Mon Garcon,
presentato all’interno della Selezione Ufficiale della dodicesima
edizione della Festa del Cinema di Roma, è scritto
e diretto da Christian Carion ed è un dramma
famigliare dai toni noir.
In Mon Garcon
Julien è un geologo ed è spesso in viaggio per lavoro. Le sue
numerose assenze da casa hanno causato la fine del suo matrimonio
con Marie. Durante un suo breve ritorno in Francia viene a sapere
dalla ex-moglie che il loro figlio Mathys è scomparso durante un
campo scuola. Da quel momento Julian si mette alla ricerca del
figlio e pur di trovarlo è disposto a fare qualsiasi cosa.
Carion ci mostra subito la volontà
di far dialogare ambienti esterni (montagne e boschi) e
interni (baite, una rimessa e un hotel abbandonato) sia con
carrellate sia con inquadrature più serrate. Oltre agli ambienti,
il regista fa comunicare anche passato e presente, attraverso
flashback e ricordi dai toni certamente più vivaci rispetto allo
stato attuale delle cose, quando il dramma si è già consumato.
Anche l’aspetto sonoro del film sottolinea la desolazione e la
sofferenza, prediligendo il silenzio.
Mon Garcon, il film
Il film si concentra sulla figura
del protagonista che immediatamente, appena subisce la sua perdita,
si trasforma nel padre attento che fino a quel momento non è stato.
Diventa un cane da caccia e fiuta ogni pista e ogni luogo per
cercare informazioni e stanare i responsabili della scomparsa del
figlio. Guillaume Canet si dimostra ancora una
volta capace di transitare da lucidità a pazzia e viceversa come
in L’homme qu’on aimait trop in cui
interpreta sia un serial killer che il poliziotto che indaga sul
killer stesso. Il personaggio di Marie, interpretato da
Mèlanie Laurent, è alquanto marginale e non ha
una caratterizzazione definita. Più interessante e sfaccettato è il
personaggio del compagno della madre che all’inizio sembra essere
coinvolto nella vicenda soprattutto per il fatto che sembra
manipolare la compagna e volersi sbarazzare del piccolo.
Mon Garcon si
caratterizza per una produzione alquanto breve e l’utilizzo
naturalistico di luce naturale che esalta l’interpretazione di
Canet, che si è tenuto lontano dallo script, prediligendo
l’improvvisazione: in base alle sue azioni e reazioni, hanno dovuto
gestire il proprio personaggio.
Carion confeziona
un prodotto denso di drammaticità e colpi di scena, dimostrando di
essere molto abile a gestire silenzi. Il film conserva una logica
molto solida che ci permette di raccogliere le informazioni
necessarie per completare il puzzle: alla fine ritorniamo al punto
di partenza ma, come in tutti i racconti, la situazione non è più
la stessa.
Scelto come film
d’apertura della XIII edizione dei Rendez-vous del Nuovo cinema
francese, la commedia poliziesca che François Ozon
ha adattato – liberamente! – l’omonima pièce del 1934 di Georges
Berr e Louis Verneuil arriva nei cinema italiani nel giorno della
Festa della Liberazione, il 25 aprile. Una scelta, quella di Bim
Distribuzione, che finalmente permette al nostro pubblico di godere
dell’interessante Mon crime – La colpevole sono io,
un gioco per investigatori e appassionati del genere che offre
agli spettatori una sorta di ‘Invito al cinema con delitto’, per
parodiare il cult di Robert Moore presentato alla 36° mostra
internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
Mon crime – L’altra faccia del
crimine
Un crimine che con quello
del film del 1976 (scritto da Neil Simon) ha in comune sicuramente
l’intenzione parodistica e satirica, oltre che la forza di un cast
molto ricco, qui completato da
Isabelle Huppert, Fabrice Luchini, Dany Boon e
André Dussollier. Chiamati a circondare la
Madeleine Verdier (Nadia Tereszkiewicz)
protagonista, una avvenente giovane attrice squattrinata e senza
talento che nella Parigi degli anni ’30 viene accusata
dell’omicidio di un famoso produttore.
Assolta per legittima
difesa, grazie all’aiuto della sua migliore amica Pauline (Rebecca
Marder), giovane avvocatessa disoccupata, per Madeleine inizia una
nuova vita, illuminata dalla visibilità e dalla fama ottenuta
nell’aula di tribunale. Dalla quale, che a questo punto, la ragazza
sembra poter costruire un futuro radioso e di successo, fino a
quando la verità non viene a galla.
Un altro delitto per
Ozon
Nella realtà da fumetto
di Ozon (che qui sfrutta una idea altrui), la connessione tra
crimine e successo sociale piuttosto che essere diseducativa si fa
occasione di burla, di farsa quasi, in una sorta di sintesi tra
screwball comedy e piece teatrale. Una forma che il regista
si diverte a usare per mettere in scena delle dinamiche più che
attuali, rappresentando l’incoerenza del potere e la volubilità dei
canoni sociali, come già fatto in passato.
Intanto, di sicuro nei
precedenti Otto donne e un mistero (2002) e Potiche,
la bella statuina (2010) che insieme a questo – che la
conclude – compongono dichiaratamente una sorta di trilogia
caratterizzata da una predominante femminile. La stessa presente in
altre sue opere, più cupe o tragiche, altrove esplorata celebrando
amori e gettando ombre, sempre senza abbandonare uno spirito molto
personale e un certo compiaciuto ed edonistico voyeurismo.
La leggerezza della quale
sappiamo essere capace il regista francese, e il suo gusto per
l’assurdo, insomma, riescono a impregnare la storia di un falso
colpevole che lo stesso sognava da tempo e farle trascendere la
realtà, nostra e dei fatti. E se l’intreccio rischia di essere più
insistito e intricato del consigliabile, il ritmo impresso allo
sviluppo e i dialoghi consegnati alle diverse maschere (soprattutto
le due esordienti protagoniste) coinvolte difficilmente
permetteranno di annoiarsi nel seguirlo.
E’ iniziata l’edizione 2015
di MomoCon e oggi vi sveliamo gli
spettacolari cosplayer che stanno sfilando al noto evento americano
che si tiene ad Atlanta in Georgia.
Si è svolta oggi a Roma la
conferenza stampa del film Mommy,
l’ultima fatica del giovanissimo enfant prodige del cinema
mondiale Xavier Dolan, durante l’incontro parla a
ruota libera di sé, della sua filmografia, dei suoi progetti
futuri, di Hollywood e degli Oscar.
In Mommycome
nei suoi precedenti lavori, il tema centrale è la figura femminile,
e nello specifico materna: la sua attenzione particolare nasce da
un’esperienza autobiografica, ovvero il fatto di essere stato
cresciuto dalla madre e della nonna, con l’assenza pesante della
figura paterna. Crescendo, ha sviluppato nei suoi film un’ottica
particolare per i temi della maternità, dell’essere figli, del
rapporto d’amore tra queste due figure. Da sempre Dolan ha
assistito a figure femminili che lottano, combattono e reagiscono
per conquistare uno status sociale, una condizione umana e sociale:
sono figure dolenti, eleganti e stratificate che restituiscono
sullo schermo questa complessità del loro animo. Il rapporto del
regista con sua madre, fondamentale e già analizzata nei suoi
precedenti lavori, è ancora presente anche in questa nuova fatica;
però mentre la sua prima pellicola, J’ Ai Tuè Ma
Mère, era autobiografico, personale e femminile al
100%, nelle opere successive ha cercato di non interpretare solo a
livello terapeutico il suo passato, ma di cercare di capire sé
stesso e la vita in generale. La figura che cerca di analizzare è
quella archetipica DELLA madre, non di una madre specifica, bensì
un personaggio generale ricco e sfaccettato che porta con sé un
universo complesso legato alle scelte personali e al proprio
passato.
Successivamente la conversazione si
è spostata sul ruolo della musica: quanto è importante la scelta
musicale e la colonna sonora nei suoi film? Secondo Dolan, la
musica è fondamentale in un film e spesso è la fonte d’ispirazione
primaria per la nascita di alcune scene chiave, prima ancora che il
regista stesso abbia un’idea d’insieme di ciò che andrà a girare.
Una pellicola è come una partitura musicale, dove ogni dettaglio, i
silenzi e i suoni creano una composizione unica con ogni nota al
posto giusto, creando delle suggestive immagini mentali che poi
vengono decodificate tramite il linguaggio audiovisivo. In MommyDolan
aveva già in mente che, a livello tecnico, avrebbe girato in 1:1 ma
non aveva previsto ancora la “grammatica” precisa con la quale
avrebbe interpretato l’insieme: il regista confessa di procedere
ordinatamente nel suo processo creativo partendo dalla scrittura,
immaginando poi il montaggio e infine approdando ad importanti
rivelazioni sulla lavorazione del film. L’apporto degli attori-
attraverso la recitazione e l’improvvisazione- è fondamentale per
la creazione di un lavoro unico; il regista ammette di essere
affascinato dall’aspetto recitativo, tant’è che quando scrive un
dialogo lo prova sempre leggendolo da solo ad alta voce, cercando
di immaginare come potrebbero suonare quelle battute pronunciate da
un attore, se sono credibili o meno. La sua ricerca costante lo
spinge a studiare gli stili, la vita stessa, ad osservare bene la
realtà cercando di tirare poi fuori dai suoi protagonisti delle
performance particolari, intense ed espressive molto vicine a
quello che lui stesso immagina in fase di scrittura. Il suo
approccio con gli attori segue un approccio molto teatrale,
procedendo per gradi e partendo da alcune letture a tavolino, dove
tutti insieme decidono cosa tenere e cosa tagliare, per poi
approdare a delle prove prima di girare la scena, che viene in
parte “pilotata” dalla sua voce fuori campo che indirizza gli
attori, portandoli ad ottenere il risultato migliore e più vicino
alle sue aspettative.
Dorval cerca, allo stesso tempo, di
non “cristallizzare” i suoi attori in schemi fissi, ma di lasciarli
lavorare tranquillamente per permettere loro di tirar fuori il
meglio, permettendo così un processo di identificazione tra lo
spettatore, immerso nel buio della sala, e i personaggi che si
muovono sullo schermo. Un altro tema che è molto caro al giovane
regista canadese, è quello dell’identità sessuale: forse per via di
esperienze personali, o perché principalmente interessato al tema
del diverso nella società attuale, nell’arco dei suoi cinque film
ha cercato di analizzare, con sguardo critico e personale, questi
due aspetti, declinandoli attraverso storie differenti tra loro,
punti di vista disparati e personaggi complessi dalle mille
sfaccettature.
