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Venezia 74: oggi Lean on pete con Chloë Sevigny

Venezia 74: oggi Lean on pete con Chloë Sevigny

Sarà presentato in concorso a Venezia 74 Lean on pete, il film inglese diretto da Andrew Haigh e tratto dal romanzo Lean On Pete di Willy Vlautin. Nel cast protagonisti Charlie Plummer, Steve Buscemi e Chloë Sevigny che sarà presente al lido insieme al regista. 

Lean On Pete segue le vicende di Charley Thompson, quindicenne che sogna una casa, del cibo nel piatto e una scuola da non dover cambiare in continuazione. Ma è difficile trovare un po’ di stabilità, se si è figli di un padre single che si arrangia con lavori precari nei magazzini lungo il Pacifico nordoccidentale.

Con la speranza di iniziare una nuova vita, i due si trasferiscono a Portland, in Oregon, dove Charley trova un lavoro per l’estate presso un malconcio addestratore di cavalli e diventa amico di un vecchio cavallo, chiamato Lean on Pete.

Lean on pete Venezia 74

Il regista ha così commentato: La ballata di Charley Thompson di Willy Vlautin è un romanzo straordinariamente umano. Racconta la storia di un ragazzo che si rifiuta di perdere la speranza e il coraggio, nonostante la dura realtà del mondo in cui vive. L’ho trovato immensamente toccante, tenero e mai sdolcinato. Volevo che il film avesse lo stesso senso di purezza e guardasse la vita ai margini della società con onestà e rispetto. All’inizio del romanzo di Willy c’è una citazione di John Steinbeck che dice: “Èpur vero che siamo fragili, brutti, meschini e litigiosi ma, se quel che siamo fosse tutto qui, saremmo scomparsi dalla faccia della terra ormai da millenni.” Durante le riprese del film, ho cercato di tenere sempre presenti queste parole.

Venezia 74: a Stephen Frears il premio Jaeger-LeCoultre

La Biennale di Venezia e Jaeger-LeCoultre annunciano che è stato attribuito al grande regista inglese Stephen Frears (Philomena, The Queen, Le relazioni pericolose) il premio Jaeger-LeCoultre Glory to the Filmmaker della 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2017, dedicato a una personalità che abbia segnato in modo particolarmente originale il cinema contemporaneo.

La 74. Mostra di Venezia si tiene al Lido di Venezia dal 30 agosto al 9 settembre 2017, diretta da Alberto Barbera e organizzata dalla Biennale presieduta da Paolo Baratta.

La consegna del premio a Stephen Frears avrà luogo domenica 3 settembre alle ore 22.00 in Sala Grande(Palazzo del Cinema), prima della proiezione Fuori Concorso del suo nuovo film Victoria & Abdul, in prima mondiale a Venezia. Il film è ambientato alla fine dell’Ottocento, quando il giovane commesso Abdul Karim si mette in viaggio dall’India per partecipare al Giubileo d’oro dell’anziana Regina Vittoria. Arrivato a Londra, Abdul si ritrova sorprendentemente nelle grazie della sovrana; i due instaurano un’improbabile e devota amicizia, mostrando una lealtà reciproca che la famiglia e la cerchia della sovrana cercano di ostruire. Abdul diventa rapidamente insegnante, consigliere spirituale e amico devoto della Regina, mentre il loro rapporto si rafforza e Vittoria comincia a vedere il mondo con occhi diversi, riscoprendo con gioia anche la propria umanità.

A proposito di questo riconoscimento, il Direttore della Mostra Alberto Barbera ha dichiarato:

“Prolifico e imprevedibile, eclettico e provocatorio, Stephen Frears sembra sfidare la possibilità stessa di una definizione monolitica del suo cinema. È tra le figure più vibranti e rappresentative del cinema inglese contemporaneo (accanto a Ken Loach e Mike Leigh), ma a differenza di molti non teme di apparire contradditorio, passando con nonchalance dal realismo sociale degli anni ’80 alle biografie, dalle commedie ai drammi storici, alternando film inglesi e americani, produzioni a basso costo e grandi budget, cinema e televisione, ogni volta a proprio agio. È forse questo palese contrasto a costituire l’aspetto più interessante del suo lavoro, insieme con le qualità che tutti gli riconoscono: una sensibilità non comune nel dirigere gli attori, l’abilità nel trarre il meglio dal rapporto con scrittori affermati (Alan Bennet, Christopher Hampton, Hanif Kureishi, Nick Hornby), l’apparente modestia che consiste nel subordinare lo stile all’esigenze del materiale. Grande narratore di storie, dalle quali emergono tematiche ricorrenti come l’attenzione per personaggi di oppressi e marginali, Frears possiede il dono non comune di offrire nei suoi film migliori un ritratto della società Britannica aspro, pungente, non convenzionale, capace di risultare allo stesso tempo disturbante e divertente.”

Stephen Frears

Regista tra i più versatili, capace di spaziare tra un’ampia varietà di stili, tematiche e generi, Stephen Frears (Leicester, Inghilterra, 1941) si costruisce una solida reputazione lavorando per tutti gli anni settanta tra episodi di serie tv e film televisivi. Esordisce al cinema nel 1984 con Vendetta, facendo scoprire al mondo il talento di Tim Roth. Con il suo film successivo, il provocatorio My Beautiful Laundrette (1985) con Daniel Day Lewis, raggiunge il successo internazionale e ottiene una candidatura agli Oscar per la sceneggiatura, mettendo per la prima volta in luce il suo talento negli adattamenti letterari. Il film che lo consacra al grande pubblico è Le relazioni pericolose (1988) con John Malkovich, Glenn Close e Michelle Pfeiffer, che si aggiudica tre Oscar tra cui quello per la miglior sceneggiatura non originale, insieme a molti altri premi internazionali. Con il successivo Rischiose abitudini (1990) riceve la sua prima nomination agli Oscar come miglior regista, sancendo il definitivo sodalizio con Hollywood, al quale continuerà sempre a intervallare produzioni inglesi. Nel 1998 vince l’Orso d’argento per la miglior regia a Berlino con The Hi-Lo Country, mentre nel 2000 dirige Alta fedeltà ed è presente per la prima volta in Concorso a Venezia con Liam, per il quale l’attrice Megan Burns vince il Premio Mastroianni. Due anni dopo torna in Concorso con Piccoli affari sporchi e poi di nuovo nel 2006, quando riceve la sua seconda nomination agli Oscar per la regia di The Queen, film sulla Regina Elisabetta II per il quale Helen Mirren vince la Coppa Volpi e l’Oscar come miglior attrice protagonista. Con Philomena (2013) vince il premio per la miglior sceneggiatura a Venezia e il film viene candidato a quattro Oscar.

Il suo ultimo film, Victoria & Abdul, sarà presentato in anteprima mondiale Fuori Concorso a Venezia e segna il ritorno di Frears all’ambientazione della corte britannica dopo lo straordinario successo di The Queen e il ritorno del Premio Oscar Judi Dench nei panni della regina Vittoria. La sceneggiatura è firmata dal candidato agli Oscar Lee Hall (Billy Elliot) ed è basata sul libro del giornalista Shrabani Basu intitolato Victoria & Abdul: The True Story of the Queen’s Closest ConfidantVictoria & Abdul è un film presentato da Focus Features in associazione con Perfect World Pictures e BBC Films ed è una produzione Working Title in associazione con Cross Street Films.

Venezia 74: Jane Fonda e Robert Redford Leone d’Oro alla carriera

Jane Fonda e Robert Redford riceveranno il 1 settembre alla 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, il Leone d’Oro alla carriera, la decisione è stata presa dal Cda della Biennale di Venezia presieduto da Paolo Baratta, su proposta del Direttore della Mostra del Cinema Alberto Barbera.

La consegna dei premi avrà luogo nella Sala Grande del Palazzo del Cinema (Lido di Venezia), prima della proiezione Fuori Concorso del film di Netflix Our Souls at Night, diretto da Ritesh Batra e interpretato da Jane Fonda e Robert RedfordOur Souls at Night è prodotto da Redford e dalla sua società Wildwood Enterprises, Inc. e da Finola Dwyer di Wildgaze Films. Basato sul romanzo di Kent Haruf, adattato per lo schermo da Scott Neustadter e Michael H. Weber (Colpa delle stelle), il film Netflix Our Souls at Night comincia quando la vedova Addie Moore (Jane Fonda) si presenta a sorpresa dal suo vicino di casa, il vedovo Louis Waters (Robert Redford). In quella cittadina in Colorado sono stati vicini per decenni, ma fino a quel momento con pochi contatti. Il film verrà distribuito in tutto il mondo da Netflix nel 2017.

The Insult: recensione del film di Ziad Doueiri

The Insult: recensione del film di Ziad Doueiri

Manifestazioni di odio e intolleranza sono ormai all’ordine del giorno e spesso capita che alcuni sconvolgenti fatti di cronaca entrino prepotentemente nelle nostre case a rovinarci la giornata; che siano semplici episodi circoscritti al nostro territorio nazionale o terribili attentati poco al di là dei confini italiani, la guerra e il terrore riescono sempre a sconvolgere le nostre vite. Ebbene, il nuovo film di Ziad Doueiri è questo è molto di più. The Insult racconta una storia apparentemente semplice, un litigio tra due persone che, per la cocciutaggine di entrambe, diventa un vero e proprio caso politico internazionale.

La trama di The Insult

In The Insult un rifugiato palestinese di nome Yasser, capocantiere di un’impresa edile, sta eseguendo dei lavori di ristrutturazione in un quartiere popolare di Beirut quando si imbatte in Toni, un meccanico libanese di religione cristiana che, rifiutando l’aiuto degli operai, li scaccia in malo modo. A causa quindi di un banale tubo difettoso della grondaia di Toni, i due finiscono col discutere, iniziano a volare parole grosse e la storia finisce nelle mani della polizia e dei tribunali. Un comune litigio, che sarebbe potuto finire con delle semplici scuse, a causa dell’orgoglio dei due uomini, continua ad espandersi ed a coinvolgere sempre più persone, fino a diventare una guerra tra fazioni religiose.

 

Di origini libanesi, il regista Doueiri – autore già di alcuni lungometraggi di successo come West Beirut, sua opera prima che vinse il Prix François Chalais nel 1998 al Festival di Cannes – può vantare tra le sue esperienze lavorative anche alcuni anni passati al fianco di Quentin Tarantino in qualità di suo assistente alla regia per film celebri come Jackie Brown, Pulp Fiction, Dal Tramonto all’Alba e Le Iene. Potrebbe sembrare l’ennesimo film sulla cosiddetta questione palestinese ma The Insult, con la sua immediata semplicità, riesce a scavare molto più in profondità, regalandoci il ritratto di un’umanità che sembra non aver ancora imparato dai propri errori.

