistare il titolo non fu la contendente svedese favorita, bensì Miss Grenada, la prima donna nera ad essere incoronata Miss Mondo. Nel giro di poche ore il pubblico televisivo di tutto il mondo aveva assistito alla caduta del patriarcato e al sovvertimento dell’ideale occidentale di bellezza femminile.
Il concerto – recensione
Il concerto – Un direttore d’orchestra allontanato dal suo lavoro per aver difeso i suoi musicisti ebrei durante la seconda guerra mondiale, è ridotto a fare le pulizie nello stesso teatro che un tempo lo osannava ad artista indiscusso. Si presenterà a lui una sola occasione di realizzare il suo sogno, tornare a dirigere la sua orchestra e ritornare allo splendore della musica. Radu Mihaileanu acclamato regista di Train de vie, ritorna con una storia forte e commovente, che diverte ed emoziona, eccezionale.
Il
concerto – Mihaileanu si conferma un capace narratore
per immagini, sia dal punto di vista del linguaggio, sobrio e
contenuto, sia per la storia, l’umanità e la freschezza con cui
racconta questa storia di sofferenza e riscatto.
I personaggi, tratteggiati con poche linee guida che ne caratterizzano la provenienza e gli stereotipi, si mescolano in questo colorato spaccato di umanità: gli ebrei praticanti sono gentili, ma attenti al profitto e al commercio; i russi veraci allegri e dediti alla bottiglia; gli zingari confusionari ma con una grande dote innata per il ritmo e la musica; i comunisti più radicali ancora sognatori ed idealisti. Una parodia sociale costruita magistralmente, un’armonia di realtà e creature diverse che nella musica, nel concerto di Tchaikovsky per violino ed orchestra, trovano il loro riscatto, la speranza di una ritrovata dignità e realizzazione personale.
Il concerto – Mihaileanu si conferma un capace narratore per immagini
Il regista si fa in mezzo ai personaggi, magistralmente interpretati, e ne scova paure e difetti, doti e ambizioni, aggiungendo addirittura una punta di mistero che alla fine si rivela un saldo legame umano, una ritrovata felicità, un’ottimismo senza retorica che pervade come un dolce velo la storia così come la musica dona espressività ed emozione ad un epilogo forse improbabile ma ben costruito e potente.
Come pochi film Il concerto riesce a far piangere e ridere allo stesso tempo regalando due ore di cinema così come dovrebbe essere: divertente, emozionante, impegnato ma soprattutto poetico nella sua semplicità, un difficile equilibrio che Mihaileanu riesce a raggiungere nella sua pienezza.
Presentato nella Selezione Ufficiale fuori concorso a Roma, Il concerto è senza dubbio una delle migliori pellicole viste all’Auditorium nell’anno 2009.
Il Concerto
Il Concerto (Le Concert)
Di Radu Mihăileanu, 2009
Con
Aleksei Guskov: Andreï Filipov
Mélanie Laurent: Anne – Marie Jacquet
Dmitri Nazarov: Sacha
François Berléand: Olivier Morne Duplessis
Valeriy Barinov: Ivan Gavrilov
Trama:
Andrej Filipov era il più grande direttore d’orchestra che il Bolshoi avesse mai avuto: finché, durante il regime di Brežnev, il partito non ordina il suo licenziamento e quello di tutti i musicisti ebrei, costringendolo per trent’anni a lavorare in quello stesso teatro che l’aveva visto trionfare tante volte ridotto a semplice inserviente. Il destino bussa alla sua porta quando per caso trova un fax proveniente da Parigi che invita tutta l’orchestra a suonare a Parigi nel prestigioso teatro Chatelet, dandogli l’idea che potrà cambiare la sua vita: ricostruire la vecchia orchestra e presentarsi a Parigi, dove finalmente potrà ultimare il concerto per violino e orchestra di Čajkovskij interrotto tanto tempo prima e suonare con Anne – Marie Jacquet, promettente violinista alla quale Andrej deve rivelare un importante segreto…
Il complicato mondo di Nathalie: il trailer e il poster italiani
Arriverà il prossimo 11 ottobre distribuito da Officine UBU, Il complicato mondo di Nathalie, la toccante commedia francese diretta da David e Stéphane Foenkinos. Di seguito il trailer italiano del film:
E se quando tutto sembra andare storto, la vita ti chiedesse solo di sorridere un po’ di più? Di questo e molto altro racconta la toccante commedia francese Il complicato mondo di Nathalie, il ritratto sincero e ironico di una donna alle prese con gli improvvisi cambiamenti e le difficoltà di un periodo di passaggio come i 50 anni. Per la regia di David e Stéphane Foenkinos, il film, con il Premio César Karin Viard (La famiglia Bélier, Delicatessen), sarà dall’11 ottobre al cinema con Officine UBU.
Ecco il poster italiano del film:
Protagonista del film è
Nathalie, professoressa di lettere divorziata e madre di una
giovane ragazza, alle prese con un momento delicato, pieno di
insoddisfazione e nostalgia, che la costringerà alla fine a cercare
più a fondo le motivazioni del suo malessere. Nel frattempo però,
non sempre i suoi comportamenti e il suo sarcasmo saranno ben
accolti da familiari, amici e colleghi…
La storia di una donna schietta e senza peli sulla lingua, ma che si fa amare perché umana, unica, vera, tra appuntamenti stravaganti, una figlia che cresce e incontri che le cambiano la vita.
“Sono stata immediatamente attratta dal ruolo di Nathalie – dichiara Karin Viard parlando dell’originalità del suo personaggio. Spesso ci vengono raccontate storie di donne che si avvicinano ai cinquant’anni che vogliono andare a letto con uomini più giovani o altre che sono semplicemente alla frutta. Qui invece abbiamo a che fare con un personaggio complesso, come piacciono a me. Un personaggio pieno di sfaccettature.”