La sua attenzione è, quindi,
focalizzata sulla diversità in generale, sull’emarginazione che ne
consegue, perché la società in cui viviamo ha la tendenza a non
tollerare chi è diverso perché lo individua come un pericolo, un
elemento sovversivo che spinge a mettere in discussione l’operato
del mondo fino ad oggi. Non è un caso se è proprio da essa che ha
origine tutto quanto: le idee più innovative derivano da un
pensiero trasversale e da uno sguardo personalissimo lanciato sul
mondo. Alcuni giornalisti hanno paragonato il suo stile e il suo
approccio alla recitazione all’opera di registi del calibro di
Fassbinder o Cassavetes, ma- come ammette candidamente Dolan- lui
non ha nemmeno mai visto i loro film: non proviene da un ambiente
culturale colto, altolocato o d’essai, ma da un contesto
popolare- lo stesso che cerca di ricreare nei suoi film- e la sua
formazione scolastica si è interrotta a diciassette anni: niente
scuole specializzate, accademie, corsi o simili, l’unica fonte di
ispirazione è stata un’amica sceneggiatrice del padre attore che lo
ha spinto ad ampliare i suoi interessi culturali attraverso la
letteratura alta, affiancata dal consumo smodato di film a
noleggio, gli stessi che hanno segnato la sua infanzia e quella di
un’intera generazione, ispirandolo nei suoi progetti:
Jumanji, Mamma ho perso l’aereo, Batman- il ritorno,
Titanic ma anche Wong- Kar- Wai e Jane
Campion(Lezioni di Piano) lo
ispirano tutt’ora, spingendolo ad affermare che non esistono film
commerciali o d’autore, ma solo film brutti o belli, ben fatti o
meno; inoltre, confessa di lasciarsi spesso ispirare da fotografi e
pittori, con le loro soluzioni visive.
Le ultime domande hanno riguardato
la sua partecipazione ai prossimi Accademy Award e i suoi progetti
per il futuro: riguardo agli Oscar- dove il film è candidato per il
Canada come miglior film straniero- Dolan non si scompone e rimane
con i piedi per terra, affermando che anche lui è da sempre
affascinato da Hollywood e, in particolare, dalle prestigiose
cerimonie che seguiva da piccolo in tv; ma, vittoria o meno, rimane
fermo sulla sua strada, proseguendo con le riprese della sua
prossima fatica, un film in Inglese con prestigiosi attori
protagonisti- Jessica Chastain su tutti, nei panni
di una detestabile direttrice di una rivista di gossip- e sarà una
riflessione sulla fama, il successo, Hollywood e il cinema:
The Death and Life od Jonathan F Dolan,
questo il suo titolo, sarà incentrato- per la prima volta- su un
personaggio maschile, un attore trentenne che intraprende una
corrispondenza con un ragazzino di undici anni, e sul ruolo della
fama nelle vite di queste persone e in quelle delle loro famiglie,
con delle forti figure femminili di madri, e donne, che provano a
gestirla. La sua attenzione non sarà rivolta tanto ai meccanismi
dell’industria del cinema, ma a scavare nella vita privata dei
personaggi, letti attraverso il suo sguardo unico, personale e
strabiliante, quello di un regista canadese venticinquenne,
corteggiato da Hollywood, ma che per adesso si limita ad osservarla
da lontano, dalla sua Montreal.
Dopo la sua partecipazione in
concorso al Festival di Cannes 2014, dove è stato
premiato con il Premio della Giuria, arriva online il primo trailer
ufficiale di Mommy,
pellicola di Xavier Dolan.
In Mommysi
racconta la vita di Diane Despres (Anne
Dorval), una madre vedova ritrovatasi sola ad
allevare un figlio quindicenne (Antoine-Oliver
Pilon). In aiuto della donna, tuttavia, occorrerà una
vicina, Kyla (Suzanne Clement). La pellicola è al
momento alla ricerca di una distribuzione americana.
Il giovanissimo regista Canadese di
venticinque anni ha talento, e sa di averlo. Nel suo ultimo lavoro
Mommy in concorso a Cannes, Xavier Dolan dà il meglio di sé, concedendosi
anche un certo autocompiacimento stilistico, che alla fine sottrae
qualcosa al film.
Cominciamo infatti dalla primissima
cosa che salta agli occhi, ovvero il formato 1:1 piuttosto
insolito. Una composizione rettangolare ma verticale che è stata
anche definita “formato iPhone”. Scelta discutibile, ma
interessante e quantomeno funzionale: il film racconta infatti un
difficile rapporto tra una folle (in senso positivo) e energica
madre e l’iperattivo figlio disadattato affetto da ADHD (disturbo
comportamentale dell’autocontrollo); rapporto morboso, edipico, con
una sottesa pulsione erotica. La scelta quindi di isolare i
personaggi in una inquadratura opprimente e claustrofobica ha
sicuramente un fondamento narrativo. Inoltre, aiutato da un
intelligente uso della camera, porta a una intimità, soprattutto
nelle scene casalinghe, che potrebbe essere quella di un
home-movie.
Ma Dolan non si accontenta e quando
la storia sembra prendere una spensierata piega verso la libertà
dei personaggi, mette letteralmente in mano a uno di essi i lati
dello schermo facendoglieli allargare fino al formato 1.85:1, dando
così una boccata d’aria fresca al pubblico, il quale risponde con
un applauso a scena aperta.
Mommy, il film
Nonostante l’applauso però bisogna
dire che giocando in questo modo con l’immagine e adottando altri
facili espedienti stilistici come riprese a rallentatore e calde
luci avvolgenti, il giovane regista risulta un po’ autocelebrativo
e istrionico, senza aggiungere gran che alla pellicola, che sarebbe
rimasta di altissimo livello anche senza.
Mommy rimane
comunque pieno di energia e talento, con uno sguardo molto
affettuoso e non scontato sui suoi personaggi, nonostante il
discutibile rapporto tra madre e figlio.
Xavier Dolan ha dalla sua tre attori
incredibili nei loro ruoli: la madre Diane (Anne
Dorval) estremamente emotiva, il figlio Steve (
Antoine-Olivier Pilon) interpretato con una
fisicità assoluta a cui spesso la macchina da presa fatica a stare
dietro, e la vicina di casa Kyla (Suzanne Clement)
una donna con disturbi del linguaggio. E i punti più toccanti
arrivano quando Dolan lascia che i suoi attori mollino gli ormeggi
e prendano il largo nell’emotività dei personaggi, piuttosto che
quando il regista è tutto concentrato a sottolineare
stilisticamente la drammaticità di una scena.
Xavier Dolan è, senza dubbio, l’enfant
prodige della nuovo panorama cinematografico mondiale. E lo
conferma con l’uscita in sala della sua ultima fatica, il film
Mommy, (premiato col premio della Giuria
all’ultimo Festival di
Cannes) struggente e sfaccettato family movie
atipico e personale, basato sulla relazione improbabile tra tre
personaggi: Diane, suo figlio Steve e Kyla.
In Mommy Diane è
una donna forte, una “combattente nata” come la descrive Dolan, una
vedova che ha perso il marito da tre anni e si ritrova a dover
gestire di nuovo il carattere turbolento e difficile di suo figlio
Steve, affetto da disturbo del deficit di attenzione. Le loro vite
complicate, scandite da incomunicabilità, vuoti e silenzi sono
scosse dall’arrivo casuale della vicina di casa Kyla, un’insegnante
che cela le radici di un indecifrato disagio dietro la timidezza e
la balbuzie. Queste tre vite diventeranno complementari e
necessarie l’una all’altra, permettendo ad ognuno di loro di
inseguire un’ideale ricerca dell’equilibrio e una rinnovata
speranza.
La Mommy è
una dolente ballata di solitudini e libertà mancate, forse negate:
i protagonisti- che vivono tre vite spezzate e incomplete- sono
immortalati nella loro incapacità di vivere fino in fondo; l’occhio
personale e disincantato del giovane regista li cattura mentre
provano a lasciarsi andare agli eventi e alle situazioni che la
vita può porre lungo il cammino dell’esistenza, come delle
prove.
Le due figure materne, Diane “Die”
e Kyla, sono complementari tra loro, indispensabili l’una all’altra
per esistere e costituire- forse- un’unica figura completa di
Madre, quasi un archetipo freudiano: la prima, cheap,
vistosa, decaduta, mossa da una profonda voglia di vivere che la
spinge a compiere delle scelte drastiche in nome di una libertà
alla quale non si sente ancora di rinunciare, o forse in nome di
una paura atavica conosciuta come “solitudine” che sembra aleggiare
sul suo futuro, come uno spettro; la seconda, la vicina chiusa nel
suo mutismo, è incapace di abbandonare quella famiglia “castrante”
che si porta dietro e che le impedisce di esprimersi, ricordandole
forse qualche doloroso dettaglio del suo passato più recente del
quale non parla mai.
Da una parte, l’incapacità di
lasciarsi andare, dall’altra la paura della libertà e della
solitudine; in mezzo, c’è Steve. Il quindicenne affetto da un
disturbo, edipicamente “innamorato” della madre e impreparato
all’idea di doverla, prima o poi, lasciare. È lui che sembra
raggiungere, almeno per il tempo di una canzone e di
un’inquadratura, quel difficile equilibrio tra pesantezza e
leggerezza, conquistando finalmente quella libertà così ricca di
possibilità, ma allo stesso tempo spaventosa e crudele.
Mommy,
del quale Dolan firma regia e sceneggiatura, è una storia di tre
solitudini ingabbiate in un sobborgo, sintomatico della nostra
società: la scelta di girare col formato 1:1 marca proprio questo
senso di claustrofobia che accompagna la vita di queste persone,
lasciando spazio alla bellezza patinata, fresca e luminosa del
Cinemascope durante gli sporadici attimi di felicità e libertà.
Xavier Dolan, talentuoso regista, attore e
sceneggiatore canadese, nonché assiduo frequentatore delle
passerelle del Festival di Cannes, è attualmente
al lavoro su Mommy,
sua quinta pellicola da regista che vede
protagoniste Anne
Dorval e Suzanne Clement,
attrici con cui il regista aveva già collaborato in due pellicole
precedenti.
In attesa che Mommy raggiunga
le sale a cavallo tra il 2014 ed il 2015 vi proponiamo qui di
seguito una prima immagine del film:
In Mommy
si racconterà la vita di Diane Despres (Anne
Dorval), una madre vedova ritrovatasi sola ad
allevare un figlio quindicenne (Antoine-Oliver
Pilon). In aiuto della donna, tuttavia, occorrerà una
vicina, Kyla (Suzanne Clement).
Guarda la nuova clip di del
film vincitore del Premio della Giuria al Festival Di Cannes,
Mommy.
Il film è distribuito da Goodfilms ed uscirà nelle sale oggi 4
Dicembre. Mommy è diretto da
Xavier Dolan, e vede nel cast protagonisti
Anne Dorval, Antoine Oliver Pilon e Suzanne
Clément.
Sinossi: Un’esuberante
giovane mamma vedova, si vede costretta a prendere in custodia a
tempo pieno suo figlio, un turbolento quindicenne affetto dalla
sindrome da deficit di attenzione. Mentre i due cercano di far
quadrare i conti, affrontandosi e discutendo, Kyla, l’originale,
nuova ragazza del quartiere, offre loro il suo aiuto. Insieme,
troveranno un nuovo equilibrio, e tornerà la speranza.
Dopo aver lavorato per anni come
cameraman per Clint Eastwood dal film I
ponti di Madison Countyfino a film
come Mystic
River,
Million Dollar Baby,Sully
e Il
corriere – The Mule, Stephen Campanelli ha
debuttato alla regia con il thriller d’azione
Momentum, portato in sala nel 2015. Alla base del
racconto vi è un’intricata vicenda politica che coinvolge la
protagonista in modi inaspettati. Il tutto si svolge così tra
grandi sequenze d’azione, colpi di scena e un complotto da
sventare.
Sfortunatamente il film non ha
ricevuto molte attenzioni, ma il suo passaggio televisivo è ora
l’occasione per riscoprirlo e apprezzarlo anche al netto dei suoi
difetti. In questo articolo, approfondiamo dunque alcune delle
principali curiosità relative a Momentum.
Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare
ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast di attori e alla
spiegazione del finale. Infine, si elencheranno anche le principali
piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
La trama e il cast di Momentum
Protagonista della storia è
Alexis Faraday, misteriosa e spietata ladra di
professione, spinta da un suo ex partner a partecipare a un’ultima
lucrosa rapina a base di diamanti. Ben presto la donna si renderà
contro di essere però finita in una situazione ben più intricata.
Non solo la rapina fallisce, ma la donna assiste anche al brutale
omicidio di uno dei suo complici da parte di un sindacato
internazionale del crimine, che pare alla ricerca di una misteriosa
chiavetta.
Nel tentativo di scappare dalla
scena del crimine, Alex diventa bersaglio di Mr.
Washington, bello e spietato anche lui, capo della banda
di assassini, al soldo di un anonimo e influente senatore
americano. Da quel momento, l’unico scopo della giovane
donna è quello di scappare per salvarsi la vita, tentando comunque
di svelare il mistero che si cela dietro agli avvenimenti che la
vedono coinvolta.
Ad interpretare Alexis “Alex”
Farraday vi è l’attrice Olga Kurylenko, divenuta nota come Bond girl,
con il personaggio di Camille Montes nel ventiduesimo film della
saga, Quantum of Solace. Nel ruolo di Mr Washington vi è
l’attore James Purefoy, mentre
Lee-Anne Summers è Penny. Morgan
Freeman interpreta invece l’anonimo senatore, un ruolo
per il quale all’attore sono bastati due giorni di riprese. Freeman
ha offerto i suoi servizi a Stephen Campanelli per
il suo debutto alla regia, sulla base del loro precedente rapporto
di lavoro, quando Campanelli era cameraman di Clint Eastwood.
Cortesia di GoDigital
La spiegazione del finale del film
Prima dei titoli di testa si sente
il senatore degli Stati Uniti parlare con alcuni appaltatori della
difesa non visti. Stanno pianificando un evento che si tradurrà in
una guerra per loro e in una carica politica più alta per lui.
Successivamente, nel film, Alexis scopre questo clamoroso piano
autodistruttivo che avrebbe come obiettivo la città di Chicago e
come scopo fornire un espediente agli Stati Uniti per dare inizio
ad una nuova guerra. A quel punto, il senatore americano ideatore
di questo piano dà ordine di uccidere Alexis.
Il suo uomo, Washington, scopre però
che Alexis era una “specialista di ingresso” della CIA che si è
licenziata dopo che un lavoro a Beirut è andato male e sono state
uccise persone innocenti. I due si accordano però per fare uno
scambio alle 21 all’aeroporto di Città del Capo. Quella sera
all’aeroporto, ad Alex viene consegnata la chiave di un armadietto
dell’aeroporto. Washington è molto sospettoso nei confronti di
Alexis e insiste perché apra l’armadietto e poi la scatola.
Tuttavia, lei lo ha ingannato mettendo entrambi gli oggetti in uno
scomparto interno della scatola e quando questo viene aperto dalla
signora Clinton, esplode una bomba.
La Clinton viene gravemente ferita
al volto, ma è ancora in grado di combattere. Nel frattempo, il
terzo membro della squadra ha individuato e catturato Penny. La
polizia aeroportuale è ora coinvolta. Clinton sconfigge una squadra
di loro in un combattimento corpo a corpo, ma alla fine viene
colpito. Washington e Alex lottano e lei gli strappa la chiavetta
che Penny aveva nascosto nella sua cravatta. Stordisce Washington
con un colpo al volto e corre verso la porta del terminal.
Washington uccide un poliziotto che lo ostacola. Per tutto questo
tempo, il terzo cattivo ha trasportato una Penny soggiogata nel
caos del terminal.
Cortesia di GoDigital
Alex lo raggiunge e gli pianta un
proiettile in testa. Poi corre verso l’uscita. Washington è
circondato dalla polizia appena fuori dal terminal. Si ferma e alza
le mani. Penny si toglie la parrucca, cambia rapidamente aspetto e
cerca di uscire dal terminal. Alex esce e parla con Washington. Fa
un commento sugli scacchi: “Regina a Vescovo 5”, poi grida
“pistola” e si tuffa. La polizia apre il fuoco e Washington cade
sotto una pioggia di proiettili. Penny Fuller viene inizialmente
trattenuta come testimone, sulla scena del crimine, insieme a tutti
gli altri, ma viene rilasciata quando l’attenzione del detective
capo viene deviata altrove. Gli viene mostrata una borsa lasciata
sulla scena che contiene la testa di una donna, quella di
Jessica.
Alla testa è stata inferta una
ferita fresca al volto perché Alex aveva ricevuto una ferita simile
quando era stata colpita in banca da luci violette. Sulla scena
sono stati lasciati anche alcuni diamanti, ma si scopre che Penny
ha la maggior parte dei diamanti nella sua borsa. Esce per andare
dalla madre a prendere Matthew, suo figlio. Una squadra di
poliziotti dell’Interpol arriva insieme a Mr. MacArthur e prende il
controllo di tutto, ma è troppo tardi: Alex supera i controlli di
sicurezza con un passaporto falso ed è su un volo in partenza.
Con lei c’è anche un nuovo
collaboratore tecnico e i due visualizzano il video sul disco. Si
tratta della pianta di un edificio con grandi bombe nel
seminterrato. Chiama il cellulare di Washington, McArthur risponde
e lei gli comunica di conoscere i piani. Nelle scene finali,
il senatore e McArthur discutono della situazione. Il senatore si
chiede se lei sarà “avida o martire”. McArthur indica che sarà una
martire (un’eroina). Il senatore borbotta che i martiri devono
morire.
Cortesia di GoDigital
Momentum 2, il sequel si farà?
Dato questo finale aperto, in cui il
senatore è ancora a piede libero, c’era da aspettarsi un sequel che
portasse avanti il racconto. Tuttavia, lo scarso risultato
economico ottenuto dal film sembra aver bloccato ogni progetto a
riguardo. Sono infatti passati nove anni dall’uscita di
Momentum e ad oggi non si è sentito nulla riguardo
ad un sequel. È a questo punto lecito immaginare che non ci sarà
mai un proseguimento di quella storia, destinata dunque a rimanere
in sospeso.
Il trailer del film e dove vederlo in streaming e in TV
È possibile fruire di
Momentum grazie alla sua presenza su alcune delle
più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è
infatti disponibile nei cataloghi di Tim Vision e
Infinity+. Per vederlo, una volta scelta la
piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o
sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di
guardarlo in totale comodità e ad un’ottima qualità video. Il film
è inoltre presente nel palinsesto televisivo di venerdì 4
ottobre alle ore 21:00 sul canale
20 Mediaset.
Nella vita di ognuno di noi ci sono
piccoli momenti di felicità, o infelicità, considerati trascurabili
perché legati all’apparentemente insignificante, ma che spesso
racchiudono il senso di intere esistenze. Parte da queste premesse
Francesco
Piccolo per scrivere i suoi due libri Momenti di
trascurabile felicità e Momenti di
trascurabile infelicità. Libri ricchi di pensieri,
riflessioni e aforismi da cui il regista Daniele Luchetti trae
l’ispirazione per il suo nuovo film, intitolato appunto
Momenti di trascurabile felicità.
Protagonista del film è Paolo,
interpretato da Pif, che in seguito ad un’incidente in cui
perde la vita si ritrova in un paradiso che ha l’aspetto di un
grande ufficio postale. Qui gli viene comunicato che per via di un
errore sul momento della sua morte ha a disposizione ancora un’ora
e trentadue minuti di vita, durante la quale dovrà cercare di fare
i conti con i momenti salienti della sua vita e trovare il tempo
per salutare come si deve i suoi figli e sua moglie, interpretata
da Thony.
Per trarre un film da un materiale
di partenza così frammentato, Luchetti lavora insieme a Piccolo ad
una sceneggiatura che cerca di contenere molti dei momenti elencati
nei libri all’interno di un pretesto narrativo, quale è la storia
del protagonista Paolo. Questa linea narrativa viene però ben
presto sovrastata dal vero intento del film, ovvero quello di
costruirsi come flusso di pensieri e ricordi del protagonista.
Pensieri e ricordi molto spesso scollegati tra loro, che
abbracciano un’intera vita, dall’infanzia alla vita adulta.
Pensieri e ricordi in grado di realizzarsi in immagini suggestive,
capaci di trasmettere facilmente emozioni che vanno dalla
malinconia alla gioia. Perché, come ci tiene a sottolineare il
regista, tutti quanti possono riconoscersi in alcuni dei
trascurabili momenti di felicità del protagonista.
Presi singolarmente, o quasi,
questi momenti sono in grado di intrattenere e raccontare
l’importanza delle piccole cose, dei piccoli gesti. Tante piccole
storie, che osservate però all’interno del più ampio contesto del
film finiscono per generare un ritmo altalenante, con continui
salti temporali che rischiano di confondere lo spettatore e far
perdere la direzione della narrazione. Lentamente il film di
Luchetti si carica di intenzioni troppo grandi e complesse da
gestire, e la materia narrativa si dimostra non sorretta a
sufficienza dalla sceneggiatura, ma sembra invece affidarsi troppo
alla regia ed ai suoi, comunque bravi, attori protagonisti. Tra
questi, molto più di Pif, spiccano Renato Carpentieri,
che nei panni dell’angelo custode del protagonista sfoggia una
buona vena comica, e Thony, che interpretando
Agata, la moglie del protagonista, dà vita al personaggio più bello
del film. Una donna forte, dolce e profondamente umana.
È un esperimento riuscito in parte
quello di Momenti di trascurabile
felicità, che si affida ad una narrazione fatta di
frammenti che si rivela essere però un’arma a doppio taglio. Se da
un lato non mancano momenti di una certa attrattiva, allo stesso
tempo ben presenti sono anche quelli dove il ritmo e l’atmosfera si
spezzano, e l’assenza di una vera e propria vena comica, in grado
di farsi carico di ciò, impedisce al film di sbocciare
completamente.
Ci sono libri decisamente
inadattabili per il grande schermo e c’è chi invece quei libri
riesce comunque a trasportarli al cinema, magari costruendovi sopra
racconti che esulano da quello originario ma che mantengono fede al
cuore tematico di questo. Uno dei più recenti casi di questo tipo è
Momenti di trascurabile felicità
(qui la recensione), arrivato in
sala nel 2019 per la regia di Daniele Luchetti. Il
film è tratto dall’omonimo libro di Francesco
Piccolo, che per l’occasione ha curato anche la
sceneggiatura insieme allo stesso Luchetti.
Uscito nel 2010, e seguito poi nel
2015 da Momenti di trascurabile infelicità, lo scritto di
Piccolo è un racconto che procede per frammenti, descrivendo quei
piccoli momenti di gioia presenti nella vita di ognuno di noi.
Considerati trascurabili perché legati all’apparentemente
insignificante, questi racchiudono in realtà il senso di intere
esistenze. Adattare per il grande schermo un racconto privo di una
storia unica e coerente, però, era impresa piuttosto ardua, che
Luchetti ha risolto riunificando tutti questi momenti all’interno
di una storia originale.
Apprezzato da critica e pubblico, il
film si propone dunque come un divertente e commovente ritratto di
tutti quei momenti di felicità spesso trascurati, in cui ognuno può
però ritrovarsi. Prima di intraprendere una visione del film, però,
sarà certamente utile approfondire alcune delle principali
curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà
infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla
trama e al cast di attori.
Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
Momenti di trascurabile
felicità: la trama del film
Protagonista del film è
Paolo Federici, sposato con Agata
e padre di famiglia, il quale per una bravata finisce con l’essere
vittima di un incidente stradale: all’incrocio con un semaforo, in
sella al suo scooter, Paolo viene letteralmente travolto da un
camion. Subito dopo, però, si ritrova in paradiso quantomai
caotico, simile ad un ufficio postale, con lunghe code di persone
in attesa di sapere quale sarà il loro destino. Qui, dopo aver
scoperto un errore nel conteggio del tempo che gli rimaneva da
vivere, gli viene concesso di ritornare sulla Terra, sotto la
supervisione di un angelo.
Paolo ha però a disposizione solo
un’ora e trentadue minuti, durante i quali dovrà sistemare tutte le
faccende importanti rimaste in sospeso. Nulla di significativo
sembra però attuabile in quel tempo ridotto, e Paolo dovrà
accontentarsi di trascorrere i suoi novantadue minuti in piccoli
“momenti di trascurabile felicità”, che appariranno ora ai suoi
occhi quanto mai significativi. Riassaggiando la bellezza della
vita, allo scadere del tempo Paolo farà di tutto per non dover
tornare in Paradiso.
Momenti di trascurabile
felicità: il cast del film
Nel ruolo del protagonista Paolo
Federici si ritrova Pierfrancesco Diliberto,
meglio noto come Pif. Con questo film
egli torna al cinema dopo tre anni di assenza, quando aveva diretto
e interpretato In guerra per amore. Dedicandosi a
Momenti di trascurabile felicità Pif ha dichiarato di
essersi preparato al suo personaggio ricercando quante più cose in
comune con questo, soffermandosi sul notare i propri momenti di
trascurabile felicità. Nel ruolo di Agatha, la moglie di Paolo, vi
è invece la cantante e attrice Thony. Prima di
questo film aveva già recitato in Tutti i santi giorni, Ho
ucciso Napoleone eL’ospite. Per la sua
interpretazione in Momenti di trascurabile felicità ha poi
ricevuto la nomination come miglior attrice protagonista ai Nastri
d’Argento.
L’attore Renato Carpentieri, visto
recentemente nei film Una storia senza nome, Ride,
Hammamet e La vita davanti a sé, compare qui nel
ruolo dell’angelo del Paradiso incaricato di accompagnare Paolo nel
suo breve ritorno sulla Terra. Nel film compaiono poi anche
Franz Cantalupo nel ruolo di Giuseppe e
Vincenzo Ferrera in quelli di Carmine.
Quest’ultimo torna così al cinema dopo aver recitato in televisione
in Un posto al sole, Boris Giuliano – Un poliziotto a
Palermo e Il cacciatore. Vi sono infine anche
Roberta Caronia nel ruolo di Silvana,
Angelica Alleruzzo in quello di Aurora e
Francesco Giammanco nei panni di Filippo.
Momenti di trascurabile
felicità: il trailer e dove vedere il film in streaming e in
TV
È possibile fruire del film grazie
alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme
streaming presenti oggi in rete. Ogni tuo
respiro è infatti disponibile nei cataloghi di
Rakuten TV, Chili, Infinity, Apple iTunes, Amazon Prime Video e Netflix. Per vederlo, una volta scelta la
piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o
sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di
guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È
bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un dato limite
temporale entro cui guardare il titolo. Il film è inoltre presente
nel palinsesto televisivo di sabato 22 ottobre
alle ore 22:50 sul canale Rai
Movie.
Ecco il trailer di Momenti di trascurabile felicità, il nuovo
film di Daniele Luchetti, liberamente tratto da
Momenti di trascurabile felicità e Momenti di trascurabile
infelicità (Einaudi editore) di Francesco
Piccolo.
Protagonisti del film sono
Pif, Thony e Renato
Carpentieri.
Lo yoga e l’Autan non sono in
contraddizione? La luce del frigorifero si spegne veramente quando
lo chiudiamo? Perché il primo taxi della fila non è mai davvero il
primo? Perché il martello frangi vetro è chiuso spesso dentro una
bacheca di vetro? E la frase: ti penso sempre, ma non tutti i
giorni, che sembra bella, è davvero bella? A queste, e ad altre
questioni fondamentali, cerca di dare una risposta Paolo (Pif), cui
rimangono solo 1 ora e 32 minuti per fare i conti con i punti
salienti della sua vita.
Liberamente tratto dai libri
Momenti di trascurabile felicità e Momenti di
trascurabile infelicità, di Francesco Piccolo,
il nuovo film di Daniele Luchetti,
intitolato appunto Momenti di trascurabile felicità ha
per protagonista Pif, a cui
è concessa un’ora e trentadue minuti per fare i conti con i momenti
salienti della sua vita. Nel film sono presenti anche la cantante e
attrice Thony e Renato Carpentieri. Il film
arriverà al cinema a partire dal 14 marzo, distribuito da 01
Distribution.
Ad aprire la conferenza stampa è
proprio il regista e sceneggiatore, Daniele
Luchetti, che descrive il complesso processo di
trasposizione dai romanzi al film. “Amo i due libri di
Francesco Piccolo. Penso che tra i tanti paragrafi di queste
memorie minime e immaginarie ci sia qualcosa che prima o poi
riguarda tutti noi. L’intento mio e di Francesco è stato quello di
inserire questi frammenti in un contesto più ampio. È stato molto
complesso. Per riuscirci abbiamo unito tutti questi momenti come
pezzi di un puzzle, che altri non è se non la vita. Partendo dallo
spunto di un personaggio che in punto di morte fa un bilancio della
propria vita siamo riusciti a costruire un film composto di tanti
piccoli momenti a sé.
L’autore dei libri e co-autore
della sceneggiatura, Francesco Piccolo, racconta
poi la scelta di usare una frequente voice-over all’interno del
film. “Nella prima stesura abbiamo provato a costruire le scene
senza l’uso della voice-over, – spiega Piccolo – ma ben
presto ci siamo accorti che era necessario, che il suo utilizzo
poteva dare ancor di più l’idea di un flusso di coscienza del
protagonista. Alla fine usarla ha aggiunto narrazione e significato
ai vari momenti che si succedono nel film.”
Particolarmente importante nel film
è la colonna sonora, che si avvale anche di brani di Claudio Villa,
Anna Oxa e Adriano Celentano. “Al momento del montaggio,
– racconta Luchetti – abbiamo ricercato quelle canzoni
che meglio potessero sposarsi con le immagini, arricchendole di
significato. Spesso la ricerca di questi brani ha portato risultati
straordinari, e credo non potessero esserci alternative migliori a
quelle trovate.”
La parola passa poi ai tre attori
protagonisti, a cui viene chiesto cosa farebbero se avessero a
disposizione solo novantadue minuti rimanenti di vita. “Non so
trovare una risposta originale. – dichiara
Pif – Inizialmente pensavo che mi sarei voluto
togliere tanti sassi dalle scarpe, dicendo esplicitamente ciò che
penso di determinate persone e situazioni. Ma pensandoci bene credo
che preferire anche io, come il mio personaggio, ricercare quella
felicità data dagli affetti e dalle piccole cose a cui spesso non
diamo importanza. Ognuno di noi conserva momenti di trascurabile
felicità o infelicità. Spesso questi momenti sono i più importanti
in fine dei conti, e spero che ogni spettatore che esca dal cinema
dopo aver visto il film possa fare un proprio personale
bilancio.”
“Io pubblicherei ogni cosa
brutta che mi riguarda, – esclama invece
Thony – dai selfie brutti alle mie canzoni che
non mi piacciono. Getterei via ogni maschera, mi libererei della
pressione di dover essere sempre perfetta e mi mostrerei imperfetta
come è invece bello essere.”
“C’è una vecchia storia che
racconta di un uomo che in punto di morte si mise a risolvere
problemi di matematica. – risponde Renato
Carpentieri – Probabilmente è ciò che farei anche io.
Penso proprio che in fin di vita mi metterò a risolvere problemi
matematici, non potendo risolvere quello più grande della
vita.
La Warner Bros. comunica che la
data di uscita italiana di Molto Forte, Incredibilmente
Vicino è slittata ulteriormente. Dal 13
aprile, data che a sua volta era stata scelta dopo un
primo rinvio, il film è slittato al 23
maggio.
Uscito il 20 gennaio negli Usa,
candidato all’Oscar 2012 come miglior film, programmato qui in
Italia per marzo e poi slittato al 23 maggio, finalmente arriva nei
nostri cinema Molto forte, incredibilmente vicino,
il film drammatico diretto da Stephen Daldry e tratto dal bellissimo e
omonimo romanzo di Jonathan Safran Foer.
Molto forte, incredibilmente vicino: la
trama
Il piccolo Oskar è un bambino
strano, ha paura di ogni cosa, ha difficoltà a parlare con gli
estranei, ama il padre sopra ogni cosa e solo con lui ha un
rapporto speciale, fatto di indovinelli, ricerche e spedizioni,
piccoli sotterfugi che il padre utilizza per spingere il figlio a
non aver paura del mondo. La tragedia dell’11 settembre però
strapperà alla vita il papà di Oskar, lasciandolo nella
disperazione più totale dal momento che il ragazzino non riesce a
trovare un senso all’attentato e alla morte del padre. Ad un anno
dal “giorno peggiore”, così come Oskar lo ha ribattezzato, lui
trova una chiave negli oggetti del padre e decide di andare alla
ricerca della serratura che quella chiave apre, convinto che quello
sia il senso della morte del padre e l’ultimo messaggio che ha
voluto lasciargli.
Avvincente e tragico
Molto forte,
incredibilmente vicino si annuncia già vincente, per pochi
e semplici elementi che lo caratterizzano: il protagonista bambino,
uno straordinario Thomas Horn; una tragedia sconvolgente e
coinvolgente sullo sfondo della vicenda; attori del calibro di
Tom Hanks,
Sandra Bullock e Max Von Sydow a fare
da comprimari; un regista che sa il fatto suo. Stephen Daldry, che
con Molto Forte Incredibilmente Vicino colleziona la sua quarta
nomination agli Oscar su quattro film realizzati, propone un film
che non si crogiola nel ricatti emotivo e nella sofferenza
gratuita, ma che risulta sinceramente drammatico e coinvolgente,
condotto con un’eleganza tale da rendere New York non solo
bellissima, ma anche luminosa, opprimente e sconcertante a seconda
dello stato d’animo del protagonista.
Un ragazzino, questo Thomas Horn,
che promette di avere un bel futuro al cinema, considerati i suoi
enormi occhi tristi e la sua impressionante bravura; ma dopotutto
Daldry non è nuovo alla collaborazione con giovani attori, dal
momento che con Billy Elliot ha fatto di Jamie Bell una rivelazione cinematografica e
di se stesso uno dei migliori registi della sua generazione. Ma è
la potenza emotiva della storia a realizzare in questo film la vera
quadratura del cerchio, la caratterizzazione dei personaggi, la
misteriosa presenza del personaggio interpretato da Max Von
Sydow e il dolore, la ferita aperta per un evento che ha
spaccato il cuore di una Nazione, un dolore ancora fresco
nonostante i 10 anni trascorsi dal quel “giorno peggiore”.
