Twitt dal Festival, 140 caratteri
istantanei per le opinioni a caldo del nostro collega e
collaboratore Prof. Marco
Stancatiche ci indirizzeranno il pubblico verso
i titoli di maggir richiamo. Oggi è il giorno di due
titolo, WHO IS Dayani Cristal? e SORROW AND JOY..
#Romaff8,
WHO IS Dayani Cristal? Centro America – USA: un’altra immigrazione,
un’altra Lampedusa, un’altra repressione. E morti senza fine.
#Romaff8,
SORROW AND JOY. Regista in carriera e moglie psicotica: amore così
forte da superare un dramma sconvolgente. E sarà l’ultimo film.
Vi ricordiamo che le opinioni dell’esperto in comunicazione
Marco Stancati si possono anche leggere sul suo
profilo Twitter.
Presentato Fuori Concorso al
Festival Internazionale del Film di Roma, Il Venditore
di Medicine di Antonio Morabito è un film che
attraverso le vicende fittizie di Bruno risalta uno spaccato di
vita italiano ben noto ma poco approfondito dal mondo
cinematografico. Difatti viene portata in scena più che un episodio
di “mala sanità”, un vero e proprio sistema contraddistinto
dal mero baratto, che non riguarda le sale operatorie ma piuttosto
illustra ciò che lega le case farmaceutiche e i medici. Seppur i
personaggi e i luoghi siano fittizi, nella storia è evidente
l’impronta documentaristica con cui viene sviluppata e intrecciata
la storia di Bruno. Egli è interpretato da un bravo
Claudio Santamaria, la cui funzione principale è di stare
sulla soglia di questo mondo e indirizzare lo sguardo dello
spettatore.
In Il venditore di
medicine Bruno è un informatore medico. La sua azienda, la
Zafer, sta vivendo un momento difficile. Pur di non perdere il suo
posto di lavoro, Bruno è disposto a corrompere medici, a ingannare
colleghi, a tradire la fiducia delle persone a lui più vicine. E se
alcuni dottori si rifiutano di prestarsi a questo gioco, molti di
loro non si sottraggono affatto.
Il venditore di medicine, il film
Quando indossa il suo completo e la
valigetta con i campioni omaggio, viene rappresentata l’intenzione
della sceneggiatura di fare luce in questo mondo. Quindi,
assistiamo Bruno nella sua giornata tipo, portando in rilievo un
mondo fatto di medici-regine e di primari-squali il cui pregio più
rilevante è di essere corrotti e amorali. In queste scene lo
vediamo sfoderare le sue doti di “venditore” che asseconda i vezzi
e i desideri dei dottori che parlano di “piazzare” prodotti o
“spingere” determinati medicinali. Nell’altro aspetto, quello
fittizio, assistiamo alla sua vita familiare; preoccupato di un
amico malato e di sua moglie, che gli mostrano il contraddittorio
della sua doppia vita e come questo lavoro lo ha reso un uomo
disposto a tutto per mantenersi un lavoro che lo porta ad assumere
pillole per l’ansia per placare i suoi dubbi di coscienza.
Sarà proprio questa sfera a frenare
un potenziale thriller; poiché seppure la vicenda sia lineare e ben
dettagliata con i suoi gerghi e i suoi intrallazzi, tiene comunque
lo spettatore lontano, fuori dal disincanto della storia facendo
risultare di troppo le vicende private che portano il bilanciamento
nella storia senza aggiungere nulla di nuovo; mentre invece sarebbe
stato interessante seguire altri percorsi narrativi, come quelli
del Dr. Sebba (Ignazio Oliva), che potevano
esaurire il quadro narrativo.
Il venditore di
medicine è un buon film che porta una storia inedita nella
nostra cinematografia ma che perde nella seconda parte tutta la
tensione ben costruita nella prima. Il regista riesce comunque a
far passare le vicende sulle multinazionali farmaceutiche e sul
vero costo della salute, reso un semplice prodotto
“commerciale”.
Quasi tutto il cast al completo è
arrivato al Festival del Film di Roma per
presentare in conferenza stampa il film Song’e
Napule dei Manetti Bros.
Antonio e Marco Manetti,
Giampaolo Morelli, Alessandro Roja, Serena Rossi e Paolo
Sassanelli hanno divertito la sala stampa con la loro
goliardia e genuinità trasmessa anche nel film.
Prima di iniziare è stato dedicato
un doveroso applauso al produttore Luciano Martini
che voleva a tutti i costi che Song’e Napule venisse realizzato, e
così è stato prima della sua scomparsa : “Luciano ha fortemente
voluto questo film.” commenta Antonio Manetti del duo di
registi romani. “Siamo orgogliosi di aver fatto
l’ultimo film di Luciano Martini e si può dire che questo film è
più suo che nostro.”.
Giampaolo Morelli
spiega poi come gli è venuta l’idea del film : “A me piace molto
questo genere e io vengo dal’Arenella, un quartiere di Napoli che
si trova diciamo nel mezzo. Mi intrigava l’idea di mettere un
napoletano borghese in mezzo ad un tessuto sociale più popolare –
il personaggio di Paco – e cosa c’è di più popolare del neo
melodico? Volevo fortemente raccontare di questo mondo
fatto di videoclip pieni di cuori e sentimenti e soprattutto
sfatare il mito dei cantanti neo melodici che vanno a braccetto con
la camorra. Ma soprattutto volevo mostrare Napoli ai Manetti Bros,
perchè secondo me la vedevano nello stesso modo in cui la vedevo io
e così è stato. Diciamo che non la sentivo rappresentata a
dovere dai film degli ultimi anni come Gomorra o i film di Nanni
Loi.”
L’altro protagonista,
Alessandro Roja racconta che “questo era un
ruolo troppo succulento per lasciarmelo sfuggire, per uno come me
sempre a caccia di ruoli diversi e interessanti” , mentre
Serena Rossi, che in Song’e Napule interpreta la
sorella di Morelli, è stata contentissima di questa sua prima
esperienza cinematografica e si trova nella situazione di Roja
“visto che lui da romano ha interpretato un napoletano, io da
napoletana interpreterò una romana” nella nuova produzione di
Rugantino a teatro a fianco di Enrico Brignano.
La Santa
di Cosimo Alemà è stato presentato al
Festival Internazionale del Film di Roma 2013
nella categoria “fuori concorso”.
Quattro persone, differenti per età,
carattere, abitudini, si recano in un paesino della Puglia per
rubare la statua della santa patrona, di grande valore, convinti
che sia un gioco da ragazzi. Ci riescono, ma non hanno fatto i
conti con il paese: dopo meno di un minuto, tutti i cittadini sanno
cosa i quattro hanno rubato e che stanno scappando. Comincia la
caccia, senza pietà.
Con un cast non altisonante
(intendiamoci, parliamo di nomi), dove spicca il più giovane
Gianluca Di Gennaro e talvolta la protagonista
femminile Marianna Di Martino, La
Santa parte da un’idea interessante, sviluppando una
trama originale e riuscendo a mantenere sempre viva l’attenzione,
seguendo quattro storie distinte, visto che il gruppo si separa,
pur figlie di una stessa madre. Dentro c’è un po’ di tutto:
dall’azione alla drammaticità, ad una piccola dose di humour
“scuro”, con un tocco di noir, specie nel raccontarsi dei
personaggi.