Fonte: Officine UBU
Il commissario Montalbano arriva al cinema: 24, 25, 26 febbraio
Il commissario Montalbano è uno di famiglia: molti di noi ormai si sentono a casa tra le pareti del commissariato di Vigata, come tra i muretti a secco, sulla terra arsa e gli ulivi, nelle tonnare abbandonate, nei ristoranti sul mare e sulle terrazze con vista sul tramonto.
Dopo aver raccolto oltre un miliardo e duecento milioni gli spettatori in vent’anni su Rai1, in attesa del grande evento televisivo della primavera 2020, il commissario, nato dalla penna di Andrea Camilleri – che con le sue opere ha venduto oltre 20 milioni di copie nel mondo – e interpretato da Luca Zingaretti, arriva per la prima volta al cinema per un evento straordinario in anteprima assoluta.
Il nuovo attesissimo episodio della collection evento si intitola “SALVO AMATO, LIVIA MIA” ed è diretto da Alberto Sironi e Luca Zingaretti. Interpretato da Luca Zingaretti, Cesare Bocci, Peppino Mazzotta, Angelo Russo, Sonia Bergamasco, “SALVO AMATO, LIVIA MIA” arriverà al cinema solo il 24, 25, 26 febbraio (elenco sale a breve su www.nexodigital.it) in un evento speciale e prossimamente sarà in onda su Rai1.
In questo nuovo episodio, il brutale
omicidio di Agata Cosentino, il cui cadavere viene ritrovato in un
corridoio dell’archivio comunale, non può lasciare indifferente
Montalbano. Perché la vittima era una cara amica di Livia, una
ragazza timida e riservata, che concedeva la sua amicizia e il suo
amore a poche persone. E su quelle si concentra l’indagine di
Montalbano, perché gli è presto chiaro che a uccidere Agata è stato
qualcuno che le era molto vicino. Si tratta forse una violenza
sessuale degenerata in omicidio, ma da subito questa ipotesi non
convince Montalbano, che inizia la sua indagine partendo proprio
dalle conoscenze della vittima.
Il Commissario Gamache: Misteri a Three Pines, la recensione dei primi due episodi della serie su Sky
Sky Investigation continua a tingersi di giallo, e questa volta lo fa con un nuovo prodotto nato dalla penna di Louise Penny, Il Commissario Gamache: Misteri a Three Pines. La serie, prodotta da Sony, porta sul piccolo schermo Alfred Molina nei panni dell’ispettore-capo Gamache che investiga nel Canada francese su una serie di omicidi a Three Pines.
Molina interpreta un sagace detective dal placido temperamento, un attento osservatore che strizza un po’ l’occhio al Poirot di Agatha Christie e all’Holmes di Arthur Conan Doyle. La serie sarà disponibile dall’8 gennaio in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW.
Il Commissario Gamache: Misteri a Three Pines, la trama
Il commissario Armand Gamache (Alfred Molina) vede cose che gli altri non vedono: la luce tra le crepe, il mitico nel mondano e il male in ciò che sembra semplicemente ordinario. Una qualità che sicuramente gli torna utile per quanto riguarda la sua professione, ma che comporta anche uno spiacevole «effetto collaterale»: il dubitare, sempre e comunque, degli altri.
Perché tutti hanno un segreto. Durante un’indagine su una serie di omicidi a Three Pines, una cittadina all’apparenza idilliaca, Gamache scoprirà alcuni segreti sepolti da tempo e dovrà affrontare alcuni fantasmi fin troppo personali.
Un whodonuit dal ritmo lento
La trama generale si dipana attraverso due strutture narrative di diverso spessore: la prima potrebbe definirsi la macro-linea del racconto, il thriller, in cui a dominare è il mistero che si avvolge attorno alla comunità indigena e la cui risoluzione sarà data nell’epilogo della serie. La seconda, la micro-linea, quindi il giallo, riguarda i casi di omicidi auto-conclusivi, la cui progressione dura il tempo di due episodi. L’impianto di Il Commissario Gamache: Misteri a Three Pines tenta così di modellarsi intrecciando questi due filoni e sin dalle prime battute sembra improntarsi su una scrittura semplice, netta e solo a tratti efficace.
Se da una parte il mistero sulle donne indigene scomparse – che in particolar modo si incentra sulla diciottene Blue Two-Rivers – prende subito un ritmo incalzante, coinvolgendo lo spettatore empaticamente, sul versante dell’omicidio degli episodi “Tempesta di neve” si perde nell’impresa di ergersi a whodonuit accattivante, non riuscendo a tenere una presa avvincente sulla storia.
A rendere questi primi due episodi deboli è con molta probabilità il fatto che questi fungono da introduzione alla serie e, di conseguenza, ai suoi personaggi, i quali devono ancora ben disporsi e farsi conoscere nella loro completezza. O forse anche il protagonista principale, l’ispettore-capo Armand Gamache, la cui indole altruista, troppo compassionevole, generosa e calma non permettere alle dinamiche di essere più serrate, ciò che ci si aspetterebbe da un prodotto poliziesco.
Questione di razze
A conclusione delle due parti di “Tempesta di neve”, quel che resta impressa è la tematica legata alle razze inferiori che, come accade tutt’oggi, sono le più penalizzate. Il vero valore che ha lo script di Il Commissario Gamache: Misteri a Three Pines va ricercato nel suo tracciare le difficoltà dei popoli minori, spesso discriminati e posti nell’ombra, lì dove nessuno può vederli e, di conseguenza, considerare i loro bisogni. È infatti il caso delle donne indigene a colpire maggiormente Gamache, il cui interesse vira più alla loro difficile situazione in Canada piuttosto che alla donna uccisa a Threes Pine.
