È da un po’ di tempo che non
avevamo aggiornamenti sul nuovo adattamento cinematografico de
La Piccola Bottega degli Orrori,
film del 1960 di Roger Corman che ispirò il
celebre musical di Alan Menken e Howard
Ashman e la versione cinematografica del 1986 di
Frank Oz. Adesso, sembra che due grandi star di
Hollywood siano pronte ad entrare a far parte del cast del nuovo
film.
Come riportato da Full Circle Cinema
(via ComicBook), pare che
Taron
Egerton (di recente vincitore di un Golden Globe
grazie alla sua interpretazione di Elton John nel biopic musicale
Rocketman), sa
in trattative per interpretare il ruolo del protagonista Seymour,
che nel film di Oz aveva le fattezze dell’iconico Rick Moranis. Ma
non è tutto: per quanto riguarda la co-protagonista femminile, come
spifferato da Jeff Sneider di Collider via Twitter, sembra che il ruolo di Audrey
(l’interesse amoroso di Seymour, interpretato nel film del 1986 da
Ellen Greene) sia stato offerto nientemeno che a Scarlett
Johansson, tra le grandi protagoniste della season
award di quest’anno grazie a Storia di un
matrimonio e JoJo
Rabbit.
In attesa di scoprire se i due
attori entreranno ufficialmente a far parte del progetto,
ricordiamo che un reboot de La Piccola Bottega degli
Orroriè stato annunciato nel 2016:
all’epoca Greg
Berlanti avrebbe dovuto dirigere il nuovo film per
conto della Warner Bros. basandosi su una sceneggiatura di
Matthew Robinson.
La prima versione
de La Piccola Bottega Degli
Orrori era una dark comedy a budget ridotto
diretta da Richard Corman nel 1960 che
raccontava le vicende di una pianta carnivora gigantesca coltivata
da un timido fiorista. Il film divenne poi un musical a Broadway
nel 1982 e, nel 1986, Frank Oz diresse
un remake con Rick Moranis nei panni di
Seymour ed Ellen Greene nelle vesti di
Audrey.
Arriva in sala il 17 settembre
La Piazza della mia Città, di Paolo
Santamaria, con Lo stato Sociale, e con
la partecipazione di Morandi, Carboni, Gioli tra gli altri. Ecco
una clip in esclusiva dal film.
Bologna, giugno 2018. Il concerto in
Piazza Maggiore de Lo Stato Sociale, la band che ha portato l’indie
italiano sul palco del Festival di Sanremo, diventa la colonna
sonora per raccontare una delle piazze più iconiche d’Italia e la
città magica che si muove intorno. Grazie ad un cast di star di
primissimo piano del mondo dello spettacolo, la musica diventa
protagonista di un indimenticabile documentario diretto da Paolo
Santamaria che racconta aneddoti, curiosità e ricordi legati a
Bologna, alla storia d’Italia e ai suoi personaggi.
Joseph è un impegnativo vedovo
settantenne che passa le sue giornate in solitaria nell’incasinato
e affascinante laboratorio in cui restaura esclusivi pezzi
d’arredamento. La sua vita procede tranquilla finché
improvvisamente un giorno riceve la telefonata più dolorosa
che un genitore possa mai avere: suo figlio Emanuel e il
suo compagno Joachim sono morti in un tragico incidente aereo.
Mentre cerca di affrontare e accettare la perdita del figlio,
Joseph inizia a interrogarsi e ossessionarsi sul futuro
della bambina, non ancora nata, che i due giovani stavano
per avere grazie alla ventenne Rita, una madre surrogata nella
città di Gent, in Belgio, dove la GPA (Gestazione per Altri) è
accettata ma non ancora regolamentata giuridicamente.
Cosa ne sarà della piccola?
Riuscirà ad avere una famiglia o verrà abbandonata e
dimenticata? Con il disappunto della figlia (Maud Wyler) e dei
genitori di Joachim – questi ultimi troppo impegnati in una guerra
giudiziaria contro la compagnia aerea coinvolta nell’incidente –,
Joseph decide di partire per il Belgio in cerca della
misteriosa madre surrogata, con l’obiettivo di conoscerla
e assicurarsi che la nascitura abbia tutto l’amore che merita e che
suo figlio era pronto a darle.
È questa la commovente e profonda
storia di La Petite, il dolce e sincero dramma
francese diretto dall’audace Guillaume Nicloux (The
Nun, The End, The Lockdown Tower) e ispirato
al romanzo Le Berceau (trad. “La culla”) di Fanny
Chesnel, disponibile nelle sale italiane dal 18 gennaio
2024.
La Petite – In foto l’attore Fabrice Luchini.
Per ogni vita che va, c’è un’altra che
arriva
È davvero raro incontrare sul grande
schermo narrazioni che affrontino il complesso e
controverso tema della maternità surrogata. Se poi a
questo si aggiungono anche le difficoltà affrontate dalle coppie
LGBTQIA+, l’elaborazione della perdita di un figlio e le dinamiche
non così semplici delle famiglie allargate, allora diviene una vera
e propria sfida cinematografica. Una sfida che Nicloux ha accettato
con la storia contemporanea di Joseph,
interpretato dal talentuoso e pluripremiato Fabrice Luchini, e Rita (l’attrice belga
Mara Taquin, conosciuta in La Syndicaliste e Nothing to Fuck).
Attraverso una narrazione semplice
ed essenziale, Nicloux conduce il pubblico in un coinvolgente e
intenso viaggio di 90 minuti sull’esistenza, l’amore, la
sofferenza e la rinascita. Dopo la perdita del figlio,
Joseph si aggrappa a un fragile filo di speranza legato a
Rita, la giovane donna, apparentemente fredda e pungente,
che aveva accettato la gravidanza solo per motivi finanziari.
Empatizzare con Joseph è facile, ma affezionarsi a questo tenero
padre lo è ancor di più. Nonostante il suo complicato e infelice
rapporto con il figlio, Joseph sceglie di non affrontare il lutto
con rabbia o risentimento. Si lascia piuttosto travolgere dai
ricordi, si concede la possibilità di perdonarsi, anche se con
qualche difficoltà, e insegue l’opportunità di compiere il
suo ultimo grande atto d’amore per Emanuel.
La Petite – In foto (da sinistra a destra) Mara Taquin e Fabrice
Luchini.
Un’opera intima e delicata, ma non abbastanza
coraggiosa
Con il giusto equilibrio tra dramma
e umorismo, morte e vita, Nicloux regala al grande schermo un’opera
intima, delicata, e, soprattutto, sincera,
dall’inizio alla fine. La Petite è un
adorabile e toccante viaggio di redenzione e di
rinascita che riflette, senza riserva alcuna, sulla
complessità della vita e le sue infinite variabili.
Al di là della sua tenera e
dolceamara bellezza, però, La Petite sembra voler
restare in superficie, evitando di approfondire con
attenzione e dignità quel tema complesso di cui si fa
onorevole portavoce. Infatti, la discussione sulla maternità
surrogata per famiglie arcobaleno, pur presente, è accennata
fugacemente da poche battute sparse senza un’adeguata coerenza o
una reale importanza. Per quanto godibile, emozionante e dalle
nobili intenzioni, quindi,
la pellicola di Guillaume Niclouxmanca l’occasione di
affermarsi sul panorama cinematografico come un’opera originale,
incisiva e provocatoria; accontentandosi così di essere in
realtà un timido e labile tentativo che ha avuto timore di
spingersi troppo oltre.
Dal 18 Novembre è disponibile in
alcune sale italiane La persona peggiore del
mondo, film del regista norvegese Joachim
Trier che, dopo il successo del thriller sovrannaturale
Thelma (2017) torna a farsi ispirare dalla
cornice della nordica Oslo in un coming-of-age 2.0, quello di
Julie: protagonista indiscussa di una storia di
anima e corpo, l’interpretazione fenomenale dell’attrice
Renate Reinsve è stata riconosciuta dal
Prix d’interprétation féminine a Cannes.
La persona peggiore del mondo: un coming of age sospeso tra
anima e corpo
La persona peggiore del
mondo parla in modo inedito, fin dal prologo, a noi
giovani: siamo nati in un mondo che non ci regala nulla, dice
Julie, eppure in qualche modo si aspetta ancora di
più da noi: non molto tempo fa, era la norma per gli adulti tra i
20 e 30 anni avere tutto sotto controllo: un coniuge, una carriera
avviata, dei bambini – almeno una di queste cose e meglio ancora se
tutte e tre. I giovani d’oggi sono intrappolati in questo strano
purgatorio tra l’aggrapparsi all’essere bambino e l’età adulta. Ci
viene concesso più tempo per diventare chi vogliamo essere ma c’è
più pressione che mai per riuscirci.
Entra in scena così
Julie (Renate Reinsve, la gemella
perduta di DakotaJohnson), una
norvegese volubile che pensa di non essersi mai impegnata fino in
nessuna cosa. Un’adolescente ambiziosa, si è dilettata in medicina
prima di scoprire che era più interessata alle questioni dell’anima
che al corpo e passare allo studio della psicologia. Così, si
taglia e si tinge i capelli, lascia il suo attuale fidanzato, prima
di bruciare anche questo percorso accademico, cambiando idea ancora
una volta e diventando fotografa. Non sorprende che anche la
fotografia riesca ad annoiare Julie che, ben
presto, decide di passare al prossimo nuovo taglio di capelli, un
successivo ragazzo e a un’ulteriore professione.
Prima di questo montaggio vorticoso,
tabella di punteggio sulla vita di Julie fino a
quel momento (montato con precisione da Olivier Bugge
Coutté e impreziosito dalla colonna sonora di Ola
Fløttum), La persona peggiore del mondo
spiega cosa sta per succedere: questo sarà un film composto da
dodici capitoli, con tanto di prologo ed epilogo. Forse la storia
che Julie non è ancora riuscita a mettere per
iscritto?
La persona peggiore del
mondo è lo scrapbook frammentato di
Julie, che anela all’autorealizzazione accorpando
forzatamente ritagli di vita, senza rendersi conto che non li sta
realmente sperimentando. Lo scorrere del tempo dei 12 capitoli non
è mai cronometrato in modo coerente, andando a creare una patina
narrativa in cui non sappiamo mai quanto tempo è trascorso, ma
sappiamo che ne è passato: il tempo scivola via
inesorabilmente dalle mani di Julie, burattinaia
dei fili di una vita che la immobilizzano. Ogni capitolo ha
come protagonista una Julie che è leggermente
diversa ma anche la stessa di sempre, con lei che si evolve
lentamente come risultato degli eventi della scena precedente, ma
abbastanza distintamente da permetterci di notare queste
alterazioni e l’inizio della formazione del suo io più
completo.
