Si presenta silenziosamente e a
capo chino il regista giapponese Hirokazu
Kore’eda, protagonista di uno degli incontri ravvicinati
della Festa del Cinema di Roma. Nonostante
l’umiltà con cui si mostra al pubblico, Kore’eda è tra i più
premiati e apprezzati cineasti oggi in attività. Con premi ricevuti
a importanti festival come quelli di Venezia e Cannes, dove ha
vinto la Palma d’Oro per Un affare di
famiglia, il regista è attualmente in sala con il
suo ultimo film, Le
verità, con protagoniste Catherine
Deneuve e Juliette
Binoche.
Per inaugurare l’incontro il
regista racconta di come si sia avvicinato al cinema, avendo lui
intrapreso la sua carriera inizialmente nel mondo della
televisione. “Dopo aver realizzato alcuni prodotti mi ero reso
conto di esserne già stufo. Tutto andava fatto con tempistiche
molto frenetiche, e questo semplicemente non era un lavoro adatto a
me. Ho così iniziato a girare miei documentari, dove potevo gestire
io la macchina da presa, potevo prendere il tempo di cui avevo
bisogno e approfondire ciò che desideravo. Nonostante ciò non smisi
mai di continuare a scrivere mie sceneggiature, e alla fine mi sono
deciso a debuttare con una di queste al cinema, tornando al genere
di fiction.”
Nel corso dell’incontro, durato
circa due ore, sono state mostrate clip tratte dai più celebri film
del maestro, raggruppate tuttavia per ordine tematico. Il primo di
questi è stato riguardo il grande lavoro svolto dal regista, in
quasi tutti i suoi film, con i bambini protagonisti.
“Riprendere i bambini è un’attività indubbiamente complessa, ma
altrettanto interessante. Di solito i bambini che scelgo per i miei
film non hanno esperienze recitative, il che è un bene perché gli
permette di essere naturali, non costruiti. Per aiutarli inoltre
non li pongo al confronto con attori adulti protagonisti, perché il
divario genererebbe soltanto stress. Quindi spesso prediligo attori
senza o con poca esperienza davanti la camera. Inoltre raramente
fornisco il copione ai bambini, perché per esperienza risultano più
spontanei se sanno cosa fare solo poco prima di doverlo
fare.”
Il secondo gruppo tematico riguarda
invece i concetti di dolore, morte ed elaborazione del lutto,
presenti sotto varie sfumature in tutta la filmografia del regista.
“Si dice che nel momento in cui moriamo, si rivede tutta la
nostra vita impressa su pellicola cinematografica, come un grande
flashback che ci scorre davanti agli occhi. Non so se questo sia
vero, però l’idea di riproporre questo concetto è certamente alla
base di questa mia volontà di indagine sulla morte.”
“Per parlare di ciò tuttavia
non mi rivolgo mai ai flashback. Io credo nella ridondanza del
presente, nella persistenza del passato e nell’imminenza del
futuro. Nei miei film ciò che è stato doloroso è già passato, non
accade sullo schermo. Il dolore nei miei film appartiene al
passato, esiste al di fuori del frammento di narrazione su cui mi
concentro. Il fondo e la cima dell’emotività stanno al di fuori
della pellicola, e mi concentro invece sul ritrarre ciò che è al
centro di questa triplice spartizione, è questo che mi
interessa.
Il terzo blocco è invece legato al
concetto di tempo, che Kore’eda sembra rimutuare dalla tradizione
cinematografica giapponese precedente, in particolare da
Yasujirō Ozu.
“Più volte mi è stato fatto notare che il tempo nei miei film è
trattato in modo simile a quello nei film di Ozu, e la risposta più
precisa che mi è stata data è riguardo il modo in cui scorre il
tempo. Non c’è una linearità, ma una circolarità, e penso sia vero.
Il punto di arrivo dei miei film è di poco distante dal punto di
partenza, dopo aver compiuto tuttavia un viaggio intorno a
questo.

Al regista viene poi chiesto di
parlare della sua prima esperienza regista al di fuori del
Giappone, avvenuta con il film Le Verità,
presentato proprio all’ultima edizione del Festival di Venezia.
“Per quanto riguarda il set e il mio modo di gestire la regia,
posso dire che non ci sono state grandi differenze con quanto avevo
fatto già in Giappone. Anche in questo caso ho osservato gli
attori, e sulla base di quanto loro fanno decido se apportare o
meno modifiche alla sceneggiatura. È stato un set dove tutti noi
imparavamo le cose direttamente sul posto. Molte cose le capivamo,
percepivamo soltanto lì. La differenza di approccio è stata che in
un momento difficile i giapponesi tacciono, mentre gli europei
tendono più a scontrarsi. E a questo ho fatto attenzione
mentre scrivevo il copione.”
Per concludere l’incontro, il
regista dedica un pensiero all’attrice Kirin Kiki,
protagonista di numerosi suoi film e scomparsa nel settembre del
2018. “Quando abbiamo girato Un affare di famiglia stava
piuttosto bene, non mi aspettavo assolutamente che sarebbe morta
così all’improvviso. C’è una cosa in particolare che ricordo di lei
in quel film. Quando abbiamo girato la scena sulla spiaggia, io ho
ripreso il suo volto di profilo mentre guardava la famiglia. In
sala di montaggio mi sono reso conto che lei stava muovendo
leggermente la bocca. Guardando molto attentamente mi sono reso
conto che stava dicendo “grazie”.”
“Non era una battuta presente
nella sceneggiatura, – continua Kore’eda – ma lei la
pronunciò lo stesso. Nel film ci sono tante cose che rimangono non
dette, lasciate in sospeso, e lei ha capito perfettamente ciò,
sottolineando questa cosa con il suo silenzioso “grazie”. È un
contributo splendido, un regalo meraviglioso che lei ha fatto sia
nei confronti dell’opera sia nei miei, e le sono eternamente
grato.”