Ad un occhio poco attento, Toni (Adel Karam) e Yasser (Kamel El Basha) possono sembrare persone molto diverse eppure c’è qualcosa che in fondo li accomuna, qualcosa che è molto più ingombrante del loro orgoglio smisurato: il dolore. Abituati sin da piccoli a convivere con la guerra e con un futuro oscuro ed incerto, hanno presto imparato a temere chi è diverso da loro e a guardarlo con sospetto. Negli anni battaglie si sono succedute e dittatori folli dell’una e dell’altra fazione hanno fatto strage di poveri innocenti, nascondendosi dietro buoni propositi e finalità religiose. Il dolore si è trasformato in rabbia e questa a sua volta in odio; ma come sappiamo l’odio genere altro odio e questo, come un fiume in piena, travolge tutto ciò che incontra sul suo cammino. E così una semplice grondaia ha scatenato una serie di reazioni a catena che hanno portato i nostri protagonisti al centro di una guerra mediatica.

The Insult - Zaid Doueiri

Nonostante le sue origini mediorientali, Ziad Doueiri ci regala un film dallo stile spiccatamente americano, tipico dei legal drama. In breve tempo la disputa tra due uomini si trasforma in una lotta tra mogli e mariti, padri e figlie, schieramenti religiosi, avvocati senza scrupoli e partiti politici. Dopo un inizio un po’ in sordina, The Insult acquista un ritmo sostenuto che, grazie anche ai numerosi colpi di scena durante il processo, riesce a mantenere vivo l’interesse dello spettatore. I temi trattati sono veramente tanti; si parla di odio e intolleranza tra popoli che condividono la stessa terra e dell’inquietante relazione tra politica e religione. Durante il processo i protagonisti, completamente in balia degli avvocati e del relativo circo mediatico, sono costretti a condividere momenti privati e dolorosi del proprio passato con degli estranei ai quali interessa solo potersi servire della loro causa per creare disordini e tirare l’acqua al proprio mulino.

The Insult - Zaid Doueiri

Non si tratta più infatti di decidere chi ha ragione e chi torto ma di chiarire una volta per tutte cos’è o non è accettabile fare in nome delle proprie convinzioni. E’ giusto offendere un’altra persona solo perché diversa o sferrare un pugno per un’offesa ricevuta? Quando si cade e ci si sbuccia un ginocchio a volte basta un cerotto per tornare a camminare mentre un orgoglio ferito è molto più difficile da sanare.

A volte però basta un gesto semplice come riattaccare il cavo della batteria di una macchina in panne di un estraneo per realizzare che in fondo non è importante quello che ci divide ma quello che ci accomuna. Tutti abbiamo cicatrici nascoste e ricordi dolorosi stipati negli angoli più remoti della nostra memoria ma basta riuscire a ricordare che “nessuno ha l’esclusiva della sofferenza” e che, nonostante il passato non si possa cambiare, soltanto insieme è possibile andare avanti e voltare pagina.

Venezia 74, red carpet: Amanda Seyfried, Sally Hawkins, Rebecca Hall

La seconda serata di Venezia 74 vede protagonisti tantissimi volti del firmamento di Hollywood, dal premio Oscar Octavia Spencer, alla giovane e talentuosa Amanda Seyfried, fino alla giurata Rebecca Hall e alla protagonista del film di Guillermo Del Toro, Sally Hawkins. [nggallery id=3158]

Foto di Aurora Leone.

Il Festival di Venezia 2017 si svolge al Lido dal 30 agosto al 9 settembre.

Segui il nostro speciale di Venezia 74

The Shape of Water: recensione del film di Guillermo Del Toro

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The Shape of Water: recensione del film di Guillermo Del Toro

Qual è la forma dell’acqua (The Shape of Water)? In genere è quella del suo contenitore, per definizione, trattandosi di un liquido, ma Guillermo Del Toro, nel suo film, presentato in Concorso a Venezia 74, ne dà un’altra definizione: la forma dell’acqua è quella dell’amore.

The Shape fo Water trama

Elisa è una giovane donna muta e solitaria, che per circostanze fortuite entra in contatto con una creatura marina, catturata dal governo degli Stati Uniti e utilizzata come cavia da laboratorio. Le due diversità, l’incapacità di parlare di lei e la “mostruosità” di lui, ben presto si incontrano ed entrano in un intimo contatto che diventerà presto un amore coraggioso, puro e appassionato, che sfiderà tutto e tutti per poter sopravvivere.

Con il linguaggio sospeso e tenero della fiaba, Guillermo Del Toro racconta una storia d’amore che ricalca la storia della Bella innamorata (e ricambiata) della Bestia, con un linguaggio cinematografico esperto e raffinato. Attraverso l’utilizzo sapiente di colori e luci, Del Toro si conferma non solo fine narratore di “fatti”, ma anche efficace fruitore di tutti gli strumenti che il cinema gli mette a disposizione. In questo modo la luce e i colori, nel film, non sono solo parte integrante della realtà raccontata, ma diventano a loro volta un espediente narrativo che veicola senso con leggerezza e passione.

Il magnifico cast di The Shape of Water

Interprete perfetta del ruolo di Elisa è Sally Hawkins: con sguardi, pochi gesti, tanta azione, la donna costruisce per sé la sua felicità, fatta di coraggio e rischio, ma anche di una tenerissima intesa con la creatura. Al fianco della Hawkins ci sono Octavia Spencer, nel ruolo della collega e amica, e Richard Jenkins in quello del vicino, confidente, unico affetto della protagonista. Entrambi i ruoli, complementari alla protagonista, compongono un quadro in cui quelli che sembrano vinti e poveri riescono a compiere grandi gesti, prevalentemente attraverso l’amore reciproco. Il messaggio sembra quindi scontato e melenso, ma nelle mani di Del Toro diventa naturale e abbatte il cinismo con cui ci siamo abituati a vedere il mondo nel nostro quotidiano.

In contrasto con i personaggi positivi di The Shape of Water, c’è invece il villain di Michael Shannon. Un uomo di armi e di violenza, che nelle ragioni della paura e dell’avversione nei confronti della diversità trova la sua ottusa ragione. L’interprete conferma la raffinatezza delle sue doti, tratteggiando rabbia e prepotenza con vivido realismo.

Tra il bene e il male, rappresentato dagli esseri umani, c’è la creatura, un mostro che nel suo aspetto e nelle sue intenzioni manifesta l’ossimoro della sua esistenza. Questo misterioso essere rappresenta la diversità per eccellenza, diversità fondamentale per abbracciare a pieno il messaggio di Del Toro: la paura genera l’odio e la risposta è l’amore. Di fronte alla banalissima realtà di questo messaggio lo spettatore si trova però disarmato da quanto autentico questo appaia nel corso degli eventi, senza mai cedere il passo alla retorica dei buoni contro i cattivi.

La sensualità dell’acqua

Mantenendo fede ai toni fiabeschi, con The Shape of Water il regista non esita a raccontare una storia d’amore a tutto tondo, che comprende anche la sensualità del rapporto. L’abbraccio acquatico trai due protagonisti si carica quindi di una sensualità autentica e viscerale ma mai torbida, una passione gioiosa, nonostante la condizione di pericolo che la storia suggerisce.

Maestro del racconto cinematografico, Del Toro ricrea sullo schermo le suggestioni di una fiaba per adulti, con un finale delicato, che sa di predestinazione e magia e che ci ricorda che alla paura è sempre meglio preferire l’amore, che sia per un’altra persona, per la vita, o anche, come nel suo caso, per il grande cinema.

Star Wars Gli Ultimi Jedi: un Luke “oscuro” su una rivista ungherese

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Si chiama Mozimánia la rivista ungherese che ha dedicato una nuova cover a Star Wars Gli Ultimi Jedi in cui compare Luke Skywalker (Mark Hamill) in una inedita veste “oscura”. Ecco di seguito la cover:

Star Wars Gli Ultimi Jediun esclusivo backstage dal D23

La sinossi: “In Star Wars Gli Ultimi Jedi della Lucasfilm, la saga Skywalker continua quando gli eroi de Il Risveglio della Forza si uniscono alle leggende della galassia in un’epica avventura che svelerà i misteri della Forza e le scioccanti rivelazioni del passato risalenti all’Era antica. Star Wars Gli Ultimi Jedi arriverà nei cinema USA il 15 dicembre 2017.”

CORRELATI:

FIRST LOOK – Carrie Fisher in Star Wars Gli Ultimi Jedi

Il film sarà diretto da Rian Johnson e arriverà al cinema il 15 dicembre 2017. Il film racconterà le vicende immediatamente successive a Il Risveglio della Forza.

In Star Wars Gli Ultimi Jedi torneranno Mark Hamill, Carrie Fisher, Adam DriverDaisy RidleyJohn BoyegaOscar IsaacLupita Nyong’oDomhnall Gleeson, Anthony Daniels, Gwendoline Christie e Andy Serkis. Gli altimi attori unitisi al cast sono Benicio Del ToroLaura Dern Kelly Marie Tran.

Downsizing: teaser trailer del film con Matt Damon

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Downsizing: teaser trailer del film con Matt Damon

Dopo la presentazione a Venezia 74 in anteprima mondiale, ecco il teaser trailer di Downsizing, nuovo film di Alexander Payne con Matt Damon, diffuso da Paramount.

Venezia 74: Downsizing recensione del film con Matt Damon

Downsizing segue le avventure di Paul Safranek (Matt Damon), un uomo ordinario di Omaha che, insieme alla moglie Audrey (Kristen Wiig), sogna una vita migliore. Per rispondere alla crisi mondiale causata dalla sovrappopolazione, gli scienziati hanno sviluppato una soluzione radicale che permette di rimpicciolire gli essere umani a pochi centimetri d’altezza. Le persone presto scoprono che i loro risparmi valgono di più in un mondo più piccolo e, con la promessa di uno stile di vita lussuoso oltre ogni loro aspettativa, Paul e Audrey decidono di correre il rischio di sottoporsi a questa pratica controversa, imbarcandosi in un’avventura che cambierà le loro vite per sempre.

Amnesty International a Venezia 74 a sostegno de L’Ordine delle Cose

“È importante costruire delle narrazioni che siano alternative a quelle che sono più diffuse, e raccontarle attraverso l’invenzione narrativa di un personaggio che si trova a vivere il conflitto tra quello che gli chiede il dovere istituzionale e le riflessioni suscitate dal confronto a tu per tu con degli esseri umani di cui non capisce il dramma.” Alba Bonetti, vice presidente nazionale di Amnesty International Italia, ha così parlato in relazione a L’ordine delle cose, il film di Andrea Segre che racconta il dramma dei migranti dal punto di vista di un Funzionario del Ministero degli Esteri che si occupa di stipulare accordi internazionali a tutela della grande crisi che sta vivendo il Mediterraneo e tutta l’Europa.