Quando finalmente raggiungiamo il
suo presente, ha intrapreso una relazione a lungo termine
con un fumettista di 44 anni di successo di nome
Aksel (Anders Danielsen Lie), la
cui prospera carriera le ha dato la stabilità di lavorare di giorno
in una libreria mentre si prende il tempo di decidere su cosa
voglia puntare dopo. Alla fine riesce ad affermarsi come scrittrice
di talento, pubblicando un saggio controverso intitolato
Sesso orale nell’epoca del #MeToo.
La persona peggiore del mondo è un inno alla
multidimensionalità vitale
Come riprendersi in mano una vita
che scorre agli occhi degli altri ma non dentro di sé?
Julie dovrà capire che cambiare ed evolvere
costantemente è essere vivi; siamo fatti per essere malleabili
nello spirito come lo siamo nella carne, ma rimanere in un posto o
liberarsi dell’altro non è indicativo di una vita meno vissuta. Il
nucleo di La persona peggiore del mondo rimane
questo: l’idea che il capire e comprendere è parte integrante
dell’essere, non del diventare.
La sceneggiatura di
Trier – scritta in collaborazione con
Eskil Vogt (Thelma, Oslo,
August 31st) è una sincera lettera d’amore per gli animi
vagabondi, che emana un’immensa empatia per Julie
nonostante le sue battute d’arresto o i suoi difetti e non giudica
mai il suo viaggio, permettendo al pubblico di formare le proprie
opinioni sulle sue scelte in scenari controversi, invece di fornire
una prospettiva fissa attraverso cui valutare le sue decisioni.
Mentre un film minore avrebbe giocato sul “triangolo amoroso” tra
Julie, Askel e
Eivind, Trier e
Vogt presentano semplicemente gli aspetti positivi
e negativi di entrambi i partner, senza che nessuno sia
esplicitamente un “buono” o un “cattivo”, come spesso accade nella
vita; gli esseri umani sono più di queste riduttive
categorizzazioni, e La persona peggiore del mondo
è onesto su questa multidimensionalità, con tutti e tre i
protagonisti pienamente caratterizzati.
Una caratterizzazione così completa
permette anche al film di sovvertire le aspettative, poiché,
nonostante il materiale narrativo abbia una base familiare,
La persona peggiore del mondo si separa da storie
simili allontanandosi dai ruoli stereotipati del genere e dalla
tradizionale struttura in tre atti, svolgendosi come la vita stessa
piuttosto che sentirsi vincolato a certe convenzioni o cliché,
rendendo il viaggio di Julie nel complesso molto
più significativa e memorabile.
La persona peggiore del
mondo è indeciso come la sua eroina infinitamente curiosa,
ma è un ritratto rinvigorente ed estremamente gentile che trasmette
in maniera inedita l’idea che il viaggio è altrettanto – se non più
– cruciale del posto in cui finiamo.
La MGM ha reclutato lo
scrittore e sceneggiatore Nic Pizzolatto perché tiri fuori dal
cilindro lo script del remake de I magnifici sette (1960) di John
Sturges
Sono state rese
ufficiali le cinquine e le terne del Premio de La Pellicola
D’oro che si terrà il 24 giugno a Roma. Il premio
cinematografico è promosso ed organizzato dall’Ass.ne Culturale
“Articolo 9 Cultura & Spettacolo” e dalla “S.A.S. Cinema” di cui il
presidente è lo scenografo e regista Enzo De
Camillis, sottolineando la collaborazione del:
MIC Direzione Generale Cinema, l’ANICA, l’APA, l’Ass.For.
Cinema e Fitel.
Mercoledì 19 ottobre ore
12:00 nell’ambito della Festa del Cinema
di Roma presso lo spazio REGIONE
LAZIO(Lazio Terra di Cinema)
all’Auditorium Parco della Musica, La
Pellicola d’Oro presenta le aziende
artigianali del cinema italiano «Formazione
giovanile».
Sono stati invitati: Miguel
Gotor (Assessore alla Cultura del Comune di
Roma), Claudia Pratelli (Assessore alle
scuole Comune di
Roma), Giovanna Pugliese (Uff.
Cinema della Regione Lazio),
Francesco Rutelli (Presidente Anica), Antonella Barbieri (Direttore
Generale APA). Hanno confermato: gli studenti del Cine
TV Rossellini e del Liceo
Artistico Alessandro Caravillani).Le
aziende: Rancati, Tirelli,
Scenarredo, l’Associazione AIAT-SFX Effetti
Speciali del Set).
Durante l’evento saranno
premiati:
Segretaria di Edizione Paola
Bonelli per il film “I Fratelli de
Filippo” di Sergio Rubini.
Direttore di Produzione Carlo
Traini per il film “Il Cattivo
Poeta” di Gianluca Jodice.
Premio alla Carriera Angelo
Cortese Pittore di Scena.
Il premio cinematografico è promosso
ed organizzato dall’Ass.ne Culturale “Articolo 9 Cultura &
Spettacolo” e dalla “S.A.S. Cinema” di cui il presidente è lo
scenografo e regista Enzo De Camillis, sottolineando la
collaborazione del: MiC Direzione Generale Cinema, , l’ANICA,
l’APA, l’Ass.For. Cinema.
Ponendosi l’obiettivo di portare
alla ribalta quei “mestieri” il cui ruolo è fondamentale per la
realizzazione di un film ma che, allo stesso tempo, sono
praticamente “sconosciuti” o non correttamente valutati dal
pubblico. Si ringraziano le Associazioni Professionali de
l’APAI e dell’AIARSE.
Il 14 giugno presso
il Teatro Ettore Scola de la Casa del Cinema di
Roma si terrà la XII edizione del Premio de
“La Pellicola D’oro” che sarà condotta ancora una volta da
Sabina Stilo e con la presenza di moltissimi
ospiti. Promosso ed organizzato
dall’AssociazioneCulturale “Articolo
9 Cultura & Spettacolo” e dalla “Sas Cinema” di cui è
Presidente lo scenografo e regista Enzo De
Camillis (ideatore dell’evento), “La Pellicola
d’oro” è il primo premio in Europa a riconoscere i mestieri e
l’artigianato del cinema.
“La Pellicola d’Oro” è un riconoscimento che ha
come obiettivo l’importanza di portare alla ribalta quei “mestieri”
che hanno un ruolo fondamentale per la realizzazione di un film.
Parliamo dei titoli di coda di un film, riconoscendo dal
macchinista alla sarta di scena, dagli effetti speciali agli
Stuntman, dalle sartorie cine-teatrali ai costruttori di scene.
Accanto a questi riconoscimenti, non mancano, come ogni
anno, premi speciali che vengono assegnati ad altri artisti
del cinema, dello spettacolo e della cultura, che si sono
particolarmente distinti nella loro carriera.
A ricevere i premi speciali quest’anno saranno le attesissime
attrici Valeria Fabrizi, Claudia Gerini,l’attore
Ninetto Davoli che riceverà il
Premioall’attività artistica in
coincidenza con l’anno pasoliniano, lo sceneggiatore e
produttore Enrico Vanzina. Premio per
l’Attività Produttiva a Matilde Bernabei per
30anni di attività con la LUX Vide.
Inoltre, ritirerà il premio de “La Pellicola d’Oro 2021”
Alba Rohrwacher come Miglior
Attrice nel film “Lacci” di Daniele Luchetti.
Tra gli attori in gara per la sezione Miglior Attore
Cinema: Marco Giallini, Stefano Accorsi, Mario Autore,
Tony Servillo, Gabriele Lavia; per la sezione Miglior
Attrice Cinema: Aurora Giovinazzo, Miriam Leone, Anna
Ferraioli Ravel, Milena Vikotic, Margherita Buy. Mentre per la
sezione Miglior Attore Fiction: Giuseppe Zeno,
Claudio Bisio e Alessandro Gassman e Miglior Attrice
Fiction: Matilda De Angelis, Serena Rossi, Anna
Foglietta.
Si ringraziano per la loro adesione
il MIC (DG Cinema), Regione
Lazio, l’ANICA, l’APA,
l’Ass. For Cinema, Roma Lazio Film Commission, la
Panalight e la Fitel.
Le cinquine 2022 – Sezione Cinema
DIRETTORE DI PRODUZIONE
Gianni
MEGLIO
– La befana vien di notte
Carlo TRAINI
– Il cattivo poeta
Fabio LOMBARDELLI
– Freaks Out
Andrea FOLETTI
– Appunti
di un venditore di donne
Raffaello SARAGO’
– Un mondo in
più
OPERATORE DI MACCHINA
Emiliano CANEVARI INTOPPA – La befana
vien di notte
Luigi ANDREI
– Il cattivo poeta
Matteo CARLESIMO
– Freaks Out
Raffaele
MASSA
– Marilyn a gli occhi neri
Roberto LUZI
– I fratelli De Filippo
CAPO ELETTRICISTA
Antonio LA BARBERA
– La Befana Vien di Notte
Fabio CAPOZZI
–
Mondo cane
Loris FELICI
– Freaks Out
Ettore ABATE
– Qui rido io
Matteo ATTOLINI
– Il
cattivo poeta
CAPO MACCHINISTA
Roberto MORESCHINI
– La Befana vien di Notte
Maurizio BENVENUTO
– Mondo cane
Raffaele ALLETTO
– Freaks Out
Sandro
FABBRIANI
– Qui rido
io
Marco SANTARELLI
– I fratelli De Filippo ATTREZZISTA DI SCENA
A seguito della
presentazione delle nomination e dei premi speciali per la XIV
Edizione 2024 realizzata con successo presso
il Ministero delle Imprese e del Made in
Italy, condotta dall’attrice Antonella
Fattori, il 24 maggio scorso alla presenza di importanti
autorità istituzionali: il Vice Capo di Gabinetto del Mimit la
Dott.ssa Elena Lorenzini, il Presidente della
Commissione Cultura On. Federico Mollicone, il
Commissario Straordinario della FilmCommissionLazio
Mariella Troccoli, la Dott.ssa Valeria
Allegritti dello staff della Segreteria Assessore
alla Cultura Comune di Roma, la Dott.ssa Francesca
Baudi delegata dalla Senatrice Borgonzoni, il Presidente
del MEI Paolo Masini, il Direttore delle
Produzioni RAI Marco Cunsolo, per conto
dell’Associazione ANICA l’Avv. Andrea Canali, il
Presidente dell’Associazione Via Veneto la Dott.ssa
Elisabetta Calò e l’Avv. Giovanna
Silvaggi, per l’Associazione APA il Produttore
Federico Scaldamaglia.
