Fast & furious 5 –
Dopo aver attaccato un bus di detenuti per permettere a Dominic
Toretto di sfuggire alla prigione, Mia Toretto e l’ex agente Brian
O’Conner scappano in Brasile. Qui, durante una spettacolare rapina
a un treno, ritrovano Dominic e scoprono che il mandante del furto
è un ricco affarista corrotto di Rio De Janeiro, Hernan Reyes,
interessato a recuperare un chip nascosto nell’autoradio di una
macchina rubata contenente tutte le tracce dei suoi traffici
illeciti da centinaia di milioni di dollari. Dom e Brian decidono
così di utilizzare le informazioni del chip per fare un ultimo
colpo e derubare tutte le finanze di Reyes. Ma per farlo hanno
bisogno di formare una nuova squadra.
Dopo gli inizi a tutto gas, nel suo
lungo e costante tragitto, la saga di Fast and Furious sembrava
destinata a sbandare. Invece, due anni fa, complice la volontà di
tornare a “sporcarsi le mani” (anche come produttore) da parte di
Vin Diesel, la saga ha ritrovato i suoi pezzi originali e ha saputo
tornare in pista, recuperando anche il controllo di una narrazione
seriale finita in testacoda.
Machete – Machete
è un agente federale che si pensa sia morto in uno scontro con la
banda del pericolosissimo boss Torrez. Ma non è così. Machete ha
cercato rifugio in Texas dove viene coinvolto nell’attentato a un
senatore xenofobo. Scoprirà di essersi infilato in un machiavellico
complotto che vede lui come capro espiatorio. Ha contro il capo dei
vigilantes Von, il perfido uomo di affari Booth e, ancora una
volta, Torrez. Al suo fianco c’è solo Sartana Rivera, giovane e
seducente ufficiale della squadra anti-immigrazione che ha compreso
che non tutto è come sembra.
A partire dalla sequenza iniziale
sino ad arrivare all’ultima inquadratura di un film in cui non ci
sono ruoli cameo ma attori che si mettono in gioco come De Niro,
Steven Seagal, Don Johnson facendo ironia su se stessi divertendosi
(lo si percepisce) enormemente e divertendo il pubblico. Il pupillo
di Quentin Tarantino – noto ai più per aver diretto Sin City –
Robert Rodriguez firma il suo sedicesimo film. Un regista che fa
sentire al pubblico tutta la sua voglia di fare cinema, senza
secondi fini o sofisticate pretese.
Come l’acqua per gli
elefanti – Nell’America della Grande Depressione, Jacob
Jankowski è a un esame dalla laurea e da una notte d’amore con la
più bella ragazza del corso di medicina veterinaria. Un tragico
incidente, in cui muoiono i genitori, sconvolge la sua vita e i
suoi piani di studente, conducendolo su un binario alternativo e
imprevisto. Lasciata la propria casa per coprire i debiti
accumulati dal padre e abbandonata l’università, Jacob sale su un
treno in corsa e spera nella buona sorte che avrà il volto dolce di
Marlena, stella equestre del Benzini Bros Circus e moglie
dell’instabile August, impresario e domatore crudele di artisti e
animali. Rivelate presto le sue evidenti doti di veterinario, Jacob
viene accolto con entusiasmo da August e promosso al ruolo di
addestratore dell’elefantessa Rosie, ingombrante ‘primadonna’ col
vizio del whisky. Innamoratosi perdutamente della bionda Marlena,
il ragazzo dovrà vedersela coi reiterati soprusi di August e
trovare come un funambolo un nuovo equilibrio nell’universo
circense.
Nell’America ‘depressa’ di fine
anni ‘20 si svolge il melodramma circense di Francis Lawrence,
ispirato dalle pagine di Sara Gruen (“Acqua per gli elefanti”) e
idealmente prossimo al Trapezio e al ménage à trois di Carol Reed.
