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Nuove foto da A Glimpse Inside the Mind of Charles Swan III

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Arrivano 3 nuove foto per A Glimpse Inside the Mind of Charles Swan III di Roman Coppola, presentato in anteprima all’ultimo Festival del film di Roma.

Independence Day: no al ritorno in sala in 3D

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La 20th Century Fox ha cancellato i suoi piani per il ritorno in sala con la conversione in 3D di Indipendence Day.

Tutti i volti dell’enfant prodige Joseph Gordon-Levitt

Viso pulito, modi amichevoli, sguardo da eterno ragazzino che nasconde un’espressione ammiccante da tombeur des femmes e un’enorme bravura. Questa, in breve, la descrizione di Joseph Leonard Gordon-Levitt, una delle più giovani stelle hollywoodiane che, oltre a vantare una carriera più che ventennale alle spalle, sembra non essere intenzionato a fermarsi, ma, anzi, vede crescere di giorno in giorno la sua popolarità.

Joseph Gordon-Levitt, biografia

Il celebre attore statunitense nasce a Los Angeles il 17 febbraio 1981. Cresciuto in una famiglia ebraica di stampo progressista, con un padre redattore per l’emittente KPFK e una madre candidata alle elezioni per il Peace and Freedon Party negli anni ‘70, calca le scene fin dalla tenerissima età. A quattro anni si unisce infatti ad un gruppo teatrale e gli viene affidata la parte dello spaventapasseri in un adattamento de Il Mago di Oz e, poco dopo, iniziano per lui le prime apparizioni televisive, soprattutto in spot pubblicitari.

Joseph Gordon-Levitt, filmografia

La vera carriera come attore prende il via alla fine degli anni ’80, quando Joseph Gordon-Levitt  ha appena sei anni. Il bambino prodigio appare più o meno fugacemente in svariate produzioni televisive, tra cui Stranger on My Land, Casa Keaton e La Signora in Giallo.

Grazie alla sua abilità, innegabile nonostante la tenera età, nel 1991 ottiene il primo ruolo da protagonista nel remake della soap opera Dark Shadows e, nel 1992, debutta nel mondo del cinema, con un ruolo da comparsa nel film Beethoven. Nello stesso anno Joseph Gordon-Levitt entra a far parte del cast di In mezzo scorre il fiume, un film centrato sul rapporto tra due fratelli girato da Robert Redford, in cui il giovane attore veste i panni di Craig Sheffer da giovane.

Da questo momento si susseguono per lui dei ruoli sempre più importanti; negli anni a venire Joseph Gordon-Levitt è Gregory in Switching Parents (Gregory K), la storia vera di un ragazzo che riesce ad ottenere legalmente il diritto a separarsi dai suoi genitori e Roger in Angels in the Outfield, lungometraggio che narra di un bambino apparentemente sfortunato ma che è in grado di vedere gli angeli.

Il successo è a portata di mano e Joseph Gordon-Levitt riesce ad afferrarlo grazie alla sit-com Una famiglia del terzo tipo. La serie, che ha avuto un enorme successo in America, gira intorno alle avventure dei Solomon, una famiglia media americana i cui componenti sono però degli esploratori extraterrestri che hanno preso sembianze umane allo scopo di studiare il pianeta terra e i suoi abitanti. Joseph Gordon-Levitt impersona Tommy Solomon, figlio adolescente del particolare quadretto familiare, dal 1996 al 2001, anno in cui decide di sciogliere il contratto con la produzione.

Nel frattempo la sua fama televisiva, pur serrandolo in un ruolo che con il tempo inizierà ad andargli stretto, non impedisce all’attore di entrare a far parte a tutti gli effetti del mondo del cinema. Nel 1996 è il figlio di Demi Moore nel film Il Giurato, nel 1998 una vittima che muore prima dei titoli di testa in Halloween 20 anni dopo e nel 1999 è co-protagonista, insieme ad un giovanissimo Heath Ledger, della commedia romantica 10 cose che odio di te.

La sua passione per il cinema, la volontà di allontanarsi da un certo modello di celebrità televisiva e, forse, l’influenza del nonno materno (il regista politicamente attivo Michael Gordon), lo portano però a sviare i facili prodotti commerciali e a ricercare ruoli più difficili e impegnati all’interno di circuiti indipendenti.

Nel 2001 il ventenne Joseph Gordon-Levitt entra così nei panni del protagonista Lyle nel film Manic, dramma di Jordan Melamed ambientato in un manicomio, che narra di un ragazzo internato per essere stato violento con un compagno di baseball e che incontra tra le mura dell’istituto altri ragazzi con problemi psichici alle spalle.

Joseph-Gordon LevittDopo questa prova, però, l’attore sembra stancarsi della vita che conduce e, nel 2002, si ritira momentaneamente dai riflettori per iscriversi all’università. La sua carriera di studente, piuttosto fugace,  finisce nel 2004, quando Joseph Gordon-Levitt lascia la Columbia University dopo aver passato due anni immerso nei corsi di storia, poesia e letteratura francesi. La francofilia, però, non è abbastanza forte per fermare la sua attrazione verso la recitazione e in quest’ultimo decennio Joseph Gordon-Levitt sarà presente in pellicole sempre più incisive.

Mysterious Skin, film del 2004 diretto da Gregg Araki, segna infatti, dopo il preludio di Manic, l’inizio di una nuova strada, che vede l’ex bambino prodigio Levitt alle prese con ruoli scomodi, difficili, tormentati. Nel film di Araki, infatti, il giovane attore entra nei panni di Neil McCormick, un ragazzo che, dopo essere stato oggetto di molestie sessuali da parte del suo allenatore di baseball da bambino, si prostituisce ed è incapace di vivere relazioni stabili e autentiche.

L’anno successivo, con Brick-Dose Mortale dell’esordiente Rian Johnson, Levitt conferma la sua bravura dando anima e corpo a Brendan Frye, un adolescente che, indagando su un omicidio, rimane coinvolto in giri di droga poco limpidi all’interno del college che frequenta. La sua interpretazione non solo non passa inosservata, ma lascia una traccia più che positiva in numerose critiche filmiche e quando nel 2007 si cala nel Chris Pratt di Sguardo nel Vuoto di Scott Frank, la sua consacrazione diventa definitiva. Pratt, infatti, è un ragazzo che, a seguito di un incidente, ha vuoti di memoria, narcolessia, problemi di concentrazione e che viene convinto da un ex compagno di scuola a rapinare la banca per cui lavora.

