Questa mattina presso l’Hotel De Russie a Roma si è tenuta la conferenza stampa del film Vizio di forma di Paul Thomas Anderson. Ad incontrare la stampa c’era il regista statunitense e l’attore protagonista Joaquin Phoenix.
Nel film riesce perfettamente a rievocare i temi del libro, ha fatto qualche lavoro d ricerca per costruire l’atmosfera e il suo personaggio?
Joaquin Phoenix: Beh non so, forse una questione di fortuna comunque devo dire che non ho avuto la sensazione di avere il bisogno di andare a rivedere vecchi film perché nel libro c’era tutto il materiale di cui avevo bisogno, c’era veramente tanto materiale. Poi c’è questo tono veramente unico della storia di Pynchon e questa è stata la mia più grande fonte di ispirazione, lavorando con Paul Thomas Anderson devo dire che lui riesce a mettere insieme foto, album e altri oggetti che il suo ufficio diventa proprio quell’epoca, quel periodo storico. È lui che riesce a raccogliere tutto e mettere insieme, non c’è una scienza e parlarne in questi termini sarebbe veramente troppo noioso.
Il film è contraddistinto dalla melanconia, una riflessione sul mondo che non c’è più e che non può tornare, questa atmosfera è ben visibile sul suo volto, come ci ha lavorato?
J.P.: Non ho fatto uno sforzo consapevole per avere un’espressione particolare, comunque hai ragione è un sentimento che permea tutto il film e devo dire che è una delle peculiarità del libro stesso, si intuisce proprio dalla citazione iniziale, qualcosa che appena la leggi ti colpisce. Io comunque cerco sempre di non prendere delle decisioni consapevoli sul tipo di espressione che dovrei adottare perché sembrerebbe come se cercassi di vendere qualcosa al pubblico e a volte quello che è più interessante e più profondo potrebbe uscire da qualcosa che non ti aspetti. Quindi non ero consapevole di aver usato una mimica particolare per comunicare questo senso di malinconia, però tu lo attribuisci a me perché lo vedi nel mio volto ma ci sono stati anche tanti riferimenti, il colore, i costumi che hanno contribuito a questo sentimento. Quello che cerco di fare e di non dominare questi sentimenti.
Com’è lavorare in uno dei mondi di Paul Thomas Anderson e come è il vostro rapporto?
J.P.: Devo dire che a volte è semplicemente il fatto che una persona che ti piace, ti ci trovi bene e vuoi stargli intorno. Poi lui che ha dei mondi molto calmi, riesce ad emozionarsi facilmente per alcune cose. Comunque lui è un costruttore di mondi. Lui obiettivamente fa questo e io cerco di inseguirlo ma c’è questa sensazione di calarsi in questo mondo, ed è una sensazione molto bella.
Che differenza c’era tra questa lavorazione e con The Masters?
J.P.: Si devo dire che Doc è un personaggio che tende un po’ ad abbracciare un mondo, mentre invece il personaggio di Freddie in The Masters era più isolato, è stata un’esperienza più insulare, se vogliamo. Anche sul set ho avuto un’esperienza simile, proprio quasi di isolamento mi sentivo estraniato dalla produzione. Invece in questo particolare caso c’era proprio uno sforzo per abbracciare il set e tutti gli attori che hanno lavorato, qui era viva la sensazione di far parte alla lavorazione del film.
Un periodo della sua vita ha vissuto in una comunità hippie con la tua famiglia, ha influenzato la preparazione al tuo personaggio?
J.P.: Avevo due anni! Ero troppo piccolo non mi ha influenzato!
Ha una grande capacità di bilanciare gli aspetti più bizzarri con toni reali ed umani, come si raggiunge questa cifra?
J.P.: Grazie! In genere si gira una scena si fanno 12 take con delle piccole variazioni e poi il regista ne sceglie una, quindi spesso quando si va a vedere il film finito si ha una sorta di combinazione tra ciò che faccio e la scelta del regista e di chi si occupa del montaggio. Ma in genere nei film a cui ho lavorato io, c’è sempre il regista che ha supervisionato il montaggio. Quindi non penso di potermi di assumere la responsabilità di quello che vedete voi, se la cosa che vedete voi funziona e voi vedete personaggi ed elementi diversi non so se effettivamente potete imputare il tutto esclusivamente a me. Vorrei poter dire che sono un genio, che sono bravissimo e che faccio tutto bene ma forse non è così.

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