Accantonati re biblici e leggende moderne (come Costantine o Io
sono Leggenda), il regista americano rispolvera leoni, elefanti e
bionde acrobate, sceneggiando il Circus di Britney Spears, diretta
tre anni prima nell’omonima clip musicale. D’altronde ha diretto
anche altre clip musicali di altri artisti pop: Justin Timberlake,
Janet Jackson, Will Smith (per il film Men in Black II),
Aerosmith.
Senza arte né
parte – Siamo in Salento. Il Premiato Pastificio Tammaro
decide di modernizzarsi. La vecchia fabbrica viene chiusa e se ne
apre una nuova, completamente meccanizzata. Tutta la squadra di
operai addetti allo stoccaggio manuale, tra cui Enzo, Carmine e
Bandula, si ritrovano disoccupati. Enzo è sposato con Aurora che
lavora saltuariamente come traduttrice, e hanno due figli piccoli.
Carmine vive con la vecchia madre e con Marcellino, il fratello
minore e scapestrato. Bandula è un’immigrato indiano, ormai al
verde e senza più un posto dove dormire.
La situazione è drammatica. In quei
giorni, la moglie di Tammaro eredita una bizzarra collezione d’arte
contemporanea, che viene sistemata proprio nel vecchio pastificio.
Tammaro offre a Enzo un lavoro provvisorio in nero: guardiano del
magazzino dove è custodita la collezione d’arte. Enzo e i suoi
amici, scoprono sbalorditi l’arte contemporanea, e soprattutto, che
quegli oggetti all’apparenza strani e privi di senso, valgono così
tanti euro. Ed ecco che si inventano inventori di improbabili opere
di arte moderna…
Secondo film per Giovanni Albanese,
dopo A.A.A.ACHILLE uscito ben dieci anni fa. Una commedia gradevole
e divertente, che sdrammatizza sulla crisi economica e sui
licenziamenti, e che al contempo esalta la proverbiale “arte di
arrangiarsi” tipica dei meridionali. Nel cast spicca la presenza di
Vincenzo Salemme nei panni di Enzo, e quella di Donatella
Finocchiaro in quelli della moglie ereditiera Aurora.
Hai paura del buio
– Eva è una ragazza di poco più di vent’anni che lavora in
una fabbrica a Bucarest. Nel suo ultimo giorno dopo che non le è
stato rinnovato il contratto, decide di mettere in vendita tutto
quello che possiede e di comprare un biglietto per l’Italia.
Raggiunge la stazione di Melfi e trascorre la notte vagabondando
senza meta finché trova un’auto aperta dove ripararsi dal freddo.
La macchina appartiene ad Anna, giovane operaia presso la fabbrica
della FIAT, che decide di accoglierla nella casa in cui vive
assieme ai genitori e alla nonna malata.
Nel suo percorso come autore
televisivo, Massimo Coppola si è mosso in una direzione opposta
rispetto ai flussi e alle formule dei format popolari. Attraverso
monologhi brand new, anti-reality di finzione e documentari sui
ventenni ai margini di servizi e talk show, Coppola ha sempre
cercato di mostrare, all’interno di un canale giovanile e
“giovanilista” come Mtv, un’alternativa al pensiero comune e alla
visione a senso unico sulle nuove generazioni. Dallo sguardo
maturato coi ritratti giovanili di “Avere Ventanni” e da quel
bisogno di porre una frattura fra rappresentazione e identità dei
giovani d’oggi, sembra nascere anche il suo ingresso nel cinema di
(cosiddetta) finzione.
Dopo i due documentari Politica
zero – nato sempre dall’esperienza maturata da Massimo Coppola e
dai suoi fidati amici e collaboratori, Giovanni Giommi e Alberto
Piccinini, con il programma “Avere Ventanni” in onda su Mtv – e
Bianciardi! del 2007, Coppola arriva dunque al suo primo e
autentico lungometraggio non-documentario. Capace di stesso a
parlare dei giovani e dei loro problemi.
