“La parte più difficile nel
partecipare a Dallas
Buyers Club è stata probabilmente il fatto di
riuscire a realizzare il film”. Il protagonista di Dallas
Buyers Club
Matthew McConaughey ha raccontato oggi alla
stampa romana il suo film, la sua esperienza, il suo momento d’oro
(tra premi arrivati e altri che forse arriveranno), ma ha anche
parlato di possibilità e di capacità, di volontà nel cambiare le
cose e del problema dell’HIV come un tema ancora attuale e di cui
discutere.
Di nuovo in forma, dopo la
disastrosa ma necessaria perdita di peso,
Matthew McConaughey non è apparso come quei
protagonisti che cercano la battuta, che ringraziano tutti e che
sono sempre e per forza sorridenti. Deciso nei commenti, preciso
nelle risposte, articolato nel raccontare la sua esperienza sul set
e le decisioni della sua vita, l’attore è riuscito a fare qualcosa
che poche personalità dello spettacolo riescono a fare: rendere
interessante una conferenza stampa. Ecco alcune delle risposte che
ha dato, a partire da una breve spiegazione della genesi di un film
particolarmente complesso da realizzare.
“La sceneggiatura ha girato per
20 anni ed è stata rifiutata per 137 volte. E’ stato difficilissimo
trovare i soldi per fare il film, e anche cinque settimane prima
delle riprese ci sono venuti a mancare i soldi. Quindi la parte più
difficile è stata quella di riuscire a farlo. Per me la cosa più
difficile è stata che Ron Woodroof è pieno di rabbia, si scontra
con tantissime opposizioni, la morte in primis, poi contro la FDA.
La mia sfida principale è stata quella di rappresentare le
sfumature della rabbia cercando di non rendere una interpretazione
ripetitiva.”
-Quando è entrato a far parte del progetto?
“Le sceneggiatura mi è arrivata
5 anni fa. Non c’era nessuno coinvolto, nemmeno il regista. Così
sono stato il primo a decidere di parteciparvi, dopo averla letta
ci ho scritto sopra ‘questa sceneggiatura ha le zanne’ e avevo
assolutamente intenzione di realizzare il film, ma ogni anno
slittavamo e non si riusciva mai a prendere in mano la situazione.
L’anno in cui ho deciso che avrei voluto farlo, era gennaio, ho
detto ‘in autunno girerò questo film’ e qualcuno ha cominciato a
mettere in dubbio la cosa, ma io ho insistito. I soldi sono stati
difficilissimi da trovare, ma quell’anno ho incontrato il regista
Jean-Marc Vallée che ha detto di voler partecipare. Non abbiamo
mollato nonostante le difficoltà, ma noi eravamo determinati. E
così all’improvviso sono venuti i soldi, ma cinque settimane prima
delle riprese abbiamo avuto la brutta sorpresa che i soldi erano
spariti. Poi abbiamo deciso di farlo lo stesso. Non avevamo
materialmente i soldi ma avevamo le spalle coperte, e così abbiamo
deciso di farlo. E’ stata la nostra determinazione a far si che il
film venisse realizzato.”
-E’ stato nominato agli Oscar insieme ai suoi colleghi
di The Wolf of Wall Street.
“Ho lavorato a The Wolf
of Wall Street solo per pochi giorni, sono stati nominati
Jonah Hill, e Leonardo DiCaprio, che ha ricevuto
tantissime nomination…(sorride) Vi racconto un piccolo
aneddoto: quando ho saputo che Martin Scorsese mi
voleva incontrare, mi sono ricordato che all’Università di cinema
studiavo i film di Scorsese. Dopo 20 anni stavo andando verso casa
sua. E mi sono detto ‘io 20 anni fa studiavo i suoi film’, fuori da
casa sua mi sono detto ‘mi stanno portando davvero a casa di
Scorsese per un film?’, è stata una cosa fantastica! Inoltre le
prime cose che ho notato una volta conosciuto è che prima di tutto
ha una profondissima conoscenza del cinema, poi che ama tantissimo
le parti divertenti. Mi è stato offerto questo ruolo piccolissimo.
Io mi sono documentato e ho improvvisato alcune cose, e a lui è
piaciuto tutto tantissimo. Dopo un po’ non ci parlavamo nemmeno
più, ci capivamo a mugugni, in termini musicali. Abbiamo girato
quella scena ed è stato davvero divertente.”
-Cosa pensa de La Grande Bellezza che è il film
italiano nominato?
“Non ho visto il film ma ho
incontrato il regista, ci siamo salutati e ci siamo detti una cosa
che in questi casi non si dice mai ‘ci vediamo agli
Oscar!'”
