La Warner annuncia che la premiere di Harry Potter e i Doni della Morte Parte II si terrà a Trafalgar Square, nel cuore storico della città di Londra.
Sandro Bondi rassegna le dimissioni
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Il Ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi ha annunciato, tramite una lettere al Giornale, che presto rassegnerà le dimissioni.
Krokodyle: recensione del film di Stefano Bessoni
Kaspar Toporski è un film-maker, e nella sua idea, il coccodrillo è l’essere più perfetto che esiste al mondo. La sua vita si muove a metà tra realtà e finzione, immerso com’è nei suoi sogni ad occhi aperti, nella sua realtà immaginaria e nelle sue visioni macabre e grottesche di esseri strani che popolano le sue giornate, i suoi schizzi e le sue conversazioni.
Con una premesse di questo tipo ci accorgiamo che Krokodyle, l’ultimo lavoro di Stefano Bessoni (Imago Mortis), non è un film convenzionale, anzi lo si potrebbe definire appartenente ad un certo cinema sperimentale che sacrifica la narrazione a beneficio dell’immagine. Sebbene questo può rappresentare un limite per la godibilità del film, Bessoni riesce con un’incredibile forza visiva a portarci dentro il mondo di Kaspar, che probabilmente è in realtà il suo stesso mondo visionario.
Krokodyle, il film
Il suo personaggio, o alter-ego, si muove con impalpabile morbidezza tra un piano e l’altro, tra l’immaginazione e la realtà incontrando di volta in volta i personaggi che lui considera suoi amici: c’è Bertold, un suo collega e amico che è stato ostacolato dalla produzione nel suo ultimo lavoro con il risultato di un trattamento molto duro da parte della stampa; poi c’è Helix, affascinante fotografa, che vuole catturare la morte nella fotografia, personaggio decisamente intrigante che agli occhi di Kaspar incarna l’antico conflitto tra Eros e Thanathos che da sempre accompagna la letteratura e l’arte, e forse in maniera meno conscia, la vita di tutti i giorni. Schulz è lo scienziato pazzo, l’alchimista, confidente e amico di Kaspar, che realizza progetti e mette a punto le antiche formule alchemiche per generare la vita, passando al nostro protagonista gli oscuri segreti della sua arte.
Ognuno di questi elementi contribuisce a creare un universo affollato e claustrofobico nel quale Kaspar sembra trovarsi decisamente a suo agio, ma che a tratti inquieta lo spettatore, anche lui smarrito tra ciò che è reale e ciò che invece non lo è. La struttura del film, per dichiarazione dello stesso autore, è quella di un quaderno di appunti che comprende foto, pupazzi, animazioni, disegni, schizzi e appunti, un diario filmato della mente stessa di Kaspar, interpretato da Lorenzo Pedrotti.
E proprio in Pedrotti il film trova la sua vera e propria anima, poiché è dalla sua voce che veniamo guidati attraverso i vari capitoli della storia, una voce calma, dolce, in piacevole contrasto con le atmosfere spesso inquietanti che Bessoni costruisce, soprattutto attraverso l’utilizzo di grandangoli e con il fondamentale contributo di Leonardo Cruciano, realizzatore degli effetti speciali, e anche produttore del film, e della scenografa Briseide Siciliano. Tra gli altri interpreti si distinguono Jun Ichikawa, nel ruolo di Helix, che con la sua delicata bellezza riesce a dare corpo e vita ad uno dei personaggi più affascinanti del film; Francesco Martino è Bertold, in questo caso forse il meno convincente, al quale è affidato la splendida citazione del film di Wim Wenders Il Cielo Sopra Berlino, e il bravo Franco Pistoni, visto già in Imago Mortis, è Schulz.
Krokodyle si presenta con un film privo di narrazione, ma sarebbe più corretto dire che la sua storia non è drammatizzata, poiché è semplicemente raccontata dalla voce del protagonista che nella sua ironica deliranza farcisce il racconto di citazioni fiabesche e grottesce, dall’Alice di Carrol al Pinocchio di Collodi, il tutto accompagnato da una colonna sonora composta da brani classici tra cui il bellissimo Carnevale degli Animali già utilizzato da Terrence Malick nel suo secondo film, I Giorni del Cielo, brano che ben si associa alla sospensione temporale e spaziale che il film suggerisce.
Forte anche della splendida fotografia di Ugo Lo Pinto, Krokodyle può definirsi un coraggioso esperimento di cinema indipendente, un prodotto purtroppo poco vendibile, ma molto affascinante, macabro e ironico allo stesso tempo, animato da uno spirito di ricerca e di onestà che probabilmente il cinema italiano ha smarrito.
Bryce Dallas Howard passa alla regia
“Un Breakfast Club per la mia generazione” così Bryce Dallas Howard definisce il suo prossimo film. La novità è che la figlia di Ron Howard, proprio come il padre, si prepara a dirigere questo film per il quale ha anche scritto la sceneggiatura in collaborazione con Dane Charbeneau.
Un buon esempio di cinema italiano: Il Gioiellino
La Leda è una delle maggiori aziende agro-alimentari del Paese: ramificata nei cinque continenti, quotata in Borsa, in continua espansione verso nuovi mercati e nuovi settori. Quello che si dice un gioiellino.