Il voler ripristinare un equilibrio fra razze, garantendo loro giustizia, sembra porsi come suo obiettivo principale, tanto da diventare un ossessione che si trasforma in incubi la notte. Come ogni detective, anche lui ha il suo punto fisso mentre attorno regna il caos, e quel punto fisso diventa la sua bussola per cercare di ritrovare una giovane donna la cui scomparsa non tocca nessuno, Polizia compresa. Gamache prende questo caso a cuore, seppur non dovrebbe essere suo, e lo fa determinato a ribaltare un sistema corrotto, con lo scopo principale di dare loro una voce. Una vera voce in mezzo a milioni di silenzi.
In conclusione, i primi episodi di Il Commissario Gamache: Misteri a Three Pine gettano le basi per una trama che è ancora un bocciolo e la cui fioritura, molto lenta, si presume avrà la sua luce solo negli episodi a seguire. L’obiettivo di Sam Donovan sembra quello di operare a blocchi, tutti legati da un unico fil rouge, dando così l’impressione di guardare una serie di film inseriti però in un prodotto seriale. La speranza è che negli episodi a seguire il genere poliziesco prorompa senza tremare, proprio come la sua controparte thriller.
Il Commissario Gamache – Misteri a Three Pines dall’8 gennaio su SKY e NOW
Una città all’apparenza idilliaca, una serie di omicidi a turbarne la quiete, un detective in grado di vedere cose che gli altri non vedono: dai gialli della scrittrice Louise Penny, arriva a partire dall’8 gennaio in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW il nuovissimo poliziesco Il Commissario Gamache – Misteri a Three Pines, con Alfred Molina (Una donna promettente, Show Me A Hero, Spider-Man: No Way Home, Boogie Nights). Ambientata in Canada, nel Quebec, la serie è un’avvincente crime story che andrà su Sky Investigation tutte le domeniche con due nuovi episodi che saranno ovviamente disponibili anche on demand.
Protagonista è Armand Gamache (Molina), commissario dalle qualità distintive, alle prese con una serie di omicidi nella cittadina di Three Pines. Nel cast anche Rossif Suththerland, Elle-Máijá Tailfeathers, Tantoo Cardinal, Clare Couter, Sarah Booth, Anna Tierney, Roberta Battaglia, Julian Bailey, Ali Hand e Marie-Josèe Belanger.
Il Commissario Gamache – Misteri a Three Pines è prodotta da Sony. Tra gli executive producer Andy Harries (tra i produttori esecutivi di The Crown e Outlander) e Alfred Molina.
La trama di Il Commissario Gamache – Misteri a Three Pines
Il commissario Armand Gamache vede cose che gli altri non vedono: la luce tra le crepe, il mitico nel mondano e il male in ciò che sembra semplicemente ordinario. Una qualità che sicuramente gli torna utile per quanto riguarda la sua professione, ma che comporta anche uno spiacevole «effetto collaterale»: il dubitare, sempre e comunque, degli altri. Perché tutti hanno un segreto. Durante un’indagine su una serie di omicidi a Three Pines, una cittadina all’apparenza idilliaca, Gamache scoprirà alcuni segreti sepolti da tempo e dovrà affrontare alcuni fantasmi fin troppo personali.
Il Comic Con resterà a San Diego fino al 2018

Il Comic Con, la convention più famosa dedicata alla cultura cop nelle sue molteplici declinazioni, resterà di casa a San Diego per tutto il 2018. Gli organizzatori dell’evento avrebbero infatti rinnovato il contratto, in scadenza nel prossimo anno, con l’amministrazione cittadina, guidata dal sindaco Kevin Faulconer, per il biennio successivo.
La metropoli californiana ha visto nascere il Comic Com nel 1970, ma negli ultimi anni il crescente numero di partecipanti alla convention (almeno 130mila) ha messo in crisi l’organizzazione dell’amatissimo evento, che inizia a essere paradossalmente troppo frequentato per la capienza del San Diego Convention Center, costringendo i fan a lunghe e interminabili code. Non è escluso che gli organizzatori del Comic Con decidano di traslocare a Los Angeles o Anaheim una volta conclusosi anche il nuovo accordo.
A incidere sul rinnovo ci sarebbe anche stata la decisione dell’amministrazione di San Diego di calmierare i prezzi degli alberghi, che naturalmente schizzano alle stelle nelle giornate della convention. Il sipario sulla 46esima edizione del Comic Con si aprirà la prossima settimana, con panel, eventi e proiezioni che si terranno dall’8 al 12 luglio.
Fonte: Variety
Il comandante e la cicogna: recensione del film
Il comandante e la cicogna – Silvio Soldini torna al cinema a due anni da Cosa voglio di più, scegliendo di riprendere la commedia, genere che lo ha fatto conoscere al grande pubblico. Ci racconta l’Italia di oggi vista dall’alto, osservata dalle statue di grandi personaggi della nostra cultura, come Garibaldi, Leopardi, Leonardo, che, posizionate al centro delle piazze, guardano ciò che accade con stupore commentano alla loro maniera (prestano loro le voci Pierfrancesco Favino, Neri Marcorè e Gigio Alberti).
Il loro sguardo si sofferma incredulo sulle vicende di una città italiana del nord. La stessa sorvolata tutti i giorni dalla cicogna Agostina, osservatrice ugualmente incredula. Qui vivono gli altri protagonisti del film: gli uomini in carne ed ossa: l’idraulico Leo/Valerio Mastandrea, che è impegnato a crescere i due figli, Elia/Luca Dirodi e Maddalena/Serena Pinto, senza l’aiuto della moglie, Teresa/Claudia Gerini, scomparsa – ma non del tutto – dalla vita di Leo; l’artista Diana/Alba Rohrwacher, sempre un po’ con la testa fra le nuvole e senza un soldo; Amanzio/Giuseppe Battiston, padrone di casa di Diana.