Il furto della santa colpisce
l’animo del paese, non certo per il presunto valore economico che
dovrebbe avere, quanto per una profonda ferita nell’orgoglio, un
discorso di “principio”, doversi riprendere ciò che è proprio a
qualsiasi costo, fucili compresi. Una violenza inaspettata,
diabolica, talmente eccessiva da risultare alla fine veritiera e
una delle cose più riuscite del film.
Alemà però si rifugia troppo dentro
una citazione che pronuncia uno dei suoi attori nei minuti
iniziali: “È un film, per forza deve andare così”, riferendosi ad
un’altra pellicola, in una stravagante conversazione tra i
personaggi. Come a dire che nei film qualcosa deve succedere per
forza ed è normale che alcuni passaggi servano per arrivare ad
altri. Difficile non essere d’accordo in senso assoluto e
ragionando solo in quest’ottica è possibile giustificarli
tutto. Ma il discorso vale solo quando non se ne sente il peso.
Uscendo dallo schema, o almeno prendendolo con le molle, si tocca
con mano uno script forzato e uno svilupparsi dei personaggi che
sembra costruito ad hoc per arrivare a determinate conclusioni,
anche fini a se stesse. Così, si accelera e si frena a seconda del
momento e sembra che la frase citata sia un espediente per
giustificare e mettere le mani avanti su ciò che arriverà.
Non mancano frecciatine al mondo
religioso, a partire dal furto della santa, ma anche immagini
visuali più o meno sacre e sequenze in compagnia di suore e scuole
cattoliche.
Alemà ha creato un prodotto dove
l’azione risulta anche avvincente e mai noiosa, aiutata dalle
quattro storie che si alternano; ma si avverte il peso di una
sceneggiatura troppo indirizzata, rinchiusa dentro al concetto: “è
un film, per forza deve andare così”.
Sole a Catinelle domina il box office
con incassi stellari, seguito dalle new entry Planes e Prisoners. Ma decisamente non c’è
concorrenza.
Dopo l’exploit del primo weekend,
Sole a Catinelle conferma ovviamente
la prima posizione con un incasso altrettanto stellare. Negli
ultimi quattro giorni, il film con Checco Zalone ha incassato ben
11 milioni di euro in oltre 1000 sale, giungendo alla bellezza di
34,5 milioni di euro in appena undici giorni. E’ evidente che il
campione di incassi sarà in grado di superare i 44 milioni globali
registrati a fine corsa da Che bella giornata, con un
passaparola e un andamento impressionante in pochissimi giorni.
Neppure Avatar di James Cameron, che primeggia nella
classifica italiana dei maggiori incassi di tutti i tempi, riuscì a
incassare una cifra di questa portata in così poco tempo.
Il resto della classifica registra
risultati decisamente al di sotto per via del dominio incontrastato
di Sole a Catinelle al box office italiano. Gli altri due
gradini del podio sono occupati da due new entry. Il film della
Disney Planes apre al secondo posto con 1,4
milioni incassati in 536 copie, mentre il thriller Prisoners con Hugh Jackman esordisce
in terza posizione con 609.000 euro in circa 270 sale a
disposizione.
Cattivissimo Me 2 scende al quarto
posto con altri 531.000 euro, arrivando a quota 15,3 milioni.
Captain Phillips – Attacco in mare
aperto perde due posizioni rispetto all’esordio,
giungendo a 1,3 milioni totali con altri 402.000 euro.
Seguono altre due novità del fine
settimana. Machete Kills di Robert Rodriguez
apre al sesto posto con 360.000 euro incassati in 193 copie, mentre
la commedia romantica Questione di tempo di Richard Curtis
debutta con 345.000 euro in 218 sale disponibili.
Alle posizioni successive troviamo
pellicole in calo, ossia Ender’s Game (214.000 euro) e
La Vita di Adele (175.000 euro),
giunti rispettivamente a 928.000 euro complessivi e 1,3
milioni.
Chiude la top10 un’altra new entry.
Presentato all’ultimo Festival
di Cannes, Giovane e Bella esordisce in coda
della top10 con 156.000 euro. Il film di François Ozon è stato
lanciato in appena 62 copie, ottenendo una buona media di poco
inferiore ai tremila euro.
Si chiama come Leonardo Da
Vinci perché ha dato il primo calcio nel pancione mentre la
mamma ammirava un dipinto del celebre artista. E il nome ha portato
fortuna a Leonardo Di Caprio, che esordisce a soli 3 anni in
uno show per bambini e, dopo la gavetta in TV, nel ‘93 debutta al
cinema con De Niro in Voglia di ricominciare.
Nello stesso anno è anche il fratello handicappato di Johnny
Depp in Buon compleanno Mr. Grape, per cui si
becca le nomination al Golden Globe e all’Oscar.
Anche i personaggi successivi sono
impegnativi – vedi il tossico di Ritorno dal nulla e
il tormentato Rimbaud in Poeti dall’inferno –
per non parlare dell’eroe shakespeariano in Romeo +
Giulietta di Baz Luhrmann, con cui conquista il
Festival di Berlino e milioni di ragazze. La sua faccia monopolizza
diari e pareti, e le cose peggiorano quando nel ‘97 esce
Titanic. Jack Dawson è il re del mondo, ma anche dei
cuori delle spettatrici che assistono impotenti al tragico
epilogo.
Quanti accidenti si è presa la
povera Rose! È vero, quella zatterella bastava per tutti e due, ma
la licenza artistica dove la mettiamo? Il colossal di
Cameron lancia Leo nell’olimpo di Hollywood, eppure,
malgrado la scia del Titanic, La maschera di
ferro e The beach non fanno faville, e Di
Caprio vira verso progetti più tosti, dando il via al suo sodalizio
con Scorsese, che nel 2002 lo dirige in Gangs of New
York, per poi riconfermarlo come protagonista in The
aviator (2004), The departed (2006),
Shutter Island (2010) e l’imminente The wolf of Wall Street.
Ma Leo collabora anche con altri
registi DOC come Spielberg (Prova a
prendermi), Edward Zwick (Blood
Diamod), Ridley Scott (Nessuna
verità), Sam Mendes (Revolutionary
Road, dove torna a lavorare con la naufraga Kate
Winslet), Christopher Nolan (Inception),
Clint Eastwood (J. Edgar), e
Tarantino, che finalmente lo convince a fare il cattivo in
Django Unchained (dopo il no di Leo all’Hans Landa di
Bastardi senza gloria – p.s. Christoph Waltz
ringrazia per l’Oscar). Ultimamente lo abbiamo rivisto al servizio
di Luhrmann nelle bianche vesti di Gatsby, che si
strugge d’amore per la Daisy di Carey Mulligan; nella vita
vera, invece, frequenta una modella tedesca appena ventenne,
Toni Garnn, l’ultima di una lunga serie di top. Ci si
potrebbe organizzare un defilé con le sue ex: Gisele
Bundchen, BarRafaeli, Erin Heatherton;
magari lasciamo fuori Aretha Wilson, una modella che nel
2005 a un party gli ha tirato in testa una bottiglia rotta (= 17
punti di souvenir), ma buttiamo in passerella un’altra fiamma di
Leo, l’attrice Blake Lively (ora Mrs
Reynolds).