“Questo, per noi di Amnesty International è importante dal punto di vista culturale e della diffusione di una maggiore comprensione di quello che sta succedendo – ha continuato la Bonetti – cioè ragionare non su numeri e statistiche ma su delle vite, perché stiamo parlando di diritti umani e di vite. Non si tratta di un’invasione perché l’86% degli immigrati censiti sta fuori dall’Europa. Non è l’Europa invasa dai migranti, è l’Europa che sta collassando sotto il peso di politiche irresponsabili e incapaci di dimostrare quella solidarietà che 70 anni fa ha permesso all’Europa stessa di venire fuori dalla gigantesca crisi degli immigrati della Seconda Guerra Mondiale.”

L’ordine delle cose è stato presentato al Festival di Venezia 2017 nell’ambito degli Eventi Speciali della Mostra.

La forma del Water: Guillermo, Guillermino e Zucchero

La forma del Water: Guillermo, Guillermino e Zucchero

Ragazzi, sono veramente esausto. È stata un’edizione intensa e interessante ma in fondo sono contento che sia arrivata finalmente l’ora di tornare a casa e riposare il mio stanco membro. Ma sento una vocina. Forse è il Demonio di padre Amorth e Friedkin, che occasionalmente ha deciso di possedere un poro cristo di giornalista invece che la solita architetta ciociara. ‘Ang, per mille forconi! Ma che cazzo dici? Stai solo al secondo giorno’. ‘Ma porco di quel… (inserire bestemmie a scelta, possibilmente in ciociaro. Perché sì, la ‘lingua sconosciuta’ che parlava la tizia, ve lo assicuro, era ciociaro stretto. Non aramaico, non antico accadico. Ciociaro). E probabilmente sempre dal Demonio di cui sopra dipende l’incontrovertibile tendenza del mio pass a girarsi sempre dal lato sbagliato, quello bianco, provocando la diffidenza degli addetti alla sicurezza per cui ‘pass fasullo + barba lunga + borsa carica di Toradol equivale a ‘pericoloso terrorista’, se me portano ar gabbio portatemi le arance, o almeno una bottiglia di Fiuggi, che devo bere). Ieri sera – crepi l’avarizia – festicciola. Ho tenuto a bada Fankulius (il demone sumero dell’asocialità festivaliera) per ben 30 minuti. Un record, ma capitemi, andavo a mohito analcolico.

Torno mentre Vì e i capi supremi di Cinefilos Chiara Guida e Francesco Madeo arrivano, tutti belli ed eleganti tranne me, come cantava Vendittius, il demone iraniano della vecchiaia. Li aspetto sulla panchina e li saluto al volo evitando di cedere alle lusinghe di Tornaindietroevieniallafestaconnoius, il demone armeno della dissennatezza. Così almeno oggi sono in grado di presentarmi alla proiezione di The Shape of Water di Del Toro in discreta Shape pure io, che ci tengo. Il film è bellissimo, pochi cazzi, ed è una di quelle storie che se la davi in mano a uno che vuole spiegare le cazzate insite nel cinema di sogno e fantasia, tipo Christopher Nolan, veniva fuori un disastro. In mano a Del Toro pure la storia di una povera disgraziata, cessa e muta, che si innamora del Mostro della Laguna Nera scorre liscia e prende un riflesso meraviglioso. Questo è veramente in grado di dare la forma all’acqua, ma pure all’aria e pure ai rutti se ci prova, ne sono convinto, e visto il tema dire che in questa Laguna è Del Toro il mostro – ovviamente di bravura – non è solo l’abituale cazzata giornaliera dovuta all’abbacinamento da Festival. Risate grasse almeno quanto lui.

Per il resto c’è per me il ritorno di un mostro assai più spaventoso – altro che demoni mediorientali e uomini pesce dal cuore d’oro – ovvero la tumulazione alla Settimana Orizzontale degli Autori, triste reminiscenza dello scorso anno. Che significa tipo diciotto interviste one-to-one di fila a gente diversamente famosa, che poi per carità, è anche caruccia e intellettualmente stimolante, ma mi chiedono costantemente autografi e selfie e quindi mi stressa. Come del resto mi stressa pure stare un’ora sotto il sole per farmi un selfie con Del Toro, ma anche se ora puzzo peggio di una capra l’ho fatto, e ne vado orgoglioso. Mica solo per lui, per quanto lo stimi, ma anche e soprattutto per poter sparare la cazzata ‘Guillermo e Guillermino’ (per i non avvezzi: Guglielmino è il mio cognome, per gli amici Ang) che in effetti sta furoreggiando su facebook. Lui ci sta alla grande e si presta a grandi pacche sulle spalle e capisce: ‘El pequeno Guillermo’.

Ang

Certo che sto film di Del Toro è una bella paraculata verso il genere femminile. Donne: chi di voi nella sua vita non si è mai innamorata del genere mostro che magna proteine, non parla e quando se fa la doccia schizza tutto? Certo, non vi nascondo che vederlo nella versione Barbie, cioè privo degli attributi, mi ha fatto un po’ vacillare. Ma vuoi mettere, quando scopri che ha l’optional ‘pigia il tasto, apri la botola e srotola?’ Dovremmo rinunciare a fa quelle elegantissime battute da signorine perbene ‘hai un coniglio nella tasca o sei solo contento di vedermi?’, ma i vantaggi estetici sono tanti. Comunque il film – anche per me – è bellissimo, e mi ha fatto dimenticare un po’ di brutture di ieri sera, tipo che anche ai Leoni lo Spritz non è accompagnato dalle solite chips, ma te fanno ubriaca’ a stomaco vuoto e strisciare dopo in sala. In più non sono riuscita a vedere il film che sicuramente vincerà (First Reformed) perché, nonostante la nostra super puntualità, la sala era piena.

E non lo dico per i commenti post sala di illustri colleghi, che come al solito sono sempre cauti e morigerati (Capolavoro! Leone subito! Premi supplementari! Borghi! Marinelli! – così, a cazzo – Sai com’è siamo al secondo giorno di festival e di La La Land ce ne è uno solo, forse anche ma menomale), ma perché non l’hanno visto nemmeno Ang e Chiara, e se c’è una cosa che i festival ci insegnano, a parte che se sei con la Carducci, trovi sempre un pasto caldo, è che loro storicamente non vedono mai la pellicola premiata. Ad ogni modo prima di andare al fantastico party, abbiamo ripiegato su un altro film della sezione Orizzonti, pur di non saltare una proiezione. Il film in questione è Espèces menacées, in una sala casinò fredda come le vetrine de sushi dei supermercati. Per onestà mi duole dire che abbiamo googlato il titolo, un po’ perché il francese lo parlo e sto titolo me suonava malissimo (tipo trappola esorcistica dello scorso anno) un po’ perché non volevamo roba da presa a male. Primo risultato: un panda. Annamo bene. Con tutto il rispetto per questo delizioso animaletto, l’idea di passare due ore in una cella frigorifera a guardare un documentario su come i panda falliscono nel riprodursi era veramente troppo da sopportare. Poi abbiamo deciso di aggiungere ‘film’+‘venezia’, e abbiamo scoperto invece una pellicola interessante, se non fosse per quei fastidiosi personaggi che dopo un po’ te facevano venì voglia di pigliare a capocciate lo schermo. D’altronde come rimanere inerme davanti a un padre che vede la figlia gonfiata come na zampogna dal marito stronzo e strafottente e non fa una mazza di concreto se non nel finale, e pure sul finale riesce a farsi odiare? Ma questo è un blog cazzone, e le tematiche serie le lasciamo agli altri sennò ci arrabbiamo, qua invece (sempre se la mia vicina di casa ce lo permette, vedi post precedente) ce piace ride. In chiusura vi segnalo che ieri mentre facevo pipì nei cessi dell’Excelsior, che mi ha insegnato Ang, essere terra franca dai germi dove ancora vige questa regola civilissima del classismo e riesco a non prendermi tipo la malaria, ho incrociato Zucchero. Il perché ce lo chiediamo tutti, sarebbe interessante se Nolan ci sviluppasse attorno un soggetto. Forse è un gran cinefilo, anche se fonti certe l’hanno sentito mentre rilasciava la seguente dichiarazione ‘soccia quanta figa’. Premi supplementari e collaterali anche per lui. Noi invece ci vediamo domani.

Guillermo Del Toro aggiorna sul progetto di Pinocchio

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Guillermo Del Toro aggiorna sul progetto di Pinocchio

Durante la conferenza stampa di presentazione, al Festival di Venezia, di The Shape of Water, Guillermo Del Toro ha avuto modo di commentare anche lo stato di produzione del suo film in stop-motion su Pinocchio.

Ecco cosa ha raccontato alla gremita sala conferenze del palazzo del Casinò: “Ho i pupazzi e i concept pronti ma mancano i soldi. È anche vero che tendo a complicarmi la vita da solo, perché quando volevo fare Hellboy a nessuno piaceva l’idea di un film di supereroi, per Pacific Rim nessuno voleva vedere robot giganti combattere contro mostri e per il Labirinto del Fauna, nessuno voleva produrre un film su quel periodo della storia di Spagna. Ammetto che volendo raccontare la storia di un Pinocchio anti-fascista durante l’ascesa di Mussolini, anche io non mi rendo la vita facile. Mi servono 35 milioni di dollari. Se li aveste voi fareste di me un messicano contento.”

Venezia 74: Guillermo Del Toro e la fiaba di The Shape of Water

Kingsman: il Cerchio d’Oro, il cast al completo su una foto di People

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New entry e volto noti compongono la foto di gruppo di Kingsman: il Cerchio d’Oro che è stata scattata da People Magazine e che potete vedere di seguito.

Da sinistra verso destra: Pedro Pascal, Halle Berry, Channing Tatum, Taron Egerton, Mark Strong, Colin Firth, Jeff Brodges, Julianne Moore e Elton John.

La sinossi di Kingsman: Il Cerchio d’Oro

Kingsman The Secret Service ci ha introdotti al mondo dei Kingsmen, un’agenzia indipendente internazionale che opera ad altissimi livellidi discrezione, il cui obbiettivo ultimo e tenere il mondo al sicuro. In Kingsman Il Cerchio d’Oro, i nostri eroi affrontano una nuova sfida. Quando le loro basi vengono distrutte e il mondo è preso in ostaggio, il loro viaggio li porta a scoprire una alleata, un’agenzia americana chiamata Statesman. Nella nuova avventura che mette alla prova le loro forze, queste due associazioni devono fronteggiare un nemico senza scrupoli per salvare il mondo, una cosa che per Eggsy sta diventando quasi un’abitudine…

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Kingsman: Il Cerchio d’Oro – l’isterico primo teaser trailer

Nel cast di Kingsman Il Cerchio d’Oro torneranno quindi Taron EgertonColin FirthMark StrongSophie Cookson Edward Holcroft mentre si sono aggiunti a oggi Julianne MooreHalle BerryPedro PascalSir Elton John, Vinnie Jones e Channing Tatum.

Il film arriverà in sala il 29 settembre 2017.