Era una bella sfida mettere insieme statue parlanti, cicogna volante, fantasmi, personaggi classici da commedia, tono divertente e tono serio, realtà e fantasia trovando uno stile comune. Soldini ci è riuscito, in parte. Si capisce benissimo il disegno d’insieme, il suo senso e lo si apprezza nel film: una critica dura alla società italiana, ma anche non priva di una sincera compassione e di un afflato di speranza. L’anima realistica e quella fantastica, quella seria (morale) e quella brillante sono tenute assieme con estremo garbo, i registri si integrano e non cozzano tra loro.
I personaggi umani in carne e ossa, danno calore e vivacità alla storia e sono ben caratterizzati. A questo è dedicata tutta la prima parte del film. Gli interpreti sono tutti in parte, a loro agio trasformati esteticamente e linguisticamente dal regista. Particolarmente spassosi sono Amanzio e l’avvocato, un po’ ripetitivo forse il personaggio di Diana, mentre Mastandrea dà al suo idraulico napoletano la maschera malinconica e rassegnata, ma anche quel tocco d’ironia che ormai gli conosciamo.
Il comandante e la cicogna film, il film
Ciò che lascia dubbiosi è l’intreccio della storia: troppe vicende sono tracciate solo per sommi capi, mentre avrebbero meritato maggiore approfondimento. La prospettiva appare per certi versi un po’ troppo “a volo d’uccello”. Si capisce che questo tipo di sguardo possa aver avuto un senso estetico, che sia la prospettiva scelta perché l’occhio che guarda queste storie umane è proprio quello di una cicogna, che passa volando sopra di loro. Ma certi aspetti, soprattutto riguardo ai protagonisti, avremmo voluto vederli un po’ più approfonditi.
Su tutto, elemento unificante della pellicola è senz’altro lo sguardo poetico del regista, che ha il merito di passare lieve su temi come la morte, il degrado, l’inadeguatezza. Le musiche della Banda Osiris sono pensate per il tono arioso e leggero del film e il pezzo finale è impreziosito dalla voce di Vinicio Capossela. Il comandante e la cicogna sarà in sala da giovedì 18 ottobre.
Il comandante e la cicogna in dvd dal 21 Febbraio
Il Comandante e la Cicogna di Silvio Soldini
Il Comandante e La Cicogna – Trailer ufficiale
Il colpo di CODA degli Oscar 2022: le ragioni di un trionfo
Si sentiva sempre più forte muoversi nell’aria, investire i pronostici, balzare nelle scommesse, e alla fine l’ipotesi si è fatta realtà, concretizzandosi nella lettura dell’agognata busta. Dopo tre ore e mezza di una cerimonia fiacca, meccanica e poco sentita, CODA – I segni del cuore vince il premio Oscar 2022 come miglior film; una vittoria annunciata, criticata, apprezzata, sintomo di un senso di inclusione e sensibilità da parte dell’Academy per dei tempi che cambiano. Ed è proprio partendo da quest’ultimo spunto che, a mente fredda, quel premio nasconde alle spalle un moto anticipatore, una predizione imbastita da scelte pregresse, vittorie precedenti, che hanno indirizzato la vittoria verso un ambito più politicamente corretto, che ancora una volta si ripetono. CODA è un film godibile, di cuore, che affonda in ogni gesto un passo in avanti verso l’interiorità dei propri spettatori. Ed è proprio all’ombra di quei gesti, di quelle bocche che si aprono senza emettere suono che si celano i motivi che hanno portato alla vittoria finale.
Prima di stilare le motivazioni che hanno portato l’opera di Sian Heder (remake del francese La famiglia Bélier) a trionfare in ben tre categorie (Miglior film, Miglior sceneggiatura non originale e Miglior attore non protagonista a Troy Kotsur, primo attore non udente a vincere tale premio), è bene sottolineare una situazione tanto scottante, quanto molto spesso sottovalutata: il cinema è una finestra sulla nostra realtà, parla di noi anche in quei generi che appaiono del tutto lontani dalla nostra contemporaneità come la fantascienza o l’horror. Eppure, è in quel discorso anticipatore puntato sul futuro che si parla del presente: i mostri, gli alieni, i robot, non sono altro che contenitori metaforici di moniti di denuncia nei confronti della società a loro contemporanea. Attraverso la lente di una cinepresa, una realtà finzionale viene sfruttata per parlare di un’altra realtà, quella vera, quella che prende, modella, e influisce la vita dei propri spettatori.
Nel buio della sala il pubblico viene investito di storie e moniti circa la propria condizione sociale e culturale, ed è proprio lanciandosi verso questa direttrice di significato che l’Academy si è sempre più allineata, finendo per premiare opere fortemente sensibili e inclusive, che prediligano aspetti politici, piuttosto che artistici.
Ed ecco che un film come CODA si inserisce perfettamente in questa galleria di pellicole intrise di argomenti politically-correct, personaggi e storie inclusive e immersive, sebbene ignorando e mettendo in secondo piano l’aspetto più tecnico e artistico. Sono film che puntano a unire, piuttosto che a dividere, abbracciare il giudizio unanime, piuttosto che quello separatista.
La trama di CODA – I Segni del cuore
Al centro del film vi è la diciassettenne Ruby, una ragazza, figlia udente di un’intera famiglia di persone sorde. Ogni mattina, prima di andare in classe, la giovane aiuta i genitori e il fratello a gestire l’attività di pesca, facendosi al contempo referente principale per contrattare la vendita del pesce. Ma tra le lezioni e le uscite in barca, Ruby ha tempo anche per alimentare la sua grande passione: il canto. Entra così nel coro della scuola diretto dal maestro Bernardo Villalobos che nonostante la sua severità riconosce nella ragazza un grande talento più unico che raro, tanto da prepararla per l’audizione a una prestigiosa scuola. Ruby si trova ora a un bivio: seguire i propri sogni o continuare ad aiutare la sua famiglia?