Interessante la partitura
realizzata da Alexander Desplat, che in questo
film sembra aver preso lezioni da Philip Glass,
già collaboratore di Daldry in The Hours; il
risultato è una colonna sonora coinvolgente e poetica, che
accompagna le immagini e i movimenti di macchina, raccontando con
una quarta dimensione la ricerca di senso che Oskar vuole portare a
termine a tutti i costi. Se proprio il film ha un difetto, questo
va cercato nell’estrema lunghezza, nell’indugiare troppe volte su
piani e inquadrature che ne dilatano oltre modo la durata, ben 2
ore e 9 minuti. Molto Lungo Incredibilmente Commovente.
Basato sull’omonimo
romanzo di grande successo di Jonathan Safran Foer, Molto Forte,
Incredibilmente Vicino racconta la storia del viaggio di un ragazzo
da una perdita devastante alla scoperta di se stesso, sullo sfondo
gli eventi tragici dell’11 Settembre. L’undicenne Oskar Schell è un
bambino veramente straordinario: un inventore, un Francofilo ed un
pacifista. Dopo aver trovato una chiave misteriosa che apparteneva
a suo padre, morto nell’attentato alle torri gemelle a New York, si
imbarca in un viaggio straordinario, una ricerca immediata e
segreta attraverso le cinque contee di New York. Mentre Oskar si
aggira per la città, incontra una variegata umanità, ognuno un
sopravvissuto a modo suo. In fine, il viaggio di Oskar termina dove
è iniziato, ma con il conforto e la consolazione dell’esperienza
umana più forte: l’amore.
L’attentato terroristico dell’11
settembre alle Torri Gemelle è un evento che ha sconvolto il mondo
intero, cambiandolo per sempre. Inevitabile che nel corso degli
anni successivi si continuasse a riflettere su quanto accaduto,
affrontando il tutto da quanti più punti di vista diversi
possibile. Se molti titoli si sono concentrati sul ritrarre gli
eroi che hanno aiutato come possibile in quella situazione, e altri
ancora hanno raccontato le operazioni militari scaturite da
quell’attentato, il film del 2011 Molto forte
incredibilmente vicino (qui la recensione) si concentra
invece su un mistero che lega un padre e un figlio, separati
dall’attentato ma uniti nella memoria.
Al momento della sua uscita in sala,
il film ha raccolto opinioni contrastanti, che non gli hanno però
impedito di ottenere una nomination all’Oscar come miglior film.
Molto forte incredibilmente vicino rimane ancora oggi un
film molto delicato e toccante su un argomento quantomai
traumatico. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà
certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità
relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti
possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi al
libro da cui è tratto, alla trama
e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche
le principali piattaforme streaming contenenti il
film nel proprio catalogo.
Molto forte incredibilmente
vicino: il libro di Jonathan Safran Foer
Nel 2005 viene pubblicato il romanzo
Molto forte incredibilmente vicino, opera seconda di
Jonathan Safran Foer e uno dei primi libri ad
affrontare il tema degli attacchi terroristici dell’11 settembre.
Dal racconto di quell’evento si affrontano ulteriori tematiche come
il lutto, i rapporti famigliari e i modi in cui una famiglia possa
trasformarsi senza distruggersi mai. Nel scegliere come
protagonista un bambino, Foer ha affermato che l’incapacità di tale
personaggio di comprendere un evento tanto terrificante è la stessa
che anche i più adulti riscontrano nel trattare dell’attentato.
Poiché il linguaggio sembrava non offrire soluzioni concrete,
affidarsi alla narrazione fatta da un bambino era il solo modo per
dar vita a questa difficoltà.
Obiettivo dello scrittore è dunque
quello di cercare di dare forma al trauma, potendolo così
descrivere e affrontare. Il libro è in breve diventato uno dei più
apprezzati e letti sull’argomento e il suo impatto culturale
sull’argomento è ancora oggi estremamente forte. In particolare, il
romanzo di Foer rimane fondamentale per il suo partire da una
tragedia per ricercare, lentamente e non senza dolore, una luce nel
buio, una speranza a cui potersi aggrappare per il futuro.
Molto forte incredibilmente vicino cerca infatti di
aiutare a superare la paura e la rabbia, cercando di far esprimere
questi sentimenti al fine di poterli comprendere e sconfiggere.
Molto forte incredibilmente
vicino: la trama e il cast del film
Protagonista del
film è il giovane Oskar Schell, il quale ha
tragicamente perso il padre durante gli attentati dell’11
settembre. Lo shock per la scomparsa dell’uomo ha lasciato ferite
indelebili nel cuore della moglie Linda e
nell’anima del piccolo Oskar. L’unico modo per lui di affrontare ed
elaborare il lutto sarà il cimentarsi in uno dei giochi che faceva
con il padre, una vera e propria caccia al tesoro dove l’unico
indizio è una chiave trovata per caso. La corrispondente serratura
diventerà dunque l’obiettivo da raggiungere per trovare una qualche
risposta, ma anche un modo per non perdere il ricordo di un padre
tanto amato. Per scoprire a chi appartiene la chiave Oskar sarà
aiutato da un anziano e misterioso uomo che oltre ad essere
praticamente muto a seguito dello shock, cela un grande
segreto.
Ad interpretare il piccolo Oskar
Schell vi è Thomas Horn, attore privo di
esperienze cinematografiche ma che si era reso celebre grazie alla
partecipazione al programma Jeopardy! Kids Week. Nei panni
della madre Linda vi è invece SandraBullock, la quale ha raccontato di essere
stata a New York il giorno dell’attentato, ricordando perfettamente
la paura e lo shock. Il premio Oscar Tom Hanks
interpreta invece l’adorato padre Thomas. Il celebre attore svedese
Max von Sydow recita nel ruolo dell’uomo muto,
interpretazione che gli è valsa una candidatura come miglior attore
non protagonista agli Oscar. Completano il cast Viola Davis nel
ruolo di Abby Black, Jeffrey Wright
in quelli di William Black e John Goodman
nei panni di Stan il portiere.
Molto forte incredibilmente
vicino: le frasi, il trailer e dove vedere il film in
streaming e in TV
è possibile fruire della sua
presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming
presenti oggi in rete. Molto forte incredibilmente
vicino è infatti disponibile nei cataloghi di
Rakuten TV, Chili, Google Play, Infinity,Apple iTunes, Tim Vision e Amazon Prime Video. Per vederlo, una
volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il
singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così
modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità
video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un
dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è
inoltre presente nel palinsesto televisivo di mercoledì 11 maggio alle ore
21:00 sul canale Iris.
Qui di seguito si riportano invece
alcune delle frasi più belle e significative pronunciate dai
personaggi del film. Attraverso queste si potrà certamente
comprendere meglio il tono del film, i suoi temi e le variegate
personalità dei protagonisti. Ecco dunque le frasi più belle del
film:
“Se
il sole esplodesse, non ce ne accorgeremmo per otto minuti: il
tempo che impiega la luce ad arrivare fino a noi. Per otto minuti,
il mondo sarebbe ancora illuminato e sentiremmo ancora caldo. Era
passato un anno dalla morte di mio padre e sentivo che i miei otto
minuti con lui stavano per scadere.”(Oskar)
“Ho
perso un figlio. L’ho perso prima che morisse. Sono andato via.
Avevo paura. Paura di perderlo. Avevo paura che vivesse. Perché la
vita è più spaventosa della morte.”(Max von Sydow)
“Se le cose fossero facili da
trovare, non varrebbe la pena trovarle” (Thomas Schell)
“Quella sera mi sono sentito incredibilmente vicino a
ogni cosa nell’universo, ma anche straordinariamente solo. Per la
prima volta in vita mia mi sono chiesto se la vita valeva tutta la
fatica che serve per vivere. Perché, esattamente, valeva la pena di
vivere?” (Oskar)
Serata all’insegna del film drammatico quella in
programmazione alle 21 su Canale 5 dove infatti, andrà in onda il
film Molto forte incredibilmente vicino,
con protagonisti Tom Hanks e Thomas Horn,
Sandra Bullock e Max Von Sydow. Diretto dal
regista candidato all’Oscar Stephen Daldry, la
pellicola racconta il dramma di un bambino che ha perso il padre
durante gli attentati dell’11 settembre.
Curiosità:
– Il film ha ottenuto due
candidature agli Oscar per il miglior film e il miglior attore non
protagonista (Max Von Sydow).
– Sandra Bullock (Linda Schell) era
a New York con la sua famiglia l’11 settembre 2001 e ha visto il
secondo aereo, il volo United Airlines 175, che si schiantava
contro la torre sud del World Trade Center.
– L’attore James Gandolfini ha
girato alcune scene nei panni di un uomo che incontra il
personaggio di Sandra Bullock durante uan riunione di un gruppo di
sostegno, ma sono state tagliate dal film a causa di una reazione
negativa del pubblico ad alcune proiezioni di prova.
– Stephen Daldry e il produttore
Scott Rudin hanno lavorato su questo adattamento del romanzo di
Jonathan Safran Foer per cinque anni.
– Questo è il secondo film legato
agli attacchi terroristici dell’11 settembre ad essere nominato per
un Oscar. Il primo è stato United 93 (2006). Entrambi i
film sono stati nominati per due premi Oscar, ma nessuno dei due
film ha vinto la statuetta. World Trade Center (2006) non
è stato candidato all’Oscar come peraltro 11 settembre
2001 (2002) o il più vagamente correlato La 25ª ora
(2002)
– Il film costato 45 milioni di
dollari ne ha incassati worldwide circa 55.
Trama: Oskar
Schell (Thomas Horn) ha perso il padre (Tom Hanks) durante gli
attentati dell’11 settembre, lo shock per la sua scomparsa ha
lasciato ferite indelebili nel cuore della moglie Linda (Sandra
Bullock) e nell’anima del piccolo Oskar afflitto da un vuoto
incolmabile.
L’unico modo per
Oskar di affrontare il lutto e di elaborare tutto quel dolore sarà
cimentarsi in uno dei giochi che faceva con il padre, una vera e
propria caccia al tesoro dove l’unico indizio è una chiave trovata
per caso, la cui corrispondente serratura diventerà l’obiettivo da
raggiungere per trovare una qualche risposta, ma anche un modo per
non perdere il ricordo di un padre tanto amato, il cui corpo mai
ritrovato ha costretto Oskar e la madre a piangere su una bara
vuota. Oskar userà la sua creatività. l’intelligenza e il suo
straordinario modo di guardare e percepire il mondo che lo circonda
per scoprire a chi appartiene la chiave e nel farlo sarà aiutato da
un anziano e misterioso uomo (Max von Sydow) che oltre ad essere
praticamente muto, cela un segreto.
Un famoso detto
afferma: “tre indizi fanno una prova”; qui più che indizi abbiamo
tre nomi: Stephen Daldry, Johnatan Safran Foer ed Eric Roth.
Il primo è uno straordinario regista britannico che dal 2000 ad
oggi ha collezionato tre candidature agli Oscar per Billy Elliot
(2000), The Hours (2002) e The reader – A voce alta (2008);
Aaron Sorkin è
conosciuto a livello internazionale come uno degli sceneggiatori
più importanti del cinema statunitense. Autore di acclamati film
come Codice d’onore, L’arte di vincere e Steve
Jobs, nel 2010 è infine arrivato a vincere l’Oscar per il film
The Social Network. Nel
2017, infine, egli ha deciso di firmare anche la sua prima regia,
portando al cinema Molly’s Game (qui la recensione), acclamato
film biografico dedicato a Molly Bloom ed alla sua
straordinaria attività nel complesso e controverso mondo del poker,
che le ha causato non pochi problemi. Come solito nelle opere di
Sorkin, ne nasce un film brillante, teso ed estremamente
coinvolgente.