Dal ring alla sala: The Fighter
Finalmente The Fighter arriva anche in Italia. Questo fine settimana potremmo finalmente tutti gustare la grande interpretazione di tutto il cast, parte del quale (mi riferisco a Christian Bale e Melissa Leo) è stato premiato anche con l’Oscar per il miglior attore nella categoria non protagonista.
La storia vera parla di Dicky, un uomo che è l’orgoglio dell’intera cittadina ora caduto in disgrazia, e del suo fratellastro Micky, a sua volta un puglie, la cui carriera è appena agli esordi ed è gestita dalla madre Alice. Nonostante il suo impressionante gancio sinistro, Micky continua a perdere sul ring. L’ultimo combattimento affrontato da Micky finisce quasi per ammazzarlo, e a quel punto viene persuaso dalla sua ragazza, Charlene, a tentare qualcosa di estremo: dividersi dalla sua famiglia, perseguire i suoi interessi e allenarsi senza l’inquieto fratello. Fino a che, a Micky non viene offerta l’opportunità di una vita: combattere per il titolo. Ma presto Micky capisce che avrà bisogno del fratello e di tutta la sua famiglia per poter vincere.
La trama è chiara: si parla di vittoria e
sconfitta, non solo sul ring ma anche nella vita, e di legami,
quelli familiari che a volte vanno al di là dei legami di sangue. A
dirigere David O. Russell, regista e
sceneggiatore, che nel 1994 ha visto premiare al Sundance Film
Festival il suo primo film Spanking the Monkey, e che ha ottenuto
anche due nomination agli Indipendent Spirit come miglior opera
prima e migliore sceneggiatura. Il suo secondo film è stato Amori e
disastri, entrato nel 1996 nella lista dei top ten di oltre trenta
film. Ma si ricordano di lui anche Three
Kings del ’99 e il più recente I Heart
Huckabees – Le strane coincidenze della vita.
Per The Fighter, Russell ha anche ottenuto una nomination come miglior regista, statuetta andata poi al collega Tom Hooper per Il Discorso del Re la scorsa notte al Kodak Theatre. Il film si distingue per una straordinaria prova collettiva del cast, Mark Wahlberg che interpreta Micky, offre una buona prova affiancato da un Christian Bale che offre una delle sue interpretazioni migliori nei panni del problematico ed emaciato Dicky. Anche le donne alzano la voce in questo film e Melissa Leo e Amy Adams rappresentano molto bene il ‘sesso debole’ in un mondo governato dai pugni dentro e fuori dal ring.
Il film uscirà in Italia il 4 marzo.
Jonze e Kaufman trovano i soldi
Avevamo tempo fa accennato ad una nuova collaborazione di Spike Jonze e Charlie Kaufman, e pare che il progetto abbia finalmente trovato i finanziamenti! Per quello che riguarda l’aspetto ‘artistico’ adesso si sa anche di cosa si tratta: il film sarebbe una satira nella quale i principali leader mondiali si riuniscono per strutturare una comune agenda riguardo alcuni problemi globali, come il prezzo del petrolio o i tanti conflitti che insanguinano il pianeta.
Il Gioiellino di Molaioli presentato all’Adriano
Toni Servillo, Remo Girone e Andrea Molaioli sono stati i protagonisti, questa mattina, della conferenza stampa de Il Gioiellino, ultimo film dei regista de La Ragazza del Lago, che mette in scena un film a metà strada tra l’apologo morale, l’esigenza artistica con una virata sul film d’inchiesta liberamente ispirato alla vicenda del crac Parmalat.
Il Gioiellino: recensione del film con Sarah Felberbaum
Un gioiellino, questa è la Leda (ne Il Gioiellino), azienda agro-alimentare estesa ai cinque continenti, quotata in borsa, e alla continua ricerca di mercati sui quali espandersi. Amanzio Rastelli, padrone dell’azienda, ha messo a capo della sua ‘creazione’ la famiglia (figlio e nipote) e alcuni amici, non troppo qualificati ma capaci e degni di fiducia. Ma il gruppo si indebita e il falso in bilancio non basta più a coprire il buco che si trasformerà in una vera a propria voragine che trascinerà sempre più a fondo Rastelli e tutti suoi collaboratori.
Il Gioiellino, diretto da Andrea Molaioli, si ispira al crac Parmalat e indirettamente a tutti quei fallimenti che hanno colpito aziende grandi e piccole, italiane e non. Molaioli, dopo La ragazza del lago, ritrova la super star Toni Servillo, questa volta in un ruolo nel quale non siamo troppo abituati a vederlo, non è un leader né colui intorno al quale gravitano tutte le attenzioni, ma si autodefinisce ‘il Capo’ ed è in qualche modo artefice della vicenda narrata. Sempre molto bravo questa volta però non può fare affidamento sulla sua incredibile mimica, ma la sua voce e la sua presenza scenica fanno il resto. Accanto a Servillo un ottimo Remo Girone nei panni di Rastelli, convincente e integerrimo, l’attore incarna secondo gli sceneggiatori la blanda schizofrenia, costitutiva della società italiana, di coloro che davanti al disastro fingono che tutto sia in ordine. A completare il terzetto di protagonisti la bella Sarah Felberbaum, che interpreta Laura, nipote di Rastelli e capace donna d’affari, scaltra e passionale.
