Le anticipazioni delle nuove
puntate di Beautiful, la saop che
va in onda alle ore 13.40 su Canale 5. Di seguito le
anticipazioni di oggi Giovedì 18 ottobre 2018.
Nella puntata di
oggi Hope rivela
a Steffy il nome dell’albergo in
cui Liam sta
alloggiando. Steffy, senza esitare, corre
subito da lui decisa ad implorare per l’ennesima volta il suo
perdono. Nel frattempo anche strong>Wyatt è andato a
trovare Liam. Il giovane spera di convincere
il fratellastro a non rinunciare al matrimonio con Steffy solo per
un errore. Wyatt gli chiederà di perdonarla in nome del bambino che
porta in grembo.
Beautiful Anticipazioni
Beautiful(The
Bold and the Beautiful) è una soap
opera statunitense, creata da William J. Bell e Lee Phillip
Bell per la CBS, che va in onda
dal 23 marzo 1987.
La soap viene trasmessa in circa
100 paesi ed è seguita da 300 milioni di spettatori in tutto il
mondo ogni giorno con punte di 500 milioni, ed è la soap opera più
seguita al mondo. Ha vinto negli anni 31 Daytime Emmy
Awards di cui 3 consecutivi come Miglior serie
drammatica del daytime (nel 2009,
nel 2010 e nel 2011).
In Italia la soap è
trasmessa dal 4 giugno 1990, prima su Rai 2 ed
in seguito, dal 5 aprile 1994, su Canale 5.
Nell’ultima stagione, del cast
iniziale del 1987 sono rimasti solo due attori: John
McCook (Eric Forrester) e Katherine Kelly
Lang (Brooke Logan, il personaggio più presente nella storia
della soap). Altri attori che hanno fatto parte del cast sin dalla
prima puntata per molto tempo sono stati Susan
Flannery (Stephanie Douglas Forrester) e Ronn
Moss (Ridge Forrester), entrambi hanno però lasciato il cast
nel 2012 (il personaggio di Ridge è poi ritornato
nel 2013, ma interpretato da un nuovo attore, Thorsten
Kaye); altre attrici che hanno partecipato a gran parte degli
episodi della soap sono state Darlene Conley (Sally
Spectra) nel cast fisso dal 1989 al 2007 (anno
di morte dell’attrice) e Hunter Tylo (Taylor Hamilton)
nel cast fisso dal 1990 al 2002 e
dal 2005 al 2013, con apparizioni da guest star
nel 2014.
Il titolo di Beau Is
Afraid sembra davvero sintetizzare appieno la
premessa, almeno a giudicare dal primo trailer ufficiale diffuso.
Il film A24 è
l’ultimo del regista di Midsommar e Hereditary
Ari Aster e vede Joaquin Phoenix nei panni di un ragazzo
stressato che intraprende “un’odissea epica per tornare a casa da
sua madre”.
Apparentemente, questa odissea implica
viaggiare attraverso un mondo fantastico di papercraft e incontrare
versioni di se stesso di vari periodi di tempo. Per far capire
quest’ultimo punto, il film presenta una
versione estremamente invecchiata di Joaquin Phoenix che è decisamente inquietante,
anche se Beau Is Afraid non sembra essere così
terrificante come il precedente lavoro di Aster. Tuttavia potrebbe
essere solo il primo trailer, però.
Se ciò non bastasse, il film presenta anche un cast di supporto di
primossimo piano , tra cui Nathan Lane, Amy Ryan, Parker
Posey e Patti LuPone.
L’uscita nelle sale è prevista negli USA per il 21
aprile.
A24 ha rilasciato una nuova featurette backstage
di Beau ha paura (qui
il trailer), l’attesissimo nuovo film di Ari
Aster. Beau ha paura promette di condurre
il pubblico in un viaggio psichedelico dalla nascita alla morte,
con Joaquin Phoenix che interpreta il personaggio
principale in diverse età della vita.
Nella nuova featurette, Aster dice:
“Penso a questo film da tipo dieci anni. C’è una parte di me
che non riesce a credere che lo stiamo girando”. Anche se non
sappiamo ancora molto della trama di Beau ha
paura, Aster ha pubblicato un cortometraggio intitolato
Beau nel 2011, su un uomo che ha troppa paura di
lasciare il suo appartamento e che mantiene un costante contatto
telefonico con sua madre. Beau ha
paura sembra essere in qualche modo collegato a
questo primo cortometraggio, poiché la trama ruota attorno al
personaggio di Phoenix che cerca di raggiungere la casa di sua
madre e sperimenta ogni sorta di cose stravaganti lungo la strada.