Basta dare una veloce lettura alla sinossi per comprendere perché CODA è riuscito a salire sul palco nel momento più importante della serata degli Oscar vincendo come “miglior film”. Perché è un film innanzitutto semplice, senza pretese, che riesce a parlare in maniera diretta al cuore del proprio spettatore senza mezzi termini o attraverso narrazioni e strumenti linguistici complessi. Sfruttando la potenzialità di una regia altrettanto semplice, canonica, perlopiù statica perché improntata su inquadrature fisse e prive di virtuosismi tecnici, e di un montaggio altrettanto lineare, poco composito, fatto soprattutto di campi e controcampi, CODA comunica in maniera diretta a uno spettatore che non ha più bisogno di elucubrazioni mentali, o processi complessi di interpretazione per comprendere il senso del film.
Lontano da una struttura pluri-semantica, quello che CODA mostra corrisponde perfettamente a ciò che racconta, facilitando l’immedesimazione spettatoriale e il processo di condivisione affettiva tra il mondo dentro e fuori la cornice cinematografica. Posti sullo stesso piano dei personaggi sullo schermo si crea tra spettatore e la sua controparte filmica un rapporto privilegiato e di complicità, il che va a confermare – enfatizzando – il secondo motivo che ha permesso a CODA di trionfare sul palco dei Dolby Theater: la componente emotiva. Lo stretto rapporto tra Ruby (Emilia Jones) e la sua famiglia, ha innescato nello spettatore quella parte più emotiva di animale sociale che a seguito di un periodo complicato come quello della pandemia, e poi quello drammatico della questione bellica tra Ucraina e Russia era venuto meno. Ci stavamo dimenticando di essere umani, di essere persone bisognose di sentimenti, di calore pronto a scorrere nelle vene bruciando il cuore, e una pellicola come quello diretta da Heder non ha fatto altro che ripristinare il processo fino a bagnare le guance di lacrime dolci e riempire l’anima di speranza.
Ponendo al centro della storia una famiglia sordo-muta (CODA non è altro che l’acronimo di “Children Of Deaf Adults”, cioè, “figli di genitori sordi”) il film si discosta inoltre da quell’immagine di perfezione mediatica impostaci e suggerita dalle mode di una società bombardata sui social-media. Un’agiografia della diversità mai retorica, ma onesta, che senza orpelli narrativi e suggerita da performance sincere, di uomini e donne che a causa dei propri deficit gli ostacoli della vita li affrontano con coraggio tutti i giorni (gli attori sono veramente sordo-muti), colpiscono ancora più al cuore.
Un elemento che di certo non passa inosservato, soprattutto agli occhi di un meccanismo alimentato da un’attenzione al giudizio degli altri, con fare a volte ipocrita e bigotto come quello dell’Academy.
Il sacrificio della celebrazione dell’arte
In tutta questa giostra di buoni sentimenti e inclusione, che tanto piace ai membri dell’Academy perché permette loro di perorare un discorso di inclusione verso gli inascoltati e gli emarginati, continua a sussistere un grande e gigantesco “ma”. Abbagliando il proprio metro di giudizio da questo fumo di stampo politico, si sacrifica uno dei motivi che sta alla base dell’istituzione stessa degli Oscar: la celebrazione dell’arte. Stabilire quale sia in maniera netta e oggettiva il migliore film della stagione è pressoché impossibile. Essendo un film un’opera d’arte, è oggetto alla sensibilità soggettiva del gusto personale di ogni spettatore/votante.
Eppure, se è vero che sussiste sempre una componente di giudizio soggettivo, ne esiste un’altra più oggettiva, basata su elementi e strumenti tecnici che permettono la valutazione dell’opera da un punto di vista prettamente obiettivo. Fotografia, regia, montaggio, sonoro, si elevano pertanto a strumenti di giudizio che aiutano a comprendere la fattura artistica di un’opera cinematografica, a cui si andrà ad aggiungere la sua controparte più sentimentale. In CODA a prevalere nettamente è la sua componente emotiva, il cuore che batte più veloce di quanto la mente possa creare e pensare. Questo comporta un dislivello che finisce per rivestire l’intera pellicola di un anonimato che a lungo andare rischia di farla cadere nel dimenticatoio di quei film apprezzati nello spazio di una visione, ma pronti a essere sostituiti da altri più immersivi, più coinvolgenti, perché più in equilibrio tra tecnica ed emozione, anima e corpo, corpo e mente.
Il colpo del cane: recensione del film con Edoardo Pesce
Arriva al cinema Il colpo del cane, il nuovo film di Fulvio Risuleo, con protagonista Edoardo Pesce. Ne Il colpo del cane, Rana (Silvia D’Amico) e Marti (Daphne Scoccia) sono due ragazze precarie che vivono alla buona. Per puro caso Marti decide di guadagnare soldi facili nel weekend facendo la dog-sitter, e debutta nel suo nuovo lavoro occupandosi di Ugo, il bulldog francese di un’anziana signora. Mentre Marti è al parco con il cane il dottor Mopsi (Edoardo Pesce), un veterinario un po’ strano, le si avvicina per proporle di far accoppiare Ugo con la sua cagnolina della stessa razza. Cosa decideranno le ragazze?