Nei Vari interventi
di soddisfazione e di apprezzamento al premio, ci teniamo a
sottolineare le parole del Dott. Marco Cunsolo (Direttore delle
Produzioni RAI): ”…Ogni candidatura rappresenta un
riconoscimento del talento, dell’impegno e della passione che avete
riservato nei vostri progetti. Indipendentemente dal risultato di
questa sera, ciascuno di voi è già un vincitore. Questo, per
me è il vero premio, vi ringrazio per la vostra dedizione ,
passione e continuate a raccontare storie ed a sfidare i confini
dell’arte regalandoci la bellezza del cinema.
Buona fortuna a
tutti voi sperando di poter estendere in futuro, magari qualche
candidatura anche al mondo televisivo, non da meno per impegno e
dedizione”.
Vogliamo ricordare
due giovanissimi attori inseriti nella cinquina e presenti durante
la serata: Greta Gasbarri per il film “Mia” e
Gianmarco Franchini per il film ”Adagio”.
L’organizzazionedella cerimonia di
premiazione delprestigioso premio
de “La Pellicola D’oro” avverrà
il 15 giugno ore 20:30 nella storica ed
affascinante via
Veneto a Roma (altezza
Porta Pinciana, isola pedonale per l’evento).
Protagonisti della
serata, condotta da Sabina Stilo, saranno le
maestranze e gli attori votati da una giuria composta da 260
professionisti e tecnici che hanno acquisito le nomination per la
sezione Cinema e Fiction. Senza dimenticare il premio giovani e,
come ogni anno, sono stati definiti i premi speciali alla carriera
a gli attori Michele Placido, Elena Sofia Ricci e al
regista Sergio Martino.
Il premio
cinematografico, promosso ed organizzato dall’Ass.ne Culturale
“S.A.S. Cinema” di cui il presidente è lo scenografo e regista
Enzo De Camillis, nasce e vuole
sostenere i mestieri e l’artigianato del nostro cineaudiovisivo
italiano che sono l’ossatura portante di un film.
Hanno aderito al
premio: Ministero delle Imprese e del Made in Italy, il MiC DG
Cinema, Ministero della Marina Militare, Regione Lazio,
Comune di Roma, il Centro Sperimentale di Cinematografia,
Cinecittà, RomaLazioFilmcommission, ANICA, APA, FiTel,
Panalight, Associazione Via Veneto.
“Ci teniamo a
ringraziare il Ministero delle Imprese e del Made in Italy che ci
ha ospitato sottolineando l’importanza, con questa occasione, di
dare un valore aggiunto al premio consegnando a tutti i candidati
inseriti nelle nomination, l’attestato de La Pellicola d’Oro”
–dichiara Enzo De Camillis, ideatore del premio. Aggiunge,
inoltre: Durante la cerimonia di premiazione avremmo molti
ospiti del settore cinematografico e delle istituzioni, ricordando
via Veneto negli anni della “dolce vita”.
Le cinquine
2024
Direttore Di
Produzione:
Alice Marchitelli – L’ultima Volta Che
Siamo Stati Bambini
Alessandro Mancini – Napoli
Milionaria
Marta Razzano – Educazione Fisica
Daniele Modina – Come Pecore In Mezzo
Ai Lupi
Giorgia Passarelli – C’è Ancora
Domani
Operatore Di
Macchina
Emiliano Chiari – Le Mie Ragazze Di
Carta
Luigi Andrei – Napoli Milionaria
Fabrizio Vicari – L’ultima Volta Che
Siamo Stati Bambini
Andrea Grossi – Adagio
Andrea Beck Peccoz – Grazie
Ragazzi
Capo
Elettricista
Gabriele Gorga – Adagio
Pino Meloni – Cento Domeniche
Marco Sticchi – Napoli Milionaria
Fabio Capozzi – C’è Ancora Domani
Michele Pellegrini – Bassifondi
Capo
Macchinista
Massimo Diamanti – Elf Me
Piero Bosi – Cento Domeniche
Sandro Fabbriani – L’ultima Volta Che
Siamo Stati Bambini
Marcello Negretti – C’è Ancora
Domani
Fabrizio Diamanti – Adagio
Attrezzista Di
Scena:
Claudio Stefani – Il Sol
Dell’avvenire
Stefano Carbonaro – Grazie
Ragazzi
Federico Vianelli – Adagio
Marco Aureli – C’è Ancora Domani
Massimiliano Corte – Denti Da
Squalo
Sarto Di
Scena:
Antonella Ranisi – Il Sol
Dell’avvenire
Gianna Taddeo – Felicità
Luciana Salinaro – C’è Ancora
Domani
Giacomo Ponzo – L’ultima Volta Che
Siamo Stati Bambini
Laura Antonelli – Mixed By Erry
Tecnico Di
Effetti Speciali
Renato Agostini – Il Primo Giorno
Della Mia Vita
Luca Ricci – Adagio
Pasquale Catalano – Con La Grazia Di
Un Dio
Maurizio Corridori – Denti Da
Squalo
Franco Galliano – C’è Ancora
Domani
Sartoria
Cineteatrale:
Annamode –
Il Sol Dell’avvenire
Peruzzi – Il Più Bel Secolo Della Mia
Vita
Russo – Napoli Milionaria
Liliana Sotira – La Festa Del
Ritorno
Costumi D’arte – Un Matrimonio
Mostruoso
Capo Costruttore:
Simona Balducci Cine – Educazione
Fisica
Gianni Iorillo – Avenzers – Italian
Super Heroes
Corraro Corradi – L’ultima Volta Che
Siamo Stati Bambini
Roberto Palombelli – Elf Me
Elisabetta Ajani – La Chiocciola
Storyboard Artist:
Marco Valerio Gallo – Elf Me
David Orlandelli – Da Grandi
Marco Letizia – Come Pecore In Mezzo
Ai Lupi
Sebastiano Onano – Palazzina Laf
Jacopo Pivitori – Bassi Fondi
Capo Pittore Di Scena:
Benedetta Buzzetti – C’è Ancora
Domani
Domenico Latronico – Il Sol
Dell’avvenire
Giancarlo Di Fusco – Mixed By
Erry
Francesco Sorrentino – Napoli
Milionaria
Gemma Spada – Adagio
Maestro D’armi:
Franco Maria Salomon – Il Sol
Dell’avvenire
Diego Guerra – Palazzina Laf
Alessandro Borgese – Adagio
Emiliano Novelli – Mixed By Erry
Giorgio Savino – Il Più Bel Secolo
Della Mia Vita
Creatore Di Effetti
Sonori:
Thomas Giorgi – I Migliori Giorni
Luca Anzellotti – C’è Ancora
Domani
Marta Billingsley – il sol
dell’avvenire
Marco Ciorba – Da Grandi
Antonio Tirinelli – Palazzina Laf
Attore Protagonista:
Nanni Moretti – Il Sol
Dell’avvenire
Valerio Mastandrea – C’è Ancora
Domani
Gianmarco Franchini – Adagio
Antonio Albanese – Cento
Domeniche
Pierfrancesco Favino – Adagio
Attrice Protagonista:
Paola Cortellesi – C’è Ancora
Domani
Chiara Celotto – Mixed By Erry
Vanessa Scalera – Napoli
Milionaria
Greta Gasbarri – Mia
Isabella Ragonese – Come Pecore In
Mezzo Ai Lupi
Le terne
2024
Direttore di produzione:
Paolo Fragomeni – Call My Agent
Barbara Busso – I Bastardi Di
Pizzofalcone 4
Cristian Schiozzi – Domina 2
Operatore Di Macchina
Sebastiano Bazzini – Call My
Agent
Emiliano Leurini – Domina 2
Giovanni Gebbia – A Casa Tutti
Bene
Capo Elettricista
Ettore Abate – Mare Fuori
Daniele Cafolla – Domina 2
Stefano Proietti – I Leoni Di
Sicilia
Capo Macchinista
Flaviano Ricci – Call My Agent
Paolo Tiberti – Domina 2
Luigi Rocchetti – A Casa Tutti
Bene
Attrezzista Di Scena:
Manuele Antonini – Call My Agent
Luca Ferretti – Domina 2
Cristiano Gobbi – I Leoni Di
Sicilia
Sarta Di Scena:
Gloriana Manfra – Mare Fuori
Anna Lucia Salinaro – Call My
Agent
Maria Pia Rossi – Domina 2
Tecnico Di Effetti
Speciali
Mauro Geldi – Mare Fuori
Paolo Galliano – Call My Agent
Franco Ragusa – Domina 2
Sartoria Cineteatrale:
Fabbrica Del Costume – Un ‘ Estate
Fa
Farani – Il Commissario Ricciardi
Tirelli – Domina 2
Capo Costruttore:
Corrado Corradi – Non Ci Resta Che Il
Crimine
Gianluca Franculli – Noi Siamo
Leggenda
Simona Balducci Cine – Domina 2
Storyboard Artist:
Giordano Saviotti – Noi Siamo
Leggenda
Marco Valerio Gallo – I Leoni Di
Sicilia
David Orlandelli – Everybody Loves
Diamonds
Capo Pittore Di Scena:
Francesco Sorrentino – I Bastardi Di
Pizzofalcone
Domenico Reordino – Domina 2
Monica Garrone – Everybody Loves
Diamonds
Maestro D’armi:
Emiliano Novelli – Call My Agent
Alessandro Borgese – Domina 2
Giorgio Savino – Mare Fuori
Creatore Di Effetti
Sonori:
Ivan Caso – Anima Gemella
Marinelli Effetti Sonori – Per Elisa –
Il Caso Claps
Anni ’50. Domenico (Leonardo
Mason) vive in un villaggio tra le Dolomiti – una
comunità di montanari dal carattere aspro come quelle cime – con il
padre Pietro (Marco Paolini), che per lui è
poco più che un estraneo, un alcolista che tutti in paese
considerano malvagio e buono a nulla. Finché non arriva l’occasione
per riscattarsi: il diàol, un vecchio e temibile orso,
torna a uccidere vacche. Pietro scommette allora con Crepaz
(Paolo Pierobon), suo datore di lavoro, di
uccidere l’orso in cambio di denaro. L’indomani parte da solo per
la caccia, ma Domenico, saputo della scommessa, lo raggiunge. Così
padre e figlio si addentrano nel bosco continuando insieme la
ricerca, che diventa un’occasione per ritrovarsi.