Ha buon gusto Di Caprio (pur
essendo vegetariano) e di certo gradirà la nostra torta. Speriamo
che ci inviti nella sua isola del Belize con gli amichetti del
cuore – Winslet, Haas, Maguire – per spegnere
le candeline (rigorosamente eco-compatibili). HAPPY BIRTHDAY
LEO!
Arrivano i primi
character poster per The Railway Man di
Jonathan Teplitzky (Gettin’ Square,
Better than Sex),film tratto dall’autobiografia di
Eric Lomax, tenente dell’esercito inglese portato
in Giappone durante la seconda guerra mondiale come prigioniero di
guerra.
La pellicola che uscirà in Australia e Regno Unito tra la fine del
2013 e inizio 2014 vede protagonisti Colin Firth, Nicole
Kidman,Stellan Skarsgard,Hiroyuki Sanada e Jeremy
Irvine.
Di seguito potete ammirare i poster
La sinossi del film: Fin
dall’infanzia Eric Lomax era appassionato di treni. Per uno scherzo
del destino, è stato catturato dai giapponesi durante la seconda
guerra mondiale e mandato in Thailandia a lavorare alla ferrovia
Burma-Siam, il progetto barbarico che ha richiesto le vite di 250
mila uomini. Lì costruii una radio per ricevere notizie sulla
guerra e in segreto disegnò una mappa della ferrovia. Per questo,
Lomax è stato sottoposto a torture e interrogatori estenuanti. In
mezzo a tutto ciò c’era Nagase Takashi. un giovane soldato
giapponese che traduceva le domande del suo aguzzino e le risposte
di Lomax. Trenta anni dopo, Lomax ha cercato il suo molestatore
giapponese, incontrandolo su una collina sul fiume Kwai. Ma il
motivo per cui Takashi voleva voleva incontrare Takashi non era la
vendetta. Era la riconciliazione.
A poche settimane
dall’uscita nei cinema USA, cresce l’attesa per vedere in sala
Oldboy di Spike
Lee,remake del classico di Park
Chan-Wook,con Josh Brolin nei panni di
Joe Doucett.
Di seguito trovate il greenband
trailer(in cui non vi sono scene di violenza esplicite) e tre nuove
clip.
Il film, remake dell’omonima
pellicola di Park Chan-wook, è diretto
da Spike Lee ed è atteso nei cinema
statunitensi il 27
novembre. Oldboy è un thriller
provocatorio e viscerale che racconta la storia di Joe Doucette, un
uomo che senza alcuna ragione apparente, viene improvvisamente
rapito e tenuto in ostaggio in completo isolamento, per vent’ anni.
Al momento del suo rilascio inaspettato, e senza alcuna
spiegazione, inizia una missione ossessiva per scoprire chi lo ha
imprigionato, anche se quel che emergerà è che il vero mistero è il
motivo della sua liberazione.
Nel remake firmato Spike Lee vedremo un
cast
comprendente gli attoriJosh
Brolin, Elizabeth Olsen, Sharlto Copley, Samuel L.
Jackson e James Ransone.
Dopo il grandissimo successo
ottenuto da
L’Evocazione – The
Conjuring(oltre 300 milioni di dollari
incassati a fronte di una spesa di soli 20), New Line Cinema ha
deciso di mettere in cantiere almeno due spin-off per il film di
James Wan.
Se su uno dei due il segreto è
ancora massimo(o più probabilmente ancora senza un preciso
soggetto),per l’altro sappiamo che John Darko e
John R. Leonetti(quest’ultimo ha fotografato, con
uno splendido lavoro,il film originale di Wan) avranno una
co-regia. Il progetto dovrebbe intitolarsi The
Annabelle Story(chiaro il rimando alla bambola
demoniaca con cui si apre l’horror originale) e sarà un prequel
rispetto alle vicende narrate nell’evocazione. Per ora non sono
stati forniti ulteriori dettagli per quanto riguarda trama, budget,
cast ma le riprese dovrebbero iniziare già il mese prossimo.
Insieme a questi spin-off, New line
sta sviluppando anche il seguito di The Conjuring sulla base di una
sceneggiatura di Chad e Carey Hayes;anche qui però
non sono disponibili altri dettagli e probabilmente non ce ne
saranno ulteriori finché James Wan non avrà terminato
Fast and Furious 7.
Arrivano altre tre grandi star di
Hollywood ad animare il red carpet del festival di Roma 2013, la
bellissima Scarlett Johansson, Joaquin
Phoenix e Rooney Mara, che insieme al
regista Spike Jonze presentano in concorso
Her (recensione).
Per tutti gli appassionati di toys
LEGO, ecco che grazie al sito The Brick Fan
oggi vi mostriamo una nuova scatola gioco che raffigura due diversi
set del film Lo Hobbit la Desolazione di
Smaug: La Battaglia di Dol
Guldur e Agguato a Dol
Guldur.
Inoltre grazie al sito theonering.net ecco
gli occhiali 3D che verranno indossati da alcuni fortunati
frequentatori di cinema selezionati. Gli occhiali sono disegnati da
Look3D:
Trama: Le avventure di Bilbo
Baggins e della compagnia di dodici nani di Thorin Scudodiquercia,
formata da Balin, Dwalin, Kili, Fili, Dori, Nori, Ori, Oin, Gloin,
Bifur, Bofur e Bombur. Il gruppo deve recuperare il tesoro posto
nel cuore della Montagna Solitaria, sorvegliato dal drago
Smaug.
Manca davvero poco alla premier
romana, in occasione dle Festival di Roma, di Hunger
Games la Ragazza di Fuoco, ed ecco che è stato
diffuso via internet un nuovo spot tv del film con protagonista
Jennifer Lawrence:
La trama del film:
Katniss Everdeen torna a casa incolume dopo aver vinto la 74ª
edizione degli Hunger Games, insieme al suo amico, il “tributo”
Peeta Mellark. La vittoria però vuol dire cambiare vita e
abbandonare familiari e amici, per intraprendere il giro dei
distretti, il cosiddetto “Tour di Victor”. Lungo la strada Katniss
percepisce che la ribellione sta montando, ma che il Capitol cerca
ancora a tutti i costi di mantenere il controllo proprio mentre il
Presidente Snow sta preparando la 75ª edizione dei giochi (The
Quarter Quell), una gara che potrebbe cambiare per sempre le sorti
della nazione di Panem.
L’incontro con Alex De La
Iglesia prende vita dopo la proiezione di una serie di
sequenze tratte dai suoi film più famosi, Acciòn
Mutante, Perdida Durango, El Dia de la Bestia, La Comunidad, El
Crimen Perfecto, The Oxford Murders, La Chispa de la vida, Balada
Triste de Trumpeta e il nuovissimo Las
Brujas de Zugarramurdi.
Il regista catalano comincia la
chiacchierata raccontando la genesi del suo ultimo film parlando
della sequenza iniziale, nella quale un rapinatore, camuffato da
Cristo, con tanto di croce sulle spalle, assalta un banco dei pegni
trasformandosi in feroce assassino. De La Iglesia racconta che
aveva avuto questa idea vent’anni prima, per un film che poi non è
mai stato realizzato perché ritenuto troppo estremo e demenziale,
all’interno del quale trovavano spazio anche le figure di
alcune streghe, divenute poi il punto centrale del suo ultimo
film.