Sorkin scrive la sua sceneggiatura
a partire dal libro di memorie Molly’s Game: From Hollywood
Elite to Wal Street’s Billionaire Boys Club, My High-Stakes
Adventure in the World of Underground Poker. Dalla travagliata
vicenda di questa donna, lo sceneggiatore e regista trae un
racconto incentrato sul desiderio di rialzarsi dopo una brutta
caduta, sul non arrendersi davanti alle avversità. La parabola di
Molly è estremamente chiara circa tale tematica, dimostrando quanto
solida possa essere la struttura su cui Sorkin costruisce le sue
opere.
Acclamato da pubblico e critica, il
film ha guadagnato numerosi premi a livello mondiale, tra cui anche
una nuova nomination all’Oscar per la sceneggiatura non originale
per Sorkin. Per quanti amano il suo cinema e le sue storie,
Molly’s Game è un titolo assolutamente imperdibile. Prima
di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile
approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo.
Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare
ulteriori dettagli relativi alla trama, al
cast di attori e alla vera storia dietro
il film. Infine, si elencheranno anche le principali
piattaforme streaming contenenti il film nel
proprio catalogo.
Molly’s Game: la trama del film
Protagonista del film è
Molly Bloom, una giovane e carismatica speranza
olimpica dello sci, costretta ad abbandonare lo sport dopo una
grave lesione fisica. Costretta a costruirsi una nuova carriera,
Molly intraprende gli studi di legge, ottenendo poi un lavoro
estivo che la introduce all’ambiente del poker clandestino. Da qui
Molly inizia una scalata al potere apparentemente inarrestabile, ma
tutto prende una piega inaspettata quando si ritrova arrestata in
piena notte dall’FBI. Costretta ad affrontare le accuse a suo
carico per gioco d’azzardo illegale, Molly potrà contare su quello
che è il suo unico alleato, l’avvocato difensore Charlie
Jaffey, inizialmente riluttante ad assumere il caso, ma
che si convincerà infine scoprendo che c’è molto di più in Molly
Bloom di quello che le volgari storie da tabloid rivelano.
Molly’s Game: il cast del film
Ad interpretare la carismatica
Molly Bloom vi è la candidata all’Oscar Jessica
Chastain. A volerla è stata la stessa Bloom,
affermando che l’attrice sarebbe stata perfetta per il ruolo. Lo
stesso Sorkin rimase stregato da lei, affidandole il ruolo. Per
prepararsi alla parte, la Chastain ebbe modo di incontrare la donna
che si apprestava ad interpretare, apprendendo da lei quanto
necessario per la sua interpretazione. Allo stesso modo, studiò il
mondo del poker, al fine di scoprire i segreti. Accanto a lei, nei
panni dell’avvocato Charlie Jaffey vi è invece l’attore Idris Elba. A
causa di suoi altri impegni, Elba ebbe solo 10 giorni per girare
tutte le sue scene.
Nel ruolo di Larry Bloom, il severo
padre di Molly, vi è l’attore Kevin Costner,
il quale accettò poiché interessato all’animo di quell’uomo così
complesso. Nel film è poi presente l’attore Michael
Cera nei panni del Giocatore X, un personaggio composito
vagamente ispirato a Tobey Maguire, il quale era
solito frequentare gli eventi organizzati dalla Bloom.
Jeremy Strong è Dean Keith, l’uomo che introduce
Molly al mondo del poker, mentre Bill Camp è
Harlan Eustice, uno dei giocatori di poker. Tutti gli altri
giocatori di carte nel film sono reali professionisti del poker.
Sorkin voleva infatti del realismo a riguardo, riscontrabile in
particolare nel modo in cui i giocatori maneggiano le carte durante
le partite.
Molly’s Game: la vera storia
dietro il film
Il film di Sorkin, nonostante
alcune necessarie modifiche, risulta particolarmente fedele alla
storia di Molly Bloom, la quale ha collaborato come consulente del
film. Come viene mostrato, questa era davvero una promettente
sciatrice, la quale vide interrotta la sua carriera sportiva a
causa di un brutto incidente. Successivamente, mentre si prendeva
un anno di pausa tra la laurea e la scuola di legge, nel 2003 Molly
è andata a Los Angeles, iniziando a svolgere diversi lavori, tra
cui quella di cameriera e assistente di direzione dell’imprenditore
immobiliare Darin Feinstein, uno dei comproprietari della discoteca
di Hollywood The Viper Room. Grazie a lui, Molly è stata introdotta
all’ambiente, imparandone i segreti e conoscendo i giocatori più
influenti.
Come avviene poi nel film, quando
Darin ha licenziato Molly, questa ha deciso di utilizzare i
contatti che aveva ottenuto per avviare una serie di partite di
poker da lei gestite. Agli eventi organizzati da Molly hanno
partecipato numerose celebrità di Hollywood, nomi come
Tobey Maguire, Matt
Damon, Ben
Affleck, Leonardo Di Caprio e Macaulay
Culkin. Molti altri nomi rimangono ad oggi ancora segreti.
Nel momento in cui il circolo di Molly iniziava a crescere, questa
si vide costretta prendere una percentuale dal piatto, infrangendo
però così una legge federale. Arrestata e portata in tribunale,
Molly riuscì infine ad ottenere una pena di soli mille dollari e
200 ore di servizi alla comunità. Pentita, oggi Molly è una
motivatrice che aiuta altre donne ad ottenere successo nella
vita.
Molly’s Game: il trailer e dove
vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire del film grazie
alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme
streaming presenti oggi in rete. Molly’s
Game è infatti disponibile nei cataloghi di
Rakuten TV, Chili Cinema,
Google Play, Apple iTunes, Tim Vision e Amazon Prime Video. Per vederlo, una
volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il
singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così
modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità
video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di
giovedì 10 giugno alle ore 21:10
sul canale Rai Movie.
Le grandi personalità piacciono ad
Aaron Sorkin e non poteva sceglierne una migliore
per affrontare addirittura il suo primo viaggio dietro alla
macchina da presa, e così Molly’s Game diventa
l’esordio da regista di uno dei più grandi sceneggiatori del nostro
tempo. Dopo Mark Zuckerberg e Steve Jobs, Sorkin sceglie Molly
Bloom per collezionare un altro grande ritratto di un
personaggio abituato ad eccellere che si scontra contro le
avversità del suo lavoro, ma anche della sua vita, della sua
famiglia. E forse sarebbe più indicato pensare al Billy
Beane de L’Arte di Vincere per parlare di questa
magnifica eroina: entrambi figure di successo che alla fine si
confrontano con la propria sconfitta, aumentando la loro statura
eroica di fronte al pubblico.
Il film racconta la storia vera di
Molly
Bloom ex sciatrice del Colorado di fama mondiale. Un
brutto incidente, durante le Olimpiadi del 2004, la costringe a
ritirarsi dalla carriera agonistica per dedicarsi allo studio.
Tuttavia il trasferimento a Los Angeles le mostrerà altre
possibilità, un’altra vita, in cui Molly, per competenza e indole,
non può che eccellere. Per otto anni Molly Bloom incassa 4 milioni
di dollari l’anno dal giro: da semplice cassiera a regina del
tavolo, un giro di poker clandestino che coinvolge campioni dello
sport, uomini d’affari, imprenditori e, a sua insaputa, vertici
della mafia russa. Fino a che l’FBI non scopre tutto e smantella il
giro di Molly. La donna comincia una lunga battaglia legale con al
suo fianco solo Charley Jaffey, il suo avvocato
che impara a conoscerla, e noi con lui.
Molly’s Game è
l’esordio alla regia di Aaron Sorkin
Alternando il legal drama del
presente con la biografia più pura, Aaron Sorkin
si muove tra passato e presente per costruire la storia umana e
familiare di Molly. Non si tratta del poker, pure se lo
sceneggiatore e regista ne ha studiato tecniche, terminologie e
atmosfere, ma solo della nostra protagonista, una donna determinata
e allenata a essere la migliore, da un padre durissimo e
intransigente. Proprio nel rapporto con la figura paterna, con
l’uomo di potere, la storia trova la sua chiave di lettura, così
come Sorkin aveva fatto in Steve Jobs, così come aveva accennato in
L’Arte di Vincere.
Insomma ancor prima di mettersi
dietro alla macchina da presa, Sorkin era un autore, e lo conferma
con questa sua prima prova registica. Certo, spesso le immagini si
trovano in affanno di fronte alla velocità delle parole,
soprattutto nei serrati scambi tra
Jessica Chastain e Idris Elba, ma lo sceneggiatore dimostra, anzi
conferma di sapere ciò che vuole raccontare, sul come farlo, c’è
tempo per affinare la mano.
Dopotutto Sorkin si è affidato a
Jessica Chastain, una vera e propria garanzia,
una bellezza d’acciaio che, pur non sfigurando in nessun genere,
trova nei ruoli drammatici di donne dallo spirito di granito la sua
più elegante ed efficace espressione di talento, che l’attrice
mette tutto al servizio della storia e della sua Molly: bellissima,
vincente, determinata, indipendente.
Dove Sorkin scivola rovinosamente è
proprio sulla motivazione della protagonista, il voler addossare a
Molly, persona tridimensionale, un trauma edipico che lo porta a
semplificare, nel finale, tutto il suo operato, le sue scelte,
banalizzando la sua protagonista in favore dell’esigenza di far
quadrare il cerchio.
C’è lo sforzo, da parte del
narratore, di dare spessore morale alla sua protagonista,
trasformando ancora una volta il personaggio portante di una sua
storia in un faro di integrità, uno specchio per l’America. Ma,
paradossalmente, sono proprio lo sviluppo narrativo e la svolta
finale il punto in cui Molly’s Game si blocca, ed
è un peccato che di fronte a una personalità così sorkiniana, ma
anche così americana, lo sceneggiatore e regista si sia troppo
lasciato convincere dalla semplicistica spiegazione
psicoanalitica.
Molly’s
Game: in arrivo una nuova featurette realizzata dalla
STXfilms del film con Jessica
Chastain, Idris Elba,Kevin
Costner, Michael Cera, Chris O’Down e Bill Camp.
Molly’s
Game è basato sulla storia vera di Molly
Bloom, una sciatrice olimpica che entra a far parte nel
giro più esclusivo dei giocatori di poker per un decennio prima di
essere arrestata nel bel mezzo della notte da diciassette agenti
dell’ FBI armati.
Di seguito una nuova featurette dal
film che ci porta dietro le quinte:
Gioca con l’alta società di
Hollywwod, con star dello sport, colossi del business e a sua
insaputa anche con la criminalità russa. L’avvocato Charlie Jaffey
è sempre accanto a lei e scopre che Molly è molto di più di quello
che mostrano i tabloid.
Molly’s
Game sarà pronto il giorno di Natale e uscirà il 5
Gennaio.
STX
Entertainment ha diffuso il nuovo trailer di Molly’s
Game, l’esordio alla regia di Aaron
Sorkin, sceneggiatore premio Oscar per The Social
Network, che vede protagonista una magnifica
Jessica Chastain.