Come dice Aster, “È come un ebreo Il Signore degli Anelli, ma
sta solo andando a casa di sua madre”.
Dopo
Hereditary,
presentato al Sundance Film Festival nel 2018 e Midsommar, inserito fra i 10 migliori
film indipendenti del 2019 dal National Board of Review Awards, il
pluripremiato autore di culto Ari Aster tornaa stupire il pubblico
con un’opera che intreccia mistero e humor nero in un viaggio folle
e immersivo.
Scritto, diretto e
prodotto da Ari Aster, Beau ha paura
presenta Joaquin Phoenix nel ruolo del titolo
affiancato da un cast che include Nathan Lane
(vincitore di un Emmy per “Only Murders in the Building” Tv, “The
Producers – Una gaia commedia neonazista”), la candidata all’Oscar
e al Golden Globe Amy Ryan (“Il ponte delle spie”,
“Birdman”,“Gone Baby Gone”), con l’attrice nominata al Golden Globe
Parker Posey (la serie tv “The Staircase – Una
morte sospetta”, “Café Society”, “Scream 3”, “Superman Returns”,
“Blade Trinity”) e la vincitrice di Grammy Patti
LuPone (“American Horror Story” Tv, “L’accademia del bene
e del male”).
In arrivo nelle sale italiane il
27 aprile, Beau
ha pauraè il nuovo attesissimo
film di Ari Aster, regista di Hereditary e Midsommar, che già dal
trailer ha generato forte curiosità e interesse verso quella che
sembra essere una storia piuttosto folle. Le prime reazioni in
arrivo dagli Stati Uniti confermano tale sensazione definendolo
“il progetto più sfrenato del regista“. Stando alla
sinossi ad oggi rilasciata, il film segue il personaggio titolare,
interpretato da Joaquin
Phoenix, un uomo ansioso che, dopo la morte di sua
madre, decide di tornare a casa, incontrando una serie di incidenti
surreali e soprannaturali lungo la strada.
“Beau ha paura di Ari Aster è
un audace mix di umorismo e horror. In parte splendido carburante
da incubo esistenziale, in parte odissea comica nera come la pece,
è un incredibile pilastro del suo genio artistico.”, scrive su
Twitter Courtney Howard di Variety,
mentre Meagan Navarro di Bloody
Disgusting lo definisce come una “odissea folle,
fantasiosa e oscuramente comica attraverso il senso di colpa e la
repressione”. “Ho appena visto Beau ha paura. Sono così felice che
esistano cineasti come Ari Aster. Tre delle ore più estenuanti,
spiacevoli, orribili della mia vita. Ho bisogno di circa 2-3 mesi
lavorativi per capire se mi è piaciuto tutto o l’ho odiato”,
scrive invece Jess Joho del Los Angeles
Times.
Quest’ultimo parere, in
particolare, mette in risalto la durata del film, 3
ore, e lascia immaginare che Beau ha paura si
affermerà come un titolo particolarmente divisivo, che
difficilmente lascerà indifferenti i suoi spettatori. Non resta
dunque che attendere la sua uscita anche nelle sale italiane per
scoprire di più, dopo aver potuto avere un assaggio del tutto
grazie al trailer ufficiale. Oltre a
Phoenix, ricordiamo che il film è interpretato anche da
Patti LuPone, Nathan Lane,
Amy Ryan, Parker Posey,
Richard Kind e Stephen McKinley
Henderson.
ATTENZIONE – L’ARTICOLO CONTIENE
SPOILER SU BEAU HA PAURA
Il terzo lungometraggio di
Ari Aster, al cinema dal 27 aprile, è sicuramente
avvincente per quanto sgangherato. Ci sono molti momenti
esilaranti, ma anche qualche scena che meriterebbe un
approfondimento e una spiegazione, dal momento che è la prima volta
che Aster ci pone di fronte a un racconto così involuto, laddove i
suoi film precedenti erano inquietanti ma relativamente semplici
nelle loro conclusioni.