Justice League: un trailer in versione retrò

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Justice League: un trailer in versione retrò

Ecco una versione retrò, corretta ad hoc, del trailer di Justice League, in cui al fianco di Batman e Flash, vediamo RoboCop, Xena e persino l’eroe con le branchie di Kevin Costner in Woterworld.

Justice League: trailer del film dal Comic-Con 2017

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Ecco il primo trailer di Justice League dal Comic Con

Justice League sarà diretto da Joss Whedon, che ha sostituito alla fine della produzione Zack Snyder, ed è previsto per il 10 novembre 2017. Nel film vedremo protagonista Henry Cavill come Superman, Ben Affleck come Batman, Gal Gadot come Wonder WomanEzra Miller come Flash, Jason Momoa come Aquaman, e Ray Fisher come Cyborg. Nel cast confermati anche: Amber Heard, Amy Adams, Jesse Eisenberg, Willem Dafoe, J.K. Simmons e Jeremy Irons. I produttori esecutivi del film sono Wesley CollerGoeff Johns e Ben Affleck stesso.

Venezia 74: Guillermo Del Toro e la fiaba di The Shape of Water

Trai titoli più attesi di Venezia 74, The Shape of Water ha segnato il ritorno di Guillermo Del Toro ad atmosfere congeniali, a una storia semplice, alla fiaba macabra, al suo amore, puro e cristallino, per il cinema.

Accompagnato dal suo cast (Sally Hawkins, Octavia Spencer e Richard Jenkins), il regista messicano ha definito il suo film un antidoto al cinismo dei nostri giorni, proprio grazie alla sua genuina natura di fiaba. “Dovremmo scegliere l’amore al posto della paura. La paura sta prendendo il sopravvento nel nostro mondo.”

D’altronde la fiaba è sempre stato il modo prediletto per raccontare grandi storia secondo Del Toro, che aggiunge: “Il cinema di oggi è fissato nelle indicazioni di tempo e luogo, nella fiaba invece c’è il ‘C’era una volta’ e questo la rende indeterminato e per questo sempre attuale.”

La musica di The Shape of Water

L’ambientazione del film è quella dell’America degli anni ’60, tuttavia un miscuglio di atmosfere, musiche e colori conferisce alla storia una atemporalità sospesa, che è stata ottenuto con il lavoro congiunto di una fotografia meticolosa insieme allo spettacolare lavoro di composizione musicale di Alexander Desplat.

“Il colore è importantissimo nel film. Bisogna avere sempre un’idea chiara di quello che si vuole, ma poi si deve anche lavorare a ciò che viene dalla collaborazione e dal confronto. Tutto ciò che circonda Eliza è verde e azzurro, come fosse una presenza sottomarina, mentre il rosso non c’è mai, ma rappresenta l’amore e lo vediamo nelle sue scarpe, nel vestito, nelle poltrone del cinema, ma non prima. Il lavoro con la luce è stato meticoloso. La scena della vasca, ad esempio, ha richiesto sei ore solo per l’illuminazione.”

Le musiche invece sono state costruite sull’esempio, tra gli altri, del lavoro di Nino Rota, sull’onda delle emozioni. Lo stesso Desplat ha registrato di sua propria bocca un fischio, scelto come “strumento” che riuscisse a cavalcare l’onda delle emozioni veicolate dal film stesso.

La Bella e la Bestia

Nell’ambito della fiaba, Del Toro spiega: “Il film ripercorre La Bella e la Bestia, ma ci sono due versioni di quella storia, una casta e romantica, l’altra violenta e torbida. A me non interessava nessuna delle due, io volevo raccontare una via di mezzo, perché la realtà è estremamente più complicata di così. La stessa Eliza è un personaggio completo, una donna normale che vive normalmente la sua sessualità, esiste ed è normale che sia così.”

Per quanto riguarda l’ambientazione invece, il regista ha spiegato: “Credo si tratti di quell’America piena di promesse a cui si riferisce chi dice di voler renderen ‘l’America grande di nuovo’. Era un periodo ricco di promesse e aspettative, c’erano molte cose belle ma non erano per tutti. La creatura rappresenta quell’alterità che io conosco bene da messicano che lavora anche in America. Si tratta di un mondo difficile in cui solo l’amore può essere una cosa abbastanza forte da salvare le persone. Sembra una frase assurda nel mondo cinico di oggi ma lo dicevano i Beatles e lo diceva Gesù, e credo sia difficile che si siano sbagliati entrambi.”

Hawkins, Spencer e Jenkins

A interpretare la protagonista, una donna orfana e muta, c’è Sally Hawkins, che con un lavoro magistrale consegna al cinema uno dei suoi migliori personaggi femminili degli ultimi anni. “Guillermo è molto generoso e alcune cose accadono esattamente quando devono accadere. Come l’incontro con lui, ad esempio. Io stavo scrivendo una storia su una donna che non sa di essere una sirena, e di punto in bianco arriva la chiamata del mio agente, che mi propone di lavorare a una storia, non ancora scrittza, pensata da Guillermo Del Toro, in cui si parla proprio di uomini pesce. Le idee si sono sovrapposte. È molto raro quando le cose coincidono in questo modo.”

Per Octavia Spencer, che nel film è Zelda, una donna delle pulizie, si è trattato di tornare indietro al personaggio che le ha regalato l’Oscar in The Help. L’attrice però ha spiegato: “Minni era una donna molto intelligente che però non aveva la sua voce. Con Zelda ho ritrovato un personaggio che pur essendo più disciplinato di Minni, ha una voce propria, e la utilizza per darla anche alla sua coraggiosa migliore amica, Eliza.”

A completare il novero degli ospiti, Richard Jenkins è intervenuto lodando in particolar modo lo script di The Shape of Water. L’attore è il vicino di Eliza; artista solitario e problematico, ma anche lui in cerca di affetto. “Tutto ciò che di buono ho fatto per il personaggio era nella sceneggiatura. Guillermo mi ha mandato la sceneggiatura e mi ha detto ‘dimmi se ami questo personaggio quanto lo amo io’, e il risultato è stato amore a prima lettura.”

Del Toro è famoso per scrivere delle biografie per i suoi personaggi e The Shape of Water non fa differenza: “Ho scritto delle biografie per ognuno di loro, tranne che per il personaggio di Sally e per la creatura. Con Sally ho lavorato gomito a gomito, abbiamo creato insieme Eliza. Per la creatura invece ho fatto un lavoro diverso. Se ci fate caso non ha neanche nome, e questo perché per ognuno rappresenta una cosa diversa, una specie di Teorema di Pasolini.”

the shape of waterIl futuro e Pinocchio

Nonostante al Lido The Shape of Water sia stato acclamato come il grande ritorno di Del Toro, il regista ha altri progetti estremamente nelle sue corde in cantiere, come il film in stop-motion su Pinocchio. “Ho i pupazzi e i concept pronti ma mancano i soldi. È anche vero che tendo a complicarmi la vita da solo, perché quando volevo fare Hellboy a nessuno piaceva l’idea di un film di supereroi, per Pacific Rim nessuno voleva vedere robot giganti combattere contro mostri e per il Labirinto del Fauna, nessuno voleva produrre un film su quel periodo della storia di Spagna. Ammetto che volendo raccontare la storia di un Pinocchio anti-fascista durante l’ascesa di Mussolini, anche io non mi rendo la vita facile. Mi servono 35 milioni di dollari. Se li aveste voi fareste di me un messicano contento. ”

First Reformed: recensione del film con Ethan Hawke – Venezia74

First Reformed: recensione del film con Ethan Hawke – Venezia74

Ad un anno di distanza da chiacchierato Dog Eat Dog, il regista Paul Schrader torna ad interrogarsi sulla natura umana e sui vizi e le virtù dell’uomo di oggi. La sua ultima fatica cinematografica dal titolo First Reformed, segue le vicende del pastore Toller, magistralmente interpretato da Ethan Hawke, in preda ad una violenta crisi di fede.

Sconvolto dalla morte del figlio e dalla conseguente distruzione della sua famiglia, Toller cerca di andare avanti meglio che può e di essere sempre un punto di riferimento per i suoi parrocchiani. Ma l’improvviso suicidio di un giovane attivista scatenerà in lui una forza oscura e distruttiva che lo spingerà a prendere decisioni pericolose ed estreme.

Ancora una volta quindi Paul Schrader, pur non prendendo posizione, ci racconta la sua visione del mondo contemporaneo e della pericolosa condizione dell’essere umano costretto a vagare per la terra senza più punti di riferimento. “Non credo che l’umanità abbia ancora tanti secoli davanti. Se avete speranza vuol dire che non prestate attenzione”. Queste sono le ultime lapidarie parole del regista durante la conferenza stampa, parole che hanno gelato il sangue dei presenti ma che hanno anche chiarito il suo punto di vista; per Schrader l’uomo è destinato all’estinzione e non c’è proprio nulla che si possa fare per invertire il processo.

First Reformed, il film

In un mondo in cui il caos regna sovrano e l’essere umano sembra aver perso ogni speranza e certezza, la missione di redenzione del pastore Toller sembra destinata al fallimento. Da anni a capo di un’antica chiesetta di periferia, Toller (Ethan Hawke) sembra attraversare una sorta di crisi mistica ed esistenziale; così mentre la sue fede vacilla, si ritrova a dover aiutare una coppia di giovani sposi in crisi. Ma l’incontro con Mary (Amanda Seyfried) e Michael spingerà il pastore verso una strada senza ritorno.

Il grande regista Paul Schrader torna ad incantare il suo pubblico presentando un film che è un vero e proprio dramma in crescendo. Attraverso il diario segreto del pastore Toller entriamo in un mondo fatto rimpianti e sensi di colpa ma soprattutto di dolore, una sofferenza celata per troppo tempo dall’abito nero e dal colletto bianco che adesso scalpita per uscire allo scoperto. Non si tratta infatti solo di un pastore la cui fede viene a mancare ma di un uomo troppo pieno di rabbia e frustrazione, deluso dalla vita, alla ricerca della salvezza. Il dolore per la perdita del figlio durante la guerra in Iraq e il successivo abbandono della moglie, hanno trasformato l’ex militare e pastore in una vera e propria bomba ad orologeria. Senza fede e speranza dalla sua parte Toller sembra aver perso la bussola e vaga per il mondo alla ricerca di una nuova missione, un nuovo e più alto scopo che ridia senso alla sua vita.

