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La vita che volevi: la nuova serie Netflix italiana in arrivo dal 29 Maggio

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La vita che volevi sarà disponibile dal 29 maggio solo su Netflix. La nuova serie prodotta da Banijay Studios Italy, creata e diretta da Ivan Cotroneo, vede Vittoria Schisano nel ruolo della protagonista Gloria. Nel cast anche Giuseppe Zeno (Sergio), Pina Turco (Marina), Alessio Lapice (Pietro) e Nicola Bello (Andrea), oltre a Bianca Nappi, Francesco Pellegrino e Bellarch.

La serie, creata e scritta da Ivan Cotroneo e da Monica Rametta, è diretta dallo stesso Cotroneo. La produzione è a cura di Massimo Del Frate, Head of Drama per Banijay Studios Italy.

I 6 episodi sono ambientati tra Lecce, il Salento e Napoli.

La trama di La vita che volevi

Gloria, la protagonista de LA VITA CHE VOLEVI, è convinta di aver trovato la felicità a Lecce, dove ha fondato una piccola agenzia turistica e trovato l’amore con Ernesto ma, un giorno, la sua vita viene sconvolta dall’arrivo di Marina, sua amica ai tempi dell’università a Napoli, prima che Gloria iniziasse il suo percorso di transizione.

Marina porta con sé Andrea e Arianna, i figli avuti da due diverse relazioni, ed è incinta di un terzo, il cui padre è Pietro, un giovane dal carattere passionale e forse anche pericoloso.

Gloria preferirebbe non riallacciare i rapporti con Marina, lei le ricorda una parte della sua vita che vorrebbe dimenticare. Marina nasconde però molti segreti e presto in scena arriverà anche Sergio, il padre di Arianna, un uomo tutto d’un pezzo fin da subito molto diffidente nei confronti di Gloria. Per lei, è giunto il momento di fare i conti con “la vita che voleva”, il suo passato e il suo futuro, per scoprire che la felicità a volte arriva in forme inaspettate e che l’amore è l’unica forza capace di rendere la vita degna di essere vissuta.

LA SCRITTURA E LO SVILUPPO di La vita che volevi

A cura di Monica Rametta

“Gloria è la protagonista della nostra storia e noi l’abbiamo amata, subito.

Volevamo raccontare una donna AMAB (Assigned Male At Birth), una donna transgender lontana dagli stereotipi, vera, fatta di carne e di sangue, un personaggio pieno di sfumature e anche di contraddizioni. È da lei che siamo partiti per ideare la serie. È stata Gloria a guidarci e noi a seguirla. Ce la siamo immaginata mentre camminava perfettamente a suo agio per le strade di Lecce dove nel presente viveva e lavorava, ormai donna matura e realizzata, o nel passato quando invece più giovane, si divideva tra gli studi all’università di Napoli e le serate in discoteca, dove si esibiva in drag guadagnando soldi per portare a termine la sua transizione, ed essere finalmente anche fuori quella che fin da piccola sentiva e sapeva di essere dentro.

Accanto e intorno a lei, passando attraverso tante stesure, tanto lavoro e tanti confronti con il team editoriale, abbiamo costruito il suo mondo, fatto di amori, prima tra tutti Marina la sua amica dei tempi dell’università, di affetti, di lavoro, di amicizia e di famiglia. La famiglia di origine dalla quale Gloria proviene e un’altra famiglia, quella che Gloria non immagina di avere, e nemmeno di volere. Una famiglia che piomba all’improvviso come un uragano nella sua vita stravolgendola. Il passato che torna e le presenta il conto rappresentato da un figlio nato non dal caso ma dall’amore. Questo è il tema che ci stava a cuore, che ci interessava esplorare. La possibilità inaspettata per Gloria, che ha faticato per arrivare ad essere quello che voleva, di mettersi nuovamente in gioco. La paura e lo spaesamento di trovarsi di fronte all’incredibile opportunità di poter essere madre, la straordinaria occasione di vivere una vita ancora diversa da quella voluta e mai nemmeno immaginata.

La vita che volevi è la storia di una donna nata nel corpo di un uomo e decisa a conquistare la sua piena felicità.”

NOTE DI REGIA  – A cura di Ivan Cotroneo

“Trasformare una storia scritta, un copione la cui lavorazione ha richiesto più di due anni, in immagini e scene è un’impresa di grande responsabilità. Quando comincia la preparazione ti senti responsabile del lavoro fatto fino a quel momento e del lavoro che verrà, del tempo che chiederai a tutte le persone di cui avrai bisogno per portare a compimento questa avventura. La creazione con la mia partner in crime di sempre, Monica Rametta, aveva già messo tanti punti fermi, e alcuni li aveva suggeriti, a cominciare dalla protagonista: il corpo e la persona di Vittoria Schisano si sono con forza imposti per talento e aderenza al personaggio.

Creare il mondo intorno a lei è stato un lavoro di squadra, credo di avere parlato e parlato e parlato fino allo sfinimento con tutti i collaboratori e creatori che hanno permesso a questa serie di esistere. I produttori che hanno contribuito creativamente, Massimo del Frate che mi ha sentito per tre anni descrivere, colori, sapori, facce, canzoni, toni precisi di questo mondo. Gabriella Giannattasio, che ha lavorato con me al casting per scegliere i talenti che avrebbero dato corpi, volti, occhi ai personaggi. Gian Filippo Corticelli, che ha regalato alla storia, proprio come desideravo, il colore e le luci capaci di raccontare e non solo di far vedere. La creatività di Monica Sironi che ha trovato luoghi bellissimi di Lecce e di tutto il Salento e li ha trasformati o ricostruiti perché diventassero il posto del cuore di Gloria.

La ricerca e l’invenzione di Rossano Marchi, che ha creato costumi che raccontassero aspirazioni mancate e realizzazioni faticose dei personaggi. Il mondo di Gloria ha preso forma, come si dice, un po’ alla volta e tutto insieme, e lo vedevo prendere vita così, come me lo ero immaginato, caldo, ma capace di infliggere grandi dolori, spettacolare nei paesaggi, e chiuso nell’insistenza di un primo piano toccante. Raccontare tanto, e a tutti, quello che immaginavo, quello che da anni aveva preso forma dentro di me in termini visivi era l’unica possibilità che avessi per condividere un’idea di rappresentazione.

È verissimo che il racconto per immagini, i film, le serie, sono creazioni di gruppo, ma forse mai come questa volta ho potuto sentire l’amore e il desiderio di tutti di contribuire alla creazione, di percorrere l’extra mile in più perché questa serie fosse, comunque, nel bene o nel male, speciale e unica. Così, dietro ogni battuta di ogni personaggio che sentirete, io sento l’amore di Gaetano Carito, il grandissimo fonico che ci ha accompagnato.

E conclusa l’avventura del set durata 14 settimane, questa collaborazione è continuata al montaggio, con Ilaria Fraioli e Martina Ghezzi che hanno dato il ritmo del cuore di cui la serie necessitava, e con le musiche di Gabriele Roberto che dopo avere subìto ore di miei monologhi sull’importanza narrativa, sul tipo di suono, sull’orchestrazione, ha composto dei temi straordinari, epici oppure intimissimi, che potessero accostarsi alle canzoni che avevo scelto già dalla sceneggiatura, i classici più belli della canzone italiana, Tenco, Modugno, Bindi, Vanoni, de André. E ancora con il mix del suono di Giancarlo Rutigliano e di tutta la squadra, perché tutto, anche gli ambienti parlassero del sogno di Gloria e della sua vita.

Dietro questa serie c’è un regista, io, con il suo sguardo e la sua visione del mondo, e del cinema. Ma è uno sguardo che sarebbe rimasto confinato nelle parole (diciamolo: a volte negli sproloqui) e non sarebbe diventato immagine e racconto per immagini senza la collaborazione di tutti questi artisti, che non si sono limitati ad ascoltare, per fortuna, ma hanno creato, rilanciato, proposto, sfidato. E senza tutti i miei attori, che hanno regalato il loro talento ai personaggi che io e Monica avevamo scritto. Sono loro adesso, questo magnifico cast, a parlare per noi con le loro battute, i loro silenzi, i loro movimenti. La gratitudine è un sentimento veramente sottovalutato, e vergognosamente. Nel cinema e nelle serie, magari la responsabilità è di uno, ma l’amore e la creazione sono di tutti, e questo va ricordato, sempre, a sé stessi e nelle dichiarazioni che si fanno. Se queste note vi sembrano un elenco di nomi, pazienza. Non lo è. È un elenco di autori. È grazie a loro che La vita che volevi è anche la serie che volevamo, tutti.”

La vita che volevi: la nuova serie italiana Netflix con Vittoria Schisano

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Dal 29 Maggio sarà disponibile solo su Netflix, La vita che volevi, la nuova serie prodotta da Banijay Studios Italy, creata e diretta da Ivan Cotroneo con Vittoria Schisano, nel ruolo della protagonista Gloria. Nel cast anche Giuseppe Zeno (Sergio), Pina Turco (Marina), Alessio Lapice (Pietro) e Nicola Bello (Andrea), oltre Bianca Nappi, Francesco Pellegrino e Bellarch.

La vita che volevi  è una storia di legami, amicizia e scoperta, che racconta della felicità che crediamo di volere (programmata, ordinata, semplice) ma anche di quella che ci sorprende, che scombina la vita. È ciò che accade a Gloria, la protagonista, e che risuona poi in tutti i personaggi della storia.

La serie, creata e scritta da Ivan Cotroneo e da Monica Rametta è diretta dallo stesso Cotroneo. La produzione è a cura di Massimo Del Frate, Head of Drama per Banijay Studios Italy.

La serie, in 6 episodi, è ambientata tra Lecce, il Salento e Napoli.

La trama di La vita che volevi

Gloria, la protagonista de LA VITA CHE VOLEVI, è convinta di aver trovato la felicità a Lecce, dove ha fondato una piccola agenzia turistica e trovato l’amore con Ernesto ma, un giorno, la sua vita viene sconvolta dall’arrivo di Marina, sua amica ai tempi dell’università a Napoli, prima che Gloria iniziasse il suo percorso di transizione.

Marina porta con sé Andrea e Arianna, i figli avuti da due diverse relazioni, ed è incinta di un terzo, il cui padre è Pietro, un giovane dal carattere passionale e forse anche pericoloso.

Gloria preferirebbe non riallacciare i rapporti con Marina, lei le ricorda una parte della sua vita che vorrebbe dimenticare. Marina nasconde però molti segreti e presto in scena arriverà anche Sergio, il padre di Arianna, un uomo tutto d’un pezzo fin da subito molto diffidente nei confronti di Gloria. Per lei, è giunto il momento di fare i conti con “la vita che voleva”, il suo passato e il suo futuro, per scoprire che la felicità a volte arriva in forme inaspettate e che l’amore è l’unica forza capace di rendere la vita degna di essere vissuta.

La vita che volevi, la spiegazione del finale: Gloria ha un lieto fine?

L’originale italiano di Netflix, La vita che volevi, è una serie che racconta di una donna transgender che viene improvvisamente a sapere del suo figlio biologico dalla sua migliore amica di 15 anni prima. La serie è un dramma italiano di stampo sovietico che regala nuovi colpi di scena a ogni episodio per un’esperienza di visione emozionante (se vi piace questo genere di cose).

Come accade per la maggior parte dei media di oggi, La vita che volevi tenta di affrontare molti temi morali in modo ambiguo per favorire un’esperienza di visione nutriente; tuttavia, personalmente, penso che si esaurisca alla fine della serie. In fondo, si tratta di una storia d’amore, sicuramente unica.

La vita di Gloria viene sconvolta quando Marina, un’amica di 15 anni prima, si presenta senza preavviso con i suoi due figli e una pagnotta nel forno. I figli di Marina hanno tutti padri diversi e ben presto scopriamo che il maggiore, Andrea, che ha 15 anni, è in realtà il figlio di Gloria di un tempo. All’inizio Gloria è contraria all’idea di avere un figlio perché le ricorda un tempo e un corpo che ha dimenticato da tempo.

Tuttavia, dopo aver trascorso un po’ di tempo con Andrea, sviluppa un legame con lui. Tuttavia, c’è molto di più nella storia. Il motivo per cui Marina si è presentata con i suoi figli è che voleva che suo figlio Andrea sapesse chi era suo padre. La donna è malata di cancro e teme che, se le cure non funzionano, suo figlio non lo scoprirà mai.

Ma c’è di più. La seconda figlia di Marina, Ariana, è figlia di Sergio. Sergio fa parte della loro vita da molti anni e Andrea lo chiama anche papà (scandaloso). Tuttavia, Marina non è mai stata interessata a sposare qualcuno. A quanto pare, è sempre stata innamorata di Gloria. Ma il vero dramma è che il padre del terzo figlio è uno psicopatico che ha picchiato Marina. Lei decide di tenere comunque il bambino, ma ha paura di quell’uomo.

Purtroppo, Pietro si presenta proprio prima che Marina stia per essere operata per il suo tumore al cervello. Minaccia di ucciderla se non accetta di partire con lui e il loro bambino. Marina gli dice che non lascerà gli altri figli e Pietro la butta giù dall’edificio (che tipo). Questo lascia a Gloria e Sergio il compito di occuparsi dei bambini. Riusciranno a salvare i bambini e ad avere un lieto fine? Scopriamolo.