Joseph Gordon-Levitt mette tutta la sua arte nel rendere reale questo personaggio divorato dal senso di colpa, che confonde sogni e realtà, e che distorce ciò che passa per il filtro della sua mente.  Forse proprio per questo ruolo gli viene assegnata, nel 2008, la parte del killer psicopatico Richie Nix in Killshot, thriller in cui recita accanto ad attori del calibro di Mickey Rourke e Diane Lane.

Dal 2009 ad oggi le interpretazioni diventano più variegate e Joseph Gordon-Levitt dimostra di essere a suo agio con generi differenti: fa parte del cast di Miracolo a Sant’Anna, è il protagonista della bellissima commedia (500) Giorni insieme, primo lungometraggio del regista di videoclip musicali Marc Webb in cui veste i panni dell’innamorato romantico che crede nel vero amore, ma è anche Hesher in Hesher è stato qui, un personaggio volgare e disturbante, con capelli lunghi e tatuaggi artigianali, che mette alla prova i rapporti sociali in una famiglia che ha appena subito un grave lutto.

Lo straordinario Inception di Christopher Nolan, è il suo banco di prova nel kolossal. Affiancando Leonardo DiCaprio ed Ellen Page, un’altra promessa proveniente dai circuiti indipendenti, dimostra di essere all’altezza di film di spessore destinati ad un pubblico ampio e si ritaglia finalmente un posto tra i “grandi”. Ne è prova il fatto che lo stesso Nolan lo richiama nel 2012, per trasformarlo nell’agente di Gotham City John Blake, de Il Cavaliere Oscuro-Il Ritorno, episodio che chiude la trilogia dedicata all’uomo pipistrello.

Tra gli ultimi film in cui appare come protagonista si possono segnalare 50 e 50, dramma in cui l’attore interpreta Adam, un ragazzo che scopre di avere una forma di cancro che gli lascia il 50% di possibilità di sopravvivenza, e Senza Freni, film d’azione interamente girato per le strade di New York con un Gordon-Levitt pony express che cerca di sfuggire a un poliziotto corrotto a bordo della sua bici a scatto fisso.

Si attendono quindi con ansia i prossimi film di quello che ormai può essere considerato a tutti gli effetti uno dei giovani attori più in auge del decennio: Looper, un prodotto di fantascienza ambientato in un futuro prossimo in cui degli assassini utilizzano in modo criminale i viaggi nel tempo, e Lincoln, un film ambientato in un passato non troppo lontano che scandaglia le lotte del primo presidente degli Stati Uniti per l’abolizione della schiavitù.

Nominato per due volte ai Golden Globe come miglior attore in un film brillante (per 50 e 50 e 500 giorni insieme), Joseph Gordon-Levitt non è solo un buon interprete, ma un vero e proprio sperimentatore di generi e personaggi.

Joseph Gordon-Levitt in LooperNel 2010 gira come regista il cortometraggio Morgan and Destiny’s Eleventeenth Date: The Zeppelin Zoo, un film di sette minuti finanziato dalla hitRECord.org, società di produzione on-line,  di proprietà dello stesso Levitt, che divide la metà dei profitti con coloro che contribuiscono. E dopo questo primo corto, presentato al South by Southwest Festival, il prossimo anno è prevista l’uscita di un lungometraggio diretto interamente dall’attore intitolato Don Jon, storia di un Don Giovanni moderno che cerca di diventare una persona migliore. Nel cast anche Scarlett Johansson e Julianne Moore.

Enfant prodige, stella televisiva, ottimo interprete cinematografico e regista esordiente, Joseph Gordon-Levitt può essere a considerato a tutti gli effetti un artista; un’anima eclettica che, con ogni probabilità,  non smetterà tanto presto di stupirci!

Colin Farrell sul set di Winter’s Tale

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Colin Farrell è stato fotografato mercoledì 21 novembre a New York sul set di Winter’s Tale, il prossimo film di Akiva Goldsman.

Qualche giorno fa,

Il Cavaliere Oscuro il ritorno: dietro l’esplosione dello stadio!

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Ecco una clip dai contenuti extra de Il Cavaliere oscuro il ritorno, in home video dal 4 Dicembre 2012. Protagonista del filmato l’incredibile scena nel campo di Football dove Bane fa esplodere il terreno, creando una voragine che inghiottisce i giocatori.

Fonte: comingsoon.net

Il cavaliere oscuro – Il ritorno: backstage su Catwoman

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Continua la dispersione di contenuti speciali direttamente dall’edizione Home Video de Il cavaliere oscuro – Il ritorno. Dopo la clip dedicata a Bane e all’ottimo lavoro svolto da Tom Hardy, qui vi presentiamo invece qualcosa in più sulla nascita e la costruzione di Catwoman e di come Anne Hathaway ha dato vita al suo personaggio.

Ecco il video:

 

L’applicazione Tarantino Shoots you dedicata a Django Unchained!

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Ecco l’applicazione TARANTINO SHOOTS YOU dedicata a DJANGO UNCHAINED, il nuovo film di Quentin Tarantino che uscirà in sala Giovedì 17 Gennaio 2013 con Jamie Foxx, Christoph Waltz, Leonardo DiCaprio, Kerry Washington e Samuel L. Jackson.

Crea il tuo spaghetti western con Tarantino Shoots You, l’applicazione per Django Unchained con le indicazioni di Quentin Tarantino. L’avvertimento, lo sguardo, lo sparo: questi sono i tre momenti chiave, che girerete personalmente insieme al regista.

Creare il vostro video è facilissimo. Basta inserire i propri dati, e poi seguire passo per passo le istruzioni per poi registrare il vostro ciak! al seguente link:
http://django-ilfilm.it/tarantino

Lawless: recensione del film di John Hillcoat

John Hillcoat, acclamato regista del post apocalittico The Road, torna al cinema con Lawless. Lawless racconta la storia (vera) dei tre fratelli Bondurant, Howard, Forrest e Jack, che, durante la Grande Depressione, si fecero protagonisti di un articolato traffico di moonshine, ovvero di liquore distillato illegalmente, mettendosi contro l’agente speciale Charlie Rakes, vicesceriffo folle e corrotto che proverà a frenare il successo dei tre fratelli.