Beau ha paura ci porta invece in
territori sconosciuti e il suo finale non è proprio diretto ed
esplicativo. Dopo che Beau ha affrontato il mondo per tornare dalla
madre, che crede morta in un incidente, si trova a fare sesso con
la sua cotta d’infanzia, che però muore dopo che lui aveva
raggiunto l’orgasmo. L’uomo non aveva mai fatto sesso proprio per
paura di morire, e invece si trova a gestire l’improvvisa morte
della sua partner e in quel momento, la madre ricompare e gli
confessa che tutti i suoi incubi erano veri (compresi un fratello
gemello chiuso in soffitta, un padre mostruoso con la forma di
fallo gigante) e che la donna gli ha sempre mentito.
Il processo a Beau
Arrabbiato per le menzogne della
madre, Beau comincia a strangolarla in un impeto di rabbia. Quando
torna in sé, si interrompe improvvisamente, ma lei continua a
soffocare e in un rantolo, cade di faccia su un tavolino di vetro.
Sconvolto da quello che ha fatto, Beau fugge rapidamente dalla
casa, stordito, con la sua espressione congelata in una smorfia di
paura. Poi si imbatte in un motoscafo lungo l’argine di quello che
sembra il mare, comincia una breve navigazione che lo porta,
attraverso un tunnel, in una specie di stadio, dove, ad attenderlo,
c’è un numeroso pubblico e persino sua madre, tornata di nuovo
dalla morte.
Con Beau al centro di questo stadio,
che galleggia nell’acqua, inizia un processo. Si tratta di un
momento in cui tutti i suoi numerosi difetti vengono passati al
setaccio. A perseguire il processo c’è il dottor Cohen,
interpretato da Richard Kind in una forma rara, un
amico di famiglia che, fino a questo momento, avevamo sentito solo
nelle telefonate.
Il suo avvocato difensore è
minuscolo in confronto, riesce a malapena ad alzare la voce quanto
basta per farsi sentire prima di essere gettato sugli scogli e
ucciso. È un processo farsa in cui la colpevolezza di Beau è quasi
certa. Questo culmina con la barca che viene capovolta con lui che
presumibilmente annega sotto di essa mentre la folla, come se fosse
annoiata dall’intera faccenda, si allontana mentre scorrono i
titoli di coda. È quasi deludente, come scena, considerata l’enfasi
che era stata la cifra distintiva del viaggio, fino a quel
momento.
Tutto è uno scherzo?
Detto questo, dovrebbe essere chiaro
che il film potrebbe tranquillamente essere uno scherzo. Dalla
telefonata in cui Beau viene informato della morte di sua madre
alla scoperta fatta in soffitta, Aster sta sfoderando un tono di
racconto che era presente in maniera sottintesa nei suoi lavori
precedenti. Ha creato uno spettacolo dell’orrore esistenziale che
si intreccia con l’umorismo assurdo per mettere a nudo la rottura
di un uomo. Nel film, quest’uomo è Beau, e porta con sé molti
traumi. Riprendendo quel punto, è chiaro che il film parla del modo
in cui la vita può essere un accumulo di fallimenti che si rivelano
troppo pesanti da sopportare. Si potrebbe leggere Beau come il
frutto dell’immaginazione di Aster che dà vita a un personaggio
basato sulle sue paure profondamente radicate. Con questo in mente,
possiamo anche fare il passo successivo e ipotizzare che il film
parli anche del suo rapporto con il pubblico.
Beau e Aster hanno più paura di
noi
Quando Beau raggiunge la fine del
suo cammino, non trova la salvezza. Ha intrapreso un viaggio da
eroe quasi classico, completo dell’attraversamento di una soglia
letterale per uscire dal suo appartamento, anche se in realtà non è
stato realizzato nulla. Dato che Beau è costretto a guardarsi
indietro e a esaminare tutto ciò che ha fatto, adesso ha anche
tutta una serie di testimoni, gli spettatori, che possono sezionare
e smontare ogni passo che ha fatto per arrivare dov’è.
Indipendentemente dal fatto che Beau
debba essere letteralmente una versione di Aster o meno, c’è
qualcosa che ogni creatore lascia di se stesso quando crea
qualcosa. Ogni decisione che prendono i personaggi viene quindi
passata al microscopio per essere analizzata. Mentre Beau viene
quindi annientato, incapace di difendersi da tutto ciò che gli
viene posto contro, Aster si umilia davanti al pubblico. Sebbene
molti si siano affrettati a definire il film pretenzioso, c’è anche
qualcosa di profondamente senza pretese in questo finale.
Il fatto che ci ritroviamo a vedere
il pubblico apparentemente ambivalente allontanarsi, come se non
gli importasse davvero di quello che è successo, è significativo.