Cosa succede a Pietro?

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Pietro dice a Gloria di portare il suo bambino in un luogo affollato, in modo che possano scambiarsi i figli. Ha rapito Andrea e ha minacciato di ucciderlo se non gli porta il bambino. Gloria mette un giocattolo nella cesta e lo depone tra la folla, dicendo ad Andrea di correre appena la sente. A questo punto Sergio sa dove si trova Gloria e anche la polizia è stata avvisata.

Andrea riesce a scappare, ma Pietro si impossessa di Gloria e la porta in una strada vuota lì vicino. Sergio li trova e Pietro gli punta contro la pistola. Anche Gloria ha una pistola, ma si scopre che non è vera. Quindi, quando suo padre l’ha minacciata tanti anni fa, si trattava sempre di una pistola finta? Non ne sono sicuro, ma possiamo supporre che non l’abbia mai accettata. Comunque, Sergio e Pietro si scontrano fisicamente e alla fine Sergio spara a Pietro dritto al cuore, salvando Gloria e se stesso, appena prima che la polizia arrivi sul posto. Con Pietro morto, tutti sono al sicuro.

Cosa significa il primo abbraccio di Andrea a Gloria?

In La vita che volevi, Andrea si interroga sulla sua mascolinità, in particolare per il modo in cui le persone intorno a Gloria la trattano. All’inizio la definisce una donna bellissima, ma quando scopre che è suo padre, sente che la sua mascolinità è minacciata. Inoltre, Pietro lo chiama per nome e lo evira quando si fa la pipì addosso per la paura.

Più tardi, però, quando Andrea vede Gloria sacrificarsi per la sua sicurezza, si rende finalmente conto di quanto lei tenga a lui e di quanto sia “forte”. Infine, Andrea la abbraccia quando la trova viva e Pietro morto sul pavimento, un figlio orgoglioso che ha ottenuto una nuova madre. Andrea ha finalmente accettato Gloria e ha lasciato andare tutta la sua rabbia, non solo nei suoi confronti ma anche nei confronti di Marina.

Gloria avrà un lieto fine in La vita che volevi?

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Nel finale di La vita che volevi (The Life You Wanted), possiamo supporre che Gloria vivrà presto la vita che sognava, solo senza Marina. Sergio dice a Gloria che ha intenzione di farsi trasferire a Lecce, in modo che tutta la famiglia possa stare davvero insieme. In pratica, confessa i suoi sentimenti a Gloria (in modo piuttosto dolce).

I ragazzi potranno finalmente crescere in un ambiente protetto con i genitori come una vera famiglia. Gloria accetta la proposta di Sergio perché sembra che si siano avvicinati lentamente da quando si sono conosciuti. Forse Marina sapeva che sarebbe successo (come nelle soap opera) e ha portato Sergio da Gloria per fargli avere il lieto fine che entrambi meritano.

La vita che volevi vede Gloria alle prese con l’accettazione del suo figlio biologico, perché proviene da un periodo in cui non era felice con se stessa. Tuttavia, questo non deve impedirle di amarlo. Pian piano si rende conto di volere Andrea nella sua vita, anche se è la copia sputata del ragazzo che non ha mai voluto essere. Sono sicura che le ci vuole molto per iniziare ad amarlo, ma alla fine della serie, Sergio e Gloria sanno entrambi di volere Andrea nella loro vita e di voler stare l’uno con l’altra, il che rende il finale molto conveniente e avvincente.

Alla fine, i ragazzi mettono su la canzone “Gloria”, che Gloria cantava sempre nei locali, e la cantano tutti insieme come una famiglia felice, celebrando la vita e Marina tutti insieme. Ora, Gloria non voleva un figlio, figuriamoci tre, ma suppongo che ci si adatti, quindi direi che ha avuto un lieto fine!

La vita che verrà al cinema dal 25 Novembre

La vita che verrà al cinema dal 25 Novembre

Dalla regista di Mamma Mia! e The Iron Lady Phyllida Lloyd, arriva in sala in Italia a novembre La vita che verrà (Herself), l’emozionante film rivelazione secondo Variety presentato con successo al Sundance, scritto e interpretato dall’attrice irlandese Clare Dunne. È la storia di una donna che ce la fa. Che lotta per ricostruirsi una vita, per dare un futuro alle sue figlie, e che cerca di lasciarsi alle spalle un marito violento.

La vita che verrà sarà alla Festa del Cinema di Roma, presentato in Selezione Ufficiale e in Alice nella Città, e in sala dal 25 novembre – Giornata Internazionale contro la Violenza sulla Donne – con BiM Distribuzione. «Ho incontrato Clare per la prima volta – ricorda la regista – quando stavo cercando gli attori per Giulio Cesare, all’inizio del mio progetto su Shakespeare al femminile. Clare è venuta per il ruolo di Porzia. Non dimenticherò mai il suo provino: fu incredibile vedere un attore che è completamente se stesso; che colma il divario tra se stesso e il suo personaggio. […]». Lo stesso stupore la regista lo ritroverà tempo dopo, leggendo la sceneggiatura a cui Dunne aveva lavorato a lungo. «Era una scrittrice nata […] ho accettato di dirigere il film solo a condizione che ci fosse lei nel ruolo di Sandra». 

La vita che verrà, la trama

Dopo tanto tempo, Sandra trova finalmente il coraggio di fuggire con le sue due figlie da un marito violento. In lotta contro una società che sembra non poterla proteggere e con l’obiettivo di creare un ambiente accogliente per le bambine, decide di costruire da sola una casa tutta per loro.  Non tutto andrà bene ma durante l’impresa troverà la forza di ricostruire la sua vita e riscoprirà se stessa, anche grazie all’appoggio di un gruppo di persone disposte ad aiutarla e a darle sostegno.

Per Sandra e le sue figlie la nuova vita che verrà per fortuna non sarà mai più come quella di prima. Diretto da Phyllida Lloyd il film è scritto da Clare Dunne e Malcolm Campbell ed è interpretato da Clare Dunne, (principalmente nota per la sua attività teatrale: ha recitato nella versione interamente femminile dell’Enrico IV di Shakespeare per la regia della stessa Lloyd) e dai candidati al Tony Award Harriet Walter (Star Wars: Episode VII – The Force Awakens,  Killing Eve, Succession) e Conleth Hill (Game of Thrones, Dublin Murders).

La vita bugiarda degli adulti, recensione della serie tratta da Elena Ferrante

Un “progetto potente” lo ha definito Domenico Procacci – già produttore de L’amica geniale, attualmente al lavoro sulla quarta stagione – di questo nuovo adattamento di una storia creata dalla misteriosa Elena Ferrante, La vita bugiarda degli adulti. Sei episodi che dal 4 gennaio potete trovare sulla piattaforma di streaming, e che mettono in scena la storia di Giovanna, una adolescente napoletana in cerca di identità in un momento tipico di passaggio, dall’infanzia all’adolescenza.

La vita bugiarda degli adulti, la trama

Un personaggio chiave, affidato alla sorprendente esordiente Giordana Marengo, circondata da un cast completato da Alessandro Preziosi, Pina Turco e Valeria Golino, ma soprattutto dalle attenzioni del regista. Quell’Edoardo De Angelis di Indivisibili, Il vizio della speranza e le recenti versioni televisive delle opere di De Filippo, che si conferma una sicurezza, soprattutto nella trasposizione cinematografica di un testo letterario, tanto più se ambientato in un contesto che conosce bene, essendo di Napoli anche lui.

Edoardo De Angelis per Elena Ferrante

Tra il Vomero, dove vive Giordana, e la casa di Zia Vittoria a Poggioreale (o Pascone), quella di Edoardo è la Napoli di Elena Ferrante, divisa tra città di sopra e di sotto come divisa è la realtà che scopre di vivere la sorprendente protagonista, disorientata e arrabbiata insieme, per la scoperta delle false verità che le avevano insegnato le figure più importanti della sua vita. “I personaggi utilizzano la bugia come strumento di lotta, per piegare la realtà ai propri desideri”, spiega il regista, che proprio grazie all’autrice originale ha trovato la giusta chiave per rendere più “amabile” zia Vittoria. Il loro è stato un “rapporto epistolare” e insieme una “esperienza affascinante” che si è sviluppato ancora una volta a distanza, lettera dopo lettera, fino a quella arrivata dopo la visione conclusiva della serie, ormai terminata. “Una lettera bellissima che porterò sempre nella memoria“, la definisce De Angelis, che Valeria Golino descrive come “il regista più calmo” conosciuto, in grado di “dare calma, anche se stai sul Titanic“, uno che “ti protegge da tutto“.

La vita bugiarda degli adulti elena ferrante
La Vita Bugiarda Degli Adulti. (L to R) Valeria Golino as Vittoria, Giordana Marengo as Giovanna in episode 101 of La Vita Bugiarda Degli Adulti. Cr. Eduardo Castaldo/Netflix © 2022

La rivelazione Giordana Marengo, Giovanna

“Non avevo mai pensato di fare qualcosa del genere“, racconta la giovane esordiente, che sul proprio profilo Instagram ormai alterna le immagini di eventi mondani e servizi fotografici a momenti privati simili a quelli di qualunque adolescente (come anche lei è, avendo compiuto diciotto anni proprio sul set della serie). “Un compito più grande di me“, come lo ricorda, al quale è arrivata casualmente, per la foto mandata dalla madre al casting, e che ha affrontato al meglio grazie al “Signore e Padrone” del set. “Grazie a Edoardo non avevo mai l’ansia di girare – ricorda. – Ero lì tutti i giorni, sembrava di stare a casa mia. Passavo piu tempo con lui che con mia mamma, al punto che quando abbiamo finito non volevo più andare via“.

Crescita, sviluppo, riscoperta

Nei primi episodi sono lei e la zia Vittoria di Valeria Golino a spiccare di più, come d’altronde prevede la premessa della serie stessa, nella quale tutto nasce dalla frase detta dal padre e ascoltata di nascosto dalla ragazza: “Sta facendo la faccia di Vittoria“. Un accenno che scatena la curiosità di Giovanna e la spinge a uscire dalla sua bolla, ad accorgersi che le travolgenti lezioni della reietta Vittoria corrispondono alla ricerca della propria identità che la serie racconta nel suo svilupparsi.

La vediamo – e la vedremo crescere nel corso di La vita bugiarda degli adulti – da intelligente e problematica, refrattaria alla scuola e alle regole, a giovane donna. L’ennesima raccontata dall’autrice della quale ancora non sappiamo ufficialmente l’identità, che questa serie promette di farci riscoprire, dopo averla riletta con coraggio e originalità autoriale. Ci aspettano alti e bassi, episodi più o meno riusciti, forse, come in tutte le produzioni televisive che affollano il nostro panorama, ma il cambiamento di Giovanna, i segreti che scopre, le bugie che la circondano, l’amore e il sesso, sono dei temi che in mano a Edoardo De Angelis difficilmente ci regaleranno delusioni.

La vita bugiarda degli adulti, la nuova serie italiana da domani su Netflix

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La vita bugiarda degli adulti, la nuova serie in 6 episodi prodotta da Fandango e tratta dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante, edito da Edizioni E/O, debutterà su Netflix il 4 gennaio 2023 in tutti i Paesi in cui il servizio è attivo. La vita bugiarda degli adulti è scritta da Elena Ferrante, Laura Paolucci, Francesco Piccolo ed Edoardo De Angelis e diretta da Edoardo De Angelis.

La vita bugiarda degli adulti, la trama e il cast

La serie è un ritratto potente e singolare del passaggio di Giovanna dall’infanzia all’adolescenza negli anni Novanta. La ricerca di un nuovo volto, dopo quello felice dell’infanzia, oscilla tra due Napoli consanguinee che però si temono e si detestano: la Napoli di sopra, che s’è attribuita una maschera fine, e quella di sotto, che si finge smodata, triviale. Giovanna oscilla tra alto e basso, ora precipitando ora inerpicandosi, disorientata dal fatto che, su o giù, la città pare senza risposta e senza scampo.