La scelta di ambientare
la storia nel piccolo paese di confine tra Spagna e Francia
chiamato Zagarramurdi è stata pressochè obbligata, poiché tale
luogo sembra essere l’equivalente della cittadina americana di
Salem, nota per le sue oscure vicende legate alla stregoneria. A
Zagarramurdi sembra prendere origine tutta la stregoneria del
vecchio continente ed in particolare, in una grotta limitrofa al
paesino, sembra che avvenissero sabba di dimensioni incredibili,
che coinvolgevano centinaia, forse migliaia di adoratrici del
demonio. De La Iglesia racconta divertito di aver girato la
sequenza finale del film proprio in quella grotta e di aver
scoperto durante le ricerche per sviluppare la storia del film le
vere origini di alcune abitudini stregonesche, come quella di
cavalcare le scope, pratica legata ad una forma di autoerotismo al
fine di assimilare una mistura a base di veleno di rospo e altre
sostanze allucinogene spalmate sul manico dell’utensile; il volare
altro non sarebbe che una visione metaforica dell’orgasmo
allucinatorio raggiunto attraverso tale pratica.
Poi si è lungamente soffermato su
uno dei temi principali del suo ultimo film, ma anche di tante
altre sue opere, ovvero il difficile, se non impossibile, rapporto
tra uomo e donna, ma anche sull’ipocrisia che a suo avviso è insita
nella convivenza quotidiana tra esseri umani, molte volte basata su
una subdola forma educazione superficiale quasi sempre malcelata. A
proposito di tali dichiarazioni non si può non pensare ai rapporti
degenerati tra condomini bellicosi de La
Comunidad, o quello che avveniva tra i commessi del
grande magazzino de El Crimen Perfecto.
Alex De la Iglesia definisce gli esseri umani
degli animali feroci, ma stupidamente intelligenti, che stentano a
convivere e faticano a non sbranarsi l’uno con l’altro.
Torna poi nuovamente a sottolineare
la dipendenza inconsapevole degli uomini dalle donne e il continuo
loro bisogno di fare ritorno a l’utero materno e sentenzia beffardo
che l’egoismo e la sopravvivenza sono la vera natura dell’amore e
ciò che di conseguenza alimenta l’animo di tutti i suoi personaggi
e motore di molte delle sue storie.
Alla domanda di come faccia ad avere
uno stile così particolare e riconoscibile, lui semplicemente
risponde che quello è il suo occhio e che naturalmente lui racconta
ciò che lo circonda. Afferma che quella che si vede nei suoi film è
la sua visione della vita, senza sforzarsi di voler costruire una
sua originalità autoriale. Un buon regista, sostiene, deve essere
come un barman, ovvero bravo a miscelare gli ingredienti già
esistenti, senza dover necessariamente inventare chissà cosa. E’
convinto che non esista l’innovazione, ma che tutto è ricordo del
futuro, che le idee differenti tra loro lottano, ma al tempo stesso
si sostengono. Dice che andare avanti, significa guardare
indietro.
In conclusione e in maniera
simpaticamente provocatoria si autodefinisce un immorale e
prostituto mentale, che farebbe di tutto per soldi, ma ride
sornione, e noi sappiamo bene che non è così.
Josè in compagnia di un
gruppo di balordi compie una rapina in un banco di pegni e ruba
venticinquemila fedi nuziali. Porta con sé il figlio di appena otto
anni, facendolo partecipare attivamente al colpo all’insaputa della
moglie, in lotta con lui per l’affidamento del bambino. Ma qualcosa
va storto, la rapina si trasforma in una caneficina e Josè, con il
figlio, un altro strampalato rapinatore, un ignaro tassista e un
ostaggio, fuggono verso il confine francese. Ma nella loro fuga
approdano a Zugarramurdi, un piccolo paese popolato da streghe
bellicose che non hanno nessuna intenzione di lasciarli andare
via.
Dopo Balada
triste de trumpeta, film molto personale e apice
indiscusso della sua poetica, Alex De La Iglesia
torna a realizzare un film più leggero e scanzonato, ma non per
questo meno riuscito. La libertà espressiva di cui ormai dispone
gli permette di confezionare un piccolo gioiellino che si barcamena
disinvoltamente tra generi diversi e che stupisce lo spettatore con
continue sorprese e cambi di rotta improvvisi. Si parte con un
action-movie rutilante, al cardiopalma, che immediatamente si
trasforma in commedia per poi scivolare nell’horror, con punte di
puro splatter, ma senza mai perdere di vista significati e
riflessioni importanti, disseminate di citazioni colte camuffate
sapientemente con elementi pop.
E’ un turbinio di continue
invenzioni, a cominciare da Gesù Cristo rapinatore che nasconde un
fucile a pompa nella croce, il lercio omino che vive imprigionato
sotto al cesso pubblico, le bislacche abitudini goderecce delle
streghe, fino ad arrivare ad un sabba infernale rivisitato come un
moderno rave debitore delle pitture nere di Goya e pregno di
fondatissime ricerche folkloristiche e antropologiche.
La sceneggiatura è una macchina ben
oliata, che scorre disseminando battute a raffica che ironizzano e
fanno riflettere sui rapporti tra uomo e donna e tra esseri umani
in generale. E quando il discorso sembra farsi troppo serio ecco
che arrivano a sorpresa folgoranti sequenze visionarie colme
d’azione e trovate strabilianti, personaggi improbabili e creature
uscite direttamente da un libro di fiabe. Gli interpreti sono tutti
azzeccati e in grande sintonia, in particolare una divertita
Carmen Maura e i due protagonisti Hugo
Silva e Carolina Bang.
Ne Las brujas de
Zugarramurdi si respira l’aria migliore del nuovo
cinema iberico, si sente lontano l’eco di Almodovar (suo primo
produttore), si intravede nella nebbia l’affabulazione gotica di
Del Toro, ma soprattutto si gusta la stupefacente esibizione
poetica e stilistica di Alex De La Iglesia.
Oggi pomeriggio il Festival
di Roma 2013 ha dato l’opportunità al pubblico di
partecipare all’incontro col grande regista americano
Jonathan Demme. L’autore di film come
Il silenzio degli innocenti e
Philadelphia, solo per citare i due più
famosi e premiati, non ha perso occasione per mettere in luce la
sua passione per il cinema e per far trasparire la sua ironia.
Dopo una breve filmato
iniziale, Jonathan Demme ha iniziato a
rispondere alle domande, la prima delle quali piuttosto generica,
sul concetto di comunicare con il cinema e sulla sensazione che si
prova:
“Io ho sempre riflettuto sulla
dimensione narrativa del cinema. Raccontare storie è sempre
primario per me. Se non hai una storia forte o non la sai
raccontare, sei nei guai. Tutti le persone che ruotano intorno al
film raccontano una storia e hanno una responsabilità completa.
Dagli attori all’operatore, tutti con il loro lavoro raccontano
storie”.