Con Lawless Hillcoat cerca di realizzare un’epopea sui contrabbandieri lontana dai completi gessati e dai sigari costosi che la tradizione cinematografica ci ha insegnato ad accostare a questo tipo di business. Il regista va all’origine, alla fabbrica, e ci mostra i veri e propri fabbricanti di alcool illegale, affacciandosi di sfuggita nel mondo da gangster movie attraverso il personaggio di Gary Oldman. Proprio lui rappresenta uno dei problemi del film: un attore di questo calibro è utilizzato pochissimo, lasciando il suo personaggio, che sembra fondamentale, nel dimenticatoio.

Lawless, il film

I tre protagonisti, Tom Hardy, Shia Labeouf e Jason Clarke, sono perfetti per i propri ruoli, anche se, soprattutto il personaggio di Hardy, si aggira pericolosamente sul confine tra l’essere geniale e l’essere ridicolo, sensazione forse accentuata da un doppiaggio che come al solito svilisce le performance originali degli attori. Stesso discorso per LaBeouf che a suo discapito ha anche una capacità interpretativa decisamente inferiore a quella di Hardy. Altro discorso invece per il maggiore dei fratelli Bondurant, interpretato da Clarke, che mette al servizio del suo personaggio, forse un po’ defilato rispetto agli altri due, una faccia che buca lo schermo e una perfetta interpretazione.

Anche Guy Pearce, inquietante villain nel film, corre il rischio di Hardy, interpretando un personaggio ai limiti della caricatura, ma lasciando trapelare tra i tip e la brillantina la grande stoffa d’attore che lo caratterizza. Le signore del film, relegate a comprimari, sono Jessica Chastain, divina in ogni sua manifestazione, e Mia Wasikowska, perfetta nell’interpretazione di una giovane ed ingenua ragazza di campagna. L’ostentazione della violenza nel film è forse fondamentale per immergere lo spettatore in quell’esatto momento storico con quei personaggi così caratterizzati, resta tuttavia il fatto che la regia monotona e la fotografia a tratti amatoriale fanno di Lawless un film deludente. Peccato perché il taglio vagamente ironico con cui erano costruiti i personaggi, specialmente quello di Hardy, avrebbe potuto dare al film un tocco speciale e renderlo migliore.

 

Il Trailer italiano di Beautiful Creatures – La sedicesima luna

Il Trailer italiano del film Beautiful Creatures – La Sedicesima la nuova saga dei produttori di Twilight, al cinema a febbraio 2013, con Alice Englert, Alden Ehrenreich, Jeremy Irons e Emma Thompson.

Beautiful Creatures – La Sedicesima, al cinema dal 21 febbraio, con Alice Englert, Alden Ehrenreich, Jeremy Irons e Emma Thompson.

Il Trailer di Tutto tutto niente niente con Antonio Albanese

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Ecco il trailer ufficiale di Tutto Tutto niente niente, con protagonista Antonio Albanese. La pellicola è il sequel di Qualunquemente, pellicola che vedeva protagonista Cetto La Qualunque,

Ci vediamo a Casa: recensione del film di Maurizio Ponzi

Arriva al cinema la nuova commedia sentimentale Ci vediamo a Casa, diretta da Maurizio Ponzi e con protagonisti Ambra Angiolini e Edoardo Leo

In Ci vediamo a Casa Tre coppie molto diverse tra loro. Tre modi di pensare e di affrontare la vita a due. Tre microcosmi abbastanza riconoscibili della realtà odierna. Un unico, debole, filo rosso ad unire questi tre mondi: la ricerca della casa perfetta dove coronare un sogno d’amore e di convivenza.

Questa, in breve, la trama di Ci vediamo a casa, film che segue tre storie distinte, tutte egualmente poco interessanti, con l’apparente obiettivo di offrire uno spaccato dell’Italia di oggi.

Ci vediamo a Casa: il film

Inizialmente viene mostrata la vita di Vilma (Ambra Angiolini) e Franco (Edoardo Leo), bibliotecaria lei, ex-galeotto lui, che, per convivere, si trovano costretti ad accettare l’ospitalità di un amico pensionato con problemi di solitudine e di salute. Poi si segue con scarsa trepidazione il caso di Andrea (Primo Reggiani) ed Enzo (Nicolas Vaporidis), che vorrebbero andare a vivere insieme scappando rispettivamente dalla caserma e dai tentacoli di una madre soffocante, ma che sono frenati da problemi di ordine sentimentale. Infine si viene trasportati nel mondo del denaro e dell’ipertrofia dell’ego di Gaia (Myriam Catania) e Stefano (Giulio Forges Davanzati), due giovani che hanno una casa a testa e che, dopo una prova di coabitazione, decidono di mantenere i propri sacrosanti spazi vitali.

Il film di Maurizio Ponzi, regista con una lunga carriera alle spalle di cui però si ricordano più i prodotti televisivi come Il Bello delle Donne che le fatiche registiche al fianco di Pasolini negli anni ’60, mostra, con un linguaggio diretto e piuttosto povero, due tipi di mediocrità. Il primo è quello di cui sono pregni i suoi personaggi: esseri umani quasi mostruosi, persone brutte in senso etico che si comportano in modo gretto ed egoista nel quotidiano. Il secondo tipo di mediocrità, non meno evidente, riguarda invece la maniera in cui gli attori vengono mostrati: inquadrature prevedibili, uso del taglio e del montaggio veloce di un’unica inquadratura totalmente ingiustificato per il tipo di film, inserimento di sequenze di flash-back accompagnate da canzoni strappalacrime.

L’impressione generale è di aver assistito a delle avventure piuttosto sconclusionate, storie montate ad arte ma prive di senso in sé e per sé, ambientate in un’Italietta abitata dai peggiori individui e indirizzate, apparentemente, ad una platea considerata alla medesima stregua.

Questa povertà d’idee porta davvero a pensare che alcuni tipi di film andrebbero lasciati alla tv. Ciliegina sulla torta: la canzone del film è firmata Dolce Nera ed è stata presentata al Festival di  Sanremo 2012.

Daniel Craig è il miglior Bond secondo Roger Moore

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Roger Moore, che ha interpretato James Bond per ben sette film, ha sempre dichiarato che il miglior Bond di sempre era stato Sean Connery. Ora però sembra aver cambiato idea, dopo aver visto in azione Daniel Craig in Skyfall.

Se avessi visto Skyfall prima di finire il mio libro, Bond on Bond, avrei dedicato un intero capitolo a Craig, che è un Bond superbo – ha detto l’attore – Credo che egli abbia garantito al franchise altri 50 anni“. Moore ha anche detto che Skyfall è il miglior film di tutto il franchise: “Secondo me Skyfall è uno straordinario pezzo di cinema“.