-La sua carriera ha preso una piega decisamente
interessante, molto diversa dai suoi inizi. Cosa è cambiato? Le
scelte, i ruoli offerti o è una sua maturazione
artistica?
“Credo sia una combinazione dei
tre elementi. Qualche anno fa ero molto soddisfatto della mia
carriera, ma sentivo che volevo qualche cosa in più. Ho deciso
quindi di ricalibrare il rapporto con il mio lavoro. Avevo una vita
più avventurosa della mia carriera, il che è bene, ma ho cercato di
dare una scossa alla mia vita professionale. Mi arrivavano tante
sceneggiature che leggevo, ma volevo offerte diverse, volevo un
ruolo che mi spaventasse e che mi facesse mancare il terreno sotto
i piedi. Ho detto di no ad un sacco di cose: commedie, film
d’azione, film romantici. Mia moglie disse che prima o poi si
sarebbe esaurito il filone, e così è stato, per un po’ non mi è
arrivato nulla. Ma ho considerato che potevo permettermi di non
lavorare per un po’, nel frattempo sono diventato papà e per circa
un anno non mi è stato offerto nulla mentre mi dedicavo a mio
figlio. A questo punto sono diventato una buona idea per alcuni
registi, come è accaduto per William Friedkin per
Killer Joe, o per Steven
Soderberg che mi ha chiamato per Magic
Mike, che mi hanno pensato in un altro ruolo. C’è stato
quindi non un re-branding, ma una specie di cancellazione del
marchio che avevo. Ora ho superato i 40 anni, e un uomo comincia a
questa età ad avere nuove idee e nuove aspirazioni. La cosa
importante per me è stata la famiglia. Quanto più un uomo si sente
sicuro in casa, tanto più può allontanarsene e volare verso nuove
sfide. Ho chiuso la mia casa di produzione e la mia casa
discografica e ho deciso che volevo essere solo un attore da
ingaggio”.
– Cosa spaventava i produttori che dicevano no al
film?
“Rifiutato 137 volte. Tutti
quelli che investono soldi in un film, in particolare gli Studios,
vogliono fare buona arte, ma vogliono anche guadagnarci dei soldi.
Quando la riga di presentazione del film dice: film d’epoca, dramma
sull’HIV, eroe omofobico. Queste cose fanno dire ai produttore ‘i
soldi non li prenderò mai’.”
-Come ha fatto a perdere tutto questo peso mantenendosi
in salute e mantenendo l’energia per affrontare un ruolo così
intenso?
“La perdita di peso è stata per
me un compito molto difficile e metodico. Da militante. Sono andato
da un medico che mi ha detto quanto peso dovessi e potessi perdere,
circa 20 chili. Mi sono dato quattro mesi, quindi circa 1,5 / 2
chili a settimana. Ho vissuto da eremita, chiuso in casa,
circondato dalle cose delle quali si sarebbe circondato il
personaggio del film. La cosa sorprendente di questa fase è stata
che quanto più perdevo energia dal collo in giù, tanta più ne
guadagnavo dal collo in su. Prima di tutto avevo bisogno di meno
ore di sonno, mi svegliavo ogni mattina alle 4, qualunque fosse
stata l’ora in cui andavo a letto. L’energia che perdevo dal corpo,
si accumulava nella testa, come è accaduto a Ron Woodroof. Più
perdeva forze nel fisico, più l’energia della sua mente combatteva
per vivere ancora.”
-Ruolo cruciale per la sua nuova vita
d’attore?
“Credo che siano stati tanti
ruoli, quello che ricevo dalle persone è che forse il lavoro degli
ultimi anni mi rappresenta bene nel cambiamento. Il primo ruolo
forse è stato Lincoln Lawyer, che è piaciuto ed è andato bene al
botteghino. Per quello che mi riguarda un ruolo, un film non sono
una destinazione. Io amo molto più il processo di realizzazione del
film piuttosto che vedere il film. Ho l’ossessione di scoprire chi
è il mio personaggio.“
-Caratteristica di Ron Woodrof che è
rimasta?
“Una delle grandi lezioni che
ho imparato da Ron è che se vuoi una cosa devi fartela da
solo.”
-Che rapporto ha avuto con gli altri attori sul
set?
“Conoscevo Jennifer Garner
perchè avevo lavorato con lei prima. Non conoscevo Jared Leto prima
del film, e ci siamo incontrati veramente solo alla fine delle
riprese. Sul set io ho incontrato Rayon, e lui Ron. Non avevamo
tempo, interesse nè voglia di chiacchierare di noi personalmente, e
questo è straordinario perchè quando ci sono queste caratteristiche
vivi in una bolla, dove esiste solo il film e il tuo personaggio e
dove guardi tutto dall’interno verso l’esterno. Nei 25 giorni in
cui abbiamo girato abbiamo solo lavorato, il resto non ci
interessava.