Marco Segato,
padovano, costruisce assieme ad altri veneti – Marco Paolini ed
Enzo Monteleone, suoi cosceneggiatori, e Jolefilm
– il suo esordio La pelle dell’orso, ambientato
alle Dolomiti, a caccia del quadrupede del titolo, ma anche di
un’Italia rurale perduta, con un occhio al western e l’altro a
seguire le orme di Carlo Mazzacurati e di quel
saper raccontare la provincia che ce lo ha fatto amare.
Bellissimo l’inizio: una sorta di
carnevale montanaro, in processione tra bosco e paese, a ribadire
un legame potente, ancestrale con una natura dai mille colori e
sfumature, creando un’atmosfera suggestiva, che mostra subito come
il regista sappia raccontare la civiltà contadina, ma crea anche
elevate aspettative, non pienamente corrisposte in seguito.
La scelta del genere western è
efficace nel ritrarre quel mondo rurale anni ’50, anche grazie a un
cast ben scelto. Facce segnate, volti ben caratterizzati,
ambientazioni tra bar fumosi, risse, partite a carte e scommesse,
vita dura, pasti frugali, un fuoco per scaldarsi e perfino una
“cowgirl”, che però sa essere anche accogliente e materna (Sara,
Lucia Mascino).
La pelle dell’orso
recensione del film di Marco Segato
Il regista abbraccia con convinzione
il film d’immagini, supportato dall’ottima fotografia di
Daria D’Antonio, rendendo la natura protagonista nel suo duplice
aspetto di madre e matrigna. Mostra sguardo acuto nella scelta
meticolosa delle inquadrature, sia quando esplorano il paesaggio,
sia quando si soffermano su particolari significativi nell’economia
della storia.
Su questi elementi cardine
s’innestano varie direzioni narrative, ma la sceneggiatura non ne
segue fino in fondo nessuna, risultando troppo ellittica. Il film
non è il racconto di formazione del giovane Domenico: si osserva la
vicenda con i suoi occhi, ma si capisce poco di lui, dei suoi
sogni, perché ci si possa appassionare alla figura del ragazzino,
che peraltro sembra già fin troppo “adulto” e responsabile
all’inizio. Non è neppure pienamente un film d’avventura: le
vicende che vedono protagonisti padre e figlio in caccia sono
prevedibili, le tappe dell’avvicinamento alla preda si susseguono
lineari fino allo scontro finale, senza vere emozioni e colpi di
scena. Infine, non è un film su Pietro: non approfondisce ma sfiora
solamente la storia di quest’uomo duro e schivo, un “orso” egli
stesso. Oltre questo parallelismo c’è una storia umana che non
viene esplorata, ferma restando la buona interpretazione di
Paolini, che ben si adatta a un registro minimalista fatto
soprattutto di sguardi ed espressività corporea.
In La pelle
dell’orso, manca il coraggio di sviluppare a pieno
una di queste tracce, arricchendola di elementi per coinvolgere
maggiormente lo spettatore e portare l’intero lavoro ai livelli di
alcune sue parti.
Dopo Gli abbracci
spezzati,Pedro Almodovar ritorna al cinema con
La pelle che abito, una storia di violenza,
inflitta e subita, di sessualità disturbata, di vendetta, identità
e sopravvivenza.
Ne La pelle che
abito Robert Ledgard è un eminente chirurgo plastico che,
sacrificando successo e denaro, smette di operare per dedicarsi
alla ricerca. Le sue giornate si dividono tra il suo laboratorio e
i convegni con i colleghi che vogliono carpire i suoi
segreti. Ma cosa nasconde quest’uomo affascinante e
dall’aspetto imperturbabile? La sua casa, un’immensa villa, ci
svela il mistero: una donna che, segregata in casa, nasconde a sua
volta un inconfessabile segreto.
La pelle che abito ritorno ai
“classici fantasmi”
Il regista, coerentemente con se
stesso, ripropone con intrecci diversi e stile sobrio i suoi
classici fantasmi: una o più donne coinvolte in torbidi segreti,
uomini che non riescono a vivere il sesso se non attraverso la
violenza, una figura centrale di straordinaria forza che attraverso
inimmaginabili sofferenze trova una via d’uscita. Pur facendo leva
su tutti questi cardini narrativi largamente collaudati,
Almodovar inciampa nella sua stessa storia, poiché non riesce
a dare ai suoi personaggi spessore né drammaticità. Le tragedie che
colpiscono i protagonisti non oltrepassano lo schermo, il racconto
è sterile e per lo spettatore è come guardare un acquario nel quale
nuotano i pesci/attori.
Dopo diverso tempo Almodovar
ritrova
Antonio Banderas, con il quale però non si ripetono i
successi passati (Legami! e La legge del desiderio), ed al quale
affida un personaggio complesso ma impassibile che rischia di far
sembrare scarsa anche la performance dell’attore. Anche la
struttura narrativa di La pelle che abito, un
sistema a scatole cinesi che vanno a ritroso nel tempo, risulta
forzata poiché invece di dare suspence al racconto lo appesantisce
e lo rende prevedibile. Lo stesso Alberto Iglesias, compositore
abituale per Almodovar, questa volta sbaglia,
realizzando una soundtrack eccessiva e invasiva, che sovraccarica
l’universo già affollato di oggetti e sentimenti di un brillante
regista che ha avuto una caduta di stile.
Da quando sua moglie è morta,
bruciata in un incidente d’auto, il dottor Robert Ledgard, eminente
chirurgo plastico, ha lavorato alla creazione di una nuova pelle
con la quale avrebbe potuto salvarla. Dodici anni dopo riesce a
coltivarla nel suo laboratorio, una pelle sensibile alle carezze,
ed insieme un’autentica corazza contro tutte le aggressioni sia
esterne che interne, delle quali è vittima il nostro organo più
esteso.
La Pelle che Abito, ultimo film di
Pedro Almodovar, uscirà al cinema il prossimo 23 settembre. Il film
è in programmazione anche al Festival di Toronto, dopo essere stato
presentato
Paolo e Margherita stanno per
sposarsi, manca una settimana al loro matrimonio e per entrambi si
prospettano sette giorno impegnativi ricchi di incontri e
preparativi. Quello che però Paolo non sa, è che per lui quella
sarà la peggiore settimana della sua vita. Sulla scia di Ti
presento i miei, e tratto dall’omonima serie inglese
arriva al cinema La Peggior Settimana della Mia
Vita, con protagonisti Fabio De Luigi e Cristiana Capotondi, circondati da un bel cast
variegato e più o meno convincente.
La peggior settimana della
mia vita si struttura in capitoli, sette, relativi ai
giorni che il protagonista Paolo/Fabio deve affrontare facendo
fronte a mille imprevisti organizzati in gang da comica che si
susseguono in maniera divertente ma inverosimile.
La peggior settimana della mia vita,
il film
Nel film ci sono anche
Alessandro Siani e Chiara
Francini: se il primo, nel ruolo del migliore amico,
interpreta sempre più o meno lo stesso personaggio, riproponendo le
sue battute in ordine sparso, la Francini, la stalker follemente
innamorata dello sposo , si cimenta in un personaggio sopra le
righe, che punta molto sulla fisicità e sulla vena comica e
autoironica dell’attrice, peccato che a tratti la sceneggiatura non
l’aiuti molto a costruire il suo personaggio.
Interessanti le musiche del film,
che si muovono su ritmi vivaci e ben si accostano alla trama
sconclusionata e scoppiettante. Molti gli equivoci, tanti i
pretesti narrativi e forse troppo poche le situazioni davvero
divertenti costruiscono una commedia sufficiente, non volgare e
grosso modo piacevole. Perla della pellicola è però Monica
Guerritore, per la prima volta in un ruolo
inconsapevolmente comico che ne conferma le doti di grande
interprete. Lei è la madre della sposa, esagitata, sconclusionata e
artefice di alcune delle gang più riuscite. Diretto da
Alessandro Genovesi.
Paolo e Margherita stanno per sposarsi,
manca una settimana al loro matrimonio e per entrambi si
prospettano sette giorno impegnativi ricchi di incontri e
preparativi.
Il film La Pecora
Nera di Ascanio Celestini, vincitore del
“Premio Fondazione Mimmo Rotella” (dedicato alle opere più vicine
alle arti figurative) allo scorso
Festival del Cinema di Venezia, rappresenta l’ultimo
atto di un percorso iniziato otto anni fa. Nel 2002 infatti
Celestini, autore-attore teatrale romano ormai affermato e
pluripremiato, insieme al Teatro Stabile dell’Umbria ha pensato di
portare in scena un pezzo della nostra storia troppo spesso
rimosso, come viene rimosso e accantonato tutto ciò che riguarda la
malattia mentale.
Si tratta, infatti, della storia
dei manicomi italiani: da quando erano ancora “le carceri dei
matti” a quando, nel 1978, la legge Basaglia ne inaugurò la lenta
dismissione. È questo mondo che Celestini racconta dal 2005 nello
spettacolo La Pecora Nera, proponendolo con
successo in Italia e all’estero. Alle spalle, un lungo lavoro
antropologico: tre anni di ricerche e interviste su tutto il
territorio nazionale, per raccontare la Storia attraverso le storie
di chi il manicomio l’ha vissuto – medici, ma soprattutto
infermieri e pazienti.
La Pecora Nera, il film
Molti forse vedranno un eccessivo
autocompiacimento da parte dell’autore nel voler proporre, dopo lo
spettacolo e il romanzo, anche il film. E saranno scettici circa la
possibilità che nel passaggio al cinema Celestini, ottimo
affabulatore, sia riuscito ad uscire dalla logica teatrale, basata
sulla parola, in cui l’attore col solo ritmo e intensità del suo
discorso deve catturare l’attenzione del pubblico. Diciamolo
subito: c’è del teatro in La Pecora Nera. C’è una
sceneggiatura molto fedele al testo dello spettacolo, scritta dallo
stesso Celestini assieme a Ugo Chiti e Wilma Labate. E c’è
indubbiamente molta parola, a partire dalla voce fuori campo dello
stesso Celestini, nei panni del protagonista, che tiene le redini
di tutta la storia, e sembra a tratti entrare in competizione con
gli stessi personaggi. La parola resta per lui importantissima e
non ci ha voluto rinunciare, anche a costo di apparire
ridondante.