Tatanka – Dopo
”Gomorra” e’ la volta di ”Tatanka Scatenato”. Un racconto di
Roberto Saviano estratto dal libro “La bellezza e l’inferno” (ed.
Mondadori), portato sul grande schermo questa volta da Giuseppe
Gagliardi, alla sua opera seconda dopo ”La vera leggenda di Tony
Vilar” con la produzione di Margherita Film e Minerva.
La sceneggiatura, firmata dal
regista insieme a Maurizio Braucci, Massimo Gaudioso, Salvatore
Sansone e Stefano Sardo ha ottenuto 1.400.000 euro di contributo da
parte del Ministero dei Beni Culturali, che ha riconosciuto di
interesse culturale il progetto. Questo racconto di Saviano e’
incentrato sui pugili di Marcianise e sul loro rappresentante
principe, il vicecampione olimpico Clemente Russo, che sara’ anche
protagonista del film. Le riprese si sono svolte tra l’Italia e
Berlino.
Un film sull’esaltazione dello
sport come mezzo per evadere dai contesti sociali difficili in cui
si vive. E magari, uno dei “salvati”, sfiora anche l’oro alle
Olimpiadi.
Il primo incarico
– Puglia, anni ’50. Nena è una giovane maestra, innamorata
di un ragazzo dell’alta borghesia, messa sotto pressione dalle
preoccupazioni della madre. Quando arriva la lettera di assunzione
in una piccola scuola nel sud salentino, fa le valigie e parte a
malincuore, curiosa della sua nuova esperienza ma triste per la
lontananza dal suo amore. Dopo le prime difficoltà di integrazione
nella piccola comunità agreste, riesce a trovare un equilibrio che
verrà nuovamente messo in discussione dalla notizia
dell’innamoramento del fidanzato per un’altra donna. Scegliere come
protagonista di un film una professoressa degli anni Cinquanta,
vuol dire prediligere il punto di vista femminile a quello
maschile. Gli uomini, nel film, non fanno bella figura: sono rozzi
e insensibili o vittime inconsapevoli di un sistema classista,
irrigidito sul lusso di privilegi atavici. Le donne sanno far da
mangiare e si occupano della casa.
Isabella Ragonese, senza trucco e
senza vezzi, dimostra ancora una volta di essere un’ottima
interprete versatile. Il tocco elegante della regista Giorgia
Cecere, al suo primo film, rende apprezzabile una storia piccola
che, per essere raccontata, ha bisogno di un narratore che sappia
osservare. Un film sulle difficoltà che incontrava, e in fondo
incontra ancora, una donna che vuole emanciparsi nel Sud
Italia.
La misura del confine
– In cima al Monte Rosa, sotto nubi prepotenti, è stata
ritrovata una mummia ma nessuno ha ancora stabilito se il luogo
della scoperta sia terra italiana o svizzera. Così due squadre di
esperti partono alla ricerca del soggetto ma il maltempo smarrisce
nelle nebbie la spedizione svizzera e spinge quella italiana a
ripararsi in un rifugio accogliente. Dopo aver dichiarato che il
corpo è “italiano”, i due gruppi si uniscono a festeggiare insieme
e, chiacchierando di amori del passato e affetti del presente, si
accorgono di avere a che fare con un misterioso delitto.
La montagna, silenziosa e ruvida, accoglie una storia intrigante
che comincia come una sorta di documentaristica cronaca di una
spedizione scientifica per trasformarsi poi in un raffinato giallo
investigativo.
Secondo film per Andrea Papini,
dopo La velocità della luce del 2008, un Noir esistenziale che
indaga sulle ombre e sullo smarrimento dell’animo umano. Anche La
misura del confine ha un nonsoché di misterioso ma al contempo
razionale, che a molti farà venire in mente serie tv americane alla
Csi Miami.