PERSONAGGI di La vita bugiarda degli adulti

  • GIOVANNA (Giordana Marengo) Giovanna è un’adolescente degli anni ‘90 alla ricerca della propria identità. Capelli corti, occhi penetranti e un look aggressivo, grunge. “Sta facendo la faccia di Vittoria”, dice di lei la madre al padre all’inizio della storia. E forse è vero, se a quindici anni, cresciuta nel mondo di sopra della Napoli bene, sta diventando brutta e cattiva come l’innominabile zia con cui la famiglia Trada non parla da anni. Giovanna legge molto, adora i romanzi, è sveglia, intelligente, capace, ma a scuola va male; a casa, con i genitori prima tanto amati, dopo quello che li ha sentiti dire, è una battaglia quotidiana – e quale atto di ribellione migliore contro una famiglia di insegnanti se non quello di venire bocciata? Giovanna è una ragazzina che sta diventando donna, già però dentro il corpo prosperoso di una fimmina che attizza le indiscrete attenzioni maschili. Giovanna sta cambiando, lo sente. È quindi per ritrovarsi, per capire che faccia abbia veramente, che convince il padre a farle visitare la zia. L’incontro con Vittoria, che le somiglia tantissimo e nella quale non può fare a meno di rispecchiarsi, le apre gli occhi: scoprirà inconfessabili segreti sui suoi genitori e il loro passato, imparerà a mentire come gli adulti, a parlare come la zia, e come Vittoria ad aprirsi all’amore e al sesso.
  • VITTORIA (Valeria Golino) -La zia di Giovanna, sorella di Andrea. Vittoria è una tempesta, prosperosa e selvaggia, sboccata, sfacciata, insofferente e ironica, scostante ma a suo modo amorevole. È una fumatrice appassionata, si trucca molto, indossa vestiti fasciatissimi e sgargianti. Vittoria –  cattolica praticante, licenza media, donna di servizio – ha un amore tragico nel suo passato, il suo unico grande amore, Enzo. Nella famiglia di Giovanna, la zia è una figura sfocata, un rettangolino precisissimo a cancellare il volto su una vecchia fotografia, un essere misterioso e stregonesco che porta scompiglio, che in casa non può essere nominato e che per questo accende la fantasia della nipote. Vittoria ama Giovanna, ma le due hanno un rapporto conflittuale. Sarà grazie a lei che scoprirà la vera natura degli adulti: sono tutti bugiardi… anche lei.
  • ANDREA (Alessandro Preziosi) – Padre di Giovanna, marito di Nella e fratello di Vittoria. Andrea, capelli impomatati e sigaro in bocca, è un intellettuale coltissimo, comunista, insegnante rispettato del Vomero che scrive pezzi su L’Unità di Napoli. All’apparenza, potrebbe sembrare un uomo gentile, allegro, un marito innamorato, un amico fedele, un padre affettuoso, e forse lo è stato, ma da quando Vittoria ha consigliato a Giovanna di guardare attentamente i suoi genitori, “perché altrimenti non ti salvi”, si è accorta di chi è veramente: un bugiardo patentato, un traditore. Andrea è un uomo che non ti guarda mai negli occhi, capace di scatti d’ira improvvisi, che, a differenza di Roberto, si vergogna della miseria del Pascone in cui è cresciuto. È forse per questo che ha troncato ogni rapporto con Vittoria, perché gli ricorda da dove viene.
  • NELLA (Pina Turco) – Mamma di Giovanna e moglie di Andrea. Anche lei, come il marito, è una rispettata insegnante che arrotonda traducendo romanzi stranieri. Andrea è la sua luce, ama la sua intelligenza, la sua cultura, il coraggio che gli ha permesso di emanciparsi dalla miseria del quartiere in cui è cresciuto. Nella è una madre attenta e comprensiva, che però non riesce più a comprendere la figlia, la sua ossessione per Vittoria, che per lei è un mostro bugiardo e invidioso, che ha fatto di tutto per ostacolare l’ascesa del marito.

 

  • MARIANO (Biagio Forestieri) – Marito di Costanza, è il migliore amico di Andrea – i due si conoscono dai tempi dell’università – con cui è capace di discutere per ore di letteratura e politica. Colto e sboccato, è anche lui professore della Napoli bene. Laico, liberale, progressista, comunista: sono i valori con cui ha cresciuto le figlie. Occhialino tondo e baffo folto, è quello che nel gruppo di amici si concede più spesso l’uso del dialetto.
  • COSTANZA (Raffaella Rea) – Moglie di Mariano, madre di Angela e Ida, unica erede di una ricchissima famiglia napoletana che le ha lasciato la stupenda villa vista mare di Posillipo, in cui abita con la famiglia. Costanza è una donna raffinata, elegante, misurata, dal portamento signorile, sempre ben vestita, truccata, acconciata.
  • ANGELA (Rossella Gamba) – La figlia maggiore di Mariano e Costanza. Coetanea di Giovanna e sua migliore amica, si conoscono dall’infanzia. Angela è bella, femmina, elegante come la madre. Ammira moltissimo l’amica, tanto che fin da piccole se c’era una cosa che interessava Giovanna doveva averla subito anche lei. Perché, in realtà, quello che Angela prova veramente per l’amica è una forte attrazione…
  • IDA (Azzurra Mennella) – Sorella minore di Angela. Ida è la brava figlia di genitori borghesi; durante la serie, però, proprio come Giovanna, entrerà in contrasto con loro. Lettrice vorace, passa il tempo scrivendo sul suo diario, ogni cosa che le capita diventa storia da raccontare, o da mettere in versi, che, nonostante la giovane età, riscuotono già buoni consensi. Seppur a volte si senta esclusa dal legame che unisce la sorella e Giovanna, forse è l’unica che la capisce veramente.

  • MARGHERITA (Susy Del Giudice) – La madre di Corrado, Tonino e Giuliana, moglie di Enzo, maresciallo di pubblica sicurezza, l’amore tragico di Vittoria. Scoperto il tradimento del marito dopo la soffiata di Andrea, Margherita ha costretto Enzo a rompere la relazione adulterina. Quando però si è ammalato, poco dopo, compresa la natura sincera e travolgente del sentimento per Vittoria, le ha concesso di accudirlo assieme a lei nei suoi ultimi giorni di vita. Da allora, le due donne sono inseparabili, abitano accanto, Vittoria è diventata l’altra madre dei suoi figli. A osservarle bene, però, si nota subito come Margherita sia succube dell’amica.
  • CORRADO (Giuseppe Brunetti) – Corrado è il più espansivo dei tre fratelli, quello che fisicamente e caratterialmente assomiglia di più al padre Enzo. Corrado è un bambinone che gioca a fare il guappo, frequenta i brutti giri dell’amico Rosario che spadroneggia nel quartiere, ma in realtà è un PIB, un “pesce in brodo”. S’invaghisce fin dal primo incontro di Giovanna, che per lui diventa quasi un’ossessione. Roberto è la sua nemesi, forse perché in lui vede l’emancipazione da quella vita misera che non è riuscito e non riuscirà mai a ottenere.
  • TONINO (Gianluca Spagnoli) – Tonino è bello, emana forza, ma è timidissimo, anche se capace di scatti d’ira che lo trasfigurano. È il più sensibile dei tre fratelli: per Vittoria nutre una sorta di devozione intimorita. Amico intimo di Roberto. Per Tonino, Napoli è diventata un vicolo cieco, dove le persone serie come lui vengono guardate con sospetto, è per questo che vorrebbe andarsene, se restasse sprecherebbe la sua vita.
  • GIULIANA (Maria Vera Ratti) – Incantevole, con quei suoi occhi grandi e chiari, la figura magra e slanciata. Sorella di Tonino e Corrado, è la ragazza di Roberto, che ama perdutamente e che gli ha cambiato la vita, togliendola dalla miseria in cui era destinata stagnare. E se adesso la allontanasse, se cambiasse idea sulla loro relazione, lei si sentirebbe perduta. Per questo è gelosissima fino alla nevrosi di tutte le donne che gli ronzano intorno a Milano, come Michela, collega d’università del ragazzo, arguta e intelligente come Giuliana pensa non potrà mai essere.
  • ROBERTO (Giuseppe Buselli) – Giovane ideologo di area cattolica. Nato e cresciuto al Pascone, da anni si è trasferito a Milano, dove insegna all’università. Considerato tra i più promettenti teologi della sua generazione, ha fatto dello studio e della sua eloquenza un mezzo di riscatto sociale. Roberto ha l’intelligenza e la bellezza della fede, si infervora quando ne discute, con quei suoi occhi chiari e i riccioli biondi che lo fanno assomigliare a uno degli arcangeli dei Vangeli che studia.
  • ROSARIO (Adriano Pantaleo) – Figlio dell’avvocato Sergente, potente e temuto camorrista. Protetto dal nome che porta, si sente il boss del Pianto, pensa di poter fare e ottenere tutto ciò che vuole, anche Giovanna, di cui s’invaghisce. Rosario, i denti sporgenti assai, l’espressione fissa in un ghigno strafottente, sfreccia su una Ferrari gialla, sfoggia orologi costosissimi e con i suoi sgherri, di cui fa parte anche Corrado, fa il bello e il cattivo tempo nel rione.

NOTE SULLE LOCATION

Le riprese della serie si sono svolte a Napoli e a Milano. A Napoli le riprese hanno interessato diversi quartieri tra il centro e la periferia. In particolare, la casa di Giordana si trova al Vomero mentre quella di Zia Vittoria a Poggioreale, che la Ferrante nel romanzo chiama Pascone. A Milano la casa di Roberto si trova sui Navigli della città.

NOTE DI REGIA  A cura di Edoardo De Angelis

Questa serie parla dell’importanza di ciò che è irrilevante. Elena Ferrante gioca con il paradosso della realtà sistematicamente ribaltata o aberrata seguendo la sola regola del proprio interesse. Nel continuo rispecchiamento di un personaggio nell’altro, ognuno scopre che la verità è una parola che più la apri più rivela la sua natura bugiarda.

Nel vortice melmoso di adulti ossessionati dall’autorappresentazione di se stessi come giusti, onesti, sinceri, Giovanna scopre che la vita è sporca, puzza e certe volte è pure brutta. Scopre che la sola verità possibile sta nella bellezza di una bugia piena di desiderio, di un amore opaco, come le finestre dei cessi.

NOTE DI PRODUZIONE A cura di Fandango

È con grande piacere che siamo tornati a lavorare su un romanzo di Elena Ferrante, autrice straordinaria con cui collaboriamo da tempo.

La vita bugiarda degli adulti è stata l’occasione per collaborare per la prima volta con Edoardo De Angelis, regista sensibile e di grande talento. Edoardo racconta la “sua” Napoli aprendo smagliature profonde nella realtà che circonda la protagonista, Giordana Marengo, attrice esordiente che siamo certi avrà davanti a sé un futuro radioso. Edoardo è riuscito a mettere in scena con sorprendente forza visiva la storia di una ragazza che, disorientata, spaventata, arrabbiata, non vive soltanto una crisi di crescita ma una crisi dentro lo sfarinarsi di due grandi ideologie.

La Villa: recensione del film di Robert Guédiguian #Venezia74

La Villa: recensione del film di Robert Guédiguian #Venezia74

I tre figli di un anziano uomo colpito da un ictus sono accanto al padre, completamente immobilizzato. La villa in cui lo assistono è sul mare, a La calanque de Méjean, una splendida baia nei dintorni di Marsiglia. C’è Angèle, che vive a Parigi e fa l’attrice di teatro, Joseph perso d’ amore dietro una ragazza estremamente più giovane di lui e perennemente depresso e insoddisfatto e Armand, proprietario di un modesto ristorante a pochi passi dalla villa, l’unico della famiglia rimasto a vivere nella zona. C’è poi un pescatore sognatore e colto, invaghito fin da bambino di Angèle, un giovane medico e i suoi ostinati genitori e dei militari che pattugliano la costa alla ricerca di migranti.

L’occasione forzata che li costringe a riunirsi è chiaramente il naturale spunto per fare i bilanci di una vita,  riflettere su scelte, sbagli e tragedie che hanno segnato il loro passato. Poi, un giorno, arrivano dei profughi a bordo di un gommone, tre bambini.

La villa, il film di Robert Guérdiguian

Robert Guérdiguian, di madre armena e padre tedesco, ha già diretto numerosi film di successo, tra i quali Marius e Jeannette (1997), Marie-Jo e i suoi due amori (2002), Le passeggiate al Campo di Marte (2005) e Le nevi del Kilimangiaro (2011). Spesso ha messo la città di Marsiglia, dove è nato, e i suoi bellissimi dintorni al centro delle sue storie. Ha sempre pensato a La Calanque de Méjean come a un teatro naturale, dove il mare sembra il fondale di tela dipinta e, soprattutto in inverno, quando non c’è più nessuno, assume quel sapore di abbandono bellissimo e malinconico,  un set ideale.

Ama definire “bolla all’aria aperta” la situazione che abilmente crea intorno ai suoi personaggi, una bolla dove “alcuni fratelli e sorelle, padri e madri, amici e amanti si confrontano sugli amori del passato e sugli amori che verranno. Tutti questi uomini e tutte queste donne condividono gli stessi sentimenti: sono in una fase della vita in cui si ha profonda consapevolezza del tempo che passa e dei cambiamenti del mondo. Le strade che hanno a lungo spianato si stanno gradualmente ricoprendo e devono essere costantemente mantenute, altrimenti se ne dovranno creare di nuove

Nonostante lo sguardo sia concentrato sui tre fratelli protagonisti, il film affronta, in maniera per niente marginale, il problema dei profughi. Quando fa riferimento  a questo, Guérdiguian sostiene “Per quanto possa sembrare un’esagerazione, mi sento di affermare che oggi non potrei fare un film senza fare riferimento ai profughi: viviamo in un mondo in cui le persone annegano in mare quotidianamente. Ho scelto intenzionalmente la parola “profughi”. A prescindere che sia da imputare ai cambiamenti climatici, ad altre ragioni, o a una guerra, queste persone sono alla ricerca di un rifugio, di un focolare”.

La villa è una continua riflessione sul tempo che scorre, sulla caducità della vita, sulla casa, sulla famiglia e sulla propria appartenenza. Ognuno dei personaggi cerca di fare i conti con questo. Gli attori sono tutti bravissimi, perfettamente calati nelle rispettive parti e assolutamente credibili come fratelli che hanno fatto scelte differenti che li hanno portati a vivere lontani l’uno dall’altro. L’attrice che interpreta con grande delicatezza e introspezione Angèla è la moglie del regista, Ariane Ascaride, già apparsa in altri suoi lavori. Molto struggente è un vecchio filmato in S8, inserito come flashback, dove si vedono i protagonisti giovani e spensierati, ancora spavaldi nei confronti della vita che verrà. La scrittura risulta assai efficace, estremamente naturale e mai forzata, abilmente punteggiata da momenti ironici che si contrappongono invece alla drammaticità degli eventi.  La regia è delicata, intima, umana, mai invadente.