Qui però inizia la specificità del
film: innanzitutto perché i personaggi evocati dalla voce narrante
ora prendono corpo, interpretati da Giorgio
Tirabassi (nel ruolo del coprotagonista), Luisa De
Santis (la suora), Maya Sansa (Marinella adulta) e dallo stesso
attore–regista – presente anche Peppe Servillo in
un cameo. Prende corpo la storia di Nicola, entrato in manicomio da
ragazzino, negli anni ’60, e lì rimasto per trent’anni. Difficile
capire se sia pazzo anche lui, o sia stato solo sfortunato. È
attraverso il cinema, proprio grazie all’immagine, che
Ascanio Celestini porta lo spettatore a vedere con
gli occhi di questo personaggio, a vivere la stessa esperienza da
lui vissuta.
Poi ci sono gli ambienti, quelli
che in teatro erano solo evocati, ma che ognuno poteva immaginare a
suo modo. Qui sono inequivocabilmente presenti in tutto il loro
squallore, o meglio quello del padiglione 18 dell’ex manicomio di
Roma, in cui sono state girate molte scene: stanze, corridoi, muri.
Proprio un muro è protagonista, insieme a un paziente, di una delle
sequenze più eloquenti del film, pur senza parole. Poi ancora,
eminentemente cinematografico è il risalto dato ad alcuni
oggetti-chiave, fondamentali per sciogliere le ambiguità del
racconto (penso ad esempio alla dicotomia tra le scarpe e gli
zoccoli). Spunti interessanti, dunque, nell’utilizzo del mezzo
cinematografico, apprezzabili in un’opera prima come questa.
Ma i pregi de La Pecora
Nera, al di là delle diatribe sulla perizia tecnica,
risiedono altrove: ottima l’interpretazione degli attori. La
capacità recitativa di Ascanio Celestini regge
bene l’impatto con la fotografia cinematografica diretta da
Daniele Ciprì, che scruta le espressioni e le
movenze nei minimi dettagli. Giorgio Tirabassi
riesce a rendere perfettamente la bizzarria tipica della
malattia mentale. Il tutto infatti è raccontato con parole ed
immagini in maniera emotivamente coinvolgente, ma anche con
leggerezza, destreggiandosi sapientemente tra comicità e dramma.
Celestini ci guida nel mondo della malattia mentale, facendoci
lasciare fuori dal cancello del “manicomio elettrico” pregiudizi e
stereotipi sulla follia. Facendoci anche riflettere su come il
nostro mondo moderno, figlio di quei “favolosi anni ’60”, non sia
poi tanto diverso da quello del manicomio.
L’operazione, insomma, riesce,
anche grazie al genuino coinvolgimento che parte da Celestini
stesso, ed è fatto proprio da tutti gli attori. Lo dimostrano le
loro interpretazioni. Lo dimostra il fatto che il regista abbia
voluto accanto a sé nel cast anche il vero Nicola, che in realtà si
chiama Alberto, e Adriano, un infermiere che ha lavorato per anni
al Santa Maria della Pietà a Roma. Sono loro ad aver vissuto e
raccontato a Celestini molto di ciò che vediamo nel film. L’attore
affida proprio ad Alberto la chiusura dell’opera. Questo sì, un
colpo di teatro che strappa l’applauso al pubblico in sala.
Ecco il primo trailer italiano
ufficiale di La
Pazza Gioia, il nuovo film di Paolo
Virzì con Valeria Bruni Tedeschi e Micaela
Ramazzoti.
La
Pazza Gioia è scritto da Francesca
Archibugi e Paolo Virzì e
sarà distribuito da 01 Distribution
prossimamente.
Beatrice Morandini Valdirana è una chiacchierona istrionica,
sedicente contessa e a suo dire in intimità coi potenti della
Terra. Donatella Morelli una giovane donna tatuata, fragile e
silenziosa, che custodisce un doloroso segreto. Sono tutte e due
ospiti di una comunità terapeutica per donne con disturbi mentali,
dove sono sottoposte a misure di custodia giudiziaria. Il film
racconta la loro imprevedibile amicizia, che porterà ad una fuga
strampalata e toccante, alla ricerca di un po’ di felicità in quel
manicomio a cielo aperto che è il mondo dei sani.
Archiviato il grandissimo successo
de Il capitale umano, Paolo Virzì torna dietro la macchina da presa
con La Pazza Gioia, per raccontare il dramma della
malattia mentale attraverso i toni della commedia che a volte si
traveste da avventura on the road e altre da favola
dolceamara sull’indegnità come condizione che differenzia e sulla
vulnerabilità come sentimento che unisce. Per farlo il regista e
sceneggiatore italiano si avvale della collaborazione della collega
e amica di lunga data Francesca Archibugi (che con
Virzì firma la sceneggiatura) e del talento di due bravissime
attrici: Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti.
In La pazza gioia
la sedicente contessa Beatrice e la tatuata e silenziosa Donatella
sono due donne affette da disturbi mentali, entrambe in custodia
giudiziaria presso una struttura riabilitativa in quanto ritenute
socialmente pericolose. Molto diverse tra loro, le due stringeranno
col tempo una forte amicizia che le porterà a fuggire da quel
manicomio per ricercare la felicità, lasciandosi andare alla pazza
gioia…
La pazza gioia, il
film
Le atmosfere fredde e beffarde
della Brianza lasciano spazio ai toni più caldi ed euforici
dell’immaginaria Villa Biondi (una comunità terapeutica per donne
ritenute pazze), specchio di un realtà disprezzata e condannata che
si apre a riparo contro la ferocia del mondo, e in cui si muovono
Beatrice e Donatella, la prima con sofisticata autoironia, la
seconda con dolcezza e fragilità.
Paolo Virzì affida al personaggio della
Bruni Tedeschi (Beatrice) la componente più
allegra, umoristica ed eccitante del film, mentre lascia nelle mani
della Ramazzotti (Donatella) il lato più
misterioso, cupo e anche violento della storia. Il risultato è un
duetto al femminile in cui è la prima ad aver la meglio sulla
seconda, che con slancio temerario si cala nei panni di una
personalità istrionica, divertente e umana, facendosi carico di
buona parte della riuscita di un film sorprendentemente leggero per
le tematiche che affronta, ma sviluppato in maniera estremamente
semplicistica.
Ne La Pazza
Gioia (in uscita nelle sale italiane il 17 maggio
dopo la presentazione nella sezione Quinzaine des
Réalisateurs al Festival di Cannes 2016)
la scrittura è un mezzo per “ficcare il naso” in vissuti tumultuosi
e stigmatizzati, ma non uno strumento per scavare nella profondità
di due esistenze sconclusionate che, narrativamente e
cinematograficamente parlando, si sarebbero prestate ad un’analisi
e ad una rappresentazione molto più brutali.
Un film che, rispettando lo stile
di quasi tutti i precedenti lavori di Paolo Virzì, cerca di tenersi in equilibrio
tra due generi diversi, risultando convincente nella delineazione
di una presunta felicità all’interno della costrizione, ma meno
incisivo quando prova a raccontare l’inevitabile oscurità di un
mondo imprevedibile in maniera disinvolta, quasi spensierata.
Ecco la prima clip da La
Pazza Gioia, il nuovo film di Paolo
Virzì con Valeria Bruni Tedeschi e Micaela
Ramazzoti. La pellicola verrà presenzata a Cannes 2016
nella sezione parallela al Festival, Quinzaine des Réalisateurs
2016.
La
Pazza Gioia è scritto da Francesca
Archibugi e Paolo Virzì e
sarà distribuito da 01 Distribution a partire dal 17 maggio
2016.
Ne
La
Pazza Gioia Beatrice Morandini Valdirana è una
chiacchierona istrionica, sedicente contessa e a suo dire in
intimità coi potenti della Terra. Donatella Morelli una giovane
donna tatuata, fragile e silenziosa, che custodisce un doloroso
segreto. Sono tutte e due ospiti di una comunità terapeutica per
donne con disturbi mentali, dove sono sottoposte a misure di
custodia giudiziaria. Il film racconta la loro imprevedibile
amicizia, che porterà ad una fuga strampalata e toccante, alla
ricerca di un po’ di felicità in quel manicomio a cielo aperto che
è il mondo dei sani.
Grande attesa e tantissima
curiosità per il ritorno al cinema di Paolo Virzì
dopo il grandissimo successo de Il Capitale
Umano. È stato presentato questa mattina alla stampa
italiana La
Pazza Gioia, commedia drammatica che vede protagoniste
Valeria Bruni Tedeschi (già nel cast de Il
Capitale Umano) e Micaela Ramazzotti, qui
alla sua terza collaborazione con Virzì (dopo Tutta la
vita davanti e La prima cosa
bella).
La
Pazza Gioia racconta dell’imprevedibile amicizia tra
Beatrice Morandini Valdirana (Bruni Tedeschi), un’istrionica e
sedicente contessa, e Donatella Morelli (Ramazzotti), una donna
fragile e silenziosa che custodisce un doloroso segreto, entrambe
ospiti di una comunità terapeutica per donne con disturbi
mentali.
Prima dell’arrivo nelle sale
italiane, il film verrà presentato nella sezione Quinzaine
des Réalisateurs al Festival di Cannes
2016 il giorno 14 maggio. A tal proposito, Paolo
Virzì ha dichiarato: “È un piacere e un onore
per me avere la possibilità di presentare il film a Cannes. Devo
ammettere però che è stata anche una sorpresa. Avevamo già fissato
l’uscita del film nelle sale italiane per il 3 marzo. Poi, verso la
fine di gennaio, abbiamo ricevuto una lettera molto toccante dalle
deleghe generali della Quinzaine che hanno molto amato il film,
chiedendoci di posticipare l’uscita e di proporlo in anteprima
mondiale al Festival. La Quinzaine è una sezione che, da
spettatore, da regista e anche da organizzatore di festival, ho
sempre amato. Sarà un’emozione grandissima, soprattutto condividere
la selezione in Quinzaine con due altri cineasti italiani così
diversi generazionalmente (Claudio Giovannesi
e Marco Bellocchio, ndr.). Siamo veramente
molto orgogliosi, anche per tutti gli altri film che saranno
presentati”.