Molaioli conduce senza indugio un buon film, che per la prima parte risulta sinceramente godibile ma che al momento del cambio di registro, quando cioè si viene a contatto con i primi sentori di problemi finanziari, non muta il ritmo del suo racconto, dilatando i tempi e saltando i passaggi, peccando principalmente di mancanza di chiarezza nella narrazione. Il che è un gran peccato, considerando che per il resto il film aveva tutte le potenzialità per essere un prodotto davvero bello: a contribuire al suo volare artistico, oltre ai già citati grandi attori e al racconto ben condotto nella prima parte, concorrono una considerevole colonna sonora, una splendida fotografia di Luca Bigazzi e una sceneggiatura buona soprattutto nei dialoghi ricchi di una sottile ironia attribuibile soprattutto al personaggio di Servillo.
Il Gioiellino è comunque un buon film, ben confezionato, che racconta una pagina non molto felice, e forse neanche conclusa, della storia di questa grande crisi economica mondiale, e italiana.
Carlito’s Way, il film di Brian De Palma
Carlito’s Way è il film del 1993 diretto da Brian De Palma con Al Pacino, Sean Penn, John Leguizamo e Viggo Mortensen.
Carlito’s Way è un film del 1993 diretto da Brian De Palma, con Al Pacino e Sean Penn. E’ solo apparentemente uno dei tanti film sulla malavita del bronx. Trattasi invece di un film sui sogni che si spezzano tragicamente, sulla voglia di liberarsi da un passato scomodo, sulle amicizie finte e di convenienza. L’interpretazione di Al Pacino è superlativa. Il ruolo di Carlito sembra essere stato inventato apposta per lui. Ottimo anche Sean Penn, nella parte del sedicente avvocato. Anche i personaggi che ruotano intorno ai protagonisti reggono bene il confronto e sono ottimi comprimari. Stupendo il finale, che lascia tristemente basiti.
Carlito’s Way, la trama
La trama. Harlem,
1975. Grazie alla bravura del suo avvocato David Kleinfeld
(Sean Penn), Carlito Brigante (Al
Pacino), vera leggenda negli ambienti malfamati, riesce ad
uscire di carcere dopo appena 4 anni, per buona condotta e chiari
intenti di voler cambiare vita. A questo scopo, rileva anche un
locale ben avviato, “El Paraiso”, frequentato anche da boss di
quartiere.
Le sue buone intenzioni si scontrano presto con il suo scomodo passato che lo verrà a cercare, e scoprirà che l’avvocato lo ha fatto uscire per un proprio tornaconto, diventato anche lui ormai un boss a tutti gli effetti. Nonostante ciò, cerca di coltivare il suo sogno insieme alla bella Gail, dalla quale il carcere ha allontanato. Ma la strada è in salita.
Il film è tratto da due romanzi: Carlito’s Way (1975) e After Hours (1979) di Edwin Torres. Si decise di usare il titolo del primo romanzo per evitare che la pellicola potesse essere confusa con l’omonimo film di Martin Scorsese del 1985. Nel 2005 fu girato un prequel destinato al circuito home video, intitolato Carlito’s Way – Scalata al potere. Un lungometraggio che non ha certo lasciato il segno.
La carriera del regista italo-americano Brian De Palma è caratterizzata da numerosi alti e bassi, avendo alternato film di successo a veri flop. Il primo lungometraggio di De Palma, Murder à la Mode (1968,) ottenne subito un buon successo, ma per ripetersi dovrà aspettare quasi 10 anni. Infatti, torna a far parlare di sé con il film horror Carrie, lo sguardo di Satana (1976), tratto da un romanzo di Stephen King, con John Travolta e Sissy Spacek.
Si ricordano anche Scarface (1983), sceneggiato da Oliver Stone con uno straordinario Al Pacino; Gli intoccabili (1987), con un cast all-star: Kevin Costner, Robert De Niro, Andy Garcia e Sean Connery, il quale – scelto all’ultimo dal regista, che aveva optato precedentemente per Kirk Douglas, Gene Hackman e James Stewart – vincerà un Oscar come miglior attore non protagonista; Mission Impossible del 1996 con Tom Cruise; Mission to Mars (2000), forse l’ultimo film che ha lasciato davvero il segno.
De Palma è stato anche nominato 5 volte ai Razzie Awards come peggior regista dell’anno per i film: Vestito per uccidere, Scarface, Omicidio a luci rosse, Il falò delle vanità e Mission to Mars. Sean Penn e Brian De Palma avevano già lavorato insieme in Vittime di guerra del 1989. Giancarlo Giannini è stato premiato con il Nastro d’argento per il doppiaggio di Al Pacino.
Vincere di Marco Bellocchio con Filippo Timi
Vincere è un film di Marco Bellocchio uscito nel 2009, con Giovanna Mezzogiorno e Filippo Timi nei panni rispettivamente di Ida Dalser e di Benito Mussolini giovane, nonché del figlio non riconosciuto da quest’ultimo, Benito Albino. Un film da consigliare, perché ben fatto, ma soprattutto, perché ci narra una vicenda che i libri di storia e i documentari non ci hanno mai raccontato, vuoi per censura, vuoi per mancanza di prove inconfutabili. Ma a Bellocchio è bastato guardare un documentario della Rai del 2005 per restarne colpito e decidere di farne un film, dando a tanti l’opportunità di venire a conoscenza di una delle tante storie taciute del nostro Paese; storie che riguardano tanto i potenti, quanto chi li ha amati senza essere contraccambiati.