La discussione si è poi spostata
sugli inizi cinematografici di Demme e non è potuto mancare il
riferimento al regista e produttore Roger
Corman:
“Posso considerarlo un maestro.
Io adoro fare cinema e incontrare Corman è stato un momento unico,
di quelli che ti capitano una volta nella vita. Corman mi fece
scrivere una sceneggiatura e io ero agli inizi. Mi propose di
andare a Los Angeles e lavorare al film. Dissi di si senza neanche
far passare un secondo”.
Inevitabile poi la domanda
riguardante Fear of Falling, un film che
andrà in onda domani 11 Novembre 2013 al Festival
del Cinema di Roma in anteprima mondiale. Si tratta di un progetto
particolare, poiché è un film basato su un progetto teatrale, un
mondo con il quale Demme non si era mai confrontato:
“Pensavo sarebbe stato facile
trasportare il teatro al cinema. Invece mi sono reso conto, quando
ho cominciato il lavoro, che non è affatto semplice perché il tipo
di performance teatrale non è adatta per il cinema. Posso dire che
Fear of Falling sia il progetto più coraggioso che abbia mai
realizzato. Alcuni amici che l’hanno già visto mi hanno detto che
assomiglia ad un film di Bergman però visto sotto l’effetto di
Lsd”…
Poi Demme ha continuato, spiegando
perché dopo aver raggiunto grandi traguardi cinematografici, sia
tornato un po’ agli albori, voltando le spalle alle grandi
industrie:
“Non mi piace dire che ho
voltato le spalle. Quando si inizia la propria carriera come
regista indipendente, si hanno budget limitatissimi, ho fatto un
film anche con 125.000 dollari. Quando poi vai avanti e fai
successo, sai come gestire meglio dei budget più elevati, anche
milioni di dollari. Ma sai anche che hai delle responsabilità,
ovvero fare un film che debba almeno pareggiare il bilancio. Ecco,
io non avevo più voglia di queste responsabilità. A me piace
lavorare con cifre minori e lavorare in tempi più
stretti”.
In ultimo, anche al pubblico è stato
concesso un piccolissimo spazio ed in particolare una domanda ha
fatto scatenare le risate della sala,vista la risposta tanto secca
quanto esplicativa di Demme:
Se qualcuno mi ha mai chiamato
per girare un film di supereroi che tanto hanno successo negli
ultimi anni? Semplicemente, no.
La nostra foto gallery del Festival:
[nggallery id=325]
Presentato in Concorso alla ottava
edizione del Festival Internazionale del Film di Roma,
Entre Nos racconta la storia di un gruppo
di giovani, spensierati e ottimisti, che passano insieme una parte
della lroo vita prima che questa cambi radicalmente. Isolati dal
resto del mondo in una magnifica tenuta di campagna, i giovani
amici decidono di scrivere delle lettere indirizzandole ai se
stessi che diventeranno da li ai dieci anni successivi, e di
seppellirle con la promessa di ritornare in quel luogo al tempo
stabilito per rileggerle insieme. Il giorno stesso, però, in
seguito a un tragico e imprevisto incidente automobilistico, ognuno
di loro prende strade diverse. Contro ogni previsione il gruppo
affiatato all’inizio si perde di vista, e la loro vita prenderà una
piega completamente diversa. A dieci anni di distanza però i
protagonisti si ritroveranno, riuniti a causa della morte di uno di
loro e da un mistero che li tiene involontariamente uniti.
Riaffioreranno così vecchie passioni, nuove frustrazioni e un
oscuro segreto sepolto nel passato.
A dirigere il film Paulo
Morelli, italiano per metà, che ci racconta un tipo di
storia che è stato già affrontato, anche se con toni nelle
intenzioni pià leggeri, dal nostro cinema con Immaturi. Come nel
film di Paolo Genovese, un gruppo di amici si ritrova
dopo aver trascorso anni senza vedersi, e così la loro vita cerca
di riprendere in qualche modo lì dove si era interrotta. Purtroppo
però le intenzioni del regista vengono ostacolate da un plot
banale, da una sceneggiatura piatta e da una serie di cliché
ripetuti, che contribuiscono a fare di Entre
Nos un film non riuscito.
I personaggi stessi del racconto
sono appena abbozzati, riducendosi a sagome che inscenano schemi
interpersonali fissi. Nel cast Caio Blat, Carolina
Dieckmann, Maria Ribeiro, Paulo Vilhena, Martha Nowill, Julio
Andrade, Lee Taylor. Il film non manca di una certa
leggerezza che, unita alla durata ragionevole, aiuta lo spettatore
a procedere nella visione; ma il prodotto finale rimane patinato e
scontato, come in un lungo spot televisivo.
E’ stato presentato Fuori Concorso
al Festival Internazionale del Film di Roma
l’ultima impresa dei Manetti Bros ,
Song’e Napule. Tra il comico, il noir e
il poliziesco, il film è un cocktail di generi a cui i registi
romani si sono affezionati particolarmente con la serie tv
L’Ispettore Coliandro interpretato da Giampaolo Morelli. Il loro
attore-feticcio torna protagonista di questa storia, riunendo le
forze con i fratelli Antonio e Marco per raccontare una Napoli
diversa, diversa anche da quella raccontata da Gomorra e co. senza
troppa angoscia e rifiuti, ma con un film rilassato e positivo.
Song’e Napule
segue le vicende di Paco Spillo (Alessandro
Roja), un pianista diplomato in conservatorio che si
ritrova a fare il poliziotto per sfuggire alla disoccupazione. La
sua dote musicale tornerà utile quando all’Ispettore Cammarota
(Paolo Sassanelli) dell’anticrimine serve un
infiltrato al matrimonio della figlia del boss di Somma Vesuviana
per acchiappare il famoso latitante O’ Fantasma. Paco, non con poca
riluttanza ,si trasformerà da signorino del conservatorio a tamarro
cafone per entrare a far parte della band di Lollo Love (Giampaolo
Morelli), un famoso cantante neo melodico ben inserito
nel giro delle feste. Suo malgrado, Paco in arte Pino Dynamite, si
troverà a rischiare la sua vita incappando in piacevoli rapporti di
amore e amicizia.
Song’e Napule, il film
Con un cast costellato di tanti
amici , oltre che a Roja, Morelli e Sassanelli troviamo
Serena Rossi,
Carlo Buccirosso, Antonio Pennarella e un cammeo di
Peppe Servillo, sempre centratissimo nel
personaggio. I Manetti Bros realizzano quasi una serenata a Napoli
con le canzoni di Lollo Love interpretate da Morelli, arrangiamenti
di musiche degli Avion Travel e tanti altri omaggi
alla canzone napoletana grazie a Franco Ricciardi, Ivan
Granatino, Antonio Buonomo,
Serena Rossi, Pino Moccia e Rosario Miraggio.
Raccontato in modo semplice e vero,
Song’e Napule regala risate dall’inizio alla fine, senza mai
scadere nella comicità demenziale ma facendo affidamento a gli
unici tempi comici della “lingua napoletana”. Un
bell’affresco di Napoli che mostra non solo la parte brutta “della
fogna dell’Italia” ma anche la parte onesta senza troppo buonismo
del , sempre più generalizzato , Napoletano medio.