Il finale di La villa è incantevole, affatto scontato. È il degno coronamento di un film come solamente i francesi sanno fare.

La vie en rose: vita e musica di Édit Piaf

La vie en rose: vita e musica di Édit Piaf

Marion Cotillard nel ritirare l’Oscar come miglior attrice protagonista per La vie en rose nel 2007 ha ringraziato con parole commosse il regista Olivier Dahan: “Maestro Olivier, hai davvero sconvolto la mia vita!”. Dal canto suo, anche Dahan deve molto all’attrice che gli ha permesso di emergere nettamente dopo I fiumi di porpora 2 – Gli angeli dell’apocalisse ed ha aperto la strada alle sue future esplorazioni dell’universo femminile, come quella in Grace di Monaco. L’Academy ha premiato anche il trucco di Didier Lavergne e Jan Arcibald, che ha trasformato il volto dell’interprete affinché si avvicinasse il più possibile alla Piaf.

La vie en rose, i premi vinti

Non è stata solo l’Academy a premiare Cotillard, che ha ottenuto il Golden Globe e il BAFTA per la sua potente performance di attrice. BAFTA anche per il trucco, i costumi di Marit Allen e la colonna sonora di Christopher Gunning. In patria il film ha fatto incetta di César con il premio per Marion Cotillard come miglior attrice protagonista, per la fotografia di Tetsuo Nagata , la scenografia di Olivier Raoux e i costumi.

Olivier Dahan e la sua Piaf lontana dal mito

Dahan non vuole fare della Piaf un mito. La sua Piaf è una donna minuta nel fisico, fragile dal punto di vista emotivo, proprio come il suo nome d’arte suggerisce – Piaf: passerotto. Una donna che ha sperimentato il dolore, le difficoltà di un’infanzia e una giovinezza difficili, la vita di strada. La sua età adulta è segnata da grandi amori – nel film soprattutto di quello per il pugile Marcel Cerdan (Jean -Pierre Martins), morto tragicamente – e grandi delusioni, oltre che dalla malattia e dalla conseguente dipendenza da farmaci. Tuttavia, Piaf è anche una donna piena di energia, di passione che mette al servizio della sua dote più grande: il canto, magnetico e intenso grazie a una voce potente e ad una capacità di interpretare che proprio dalla sua travagliata esistenza trae forza.

Dahan coglie e palesa questo contrasto, conducendo lo spettatore tra gli alti e bassi della vita della cantante, cui attinge liberamente. Mai schiavo dell’ordine cronologico, ma neppure vittima di un errare caotico, sceglie accuratamente i momenti e le figure più significativi, posizionandoli ad hoc con abile uso del flashback. Tra le figure centrali, Gerard Depardieu nel ruolo di Louis Leplée, primo impresario della giovane Edith, che sceglierà per lei il nome di “Piaf”.

L’interpretazione di Marion Cotillard ne La vie en rose

Una prova difficile ed emotivamente intensa per l’attrice francese, che però ha saputo condurla con sicurezza, svolgendo un grande lavoro sul corpo: non solo sul volto, che ha richiesto lunghe sedute di trucco, senza però intaccare la capacità espressiva dell’attrice, ma sulla postura, via via sempre più curva a causa dell’artrite deformante di cui Piaf soffriva, sulle movenze, che ha reso estremamente credibile il personaggio. Lavoro che non ha risparmiato la voce, con la scelta di  un timbro piuttosto sporco, retaggio dei bassi da cui la cantante proveniva.

L’adesione di Cotillard al personaggio l’ha condotta, come ha dichiarato, alla difficoltà ad abbandonarlo: “E’ stata la prima volta in cui ho avuto problemi nel liberarmi dal personaggio”. “ Avevo trascorso sei mesi con lei e sono entrata davvero in un’altra dimensione”. “Quando fai un film passi tanto tempo con questa persona (il personaggio ndr). In un certo senso te ne innamori. Poi, arriva l’ultimo ciack e non condividerai più la tua vita con lui. A volte può essere brutale”.

Piaf e Jil Aigrot cantano Piaf

L’interpretazione dell’attrice non è per nulla sminuita dal fatto che non sia lei a cantare. A darle voce al microfono con straordinaria adesione è l’interprete francese Jil Aigrot, in tutti i brani di cui non è stato possibile utilizzare una versione cantata dalla stessa Piaf. La voce originale della Piaf si può apprezzare in brani come La vie en rose, L’hymne a l’amour, Non, je ne regrette rien, Milord tra gli altri. Così Cotillard parla di questo aspetto del lavoro in un’intervista: “E’ stata la parte più dura della preparazione”. “Ho voluto prendere lezioni di canto, anche se nel film non avrei cantato. Volevo imparare la sua tecnica, come posizionare la lingua, come posizionarmi sul palco, la respirazione e così via. Perché doveva essere realistico. Se non credi che io stia cantando, allora puoi gettare il film nella spazzatura”.  Un rischio che La vie en rose non corre.

Non, je ne regrette rien e l’invito ad amare

Non, je ne regrette rien è indubbiamente il brano più toccante, vero e proprio testamento di Edith Piaf, che guardando indietro alla propria vita, segnata dal dolore ma anche dal successo e da una popolarità senza precedenti, rivendica le proprie scelte con forza, sempre confidando nell’amore. E’ proprio questo il messaggio che la protagonista lascia in una delle sue ultime interviste: “Che consiglio darebbe a una donna?” “Ama” “A una ragazza?” “Ama” “A una bambina?” “Ama”.

Sull’onda di questo invito, Olivier Dahan affida a Marion Cotillard la costruzione di un finale commovente per La vie en rose, un film che svela la Piaf donna accanto all’idolo della canzone, coinvolgendo lo spettatore con la sua umanità.

La vie d’Adele primo trailer del film vincitore a Cannes 2013

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La vie d’Adele primo trailer del film vincitore a Cannes 2013

La-Vie-d'adeleEcco il primo trailer di La vie d’Adele, il film che ha trionfato all’ultimo Festival di Cannes vincendola Palma d’Oro. Il film con protagoniste Adèle Exarchopoulos e Léa Seydoux verrà distribuito in Italia da Lucky Red ed è basato su Le Bleu est Une Couleur Chaude di Julie Maroh, graphic novel pubblicata da Glénat nel 2010 che racconta l’incontro tra due ragazze, Adele ed Emma, e la loro relazione sentimentale fuori dagli schemi.

Ecco il trailer:

La vie d’Adele Clip del film vincitore di Cannes 2013

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La vie d’Adele Clip del film vincitore di Cannes 2013

La-Vie-d'adeleHa trionfato al Festival di Cannes 2013, appena conclusosi, conquistando la Palma d’Oro e la Giuria composta da Steven Spielberg, Nicole Kidman, Ang Lee, Naomi Kawase,

La vida y nada mas: recensione del film di Antonio Méndez Esparza #RomaFF12

La vida y nada mas, presentato all’interno delle Selezione Ufficiale della Festa del cinema di Roma 2017 e diretto da Antonio Méndez Esparza, affronta il rapporto tra genitori e figli adolescenti che vivono in una situazione difficile.

Il giovane afroamericano Andrew è alle soglie dell’età adulta ed è in cerca del proprio posto nell’America di oggi. La madre non è intenzionata ad aiutarlo e per cercare di entrare in contatto con il padre assente deve muoversi da solo, anche verso terreni pericolosi.

Il regista, dopo il grande successo di Qui e là del 2012, ritorna a raccontare l’umanità nelle sue situazioni quotidiane. Proprio per questo, la regia insiste soprattutto sui luoghi e sulle azioni che i protagonisti compiono abitualmente, con una ripetizione insistita. Il ritmo del racconto è lento e spesso sfuma lasciando situazioni in sospeso per evidenziare lo stato di incertezza e di difficoltà che vivono i personaggi. Ma la storia non risparmia anche lunghi silenzi e momenti costruiti a comporre un crescendo di tensione.

Andrew, interpretato da Andrew Bleechington, è un adolescente fragile e taciturno che ha bisogno di sostegno. Cerca aiuto all’esterno della sua stessa famiglia, ma non sa distinguere quali siano le persone e i modi giusti da seguire. La madre Regina, interpretata da Regina Williams, è una donna che non sa gestire la situazione familiare e preferisce cercare altri stimoli. Si mostra presente solo con la figlia più piccola, evidentemente meno problematica di un adolescente.

Pur trattando temi difficili, La vida y nada mas smussa i contorni omettendo i particolari più crudi. Si concentra soprattutto sull’aspetto psicologico dei personaggi, su quello che provano quando si sentono incompresi o quando si distraggono con altri stimoli. Questa scelta di edulcorare i temi trattati rende il film meno cattivo ma non per questo banale.

La versione di Ken Loach: scioperi, Palestina e il “grande privilegio” del cinema

Dopo aver visto The Old Oak al Festival di Cannes 2023, finalmente quello che potrebbe essere l’ultimo film di Ken Loach è in Italia, accompagnato dall’ottantasettenne e irriducibile regista inglese. Che in vista dell’uscita in sala del 16 novembre (distribuzione Lucky Red), continua a concedersi generosamente al pubblico – incontrato in diversi cinema della Capitale, anche in compagnia di Zerocalcare – e alla stampa.

Un dramma attualissimo e insieme “una storia di umanità e solidarietà“, e di speranza, pilastri del mondo che Loach – e noi con lui – sogna da sempre e che di nuovo è ambientato nel Nord Est britannico, a conclusione di una ideale trilogia iniziata con Io, Daniel Blake e continuata con il precedente Sorry We Missed You. Qui, in una cittadina come tante, vengono trasferiti dei rifugiati siriani che non tutta la comunità locale sembra disposta ad accettare. È il proprietario dell’ultimo pub rimasto (il TJ di Dave Turner), The Old Oak appunto, ad aprire le porte dell’unico centro di aggregazione disponibile alla gente di Yara (Ebla Mari) nonostante le tensioni e la diffidenza che alcuni soggetti puntano ad alimentare.

Una storia con un messaggio forte, da dove nasce?

I personaggi sono fittizi, ma le storie raccontate sono vere. Quelle degli abitanti di una regione che aveva sempre vissuto delle industrie dell’acciaio, del carbone, che però non esistono più. Le miniere sono state distrutte dalla Tatcher, non per ecologismo, ma per indebolire il sindacato dei minatori, e quando è successo non c’è stato più lavoro per nessuno e le comunità sono andate in crisi. La gente si è arrabbiata, si è sentita imbrogliata da conservatori e centristi laburisti, e quando sono arrivati i rifugiati siriani – come in nessun’altra area del Paese – la gente ha iniziato a chiedersi “perché?”. E il “non vi vogliamo” è diventato “non ci piacete”. Con Paul Laverty, che ha fatto la maggior parte delle ricerche e ha creato i personaggi e la storia, volevamo studiare come possa svilupparsi il razzismo a partire da giuste rimostranze e come potessero trovare un modo per convivere due comunità  come queste. Va detto che il film è ambientato nel 2016, ma le nostre ricerche risalgono al 2020, quando, dopo l’ostilità che mostriamo, si era finalmente creata una connessione tra le persone. Cosa che ci ha fatto sentire giustificati nel dire che fosse possibile, che la gente può davvero unirsi.

Come stanno facendo i lavoratori in Italia, ha seguito le polemiche sull sciopero di venerdì 17?

Nel Regno Unito sta succedendo la stessa cosa, giustificando il divieto di scioperare con il fatto che i servizi essenziali devono essere mantenuti. Ma questo dimostra che la classe al potere, i politici, hanno paura. Può sembrare un momento buio, ma come si dice: “È sempre più buio prima dell’alba”. Non si può essere costretti a lavorare in situazioni di sfruttamento, se i diritti vengono attaccati per una categoria, lo sono per tutte. E tutto il movimento sindacale deve smettere di lavorare. O lo fai o perdi. È una sfida per i leader sindacali, è un momento critico che mostra quanto vicini siano a una importante vittoria. Credo…

Qui ha conosciuto Zerocalcare, con il quale sembrate condividere molto.

Devo ammettere che non lo conoscevo prima di incontrarlo ieri sera a Roma, peccato, perché è davvero una bella persona. Abbiamo parlato molto e ci siamo trovati d’accordo su molte cose. Abbiamo anche riso un po’. Non vedo l’ora di vedere i suoi lavori. Persone che io rispetto mi dicono cose belle di lui, è stato un piacere incontrarlo. Vorrei avere la sua gioventù.

Un tema comune è sicuramente quello della Palestina, come mai è un argomento tanto sentito dalle persone quanto apparentemente lontano dalla politica?