Molly’s Game con Jessica
Chastain arriva al cinema il 22 novembre
Idris Elba si
aggiunge a Jessica Chastain in Molly’s
Game, l’esordio alla regia del geniale sceneggiatore,
premio Oscar per The Social
Network, Aaron Sorkin. Sorkin
ha firmato la sceneggiatura di Molly’s Game che è basato sulle
memorie di Molly Bloom. Anche in questo lavoro,
Sorkin si è fatto affiancare da Gordon, con cui ha
scritto Steve Jobs.
La Bloom era un giocatore di alto
livello che dopo aver fallito le qualificazioni alle Olimpiadi è
diventata un’organizzatrice di tornei di poker a Hollywood, per
star come Ben
Affleck, Leonardo
DiCaprio e Tobey Maguire.
Successivamente è stata arrestata dall’FBI. Nel 2014 ha pubblicato
le sue memorie dal titolo “Molly’s Game: From Hollywood’s
Elite to Wall Street’s Billionaire Boys Club, My High-Stakes
Adventure in the World of Underground Poker”.
Arriva da EW la comunicazione
ufficiale che Molly’s
Game, il film che segnerà il debutto alla regia di
Aaron Sorkin, ha una data d’uscita ufficiale: il
22 novembre prossimo.
Con un cast di prim’ordine, lo
sceneggiatore premio Oscar per The Social Network,
sarà in sala anche dietro la macchina da presa. Che aspettative ci
sono per questo atteso debutto?
Molly’s Game arriva al
cinema il 22 novembre
Idris Elba si
aggiunge a Jessica Chastain in Molly’s
Game, l’esordio alla regia del geniale sceneggiatore,
premio Oscar per The Social
Network, Aaron Sorkin.
Sorkin ha firmato la sceneggiatura
di Molly’s Game che è basato sulle memorie di Molly
Bloom. Anche in questo lavoro, Sorkin si è fatto
affiancare da Gordon, con cui ha scritto Steve
Jobs.
La Bloom era un giocatore di alto
livello che dopo aver fallito le qualificazioni alle Olimpiadi è
diventata un’organizzatrice di tornie di poker a Hollywood, per
star come Ben
Affleck, Leonardo
DiCaprio e Tobey Maguire.
Successivamente è stata arrestata dall’FBI.
Nel 2014 ha pubblicato le sue
memorie dal titolo “Molly’s Game: From Hollywood’s Elite
to Wall Street’s Billionaire Boys Club, My High-Stakes Adventure in
the World of Underground Poker”.
L’attrice Molly
Ringwald ha partecipato al podcast “WTF” di Marc Maron e ha
rivelato di aver cercato di convincere la figlia ventenne a non
diventare un’attrice a causa di quanto sia difficile per le giovani
donne a Hollywood. La Ringwald, icona dei film adolescenziali degli
anni ’80 grazie ai ruoli in “The
Breakfast Club”, “Bella in rosa” e altri, ha
detto di essere stata sfruttata come giovane attrice e che è quasi
impossibile non esserlo a Hollywood. “Non mi sono mai sentita
parte di una comunità quando ero a Hollywood, solo perché ero così
giovane”, ha detto Ringwald.
“Non mi piaceva andare in giro
per locali. Mi sembra di essere più socievole ora di quanto non lo
fossi allora. Ero solo troppo giovane”. “Si sono
approfittati di me”, ha continuato poi Molly Ringwald.
“Non si può essere una giovane attrice a Hollywood e non avere
intorno dei predatori”. L’attrice ha dunque raccontato di
essersi trovata “sicuramente in situazioni discutibili” da
giovane attrice, ma di essersi affidata al suo “incredibile
istinto di sopravvivenza e a un superego piuttosto grande” per
“trovare un modo per proteggermi” dai predatori del
settore.
Molly Ringwald in Breakfast Club.
“Può essere straziante”, ha
aggiunto la Ringwald. “E ora ho una figlia di 20 anni che sta
per intraprendere la stessa professione, anche se ho fatto di tutto
per convincerla a fare qualcos’altro. Ed è difficile”. In
un’intervista al Times di Londra, Molly Ringwald
aveva invece raccontato di aver recentemente rivisto “Breakfast
Club” con la figlia e di aver notato che: “Ci
sono molte cose che amo davvero del film, ma ci sono elementi che
non sono invecchiati bene – come il personaggio di Judd Nelson,
John Bender, che essenzialmente molesta sessualmente il mio
personaggio”. “Sono contenta di poterlo guardare e di
poter dire che le cose sono davvero diverse ora”, ha
detto.
Sono iniziate le riprese di
Mollo tutto e apro un Chiringuito, il film
ideato in collaborazione con gli autori de Il Milanese Imbruttito,
regia di Pietro Belfiore, Davide Bonacina, Andrea Fadenti,
Andrea Mazzarella, Davide Rossi. Le riprese si svolgeranno
in Sardegna e a Milano e dureranno sei settimane. Protagonisti
Germano Lanzoni, Valerio Airò, Laura Locatelli, Leonardo
Uslengo,
Paolo Calabresi, Alessandro Betti, Michele e Stefano Manca
(Pino e gli anticorpi), Benito Urgu, Simonetta Columbu e
con la partecipazione straordinaria di
Claudio Bisio, Favij e Jake La
Furia.
La trama
Il Signor Imbruttito (Germano
Lanzoni), dirigente di spicco di una grande multinazionale, vive la
routine nella sua frenetica Milano seguendo fedelmente il mantra
della doppia F, F*** e Fatturato. A rompere questo equilibrio ci
pensa Brusini (Paolo Calabresi), eccentrico imprenditore a capo di
un impero economico, che per una ragione assurda fa saltare quello
che per l’Imbruttito è l’affare della vita. L’Imbruttito per la
prima volta accusa il colpo, cade in depressione, non riesce più a
trovare una ragione per svegliarsi al mattino. La svolta arriva da
Brera (Alessandro Betti) un amico di vecchia data, che propone
all’Imbruttito l’acquisto di un Chiringuito in Sardegna, per fare
business in infradito e poter finalmente dire: “Mollo
tutto e apro un Chiringuito”. L’affare è fatto e,
malgrado lo scetticismo del Nano (Leonardo Uslengo), il figlio
dodicenne, e la furia della moglie Laura (Laura Locatelli),
l’Imbruttito si lancia con entusiasmo in questa nuova avventura in
compagnia del fidato Giargiana (Valerio Airò), suo “stagista di una
vita”. Con l’arrivo in Sardegna però il sogno si trasforma presto
in un incubo: il chiringuito c’è e l’ambiente intorno è
paradisiaco, ma si trova in una zona a dir poco remota dell’isola e
gli abitanti del paese, Garroneddu, sono una comunità di semplici
pastori avversi a ogni novità. L’Imbruttito e i Sardi riusciranno a
trovare un modo per convivere pur essendo così diversi?
Per SheWants, agenzia creativa
dietro al progetto Il Milanese Imbruttito, uno dei fondatori,
Tommaso Pozza dichiara: “Otto anni fa siamo partiti creando una
pagina Facebook, quasi per gioco, quando ancora non esisteva nulla
di quello che è oggi il panorama attuale del social network. Oggi
iI Milanese Imbruttito conta una community di oltre 3M di persone.
Siamo orgogliosi di portare sul grande schermo un progetto frutto
di lavoro di squadra, sacrifici e tanta passione. TAAAC – Ah no,
CIAAAK” .
Per QMI il produttore
Giovanni Cova: “Grazie al cinema finalmente
vedremo “l’Imbruttito” allontanarsi dalla sua amata Milano per
intraprendere un’epica avventura in Sardegna. Vedremo anche grandi
volti della commedia italiana arricchire di personaggi il mondo del
“Milanese Imbruttito”. Così dichiara Ramaya Productions: “Siamo
felici di aver contribuito a riportare sul grande schermo la
comicità milanese nella doppia veste di registi e produttori. Un
progetto costruito in sette anni che finalmente approda al
cinema!”
Dopo il grande successo al
botteghino francese e la presentazione al 31° Torino
Film Festival, Molière in
bicicletta approderà nelle sale italiane dal 12
dicembre. La nuova commedia di Philippe Le Guay
riporta in scena con sottile ironia e delicatezza la prima parte
del I atto de Le Misanthrope di Molière, approfondendo e
sviscerando i personaggi di Alceste e Philinte.
In Molière in bicicletta Serge
(Fabrice Luchini) è un ex attore teatrale che da
quando si è ritirato dalle scene vive in solitaria in una cadente
villetta sull’Ile de Ré. Deluso e rigettato da un mondo che una
volta lo acclamava sta ancora smaltendo i segni di una profonda
depressione. Un giorno, il suo amico Gauthier (Lambert
Wilson), attore di grido di famigerati medical drama,
viola la sua solitudine con l’allettante ma sconcertante proposta
di recitare insieme la commedia di Moliére. Inizialmente restio,
Serge acconsente a patto di riuscire in pochi giorni a raggiungere
quella sintonia in grado di fargli ritrovare il coraggio di calcare
di nuovo le scene. Chi dei due sarà il misantropo Alceste? Un
personaggio che Serge considera il suo alter ego e che Gauthier
vorrebbe interpretare per dar prova del suo spessore professionale
e difendere quella dignità attoriale spesso svilita dalle
performance televisive. Ogni giorno sarà un testa o croce a
stabilire i ruoli che di volta in volta si scambieranno con
naturale e coinvolgente passione.
Molière in bicicletta, il film
Attraverso l’incanto poetico di
Molière i due rivitalizzano un’amicizia ormai sfocata, con Serge
che sembra aver riacquistato la voglia riprendere contatto con una
vita reale e vissuta. Merito anche della conoscenza dell’attraente
italiana Francesca (Maya
Sansa), un incontro che però rimescolerà di nuovo le
carte di una ritrovata amicizia. Philippe Le Guay
nel suo Molière in bicicletta sceglie di far rivivere sul grande
schermo alcuni tra i più bei passi del teatro francese, volontà
sicuramente encomiabile per la sua originalità. Curioso, come solo
poche settimane prima lo stesso Polanski ci aveva rammentato
l’ebbrezza del palcoscenico teatrale con Venere in pelliccia. Il
cinematografo che ingloba il teatro, si nutre di esso per
restituircene una versione digeribile a tutti in un’epoca in cui
l’opera teatrale è sempre più nell’ombra. Philippe Le Guay gioca
con tre volti del misantropo: quello di Fabrice, a quanto pare
ispiratore del suo personaggio, quello di Serge e quello di
Alceste. Personalità nelle quali è possibile rintracciare, sebbene
a livelli differenti, l’odio per la convenzionalità di un mondo
fasullo dal quale è necessario evadere per confinarsi in un quieto
rifugio, al riparo da sordide verità.
Il personaggio di Francesca,
infine, rievoca una versione completamente personalizzata di
Célimene, la seduttrice amata da Alceste. Ma, mentre Célimene era
la cinica incarnazione di quel mondo frivolo detestato dal
misantropo, Francesca finisce per essere ancora più scorbutica di
Serge a causa delle sue pene d’amore. Molière in bicicletta è una
commedia che, alternando una sussurrata ironia intellettuale a un
umorismo più mainstream (dalla goffa versione di Serge della
canzone Il Mondo alle esilaranti cadute dalla bici), si presenta
come un piacevole divertissement, disinvolto nel parlarci del
divario tra verità e indulgenza, bucolico nell’ambientazione, ma
facile da dimenticare.
