Il film è l’ultimo completo di
Philip Seymour Hoffman, in cui lo straordinario
attore, prematuramente scomparso, interpreta l’immenso
protagonista. C’era quindi da aspettarsi che, in sede di
presentazione del film al Festival di Roma 2014, il regista
Anton Corbijn e l’attore Willem
Dafoe venissero sommersi da domande relative all’attore
premio Oscar, e così è stato. Anche perché con
La Spia – A Most Wanted Man, la carriera di
Philip Seymour Hoffman si chiude con una grande,
struggente performance.
-Cosa si prova a rivedere
il film adesso, quando Philip Seymour Hoffman è andato
via?
A.C.: “Sono stato molto
contento che avesse finito di girare il film. Avrei dovuto prendere
delle decisioni difficili, cosa tagliare, cosa tenere, come montare
le parti incomplete. Con la sua dipartita, il film ha assunto un
peso che personalmente non volevo avesse. Qualcuno ha anche
cominciato a fare paralleli tra il suo personaggio e la sua vita.
ma è facile fare questo tipo di ragionamenti a posteriori. E’ stato
molto doloroso riguardare il film, non avrei mai potuto
immaginare di trovarmi adesso in questa situazione.”
W.D.: “Non ho più visto il film
dopo averlo visto con lui al Sundance. Dopo poche settimane è
morto. Ricordo lo straordinario lavoro che abbiamo fatto insieme, e
questo valore che mi porto dentro eclisserà per sempre il film
stesso per me.”
-Al regista Corbijn,
considerando anche le sua attività di fotografo, come è stato
lavorare ad Amburgo?
A.C.: “Ci siamo trovati a
girare ad Amburgo perché la storia è ambientata lì. Come regista
devo dire che è stato davvero bello proprio perché si tratta di una
città inconsueta e ogni cosa che riprendi, ogni scorcio o paesaggio
è qualcosa di nuovo per lo spettatore. Non l’abbiamo quasi mai
vista in altri film e questo per un regista è un grande
regalo.”
-Come ha diretto Philip
Seymour Hoffman e in che modo avete lavorato al
personaggio?
A.C.: “Abbiamo parlato tanto
del personaggio, e uno degli elementi importanti di cui abbiamo
discusso molto è stata la lingua e l’accento che doveva avere il
suo personaggio. Abbiamo cercato di dare a tutti i personaggi un
accento tedesco, così da raggiungere una certa omogeneità. Inoltre
per Phil era il primo ruolo da europeo, quindi è stata una
difficoltà in più. Per quanto riguarda il suo personaggio invece,
si tratta di una persona buona, che è stata fregata un paio di
volte nella vita ma che non perde la voglia di credere nell’umanità
e nel suo lavoro. L’abbiamo costruito insieme, è un personaggio
‘tutto lavoro’ che non si cura delle persone e di se stesso perchè
per lui conta solo quello che c’è da fare.”
-Da attore ad attore,
mister Dafoe, cosa c’era di eccezionale in Philip Seymour
Hoffman?
W.D.: “Per lui ho sempre
provato grande ammirazione e rispetto. E’ uno dei pochi attori
americani che è partito dal teatro e poi è arrivato al cinema, per
tornare di nuovo a teatro. In questo aspetto mi rispecchio molto.
Ha iniziato con ruoli da caratterista, in cui faceva la spalla, poi
piano piano è cresciuto fino a raggiungere quella gravitas, quello
status, quella presenza e complessità che vediamo sullo schermo. Ma
era una persona semplice con cui avere a che fare, era rispettosa e
sapeva creare sul set. Non c’è un altro attore come lui, era forte,
integro, e allo stesso tempo sapeva rendersi malleabile e
trasformarsi per il regista.”
-Dafoe, a Venezia abbiamo
visto il suo Pasolini, dove era protagonista assoluto. Qui invece
il suo è un piccolo ruolo. Come si approccia ai personaggi grandi e
piccoli?
W.D.: “Non utilizzo sempre lo
stesso approccio. Faccio ciò che è necessario al mio personaggio e
il mio compito è cercare di capire in che modo essere d’aiuto al
personaggio e cercare il suo spazio all’interno della storia. Se
esageri con un piccolo ruolo non riesci a fare il tuo compito,
risulta eccessivo e inutile, allo stesso modo se non fai abbastanza
con un ruolo da protagonista accade il contrario. Secondo me
bisogno capire, attraverso l’immaginazione, in che modo lavorare ad
un personaggio in base al suo spazio nel film. Se ho poche scene
spesso non serve crearsi un background. Per Pasolini ad esempio ho
fatto tantissime ricerche, ho vissuto nella sua testa per mesi,
cercando di capire cosa e come fare il meglio.”
-Il film presta una grande
attenzione ai dettagli, ai colori, come si è scelto di lavorare in
questo senso?
A.C.: “La gamma di colori che
ho scelto per la fotografia e le luci è quella che spero riesca a
riflettere l’autunno dell’umanità, così come io lo vedo
rappresentato nel film stesso.”
-Il film esce in un
contesto sociale particolarmente caldo. Ha pensato, mister Corbijn,
che il film possa essere doppiamente sotto i riflettori, per essere
l’ultima performance di Hoffman e perchè, per caso, esce in un
momento di attualità?
A.C.: “E’ triste che il film
sia sotto i riflettori per la prima delle due ragioni che ha detto.
In realtà per quanto riguarda il tema attuale, si tratta di quello
che abbiamo trovato nel libro di Le Carrè.”