Fonte: WP

Love Is All You Need: Teodora film distribuisce il film di Susanne Bier

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Dopo il successo planetario di In un mondo migliore, vincitore dell’Oscar e del Golden Globe come miglior film straniero, Susanne Bier firma l’attesissimo Love

David Cronenberg avrebbe potuto dirigere Il Ritorno dello Jedi

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Rivelazioni insospettabili. Ora che si parla con insistenza di un settimo episodio di Star Wars con tanto di terza trilogia, il grande regista David Cronenberg si lascia

Un video hard per Emma Stone

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Guai in vista per Emma Stone. La popolarissima attrice, protagonista di The Amazing Spider-Man potrebbe aver commesso in gioventù un piccolo errore che

Oscar 2013: primi nomi sui protagonisti

Ieri vi abbiamo dato una primissima e approssimativa stima dei nomi di attori e attrici che potrebbero concorrere alla nomination per migliori non protagonisti.

Kate Winslet è una Dama di Gran Croce

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La bella e bravissima Kate Winslet, che tutti abbiamo conosciuto e un po’ odiato per aver fatto morire congelato il povero Jack Dawson (DiCaprio) in Titanic,

Di nuovo in Gioco: recensione del film di Robert Lorenz

Arriva al cinema Di nuovo in Gioco, il film diretto da Robert Lorenz con protagonisti nel cast Clint Eastwood, Amy Adams, Justin Timberlake.

In Di nuovo in Gioco Gus Lobel (Clint Eastwood) è uno scout degli Atlanta Braves, squadra professionistica di baseball della Major League Baseball, nonché uno dei migliori scout di sempre. L’avanzare dell’età e dei problemi alla vista lo costringono però a farsi aiutare dalla figlia Mickey (Amy Adams), con la quale non è mai stato in buoni rapporti, per andare in Nord Carolina ad esaminare una nuova promessa. A complicare la situazione ci sarà Johnny Flanagan (Justin Timberlake), scout di una squadra avversaria che si innamora di Mickey. Il viaggio insieme permetterà a padre e figlia, nonostante le differenze, di comprendere reciproche verità rimaste nascoste per troppo tempo.

Fedelissimo collaboratore del grande Clint, Robert Lorenz ha finalmente portato sullo schermo il suo primo film da regista, dopo anni di seconda unità per l’autore di Million Dollar Baby e Mystic River. Per Lorenz, Clint ha addirittura infranto la sua promessa che lo voleva “finito” come attore dopo Gran Torino, ed è tornato a recitare per un amico che lo ha trasformato in un insopportabile vecchio bisbetico patito di baseball e incapace di accettare la vecchiaia che avanza.

Accanto a Eastwood, Lorenz ha raccolto due dei giovani attori più talentuosi della loro generazione: la rossa Amy Adams, già balzata agli occhi dell’Academy e in continuo miglioramento anche in ruolo non troppo impegnati; e Justin Timberlake, l’ex cantante che sta collezionando sempre più ruoli di vario genere, con costante bravura. E’ certo che Eastwood sia rientrato, letteralmente, in campo solo per far felice ed aiutare il fedele assistente, ma è pur vero che come interpreta il vecchio burbero lui, non ci riesce nessuno, soprattutto se affiancato da un giocondo John Goodman sempre in vena di sorrisi e pacche sulle spalle.

La storia, che mescola film sportivo a dramma familiare con tanto di appendice romantica, è ben raccontata, con personaggi adeguati e attori in parte. Di nuovo in Gioco, come al solito assurdo titolo italiano di Trouble with the Courve, è un film che procede senza grosse emozioni, un po’ sonnolento nella parte iniziale, che ricorda per tema e ambientazione il recente, e di tutt’altro livello, L’arte di Vincere – Moneyball con Brad Pitt, e che porta di nuovo sullo schermo uno sport amatissimo oltreoceano ma che da noi fatica ad affermarsi contro le tarature calcistiche dell’italiano medio.

Il plot principale relativo al baseball e al rapporto padre/figlia, viene messo da parte per poco tempo a favore di quello romantico, gestito dalla coppia Timberlake/Adams,. Ma quello che si evidenzia, soprattutto nel finale, è che la storia, costruita sul personaggio di Gus, e sul suo rapporto con il baseball e con Mickey, poteva rimanere in piedi anche senza il belloccio di turno. Di nuovo in gioco è una commedia a sfondo sportivo/sentimentale che intrattiene senza emozionare. Non il miglior film dell’Eastwood attore, ma nemmeno il peggiore.

Dune recensione del film di David Lynch

Dune è un film del 1984 diretto da David Lynch e con protagonisti un cast composto da Kyle MacLachlan, Freddie Jones, Max von Sydow, Josè Ferrer, Sean Young, Francesca Annis, Patrick Stewart, Virginia Madsen, Sting e Silvana Mangano.

DuneTrama: In un futuro remoto (siamo oltre l’anno 10.000), l’umanità si è diffusa in lungo e in largo per il cosmo: a contendersi il potere, con dinamiche che ricordano quelle dell’età degli imperi, a cavallo tra il Medioevo e l’età moderna, sono una serie di ‘casate’ ognuna delle quali insediata su un proprio pianeta.

Gli equilibri di potere si giocano sul controllo di una sostanza particolare, la Spezia, in grado di conferire poteri straordinari a chi la assume, come l’ampliamento della propria coscienza o la capacità di trasferire intere flotte da una parte all’altra dell’universo. La Spezia,  può essere estratta solo nel pianeta Dune, un luogo arido e inospitale, abitato dai misteriosi Fremen, capaci di cavalcare i giganteschi vermi della sabbia che popolano il luogo, che sono in attesa di una sorta di ‘messia’ che dovrebbe guidarli alla conquista del pianeta. Sullo sfondo della lotta per il controllo della spezia, si dipanano in varie sottotrame che finiscono per incrociarci tra di loro, intrighi di palazzo, tradimenti, antiche profezie…

Analisi: Nel 1984 i De Laurentiis, Dino e Raffaella, si imbarcano in una delle imprese più titaniche della storia del cinema: portare sul grande schermo il mondo creato da Fran Herbert nella saga di Dune, uno dei cicli più duraturi e celebrati della storia della letteratura di fantascienza: un romanzo che dai più era considerato del tutto adattabile nelle sale cinematografiche, non solo per la complessità della messa in scena, che avrebbe richiesto effetti speciali all’avanguardia, ma anche per il gran numero di personaggi, la complessità delle trame, fino al tipo di narrazione, spesso affidata a monologhi interiori.