Vincere, la trama
In Vincere Benito Mussolini è da giovane un fervente socialista, pacifista, anticlericale, direttore del giornale l’Avanti. Ma dentro di sé cresce una spinta propulsiva, egoista, ambiziosa, quasi sovrumana. Una spinta che lo porta a lasciare il partito e il giornale e fondare un Movimento (i fasci di combattimento) e un proprio giornale, Il Popolo d’Italia. Partecipa pure alla Prima Guerra Mondiale. Ad accompagnarlo in questa evoluzione o involuzione (dipende dai punti di vista) c’è Ida Dalser, ragazza passionale quanto lui. Dalla loro unione clandestina ed extraconiugale nasce Benito Albino, ma entrambi vengono a poco a poco messi ai margini da quello che diventerà il Duce d’Italia. Prima li fa rinchiudere in una cascina in campagna e poi li divide facendoli rinchiudere rispettivamente in un manicomio e in un orfanotrofio. Ma la giovane Ida non si da per vinta.
Marco Bellocchio ci racconta una storia cancellata dai libri di scuola o di saggistica. La storia di una donna che ha difeso fino in fondo un amore impossibile. Una passione trasmessa allo stesso figlio, che pure non ha mai cancellato il suo vero nome. L’interpretazione degli attori principali è molto coinvolgente, tanto che riescono a trasmettere appieno allo spettatore tutti i sentimenti che i personaggi interpretati provano dentro o esternano.
La Mezzogiorno interpreta al meglio l’audacia di una donna che non vuole rinunciare al suo amore e alla sua passionalità per un uomo diventato inarrivabile; sfidando perfino le regole assurde ed opprimenti che egli aveva messo in piedi con tanto di Regime autoritario. Quanto a Timi, si immedesima ottimamente nel ruolo di un giovane Mussolini in ascesa, ha sempre uno sguardo perso e soprappensiero, che tradisce il pensiero per chissà quale nuova meta da superare dall’alto della propria instancabile ambizione. Con uguale bravura interpreta anche il loro figlio clandestino, Benito Albino, il quale fu rinchiuso in un orfanotrofio col cognome della madre. Molto ben riuscita l’imitazione del padre da parte del figlio, un’imitazione ai limiti della nevrosi. Quella nevrosi che lo porterà all’auto-distruzione.
È stato l’unico film italiano in concorso al Festival di Cannes del 2009 e premiato ai David di Donatello 2010 con otto premi su quindici candidature, fra cui quello per il miglior regista. Non ha vinto quello per il miglior film, conquistato da L’uomo che verrà, ambientato sempre durante la Seconda Guerra Mondiale.
Una parigina alla riscossa: Melanie Laurent
“Non prendere lezioni di recitazione, non imparare a memoria le tue battute, non aver paura d’essere ridicola.” Pochi i consigli che Melanie Laurent ha ricevuto dal suo mecenate cinematografico Gerard Depardieu e che con dedizione e volontà le hanno consentito di costruirsi in breve tempo un’interessante carriera.
Melanie Laurent, biografia
Parigina DOC, Melanie Laurent nasce nella capitale francese il 21 febbraio 1983, figlia di una professoressa di danza e di un doppiatore (è la voce di Ned Flanders nella versione francese de I Simpson): nonostante le velleità artistiche della famiglia il primo approccio col mondo del cinema avviene in modo assolutamente casuale a soli 13 anni, accompagnando una sua amica ad un’audizione per un ruolo in Asterix e Obelix contro Cesare; galeotto allora l’incontro con Depardieu, che dopo aver notato la giovane dietro le quinte le propose subito un ruolo, scritturandola nel suo film Un pont entre deux rives dove interpreta il ruolo di Lisbeth. Segue un periodo di intensa attività in patria con diverse pellicole, da Ceci est mon corps (2000) di Rodolphe Marconi con Louis Garrel e Jane Birkin, a Embrassez qui vous voudrez (2002), dove interpreta la fidanzata di Gaspar Ulliel, e la fiction Il partigiano Moulin.
Melanie Laurent, filmografia
Nel 2004 torna a essere diretta da Rodolphe Marconi in Le Dernier Jour, dove interpreta nuovamente la ragazza di Ulliel, stavolta messa da parte da lui per l’amore omosessuale verso un amico d’infanzia e l’anno dopo è nuovamente sugli schermi in Tutti i battiti del mio cuore di Jacques Audiard con Roman Duris, nel ruolo dell’amante di un boss della mala russa. Il 2006 è un anno importante grazie al film Je vais bien, ne t’en fais pas di Philippe Lioret dove interpreta il ruolo di Lili, diciannovenne disperata per la separazione dal fratello gemello col quale ha un fortissimo legame, prova che le fa vincere il premio Cesar e il Lumiere come migliore promessa del 2007.
Segue nel 2008 Parigi di Cédric Klapisch, opera corale dove ritrova Roman Duris, per interpretare una studentessa della Sorbona oggetto dell’ossessione del suo professore di storia (interpretato da Fabrice Luchini) che cerca di conquistarla dedicandole versi di Charles Baudelaire. Nello stesso anno recita nel disperato L’amore nascosto di Alessandro Capone, dramma dai toni inquietanti che scava nella mente distorta di Danielle (interpretata da Isabelle Huppert), ricoverata in un ospedale psichiatrico dopo l’ennesimo tentativo di suicidio: a Melanie il ruolo di Sophie, figlia odiata e respinta sin dalla nascita, algida e misteriosa che come un fantasma appare alla ricerca di risposte nella stanza di Danielle e cerca disperatamente di superare l’innaturale odio di una madre verso la sua creatura con esiti tragici.