-Hollywood ha sempre amato le trasformazioni fisiche. La
candidatura sarebbe arrivata anche senza i 23 chili in
meno?
“La capacità che ha un uomo di
superare i suoi limiti non rappresenta per forza una buona arte.
Spingersi tanto oltre può essere segno di espressione del sè, ma
non è necessariamente arte. Il fatto che io avessi perso tutto quel
peso, può avere avuto il valore di uno shock, ma quando vedi il
film non vedi una storia su ‘Matthew McConaughey che è diventato
secco’, ma su Ron Woodroof. Quando vedi il film vedi lui, il
personaggio. Dopo la prima scena io stesso mi sono detto ‘mamma mia
sembro un rettile’ ma dopo mi sono perso seguendo le vicende del
personaggio. E’ evidente che è una storia vera e lui è un uomo
reale. E il pubblico percepisce questo, e questo non vale solo per
me, anche per gli altri attore, anche per Jared.”
-Come sta vivendo l’attesa per la magica notte degli
Oscar?
“Non vivo in un’atmosfera di
aspettativa, mi sto godendo questo periodo e il fatto che parlo del
film. Il film va avanti e mi precede, è una cosa molto diversa
della promozione. Dallas Buyers Club parla da
solo. Io potrei parlarne per altri 100 anni, non mi stancherei mai
soprattutto perchè è un film realizzato con meno di 5 milioni,
perchè ha avuto una storia difficile e perchè non sono solo io, ma
è anche Jared Leto, è la sceneggiatura e il film stesso che sono
tutti candidati. Sono molto orgoglioso di questo.”
-Il problema delle cause farmaceutiche e delle cure
alternative che impatto ha avuto negli USA?
“Nel 1986 l’HIV era una
patologia che i medici non sapevano cosa fare. Davano l’AZT alle
persone, perchè si erano accorti che poteva funzionare perchè aveva
funzionato anche con alcuni malati di cancro, solo che non avevano
capito che insieme al virus uccideva anche tutto il resto. I medici
non avevano alternativa, semplicemente non sapevano cosa fare. La
cura dell’HIV non era nemmeno in cima alla lista delle
priorità. Ron Woodroof ha fatto rumore e così la FDA ha dovuto
prendere atto che ci fosse il problema. Lui sapeva che c’erano
delle medicine alternative e sapeva che alcune funzionavano. In
alcuni casi quelle medicine potevano funzionare. Lui ha fatto
rumore, ha fatto sentire la sua voce ma in tribunale ha perso, ma
ha sollevato il problema e grazie a lui il Congresso prendesse
coscienza dell’importanza di far andare avanti le pratiche e la
ricerca per la cura contro l’HIV. Per quanto riguarda le cure
alternative, la materia è insidiosa. Se una persona è affetta da
una patologia terminale perchè impedire di provare, ma ci sono
anche altri problemi diversi. Quando medicina e business si
scontrano ci sono sempre zone grigie. L’importanza di
Dallas Buyers Club è che rimane attaccato alla
pelle delle persone perchè parla proprio di questo, di cose ancora
attuali.”
-Come è stato accolto il film nella comunità
gay?
“Da quello che so la comunità
gay ha accolto molto bene il film. Molte persone sono venute da me
a dirmi, ah si io mi ricordo quel periodo, ho perso un fratello, ho
perso un amico. All’epoca l’argomento era un tabù, una vergogna
essere affetti dalla malattia. Oggi mi rendo conto che magari
alcune persone che non ci sono più e che conoscevo possono essere
morte per l’HIV ma lo nascondevano. Questo film può essere
importante anche per le nuove generazioni che non hanno idea di
come erano le cose l’epoca. Oggi dal punto di vista medico si è
fatta molta strada, e si può parlare di HIV senza problemi, una
volta si era bollati ed emarginati. Per cui è ancora importante
parlarne.”
Dallas
Buyers Club diretto da Jean-Marc
Vallee comprende nel cast
Matthew McConaughey,
Jennifer Garner,
Jared Leto, Steve Zahn, Dallas Roberts,
Griffin Dunne, Denis O’Hare, e Bradford
Cox. La storia è quella vera di Ron Woodroof, un
elettricista a cui nel 1986 viene diagnosticata l’AIDS, e a cui
rimangono sei mesi di vita. Deciso a non arrendersi, l’uomo tenta
una cura alternativa con farmaci sperimentali.
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