Una sfida che qualche anno prima era stata lanciata da Alejandro Jodorowsky, coinvolgendo personalità del calibro di Moebius ed HR Giger, con l’idea di coinvolgere nel cast perfino Salvador Dalì; tuttavia la spugna venne gettata ben presto di fronte alle dimensioni dell’impresa.

DuneIl guanto di sfida venne allora raccolto dai De Laurentiis che affidarono la regia ad un giovane David Lynch, reduce dal successo di The Elephant Man, anche se apparentemente diffidente nei confronti del cinema fantascientifico (aveva infatti precedentemente rifiutato di dirigere Il ritorno dello Jedi, a causa dell’impossibilità di dare al film una propria personale impronta).

David Lynch accetta tuttavia l’incarico, e il risultato è un film che si ricorda soprattutto per la ricchezza visiva.

Il lato più arduo dell’impresa stava infatti nel dover costruire ambienti, scenografie, costumi diversificati per ognuno dei pianeti su cui è ambientato il film e delle casate che ne animano la trama, dando il senso per ognuna di esse di un radicato background storico-sociologico e culturale.

La sfida, su questo piano, è ampiamente vinta, anche grazie alla collaborazione con una serie di esperti di prim’ordine, tra cui anche il nostro Carlo Rambaldi, creatore dei vermi meccanici che popolano il pianeta Dune. Completa il cast tecnico anche Brian Eno, autore delle musiche originali, cui collaborarono anche i Toto in quello che probabilmente è l’episodio più inusuale della loro carriera.

La colonna sonora di Dune è completata da una selezione di brani di musica classica, con autori che vanno da Beethoven a Shostakovich.

Trattandosi di un colossal, si puntò ovviamente su un cast di prim’ordine, dando ampia discrezionalità allo stesso Lynch, che vi inserì Freddie Jones (col quale già lavorato in  The Elephant Man) e l’esordiente Kyle MacLachlan, poi destinato a diventare suo attore – feticcio. Tra gli altri fanno parte della partita Sean Young, un giovane Patrick Stewart che con la fantascienza sarebbe tornato a fare i conti a lungo nel ruolo del capitano Piccard in Star Trek: The Next Generation, fino a Sting. Assieme a loro, nomi ‘pesanti’ come Mx von Sydow, Jose Ferrer e Silvana Mangano, qui al suo penultimo ruolo cinematografico.

L’esito del film è tuttavia contrastato: in effetti l’impresa di portare sullo schermo in un solo film il complesso mondo creato da Herbert non appare del tutto riuscita: fossimo stati ai giorni nostri, il tutto sarebbe stato articolato in una trilogia, che avrebbe dato al pubblico di entrare maggiormente in confidenza con le ‘casate’ e le loro dinamiche. Concentrare tutto in un solo film, Dune finì almeno in parte per creare delle lacune e delle incomprensioni che, dai conoscitori della fonte letteraria, lasciarono interdetto il pubblico più ampio. In effetti il film, non riesce a offrire molto allo spettatore, oltre alla sua affascinante visionarietà: la trama e le motivazioni dei personaggi non sembrano mai del tutto comprensibili, la storia procede all’insegna di una lentezza a tratti esasperante, la scelta di affidare a una voce fuori campo i frequenti soliloqui dei protagonisti finisce per essere un ulteriore appesantimento. A questo si aggiungono i proverbiali ‘tagli apportati in fase di montaggio’ che avrebbero ridotto il film ai minimi termini (si favoleggia in proposito di una versione integrale di circa sei ore, ma si tratta di una ‘leggenda’ che non ha mai trovato conferme), che hanno forse reso ancora più criptica una trama già di per sé intricata.

Dune il film culto di David Lynch

DuneLa critica stroncò il film quasi unanimemente: il film venne addirittura accusato di omofobia, per il modo in cui era stato reso un personaggio che nel romanzo era esplicitamente gay; negli anni è stata addirittura lanciata l’accusa di aver contribuito a diffondere tra gli spettatori la falsa  convinzione che l’AIDS (che proprio in quegli anni stava assumendo i connotati di una malattia di vasta diffusione) riguardasse solo gli omosessuali.

Al botteghino le cose non andarono meglio: Dune fu sostanzialmente un flop negli Stati Uniti; migliore  l’accoglienza in Europa: l’opera ha avuto però maggiore successo col passare degli anni, ottenendo buoni riscontri nel mercato dell’home video e assurgendo allo stato di film – culto: il suo essere stato comunque un coraggioso tentativo di affrontare un’impresa improba col tempo sembra aver superato la sua scarsa riuscita. Frank Herbert, che collaborò attivamente al progetto, pur riconoscendone i limiti tuttavia ha sempre difeso il lavoro di Lynch.

Nei primi anni 2000 a Dune venne dedicata una miniserie televisiva, apparsa come un sostanziale remake del film, del quale riprendeva molte scene e situazioni.

Il Trailer Italiano di Grandi Speranze di Mike Newell

Ecco il Trailer Italino di Grandi Speranze diretto da Mike Newell con Helena Bonham Carter, Ralph Fiennes, Jason Flemyng, Holliday Grainger, Robbie Coltrane, Jeremy Irvine.

Goltzius and The Pelican Company di Peter Greenaway

Peter GreenwayPeter Greenaway non è considerabile un regista, nel senso più restrittivo del termine, poiché le sue sperimentazioni visive spaziano a tutto tondo nelle arti espressive per poi confluire magicamente nel linguaggio cinematografico. Greenaway sostiene che il cinema è “morto”, perché in poco più di un secolo di vita non ha avuto evoluzioni sostanziali, a differenza di quanto invece è avvenuto e continua ad avvenire con la pittura, attribuendo la colpa ad un uso sfrenato e commerciale della struttura narrativa, che a poco a poco ha finito con il soffocare l’atto creativo e la ricerca formale.

Fin dai suoi primi film la ricerca espressiva balza immediatamente alla ribalta creando uno stile inconfondibile ed unico, forse difficile da penetrare da parte di un pubblico “normale”, ma deliziosamente invitante per chi decide di farsi trascinare dai giochi enciclopedici e metaforici del filmmaker gallese. La sua nuova fatica cinematografica “Goltzius and The Pelican Company” è il degno coronamento di decenni di sperimentazioni e sicuramente il punto di partenza per nuove strade da percorrere.