Il 2009 sarà l’anno che finalmente
le porterà la fama internazionale: Quentin Tarantino la consacra
regina assoluta del suo Bastardi senza Gloria,
dove interpreta l’ebrea Shoshanna Dreyfuss: ormai entrata nel mito
la perfomance della Laurent, una metamorfosi di odio per una
ragazza indifesa e terrorizzata, sporca del sangue dei familiari e
in fuga dalle grinfie del terribile Hans Landa nelle prime scene,
per diventare la proprietaria di un cinema animata da spietata sete
di vendetta; con sguardo assatanato fra le fiamme, con una risata
fragorosa capace di tormentare i più terribili incubi, si impone
sullo schermo per realizzare la più impossibile e allettante della
fantasie: uccidere Hitler e cambiare il corso della storia. «Il
suo obiettivo? Uccidere Hitler – conferma Melanie Laurent
– È una tipica eroina tarantiniana, una donna e una guerriera.
Comincio il film in salopette e lo finisco in veletta e abito da
sera. Come temperamento, mi sento molto vicina a lei: sono ebrea
anch’io, e fin da ragazzina ho sognato la stessa cosa, eliminare il
Fuhrer».
Dopo i fasti di Tarantino Melanie decide di concedersi la commedia Il Concerto Radu Mihaileanu e con Aleksei Guskov: qui interpreta Anne Marie Jacquet, grande violinista alla ricerca del proprio passato, che accetta di suonare Tchaikovsky insieme a una stramba orchestra di musicisti russi, cacciati dal regime sovietico e in cerca di riscatto, arrivati a Parigi grazie a uno scambio d’identità. Nel 2010 interpreta Annette Motod in Vento di primavera di Roselyne Bosch, nei panni di un’infermiera che si adopera per aiutare le famiglie ebree durante i rastrellamenti del 1942 nel quartiere della Butte Montmartre. Dopo aver terminato le riprese del suo primo lungometraggio da regista Les Adoptés, ha registrato il suo primo album musicale con il nuovo compagno Damien Rice. «Sono iperattiva, non riesco a stare ferma. Mi pare di non avere abbastanza tempo per realizzare tutto quel che ho in mente. Vacanze? Mi annoiano, al massimo riesco a prendermi un giorno solo, tutto per me, per fare shopping, comprarmi delle scarpe». La bella Shoshanna sembra inarrestabile: provate a fermarla.
Addio Jane Russell
Si e’ spenta nella sua casa californiana di Santa Barbara, a 89 anni, Jane Russell, uno dei piu’ famosi sex symbol di Hollywood degli anni ’40 e ’50.
In arrivo Bridget Jones 3
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Renée Zelleweger potrebbe indossare nuovamente i goffi panni di Bridget Jones ad eccezione però che non sia costretta ad ingrassare per il ruolo.
Renée Zelleweger ridiventa Bridget?
Renée Zelleweger potrebbe indossare nuovamente i goffi panni di Bridget Jones ad eccezione però che non sia costretta ad ingrassare per il ruolo.
Will Smith diventerà Giobbe?
“Joe è un uomo che vive il sogno americano. Ha una bella casa con lo steccato bianco, dei bambini e una moglie fantastica, delle belle auto. Dio e il diavolo si incontrano ogni 1000 anni per scommettere sulla vita di un uomo, e il destino del mondo è a rischio. Quello che ci capita nel corso di una vita intera, a quest’uomo capita in una settimana. E’ un dramedy, cioè, di base è una commedia, ma con un nucleo molto drammatico”.
Tarantino si da al western all’italiana
Finalmente Quentin Tarantino si è deciso ad uscire allo scoperto. Il suo prossimo progetto sarà uno spaghetti western, genere di film che da tempo sogna di fare e che a forza ha inserito in tutti i suoi film precedenti, da Le Iene ai Bastardi senza Gloria.
Pietro – recensione
Col film che s’intitola Pietro, il regista Daniele Gaglianone ha gareggiato al Festival del Cinema di Locarno 2010. L’ambientazione è a Torino, nei “grigi” quartieri in periferia. Il protagonista Pietro sta superando l’età della giovinezza, ma dei problemi psicologici ne frenano il raggiungimento della maturità. Più che la goffaggine nei movimenti, in lui conta la continua “sudditanza” ai comandi del fratello Francesco, tossicodipendente. I due giovani vivono insieme, in un appartamento fatiscente.
Potiche – recensione
Considerato uno fra i registi più
“interessanti” del panorama europeo, nel suo nuovo film Ozon ha
scelto di alleggerire i toni, rinunciando sia alla sceneggiatura
“gotica” sia al simbolismo. Qui Potiche sta per una parola francese
che traduciamo come soprammobile. La protagonista del film è
Suzanne, moglie dell’industriale Robert Pujol (la cui fabbrica
produce ombrelli). Una vera e propria bella statuina per il marito,
che da sempre la confina al ruolo di casalinga, più che altro per
accudire i figli della coppia. Suzanne un po’ alla volta prende
coscienza di sé, arrivando persino a spodestare Robert dalla
presidenza industriale. Dunque la bella statuina comincerà ad
“attivarsi” continuamente.