Parlando più nello specifico della
sua nuova creatura, invece, il regista ha spiegato: “La
psicopatologia è il cuore di molta narrativa letteraria e
cinematografica. Ed è una cosa ha sempre affascinato non solo me ma
anche Francesca. Numerosi sono stati gli spunti per questo film.
Ricordo che quando stavo girando Il capitale umano, Micaela era
venuta a trovarmi sul set e Valeria le aveva fatto da cicerone.
Ecco, vederle insieme mi ha fatto pensare ad un film in cui mi
sarebbe piaciuto dirigerle. Non so spiegare per quale motivo, ma le
ho subito immaginate come due pazienti di una struttura
psichiatrica. Ho subito parlato di questa idea a Francesca, alla
quale sono legato da anni, non solo lavorativamente, ma anche
affettivamente. Condividiamo tante passioni, inclusa quella per la
psichiatria e per i cosiddetti “matti”. Così è nata l’idea di
scrivere questo film insieme”.
Le due protagoniste hanno così
parlato dei loro personaggi e del lavoro sul set: “È raro
leggere delle sceneggiature in cui tutto appare estremamente
chiaro, anche in merito alla descrizione dei personaggi”, ha
spiegato Valeria Bruni Tedeschi. “La mia
Beatrice mi ha fatto pensare molto allaBlanche DuBois di
Un tram che si chiama desiderio o alla Jasmine di WoodyAllen. Quando ti capita un ruolo del genere non hai paura ad
accettare la parte, perché si tratta di occasioni da prendere al
volo, quanto piuttosto di non essere all’altezza. Quando poi
abbiamo iniziato a girare, ho dovuto fare un grandissimo lavoro su
me stessa. Ho provato a liberarmi di tutti i miei paletti, di tutte
le regole che mi do nella vita e sul lavoro, ed è stata
un’esperienza estreamente liberatoria. Direi quindi di non aver
lavorato sulla costruzione, quanto piuttosto sulla sua
decostruzione”.
“La pazza gioia è un’euforia
irragionevole”, prosegue Micaela Ramazzotti.
“Dietro questa euforia, dietro questo incontro e questo
viaggio, c’è una grande terapia, una cura. Beatrice e
Donatella si prendono per mano e provano a guarirsi a vicenda.
Riescono in qualche modo ad aver un contatto, pur venendo da due
mondi molto lontani. E quando c’è una scrittura come quella di
Paolo e Francesca, così bella e così potente, per l’attore non è
così difficile riuscire ad entrare nel personaggio. Dal mio canto
ho cercato di fare più un lavoro di ricerca, visitando ospedali
psichiatrici per cercare di capire come e da dove partire. Paolo
aveva poi realizzato una bozza di come avrebbe voluto che fosse
esteticamente Donatella. Sono quindi partita da un esterno per poi
arrivare all’interno e provare a rendere giustizia a questo
personaggio, specie all’ossessione e ai pensieri che la
tormentano”.
Tornado a parlare del film e della
componente femminile che lo caratterizza, Virzì ha aggiunto: “I
personaggi femminili mi hanno sempre affascinato, fin dai miei
primi lavori. E non credo che esista una scrittura “al femminile”,
visto che grandi personaggi femminili nella storia del cinema sono
stati scritti anche da uomini. Mi affascinano ancora di più a donne
sbagliate, emarginate, stigmatizzate. Abbiamo amato scrivere questi
due personaggi: ci siamo appassionati e anche identificati. Ho
amate vedere Valeria e Micaela lavorare sul set e dare il massimo
per portare in vita queste due donne. Sento di aver espresso molto
il mio lato femminile grazie a questo film e spero di non averlo
esaurito”.
Dopo la presentazione a Cannes,
La pazza gioia arriverà nelle sale
italiane il 17 maggio 2016, distribuito da 01
Distribution in oltre 400 copie.
Ecco il nuovo trailer italiano
ufficiale di La Pazza Gioia, il nuovo
film di Paolo Virzì con Valeria Bruni
Tedeschi e Micaela Ramazzoti.
La Pazza Gioia è scritto
da Francesca Archibugi
e Paolo Virzì e sarà
distribuito da 01 Distribution a partire dal 17 maggio
2016.
Beatrice
Morandini Valdirana è una chiacchierona istrionica, sedicente
contessa e a suo dire in intimità coi potenti della Terra.
Donatella Morelli una giovane donna tatuata, fragile e silenziosa,
che custodisce un doloroso segreto. Sono tutte e due ospiti di una
comunità terapeutica per donne con disturbi mentali, dove sono
sottoposte a misure di custodia giudiziaria. Il film racconta la
loro imprevedibile amicizia, che porterà ad una fuga strampalata e
toccante, alla ricerca di un po’ di felicità in quel manicomio a
cielo aperto che è il mondo dei sani.
Con il film La pazza
gioia (qui la recensione) il regista
Paolo
Virzì si è confermato una volta di più come uno degli
autori più importanti e influenti del panorama cinematografico
italiano. Scritto insieme a Francesca Archibugi,
il film racconta la storia dell’amicizia tra due donne dalle vite
problematiche, che non si lasciano però abbattere dalle ingiustizie
della vita. Un’opera delicata come i temi che tratta, che ha
trovato da subito calorosa accoglienza da parte di critica e
pubblico. Merito del successo sono naturalmente le due grandi
attrici protagoniste, qui impegnate con personaggi complessi,
fragili e ricchi di umanità.
Come per tutte le opere più sentite,
anche questa nasce da un’immagine manifestatasi improvvisamente,
artefice della quale è proprio la musa ispiratrice di Virzì, sua
moglie Micaela
Ramazzotti. Il regista ha infatti raccontato di aver
avuto l’idea per La pazza gioia durante il set di Il capitale
umano. Un giorno si trovò infatti ad osservare sua moglie
incinta che era venuta a trovarlo, e la vide camminare insicura nel
fango e nella neve, sostenuta da Valeria Bruni
Tedeschi. Per il regista i personaggi del suo
successivo film sono nati proprio in quel momento, da
quell’immagine che trasmetteva un misto di paura e fiducia.
Le riprese si sono poi svolte in
varie località della Toscana, da Livorno a Viareggio. La comunità
terapeutica Villa Biondi, centrale nel film, è invece situata sulla
celebre via Tiberina. Dopo un’anteprima durante il Festival di
Cannes, La pazza gioia è così arrivato in sala. Qui si è
affermato come uno dei maggiori successi della stagione. La
pellicola ha infatti ottenuto un incasso di circa 6 milioni di
euro, osannato in particolare per i suoi personaggi protagonisti,
considerati tra i più memorabili tra quelli recentemente visti in
Italia.
La pazza gioia: la trama
del film
La storia del film si apre a Villa
Biondi, un centro di recupero per donne affette da instabilità
mentali. Qui si trova Beatrice Morandini
Valdirana, la quale è convinta di essere una nobildonna
finita in quel luogo quasi per errore. Per sopportare il tedio dei
giorni tutti uguali, questa si diletta nell’animare la vita dei
presenti. A spezzare la monotonia arriva un giorno anche
Donatella Morelli, una giovane introversa e con un
passato difficile alle spalle. Le due giorno dopo giorno stringono
sempre di più un’inaspettata amicizia che le porterà infine a
decidere di fuggire dalla struttura e darsi alla pazza gioia.
Rubando un auto, le due intraprendono così un viaggio attraverso la
campagna della Toscana sino a giungere al mare.
Attraverso le varie tappe da loro
toccate imparano a conoscersi meglio e ad accettare il mondo che le
circonda. Ma non passerà molto prima che si ritrovino a dover fare
i conti con ciò da cui realmente fuggono. È Donatella a portare su
di sé le ferite più profonde, che rivelano aspetti di lei che la
nuova amica non poteva immaginare. Solo la sua presenza potrebbe
aiutare la giovane a riscoprire l’amore, cercando una cura a quanto
accaduto nel passato. Fuggendo da una società che non sembra in
grado di comprendere gli infelici, le due amiche impareranno allora
a prendersi cura di stesse e l’una dell’altra. Così facendo
aspirano a ritrovare la felicità.
La pazza gioia: il cast
del film
Ad interpretare le due protagoniste
del film sono proprio le attrici che ispirarono i personaggi al
regista. Valeria Bruni Tedeschi veste così i panni
di Beatrice Morandini Valdirana, una donna ricca, narcisista, e
mitomane, che imparerà però a lasciar trasparire anche gli aspetti
più belli e umani di sé. Da molti considerato uno dei ruoli più
importanti nella carriera della Tedeschi, l’attrice ha raccontato
di aver cercato di costruire il personaggio a partire dal modo in
cui lei stessa si relaziona con il mondo e le persone. Per
approfondirlo, poi, ha citato come fonti di ispirazione quelle
condivise anche dal regista, ovvero film come Qualcuno volò sul
nido del cuculo e Un tram che si chiama
Desiderio.
Micaela Ramazzotti,
già apparsa in altri film di Virzì, recita invece nel ruolo di
Donatella Morelli, per il quale anche lei si è preparata a lungo e
svolgendo approfondite ricerche. Anche nel suo caso,
l’interpretazione è stata particolarmente lodata e indicata come
una delle sue migliori. Accanto a loro si ritrovano poi attori come
Marco Messeri, noto interprete di cinema e teatro,
nei panni di Floriano Morelli, padre di Donatella.
Valentina Carnelutti interpreta Fiamma Zappa,
Tommaso Ragno è Giorgio Lorenzini, e Anna
Galiena dà vita a Luciana Brogi Morelli.
La pazza gioia: premi,
trailer e dove vedere il film in streaming
La pazza gioia si è
affermato come uno dei film più acclamati e premiati del suo anno.
Questo è infatti stato candidato a numerosi premi di particolare
prestigio in Italia, come i David di Donatello e i Nastri
d’argento. Ai primi il titolo ricevette ben 17 nomination,
ottenendo poi tra gli altri il premio come miglior film, miglior
regista e miglior attrice alla Bruni Tedeschi. Ai Nastri d’argento
il film guadagnò invece 12 nomination, vincendo come miglior film,
miglior sceneggiatura e miglior attrice protagonista ex aequo alla
Ramazzotti e alla Bruni Tedeschi. Il film ha poi ricevuto una
nomination anche agli European Film Award, considerati gli Oscar
europei, per la miglior attrice protagonista alla Bruni
Tedeschi.