First Reformed - Paul Schrader

Questa opportunità di riscatto gli viene offerta da Mary che, come una dolce tentazione, lo spinge a considerare cose che prima non avrebbe mai neppur osato immaginare. Così mentre il pastore tenta (invano) di aiutare Michael a ritrovare la retta via, riscopre alcune piccole voglie sopite e si abbandona a piaceri e pulsioni terreni. Le atmosfere sono cupe e silenziose, lo spazio circoscritto e quasi claustrofobico, i tempi lenti e dilatati, tutti elementi che mirano ad esasperare il rigore estetico di Schrader che questa volta risulta funzionale alla storia. Sin dalla prima inquadratura – un bellissimo piano sequenza della First Reformed all’alba, avvolta da una leggera nebbia – si percepisce un’atmosfera carica di tensione che accompagna lo spettatore per tutta la durata del film e che raggiunge il suo culmine in un finale però un po’ deludente e non all’altezza delle aspettative. Nonostante infatti il regista ci fornisca un ritratto decisamente pessimistico della condizione umana, le sue convinzioni non trovano corrispondenza nella conclusione un po’ troppo leziosa e buonista. Ma in effetti è proprio questo il messaggio del regista; per Schrader come per Toller non esistono mezze misure e le uniche due vie di fuga sono la morte e l’espiazione dei peccati attraverso la forza dell’amore.

Un film duro quello di Paul Schrader che non conosce mezze misure e che non ha bisogno di servirsi di inutili sovrastrutture estetiche per promuovere il suo messaggio nefasto; i pessimisti si lasceranno cullare dalle atmosfere spettrali di First Reformed e gli inguaribili ottimisti vedranno nel finale un barlume di speranza.

Leggi anche: The Shape of Water di Guillermo Del Toro: il fascino discreto della diversità

Tolkien: Lily Collins interpreterà la moglie del Professore

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The Hollywood Reporter ci informa che Lily Collins è entrata a far parte del biopic su Tolkien (e al momento così intitolato), nei panni di Edith Bratt, la moglie del Professore.

I due sono seppelliti vicini, e sulle loro tombe, a imperitura memoria del loro amore, sono incisi i nomi di Beren e Luthien, l’uomo e l’elfa che si amarono e che diedero vita alla stirpe di Aragorn e Arwen.

A interpretare Tolkien è stato confermato Nicholas Hoult.

J.R.R. Tolkien: in lavorazione un nuovo biopic diretto da Dome Karukoski

Diretto da Dome Karukoski, il film biografico sarà incentrato sugli anni formativi del Professore, noto ai più per aver creato la Terra di Mezzo. Il film è stato scritto da David Gleeson e Stephen Beresford e racconterà gli anni della formazione, in cui J.R.R. Tolkien incontra l’amicizia, l’amore e l’ispirazione per la letteratura, prima della Prima Guerra Mondiale.

A produrre la Chernin Entertainment insieme alla Fox Searchlight.

Casa d’altri: recensione del corto di Gianni Amelio

Casa d’altri: recensione del corto di Gianni Amelio

Con Casa d’altri, in una manciata di minuti, Gianni Amelio costruisce un suo affresco personale per ricordare il terremoto di Amatrice, avvenuto esattamente un anno fa e sensibilizzare così il pubblico, invitandolo a riflettere, a non speculare e soprattutto a non dimenticare.

Tra personaggi costruiti, frutto di fantasia, e testimonianze reali, il regista si muove tra le macerie di un paese ormai morto, fatto solo di rovine e di persone che si aggirano come fantasmi, alla ricerca di un passato spazzato via in una notte, nel giro di pochi secondi.  Compie dei lunghi camera car tra i detriti ammucchiati, si sofferma sulla costruzione delle casette in legno ancora non terminate e consegnate, punta il dito sulla nuova terribile moda del turismo catastrofico, verso quelle persone prive di sensibilità che anelano a scattarsi un selfie davanti a una casa crollata o a una nave da crociera affondata.

Vediamo terremotati che non hanno più nulla, una maestra d’asilo che racconta come i bambini immaginino sia morire schiacciati e soffocati tra le macerie della propria casa, chi invoca e pretende comprensione e rispetto, chi fa un paragone con quanto vissuto in Africa, riuscendo a stento a trattenere le lacrime.

La casa d’altri è un documento importante per ricordare una delle tante, troppe catastrofi di casa nostra, enormemente rilevanti appena accadute, quanto poi subito dimenticate dopo poco tempo. Forse, dal punto di vista cinematografico non spicca per scelte stilistiche originali o caratterizzazioni autoriali che avrebbero potuto rendere il cortometraggio di Amelio ancora più convincente.

The Shape of Water di Guillermo Del Toro: il fascino discreto della diversità

Dopo Pacific Rim (2013) e Crimson Peak (2015), due film molto importanti, ma per ovvie ragioni produttive non completamente sinceri, Guillermo Del Toro torna a dedicarsi con grinta e infinita passione a un progetto molto intimo e personale, sfornando The Shape of Water, un meraviglioso oggetto cinematografico dalla forma tanto potente quanto impalpabile, fatto della stessa essenza dell’acqua, intriso di poesia e trasudante amore per il cinema, per le fiabe e per le immagini.

The Shape of Water come La Bella e la Bestia

La storia narrata è un B&B, ovvero l’ennesima (ma riuscitissima) rivisitazione della fiaba della Bella e la Bestia, un inno alla diversità e all’orgoglio di essere diversi, rompendo a tutti i costi schemi e pregiudizi. La bestia in questione è una creatura anfibia metà uomo e metà pesce, simile per molti aspetti a quella de Il Mostro della laguna Nera (1954), mentre la bella è una timida e muta addetta alle pulizie di un centro governativo dove si effettuano studi scientifici ed esperimenti strambi, durante il periodo della Guerra Fredda.

Nel film si affronta il tema della diversità sotto ogni sfaccettatura, dalla mostruosità alla differenza di genere, dall’omosessualità al razzismo, dal classismo al bullismo. Tutto questo con una leggerezza naturale inusuale, con un tocco felice che non fa mai sentire la forzatura dello sfiorare tematiche così delicate. Ma è soprattutto una storia d’amore, una grande storia d’amore, che commuove, fa riflettere e soprattutto ricorda che l’amore può sormontare e far crollare qualsiasi barriera, fisica o mentale che questa possa essere. A tratti si avvertono anche gli echi lontani, ma sempre attuali del Romeo e Giulietta di Shakespeare.

Del Toro, proprio a proposito dell’amore afferma: “Le favole sono nate in tempi difficili e complessi, quando la speranza sembrava perduta. Ho realizzato The Shape of Water come antidoto al cinismo. Personalmente ritengo che quando parliamo di amore – quando crediamo nell’amore – lo facciamo in modo disperato. Temiamo di apparire ingenui e perfino falsi. Ma l’Amore è reale, assolutamente reale; e, come l’acqua, è la forza più gentile e più potente dell’Universo. È libero e senza forma fino a quando non fluisce nel soggetto al quale è destinato, fino a quando non lo si lascia entrare. I nostri occhi sono ciechi, ma lo stesso non si può dire della nostra anima. Riconosce l’amore in qualsiasi forma arrivi a noi”.

L’esplorazione del sesso

E insieme all’amore in The Shape of Water entra di prepotenza anche il sesso, troppe volte dimenticato o volutamente rimosso dai mercanti di fotogrammi per la paura di togliere poesia, sentimento, per il terrore smodato di andare ad infrangere quelle regole bigotte imposte da chissà chi. E invece il bisogno di contatto fisico, di vivere liberamente senza pregiudizi la propria sessualità diventa un elemento fondamentale della storia, facendo apparire i protagonisti incredibilmente vivi e quindi credibili. I corpi si spogliano, si toccano, cercano piacere e non importa se si tratti della pelle pallida di una giovane donna, delle umide squame di un pesce o del corpo che invecchia di un uomo ormai solo. Il corpo, il sesso, la riproduzione, l’anatomia, l’invecchiamento, il disfacimento, la decomposizione, sono i tanti tasselli di cui si compone questo delicato racconto.

The Shape of Water è il decimo lungometraggio del regista messicano e si inserisce tra quelli che maggiormente lo caratterizzano come uno degli autori visionari più importanti dei nostri tempi, con uno stile e una poetica così riconoscibili da riuscire ad imporli anche a livello commerciale.

Tra Tim Burton e Terry Gilliam

La cosa che più stupisce di Del Toro è che, estremamente consapevole delle sue pulsioni e istanze espressive, riesce a domarle, a tenerle addomesticate, riuscendo a narrare con stile disinvolto, senza mai eccedere o cadere nell’auto-manierismo, come purtroppo avviene per il buon caro vecchio Tim Burton, al quale, per ovvie ragioni non è possibile evitare di accostarlo. Ed è gustosissimo cogliere una stoccatina, o forse un avvertimento, o semplicemente solo un consiglio al suo macabro collega. Questo avviene nella parte iniziale del film, dove uno dei personaggi, commentando un incendio alla vicina fabbrica di cioccolato dice più o meno così: “E’ un disastro, ma l’odore del cioccolato bruciato e pur sempre meraviglioso”. E del Toro sembra anche rimanere immune dagli eccessi scriteriati incontrollabili che affliggono un altro suo collega di affabulazioni visionarie, Terry Gilliam.

The Shape of Water è un progetto relativamente economico per gli standard a cui è abituato Guillermo Del Toro sia come regista che come produttore. Infatti è costato solamente (si fa per dire)  19 milioni di dollari, grazie anche alla rinuncia a grossa parte del suo compenso, in modo da convincere la Fox Searchlight a sostenerlo nell’impresa. La pellicola si pone quasi come completamento di quella trilogia composta da La Spina del Diavolo (2001) e Il Labirinto del Fauno (2006), per la quale era prevista una naturale terza parte, ma poi mai realizzata. E al tempo stesso si nutre di elementi creati per i due capitoli di HellBoy (2004 – 2008), tanto come atmosfera, che come personaggi e creature. Si avvertono anche innumerevoli omaggi al cinema, dai mostri della Universal, ai film della Hammer, dai musical degli anni cinquanta alle pellicole di fantascienza e i B-movie.

E si coglie anche un affettuoso omaggio all’Amelie Poulain di Jean Pierre Jeunet, a cominciare dalla protagonista Elisa, interpretata da una bellissima, bravissima e sensuale Sally Hawkins, passando per la caratterizzazione del suo vecchio amico illustratore, che ricorda inequivocabilmente il pittore con le ossa di vetro del film francese.  Anche le scenografie di molti ambienti, il gusto visivo di alcune scene, i colori e la fotografia rimandano la memoria indietro nel tempo a quel film. Ma sono piccoli riferimenti, omaggi voluti e sentiti, perché la potenza espressiva e l’originalità di Guillermo del Toro sono assolutamente meravigliose e fuori discussione.

Iron Man: ecco un concept inutilizzato della Mark I

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Iron Man: ecco un concept inutilizzato della Mark I

Chi ha seguito dall’inizio le vicende cinematografiche di Iron Man, ricorda bene in che condizioni il genio Tony Stark ha costruito la sua Mark I, la prima armatura di Iron Man.

Grazie a un concept inutilizzato condiviso su Instagram da Ryan Meinerding, possiamo ammirare una versione alternativa dell’armatura che ha permesso a Stark di fuggire dalla sua prigione.

Il prossimo film in cui vedremo all’opera Tony Stark è Avengers Infinity War.