Tim Burton rifà Victor Hugo
Tim Burton, che si sta godendo i due Oscar indirettamente ottenuti grazie ai costumi e alle scenografie del suo Alice in Wonderland, se ne approfitta anche per sfruttare a suo vantaggio l’enorme successo commerciale di questo film.
Addio a Jane Russell
Si e’ spenta nella sua casa californiana di Santa Barbara, a 89 anni, Jane Russell, uno dei piu’ famosi sex symbol di Hollywood degli anni ’40 e ’50.
Manuale d’Amore 3: recensione del film
Eccoci con Manuale d’Amore 3, terzo capitolo della manualistica amorosa di Giovanni Veronesi. Senza dubbio questo non si discosta dai precedenti per concezione ed impianto: la struttura a episodi, i personaggi dell’uno che interagiscono con quelli dell’altro, la voce fuori campo a unificare il tutto, la scelta del cast di Manuale d’Amore 3, che punta su alcune conferme (Scamarcio, Bellucci, Verdone), qualche novità (Chiatti, Solarino, Placido – già scelto da Veronesi per Genitori e figli: Agitare bene prima dell’uso) e su quel “colpaccio” messo a segno dal regista, che è la presenza di Robert De Niro.
Nessuna sorpresa in Manuale d’Amore 3, neppure per quel che riguarda il modo di affrontare il tema: Veronesi propende senz’altro per la commedia romantica, soprattutto negli episodi Giovinezza e Oltre, e più in generale per la commedia di situazione e la comicità pura (quella delle porte in faccia, per intenderci). Il tutto confezionato con rassicuranti lieti fini, romantiche battute “da manuale” e la retorica presenza di un Cupido tassista, forse omaggio al tassista deniriano di tutt’altro tenore, che scocca frecce d’amore tra un episodio e l’altro ed elargisce massime sul sentimento in oggetto. Sceneggiatura curata da Veronesi stesso e da Ugo Chiti, come per gli altri due “manuali”.
Dunque, se amate l’universo del regista di Prato, potrete tuffarvici ancora senza sostanziali sorprese. Se invece speravate in un’evoluzione verso la commedia all’italiana più ricca di ironia e sarcasmo, dall’orizzonte più realistico e non così facilmente rassicurante, beh, neppure in questo capitolo sarete accontentati.
Ma veniamo ora agli episodi di Manuale d’Amore 3. Primo: Giovinezza. È il più vivace e fresco dei tre, con l’efficace passaggio da Roma alla Toscana, dove il protagonista Roberto/Riccardo Scamarcio tenterà un’ultima fuga dalle responsabilità della vita adulta assieme a Micol/Laura Chiatti, prima di sposarsi e metter su famiglia con Sara/Valeria Solarino. Funziona senz’altro l’affresco di provincia toscana, di cui Veronesi ha diretta esperienza, e coinvolge lo spirito goliardico degli altri personaggi dell’episodio (il vigile, il picchiatello, il vecchio padrone di casa – Carlo Monni, il Vitellozzo di Non ci resta che piangere – così come funziona Riccardo Scamarcio in veste d’attore comico (a tratti verdoniane le situazioni pensate per lui da Veronesi), brava anche Laura Chiatti nei panni della leggera e spregiudicata Micol. Spesso divertente e coinvolgente, l’episodio non prescinde però da scivolate nel banale e nel romanticismo a rischio di diabete, specie in alcuni dialoghi tra i promessi sposi Riccardo Scamarcio e Valeria Solarino.
Secondo: Maturità. Episodio di comicità pura, protagonisti il mezzobusto televisivo di successo Carlo Verdone/Fabio e l’affascinante Eliana/Donatella Finocchiaro, che lo irretirà, rivelandosi poi affetta da seri problemi psichici dai risvolti pericolosi. Comicità pura, ovvero quella che nasce da situazioni grottesche e rocambolesche. Per intenderci, tutto ciò che abbiamo già visto fare a Verdone nei due precedenti “manuali” e non solo: Verdone in mutande, Verdone maltrattato, picchiato (più o meno per gioco), incerottato, che tradisce e si fa scoprire, per poi chiedere umilmente e ridicolmente perdono, e l’altrettanto immancabile Verdone ipocondriaco. Insomma, tutto l’ampio repertorio di gag in cui ormai l’attore romano è specializzato, ma che forse proprio per questo risultano logore, abusate e perdono in vis comica, e la cui interpretazione appare stereotipata. Qualche risata, sì, ma non quante ci si poteva aspettare. Riuscita la scena dell’incontro tra Fabio e Adrian/Robert De Niro.
Terzo: Oltre. Indubbiamente l’episodio più atteso, che vede Robert De Niro protagonista nei panni del professore americano. È il personaggio più misurato del film, porta con eleganza i suoi anni, il suo italiano con accento americano (meticolosamente studiato) non sfigura affatto e, vivaddio, dopo anni di doppiaggi (anche eccellenti), grazie a Veronesi sentiamo la sua voce.
