La Storia del Cinema è popolata da
numerosi autori che hanno contribuito a renderla immortale, ma sono
ben pochi coloro che possono vantarsi di aver rivoluzionato e
radicalizzato le forme espressive a tal punto da guadagnarsi un
posto d’onore fra gli “immortali”. Il 6 maggio del 1915 a
Kenosha, una piccola cittadina del Wisconsin, venne alla luce colui
che contribuì a trasportare lo stile e le tecniche cinematografiche
dal periodo classico degli anni ’20 e ’30 verso l’età moderna,
diventando una delle figure più eclettiche e discusse del panorama
artistico della seconda metà del ventesimo secolo. Orson
Welles crebbe fin da giovane in un ambiente culturalmente
e artisticamente molto ricco, con due genitori che lo spronarono
fin da subito a coltivare la passione per diverse discipline, dalla
letteratura al teatro, passando per la pittura e la musica.
Allevato come un vero ragazzo
prodigio, il giovane Orson interpretò piccoli ruoli in spettacoli
teatrali per l’Opera di Chicago, finché rimase prematuramente
orfano all’età di 15 anni, venendo in seguito allevato da un
precettore privato, il quale contribuì a rafforzare il gusto del
ragazzo verso le arti visive regalandogli un teatrino e una
lanterna magica. Dopo aver terminato le scuole ordinarie, durante
il cui periodo metterà in scena moltissimi spettacoli tratti da
Shakespeare, al posto di frequentare l’università decide di partire
in pellegrinaggio per l’Europa intraprendendo una mal riuscita
carriera di pittore, per poi tornare negli Stati Uniti nel 1934 e
realizzare il suo primo cortometraggio in 16 mm intitolato
The Hearts of Age, un’allegoria sulla
morte ispirata al gusto dei registi delle avanguardie europee degli
anni ’20 in cui si vedono già elementi del suo futuro stile
(piani-sequenza, uso del grandangolo e l’impronta di un gusto colto
e intellettuale). Welles si trasferisce poi a New York dove può
finalmente recitare come attore professionista a Broadway, oltre a
preparare la regia di molte opere classiche in uno stile insolito e
originale.
Dopo aver aderito al collettivo
teatrale Federal Theatre, nel 1938 assieme
all’amico John Housman fonda una nuova compagnia in prosa, il
Mercury Theatre, la quale realizza per la CBS
adattamenti radiofonici di famose opere letterarie e teatrali.
Durante la trasmissione del 30 ottobre del 1938 Welles riesce
finalmente a guadagnarsi una notorietà straordinaria inscenando una
finta radiocronaca di una presunta invasione aliena negli Stati
Uniti, traendo spunto dal noto racconto La guerra dei
mondi di H.G.Welles e scatenando una vera psicosi di massa in
tutto il paese. Questa straordinaria performance gli vale
l’attenzione dei dirigenti della nota casa di produzione RKO, i
quali decidono di scritturalo come regista per ben tre film con un
contratto fino a quel momento mai proposto a nessun regista
hollywoodiano, concedendogli una libertà assoluta nella scelta del
soggetto e nella direzione, oltre al controllo sul montaggio
finale. L’esordio alla regia avviene nel 1941 con
Quarto potere, opera rivoluzionaria in
cui, attraverso l’uso pionieristico di flashback multipli viene
raccontata la misteriosa storia di Charles Foster Kane, magnate
dell’editoria americano ispirato alle figure reali di alcuni
facoltosi e strambi uomini americani, come Randolph Hearst e Howard
Hughes, oltre a prendere spunto da grandi classici della
letteratura tra cui Il grande Gatsby e Cuore di
tenebra (uno dei suoi progetti più amati e mai realizzato),
oltre a numerosi elementi autobiografici dello stesso Welles, che
compare anche nel ruolo del protagonista principale. Con la
presenza inusuale di lunghi piani sequenza, inquadrature dal basso
(che mostrano per la prima volta in un film i soffitti !) e
l’impiego di obiettivi grandangolari assieme ad una illuminazione
di stile espressionista, il giovane venticinquenne Welles realizza
un’opera che anticipa l’estetica del cinema moderno, un racconto
labirintico e affascinate che viene ad oggi considerato come il più
importante della storia del cinema, forse il film più analizzato e
recensito di sempre. A causa del suo stile rivoluzionario,
Quarto potere non ottiene il successo sperato, e per il
successivo progetto, L’orgoglio degli
Amberson, Welles gode di una minore libertà creativa,
tanto che la pellicola esce nelle sale con un montaggio finale non
approvato dal regista.
Dopo aver dovuto
abortire un progetto dedicato al carnevale di Rio de Janeiro, nel
1946 con Lo straniero Welles realizza
l’ultima difficile collaborazione con la RKO, riuscendo comunque a
creare un’opera creativa che vuole trattare in maniera sperimentale
l’ormai abusato genere poliziesco. Continuando a partecipare come
attore a numerosi film in cui interpreta personaggi oscuri ed
ambigui, come in Il terzo uomo o
La nave della morte, nel 1947 torna alla
regia e al ruolo di protagonista con La signora di
Shangai, un torbido e affascinate noir con la moglie
Rita Hayworth in cui porta ancora più all’estremo
il suo sperimentalismo visivo, così come farà in seguito con ottimi
adattamenti cinematografici di opere shakesperiane, tra cui
Macbeth (1948) e
Otello (1952), con cui vince la Palma
d’Oro al Festival di Cannes. A causa del suo
carattere stravagante ed incostante, unito ad una strema
maniacalità e perfezionismo tecnico, Welles fatica a trovare
finanziamenti dai grandi studios, perciò continua la sua carriera
di attore cinematografico e teatrale, contemporaneamente a film
personalissimi e per lo più autoprodotti, come Rapporto
confidenziale (1955) e Il
processo (1962), adattamento in stile brechtiano del
romanzo di Kafka. Nel 1958 con L’infernale
Quinlan Welles dirige ed interpreta un noir
licenzioso ed estremo, avvalendosi della presenza di grandi star
del calibro di Charlton Heston e Janet
Leigh, oltre ad uno stile brutale e ad uno dei
piani-sequenza di apertura più lungo della storia. Nel 1963
Pier Palo Pasolini in persona lo vuole nel suo
mediometraggio La ricotta per
interpretare un regista intellettuale che discute sulla filosofia
marxista, e dopo aver avviato progetti purtroppo irrealizzati, tra
cui un adattamento del Don Quixote di
Cervates e l’intensa opera The Oteher Side of the
Wind, Welles termina la sua carriera nel 1976 con un
F come Falso, un grottesco
mokumentary sul tema della falsificazione delle opere
d’arte, un velato e irriverente trattato sulla figura del regista
come falsificatore della realtà.
Welles chiude dunque la sua
straordinaria parabola di creatore di sogni e di personalità
eccentrica con una rappresentazione di sé stesso fra le più sincere
ed oneste, riducendo la sua intera vita al servizio dell’arte come
ad un gioco barocco in cui egli si è divertito spesso ad
interpretare simultaneamente la parte del burattino e del
burattinaio.