È bello quando il cinema italiano esordisce in sala – e assieme a Tarantino – con un piccolo film intelligente e finalmente nuovo, il punto di vista di un giovanissimo regista che sa il fatto suo. Nonostante i suoi 29 anni infatti, Fulvio Risuleo (regista di Guarda in alto e dei corti Lievito Madre e Varicella, portati a Cannes) non è un novellino dietro la macchina da presa, e in questa pellicola lo dimostra perfettamente.Intanto fa un’operazione molto intelligente: prende un punto di vista assolutamente nuovo, un cane vincente, delle solitudini immeritate e racconta in maniera incontrollata e fluida una ‘non storia’ che dura una manciata di ore.Per farlo sceglie un cast assolutamente improbabile nel ruolo e non solo lo rende credibile, ma lo amalgama per bene, realizzando un mix interessante.
È infatti interessante vedere un Edoardo Pesce, fresco di Dogman, vestire i panni di un metallaro un po’ tristone dai sogni spiegazzati e con un cuore d’oro. Così come spiazza vedere le co-protagoniste Silvia D’Amico e Daphne Scoccia in ruoli più leggeri e fumettistici, che si barcamenano in una periferia romana più caleidoscopica che grigio fumo. La costruzione dei personaggi, caricaturale fino allo stremo, regge fino alla fine così come la loro mini-interazione. Ricalcando uno schema narrativo che si prende gioco del thriller in maniere ‘gigiona’, il film è diviso in due parti, felicemente sbilanciate, che si uniscono in una sintesi evocativa finale.
La prima parte, quella di Rana e Marti scorre veloce e leggera senza un vero perché; la seconda, gioiosamente introspettiva e romantica del Dott. Mopsi, più dilatata e ovattata, che arricchisce di significato la l’intera pellicola. Il protagonismo di questi looser metropolitani si avvicenda a staffetta sulla scena di un film in cui a trionfare è il solo bulldog Ugo, in un mix paradossalmente vincente.
Il colpo del cane, come racconta la stessa pellicola, nella Roma antica si riferiva al triplo 1 nel lancio dei dadi, la combinazione che inevitabilmente portava alla sconfitta e che aveva una percentuale bassissima di uscire fuori da un tiro. Ed è proprio sulla sfortuna che si basa la ballata di Marti e di Orazio/Mopsi, protagonisti che proprio dalla sfiga più nera sono legati – così come nella struttura filmica – a doppio filo. La sfortuna di vivere in una dimensione sociale che ti tiene ai margini, in cui una forza respingente ti sbatte via dal centro alla periferia del mondo, come dalle auto in corsa nel film.
Questo lavoro di Fulvio Risuleo, prodotto da Revok Film e distribuito Vision, rappresenta un punto di vista nuovo e fresco nel panorama della ‘cinematografia giovane italiana’. Sicuramente l’abitudine del regista a firmare cortometraggi (sua è anche il Caso Ziqqurat, serie web non lineare) slega leggermente le due micro vicende, rendendo tutto meno cinematografico e più da micro schermi. Ma l’abilità di dare spessore a piccole clip leggere – soleggiando gli aspetti dark e ombreggiando gli eccessi di vivido – rende questa pellicola estremamente piacevole, molto anni novanta, e che merita assolutamente di essere vista.
Il colossal con Christian Bale ha un titolo: The Flowes of war
Il film che Christian Bale ha girato prima di recarsi sul set del Cavaliere Oscuro il ritorno, ha un nuovo titolo: The Flowers of War. Il nuovo film di Zhang Yimou è un progetto colossale ambientato durante la seconda guerra mondiale.
Il Colore Viola: un nuovo video anticipa il tocco moderno del nuovo musical
Warner Bros. ha rilasciato un nuovissimo video di Il Colore Viola (The Color Purple) il suo prossimo adattamento cinematografico del pluripremiato musical di Broadway. L’arrivo nelle sale è previsto per il 25 dicembre 2023. La featurette mostra il cast e i produttori tra cui Oprah Winfrey, Halle Bailey, Ciara, Taraji P. Henson e altri mentre discutono di ciò che il pubblico può aspettarsi di vedere dal film. Prende in giro anche la svolta moderna del regista Blitz Bazawule al classico film di Steven Spielberg del 1985.
Il film è incentrato sulla straordinaria sorellanza di tre donne che condividono un legame indissolubile. Segue Celie e altre donne afroamericane nel sud degli Stati Uniti negli anni ’30 e le loro lotte contro il razzismo e la vita nella classe sociale inferiore. Celie fatica anche a trovare la sua identità dopo aver subito abusi da parte di vari uomini nella sua vita nel corso degli anni.
Warner Bros. Pictures vi invita a vivere la straordinaria storia di amicizia e fratellanza di tre donne che condividono un legame indissolubile in Il Colore Viola (The Color Purple). Questa audace rivisitazione dell’amato classico è diretta da Blitz Bazawule (“Black Is King”, “The Burial of Kojo”) e prodotta da Oprah Winfrey, Steven Spielberg, Scott Sanders e Quincy Jones. Sono protagonisti de “Il Colore Viola”, Taraji P. Henson (“What Men Want – Quello che gli uomini vogliono”, “Il diritto di contare”), Danielle Brooks (“Peacemaker”, “Orange Is the New Black”), Colman Domingo (“Ma Rainey’s Black Bottom”, “Fear the Walking Dead”), Corey Hawkins (“In the Heights”, “BlacKkKlansman”), H.E.R. (“Judas and the Black Messiah”, “La Bella e la Bestia: 30° Anniversario”), Halle Bailey (“La sirenetta”, “Grown-ish”), Aunjanue Ellis-Taylor (“Una famiglia vincente – King Richard”, “Se la strada potesse parlare”) e Fantasia Barrino (al suo debutto in un lungometraggio).