Questo è stato l’ultimo film
prodotto da Luciano Martino, fermo sostenitore
dell’idea di Morelli.
Nella terza giornata
del Festival di Roma 2013 è stato presentato e accolto
calorosamente dalla stampa Her di Spike Jonze
di con Joaquin Phoenix, Amy Adams, Rooney Mara, Olivia Wilde
e la calorosa voce di Scarlett Johansson. Nella sezione
Fuori Concorso è stato presentato Las brujas de
Zugarramurdi di Álex de la Iglesia, il regista che
aveva segnato il festival di Venezia con La ballata
dell’odio e dell’amore, nel cast troviamo Javier Botet,
Mario Casas, Carmen Maura, Hugo Silva e Carlos
Areces.
Di seguito il video commento dei film con i trailer:
E’ stato presentato nella selezione
ufficiale in Concorso alla ottava edizione del Festival
Internazionale del Film di Roma Her,
ultimo film di Spike Jonze in cui un magnifico
Joaquin Phoenix si innamora della voce sensuale di
Scarlett Johansson. Sono arrivati a Roma
per presentare il film il regista Spike Jonze, il
protagonista Joaquin Phoenix e Rooney
Mara, che nel film interpreta l’ex moglie del
protagonista. L’incontro con la stampa è stato, come c’era da
aspettarsi, atipico, essendo note a tutti le stranezze di Phoenix e
la sua ritrosia verso i giornalisti e le domande sul suo
lavoro.
Ciò nonostante l’attore si è
mostrato insolitamente loquace, anche se ha prevalentemente
scherzato sul suo ruolo e con i suoi colleghi. Il regista Jonze ha
commentato così la sua esigenza di raccontare il
film: “Volevo raccontare questa storia perché tratta temi
sui quali ho riflettuto, nei confronti delle quali ho una
valutazione un po’ confusa. Il modo in cui viviamo e gestiamo i
nostri rapporti, che non sempre sono semplici.”
In una delle poche risposte
esaurienti concesse, Joaquin Phoenix ha accennato
alla complicità di sua sorella (e sua manager) nella partecipazione
al progetto: “E’ stata mia sorella e mia agente a passarmi la
sceneggiatura. Mi ha detto che Spike aveva una sceneggiatura per
me, l’ho letta e ci siamo innamorati.”
Rooney Mara ha
invece dovuto lottare per ottenere il suo ruolo: “Mi hanno
inviato la sceneggiatura e volevo partecipare al film, solo che
Spike diceva che ero troppo giovane. Quando ci siamo incontrati
però sono riuscita a convincerlo che la forza interiore del
personaggio era senza tempo e che quindi ero adatta al
ruolo.”
I costumi e gli arredi sono
vintage ma il film è ambientato in un vicino futuro. Può motivare
questa scelta?
SJ: “L’obbiettivo era creare un
mondo accogliente, e questo mi sembrava il modo migliore per
mettere in scena questa esigenza di gradevolezza e facilità della
vita. Tuttavia ci sono ancora personaggi che desiderano qualcosa, a
cui manca qualcosa.”
In che modo Joaquin e
Scarlett hanno interagito sul set per parlarsi senza che la
Johansson fosse presente?
SJ: “Quando abbiamo girato il
film c’era un’altra attrice, Samantha Morton, che ci ha
accompagnati nella lavorazione. Era sul set e parlava con Joaquin.
Poi in post produzione è arrivata Scarlett che è stata accompagnata
da entrambi per registrare le sue parti e creare
un’intimità.”
Spike Jonze ci ha
da sempre abituati a viaggiare in mondi straordinari, che con
profonda malinconia coinvolgono lo spettatore, trasportandolo in
una realtà parallela e deliziandolo con storie magistralmente
raccontate. Il suo ultimo film Her non fa
eccezione. Interpretato da Joaquin Phoenix, il film racconta di Theodore,
un uomo dal cuore spezzato che sta cercando di metabolizzare la
separazione e l’imminente divorzio dall’amata moglie (Rooney
Mara).
In una Los Angeles futuristica ed
insieme straordinariamente malinconica, Theodore trascorre le sue
giornate tra il lavoro e il suo solitario appartamento, fino a che
non incontra Samantha, un sistema operativo senziente e intuitivo
(cui da la voce Scarlett Johansson), e in grado di evolversi
con l’uso, con la quale Theo comincia una relazione particolare che
trasformerà sia l’umano che l’artificiale fino a giungere ad un
epilogo inevitabile e struggente.
La domanda che ci pone Jonze è
semplice e complessa insieme: si può amare qualcuno nel corso di
tanti anni, accettandone e consentendone i cambiamenti fondativi di
un essere umano in continuo divenire? Si può amare ed essere
ricambiati anche attraverso il tempo di una vita che cambia e
trasforma?
Her, il film
Il caro Theodore, personaggio con
il quale non si può non entrare in sintonia, ci conduce con mesta
compostezza nella sua vita, e noi impariamo molto su di lui e su
possibili risposte alle domande dello stesso regista. Mattatore
incontrastato del film è Joaquin Phoenix, attore straordinario, uno dei
migliori della propria generazione, che ad ogni nuova prova
d’attore riesce a scavare in se stesso e nell’animo dello
spettatore, completamente rapito dai suoi occhi, dalle sue movenze,
da questo essere romantico e triste che l’attore dipinge sullo
schermo.
A dare voce al sistema operativo
c’è Scarlett Johansson, che per una volta rinuncia
a sfruttare la sua prorompente presenza scenica e ci regala solo il
suono della sua sensuale voce, creando con pochi mezzi un
personaggio artificiale per natura ma allo stesso tempo
estremamente umano. Completano il cast una diafana Rooney Mara e Amy Adams, che riesce con pochi sguardi a dare
profondità anche al più piccolo dei personaggi.
Il film di Spike
Jonze è un viaggio nella coscienza di un uomo che può
essere ognuno di noi, è un viaggio nell’amore e nella sua
trasformazione in quanto sentimento tanto universale quanto privato
e mutevole, un viaggio ambientato in una bellissima Los Angeles
delicatamente futuristica che funge da perfetta cornice per il
nostro malinconico protagonista.
Her è un racconto coinvolgente e
struggente, romantico, tenero e profondamente devastante, che
emoziona lo spettatore e lo induce a riflettere con inquietante
profondità ed urgenza sulla propria vita.
The Invisible Life (A
Vida Invisìvel) è un film diretto
da Vítor Gonçalves presentato in Concorso
alla ottava edizione del Festival Internazionale del film di
Roma.
È notte fonda e Hugo, un impiegato
statale, siede sui gradini del Ministero in cui lavora. Non ha il
coraggio di tornare a casa e non riesce a togliersi dalla mente le
immagini di un misterioso filmino in 8mm che ha ritrovato in casa
del defunto Antonio. Ricorda quindi il giorno in cui Antonio, suo
superiore al Ministero, gli rivelò che stava per morire. Hugo ha
sempre creduto che Antonio volesse in realtà confidargli qualcosa
che lo riguardava direttamente. Spinto dal desiderio di comprendere
questo segreto inconfessato, rispolvera ricordi sepolti da tempo. E
ripensa all’ultima volta che ha visto Adriana, la donna che amava.