Avengers Infinity War: il primo teaser dal Comic Con [LEAK]

La sinossi: Mentre gli Avengers continuano a proteggere il mondo da minacce troppo grandi per un solo eroe, un nuovo pericolo emerge dalle ombre cosmiche: Thanos. Despota di intergalattica scelleratezza, il suo scopo è raccogliere le sei gemme dell’Infinito, artefatti di un potere sconfinato, e usarle per piegare la realtà a tutto il suo volere. Tutto quello per cui gli Avengers hanno combattuto ha condotto a questo punto – il destino della Terra e l’esistenza stessa non sono mai state tanto a rischio.

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Avengers Infinity War: 15 villain che potrebbero venire dopo

Avengers Infinity War arriverà al cinema il 4 Maggio 2018. Christopher Markus e Stephen McFeely si occuperanno della sceneggiatura del film, mentre la regia è affidata a Anthony e Joe Russo.

Il cast del film al momento è composto da Cobie Smulders, Benedict Cumberbatch, Chris Pratt, Vin Diesel, Scarlett Johansson, Dave Bautista, Karen Gillan, Zoe Saldana, Brie Larson, Elizabeth Olsen, Robert Downey Jr., Sebastian Stan, Chris Hemsworth, Chris Evans, Tom Holland, Bradley Cooper, Samuel L. Jacksson, Jeremy Renner, Paul Rudd, Peter Dinklage, Mark Ruffalo, Josh Brolin, Paul Bettany, Benedict Wong, Pom Klementieff e Chadwick Boseman.

Venezia 74: il red carpet d’apertura, con Matt Damon e Alexander Payne

Ecco le foto dal red carpet d’apertura di Venezia 74. Ospiti d’onore Alexander Payne e Matt Damon, che hanno presentato Downsizing.

Foto di Aurora Leone.

Il Festival di Venezia 2017 si svolge al Lido dal 30 agosto al 9 settembre.

Segui il nostro speciale di Venezia 74

Daniel Craig e la promessa alla moglie: meno scene d’azione

Daniel Craig e la promessa alla moglie: meno scene d’azione

Niente più scene pericolose per Daniel Craig. Pochi giorni dopo aver confermato il suo ritorno nei panni di James Bond, l’attore inglese ha annunciato che abbandonerà gli spericolati stunts degli ultimi film, per lasciarli agli stuntmen professionisti. Per sua stessa ammissione, il fattore determinante è stato la volontà della moglie, l’attrice Rachel Weisz, preoccupata per i pericoli incorsi dal marito sul set.

Craig, 49 anni, ha interpretato l’agente speciale 007 negli ultimi quattro film della saga. Ha cominciato nel 2006 con Casino Royale, adattamento del primo romanzo di Ian Fleming, per poi proseguire con Quantum of Solace (2008), Skyfall (2012) e Spectre (2015).

Nove anni di Bond, però, hanno lasciato il segno. Daniel Craig è uno dei pochi attori che non ricorre mai a controfigure per le scene d’azione. In questo club è in buona compagnia (Jason Statham, Tom Cruise, Matt Damon) ma è in assoluto il primo fra i James Bond. “Con Sean Connery, a meno che non lo vedessi in faccia era una controfigura” ha raccontato Gary Powell, coordinatore degli stuntmen in Quantum of Solace e Casino Royale. “Daniel invece pensa: “state pagando per vedere me, ed eccomi qua”. Vuole che il pubblico lo sappia.”

L’amore per il realismo ha avuto le sue conseguenze. Come raccontava lo stesso Craig due anni fa al Graham Norton Show, “sul set di Spectre mi sono infortunato al ginocchio e mi hanno dovuto operare, mi hanno ricostruito la spalla destra e operato all’altro ginocchio, e poi mi sono fatto male al pollice.”

Questi infortuni però sono solo gli ultimi di una lunga serie. I dolori sono cominciati nel 2005, quando Craig si è rotto due denti filmando il primo stunt di Casino Royale. Il danno era così grave che il suo dentista ha dovuto prendere un volo da Londra per incapsulargli i denti.

A questo hanno fatto seguito una serie di infortuni sul set di Quantum of Solace, nel 2008, inclusa una botta al volto che ha richiesto l’intervento di un chirurgo plastico. Si è anche tagliato la falange di un dito, distorto un muscolo della spalla e incrinato delle costole.

I due infortuni al ginocchio sul set di Spectre sono stati la ciliegina sulla torta. I produttori hanno pensato di fermare le riprese per sei mesi, ma Craig ha insistito per tornare sul set dopo due settimane.

Per questa ragione, quando il marito ha accettato di vestire i panni di 007 per la quinta volta (numero che lo mette alla pari con Sean Connery, ma dietro Roger Moore) Rachel Weisz gli ha chiesto di lasciar fare agli stuntmen. Soprattutto considerando il recente infortunio di Tom Cruise sul set di Mission Impossible 6.
Il titolo provvisorio del film è Shatterhand, e sarà basato sul romanzo del 2001 Never Dream of Dying, scritto da Raymond Benson. Benson è autore di tre romanzi di Bond, adattamenti di altrettanti film, ma questo è il suo primo romanzo a fare il percorso inverso.

C’è ancora incertezza, invece, sul nome del regista. Gli ultimi due film, diretti da Sam Mendes, hanno incassato complessivamente 2 miliardi di dollari.

Bond 25 arriverà al cinema l’8 novembre 2019.

 

 

Dunkirk: dal 31 agosto al cinema il film di Christopher Nolan

Dunkirk: dal 31 agosto al cinema il film di Christopher Nolan

Arriva oggi in sala Dunkirk, il nuovo film di Christopher Nolan che racconta l’evacuazione della famosa spiaggia francese, durante la Seconda Guerra Mondiale.

Guarda il trailer di Dunkirk

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La Warner Bros. Pictures distribuirà in tutto il mondo il film il 21 Luglio 2017. Nel cast del film sono confermati Mark Rylance, Kenneth Branagh, Fionn Whitehead, Harry Styles, Cillian Murphy e Tom Hardy.

Dunkirk sarà ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, e si concentrerà sulla cronaca dell’evacuazione di Dunkerque nel 1940, nota anche come Operazione Dynamo. La Warner Bros. Pictures distribuirà in tutto il mondo il film il 21 Luglio 2017, il 31 agosto in Italia. L’evacuazione si svolse dal 27 maggio al 4 giugno: truppe francesi, inglesi e belghe erano rimaste circondate dalle forze tedesche. Circa un milione di soldati. Alla fine dell’operazione se ne salvarono 330 mila grazie alla fuga via mare verso la Gran Bretagna.

Dunkirk, recensione del film di Christopher Nolan

Venezia 74: oggi in concorso First Reformed di Paul Schrader

Venezia 74: oggi in concorso First Reformed di Paul Schrader

Oggi è anche il gran giorno di che presenta Paul Schrader in concorso a Venezia 74 First Reformed che vede protagonisti Amanda Seyfried e Ethan Hawke

First Reformed racconta di  di un ex cappellano militare (Ethan Hawke) che, dopo aver perso suo figlio, ama una donna (Amanda Seyfried) che soffre anche dalla perdita del marito. La sua vita da cappellano però lo porta a covare sospetti sugli affari della chiesa fino ad arrivare in profondità e conoscere i segreti nascosti della complicità della sua chiesa con le corporazioni non etiche”

Venezia 74: Zama di Lucrecia Martel

Sarà presentato invece fuori concorso oggi Zama della regista argentina Lucrecia Martel che vede protagonisti tratto dal romanzo di Antonio Di Benedetto.

Il film racconta quello che accade a Don Diego de Zama (Daniel Giménez Cacho), un impiegato del governo che rimane bloccato in Paraguay, distante dalla sua famiglia. Con il passare del tempo l’uomo diventa sempre più violento e frustrato.

Venezia 74: oggi The Shape of Water di Guillermo del Toro

Venezia 74: oggi The Shape of Water di Guillermo del Toro

Sarà presentato in concorso oggi The Shape of Water, il nuovo film del visionario Guillermo del Toro con protagonisti Sally Hawkins e Michael Shannon.

The Shape of Water: trailer del film di Guillermo del Toro

“È un dramma ambientato nel 1963, non è un film di fantascienza, non è un film di genere ma io interpreto comunque una creatura. Sono una specie di pesce umano, un enigma, nessuno da dove vengo, sono l’ultimo della mia specie quindi è come se fossi un’anomalia naturale. Sono stato studiato e testato in una struttura governativa degli USA nel 1963, quindi durante la Guerra Fredda con la Russia, la corsa allo spazio, quindi c’è tutto un background da raccontare. Sono stato testato per cercare di misurare che tipo di potenzialità potevo avere contro il nemico, per usarmi come vantaggio militare o per i viaggi nello spazio, o per la tecnologia. Possiamo usarlo a favore degli umani? Quindi provano a tenermi segreto dai Russi.”

Una storia d’amore al centro di The Shape of Water

Il cast di The Shape of Water include Sally Hawkins (Blue JasmineHappy-Go-Lucky), il candidato all’Oscar Michael Shannon (Revolutionary Road99 Homes), il candidato all’Oscar Richard Jenkins (The Visitor, Olive Kitteridge), Doug Jones (Crimson PeakHellboy), il candidato al Golden Globe Michael Stuhlbarg (A Serious ManSteve Jobs) e la vincitrice dell’Oscar Octavia Spencer (The HelpGifted).

Downsizing: recensione del film con Matt Damon #Venezia74

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Downsizing: recensione del film con Matt Damon #Venezia74

A quattro anni dal brillante e toccante Nebraska, Alexander Payne torna a portare sul grande schermo la sua penna leggera in grado di fotografare la realtà e trattarla con un punto di vista distaccato ma attento e sensibile; lo fa con Downsizing, film scelto dalla commissione di Alberto Barbera per aprire la 74° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. All’apparenza, Payne sconfina nella fantascienza, allontanandosi dai suoi temi relativi all’analisi lucida ma mai cinica della società americana. Tuttavia, avvicinandoci alla storia dalle premesse inevitabilmente sci-fi, ci accorgiamo che il regista di Paradiso Amaro ha trovato un modo alternativo per continuare a parlare dell’umanità.

In un ipotetico futuro, uno scienziato norvegese scopre un processo che permette di miniaturizzare gli esseri viventi. Tale tecnica, applicata alle persone, potrebbe produrre degli effetti straordinari sull’ambiente, sulla tutela e sulla salvaguardia del Pianeta Terra. La scoperta prende così piede e dopo circa dieci anni è possibile, per chiunque lo voglia, avviare il processo di miniaturizzazione irreversibile che permetterà alle persone di trasferirsi in comunità adibite appositamente per questi “minuscoli”. Paul, un cittadino medio, con una vita media, decide di realizzare la pratica su se stesso, ma quando sul più bello la moglie lo abbandona, rinunciando a farsi miniaturizzare, l’uomo rimane solo, nella sua nuova dimensione, e deve cominciare tutto dall’inizio. Qualche incontro fortuito gli offrirà un nuovo punto di vista e lo porrà in maniera diversa rispetto al mondo.