La sceneggiatura di Il Colore Viola (The Color Purple) è di Marcus Gardley (“Maid”, “The Chi”), basata sul romanzo di Alice Walker e sul musical teatrale e il suo conseguente libro di Marsha Norman. Musiche e testi sono a cura di Brenda Russell, Allee Willis e Stephen Bray. I produttori esecutivi sono Alice Walker, Rebecca Walker, Kristie Macosko Krieger, Carla Gardini, Mara Jacobs, Adam Fell, Courtenay Valenti, Sheila Walcott e Michael Beugg. Ad affiancare il regista Blitz Bazawule dietro la macchina da presa è il team composto dal direttore della fotografia Dan Laustsen (“John Wick 4”, “La forma dell’acqua – The Shape of Water”), lo scenografo Paul Denham Austerberry (“The Flash”, “The Twilight Saga: Eclipse”) e il montatore Jon Poll (“Bombshell – La voce dello scandalo”, “The Greatest Showman”). Le coreografie sono di Fatima Robinson (“Il principe cerca figlio”, “Dreamgirls”) e i costumi di Francine Jamison-Tanchuck (“Emancipation – Oltre la libertà”, “Quella notte a Miami… …”).
I supervisori musicali sono Jordan Carroll (“The Greatest Showman”, “Godfather of Harlem”) e Morgan Rhodes (“Space Jam: New Legends”, “Selma – La strada per la libertà”); le musiche sono di Kris Bowers (“Una famiglia vincente – King Richard”,”, “Green Book”) e i produttori esecutivi musicali sono, Nick Baxter (“Babylon”, “CODA – I segni del cuore”), Stephen Bray (“Respect”, “Juanita”) e Blitz Bazawule. Warner Bros. Pictures presenta, una produzione Harpo Films, Amblin Entertainment, Scott Sanders e QJP, “Il Colore Viola”. Il film sarà distribuito nelle sale italiane da Warner Bros. Pictures nel 2024.
Il Colore Viola: secondo trailer del film in arrivo al cinema dall’8 febbraio 2024
Warner Bros Italia ha diffuso il secondo trailer ufficiale di Il Colore Viola, una nuova versione dell’amato classico diretta da Blitz Bazawule e prodotta da Oprah Winfrey, Steven Spielberg, Scott Sanders e Quincy Jones. Nel cast Taraji P. Henson, Danielle Brooks, Colman Domingo, Corey Hawkins, H.E.R., Halle Bailey, Aunjanue Ellis-Taylor e Fantasia Barrino. Il film sarà al cinema da giovedì 8 febbraio distribuito da Warner Bros. Pictures.
Warner Bros. Pictures vi invita a vivere la straordinaria storia di amicizia e fratellanza di tre donne che condividono un legame indissolubile in Il Colore Viola. Questa audace rivisitazione dell’amato classico è diretta da Blitz Bazawule, un artista poliedrico il cui primo lungometraggio di successo è l’acclamato “The Burial of Kojo”. I produttori del film sono le star Oprah Winfrey, Steven Spielberg, Scott Sanders e Quincy Jones.
Sono protagonisti de Il Colore Viola la candidata all’Oscar Taraji P. Henson (“Il curioso caso di Benjamin Button”), la vincitrice del SAG Award, nominata al Tony Award, Danielle Brooks (“The Color Purple”, “Orange Is the New Black”), il vincitore dell’Emma Award, nominato al Tony Award, Colman Domingo (“Euphoria”, “Ma Rainey’s Black Bottom”), l’attore nominato al Tony Award Corey Hawkins (“Sei gradi di separazione”, “Sognando a New York – In the Heights”), l’artista premio Oscar e vincitrice del Grammy Award H.E.R. (“Judas and the Black Messiah”), l’attrice nominata al Grammy Award Halle Bailey (“La sirenetta”), l’attrice nominata all’Oscar Aunjanue Ellis-Taylor (“Una famiglia vincente – King Richard”, “Ray”) e l’artista vincitrice del Grammy Award Fantasia Barrino, al suo debutto in un lungometraggio.
La sceneggiatura è scritta dell’acclamato drammaturgo Marcus Gardley, vincitore del WGA Award per “Maid” e basata sul romanzo di Alice Walker e sul musical teatrale e il suo conseguente libro di Marsha Norman. Musiche e testi sono a cura di Brenda Russell, Allee Willis e Stephen Bray.
Ad affiancare il regista Blitz Bazawule dietro la macchina da presa è un team di acclamati filmmakers che include il direttore della fotografia nominato all’Oscar® Dan Laustsen (“La forma dell’acqua – The Shape of Water”), lo scenografo Premio Oscar® Paul Denham Austerberry (“La forma dell’acqua – The Shape of Water”), il montatore Jon Poll (“Bombshell – La voce dello scandalo”, “Ti presento i miei”), la costumista Francine Jamison-Tanchuck (“Glory – Uomini di gloria”, “Quella notte a Miami…”) e la coreografa Fatima Robinson (“Dreamgirls”). Le musiche sono del nominato all’Oscar® Kris Bowers (“Una famiglia vincente – King Richard”, “Green Book” e il documentario “A Concerto Is a Conversation”.
Warner Bros. Pictures presenta, in associazione con Domain Entertainment, una produzione Amblin Entertainment, OW Films, SGS Pictures/QJP: “Il Colore Viola”. Il film sarà distribuito nelle sale italiane a partire da giovedì 8 febbraio da Warner Bros. Pictures.
Il colore viola: primo trailer del film con Halle Bailey
È arrivato il primo trailer del film Il colore viola, secondo adattamento del romanzo dopo l’iconico film di Steven Spielberg del 1985. In esso si segue la lotta per tutta la vita di una donna afroamericana nel sud all’inizio del 1900 che subisce abusi da suo padre e suo marito. Con Blitz Bazawule di Black Is King che assume il ruolo di regista, il cast di Il colore viola comprende la vincitrice di American Idol Fantasia Barrino, Colman Domingo di Euphoria, la candidata all’Oscar Taraji P. Henson, Corey Hawkins di Straight Outta Compton, Danielle Brooks di Peacemaker, Aunjanue Ellis-Taylor di King Richard, il vincitore dell’Emmy Jon Batiste e Halle Bailey, protagonista di La sirenetta.