La narrazione, anche se apparentemente fondamentale, è come al solito una delle tante impalcature che per Greenaway sostengono il materiale filmico. Ben più importanti sono le sottostrutture, come le sei rappresentazioni teatrali che cadenzano l’andamento del film, o i vari peccati di natura sessuale, come l’incesto, la necrofilia, il voyeurismo, o ancora le incisioni di Goltzius mescolate con gli schizzi dello stesso Greenaway.

Il film racconta un episodio della vita di Hendrik Goltzius, incisore, stampatore ed editore, contemporaneo di Rembrandt, che è in viaggio verso l’Italia assieme alla compagnia teatrale del Pellicano. Sulla strada decide di fermarsi in Alsazia, ospite del margravio locale, un laido individuo che oltre a governare e a defecare in pubblico, sbucciando mele per le sue scimmie, si diletta di mecenatismo.

Goltzius vorrebbe convincerlo a finanziere la realizzazione dei suoi libri con le storie dell’antico testamento viste in maniera erotica e ambiguamente metaforica, in particolare la storia di Lot e delle sue figlie, di Davide e di Betsabea e di Sansone e Dalila. Il margravio però esita a farsi convincere, così l’incisore gli propone di mettere in scena per lui sei rappresentazioni, una per sera, insieme agli attori della compagnia del Pellicano. Allettato dalla prospettiva di partecipare attivamente in messinscene erotiche il Margravio accetta. Ma la finzione si fonde con la realtà e così prende il via un perfido gioco di sesso, sangue e potere.

Goltzius and The Pelican CompanyDopo il film su Rembrandt, “Nightwatching” del 2007, Greenaway realizza il secondo capitolo della sua personale trilogia dedicata all’arte fiamminga, che si concluderà con un lungometraggio dedicato al visionaro pittore Hieronymus Bosch. “Goltzius and Pelican Company” segue inoltre un’altra importante trilogia “The Tulse Luper Suitcases” del 2003, dove la sperimentazione visiva prendeva il sopravvento sulla narrazione, soprattutto negli ultimi due capitoli, facendo avvicinare l’opera più ad una complessa performance di video-arte piuttosto che ad un film. E questo non è mio avviso un difetto, anzi dovrebbe essere inteso come un pregio, perché le sei ore della rocambolesca vita di Tulse Luper, racchiusa in novantadue valige disseminate per il mondo, è un divertente viaggio enciclopedico, visionario, surreale, a volte sconfinante nel non-sense. Peccato che in un ambiente ormai corroso dalla mercificazione tale colossale opera sia stata intesa come non adatta al pubblico e quindi relegata nel limbo della non-distribuzione, eccezione fatta per il primo capitolo della trilogia.

Il risultato visivo di “Goltzius and Pelican Company” è a dir poco superbo. La bellezza folgorante delle immagini si fonde con un testo profondo, ma ironico, sovversivo, ma incredibilmente logico, dove con l’innocenza di un fanciullo si dichiara che in fondo la parola God (Dio) atro non è che la parola cane (Dog) letta a contrario, oppure che il detto “una mela al giorno toglie il medico di torno” sia una conseguenza di quanto avvenuto con Adamo ed Eva. Il tutto giocato in una ammiccante ambiguità tra teatrale e reale, tra messinscena e gioco di ruolo, che permette di fare quello che altrimenti non sarebbe lecito, o meglio dignitoso. I personaggi si mascherano, pur rimanendo perfettamente riconoscibili, e sotto questo effimera anonimato, si abbandonano ai desideri più morbosi e agli atti più efferati. Ma il gioco sembra sfuggire loro di mano. E quando il labile copione viene sconvolto con l’inserimento forzato di una storia dal nuovo testamento, quella di Salomè e Giovanni Battista, gli stessi protagonisti sembrano subire una tragica crisi di identità, non distinguendo più i confini della rappresentazione.

La tecnologia digitale è di valido supporto alla pittura su schermo di Peter Greenaway che riesce a sviluppare le ricerche visive iniziate con il suo ormai lontano “Prospero’s Books” (L’ultima Tempesta) del 1991, che accostato a questa nuova opera appare oggi quasi un taccuino di schizzi.

Ma le sue sperimentazioni partono da molto prima, anche in tempi non sospetti, quando l’uso di tecnologie di manipolazione dell’immagine era ancora da considerarsi fantascienza. Come non pensare ad una delle scene chiave di “The Belly of an Architect” (Il ventre dell’architetto) del 1987, dove il protagonista scopre di essere stato seguito e fotografato dalla sua amante per mesi durante la sua permanenza a Roma. In tale scena la storia del film è condensata in pochi secondi attraverso una serie di collage fotografici reali, montati in una successione di piccoli carrelli laterali sottolineati dalla splendida musica di Wim Mertens; sembra quasi una dichiarazione d’intenti, in attesa di una tecnologia adeguata che permetta di manipolare il materiale filmico.

C’è da dire inoltre che le sperimentazioni di Greenaway iniziano molto prima, con le sue prime opere come “The Falls” del 1980 o “Vertical Feature Remake” del 1978, dove i suoi disegni, la sua pittura, le sue fotografie si integrano con materiale filmico assumendo una nuova identità espressiva.

In “Goltzius and Pelican Company” il compositing si fa complesso, multistratificato, con intarsi estremamente complessi e green-screen al servizio dell’arte espressiva e non degli effetti spettacolari. Come in “Prospero’ books” , in “Pillow’s Books” e in “Tulse Luper Suitecases”, l’immagine nell’immagine rompe il concetto di montaggio tradizionale a stacco e sovverte le regole legate alla continuità temporale, proponendo simultaneamente diverse viste della stessa rappresentazione. Lo spazio esplode, si disintegra e si ricompone digitalmente in un collage visivamente esaustivo, che sembra seguire contemporaneamente gli enunciati delle principali avanguardie artistiche storiche del novecento.

In alcuni momenti entrano addirittura in gioco modellazioni in 3D volutamente dichiarate come tali e lasciate in uno stadio intermedio, per voler dare un senso straniante di progettazione architettonica che irrompe nelle realtà. E’ bello vedere dichiarato tale artificio, che nei film destinati alla normale distribuzione si cerca invece affannosamente di farlo sembrare il più reale possibile. Per Greenaway i personaggi sono liberi di muoversi nell’artificio, tra obelischi disegnati e gabbie digitali, in una sorta di “graphic novel” che sembra uscita dalle mani di Piranesi.