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Downsizing – la recensione

Il racconto di Payne si compone di diversi elementi: dalla trama fantascientifica di base partono le ramificazioni che ci portano a riflettere sull’inquinamento, sull’utilizzo della tecnologia, sul “semplice” scorrere della vita e sulla canonica (ma neanche troppo) storia d’amore. Matt Damon riesce con convinzione a interpretare l’uomo medio che, sebbene si sforzi di cercare un senso più alto alla sua sorte, rimane nella sua giusta mediocrità, svolgendo il suo compito con precisione, fondamentalmente spinto da uno spirito più integro e forte, che però non è il suo. Payne si avvale di uno stuolo di attori famosi e amati, che utilizza sorprendentemente in piccolissimi ruoli, a partire da Margo Martindale, irriconoscibile nella sua “dimensione”, passanto per Laura Dern, Neil Patrick Harris e Jason Sudeikis, fino a Christoph Waltz, unico volto famoso (Damon a parte) ad avere un ruolo più corposo ma da perfetta macchietta.

Scoperta del film è senza dubbio l’energica Hong Chau, nei panni di una dissidente vietnamita che sconvolge gli ordini mentali del protagonista. L’atipica co-protagonista diventa quindi una donna che, in un film “normale”, sarebbe stata relegata al ruolo di comprimaria e che invece Payne ha il coraggio di trasformare in personaggio femminile di rilievo, efficace e importante per lo sviluppo del protagonista. L’idea brillante iniziale di Downsizing si annacqua con lo scorrere dei minuti e l’aggiunta di diverse trame e strati che forse spostano troppo verso il realismo l’originale surrealismo del presupposto. Si conserva, anzi si accentua, invece, il doppio registro tragicomico. Lo humor sottile e costante si dipana lungo tutta la storia, aiutando lo spettatore a digerire il lungo pasto, purtroppo mancante di sale.

 

The Devil and Father Amorth: recensione del doc di William Friedkin

Oltre quaranta anni dopo la realizzazione del suo film più famoso, L’Esorcista (1973), William Friedkin si interroga, usando il linguaggio del documentario e del diario filmato, su quel tema che aveva affrontato in maniera istintiva e senza la preparazione culturale ed emotiva che a suo stesso avviso avrebbe richiesto: il risultato è The Devil and Father Amorth.

Per indagare sceglie di seguire una vera superstar della lotta al demonio, ovvero Padre Gabriele Amorth, esorcista del Vaticano e della Diocesi di Roma da trentacinque anni. Lo segue durante i rituali di uno dei suoi ultimi casi, una ragazza arrivata al ragguardevole traguardo del nono esorcismo.

L’Esorcista è un vero e proprio capolavoro, sia per gli amanti dell’horror che per un pubblico più evoluto, alla ricerca di contenuti, riflessioni e sguardo d’autore. Ha aperto la strada a un genere del tutto particolare, incentrato sulla possessione diabolica e sulla lotta al maligno. A detta di Friedkin, lo stesso padre Amorth si complimentò con lui, dicendogli che fosse il suo film preferito e ringraziandolo per aver contribuito a far conoscere e permettere di comprendere il suo delicato lavoro. Allo stesso tempo però lo rimproverò per aver calcato un po’ troppo la mano con effetti speciali esagerati e situazioni alquanto impressionanti.

Afferma il regista, che prima di girare il film, non aveva mai assistito a un vero esorcismo e non ne sapeva assolutamente nulla, come del resto Bill Blatty che scrisse il romanzo e la sceneggiatura. All’epoca non esisteva una documentazione adeguata, non c’erano libri e quel poco che si poteva reperire era totalmente irreale o inventato in maniera esagerata.

Dopo aver studiato e meditato per tanti anni su quel tema Friedkin decise di voler continuare a indagare con il mezzo cinematografico, ma tralasciando ogni forma di narrazione costruita o di messinscena. Così contattò un amico teologo chiedendogli se fosse stato possibile incontrare Padre Amorth. Il sacerdote non solo acconsentì, ma lo autorizzò a seguirlo e a filmare un suo esorcismo. La sola condizione fu che non ci fosse troupe e luci, in modo da non interferire e non disturbare durante il delicato rituale.

The Devil and Father Amorth, il film

The Devil and Father Amorth è la testimonianza di quell’esorcismo, celebrato in occasione del novantunesimo compleanno di Padre Amorth, poi venuto a mancare nei mesi successivi. Le riprese effettuate in quella giornata sono poi state sapientemente integrate con interviste a medici, psichiatri e religiosi, in modo da avere diversi commenti e punti di vista su quanto accaduto. Friedkin sostiene di aver vissuto e documentato un’ esperienza sconvolgente, che il film da lui realizzato è un viaggio esplorativo e la chiusura di un cerchio iniziato più di quarantacinque anni fa.

Tuttavia si avverte troppa enfasi nella narrazione di Friedkin, sempre condotta in prima persona, ponendosi davanti alla macchina da presa, anche quando per necessità si cala nel ruolo di videomaker. In molti casi racconta la sua esperienza su quegli stessi luoghi reali dove girò L’Esorcista. Quando si affida solamente alle parole per descrivere accadimenti a suo dire terribili, per cause fortuite viene a mancare il materiale video, cosa che purtroppo lascia intendere che la sua possa essere suggestione.

La cittadina di Alatri, dove vive Sabrina, la posseduta che viene sottoposta ai ripetuti esorcismi, viene descritta come una sorta di borgo sperduto chissà dove, una sorta di roccaforte del male rimasta isolata nel tempo, dove per raggiungere la chiesa è necessario inerpicarsi per un’ora e mezza. Nonostante si tratti di un documentario si avverte purtroppo una costruzione tipica di determinati meccanismi di genere, quando non si cade in veri e propri luoghi comuni.

Certo, Friedkin è comunque un narratore navigato e il film cattura, incuriosisce, ma non mostra o racconta nulla di così convincente da divenire un documento importante, né dal punto di vista antropologico o psichiatrico, né tantomeno da quello religioso. Con questo non si vuole assolutamente mettere in dubbio l’autenticità di fatti o persone, ma non si avverte dalle riprese quella forza sovrumana che il posseduto dicono abbia, non si sente una voce o un suono che le corde vocali del soggetto non sia in grado di emettere, non si ascoltano lingue incomprensibili. Si percepisce però una grande fede, si avverte la lotta eterna tra bene e male, la volontà di non alimentare e combattere senza indugio ciò che viene avvertito come malefico.

Forse l’aspetto più interessante e toccante è il dibattere tra scienza e fede, mettendo a confronto le due posizioni opposte, ma inaspettatamente aperte l’una nei confronti dell’altra. Spiazzante è la testimonianza del Vescovo di L.A., che con grande umanità confessa che non potrebbe mai celebrare un esorcismo, per la troppa paura; dice che per fare una cosa simile c’è bisogno di una fede fortissima,  di una forza di spirito non comune, che lui non sente di avere.

Nico, 1988: recensione del film di Susanna Nicchiarelli

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Nico, 1988: recensione del film di Susanna Nicchiarelli

Apre con una storia di musica e dolore la sezione Orizzonti di Venezia 74; il film è Nico, 1988 e alla regia c’è l’italiana Susanna Nicchiarelli, che torna dietro la macchina da presa dopo tre anni, e lo fa con coraggio e bellezza.

Il film racconta di Christa Päffgen, in arte Nico. Musa di Warhol, cantante dei Velvet Underground e donna dalla bellezza leggendaria, Nico vive una seconda vita dopo la storia che tutti conoscono, quando inizia la sua carriera da solista. La sua musica è tra le più originali degli anni ‘70 e ‘80 ed ha influenzato tutta la produzione musicale successiva. Ambientato tra Parigi, Praga, Norimberga, Manchester, la Polonia e Anzio, il film è un atipico road movie che racconta gli ultimi due anni di vita della donna che riesce finalmente a dismettere i panni di mito e icona e a indossare quelli sgualciti di musicista e quelli mai indossati di madre del figlio dimenticato.

Nico, 1988 – biopic su Christa Päffgen

La Nicchiarelli utilizza un linguaggio privo di fronzoli, delicato eppure diretto, che mostra la forza della donna che non rinuncia all’essere madre dopo aver davvero capito il valore di questo particolare legame che la lega ad Ari, unico figlio che ha abbandonato da piccolo, perché incapace a fare la madre. La “sacerdotessa delle tenebre” insiste a voler portare l’attenzione su se stessa, durante il suo ultimo tour, mentre il pubblico e la stampa continuano a trascinarla indietro, negli anni ’70, a quando era intrappolata, per sua stessa ammissione, nella sua bellezza che le valse i favori di Warhol.

Senza farsi cronistoria (alcuni eventi sono stati modificati per rispettare la privacy dei coinvolti), né apologia (la donna è mostrata in tutte le sue numerose debolezze e nei suoi vizi), il film illustra con tocco leggero la storia di una vita che si spoglia della sua eccezionalità e diventa rincorsa di un rapporto normale (quello tra madre e figlio) in un contesto politico sociale ostile, quello europeo di metà anni ’80. A un passo dalla serenità cercata e conquistata, Christa Päffgen trova a Ibiza il suo piccolo angolo di paradiso, ma trova anche la sua fine, che l’ha consegnata alla storia della cultura pop, e da oggi ricordata anche dal cinema.

Thor Ragnarok: il trattamento SWEDED per il trailer

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Thor Ragnarok: il trattamento SWEDED per il trailer

Ecco una “nuova” versione del trailer di Thor Ragnarok, in cui il video ha subìto il trattamento SWEDED , ovvero è stato realizzato nello stesso stile utilizzato dai protagonisti del film di Michel Gondry, Be Kind Rewind

Ecco il video:

Thor Ragnarok – il trailer italiano

Thor Ragnarok è diretto da Taika Waititi. Nel cast del film Chris Hemsworth sarà ancora Thor; Tom Hiddleston il fratello adottivo di Thor, Loki; Il vincitore del Golden Globe e Screen Actors Guild Award Idris Elba sarà la sentinella di Asgard, Heimdall; il premio Oscar Sir Anthony Hopkins interpreterà nuovamente Odino, signore di Asgard.

Nelle new entry invece si annoverano il premio Oscar Cate Blanchett (Blue Jasmine, Cenerentola) nei panni del misterioso e potente nuovo cattivo Hela, Jeff Goldblum (Jurassic Park, Independence Day: Resurgence), che sarà l’eccentrico Grandmaster, Tessa Thompson (Creed, Selma) interpreterà Valkyria, mentre Karl Urban (Star Trek, il Signore degli Anelli: il ritorno del re) aggiungerà la sua forza nella mischia come Skurge. Marvel ha anche confermato che Mark Ruffalo riprenderà il suo ruolo di Bruce Banner / Hulk nel sequel. La data d’uscita è prevista per il 3 novembre 2017.