Ancora una volta lo assale il pensiero che la sua è stata una vita
non vissuta.
Gonçalves sceglie la strada del
racconto a posteriori per mostrarci il viaggio interiore del
protagonista Hugo (Filipe Duarte); un racconto in
voce fuori campo in cui seguiamo in una serie di accavallamenti
temporali il percorso del personaggio, tra ricordo del passato e
indagine nel futuro alla ricerca di un misterioso messaggio che
forse non è mai stato scritto.
Il racconto, il ricordo e la ricerca
sono però raccontati attraverso uno stile statico, che non fa nulla
per coinvolgere lo spettatore, addentrandosi in un racconto
autoreferenziale e complesso, difficilissimo da comprendere a
ancora più difficile da gradire. Nonostante Duarte sia un
interprete molto intenso, la scelta registica di utilizzare
prevalentemente la camera fissa non fa altro che ostacolare
ulteriormente la fluidità di un racconto che non decolla mai.
Completano il
cast Maria João Pinho, João Perry, Pedro
Lamares e Susana Arrais.
The Invisible
Life è un racconto pretensioso e poco interessante di
una vita misteriosa sì, ma chiusa in se stessa e che non ha nessuna
voglia di mostrarsi benevola nei confronti dello spettatore.
Sabato scorso, in occasione del
BlizzCon 2013, il regista Duncan Jones ha reso
pubblici i primi concept per il film World of
Warcraft, tratto dal leggendario gioco di ruolo e
finalmente in fase avanzata di pre-produzione.
Ecco i disegni:
Il film su World of
Warcraft si baserà sul popolare e omonimo
videogame e avrà a disposizione un budget di 100 milioni di
dollari, non tantissimi, ma comunque una cifra rispettabile per
realizzare un fantasy con i fiocchi.
Pre quanto riguarda il casting del
film, al progetto era stato accostato Johnny Depp, ma non si sa
ancora nulla di certo a riguardo.
Il film sarà basato su una
sceneggiatura di Charles Leavitt, già
sceneggiatore del bellissimo Blood
Diamond.
World of Warcraft (letteralmente
“il mondo di Warcraft”, spesso abbreviato in WoW) è un gioco di
ruolo fantasy tridimensionale. Sviluppato dalla Blizzard
Entertainment, è stato pubblicato il 23 novembre 2004. World of
Warcraft è il gioco di ruolo più giocato al mondo, con circa
12 milioni di iscrizioni attive. Il gioco è ambientato
nell’universo di Warcraft, ambientazione nata con la pubblicazione
di tre precedenti videogiochi strategici in tempo reale della
Blizzard (Warcraft, Warcraft II, Warcraft III). Il server di
gioco, originariamente disponibili solo in inglese, francese e
tedesco, sono stati successivamente resi attivi in altre lingue,
mentre il supporto in italiano è arrivato solo il 29 agosto del
2012.
Già si era parlato di Adam
Driver, visto in Girls, come possibile spalla di
Ben Affleck/Batman, tuttavia oggi arrivano due
nuovi nomi che potrebbero fare al caso della produzione. Entrambi
molto giovani e dotati, sarebbero in competizione per interpretare
Dick Grayson Penn Badgley (27 anni) visto in
Gossip Girls e Ezra Miller (21)
straordinario interprete di Noi siamo
Infinito e di …E ora parliamo di
Kevin.
Per adesso il ruolo di Nightwing è
ancora in forse, e anche la partecipazione al casting di questi
attori citati è da considerarsi all’interno della sfera del rumors.
Vi ricordiamo che L’uomo
d’Acciaio è uscito negli USA il 14 giugno 2013,
il 20 giugno in Italia, e nel cast oltre a Henry
Cavill eRussell
Crowe ci sono
anche AmyAdams, Diane
Lane, Kevin Costner, Laurence
Fishburne, Michael Shannon. L’uomo
d’Acciaio è diretto da Zack
Snyder. Tutte le info utili nella nostra Scheda
Film: L’uomo d’Acciaio. Tutte le
news nel nostro speciale: Superman: Man of
steel.
Compositore e direttore
d’orchestra, sì, ma pop: il preferito di The Edge degli
U2, ha ispirato uno dei Kasabian nella scelta del
nome del figlio (Ennio, appunto) e viene regolarmente omaggiato da
rockstar del calibro dei Muse (che nei live suonano sempre
un brano da C’era una volta il West per introdurre la
loro canzone Knights of Cydonia), dei Metallica e di
Springsteen. Per non parlare del fan n° 1 di Ennio
Morricone, lo stalker Tarantino, che lo ha
spudoratamente saccheggiato in Kill Bill e
Bastardi senza gloria, finché non ha potuto godere di
una collaborazione ufficiale col Maestro in Django
Unchained, col brano Ancora qui interpretato da
Elisa.
Prima diventare un’icona del cinema
mondiale, Morricone fa il trombettista, e nel ‘58 lavora pure in
RAI. Per un giorno. Assunto come assistente musicale, si licenzia
subito quando scopre che gli è preclusa ogni possibilità di
carriera (non si trasmettono brani composti dai dipendenti). Ottima
mossa, perché di lì a poco scriverà la prima colonna sonora
importante: è il ’64, il regista è un ex compagno delle elementari,
Sergio Leone, e Per un pugno di dollari dà
inizio a una solida collaborazione, con titoli come Il buono,
il brutto e il cattivo, C’era una volta il
West, Giù la testa, fino all’ultima opera di
Leone, C’era una volta in America. Lanciato dagli
spaghetti-western (definizione che lui odia), Morricone in realtà
ha prodotto solo una trentina di colonne sonore per questo filone,
essendosi poi cimentato in tutti i generi cinematografici nel corso
di una carriera lunga mezzo secolo. Dalla fantascienza al thriller,
dal film erotico alla commedia: da Carpenter a
Verdone, insomma. Indimenticabili le melodie di
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni
sospetto, Mission, Gli
intoccabili, Nuovo Cinema Paradiso, La
leggenda del pianista sull’oceano, Canone
inverso, Malèna. Ma con più di 500 colonne
sonore al suo attivo, e 70 milioni di dischi venduti, l’elenco è
piuttosto riduttivo; ed è impossibile riportare tutti i premi vinti
dal Maestro, perciò ci limitiamo a quelli alla carriera: il Leone
d’Oro nel ‘95 e l’Oscar nel 2007.
Dopo 5 nomination a vuoto,
l’Academy riconosce finalmente il suo inestimabile
contributo al cinema, e chiede al cowboy Clint Eastwood di consegnare a Morricone
l’ambita statuetta. Noi gli consegniamo la torta e lo aiutiamo a
spegnere le 85 candeline. TANTI AUGURI MAESTRO!
Guarda l’intervista sul red carpet
del Festival di Roma 2013. L’ottava
edizione dell’evento diretto da Marco Muller,
al secondo anno al timone della kermesse capitolina ha accolto
nella bellissima cornice dell’Auditorium le prime due star
internazionali, Jared Leto, protagonista
dell’intenso Dallas
Buyers Club (recensione). Abbiamo scambiato
qualche battuta con il cantante e attore.
Guarda tutte le foto di
Jared Leto e degli ospiti del secondo giorno
del Festival di Roma 2013.