Detto ciò, la strana amicizia tra i due opposti Robert De Niro/Adrian, compassato e timido, e Augusto/Michele Placido, portiere meridionale, triviale e sanguigno, risulta credibile e autentica. Tutto potrebbe funzionare, perfino l’amore, quasi dimesso e in punta di piedi, che sboccia tra la giunonica e fatale Viola/Monica Bellucci (che, a parte l’avvenenza, non rivela grandi doti d’attrice) e l’ancora affascinante Adrian. Se non che, anche qui come nel primo episodio, si finisce per scivolare nella retorica. Per ora dunque il regista non intende emanciparsi da questo approccio. Chissà, forse ci stupirà nel prossimo capitolo della serie, cambiando del tutto orientamento. O forse no, visti gli incassi.
Easy Girl: recensione del film con Emma Stone
In Easy Girl Emma Stone è Olive, una ragazza che, a seguito di una piccola bugia, si trova in un mare di guai. Reputazione rovinata, migliore amica abbandonata e scuola in rivolta: Olive dovrà affrontare tutto questo per rimettere in piedi la sua reputazione. Easy Girl è una divertente commedia giovanilistica che si regge sul fondamentale ruolo di Emma Stone, bravissima e brillante, non solo perché ne è la protagonista ma soprattutto perché sembra l’unico carattere a tutto tondo, ben delineato e strutturato intorno ad una fisicità esile e briosa che tiene senza alcuna esitazione le redini del racconto.
Easy Girl, il film
Molti i temi accennati da una sceneggiatura che poggia leggere dita su ogni personaggio infondendogli vitalità: dal bullismo all’omosessualità giovanile, dal fanatismo religioso all’ipocrisia della buona società fino al nevralgico problema del pettegolezzo che al liceo può diventare una vera e propria condanna. La storia procede senza un vero e proprio crescendo, poiché da subito la narrazione sembra sfuggire un po’ di mano al regista che pure cerca di domarla con una regia rapida, con momenti da videoclip, ma il più delle volte sobria. E la bella Emma nei panni succinti di Olive cerca con tutte le sue forze di correre a destra e sinistra proprio come, nella finzione, cercherà una via d’uscita alla sua situazione in maniera confusa e disordinata.
Ottimi personaggi di contorno sono i genitori dell’adolescente Olive interpretati da due magistrali Stanley Tucci e Patricia Clarkson, controcorrente, irriverenti e sicuramente tra le cose migliori del film. Il titolo originale di Easy Girl è Easy A, citazione (che ben si comprende nel film) de La Lettera Scarlatta, il famoso romanzo di Hawthorne nel quale una donna commette adulterio e viene costretta ad andare in giro con una A rossa stampata sui vestiti, ed è questa la soluzione che sceglierà Olive. Quando le cose sembrano essere arrivate al punto di non ritorno la ragazza comincerà a sfruttare a suo vantaggio il suo presunto essere “una ragazza facile” andando in giro per la scuola con la stessa A cucita sui vestiti.
Il finale di Easy Girl è scontato e il lieto fine non tarda ad arrivare, fa cadere tutto l’anticonformismo che sembrava rendere questa protagonista così speciale e riduce il film ad un’altra commedia come tante. Ma alla fine non si cercano complicazioni, il film si lascia guardare e strappa qualche sorriso, senza troppo chiedere alla mente dello spettatore.
Box Office ITA 28/02/2011
Manuale d’amore 3 è l’unica new entry a imporsi al botteghino, benché con un risultato sotto le aspettative. Il cigno nero soffia il secondo posto ad Amore e altri rimedi, in un fine settimana molto positivo per il thriller con il Premio Oscar Natalie Portman.
Era ovvio che Manuale d’amore 3 avrebbe esordito al primo posto del box office italiano, ma il risultato ottenuto non può certo essere indice di successo: 2,9 milioni raccolti nei tre giorni, quasi la metà di quanto ottenuto nel weekend d’esordio di Manuale d’amore 2 (6,1 milioni). E’ probabile che gli italiani si siano un po’ stufati delle commedie nostrane, che hanno assalito in massa le nostre sale negli ultimi due mesi.
Chi invece può cantare vittoria, e non solo per il Premio Oscar appena conquistato dalla splendida protagonista Natalie Portman, è Il cigno nero: il film incassa altri 991.000 euro nel suo secondo fine settimana, un risultato molto simile al weekend d’esordio, e arriva a 2,6 milioni totali. E’ evidente che il passaparola sta influenzando positivamente la pellicola.
Amore e altri rimedi scende così al terzo posto con altri 800.000 euro per 2,5 milioni complessivi. Il grinta, grande sconfitto agli Oscar, mantiene la quarta posizione, raccogliendo 703.000 euro per 2,1 milioni totali.
Femmine contro
Maschi inizia la parabola discendente con 655.000
euro, giungendo a quota 10,8 milioni.
Unknown – Senza identità debutta al
settimo posto con 643.000 euro, ottenendo una media molto
positiva.
Il trionfatore degli Oscar 2011, Il discorso del
re, abbatte la soglia dei 5 milioni complessivi con
altri 483.000 euro: chissà se gli importanti premi appena vinti,
tra cui il Premio Oscar come Migliore Attore al magistrale Colin
Firth, recheranno ulteriori benefici alla pellicola di Tom Hooper,
consacrato regista dell’anno.