Lasciatemi dire prima di tutto che la barbarie dell’azione di Hamas è stato un crimine di guerra, come anche il lungo attacco di Israele contro la gente di Gaza. E in merito cito la posizione del segretario generale dell’ONU António Manuel de Oliveira Guterres, che credo abbia tenuto un discorso molto saggio: gli attacchi del 7 ottobre non si sono verificati dal nulla, ha detto, citando decenni di oppressione dei palestinesi. Tutti hanno il diritto a difendersi e a godere dei diritti umani, e i palestinesi hanno il diritto di resistere quando quei diritti vengono negati. Alla fine la responsabilità di intervenire è sempre delle Nazioni Unite, l’unico modo è agire in maniera collettiva e in nome della legge e dei diritti umani, ma l’ONU è intervenuta in passato in altre aree, perché non per i diritti umani dei palestinesi?

Cosa può fare il cinema? Un film come The Old Oak?

Quella del cinema è una piccola voce in un mondo rumoroso. La speranza è che gli spettatori lascino il cinema con una domanda. Tutto dipende da quel che fanno le persone quando poi escono dalla sala. Noi possiamo incoraggiare quelli che possono davvero cambiare il mondo.

Alla sua età, con la sua storia, non si chiede mai “chi me lo fa fare!”?

No, perché il mio è un grande privilegio. Il cinema è un mezzo meraviglioso, contiene tutto. Raccontiamo storie, creiamo personaggi, c’è scrittura, arti visive, musica, può essere un grande mezzo popolare. Io ho avuto la grande fortuna di iniziare negli anni ’60, nella televisione, in un momento veramente unico nel quale la tv era agli albori e la gente che la controllava non si era resa conto di quanto potente potesse essere. Io facevo parte di un piccolo gruppo di giovani, tutti tra i 20 e i 30 anni, con i quali realizzavamo fiction contemporanee, una diversa ogni settimana, un’ora e mezza in prima serata, giusto dopo le news e nessuno vedeva cosa avremmo mandato in onda se non un giorno o due prima. Qualcosa veniva un po’ incasinato, ma in mezzo al casino qualcosa arrivava. Una volta, con un trucchetto che li ha fatti infuriare – ma era troppo tardi – ho persino infilato una citazione di Trotskii: “La vita è bella. Lasciamo che le generazioni future la ripuliscano da ogni male, oppressione e violenza, e ne godano appieno”.

La versione di Barney: recensione del film

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La versione di Barney: recensione del film

La versione di Barney diretto da Richard J. Lewis e magistralmente interpretato da Paul Giamatti ripercorre quattro decenni della vita di Barney Panofsky, seguendo l’andamento altalenante della sua carriera e della sua vita sentimentale, divisa in tre matrimoni, due figli e un solo grande amore, Miriam.

La versione di Barney si basa sull’omonimo e ultimo romanzo di Mordecai Richler, scrittore simbolo del Canada e morto nel 2001 senza avere la possibilità di ultimare la stesura della sceneggiatura tratta dal suo libro alla quale lavorava. Probabilmente se il film fosse stato da Richler sarebbe risultato migliore, o semplicemente diverso, ma parlando del film che è e non di quello che sarebbe potuto essere non si può prescindere dal confronto con un romanzo che racconta con arguzia e profondità la versione del protagonista in merito alla sua vita, ai suoi amori, alla sua carriera e ad un presunto delitto che sulla carta risulta il centro del racconto, ma che su pellicola diventa solo una parte di un ritratto più ampio, forse dispersivo.

Il risultato è un film sicuramente ben confezionato che si dilunga forse eccessivamente ma che si lascia guardare solo grazie alla bravura del protagonista, un Paul Giamatti che si conferma non solo caratterista, ma grande interprete dei tic e dei difetti dell’uomo moderno. Il suo Barney è esattamente l’uomo di cui ha scritto Richler, spigoloso e allo stesso tempo generoso, controverso nel suo racconto soprattutto quando si tratta di se stesso. Seguiamo Barney nei ghirigori della sua mente mentre (ci) racconta la storia della sua vita: solo alla fine scopriremo con lui il significato di questa particolare struttura affastellata che ci accompagna dall’inizio della sua vita da bohemien a Roma, fino alla fine, dove Giamatti da il meglio di sé, senza mai eccedere nel patetico o nel tragico, ma mantenendo la coerenza che caratterizza il suo personaggio.

La versione di Barney

Ma un buon film non può basarsi solo sulla potenza di un attore, almeno non un film in cui i personaggi di contorno sono così importanti: a partire dallo splendido Dustin Hoffman, che interpreta il padre di Barney, irriverente più del figlio, ma come lui ancorato a quell’idea di amore romantico che dura per la vita; poi c’è Rosamund Pike, la splendida Miriam, unica donna che Barney abbia mai amato, bella ed elegante, superiore a lui per personalità e spirito eppure innamorata i lui anche quando deciderà di prendere altre strade. Ma non dimentichiamo la bravissima Minnie Driver, nel ruolo della Signora P., seconda moglie di Barney, ricca e chiacchierona, sarà grazie a lei che Barney incontra Miriam.

La versione di Barney molto amato dai realizzatori, potrebbe far innamorare molti spettatori, e in effetti ha messo d’accordo persino i fan più accaniti di Richler. Questo però non distoglie l’attenzione da una lunghezza un po’ eccessiva, che potrebbe distrarre ma che forse era necessaria per portare sulla schermo questa particolare storia d’amore di un uomo per se stesso. La versione di Barney nasce da una coproduzione tra Canada e Italia, dove l’opera di Mordecai Richler è sempre stata molto apprezzata.

La versione ambigua di Up di Disney Pixar

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Continuano a fioccare in rete le versioni censurate e ambigue dei successi recenti dei film d’animazione di Disney  e Pixar e dopo il periodo di predominio sulle parodie e rifacimenti di Frozen – il regno di ghiaccio, ecco che oggi vi segnaliamo la versione censurata e ambigua di Up, il capolavoro dello studios.

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Up

Fonte: Youtube via badtaste.it

La vérité: il teaser del film di Kore-eda Hirokazu che aprirà Venezia 76

È online il primo teaser trailer de La vérité (The Truth), il nuovo film diretto da Kore-eda Hirokazu (Un affare di famiglia; The Third Murder; Like Father, Like Son), interpretato da Catherine Deneuve, Juliette BinocheEthan Hawke, e scelto come titolo di apertura della 76a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia in programma dal 28 agosto al 7 settembre 2019.

Di seguito la sinossi:

Fabienne è una star del cinema francese circondata da uomini che la adorano e la ammirano. Quando pubblica la sua autobiografia, la figlia Lumir torna a Parigi da New York con marito e figlia. L’incontro tra madre e figlia si trasformerà velocemente in un confronto: le verità verranno a galla, i conti saranno sistemati, gli amori e i risentimenti confessati.

Leggi anche – Venezia 76: il programma ufficiale con Polanski, Baumbach e Larrain

La verità, vi spiego, sull’amore: trailer e poster del film con Ambra Angiolini

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Ecco il primo trailer e il poster di La verità, vi spiego, sull’amore, film diretto da Max Croci con protagonista Ambra Angiolini e tratta dall’omonimo libro di Enrica Tesio.

Nel cast anche Carolina Crescentini, Massimo Poggio, Edoardo Pesce e con la partecipazione di Giuliana De Sio e la partecipazione straordinario di Arisa.

Sinossi: Ispirata al libro omonimo e al blog di successo TiAsmo, una commedia divertente ed emozionante sulle infinite sfumature dell’Amore. La vita di Dora (Ambra Angiolini) è finita sottosopra quando il compagno Davide (Massimo Poggio) l’ha lasciata dopo sette anni di relazione e due figli: Pietro di cinque anni e Anna, di uno. Sopraffatta dalla routine bambini/lavoro, Dora si rifiuta di elaborare il lutto sentimentale, finché non arriva il momento di raccontare la verità a Pietro, il quale crede ancora che il papà sia via solo per lavoro. Dora, spronata dall’amica Sara (Carolina Crescentini), trova finalmente la forza di reagire. Il primo passo sarà riappropriarsi del proprio tempo assumendo l’insolito babysitter Simone (Edoardo Pesce), poeta-bidello e nuovo fidanzato di Sara.

La verità, vi spiego, sull’amore: nuovo trailer del film con Ambra Angiolini

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Ecco un nuovo trailer di  La verità, vi spiego, sull’amore, film diretto da Max Croci con protagonista Ambra Angiolini e tratta dall’omonimo libro di Enrica Tesio.

Nel cast anche Carolina Crescentini, Massimo Poggio, Edoardo Pesce e con la partecipazione di Giuliana De Sio e la partecipazione straordinario di Arisa.

La verità, vi spiego, sull’amore: due clip dal film con Ambra Angiolini

Sinossi: Ispirata al libro omonimo e al blog di successo TiAsmo, una commedia divertente ed emozionante sulle infinite sfumature dell’Amore. La vita di Dora (Ambra Angiolini) è finita sottosopra quando il compagno Davide (Massimo Poggio) l’ha lasciata dopo sette anni di relazione e due figli: Pietro di cinque anni e Anna, di uno. Sopraffatta dalla routine bambini/lavoro, Dora si rifiuta di elaborare il lutto sentimentale, finché non arriva il momento di raccontare la verità a Pietro, il quale crede ancora che il papà sia via solo per lavoro. Dora, spronata dall’amica Sara (Carolina Crescentini), trova finalmente la forza di reagire. Il primo passo sarà riappropriarsi del proprio tempo assumendo l’insolito babysitter Simone (Edoardo Pesce), poeta-bidello e nuovo fidanzato di Sara.

La verità, vi spiego, sull’amore: due clip dal film con Ambra Angiolini

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Ecco due nuove clip da La verità, vi spiego, sull’amore, film diretto da Max Croci con protagonista Ambra Angiolini e tratta dall’omonimo libro di Enrica Tesio.

La verità, vi spiego, sull’amore: trailer e poster del film con Ambra Angiolini

Nel cast anche Carolina Crescentini, Massimo Poggio, Edoardo Pesce e con la partecipazione di Giuliana De Sio e la partecipazione straordinario di Arisa.

Sinossi: Ispirata al libro omonimo e al blog di successo TiAsmo, una commedia divertente ed emozionante sulle infinite sfumature dell’Amore. La vita di Dora (Ambra Angiolini) è finita sottosopra quando il compagno Davide (Massimo Poggio) l’ha lasciata dopo sette anni di relazione e due figli: Pietro di cinque anni e Anna, di uno. Sopraffatta dalla routine bambini/lavoro, Dora si rifiuta di elaborare il lutto sentimentale, finché non arriva il momento di raccontare la verità a Pietro, il quale crede ancora che il papà sia via solo per lavoro. Dora, spronata dall’amica Sara (Carolina Crescentini), trova finalmente la forza di reagire. Il primo passo sarà riappropriarsi del proprio tempo assumendo l’insolito babysitter Simone (Edoardo Pesce), poeta-bidello e nuovo fidanzato di Sara.

La verità, vi spiego, sull’amore: recensione del film

La verità, vi spiego, sull’amore: recensione del film

Arriva al cinema il 30 marzo La verità, vi spiego, sull’amore, diretto da Max Croci e con protagonista Ambra Angiolini.

Ne La verità, vi spiego, sull’amore la bella Dora (Ambra Angiolini), deve destreggiarsi sola e senza nessun aiuto tra lavoro e due figli, Pietro e Anna, una routine frenetica e senza respiro che non le lascia tempo per se stessa. Davide (Massimo Poggio) fidanzato e padre dei due bimbi, l’ha lasciata dopo sette anni e ora vive a Milano dove Dora è convinta abbia un amante. Quando l’amica Sara (Carolina Crescentini) le presenta la sua ultima fiamma, Simone (Edoardo Pesce), un poeta-bidello bravissimo con i bambini, Dora vede l’opportunità di alleggerire le sue giornate e gli propone di fare il tato per i suoi figli. Intanto però Pietro chiede del padre e i fine settimana con papà non gli bastano più. Dora, che ha sempre nascosto la verità al figlio, dovrà decidersi ad affrontare l’argomento oltre che a chiedersi, una volta per tutte, quali siano i suoi reali sentimenti verso Davide.

Ne La verità, vi spiego, sull’amore assistiamo a una lunga carrellata di personaggi femminili stereotipati

La verità, vi spiego, sull’amore è un film diretto da Max Croci e tratto dall’omonimo romanzo di Enrica Tesio, autrice e blogger di successo. Il film tratta il tema dell’amore e dei rapporti di coppia in questa nostra società isterica e priva di qualsiasi certezza. Un film che vuole affrontare l’argomento in modo ironico e divertente, che vuole instaurare un legame diretto tra la protagonista e il pubblico a cui l’attrice si rivolge direttamente e uscendo dall’intreccio narrativo.

La storia di Dora e Davide, coppia caduta nella tipica crisi del settimo anno, è una storia in cui tutti potremmo ritrovarci, una storia di sentimenti inespressi, di gelosie inutili e una cronica incapacità di capire e soprattutto capirci. La verità, vi spiego, sull’amore presenta una carrellata di personaggi caricaturali che spaziano dalla mamma milf dalla pelle tirata e ancora a caccia di giovani prede, la simpatica Giuliana De Sio nei panni di Roberta, alla mamma frikettona e un po’ stralunata di Dora, Mimi (Pia Engkeberth), sino ad arrivare alla collega acida e perennemente invidiosa interpretata da una convincente Arisa. Quello che rimane è un quadro desolante di personaggi soli e decisamente tristi, incapaci di instaurare relazioni durature e profonde, personaggi vittime delle proprie debolezze e soprattutto del proprio egocentrismo.