Per gli appassionati del film è
possibile fruirne grazie alla sua presenza su alcune delle più
popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete.
La pazza gioia è infatti disponibile nel
catalogo di Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play, Apple
iTunes, Netflix Tim Vision e Amazon Prime Video. Per vederlo, basterà
sottoscrivere un abbonamento generale o noleggiare il singolo film.
Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della
qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si ha soltanto
un determinato periodo di tempo entro cui vedere il titolo. Il film
è inoltre presente nel palinsesto televisivo di giovedì 25
agosto alle ore 23:25 sul canale
Rai 1.
Arriva il primo poster
ufficiale di La Pazza Gioia, il nuovo
film di Paolo Virzì con Valeria Bruni
Tedeschi e Micaela Ramazzoti.
La Pazza Gioia è scritto
da Francesca Archibugi
e Paolo Virzì e sarà
distribuito da 01 Distribution prossimamente.
Beatrice
Morandini Valdirana è una chiacchierona istrionica, sedicente
contessa e a suo dire in intimità coi potenti della Terra.
Donatella Morelli una giovane donna tatuata, fragile e silenziosa,
che custodisce un doloroso segreto. Sono tutte e due ospiti di una
comunità terapeutica per donne con disturbi mentali, dove sono
sottoposte a misure di custodia giudiziaria. Il film racconta la
loro imprevedibile amicizia, che porterà ad una fuga strampalata e
toccante, alla ricerca di un po’ di felicità in quel manicomio a
cielo aperto che è il mondo dei sani
Ecco due nuove clip da La
Pazza Gioia, il nuovo film di Paolo
Virzì con Valeria Bruni Tedeschi e Micaela
Ramazzoti. La pellicola è stata presentata, tra
scroscianti applausi, a Cannes 2016 nella sezione parallela al
Festival, Quinzaine des Réalisateurs 2016.
La
Pazza Gioia è scritto da Francesca Archibugi e Paolo Virzì e sarà distribuito da 01
Distribution a partire dal 17 maggio 2016.
Nel
film Beatrice Morandini Valdirana è una chiacchierona istrionica,
sedicente contessa e a suo dire in intimità coi potenti della
Terra. Donatella Morelli una giovane donna tatuata, fragile e
silenziosa, che custodisce un doloroso segreto. Sono tutte e due
ospiti di una comunità terapeutica per donne con disturbi mentali,
dove sono sottoposte a misure di custodia giudiziaria. Il film
racconta la loro imprevedibile amicizia, che porterà ad una fuga
strampalata e toccante, alla ricerca di un po’ di felicità in quel
manicomio a cielo aperto che è il mondo dei sani.
La Passione di
Carlo Mazzacurati arriva nelle sale italiane dopo
la partecipazione in Concorso alla
67° Mostra del Cinema di Venezia. Si tratta di una
commedia dal buon ritmo, protagonista Silvio Orlando nei panni di Gianni
Dubois: un regista di mezza età in crisi creativa, alle prese
con due problemi: deve trovare in fretta un’idea per un film da
girare con una giovane attrice di fiction (Cristiana
Capotondi) – potrebbe rappresentare la svolta della
sua carriera, mai decollata.
A ciò si aggiunge un increscioso
inconveniente nella sua casa in Toscana: una perdita nel bagno
danneggia un affresco del ‘500 nell’attigua chiesa del paese.
Dubois è costretto quindi a lasciare Roma per recarsi in Toscana,
dove il sindaco (Stefania Sandrelli) e l’assessore
(Marco Messeri) minacciano di denunciarlo ai Beni
Culturali, a meno che non accetti di dirigere la Sacra
Rappresentazione del Venerdì Santo, da organizzare in pochi giorni.
Gli verrà in soccorso un ex carcerato di nome Ramiro (Giuseppe
Battiston), estimatore di Dubois e con una grande
passione per il teatro. Nonostante un susseguirsi di imprevisti dai
risvolti comici, che li vedranno alle prese, tra l’altro, con un
attore di pessima qualità ma di buona memoria (Corrado
Guzzanti), cui affideranno il ruolo del Messia, la Sacra
Rappresentazione andrà in scena e otterrà un buon successo. In più,
qui Dubois incontrerà una giovane barista polacca (Kasia
Smutniak), attorno alla quale costruirà la trama del
suo nuovo film.
La Passione, il film
Dunque un nuovo inizio, una sorta
di resurrezione anche per Dubois, che arriva proprio quando il
destino sembrava accanirsi contro di lui e contro l’altro
personaggio che vorrebbe risorgere dalle ceneri del proprio
passato: Ramiro. La vita sembra infatti riportare l’ex ladro sul
binario che voleva abbandonare, ma avrà il suo riscatto. Dunque,
gli ingredienti paiono essere quelli che avevamo già trovato e
apprezzato dieci anni fa in “La lingua del Santo” – anche lì
seguivamo la tragicommedia dei due protagonisti, ladri improvvisati
che la ricca società padovana aveva relegato ai margini. Tutto
avrebbe potuto funzionare alla perfezione, sennonché qui ci
si muove spesso su un registro parodistico-caricaturale. L’attore
Manlio Abbruscati, interpretato da Corrado
Guzzanti, ne è l’emblema: è un personaggio dai toni
macchiettistici, lo stesso tipo di macchietta che Guzzanti
ottimamente interpreta in teatro ma che, trasposta al cinema, non
ha la stessa efficacia. Alcune situazioni appaiono forzate, ai
limiti del surreale, senza però che si faccia una scelta chiara in
questa direzione.
Al contrario, ai toni da parodia in
La Passione si mescola la mimesi realistica,
generando nello spettatore un senso di straniamento. I meccanismi
comici, poi, sono spesso reiterati e ciò li rende poco incisivi. In
questa chiave parodistica, l’analisi sociale è più suggerita che
approfondita. Bersaglio di Mazzacurati sono i mali
italiani: le istituzioni, che per prime utilizzano la logica del
favore e del ricatto, i servizi al cittadino che non funzionano, e
soprattutto, il mondo del cinema, che appare imbrigliato in logiche
commerciali, senza spazio per la creatività; un cinema che vuole
competere col successo di massa delle fiction televisive e non lo
fa mantenendo la sua specificità, ma conformandosi al modello
proposto dalla TV. Il risultato è, però, meno efficace che in “La
lingua del Santo”, in cui ironia e leggerezza accompagnavano, senza
banalizzarla né sovrastarla, una riflessione sulla dimensione
sociale ed esistenziale, conferendo levitas alla materia trattata.
Il regista sceglie qui un registro più spiccatamente comico, a
tratti farsesco, nel quale però non sembra trovarsi molto a suo
agio.
Ricco il cast di La
Passione: accanto a Silvio Orlando, già scelto da
Mazzacurati nel ’92 per “Un’altra vita”, Giuseppe
Battiston, che ben interpreta il personaggio forse più
complesso del film, confermandosi come una sicurezza del nostro
cinema. E poi Stefania Sandrelli, di nuovo in
coppia con Marco Messeri, dopo La prima
cosa bella di Virzì. Produzione affidata a
Domenico Procacci e Fandango, in
collaborazione con Rai Cinema.
Mel Gibson è
sempre stata una personalità piuttosto controversa nel panorama
cinematografico hollywoodiano. Oltre che per il suo carattere e le
sue vicende personali, ad aver fatto molto discutere sono anche
alcuni dei film da lui diretti. Dopo l’Oscar vinto per Braveheart – Cuore
impavido nel 1995, egli è tornato alla regia nel 2004 con
la sua opera più discussa: La passione di
Cristo. Duramente criticato per la sua estetizzazione
del dolore e per gli eccessi visivi, questo film è stato ed è
tutt’oggi una delle opere più iconiche, nel bene o nel male,
dedicate alla figura di Cristo.
Gibson, anche sceneggiatore del film
insieme ad altri autori, ha con questo film tentato di ricostruire
il racconto che i Vangeli offrono della Passione di Gesù. Sono però
state utilizzate anche altre fonti come La dolorosa passione
del Nostro Signore Gesù Cristo della mistica tedesca
Anna Katharina Emmercik e la Storia di
Cristo di Giovanni Papini. Si ricostruiscono
così le ultime 12 ore della vita di Gesù, che Gibson mira a
riproporre con il massimo del realismo, dall’uso della lingua
latina ed ebraica fino alla ricerca di trucchi e costumi che
potessero contribuire a tale ricerca di maniacale precisione.
Non si può certo dire che La
passione di Cristo non sia un film particolarmente riuscito in
ciò, capace ancora oggi di sconvolgere proprio per questa sua
estrema volontà artistica. Tra dubbi morali, storiografici ed
estetici, è dunque senza dubbio alcuno uno dei film più controversi
del nuovo millennio. Prima di intraprendere una sua visione, però,
sarà certamente utile approfondire alcune delle principali
curiosità relative ad esso. Proseguendo qui nella lettura sarà
infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla
trama, al cast di attori e
all’annunciato sequel. Infine, si
elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
La trama e il cast di La
passione di Cristo
Il film, come accennato, va a
raccontare le ultime 12 ore della vita di Gesù
Cristo, dal suo arresto nel Giardino del Getsemani fino
alla sua crocifissione. Nell’arco di queste ore, Cristo riceve la
visita di Satana, che lo tenta offrendogli una via
di salvezza, di Pietro, Giovanni
e degli altri apostoli, nonché quella del traditore Giuda
Iscariota, che lo consegna ai soldati. Dodici ore nelle
quali Cristo va incontro a torture inimmaginabili, alleviate
unicamente da visioni del passato, di quando era felice insieme a
sua madre Maria. Mentre si avvia verso il suo
ultimo cammino, accompagnato anche da Maddalena,
Cristo ricerca dunque un senso al suo dolore, sapendo di non potere
né volere scappare da esso.
Ad interpretare Gesù Cristo vi è
l’attore Jim Caviezel,
per il quale il set è stato un’autentica prova di resistenza.