Goltzius, Rembrandt e tutta una folta schiera di artisti citati esplicitamente o negli stupefacenti giochi di collages digitali esprimono la loro arte avendo a disposizione una tavolozza tecnologica che ai loro tempi non sarebbe stata minimamente pensabile. E infatti Greenaway apre il suo film con una breve disquisizione proprio sull’evoluzione delle tecniche e delle tecnologie espressive.

Anche la scelta delle ottiche subisce un evoluzione sostanziale. Fino a questo momento Greenaway prediligeva ottiche medie che restituissero una esatta percezione di quanto inquadrato e senza forzature prospettiche. Ma in “Goltzius and Pelican Company” la visione si allarga, le ottiche divengono sempre più corte, fino ad esibire delle splendide riprese in fish-eye, quasi a voler sottolineare con tale scelta l’aspetto voyeristico delle rappresentazioni.

La storia si svolge all’interno della corte del margravio, genialmente ricostruita, o meglio adattata in una vecchia fabbrica dimessa, con caldaie a vapore, vasche d’acqua stagnante e tutto un fantasmagorico patrimonio di archeologia industriale che magicamente si sposa con l’epoca barocca grazie al lavoro dello scenografo Ben Zuydwijk e dei costumisti Marrit Van Der Burgt e Blanda Budak. Il concetto di rigore storico è dimenticato, le epoche si sovrappongono e si mescolano, ma tutto rimane credibile, perché in fondo è giusto raccontare il passato tenendo ben presente tutto quello che è intercorso tra la nostra epoca e i fatti narrati, anzi sarebbe disonesto il contrario.

Le splendide musiche dell’italiano Marco Robino, insieme al suo gruppo “Gli Architorti”, accompagnano egregiamente questa messinscena di sapore elisabettiano ibridata con le atmosfere di Brecht e Weill.

Oscar 2013: primi nomi sui non protagonisti

Il 2012 è stato un anno particolarmente interessante per la cinematografia americana e c’è da scommettere che gli Oscar 2013 lo saranno atrettanto.

Pacific Rim: un primo sguardo a Jaegers in azione?

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La Mirada, compagnia di effetti visivi di Guillermo Del Toro, impegnata a lavorare su Pacific Rim, ha pubblicato un video promozionale in cui espone le tecniche di animazione e la tecnologia che usa per realizzare i propri prodotti.

In questo video, oltre all’intervento di Del Toro in persona, possiamo vedere anche un robot gigante che lancia missili dalle braccia. Che sia la prima volta che diamo un’occhiata a Jaegers, robot gigante di protagonista del prossimo film di Guillermo?

Ecco il video:

Fonte: Collider

Il Cavaliere Oscuro Il Ritorno: ecco la nascita da Bane

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Così come era successo per l’uscita del film, anche l’arrivo della versione Home Video de Il cavaliere oscuro – Il ritorno sta generando una valanga di notizie e di aspettative.

Oggi vi mostriamo, tramite The Sun, un video tratto dai contenuti speciali del DVD in cui si mostra la trasformazione che Tom Hardy ha subito per dare vita al suo tremendo Bane.

Ecco il video: Il Cavaliere Oscuro Il Ritorno uscirà in Home Video il prossimo 4 dicembre.

Metropolis: recensione del film di Fritz Lang

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Metropolis è un film del 1927 diretto da Fritz Lang e con protagonisti Alfred Abel (Johann Fredersen), Gustav Frohlich (Freder Fredersen), Brigitte Helm (Maria) e Rudolf Klein-Rogge (Rotwang).

Metropolis filmTrama: 2026. La città di Metropolis è divisa in due: ai piani alti, negli imponenti grattacieli, vivono i ricchi ei dirigenti; in basso, negl’inferi della città industriale, intere masse di individui ridotti quasi ad automi e costretti a lavorare senza requie né speranza. Al vertice di Metropolis c’è Johann Fredersen, magnate e austero padrone della città. Suo figlio Freder vive una spensierata giovinezza tra le morbide anse di lussuosi giardini, ignaro della logica rigidamente e violentemente classista che governa la società in cui vive; una realtà che il giovane comincia a scoprire dopo l’incontro con Maria, una splendida ragazza proveniente dalle profondità operaie convinta che le condizioni delle masse sfruttate possano essere risollevate soltanto grazie all’intervento di un salvifico mediatore. Un ruolo nel quale, passando per una violenta rivolta – ad accendere la miccia, un automa identico a Maria, veicolo delle vendicative mire del suo inventore Rotwang – sarà possibile riconoscere Freder, giunto a una decisiva maturazione.

Analisi: Pellicola costosissima e tanto amata da Hitler, Metropolis ci traghetta in futuro che Lang dipinge guardando cent’anni avanti. Un 2026 per noi dietro l’angolo e nel quale sarà difficile – come e più di oggi – guardare un’opera come Metropolis senza la minaccia costante dello sbadiglio. Non ce ne vogliano Fritz e la sua signora, Thea von Harbou, le pregevoli menti che stanno dietro al film: la colpa non è loro, ma i tempi cambiano, e il mondo a portata di click non ha abbastanza pazienza per sopportare intertitoli e muto (poco cambia scegliendo una delle tante sonorizzazioni).

Metropolis – il film capolavoro di Fritz Lang

MetropolisDetto questo, Metropolis è un indiscusso gioiello espressionista e un’opera d’arte che respira a pieni polmoni aria di Novecento. Trionfo di geometrie imprendibili, creatura stillante vapori industriali, sinfonia cittadina che si concede una trama e che non smette per un attimo – come darle torto – di amare il nuovo, pericoloso e affascinante mondo della tecnica e dell’automazione.

Metropolis non è così manicheo e retorico come a volte è stato detto, e come si potrebbe pensare dalle prime battute; anzi, soprattutto per quanto concerne la rappresentazione delle masse, del “popolo”, la coppia Lang/von Harbou evita bagni di candore e, pur portando sullo schermo una situazione di sfruttamento ben riscontrabile nel mondo d’allora (magari anche nel nostro, purché ci si allontani un po’ da casa), non ci consegna una creatura costruttrice del suo bene e di quello della società, ma un soggetto tumultuoso, pigro, capace di ciechi spasmi. E, soprattutto, bisognoso di un mediatore, una figura che ne indirizzi e controlli l’azione e i sentimenti.