Il film di Croci non riesce a divertire, nonostante la natura di commedia

Croci confeziona un film debole e alquanto banale, che non riesce a stimolare nessuna corda emozionale: non commuove, non fa riflettere e peggio del peggio non diverte, sebbene il chiaro intento frivolo dato alla commedia. Ambra Angiolini si barcamena nei panni della protagonista, donna confusa e in totale disordine sentimentale che solo alla fine del film capirà quelli che sono i suoi veri sentimenti; Carolina Crescentini è a suo agio nei panni della svampita mangiauomini mentre i due personaggi maschili, Edoardo Pesce e Massimo Poggio, convincono di più forse grazie a ruoli meno odiosi di quelli femminili.

La verità, vi spiego, sull’amore è un film di scarso spessore, retto da una sceneggiatura scontata e assai carente di ironia e umorismo se non di basso profilo. Se questa storia fosse rimasta in un blog, forse sarebbe stato meglio per tutti.

La verità su La Dolce Vita di Pedersoli Fuori Concorso a Venezia 77

In anteprima mondiale alla 77. Mostra del Cinema di Venezia, Fuori Concorso, il docufilm di Giuseppe Pedersoli, La verità su La Dolce Vita, che per la prima volta con documenti inediti e un’appassionata ricostruzione, svela la genesi e le avventure di uno dei capitoli immortali della storia del cinema.

Verso la fine del 1958 Federico Fellini attraversa un periodo professionale complicato. Ha già vinto due Oscar per “La Strada” e “Le Notti di Cabiria” ma nessun produttore vuole realizzare il suo nuovo progetto: una storia scritta da lui, Ennio Flaiano e Tullio Pinelli, intitolata La Dolce Vita. Soltanto un uomo, Giuseppe Amato, già famosissimo produttore di capolavori come “Umberto D.”, “Quattro passi tra le nuvole”, “Francesco Giullare di Dio”, “Don Camillo”, comprende la straordinarietà del soggetto. Amato sembra essere davvero l’unico a immaginare, e dire, che il copione che ha tra le mani contiene un capolavoro.   Con la sua esperienza trentennale intuisce anche che l’operazione sarà molto rischiosa ma nessun ostacolo può impedirgli di realizzare un progetto in cui crede.

La storia della realizzazione del film inizia con un viaggio fino a San Giovanni Rotondo, dove Amato, da uomo molto religioso, si reca per ottenere la benedizione di Padre Pio in persona, per iniziare il lavoro su “La Dolce Vita”. Amato non sbagliava in nessuna delle sue intuizioni: da lì partirà la storia del film italiano più popolare di sempre all’estero, un film mitico e iconico. E una realizzazione travagliatissima, la produzione più costosa fino a quel momento in Italia. Amato convince il magnate e suo storico socio Angelo Rizzoli a co-finanziare l’opera, che arriverà a costare il doppio di quanto preventivato e concordato con il regista. La lavorazione subirà liti, battute d’arresto, sfuriate, minacce. I contrasti tra Fellini e la produzione sono duri. Il primo montato, della durata di quattro ore, per Rizzoli non è distribuibile nei cinema. I coproduttori internazionali neppure lo prendono in considerazione. Il film sarà la causa della rottura del sodalizio ventennale tra Amato e Rizzoli.

E varrà una Palma d’oro a Cannes, un successo straordinario al botteghino, una delle polemiche più controverse mai registrate sui giornali italiani e internazionali. La gloria eterna al film.

Oggi, a sessant’anni dalla sua produzione, e nel centenario di Fellini, La verità su La dolce vita, docufilm diretto da Giuseppe Pedersoli, racconta per la prima volta, grazie a documenti inediti, tra cui soprattutto la corrispondenza tra Fellini, Giuseppe Amato e Angelo Rizzoli, la nascita e le irripetibili vicissitudini di uno dei più celebrati capolavori della storia del cinema. Raccontati attraverso una felice ricostruzione con attori professionisti, sequenze originali del film, importanti testimonianze d’archivio e odierne dei protagonisti della vicenda (in primis Fellini, Mastroianni, Amato, Dino De Laurentiis, e tanti altri).

E racconta uno dei più straordinari casi in cui il cinema ha creato, per merito di un regista fuori dal comune, un mondo che prima non c’era.

Soprattutto, racconta una vera storia d’amore per il cinema: quella di un produttore per un film, innamorato di un sogno fino quasi al costo della vita. Un film in cui nessuno voleva credere, e che oggi è un emblema del nostro amore per quest’arte.

La verità su La dolce vita, scritto (con Giorgio Serafini) e diretto da Giuseppe Pedersoli, è prodotto da Gaia Gorrini per Arietta Cinematografica, in associazione con Istituto Luce-Cinecittà che lo distribuisce per l’Italia, mentre la distribuzione per l’estero è affidata a Intramovies.

Il sessantesimo anniversario dalla produzione de “La Dolce Vita” e il centenario dalla nascita di Federico Fellini, costituiscono la migliore opportunità per ricostruire la genesi, la produzione e la vita commerciale di uno tra i piu’ famosi e iconici film della cinematografia mondiale.

Questo progetto si basa sulla copiosissima, originale e inedita corrispondenza tra Giuseppe Amato, Angelo Rizzoli e Federico Fellini, rispettivamente produttore, distributore e regista de “La Dolce Vita”. Sono gli stessi protagonisti a raccontarci, con la “voce” diretta dei loro scritti, ciò che hanno vissuto.

Attraverso un montaggio serrato e avvincente di interviste e letture, e scene ricostruite, si ricreano le atmosfere, i contrasti e le grandi passioni che formarono la sostanza fondante e la creazione di uno tra i più controversi prodotti della cinematografia italiana, universalmente riconosciuto come un capolavoro.

Giuseppe Pedersoli

La Verità Sta In Cielo: il film sul caso Orlandi con Riccardo Scamarcio

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Arriverà al cinema dal 06 Ottobre, La Verità Sta In Cielo, il film sul caso Orlandi diretto da Roberto Faenza e che con protagonisti Riccardo ScamarcioMaya SansaGreta Scarano Valentina Lodovini. Tutte le foto del film: 

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Il 22 giugno 1983 Emanuela Orlandi, quindicenne cittadina vaticana, figlia di un messo pontificio, sparisce dal centro di Roma, dando inizio a uno dei più clamorosi casi irrisolti mai accaduti in Italia, conosciuto anche all’estero. Dopo decine di indagini, oscure ipotesi, coinvolgimento di “poteri forti”, depistaggi di ogni genere, una cosa è certa: Emanuela non ha fatto più ritorno a casa. Sollecitata dallo scandalo “Mafia capitale” che attanaglia Roma ai giorni nostri, una rete televisiva inglese decide di inviare a Roma una giornalista di origine italiana (Maya Sansa) per raccontare dove tutto ebbe inizio: quel 22 giugno di tanti anni prima.

La Verità Sta In Cielo

la verita sta in cieloCon l’aiuto di un’altra giornalista (Valentina Lodovini), inviata di un noto programma televisivo italiano, che ha scoperto una nuova pista, entra in scena un personaggio inquietante: Sabrina Minardi (Greta Scarano). E’ l’amante di Enrico De Pedis (Riccardo Scamarcio), meglio conosciuto come Renatino, il boss che ha saputo gestire meglio di ogni altro il malaffare della capitale, poi finendo sotto i colpi della banda rivale della Magliana. Nonostante il suo passato, Renatino verrà sepolto nella Basilica di S. Apollinare, nel cuore di Roma, proprio accanto alla scuola di musica frequentata da Emanuela: un altro mistero. La Minardi si decide a raccontare quanto afferma di sapere sul sequestro della ragazza. E’ la verità? Quale intreccio indicibile si cela dietro i delitti rimasti impuniti nell’arco di trent’anni?

La verità sta in cielo è prodotto da Elda Ferri per Jean Vigo Italia con Rai Cinema e distribuito da 01 Distribution.

Il film arriva dopo Anita BUn giorno questo dolore ti sarà utile di Roberto Faenza.

La verità sta in cielo: a ottobre il nuovo film di Roberto Faenza

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Si intitola La verità sta in cielo il nuovo film di Roberto Faenza che vede trai protagonisti Riccardo Scamarcio, Maya Sansa, Greta Scarano e Valentina Lodovini. Il film sarà distribuito da 01 a partire dal prossimo 6 ottobre.La verità sta in cielo

Di seguito la trama: Il 22 giugno 1983 una ragazza di 15 anni, Emanuela Orlandi, sparisce dal centro di Roma e non farà più ritorno. È figlia di un commesso pontificio e ben presto si capisce che la sparizione coinvolge diversi poteri forti, dal Vaticano alla Banda della Magliana fino a Mafia Capitale. La sua scomparsa è l’occasione per raccontare la piramide omertosa che da quel momento metterà in ginocchio la capitale. Una vicenda con scabrose ramificazioni ancora attuali in un tessuto tipicamente italiano che coinvolge politica, criminalità organizzata e una parte della Chiesa. È da 30 anni che questa storia attende di essere raccontata.

La verità sta in cielo è una produzione Jean Vigo Italia con Rai Cinema, prodotto da Elda Ferri.

La verità secondo Maureen K.: recensione del film con Isabelle Huppert

A 63 anni sembrano decisamente lontani i tempi del Belfagor – Il fantasma del Louvre del 2001 con cui la maggior parte del pubblico italiano fece la conoscenza del parigino Jean Paul Salomè (La padrina). Che ritroviamo come regista del La verità secondo Maureen K., presentato in concorso nella Sezione Orizzonti di Venezia 2022 e finalmente distribuito nei cinema italiani, dal 21 settembre da I WONDER PICTURES in collaborazione con Unipol Biografilm Collection. Un dramma molto quotidiano – ispirato alla vera storia di Maureen Kearney raccontata nel libro “La Syndicaliste” di Caroline Michel-Aguirre – che grazie a una contenuta Isabelle Huppert riesce a raccontare una violenza, non solo fisica, con uno stile originale, tra crime, legale e denuncia sociale.

Maureen Kearney, sola contro tutti

È lei la protagonista, rappresentante sindacale della centrale nucleare di una multinazionale francese in difficoltà per l’arrivo di un nuovo responsabile. Con lui emergono trame segrete che potrebbero cambiare i rapporti di forza dell’intero settore e mettere a rischio 50.000 posti di lavoro, eventualità che la donna denuncia ritrovandosi sola contro tutti. Una storia vera, quella di Maureen Kearney, aggredita nella propria casa da uno sconosciuto che le incide una A (come Areva, la società nella quale lavora) sulla pancia e la lascia sconvolta. È solo l’inizio di una odissea legale nella quale è la vittima della violenza, sessuale e non solo, a essere messa sotto accusa dalle indagini, a non essere creduta, a essere sospettata.

Una inquietante storia vera, fin troppo credibile

Più che in altri casi, il termine di Odissea si sposa bene con il viaggio faticoso, lungo e disseminato di ostacoli sempre nuovi della protagonista, ché la definizione di “thriller paranoico avvincente e contemporaneo” sembra riduttiva per quella che sappiamo essere una storia realmente accaduta. Soprattutto considerando lo stress emotivo vissuto, le umiliazioni subite, la frustrazione per l’impotenza patita che il film rende alla perfezione nel suo svolgersi.

Via via che emergono nuovi elementi, infatti, e che si affaccia l’ipotesi che la donna sia una mitomane pronta a tutto per raggiungere i propri scopi politici e professionali, il resto inizia a perdere di consistenza. Ovviamente con la complicità di inquirenti e polizia, in questo caso non servi del potere, ma – ancor più drammaticamente – abituati a schemi mentali e pregiudizi che Salomè mette a nudo, senza sottolinearli, rendendoli talmente evidenti da non sentirne il bisogno.

Il ritorno della Lettera Scarlatta

Al pubblico, la sua capacità di empatizzare con la “pessima” vittima che si rivela essere  Maureen, la sua sensibilità o abitudine a vedere il femminile in un certo modo, la possibilità di decodificare i tanti messaggi che una storia – vera, ricordiamolo – del genere porta con sé. Maschilismo strisciante, complottismo, critica sociale e gap generazionale sono ovunque, ma più che l’insistito e onnipresente tema del rovesciamento di vittima in imputata è interessante il concetto di “Buona vittima” al quale si fa riferimento a più riprese. Quella ineccepibile, per la quale addolorarsi oltre ogni possibile e ragionevole dubbio, o scrupolo di coscienza, ma anche la “Sitting Duck” del titolo inglese, un “bersaglio facile” diremmo noi…

Ed è ancora una ‘lettera scarlatta‘ a marchiare la protagonista di questo surreale, a tratti kafkiano, spy movie per il quale il regista ammette di aver pensato a Tutti gli uomini del presidente e Una squillo per l’ispettore Klute. Thriller politici nei quali – inevitabilmente, per cronologia – non si avvertiva così forte la disparità di genere. E tutto quel che spesso ne consegue, dalla tendenza a screditare l’altra (tirando fuori il classico Burnout, versione moderna di quel po’ di stress che non si nega a nessuno da decenni) ad accuse ancora più infamanti e gratuite. Alle quali si spera che sempre più donne, come la Hupper insegna, riusciranno a reagire con il desiderio di lottare per ripristinare una propria verità.