L’ottava edizione dell’evento diretto da Marco
Muller, al secondo anno al timone della kermesse
capitolina ha accolto nella bellissima cornice dell’Auditorium le
prime due star internazionali, Jared Leto
(INTERVISTA)
protagonista dell’intenso
Dallas Buyers Club (recensione) e
John Hurt (incontro e
Intervista)che ha incontrato il pubblico e accreditati. Domani
invece è il grande giorno di Spike
Jonze, Joaquin Phoniex, Scarlett Johansson, Rooney Mara.
Stay tuned
Il regista livornese Irish
Braschi ha deciso di omaggiare una delle più grandi scrittrici
italiane, Dacia Maraini, in un docufilm biografico, Io
sono nata viaggiando.
L’attrice è una delle più conosciute
intellettuali italiane viventi ed è davvero nata viaggiando,
trasferitasi subito dopo la nascita nel 1936 a Fiesole da
un’aristocratica famiglia cosmopolita, visse l’infanzia in Giappone
durante la Seconda Guerra Mondiale, dove è stata in un campo di
concentramento con i genitori prima di tornare in Italia. Ha
vissuto in Sicilia, terra natìa della madre, e poi a Roma col
padre, viaggiando per tutto il mondo , per lavoro ma anche per
diletto.
L’attrice dice di sé stessa che
realmente è nata viaggiando:
“Io sono nata viaggiando. Il
primo sapore che ho conosciuto, e di cui conservo la memoria, è il
sapore del viaggio. Un gusto di bagagli appena aperti: naftalina,
lucido da scarpe e quel profumo che impregnava i vestiti di mia
madre in cui affondavo la faccia con delizia.”
Il regista Braschi, ex
assistente di Paolo Virzì, ha girato questo docufilm che
uscirà nelle sale italiane solo per tre giorni, L’ 11, il 12 e il
13 Novembre, prima di essere proiettato su Sky in occasione del
compleanno dell’attrice. La voce narrante del film sarà Maria
Pia di Meo, celebre doppiatrice di Meryl Streep e
Audrey Hepbrun.
Dopo le voci sulle tre attrici
provinate per il ruolo di Wonder Woman e il rumors legato
alla possibilità di vedere Nightwing nel
film arrivano le dichiarazioni di Zack
Snyder dal Fan event su Man of Steel, dove il regista ha parlato del
personaggio di Lex Luthor più volte, senza però
dichiarare apertamente se sarà o meno nell’atteso sequel, per poi
soffermarsi sulla possibilità del ritorno di Hans Zimmer:
“Penso che sarebbe fantastico se
Hans ritornasse anche in questo film, ritornando così ad esplorare
Batman” anche se le dichiarazioni di Zimmer no
erano state molto positive in merito (leggi qui). Poi le domande si
sono intensificate sulla costruzione di alcuni set attualmente in
corso e sulla possibilità di rivedere nuovamente
Illinois come Smallville. La
sua risposta però è stata vaga per puoi annunciare che no può
parlarne.
Intanto sono
arrivati qualche giorno fa nuovi dettagli sul Batman che vedremo
(LEGGI QUI),
mentre Ben Affleck ha già
iniziato ad allenarsi, e sembra davvero in forma in queste
foto: VEDI QUI.
L’australiano
Michael Rowe ci racconta Manto
Acuìfero, narrazione che celebra il rito di passaggio
dall’infanzia al mondo degli adulti di una bambina che sta vivendo
un momento particolare della sua giovane esistenza.
Caro ha otto anni. I suoi genitori
divorziano e lei va vivere con la madre e il suo nuovo fidanzato,
che lei fatica a vedere come il nuovo padre. Nonostante la madre le
abbia fatto capire a chiare lettere che non vuole più avere a che
fare con il padre, Caro si sente abbandonata e non desidera
nient’altro che il genitore ritorni. Giocando in giardino, si
rifugia nei pressi del pozzo del cortile dietro casa, un luogo
segreto che nutre la sua fervida immaginazione. Si allontana sempre
di più dalla madre, che d’altro canto sembra tutta protesa verso il
nuovo compagno e poco propensa ad aiutare la figlia in questa
particolare fase di cambiamenti importanti. Contemporaneamente
riscopre foto, segreti e interessi del padre lontano, con morbosa
attenzione, tanto che finisce per creare una specie di santuario a
lui dedicato in fondo al pozzo dove si rifugia.
Come accennato, il film ci racconta
il passaggio dall’innocenza all’età adulta, dalla purezza
dell’essere bambino alla crudeltà di commettere il primo atto
violento, la prima efferatezza, il primo gesto da adulto (con tutte
le implicazioni negative del caso). Rowe ci racconta una storia a
misura e ad altezza di bambino, o meglio di bambina, questa Caro
che, taciturna e apparentemente assente in famiglia, è vivace,
curiosa e intelligente in mezzo alla natura, in questo immenso
giardino nel quale lei riscopre animali e insetti che nutrono la
sua fantasia.
La narrazione procede lenta,
prevalentemente affidata a piani fissi e silenziosi, che ci
mostrano semplicemente la quotidianità della vita nel suo svolgersi
inesorabile e continuo. Proprio per questo Manto
Acuìfero risulta essere particolarmente ostico,
non riesce a mantenere alta l’attenzione e naufraga in un tentativo
di raccontare lo svezzamento alla violenza e alla vita “vera”,
concentrando nei secondi finali tutto il significato di un film che
altrimenti raccontato sarebbe stato ben più interessante.
Nel cast un taciturno terzetto di
attori Zaili Sofía Macías Galván, Tania
Arredondo e Arnoldo Picazzo che
realizzano ritratti essenziali e quotidiani di personaggi che non
hanno nulla di straordinario.
La normalità è una dimensione che al
cinema è spesso sottovalutata, ma che qualche volta ha bisogno di
qualche orpello per risultare interessante.
Dopo aver lasciato la regia di
Fast and Furious, Justin Lin sarà alla regia
del sequel di The Bourne Legacy, che vedrà l’attore
Jeremy Renner di nuovo nei panni di Aaron Cross. Stavolta il
film sarà sceneggiato da Anthony Peckham ( Sherlock
Homes e Invictus), e Lin prenderà il posto
del regista secolare della saga The Bourne, Tony
Gilroy che è stato anche sceneggiatore degli altri film.
La saga di The Bourne
è ispirata ai libri scritti da Eric Van Lustbader, che ha
proseguito la saga iniziata nel 2001 dallo scrittore Robert
Ludlum. Ancora non è stato annunciato un titolo ufficiale, ma
se si seguirà l’ordine dei romanzi potrebbe essere The Bourne
Betrayal- La colpa di Bourne. Anche la trama dovrebbe
essere simile a quella del libro:
Jason Bourne si è lasciato tutto
alle spalle: la CIA, l’identità fittizia della quale era rimasto
prigioniero e il dolore per la perdita della propria famiglia. Ma
quando Martin Lindros, vicedirettore della Central Intelligence e
suo amico, scompare durante un’azione in Etiopia, solo un cane
sciolto come Bourne può scoprire cosa sia veramente successo, e
sperare di salvargli la vita. La data d’uscita dovrebbe essere
fissata per l’estate 2015, ma ancora non si sa niente di certo.