La trama di Thor Ragnarok – “In Marvel Studios’ Thor Ragnarok, Thor è imprigionato dall’altro lato dell’universo senza il suo formidabile martello e si trova in una corsa contro il tempo per tornare a Asgard per fermare il Ragnarok, la distruzione della sua casa e la fine della civiltà asgardiana, dalle mani di una nuova e potente minaccia, la spietata Hela. Ma prima deve sopravvivere a una mortale lotta tra gladiatori che lo metterà contro uno dei suoi amici Avengers, l’incredibile Hulk.

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Venezia 74, giorni 1 e 2: fatti due calcoli

Venezia 74, giorni 1 e 2: fatti due calcoli

Bentrovati, sacchi di mucillaggine. Quest’estate ho fatto delle cose gravissime, tipo postare un paio di foto di me in costume sulla spiaggia e andare in fissa per Sarahah per ben tre giorni. Sono evidenti segni di scarsa professionalità ed egocentrismo, e quindi dovevo espiare.

Infatti, poco prima di partire, ed esattamente giovedì sera, dopo una giornata che se ve la dico non ce credete quindi faccio prima a riservarla per quando devo scrivere un racconto horror, ho avuto una violentissima colica renale, causata da due calcoli piccoli ma cattivi come l’Inferno, con conseguente visita al pronto soccorso e stop di due giorni che in realtà nemmeno mi è dispiaciuto, almeno i bagagli me li sono fatti con calma, una volta tanto.

Questo per dirvi che se improvvisamente durante una proiezione sentite qualcuno che guaisce non allarmatevi, non è un modo codificato prima di urlare ‘Allah Ackbar!’ prima di farvi saltare in aria, e nemmeno il Diavolo che possiede qualcuno come nel documentario di William Friedkin The Devil and Father Amorth, presentato oggi fuori concorso, sono io che ululo, chiamate solo l’ambulanza o almeno preparate un colpo letale così smetto di soffrire.

Ovviamente devo bere tantissimo – acqua, non Spritz, purtroppo. E a tal proposito vedete de non rompe er cazzo con i vostri ‘ma dai, un sorso non può farti male’ che già mi rode il culo abbastanza così – e la cosa più preoccupante sarà trovare il tempo per pisciare tra un film e una conferenza. Stavo pensando di farmi assegnare tutte le proiezioni della Sala Volpi e pisciare direttamente lì per terra, tanto puzza di marcio da sempre e nessuno se ne accorgerebbe. Come se non bastasse, ho l’ansia che i dolori ritornino, a ogni minima avvisaglia salto come se ci fosse Pennywise alle mie calcagna, quindi non preoccupatevi nemmeno se rispondo ‘Oh Cristo Aiuto!’ se mi chiedete l’ora.

La prima sera c’è solo un film di Lubitsch in edizione restaurata, un raffinato lavoro di altissimo valore intellettuale e morale, che non si è inculato nessuno, tutti troppo impegnati ad andare a mignotte per celebrare l’apertura o a strafogarsi di sgroppini e baccalà mantecati, anche insieme, tanto le papille gustative dei critici sono devastate da anni di dipendenza dal Maalox e ormai non si fa più caso a cose frivole come l’equilibrio dei sapori.

monumento al Gran Cazzo Che Me Ne Frega

Comunque, come inizio nemmeno male: il treno porta incredibilmente solo cinquanta minuti di ritardo. Noi siamo Vip e arriviamo tutti in Lancia. La città ci accoglie con un meraviglioso monumento al Gran Cazzo Che Me Ne Frega nella sua dorata e sbrilluccicante estensione, che useremo come stampo per la foggia del premio d’analogo nome che diamo a fine Festival. Nonostante cotanta onoreficenza, il tassista acquatico non possiede il pass per farci giungere in zona Casinò, dove si ritirano gli accrediti. Noi sì, ma siccome andare a nuoto negli acquitrinosi canali lidensi non è una grande idea siamo costretti ad arrampicarci su un dirupo pieno di sterpaglie con tanto di bagagli a carico, uscendo direttamente da un tombino come Indy ne L’ultima crociata.

Lì era a San Barnaba, ma sempre di Venezia si tratta. E meno male che il dottore s’è raccomandato ‘non strapazzarti troppo’. Preso possesso della casa è già tempo di accrediti e di constatare che i pluriennali petaloni rossi che adornavano il red carpet e il Palazzo del Cinema e avevano effettivamente scassato la minchia hanno lasciato spazio a una nuova brillante scenografia di pareti bianche e lampadari lucenti, che pare sostanzialmente un’esposizione di mobili Brianza dietro a Ikea sull’Anagnina.

La prima sera se ne passa tra una spaghettata alcoolica e una fintamente alcoolica, con me che, mio malgrado, mi faccio riempire il bicchiere una volta sola fingendo di attingervi per non cadere in tentazione, che io lo so, come funziona. Svuoti e riempiono, e da lì a evocare la colica il passo è breve. Perfino il nome del regista che apre Ufficialmente le proiezioni, Alexander Payne, mi suona come ‘Pain’ e dunque come tristo presagio. Il film, sebbene parta da un assunto che pare una cazzata gargantuesca, è in realtà l’esatto contrario.

In primis perché è una storia di gente che vive in un mondo dove la scienza ha scoperto come rimpicciolire l’umanità affinché rompa meno il cazzo. Poi perché tutto sommato non è male. Almeno per i primi quaranta minuti, poi si perde in una serie di smielati sentimentalismi tra Matt Damon e un’ignota signora vietnamita che alzano parecchio il livello di zuccheri, giusto per chi si era lamentato che La La Land era troppo sdolcinato.

Tornando invece al documentario di Friedkin, è una cazzata gargantuesca e basta. Anzi, diabolica. Che diciamocelo, esiste solo perché lui ha diretto L’Esorcista, e fargli fare un doc sugli esorcismi veri fa ridere.

Qualsiasi altro regista, compreso Spielberg, l’avrebbero mandato affanculo con tutte le scarpe a lui e al Diavolo. O al Diavolo con tutte le scarpe e a lui affanculo, scegliete voi. L’opera segue le vicissitudini di un’architetta di Alatri che non riesce a lavorare a causa della possessione diabolica, che in effetti, per un architetto, deve essere una cosa seccante. Tu sei lì tranquillo a fare i tuoi progetti e di punto in bianco inizi a contorcerti e bestemmiare. Le testimonianze a inizio film riportano scene spaventose di pance che si gonfiano fin quasi a scoppiare, voci orripilanti che parlano lingue sconosciute e volti che si deformano fino ad assumere tratti animaleschi.

Poi però, quando s’arriva al dunque, non si vede niente di tutto questo. Solo una povera crista che soffre tanto e si dimena – e questo mi dispiace – ma io l’altra sera con le coliche facevo peggio, anche in termini di bestemmie. La voce ha lo stesso effetto che aveva il mio cantante del gruppo del liceo quando facevamo le cover dei Cradle of Filth.

Con questo non intendo insinuare che sia stata ritoccata in post-produzione, solo che probabilmente il Diavolo ama il grind metal, cosa tra l’altro abbastanza comprensibile. Poi c’è una parte palesemente inventata – guarda caso non sono disponibili testimonianze video – in cui Friedkin racconta di come la poraccia abbia cominciato a strisciare e svolazzare nel perimetro di una chiesa minacciandolo di morte. Tranquilli, è la parte più bella. Grandi risate e applausi a scena aperta. È risaputo che il Diavolo non fa i coperchi ma stavolta, pure per le pentole, era meglio che chiamavate Mastrota.

Ang

la lancia deluxe

Il mio sbarco al Lido è stato, ehm, sobrio: il treno portava ritardo, che in condizioni normali già ti sanguinano occhi mentre guardi il tabellone, figuriamoci su un binario invaso dai tuoi bagagli manco dovessi andare in tour con Brosio per le capitali cattoliche.

In più avevo uno zaino che se perdi il baricentro te rovescia come una tartaruga (poi voglio vedè chi me gira), per cui ero anche un’arma pericolosissima se decidevo di voltarmi potevo far fuori chiunque senza il culo che se sta a fa Kim Jong-un co sti cazzo de missili. Così in preda al panico, in una situazione diciamo pericolosa, decido che è meglio che me levo da sto binario e mi butto su un primo Italo in partenza.

Da qui, diciamo che è tutto abbastanza discesa: considerando la mia settimana demmerda si vede che il karma si è guardato allo specchio, si è sputato in faccia e ha deciso di fare qualcosa di socialmente utile (tipo non infierire sulla Pettinato) perché riusciamo miracolosamente a essere ospiti su una lancia Deluxe e arrivare comodamente a destinazione. Per tutto il viaggio siamo stati umili e discreti come una performance di Beyoncé, che tra un po’ tiravo un calcioinculo al tizio della lancia e me mettevo al timone per farmi un selfie in mezzo al canale.

Man on Wire, Venezia Edition

Sì, perché quest’anno siamo ancora de selfie, ma ve lo racconteremo più in là, no spoiler. Sbarco traumatico con un fantastico tentativo di farci scendere su una passerella minuscola (che già me vedevo tipo ‘man on wire’, novella Petit col bilanciere per non fare un bagno nella melma, poi ovviamente nella mia versione cinematografica cadevo e morivo con dignità abbracciando la valigia con i miei vestiti, come metafora dell’attaccamento dell’uomo alle cose materiali). Ultimo aneddoto da raccontarvi: l’ospitalità è sempre unamerda, tranquilli.

Ieri mentre facevamo una serena e mite spaghettata verso le 21,45, ora in cui a Roma sei indecisa ancora se metterti le scarpe col tacco a spillo o più comodi plateau per annà a fa aperitivo, la vecchia del piano di sopra si affaccia e ce cazzia con la seguente motivazione: ‘ho sentito che ridevate’. Mo me spiego tante cose, tipo perché qua glie rode sempre il culo. Che tu chiedi una minima informazione e anche se non sanno invece di dirti un onesto, sincero, ‘boh’ comunque te devono imbruttì. Per loro ridere deve esse ‘na brutta cosa, tipo una sciagura, se ridi te arriva un’ondata de zanzare tigre dal canale e te gonfia come una zampogna. Forse gliel’hanno insegnato da piccoli.

Ma a noi ce piace ride, quindi daje de Autan, almeno fino a quando la signora non ci rovescerà le proprie analisi delle urine dal balcone. In chiusura novità veloci veloci: Il lido è sempre il solito posto inospitale, dicevamo. Allo Spazio Universal non fanno più lo spritz con l’olivetta e non ti danno manco le patatine (rimedieremo presto con una raccolta di firme) I petali del red non ci sono più. Quest’anno palle. Che di sera, dicono, si colorano di mille luci trasformando il mobilificio Brianza in un carosello di magia. Verificheremo. Ieri eravamo troppo ubriachi.  Sarà un rebus? Le soluzioni nel prossimo numero del blog.

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