La verità negata: recensione del film con Rachel Weisz

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La verità negata: recensione del film con Rachel Weisz

Al cinema dal 17 novembre, è stato presentato alla Festa di Roma 2016 La verità negata (Denial), film diretto da Mick Jackson che racconta la vicenda legale che alla fine degli anni Novanta vide coinvolta la storica accademica Deborah Lipstadt, accusata di diffamazione dal saggista britannico David Irving.

Irving è uno dei più famosi negazionisti della Storia. Nei suoi numerosi volumi storici, ha propagandato a lungo la teoria che sosteneva la falsità dell’Olocausto, in una sorta di tentativo di difesa della figura storica di Hitler. La vicenda realmente accaduta si è poi conclusa nel 2000, con la sentenza della Corte Britannica che respingeva le accuse volte alla Lipstadt. Secondo il diritto inglese, è l’accusato a dover provare la sua innocenza, e così la professoressa americana si rivolge al migliore avvocato su piazza, Anthony Julius, lo stesso che prese le difese della principessa Diana durante la causa di divorzio. A Julius e al suo team è stato poi affidato il compito di dimostrare che uno dei più grandi delitti del XX secolo e della storia dell’umanità è stato tutt’altro che un’invenzione.

La verità negata è tratto da una storia vera

Basato sul libro History on Trial: My Day in Court with a Holocaust Denier, della stessa Deborah Lipstadt, La verità nascosta è un procedural che si svolge per la maggior parte nelle aule di una corte e nelle stanze di avvocati, tra carte, plichi e sentenze. Senza dover neanche scegliere una parte da cui stare, Jackson espone i fatti in maniera piana, facendosi forza della veridicità della vicenda narrata, senza per cui sforzarsi a realizzare un contraddittorio cinematografico che rendesse il processo vero e proprio un momento di confronto interessanti ai fini cinematografici. Il lavoro di adattamento cinematografico è stato realizzato dall’ottimo David Hare che anche questa volta mette a punto uno script preciso e interessante.

la verità negataIl film si avvale anche di un ottimo gruppo di attori, da Rachel Weisz a Timothy Spall, passando per Tom Wilkinson e Andrew Scott, che offrono il loro talento a personaggi reali che hanno compiuto imprese straordinarie, nel bene e nel male.

La verità negata rivela però la sua ingenuità di fondo nella regia scolastica di Jackson, che non offre nemmeno il beneficio del dubbio all’accusatore. Non che un negazionistra dell’Olocausto meriti che le sue convinzioni vengano difese, ma l’assenza di contrappunto rende anche la vittoria più giusta meno dolce.

La verità nascosta: recensione del film con Quim Gutiérrez

La verità nascosta: recensione del film con Quim Gutiérrez

Arriva nelle sale cinematografiche italiane La verità nascosta, dall’originale La cara oculta, letteralmente tradotto Il lato Oscuro. In La verità nascosta, Adrián, un maestro dell’Orchestra Filarmonica di Bogotà e la sua fidanzata Belén sembrano essere molto innamorati. Però quando lei comincia a dubitare della sua fedeltà, sparisce senza lasciare traccia. Afflitto, Adrián si consola grazie alla sua musica e tra le braccia di Fabiana. Ma, mentre la passione tra i due comincia a crescere, iniziano ad affiorare domande sulla misteriosa scomparsa di Belén.

La verità nascosta è ostacolato da una debole sceneggiatura

Nonostante una messa in scena discreta ed un interessante inizio, La verità nascosta, è un thriller che esplora i limiti della gelosia e del tradimento, disinteressandosi completamente del genere nel quale tenta di insinuarsi. I limiti di questo film sono presto svelati. La verità nascosta, diretto da , è ricco dei cliché tipici del thriller che sin dalle prime battute non aiutano a far decollare la storia. Il vero punto debole di quest’opera però è senz’altro la sceneggiatura, che cerca di intrecciare una storia già debole sin dal principio con sotto-trame superflue.

Martina Garcia in La verità nascosta
Martina Garcia in La verità nascosta © Fox

Il risultato è un trama confusa e un utilizzo errato del flashback. Non si può pretendere di suscitare suspanse e tensione con un racconto che si sviluppa in gran parte in maniera indiretta, senza coinvolgere in prima persona lo spettatore e impedendone l’immedesimazione. Per intenderci, è come se un racconto di Lovecraft venisse scritto in terza persona. Inevitabilmente la tensione di inizio film si appiattisce finendo per arenarsi definitivamente in un ritmo blando e a tratti noioso.

Una delusione su più fronti

Altro punto debole della storia sono i dialoghi, a tratti fuori luogo e del tutto banali che ne indeboliscono ulteriormente il film. L’unica componente filmica a salvarsi è la partitura di Juan Federico Jusid, intensa ed emozionante quanto basta da risollevare il finale di un film che non sorprende neppure negli ultimi istanti. Il risultato è una storia di passione e triangoli amorosi che finisce per rimanere tale, mettendo da parte molti stilemi che un genere come questo esige.

La verità è che non gli piaci abbastanza: recensione del film con Ben Affleck

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La verità è che non gli piaci abbastanza è il film del 2009 diretto da Ken Kwapis e con protagonisti un cast d’eccezione composto da Jennifer Connelly, Jennifer Aniston, Scarlett Johansson, Drew BarrymoreBen Affleck, Justin Long, Bradley Cooper e Kevin Connoll.

Che vuol dire quando lui non ci chiama, non ci dice mai Ti Amo, non ci vuole sposare…? La risposta che danno Greg Behrendt e Liz Tuccillo nel loro libro “He’s Just Not That Into You: The No-Excuses Truth to Understanding Guys” è che La verità è che non gli piaci abbastanza. Su questo binario iniziale muove il film di Ken Kwapis (Licenza di matrimonio), tratto dall’omonimo best-seller degli sceneggiatori di Sex and tha City(la serie).

La verità è che non gli piaci abbastanza, la trama

La verità è che non gli piaci abbastanza è la storia di Gigi che è una frana con gli uomini e non riesce a percepire e leggere bene i “segnali” di  Conor che lungi dall’essere interessato da Gigi, corre dietro ad Anna che invece comincia una relazione adulterina con Ben, marito di Janine che è amica di Gigi e di Beth, la quale è fidanzata da 7 anni con Neil che si rifiuta di sposarla e così via. Storie parallele che si intrecciano mostrando le relazioni d’amore nel loro nascere, costruirsi, nel loro disfarsi, nella loro sostanza di compromesso armonico tra le due parti. Un film intessuto sulla regola che tutte le persone sono uguali e si comportano, davanti alle medesime situazioni, allo stesso modo. Una regola che finisce con l’essere infranta poiché alla fine della storia, chi merita un premio lo riceve, chi si ama davvero resta insieme, chi invece ha distrutto resta solo e chi invece è stato lasciato trova la forza di ricominciare e di ricostruire la propria vita.

La verità è che non gli piaci abbastanza, in 129 minuti, dipana le sue storie con freschezza senza mai eccedere nel patetismo o nel romanticismo smielato, strizzando un occhio allo spettatore che ride dei personaggi ma ride anche di sé, rispecchiandosi in alcune delle situazioni rappresentate. Il film ha il suo punto di forza in un cast stellare, dove la frangia femminile fa la parte del leone comprendendo: Jennifer Connelly, Jennifer Aniston, Scarlett Johansson, Drew Barrymore (anche produttrice), Busy Philipps. A queste bellissime si contrappongono Ben Affleck, Justin Long, Bradley Cooper, Kevin Connolly. 

Forte soprattutto di una sceneggiature brillante di Abby Kohn e Marc Silverstein, il film tira dritto per tutta la sua durata, senza stancare, risultando divertente e alla fine non troppo retorico. Interessante è la struttura simile a documentario di costume sulle esperienze sentimentali delle persone comuni, interessante soprattutto perché alla fine mopstra che lo stereotipo sociale per cui è sempre e solo la donna a soffrire per amore, viene a cadere. Il film dunque non è parziale ma paritario e mostra molte situazioni reali rendendo così persone hollywoodiane, personaggi reali. La verità è che non gli piaci abbastanza si conclude con l’implicita riflessione che non è vero che La verità è che non gli piaci abbastanza, ma che ogni storia è a se stante, ed ogni reazione umana dipende da una coscienza diversa, da un percorso individuale, che qualche volte finisce con l’essere condiviso dall’altro.

La verità è che non gli piaci abbastanza: la trama, il cast e il libro

Celebre commedia del 2009, il film La verità è che non gli piaci abbastanza è diretto da Ken Kwapis, già autore di film come 4 amiche e un paio di jeans e Qualcosa di straordinario. Il titolo in questione è basato sull’omonimo romanzo scritto da Greg Behrendt e Liz Tuccillo, divenuto un vero e proprio best seller al momento della sua pubblicazione. Vera fonte di attrattiva, oltre alla brillante storia narrata, è il cast che dà vita ai personaggi protagonisti. Questo si compone infatti di alcuni tra i più celebri attori di Hollywood degli ultimi anni, tra cui alcuni premi Oscar.

Il film, che si divide in episodi accomunati dalle problematiche sentimentali dei vari protagonisti, ha ottenuto un grande successo di pubblico. Gli appassionati del libro, come anche i fan degli attori, si sono infatti riversati in massa a vedere il film. In breve, questo si è così affermato come una delle commedie di maggior successo dell’anno. A fronte di un budget di 40 milioni di dollari, il film è infatti riuscito ad incassarne oltre 178 in tutto il mondo. Tale traguardo è arrivato nonostante un parere della critica non particolarmente entusiasta, che indicava la scarsa attenzione dedicata ai personaggi come principale pecca.

A distanza di più di un decennio il film continua ad essere nominato come uno dei maggiori esempi di pellicola sentimentale tratta da un libro, inserendosi in un’ampia categoria di opere simili. Numerose sono le curiosità circa le origini della storia qui narrata, come anche quelle relative al cast di attori scelti per i personaggi principali. Di seguito si potranno ritrovare tutti i principali fatti da sapere per conoscere a fondo il film, come anche dove è possibile ritrovarlo e vederlo in streaming.

La verità è che non gli piaci abbastanza: la trama del film

Il film segue le vicende di un variegato gruppo di persone alle prese con le loro complicate relazioni amorose. La prima di queste è Gigi, la quale è convinta che gli uomini agiscano secondo logiche talvolta incomprensibili. Ciò sembra trovare conferma nel momento in cui il ragazzo con cui si stava frequentando smette di scriverle o chiamarla. Allo stesso tempo, un’altra coppia, formata da Neil e Beth inizia ad avere i primi grandi problemi dopo anni di relazione. Lei vorrebbe infatti convolare a nozze, ma lui non sembra convinto di volersi prendere questo impegno. Ciò porterà ovviamente ad una crisi dai risvolti inaspettati.

Come loro anche Janine, migliore amica di Gigi, e Ben, migliore amico di Neil, sembrano giunti al capolinea. La crisi tra di loro è però dovuta ad un elemento esterno, rappresentato dalla seducente maestra di yoga di nome Anna. Le loro storie, che scorrono in modo parallelo, finiranno per intrecciarsi in una serie di equivoci, adulteri, abbandoni, confessioni e pentimenti. Ognuno di loro sarà così chiamato a destreggiarsi tra quel complesso sentimento chiamato amore, sperimentando tutte le sfumature che questo può avere.

La verità è che non gli piaci abbastanza cast

La verità è che non gli piaci abbastanza: il film e il libro

Prima di scrivere il libro da cui è tratto il film, Behrendt e Tuccillo erano già stati gli sceneggiatori della celebre serie Sex and the City. Questa allo stesso modo esplorava le tematiche intorno all’amore e i suoi mille problemi. In particolare, ad aver ispirato la trama di La verità è che non gli piaci abbastanza, è stato l’episodio Il silenzio è d’oro, quarto della sesta e ultima stagione. All’interno di questo, ognuna delle protagoniste si ritrova a vivere una serie di conflitti con i rispettivi partner, arrivando nel più dei casi ad una rottura di coppia. Queste dinamiche sono poi state dunque riprese e ampliate dai due sceneggiatori nel loro libro, divenuto in poco tempo un best seller. Lo stesso titolo inglese, He’s Just Not That Into You, è ispirato ad una delle battute pronunciate nella puntata.

Il libro è anche definito come “self-help”. Il proposito di questa categoria è di parlare direttamente al lettore, offrendo consigli su questioni inerenti alla sfera personale e che possono portare ad una più completa autorealizzazione del sé. All’interno di questo, infatti, i due autori offrono una serie di esempi e consigli per quelle donne incastrate in relazioni senza futuro, suggerendo che se la persona con cui ci si frequenta non è disposta a mettersi in gioco nella coppia, forse è perché non gli piaci abbastanza. Nell’adattare il libro in film, però, si è reso necessario costruire una storia più coesa secondo i canoni cinematografici. Questo ha portato all’elaborazione dei personaggi, dei loro problemi e dei loro intrecci.