Memorabile e testimone dell’arte di Lang la breve sequenza dello spogliarello del robot-Maria in un bordello d’elìte; con notevole perizia tecnica, in questo frangente s’intrecciano l’ardito strip dell’automa, le sofferenze del povero Freder costretto a letto e preda di allucinazioni e gli occhi bramosi dei ricchi avventori, le cui pupille invadono e tappezzano lo schermo grazie a un certosino lavoro in stop-motion.

Metropolis: un film da vedere. Una volta, una sola, prima che sia fisiologicamente troppo tardi.

Metropolis al cinema fu proiettato per la prima volta il 10 gennaio 1927 all’Ufa-Palast am Zoo di Berlino.

Note. film muto del 1927 diretto da Fritz Lang, considerato il capolavoro del regista austriaco. È tra le opere simbolo del cinema espressionista ed è universalmente riconosciuto come modello di gran parte del cinema di fantascienza moderno, avendo ispirato pellicole quali Blade Runner e Guerre stellari.

10 Curiosità sul film Metropolis

  • La produzione impegnò la troupe per diciannove mesi: trecentodieci giorni di riprese.
  • Sessanta notti furono necessarie per produrre 600.000 metri di pellicola.
  • Erich Pommer e la casa di produzione UFA non badarono a spese per la lavorazione, assoldando 36.000 comparse.
  • La lavorazione si protrasse dal 22 maggio 1925 al 30 ottobre 1926.
  • I Numeri: Vennero girati 620.000 metri di negativo, e impiegati (secondo la pubblicità) 8 attori di primo piano, 25.000 uomini, 11.000 donne, 1.100 calvi, 750 bambini, 100 uomini di colore, 3.500 paia di scarpe speciali, 50 automobili.
  • L’investimento superò i 5 milioni di marchi tedeschi di allora.
  • Queste spese non vennero coperte dagli introiti della distribuzione, tanto che la UFA andò in bancarotta
  • Alfred Hugenberg, editore e membro del Partito Nazista, comprò la casa di produzione trasformandola in parte nella macchina propagandistica del nazismo.

Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore: recensione del film di Wes Anderson

Moonrise Kingdom – una fuga d’amore è l’ultimo lavoro del regista texano Wes Anderson il quale riesce a coinvolgere per questa commedia un cast assolutamente eccezionale e di prim’ordine.

In Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore in una piccola isoletta al largo delle coste del New England, la tranquillità che solitamente regna sovrana viene turbata e stravolta da un fatto tanto insolito quanto imprevisto: il giovane Sam (Jared Gilman) uno scout del campo 55, capitanato dal Capo Scout Ward (Edward Norton), è misteriosamente scomparso.

Vengono immediatamente avvisate le autorità, che nella fattispecie sono impersonate e rappresentate dal triste e spaesato comandante Sharp (Bruce Willis) il quale non fa in tempo ad iniziare le ricerche che gli si presenta un’altra gatta da pelare: anche Suzy (Kara Hayward) ,la figlia dodicenne  dei coniugi Bishop (Bill Murray e Frances Mc Dormand), è inspiegabilmente sparita di casa. Non sarà difficile capire che i due ragazzi hanno organizzato insieme una fuga nella foresta. Tutta la comunità, giovani scout compresi, sarà coinvolta nelle operazioni di ritrovamento e sarà solo l’inizio di una serie di incredibili eventi.

Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore: il film

Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore

Il film narra la storia di un amore giovanile, di una magica estate americana in cui due ragazzi di dodici anni capiscono per la prima volta cosa voglia dire amare qualcuno;  un amore romantico, elegante e semplice. È la storia della loro fuga, una fuga da vite solo apparentemente normali ma che in realtà nascondono solitudine, tristezza e incomprensione. Il giovane Sam è un orfano affidato ad una coppia che non si cura di lui mentre Suzy è un’introversa adolescente senza amici e che odia la sua famiglia.

I due protagonisti, al debutto sul grande schermo, non sembra abbiano pagato lo scotto dell’emozione dell’esordio e sopratutto di trovarsi circondati da tanti mostri sacri del cinema più o meno recente. Intorno ai due giovani innamorati possiamo ammirare le divertenti quanto mirabili interpretazioni di un Bruce Willis, insolitamente dimesso e arrendevole, così come di un Edward Norton in divisa di scout, molto diverso e lontano dal muscoloso e accigliato protagonista di American History X. Quindi la solita eccellente Frances McDormand moglie disillusa di un eccentrico quanto depresso Bill Murray.

Il giovane Jared Gilman e la già intrigante Kara Hayward mostrano personalità e talento interpretando con originalità ed efficacia personaggi non propriamente comuni. E qui il merito va essenzialmente ad Anderson regista eccentrico e versatile che disegna, con la sua solita maestria, una schiera di personaggi assolutamente non convenzionali e fuori dagli schemi o, in alcuni casi, anche troppo normali. Uno dei punti di forza del film risiede proprio nella nitidezza e nella particolarità con cui sono presentati i vari personaggi, una peculiarità che non può non riportare alla mente a I Tenenbaum altra bellissima commedia firmata da Wes Anderson.

La sceneggiatura, scritta a quattro mani tra il regista e Roman Coppola ( con cui Anderson aveva già collaborato in Un treno per Darjeeling) spinge il film in un continuo susseguirsi e alternarsi di dramma e commedia, situazioni farsesche e di grande riflessione. Questo eclettismo fa del film una storia completa, che soddisfa i gusti più vari anche se nel finale forse si allontana troppo dalla logica a favore dell’assurdo. Assolutamente da sottolineare il meraviglioso lavoro scenografico necessario per ricostruire la tipica provincia americana di metà anni ’60 riproposta fedelmente in ogni minino e più microscopico dettaglio. Un’ambientazione riuscitissima e determinante per conferire al film, in particolar modo alla fotografia, una patina realmente datata e verosimile.

Moonrise Kingdom – una fuga d’amore è una commedia divertente e al contempo profonda che merita indubbiamente di essere vista e che potrete vedere nei cinema italiani a partire dal prossimo 5 dicembre grazie alla Lucky Red distribuzione.

Una scena inedita per Thor

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TFF 2012: Ken Loach rifiuta il Premio per i lavoratori!

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