John Lasseter,
capo creativo della Pixar Animation Studios, Disney Animation
Studios e Disney Toon Studios, si è preso sei mesi di congedo dallo
studio, alla luce delle accuse di cattiva condotta. Lo scandalo
avviene in concomitanza con l’uscita del film d’animazione
Pixar, Coco.
Il tutto è partito dalla sceneggiatrice e attrice
Rashida Jones, chestava
lavorando alla sceneggiatura di Toy Story 4 con
Will McCormach. La Jones ha dichiarato di aver
lasciato il progetto a causa di avances indesiderate da parte di
Lasseter, anche se sia lei che McCormach sono accreditati nello
script del sequel. (Segue UPDATE)
The Hollywood
Reporter, che per primo riporta la notizia, parla anche di
comportamenti invadenti di Lasseter sul posto di lavoro, abbracci,
baci e commenti sugli attributi fisici dei dipendenti.
Un portavoce della Disney
dichiara:
“Vogliamo mantenere un clima in
cui tutti i lavoratori siano rispettati e incoraggiati a dare il
meglio. Apprezziamo la sincerità di John e lo sosteniamo durante il
suo congedo”.
John Lasseter ha inoltre diffuso un comunicato
ufficiale indirizzato ai suoi dipendenti.
John Lasseter si
scusa per i suoi “comportamenti inappropriati”
“Ho sempre voluto che i nostri
studi d’animazione fossero un ambiente dove i creatori potessero
esplorare le loro visioni con il supporto degli altri animatori e
sceneggiatori. Questo tipo di cultura creative deve essere
mantenuta. Si fonda su fiducia e rispetto e se qualcuno non viene
valorizzato, questa cultura creativa diventa fragile. Da leader è
mia responsabilità assicurare che questo non accada e adesso credo
di aver mancato di rispetto.
Recentemente ho avuto colloqui
difficili: affrontare i propri passi falsi non è stato facile ma è
l’unico modo per imparare da essi. Ho pensato molto al leader che
sono diventato e porto la mia attenzione sul fatto che ho ferito
dei sentimenti. Non è mai stata mia intenzione. Mi scuso dal
profondo del cuore se vi ho ferito. Mi voglio scusare con chiunque
abbia ricevuto un abbraccio non voluto o qualsiasi altro gesto
inappropriato. Non era mia intenzione. Tutti hanno il diritto di
stabilire i propri confini, confini che vanno
rispettati.
Nei miei colloqui con la Disney
siamo concordi nel considerare ogni interesse con serietà e in
maniera appropriata. Noi desideriamo rinforzare quella cultura,
vibrante e creativa che è la chiave del nostro successo. Il primo
passo in questa direzione è il mio congedo che mi darà modo di
riflettere sulle decisioni da prendere in futuro. Per me è
difficile allontanarmi da un lavoro che amo e da una squadra che
stimo. Mi auguro che questi sei mesi mi aiutino a riflettere a
ritornare con intuizioni e prospettive.
Sono orgoglioso di questa
squadra e sono sicuro che farà un ottimo lavoro anche in mia
assenza. Vi auguro buone vacanze e spero vivamente di tornare a
lavorare con voi nell’anno nuovo.
John”.
La Disney Pixar è
al momento impegnata nella promozione di Coco, il nuovo film
d’animazione che arriva oggi, 22 novembre, negli USA, e che invece
arriverà in Italia il 28 dicembre.
Alla luce del comunicato ufficiale
di Rashida Jones, teniamo a correggere quanto
riportato in precedenza. L’attrice e sceneggiatrice ha fatto sapere
che il report di THR non era esatto e che il suo volontario
allontanamento dal progetto di Toy Story 4 non è
stato dovuto a comportamenti inappropriati di Lasseter ma a
divergenze creative con lo Studio.
Nelle parole della Jones, il
chiarimento è necessario affinché coloro che hanno davvero una
storia di violenza o molestia da raccontare possano trovare spazio
e credibilità.
È stato presentato nella
serata di Pre-apertura di Venezia 77 ed è in sala dal 3
settembre Molecole, il nuovo lavoro del
regista veneto Andrea Segre. Autore di
lungometraggi come Io sonoLi e La prima
neve. Apprezzato regista di documentari che indagano
il rapporto tra luoghi e persone, con un’attenzione particolare al
suo Veneto, ma anche alle migrazioni e alle marginalità, da
La mal’ombra a Mare
chiuso, al più recente Il Pianeta in
Mare, Segre propone con
Molecole un lavoro documentaristico dalla
forma e dal contenuto inattesi, come inatteso è stato per lui e per
tutti il confronto con l’emergenza Covid 19 e il confinamento che
ne è scaturito.
Come nasce
Molecole
“Molecoleè sgorgato. Come l’acqua”. Queste le parole usate dal
regista per descrivere la genesi del lavoro. L’espressione rende
bene l’idea del suo carattere imprevisto e naturale. Altro era
infatti il progetto di Segre: un documentario che
trattasse due grandi questioni centrali per la Venezia di oggi: il
turismo di massa e l’acqua alta. Due fenomeni apparentemente molto
diversi, ma che pongono sfide alla città. Era tutto pronto, quando
è arrivato il Covid, che ha imposto il lockdown. E’ in questo nuovo
scenario, con una città svuotata, che Segre prova a riflettere sui
due temi di cui sopra. Una riflessione in absentia, dal
momento che, come ovvio, dei turisti non c’è l’ombra e sono giorni
di una bassa marea eccezionale.
Contestualmente, prende vita
l’altro filone che percorre il documentario: un dialogo per parole
e immagini col padre, Ulderico Segre, scomparso
dieci anni fa. Sono le parole delle lettere che il regista scriveva
al padre, ma è anche la sua voce off che spesso si rivolge
direttamente alla figura paterna con domande e osservazioni, e le
immagini, foto e filmati in Super 8 che il genitore girava in
gioventù, ritrovati nella casa di famiglia in cui il regista ha
trascorso il periodo del confinamento. Il dialogo è continuo, in
uno scambio padre-figlio che arricchisce il lavoro, grazie anche al
montaggio di Chiara Russo.
La sceneggiatura è firmata dallo stesso
Andrea Segre.
Lo sguardo di Andrea Segre
su Venezia
La Venezia che
interessa a Segre è nel vuoto da confinamento e
nei pochi elementi che lo popolano: concerti di gabbiani affamati,
canti di donne solitarie, sprazzi di un carnevale mai partito. Due
vogatrici si allenano in un canale della Giudecca deserto – sono
Elena Almansi e Giulia
Tagliapietra – e parlano a Segre della città che vivono e
di quella che vorrebbero. È vuoto e fragilità Venezia, incapacità
di controllare qualcosa che non si conosce, ma è anche la
grandiosità delle sue bellezze, la sua impressionante capacità di
adattamento, è resilienza. Veneziaè
per antonomasia città in costante dialogo con l’ineluttabile, in
equilibrio precario – un turismo che è vitale, ma che
spesso sembra soffocarla, un’acqua che è natura, ma sempre più
insidiosa per ciò che l’uomo ha costruito. Eppure Venezia e
la sua laguna per Segre non sono solo uno splendido luogo
che tutto il mondo ci invidia, esso stesso in bilico tra grandezza
e fragilità, emblema della condizione collettiva in cui la pandemia
ha gettato tutti, ma sono luoghi del cuore –
sebbene il regista affermi di avere con la città un rapporto
controverso – qui riscoperti. La Venezia di oggi, in costante
dialogo con quella di ieri, immortalata dai filmati paterni. Due
mondi sorprendentemente simili, a causa di una pandemia che ha
colto tutti di sorpresa, riportando però l’ambiente ad una
dimensione più autentica.
Dal punto di vista visivo, ciò è
reso con un’estrema cura del dettaglio, con inquadrature in cui
dominano due elementi: la nebbia e l’acqua, con la vastità vuota
della città. Immagini girate di giorno, ma anche, spesso, di notte.
Ombre, aloni, vetri appannati. Una fotografia
suggestiva, curata da MatteoCalore e dal regista.
Le musiche di
Teho Teardo accompagnano alla scoperta delle calli
veneziane, colte con prospettive non comuni, alimentando il mistero
di una città sospesa. Le atmosfere ricordano da vicino quelle di un
grande veneto, cultore del rapporto tra l’uomo e i suoi luoghi,
Carlo Mazzacurati.
Il proprio passato alla
luce del presente
È dunque un lavoro intimo
e personale Molecole, influenzato dal
confinamento, da quella nebbia che spinge a riflettere e a
guardarsi dentro, a riannodare i fili col
passato. Ulderico Segre, padre del regista,
era uno scienziato chimico-fisico, il cui oggetto di studio erano
appunto le molecole. Quelle particelle di cui
siamo fatti, che non vediamo e ci determinano. Era forse quello del
padre, riflette il regista, un tentativo di venire a patti, di
dialogare con ciò che non poteva controllare, quella parte fisica
di sé predeterminata che ne ha segnato il destino ed ha portato
alla sua prematura scomparsa. Sembra essere proprio questo
l’aspetto che il regista non aveva compreso fino in fondo della
figura paterna, e che oggi gli appare improvvisamente più chiaro,
mentre affronta l’incertezza di una pandemia contro la quale ci si
sente impotenti. È questo confronto con ciò che appare ineluttabile
che accomuna oggi le due figure, oltre all’essere entrambi padri,
consentendo al figlio di rinsaldare il legame con il genitore.
Si prende i suoi tempi
Molecole, ha l’incedere lento e ovattato
dell’atmosfera di quei giorni. E’ forse meno ricco di contributi di
confronti, ridotto all’essenziale, rispetto a quello che era il
progetto iniziale. Forse anche assai distante da quello, come era
inevitabile che fosse. Tuttavia, riesce ad evitare il
rischio di annoiare lo spettatore, cosa che poteva succedere con
un’opera dall’incedere così meditativo e riflessivo.
Merito della delicatezza poetica che Segre mette
nel racconto, ma anche di una giusta durata, 71
minuti, che rende agile il lavoro.
Tanti se ne vedranno, sulle città
svuotate dal Covid. Non tutti racconteranno qualcosa, oltre ad
essere cartoline da città deserte, che mai si sarebbe immaginato di
vedere così. Questo invece, lo fa. Perché non nasce a causa del
lockdown, ma è la rielaborazione durante il lockdown di un progetto
preesistente, che conserva una riflessione sui temi del turismo di
massa e dell’acqua alta nella città lagunare, forse anche
arricchita dalla prospettiva del confinamento. Inoltre, non è solo
un’occasione per riflettere sulla fragilità e precarietà
dell’esistenza e sull’impotenza umana di fronte a una natura che
non sembra si possa controllare, ma che si dovrebbe invece
rispettare di più. È soprattutto un viaggio
esistenziale a ritroso, nei ricordi, a riallacciare i fili di un
legame con un padre amato, ma non fino in fondo compreso. Un
viaggio che sa coinvolgere col suo incedere sentito e
poetico.
Prodotto da ZaLab
Film, con Rai Cinema, in associazione con
Vulcano e Istituto Luce
Cinecittà, in collaborazione con il Teatro Stabile
del Veneto Carlo Goldoni, distribuito da
ZaLab e Deckert Distribution
GMBH, Molecole è nelle sale dal
3 marzo.