La verità è che non gli piaci abbastanza: il cast del film

Per assicurarsi il successo del film, i produttori hanno deciso di radunare una squadra di popolari attori di Hollywood, assicurandosi che questi avessero anche già recitato in film di questo genere prima. Ad interpretare il personaggio di Gigi, particolarmente ricorrente nel film, è infatti l’attrice Ginnifer Goodwin. Questa è nota in particolare per aver dato volto a Biancaneve nella serie C’era una volta. A interpretare la coppia formata da Neil e Beth sono invece rispettivamente i noti Ben Affleck e Jennifer Aniston, qui alla loro prima collaborazione. Bradley Cooper e Jennifer Connelly sono invece Ben e Janine. Cooper condivide poi diverse scene con Scarlett Johansson, la quale interpreta Anna. I due si sarebbero poi ritrovati grazie al film Avengers: Infinity War. Nel film è poi presente l’attrice Drew Barrymore nel ruolo di Mary.

La verità è che non gli piaci abbastanza: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

Per gli appassionati del film, o per chi desidera vederlo per la prima volta, sarà possibile fruirne grazie alla sua presenza nel catalogo di alcune delle principali piattaforme streaming oggi disponibili. John Rambo è infatti presente su Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play, Apple iTunes, Amazon Prime Video, Tim Vision e Netflix. In base alla piattaforma scelta, sarà possibile noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale al catalogo. In questo modo sarà poi possibile fruire del titolo in tutta comodità e al meglio della qualità video. Il film è inoltre in programma in televisione per mercoledì 7 ottobre alle ore 23:45 sul canale Rai Movie.

Fonte: IMDb

 

 

 

La vera storia di The Right Stuff: la recensione del documentario Disney+

Se guardando la serie The Right Stuff: Uomini veri, disponibile su Disney+ dal 9 ottobre, si desidera conoscere di più sulla storia dei primi veri astronauti americani, ecco che in soccorso arriva il documentario La vera storia di The Right Stuff: Uomini veri. Disponibile dal 20 novembre sulla medesima piattaforma streaming, questo uscirà in concomitanza con l’ultimo atteso episodio della serie di fiction. Si va così a completare un epico racconto che ancora oggi non manca di suscitare curiosità e trasporto emotivo. A dirigere il progetto vi è il regista premiato agli Emmy Tom Jennings, che ha anche prodotto il titolo con 1895 Films per National Geographic.

Il documentario racconta la straordinaria storia vera dei primi astronauti americani, noti come Original Mercury 7, e trae ispirazione da centinaia di ore d’archivio di filmati e trasmissioni radiofoniche, interviste, video amatoriali e altro materiale raro e inedito per catapultare gli spettatori alla fine degli anni Cinquanta. Qui prende infatti forma il Project Mercury, che vedrà gli Stati Uniti proporsi come protagonisti per la conquista dello spazio, sfidando apertamente i rivali russi. Tra tentativi, fallimenti e storiche conquiste, prende forma un racconto che si ricollega direttamente al nostro presente, nel momento in cui nel 2020 la NASA spedisce due nuovi astronauti nello spazio, oggi luogo a noi meno ignoto.

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La nascita del mito

Ci sono storie talmente tanto avvincenti e ricche di colpi di scena che già con la loro semplice realtà dei fatti sono in grado di conquistare spettatori da ogni dove e quando. Quella dei primi astronauti della NASA e delle loro ambizioni nello spazio sono certamente tra queste. Si tratta di un racconto che ha contribuito a forgiare il paese e il secolo intero, dimostrando di quali grandi imprese può essere capace l’uomo. Vedere tutto ciò narrato in una serie di fiction permette certamente un’affascinante drammatizzazione degli eventi. Ma ritrovare questa stessa storia in un documentario consente invece di imbattersi in una serie di dettagli e particolari che arricchiscono di fascino, e realismo, il racconto.

È quello che succede con La vera storia di The Right Stuff: Uomini veri, dove si ripercorre sin dall’inizio il reclutamento, la formazione e la popolarità pubblica degli Original Mercury 7. Nell’approcciarsi a tale ricco racconto, il regista costruisce una narrazione che permette di non distrarsi dal vero cuore del documentario. Jennings rifugge dalla canonica costruzione di tale genere. Rinuncia all’utilizzo di interviste e permette di avere un accesso completo alla corsa allo spazio degli astronauti statunitensi. In particolare, il film si avvale di una serie di filmati di repertorio, immagini e registrazioni audio fino ad ora inediti. Questi materiali sono poi impreziositi da un altrettanto epica colonna sonora composta da James Everingham e prodotta dal premio Oscar Hans Zimmer.

La vera storia di The Real Right Stuff Disney+

La vera storia di The Right Stuff: la recensione

Prendendosi dunque delle libertà nella forma, egli ha modo di raccontare con un punto di vista più ravvicinato una storia altrimenti estremamente classica. Partendo dalla fine degli anni Cinquanta Jennings ci conduce attraverso un secolo di conquiste, rese possibili anche dai tanti dolorosi fallimenti. Particolarmente interessante del documentario è infatti lo scontro tra Stati Uniti e Russia. Uno scontro non bellico che ha dimostrato come il desiderio di fare meglio possa portare a “piccoli passi per l’uomo, ma grandi passi per l’umanità. E per dar vita ad imprese di questo tipo era davvero necessario avere a disposizione il meglio del meglio in quanto ad astronauti.

Come narrato dallo scrittore Tom Wolfe nel suo romanzo The Right Stuff, alla base sia dell’omonimo film che della nuova serie e di questo documentario, questo è il racconto di un mondo che si scontra con il progresso e lo fa proprio. Ciò che però il documentario aspira ad esaltare è quanto tali vicende abbiano poi influito nella vita privata di questi uomini. Jennings conduce lo spettatore nelle loro case, apre un dialogo con i famigliari rimasti davanti la televisione a guardare i loro cari lasciare il pianeta terra. È in particolare qui che si ritrova la grandezza di questa storia, che scava nel privato per comprendere meglio ciò che è pubblico. Grazie anche alla scelta di costruire il documentario attraverso sole immagini di repertorio, l’attenzione dello spettatore è presto conquistata e condotta fin nello spazio.

La vera guerra dello Utah dietro alla serie tv American Primeval

La vera guerra dello Utah dietro alla serie tv American Primeval

American Primeval si svolge negli anni della Guerra dello Utah: ecco tutto quello che c’è da sapere sulla guerra reale che sta alla base della miniserie western di Netflix. Sebbene ci siano stati film e programmi televisivi di ogni tipo sulle varie guerre in cui gli Stati Uniti sono stati coinvolti nel corso della loro storia, la guerra dello Utah è una di quelle meno conosciute. Tuttavia, American Primeval ha deciso di fare luce su questa serie di conflitti interni, utilizzando la guerra tra i mormoni e il governo degli Stati Uniti come sfondo per la sua storia western.

American Primeval è uno degli show Netflix più interessanti del 2025, con la serie creata dal regista Peter Berg e dallo scrittore di The Revenant Mark L. Smith. La serie segue Sara Rowell e suo figlio mentre tentano di attraversare la frontiera per trovare il marito di Sara, cercando di trovare una guida che li accompagni. Nel corso del loro viaggio, Sara e il suo gruppo si imbattono in ogni tipo di incredibile violenza e difficoltà, con il mondo oscuro e grintoso di American Primeval che mostra quanto fossero effettivamente pericolose la frontiera e la guerra dello Utah.

Chi ha combattuto nella guerra dello Utah e perché

AMERICAN PRIMEVAL. Joe Tippett a

La guerra dello Utah, nota anche come ribellione mormone, ebbe luogo dal maggio 1857 al luglio 1858 e fu causata dalle crescenti tensioni tra i coloni mormoni del Territorio dello Utah e il governo federale degli Stati Uniti. Il conflitto fu causato quando, nel tentativo di eliminare l’influenza dei mormoni sul Territorio dello Utah, il presidente James Buchanan nominò un nuovo governatore (via The Archive). Senza informare il governatore Brigham Young, Buchanan inviò 2.500 truppe nel Territorio dello Utah nel tentativo di proteggere il nuovo governatore.

Negli ultimi decenni, i mormoni avevano affrontato molte persecuzioni e si aspettavano di più. L’arrivo di 2.500 truppe nel Territorio dello Utah spaventò i mormoni e Young disse ai suoi seguaci di prepararsi alla guerra. I mormoni iniziarono a fortificare il loro Stato, con l’istruzione di ostacolare l’esercito senza impegnarlo in un conflitto diretto. Ai mormoni fu detto di incendiare i treni, creare blocchi, bruciare i luoghi in cui potevano alloggiare e altro ancora. Anche se non ci furono vere e proprie battaglie, la Guerra dello Utah sfociò nel Massacro di Mountain Meadows.

Chi vinse la guerra dello Utah e che cosa significò

American Primeval Shea Wigham
© Netflix

Nonostante i mormoni e gli altri coloni del Territorio dello Utah tentassero di opporre resistenza, non ebbero mai alcuna chance contro il governo federale. Alla fine, gli Stati Uniti accettarono di perdonare completamente i membri della Chiesa mormone per qualsiasi atto di ribellione commesso durante la guerra dello Utah, ad eccezione di coloro che avevano compiuto il massacro di Mountain Meadows (un evento che si vede nel primo episodio di American Primeval).

I negoziati tra gli Stati Uniti e il Territorio dello Utah portarono il governo federale a riprendere il controllo dell’area, riuscendo a realizzare quasi tutto ciò che Buchanan intendeva fare. Alle truppe dell’esercito americano fu permesso di entrare nel Territorio dello Utah e il governatorato del Territorio dello Utah fu trasferito da Brigham Young ad Alfred Cumming, che non era un mormone. In questo modo non solo fu ristabilito il controllo federale, ma Buchanan riuscì a togliere ai mormoni il controllo sul Territorio dello Utah.

Quanto è accurata la guerra dello Utah di American Primeval?

American Primeval serie netflix
Cr. Matt Kennedy/NETFLIX © 2023

American Primeval si svolge nel 1857 e mostra solo l’inizio della guerra dello Utah. Sebbene la serie non si addentri nei retroscena della guerra, non spiegando completamente gli eventi che portarono i mormoni a prepararsi a combattere il governo federale, ciò che la miniserie di Netflix mostra è abbastanza accurato. Cose come l’acquisto di Fort Bridger da parte di Brigham Young solo per bruciarlo si adattano perfettamente alla strategia dei mormoni durante la guerra dello Utah, mostrando una piccola parte di ciò che facevano durante il conflitto.

Inoltre, l’oscura scena di American Primeval che ritrae il Massacro di Mountain Meadows riesce a mostrare con precisione l’evento più violento della Guerra dello Utah, e questo è un incidente che incita la serie. Il massacro mette quasi tutti i personaggi principali sulla strada che seguiranno per il resto della serie, e l’evento storico reale è incredibilmente importante per la serie. Quindi, anche se American Primeval avrebbe potuto trattare di più, ciò che ha trattato è piuttosto accurato.

La vendetta di un uomo tranquillo recensione del film di Raúl Arévalo

Arriva in sala in 30 marzo La vendetta di un uomo tranquillo, presentato al 73esimo Festival di Venezia e vincitore di 4 Premi Goya (Miglior film, Miglior regista esordiente, Miglior sceneggiatura originale e Miglior attore non protagonista).

Madrid, agosto 2007. Curro (Luis Callejo), è l’unico membro di una banda di delinquenti ad essere arrestato in seguito ad una rapina ai danni di una gioielleria. Tempo dopo viene scarcerato e trova ad attenderlo la sua compagna Ana (Ruth Díaz) che cerca di reintegrarlo nella piccola comunità in cui vivono, ma il solitario e riservato Josè (Antonio de la Torre) sembra in qualche modo minacciare le speranze di Curro di iniziare una nuova vita con Ana.

Il film è l’opera prima dello stimato attore spagnolo Raúl Arévalo, noto in Italia per i suoi ruoli in Gli amanti passeggeri e Ballata dell’odio e dell’amore, si costruisce attorno ad una tematica cardine del cinema iberico, quale quella della vendetta, che il regista mostra di riuscire a riproporre con grande abilità e maestria; ne è un esempio il piano sequenza iniziale che in una manciata di minuti condensa i principali punti di forza della pellicola: l’imprevedibilità, la violenza e la tensione.

La vendetta di un uomo tranquillo è un thriller atipico ma allo stesso tempo una sorta di western contemporaneo che intreccia scenari desertici, desideri di vendetta, uomini taciturni mossi da un odio represso e atti di violenza ponderati che esplodono e disattendono le nostre aspettative. Sia la sceneggiatura rigorosa, con una divisione in capitoli che ci rimanda al Kill Bill di Tarantino, che il buon cast, permettono ad Arévalo, di confezionare una vicenda nera e cruda ma al contempo realistica, portando lo spettatore a scontrarsi con una mondo costellato da tanti personaggi tormentati e incompleti che si ritrovano a scendere a patti con la delusione, non riuscendo a risollevarsi dalla loro condizione miserabile; è il caso di Curro ma anche quello di Ana, che in José vedeva uno spiraglio di salvezza per la sua esistenza inappagante o di Triana, interpretato da Manolo Solo, emblema di quel microcosmo umano ai margini della società spagnola.

Nonostante qualche piccola ingenuità ci troviamo davanti ad un ottimo esordio per Arévalo, il quale si mostra una cineasta capace di abbracciare il genere pur a tratti discostandosene nel tentativo di riproporlo attraverso un approccio totalmente personale ma al contempo funzionale alla vicenda trasposta su schermo.

Nella speranza che Arévalo possa continuare a far parlare di sé in futuro, d’ora in avanti soprattutto come regista e non solo come interprete.

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