127 ore debutta all’ottavo posto con soli 320.000 euro. Chiudono la top10 Immaturi (310.000 euro) e I fantastici viaggi di Gulliver (290.000 euro), arrivati rispettivamente a quota 14,6 e 3,2 milioni.
Quanto alle altre new entry, pessimi risultati da segnalare: Shelter – identità paranormali (tredicesimo) debutta con 186.000 euro, mentre Ladri di cadaveri segue con 101.000 euro.
Independent Spirit Awards 2011: vince Il Cigno Nero
Come da tradizione la sera prima della ‘Grande Notte’ l’Independent Film Project ha assegnato gli Independent Spirit Awards 2011, premi che ogni anno consacrano i migliori film, i migliori attori, i migliori registi e sono dedicati ai film indipendenti, fatti con un budget massimo di 20 milioni di dollari.
Box Office USA del 28 febbraio 2011
Di tutti i film premiati agli ultimi Oscar, solo Il discorso del re, vincitore della statuetta come miglior film, miglior regia e miglior attore protagonista, è presente in classifica. In bassa classifica, più o meno da quando è uscito a fine Novembre.
Gli altri, Il cigno nero, The fighter, Il grinta sono usciti di classifica da qualche settimana, mentre ovviamente The Social Network e Inception non sono presenti perchè usciti molto prima nelle sale. La vetta della classifica del box office statunitense questa settimana va al film di animazione Disney Gnomeo and Juliet, che dopo due settimane di classifica raggiunge i 75 milioni di dollari di incasso. Il nuovo film dei fratelli Farrelly, Hall pass, con Owen Wilson, Jenna Fischer e Christina Applegate, alla prima settimana di uscita si guadagna la seconda posizione, con 13 milioni di incasso. E’ l’ennesima commedia un po’ assurda in cui a un marito viene concesso di avere rapporti extraconiugali a patto che sia un beneficio anche della moglie. Ovviamente, le cose si complicano.
Liam Neeson e la sua crisi di identità in Unknown scendono in terza posizione con però un incasso di quasi 43 milioni di dollari. La commedia degli equivoci Mia moglie per finta con Adam Sandler finto marito della finta ex moglie Jennifer Aniston rimane il quarto incasso di questa settimana, ma raggiunge un totale ragguardevole di quasi 80 milioni di dollari. La produzione Dreamworks, firmata Spielberg e Michael Bay Sono il numero quattro, risale la classifica e si ferma in quinta posizione, mente il live di Justin Bieber Never say never resta stabile a metà classifica, forse forte del secondo giro di visione delle fan più accanite.
In settima posizione ecco finalmente il miglior film: Il discorso del re passa la sua terza settimana in questa posizione della classifica degli incassi, raggiungendo i quasi tre mesi di uscita e 115 milioni di dollari di incasso. Una lunga strada iniziata con il successo al Toronto Film Festival e arrivata fino agli Oscar. Il film demenziale Big Mommas: like father like son, sembra già aver esaurito le sue cartucce visto che precipita quasi fuori classifica in ottava posizione. Il nono incasso è invece del nuovo film con Nicolas Cage, Drive Angry 3D, appena scelto come “Worst movie of the Weak (sic)” dalla prestigiosa associazione che consegna ogni anno i Razzie Awards, le pernacchie d’oro, un giorno prima degli Oscar. A chiudere la classifica, il thriller The roommate.
Le uscite della prossima settimana sono molte e variegate,in molti casi legate al festival Sundance appena terminato. Esce anche Lo zio Boonme ricorda le sue vite precedenti, vincitore a Cannes, grazie alla giuria presieduta da Tim Burton. Quindi abbiamo I saw the devil, film thriller coreano con ottime critiche, in selezione al Sundance. Tra i possibili successi esce invece Rango, film di animazione di Gore Verbinski, regista della saga de I Pirati dei Caraibi, in cui Johnny Depp presta la voce al camaleonte protagonista e Take me home tonight commedia con uno dei protagonisti di That 70’s show, Topher Grace e Anna Faris che ha avuto una discreta pubblicità durante il Superbowl, grazie a questo video. Da Sundance arriva anche Red State, un horror di Kevin Smith, il regista di Clerks e la commedia Happythankyoumoreplease.
César 2011: i premiati
Un po’ in ombra rispetto ai più prestigiosi e ‘ricchi’ Oscar, sono stati assegnati anche i César, i premi che si assegnano al meglio del cinema in Francia.
Il Discorso del Re trionfa al Kodak
Il Discorso del Re ha trionfato al Kodak Theatre, forse un po’ a sorpresa, ma questo è quando l’Academy ha deciso. Tornata a letto dopo la lunga notte in bianco, non posso che essere soddisfatta per i risultati, a dispetto di ciò che temevo.
Oscar 2011: vincitori!
Si è appena conclusa la 83esima edizione degli Academy Awards. Forse a sorpresa, ma sicuramente a ragione, trionfa il Discorso del Re, mentre grande escluso dalle premiazioni è stato Il Grinta dei Coen. Delusione nche per The Social Network per il quale forse si ci aspettava qualcosa in più.
“Silvio forever”, docu-film su Berlusconi
Uscirà il prossimo 25 marzo “Silvio forever”, autobiografia non
autorizzata di Silvio Berlusconi dagli autori de “La Casta” Gian
Antonio Stella e Sergio Rizzo. La regia è di Roberto Faenza e
Filippo Macelloni.