Presentato come una “nuova interpretazione audace dell’amato classico“, il trailer di Il colore viola si concentra sulla straordinaria sorellanza condivisa dalle tre donne al centro della storia: Celie, Nettie e Sofia. Il trailer mostra anche il cast di star del film, alcuni dei quali stanno riprendendo i ruoli interpretati nella versione teatrale dell’opera a Broadway. Il film è previsto per un’uscita in sala il giorno di Natale, quasi 40 anni dopo l’adattamento del 1985. A produrre questa nuova versione spiccano inoltre lo stesso Steven Spielberg e Oprah Winfrey, che nel film originale interpretava Sofia.
Con Bazawule al timone, il trailer di Il colore viola presenta diversi momenti visivamente sorprendenti, che offrono una visione della prospettiva unica di Celie e del legame indissolubile condiviso dalle tre donne nella storia. Arricchito da tutti gli elementi maestosi di un film musicale, il trailer mostra infatti anche molteplici numeri musicali e un design di produzione impressionante. Il colore viola potrebbe facilmente affermarsi come un nuovo grande successo, lanciando ulteriormente la carriera della Bailey e presentandosi da come uno dei principali concorrenti alla prossima stagione degli Oscar.
Il colore viola: la recensione del film con Fantasia Barrino
Anche se risulta piuttosto complesso tenerlo a mente, bisogna comunque costantemente ricordare che il nuovo Il colore viola, diretto da Blitz Bazawule, non è un secondo adattamento cinematografico del romanzo omonimo di Alice Walker, ma la versione per il grande schermo del musical che ha ottenuto enorme successo a Broadway negli anni precedenti. Di conseguenza anche l’accostamento con il film di Steven Spielberg uscito nel 1985 potrebbe essere fuorviante, anche se onestamente quasi impossibile da evitare.
La sceneggiatura scritta da Marcus Gardley proietta storia, ambientazione e soprattutto i rapporti tra i personaggi in un universo cinematografico aggiornato, decisamente più vicino e consono ai gusti del pubblico contemporaneo. Se alcune tematiche vengono rese maggiormente esplicite – in particolar modo la storia d’amore tra la protagonista Celie (Fantasia Barrino) e la cantante Shug Avery (Taraji P. Henson), altre invece rimangono in secondo piano. Una scelta comprensibile visto il tipo di prodotto realizzato e gli spettatori di riferimento. Condivisibile invece? Questo è un altro discorso…
Le due anime di Il colore viola
Vedendo Il colore viola risulta immediatamente evidente come il talento visivo del regista Blitz Bazawule venga espresso in maniera molto più compiuta nei momenti musicali che in quelli narrativi. Quando gli attori in scena ballano e cantano il suo film possiede una forza quasi prorompente, in alcuni momenti il coinvolgimento emotivo è impossibile da negare. Nelle sequenze rimanenti al contrario la messa in scena risulta piuttosto accademica, con una certa retorica che spunta in momenti non sempre opportuni. Il colore viola si sviluppa quindi come un lungometraggio chiaramente spezzato in due, con una delle sue due “anime” che funziona molto meglio dell’altra.
Ed è a questo punto che risulta davvero molto difficile non accostare questa nuova versione a quella di Spielberg, la quale possedeva una fluidità di narrazione – anche per immagini – di fattura elevata. Appare chiaro e condivisibile il fatto che Gardley e Bazawule non abbiano voluto ricalcare le orme tanto ingombranti del cineasta due volte premio Oscar per la regia, anche perché quando non possono esimersi dal farlo ecco che la differenza di peso specifico del film si fa sentire eccome: nella sequenza in cui Celie rade la barba di Mister (Colman Domingo) l’odierno Il colore viola non riesce a restituire un decimo della potenza emotiva della scena che vedeva protagonisti Whoopi Goldberg e Danny Glover.
Lo stesso vale per il momento forse più importante dell’intera storia, ovvero la “nascita” della nuova Celie e la maledizione nei confronti dell’uomo che l’ha sfruttata per decenni. Ultima annotazione prima di finirla con i paragoni: perché gli autori del musical hanno deciso di cambiare totalmente il tono della scena della riappacificazione tra Shug e suo padre, che tra l’altro nel film del 1985 era uno straordinario momento musicale?
Gli attori non riescono a risollevare le sorti del film
Nel passare a commentare la prova del cast scriviamo subito che vale lo stesso discorso fatto poche righe qui sopra per il film: Fantasia Barrino, Taraji P. Henson, Corey Hawkins e il resto degli attori sono efficaci, in alcune scene addirittura notevoli quando si tratta di mettere in scena il musical vero e proprio. Per il resto invece non riescono a sollevare i propri personaggi dalla ricerca eccessivamente esplicita del tono melodrammatico, sviluppato poi dentro una confezione talvolta fin troppo elegante a livello visivo. Unica eccezione una Danielle Brooks coriacea e grintosa, la quale regala alla sua Sofia almeno un paio di sequenze che sanciscono la statura e la presenza scenica dell’attrice.
Nonostante si tratti di un film lungometraggio visivamente ineccepibile, che contiene almeno un paio di sequenze di intensità emozionale, Il colore viola non riesce veramente a trovare un equilibrio funzionale tra musical e melodramma, finendo per possedere due “anime” che non sanno fondersi con pienezza. Rimane senza dubbio un film con alcuni pregi indiscutibili, escluso quello della coerenza cinematgorafica.