L’attore, preparatosi a lungo al ruolo venendo anche assistito da
un sacerdote, fu sottoposto a grandi sforzi psicofisici,
ammalandosi anche di polmonite per il forte freddo e dovendosi in
seguito sottoporre ad un intervento al cuore per via dello stress
provato. Fortunatamente per lui, non tutte le scene più cruente
necessitarono la sua presenza. Nella maggior parte delle scene dove
Gesù è morente sulla croce, Caviezel è stato sostituito da una
fedele riscostruzione robotica in modalità animatronica, capace
dunque di muovere la testa, gli arti ed ansimare.
Il film, prevalentemente girato in
Italia, si avvale poi della partecipazione di molti attori
italiani. Monica Bellucci
interpreta Maria Maddalena, mentre Rosalinda
Celentano compare nei panni di Satana. Vi sono poi
Francesco De Vito nel ruolo di Pietro,
Hristo Zivkov in quelli di Giovanni e Sergio Rubini
per il ruolo di Disma. Luca Lionello, che
interpreta Giuda Iscariota, ateo al momento delle riprese ha
raccontato di essersi convertito al cattolicesimo dopo l’esperienza
su questo set. Davide Marotta interpreta
l’Anticristo, mentre l’attrice rumena Maia
Morgenstern interpreta Maria la madre di Cristo. Sono poi
presenti Hristo Sopov nei panni di Ponzio Pilato,
Claudia Gerini
in quelli di Claudia Procula, moglie di Pilato, e Luca De
Dominicis in quelli di Re Erode.
La passione di Cristo 2: il sequel si farà?
Nel giugno 2016, lo scrittore e
regista Randall Wallace ha dichiarato che lui e
Gibson avevano iniziato a lavorare a un sequel de La passione
di Cristo incentrato sulla risurrezione di Gesù. Nel settembre
dello stesso anno, Gibson ha effettivamente espresso il suo
interesse a dirigere tale sequel, descrivendolo come un grande film
parzialmente ambientato all’Inferno e in Paradiso. Dopo due anni di
silenzio, è Caviezel a confermare che il film è in fase di sviluppo
e che il titolo sarà The Passion of the Christ:
Resurrection. L’attore lo ha addirritura definito come “il
più grande film della storia del mondo“. In seguito alla
notizia della volontà di Gibson di realizzare tale sequel, si sono
naturalmente scatenate molte polemiche ma anche molte ilarità da parte del popolo di
Internet.
Dopo anni di incertezze, però,
sembra proprio che il progetto sia pronto a prendere vita. Gibson,
che non dirige un film dal 2016, anno di La battaglia di Hacksaw
Ridge, sarebbe infatti pronto a tornare dietro la
macchina da presa, con le riprese fissate attualmente per la metà
del 2023. Caviezel riprenderebbe naturalmente il ruolo di Gesù
Cristo, ma per il momento non ci sono ulteriori informazioni
riguardo il restante cast del film né dove si svolgeranno le
riprese. In realtà, per quanto sembri confermato, non ci sono
ancora certezze ufficiali, che potrebbero arrivare solo con il
reale inizio dei lavoro sul set. Non resta dunque che attendere e
vedere se realmente il film sulla resurrezione di Cristo vedrà la
luce.
Il trailer di La passione di
Cristo e dove vedere il film in streaming e in TV
Attualmente La passione
di Cristo non è disponibile su nessuna delle
principali piattaforme streaming disponibili su Internet. Ciò non
esclude che potrebbe tornare ad essere fruibili su alcune di queste
in futuro, ma per il momento non è dunque possibile rivolgersi allo
streaming per vedere il film. Questo, però, è presente nel
palinsesto televisivo di mercoledì 18 gennaio alle
ore 21:00 sul canale Warner TV.
Sarà dunque quella una buona occasione per vedere, o rivedere, il
film.
In un’intervista rilasciata al
pastore Greg Laurie, Mel Gibson ha aggiornato
circa The Resurrection, annunciato sequel
de La Passsione di Cristo, film diretto
dall’attore e regista nel 2004.
Gibson ha spiegato: “Ne stiamo
parlando. Naturalmente è un progetto molto importante. Sapete, non
è La Passione 2, è la Risurrezione. Un soggetto rilevante che deve
essere maneggiato con attenzione perché non vogliamo solo un
rendering di… insomma, leggetevi quello che è accaduto. Leggerlo,
averne effettiva esperienza e comprenderne i significati più
profondi è complicato, ma Randall Wallace è all’altezza del
compito”.
L’attore e regista sta lavorando
con Randall Wallace (sceneggiatore di
Braveheart) alla sceenggiatura. Il film
sarà basato sulla Risurrezione e su tutti quegli episodi, riportati
anche dai Testi Sacri, che prevedono la presenza di Cristo dopo il
prodigio della mattina di Pasqua.
Wallace in
particolare guida la facoltà di religione alla Duke University e ha
spiegato in un’intervista di essere molto esperto nel tema della
Risurrezione: “Ho sempre voluto raccontare questa storia. La
Passione è l’inizio, ma c’è molta altra storia da raccontare (…) La
comunità evangelica considera The Passion il più grande film
Hollywoodiano di sempre, continuano a dirci che un sequel avrebbe
ancora più successo.”
Interpretato da Jim
Caviezel, La Passione di Cristo
è costato 30 milioni di dollari ed è stato girato a Matera.
Distribuito nella primavera del 2004, il film ha portato a casa 612
milioni.
Mel Gibson è a
lavoro su un sequel de La Passione di
Cristo. A dare la notizia è The Hollywood Reporter che ci informa che
l’attore e regista sta già lavorando con Randall
Wallace (sceneggiatore di
Braveheart) a uno script.
Il film sarà quindi basato sulla
Risurrezione e su tutti quegli episodi, riportati anche dai Testi
Sacri, che prevedono la presenza di Cristo dopo il prodigio della
mattina di Pasqua.
Wallace in particolare guida la
facoltà di religione alla Duke University e ha spiegato al sito di
essere molto esperto nel tema della Risurrezione: “Ho sempre
voluto raccontare questa storia. La Passione è l’inizio, ma c’è
molta altra storia da raccontare (…) La comunità evangelica
considera The Passion il più grande film Hollywoodiano di sempre,
continuano a dirci che un sequel avrebbe ancora più
successo.”
L’idea per un sequel è arrivata a
Wallace durante la lavorazione di Hacksaw
Ridge, diretto sempre da Gibson e da lui
co-sceneggiato.
Interpretato da Jim
Caviezel, La Passione di Cristo
è costato 30 milioni di dollari ed è stato girato a Matera.
Distribuito nella primavera del 2004, il film ha portato a casa 612
milioni.
Dopo mesi di silenzio, torniamo a
parlare del sequel de La Passione di Cristo, con
Jim Caviezel che ha confermato lo sviluppo del
film.
Secondo USA Today,
Caviezel tornerà a interpretare Gesù mentre il film si concentrerà
sulla Resurrezione. Durante un’intervista con la rivista, l’attore
ha spiegato che non poteva essere più esplicito né dare
maggiori informazioni, limitandosi a dire: “Ci sono cose che
non posso dire e che scioccherebbero le persone. Si tratta di un
grande progetto, rimanete sintonizzati!”.
Mel Gibson ovviamente tornerà alla
regia dell’ambizioso ed inedito progetto, reduce dal grandissimo
successo de La Battaglia di Hacksaw Ridge, presentato a Venezia 73
e arrivato fino agli Oscar 2017.
Randall Wallace,
che ha scritto la sceneggiatura insieme a Mel
Gibson, guida la facoltà di religione alla Duke University
e ha spiegato di essere molto esperto nel tema della Risurrezione:
“Ho sempre voluto raccontare questa storia. La Passione è
l’inizio, ma c’è molta altra storia da raccontare (…) La comunità
evangelica considera The Passion il più grande film Hollywoodiano
di sempre, continuano a dirci che un sequel avrebbe ancora più
successo.”
Interpretato da Jim
Caviezel, La Passione di Cristo
è costato 30 milioni di dollari ed è stato girato a Matera.
Distribuito nella primavera del 2004, il film ha portato a casa 612
milioni.
Era da un po’ di tempo che non si
avevano aggiornamenti sul chiacchieratissimo sequel de La
Passione di Cristo, il controverso film scritto e diretto
da Mel Gibson nel 2004. Il progetto è in cantiere
dal 2016 e adesso, in un’intervista rilasciata a
Breitbart News, il protagonista Jim Caviezel ha svelato nuovi dettagli sul
film.
“Di recente Mel Gibson mi ha
mandato la terza versione della sceneggiatura”, ha spiegato
l’attore. “Ormai manca poco. Il film si intitola La Passione di
Cristo: Resurrezione. Sarà il film più grande di sempre. Il più
grande film mai realizzato nella storia del cinema”. Nel
corso dell’intervista Caviezel ha anche parlato di come il grande
successo del primo film abbia influenzato la sua carriera.
“Ho dovuto combattere per
sopravvivere. All’epoca il film esplose. Era letteralmente fuori da
ogni scala. All’inizio sei portato a credere che dopo arriveranno
chissà quante proposte. E invece no. Non ero più nelle liste degli
studios. Era tutto andato. Quello che faccio da attore, una mia
abilità, è un dono che mi arriva dal Signore. La mia fede mi è
sembra sembrata qualcosa di molto più grande dell’industria di
Hollywood, ma anche di qualsiasi questione legata agli schieramenti
politici.”
L’incredibile successo de La Passione di Cristo
La Passione di
Cristo, distribuito nel 2004, ha incassato 611 milioni di
dollari al botteghino globale, con un budget di soli 30 milioni di
dollari. Fino all’uscita di Deadpool, è
stato il film con il Rating R con il maggiore incasso nella storia
del cinema. Quindi, dal punto di vista finanziario, è facile capire
perché uno studio avrebbe abbracciato la storia e il progetto.
Dall’altro lato, c’è davvero una storia da raccontare ed è qualcosa
che sia Gibson che Randall Wallace sono
piuttosto interessati a esplorare.
In una vecchia intervista, lo
sceneggiatore aveva dichiarato:“È un progetto di cui parliamo
molto. Al college la mia specializzazione era la religione,
dopodiché ho fatto un anno di seminario focalizzando i miei studi
proprio sulla resurrezione. Sarà il Monte Everest dei film e ne
stiamo parlando parecchio. Si tratta di un progetto che vale
parecchio, quindi al momento ce lo teniamo stretto“.
Non si sa ancora molto altro del
film ma sappiamo che
Jim Caviezel dovrebbe tornare come Gesù. Oltre a
ciò, nessun altro attore del cast è stato confermato.