Anche dopo che il personaggio che abbiamo conosciuto è morto, la
storia non è finita. C’è un’iper-consapevolezza di come tutti
coloro che vi hanno preso parte (inclusi noi come pubblico) ora
vivranno le proprie vite. Noi come spettatori abbiamo trascorso tre
ore a dare un’occhiata nella mente di Aster proprio come nella
mente di Beau. Il processo si è concluso con l’annullamento di
quest’ultimo. Questa distruzione non è una risurrezione o rinascita
come accadeva in Midsommar o
Hereditary.
Invece, c’è una finalità, un
riconoscimento da parte di Aster che tutto ciò che realizzerà può
essere morto e dimenticato dagli innumerevoli membri del pubblico
che se ne andranno senza mai più pensarci. Serve come confronto
finale con la paura. Che si tratti di un giudizio sul proprio
lavoro, sulla propria vita o su una combinazione di entrambi,
questa distruzione porta con sé una desolazione. Non importa quanto
uno dia di se stesso per raccontare una bella storia, come lo
stesso Beau ha immaginato in vividi dettagli a metà film, c’è
sempre la cupa possibilità che morirai annegato, nell’indifferenza
di tutti.
Arriverà nelle sale italiane dal 27
aprile il nuovo film di Ari Aster, Beau
ha paura. Questo nuovo lungometraggio del regista di
Hereditary e Midsommar ha già
genereato forte curiosità e interesse verso quella che sembra
essere una storia piuttosto folle. Le prime reazioni in arrivo
dagli Stati Uniti hanno infatti confermato tale sensazione
definendolo “il progetto più sfrenato del regista“. Stando
alla sinossi rilasciata, il film segue il personaggio titolare,
interpretato da Joaquin
Phoenix, un uomo ansioso che, dopo la morte di sua
madre, decide di tornare a casa, incontrando una serie di incidenti
surreali e soprannaturali lungo la strada.
Proprio Phoenix ha ora
scherzosamente avvisato gli spettatori di non guardare Beau
ha paurase si sono ingeriti funghi
allucinogeni. “Mi è stato detto da qualcuno dell’esistenza di
una sfida tra amici, dove si assumono funghi allucinogeni e si va a
vedere questo film“, ha detto Phoenix nel corso di
un’intervista. “E volevo solo fare un annuncio di servizio
pubblico e dire di non fare una cosa del genere, non prendete
funghi prima di vedere questo film.” Phoenix ha poi però
aggiunto: “Ma se lo fate, almeno filmatevi. Ma, seriamente, non
fatelo”.
Come dimostrato dal trailer, il
film sembra a tutti gli effetti essere un’esperienza visiva
particolarmente affascinante, dove si mescolano tecniche di ripresa
diverse tra live action e animazione. Non resta dunque che
aspettare ancora qualche giorno l’arrivo in sala del film, per
poter poi scoprire quanto folle di suo possa risultare, anche senza
l’assunzione di funghi allucinogeni. Scritto, diretto e prodotto da
Ari Aster, Beau
ha paurapresenta
Joaquin Phoenix nel ruolo del titolo
affiancato da un cast che include Nathan Lane, la
candidata all’Oscar e al Golden Globe Amy Ryan,
con l’attrice nominata al Golden Globe Parker
Posey e la vincitrice di Grammy Patti
LuPone.
Ari Aster è
tornato. Il suo nuovo, visionario e fantasmagorico Beau
ha paura arriverà nei cinema italiani ad aprile con
I Wonder Pictures. Protagonista il premio Oscar
Joaquin Phoenix(“Lei”,
“Joker”), un individuo paranoico che deve affrontare una
strabiliante odissea per tornare a casa da sua madre in questo film
audace e genialmente adrenalinico.
Dopo
Hereditary,
presentato al Sundance Film Festival nel 2018 e Midsommar, inserito fra i 10 migliori
film indipendenti del 2019 dal National Board of Review Awards, il
pluripremiato autore di culto Ari Aster tornaa stupire il pubblico
con un’opera che intreccia mistero e humor nero in un viaggio folle
e immersivo.
Scritto, diretto e
prodotto da Ari Aster, Beau ha paura
presenta Joaquin Phoenix nel ruolo del titolo
affiancato da un cast che include Nathan Lane
(vincitore di un Emmy per “Only Murders in the Building” Tv, “The
Producers – Una gaia commedia neonazista”), la candidata all’Oscar
e al Golden Globe Amy Ryan (“Il ponte delle spie”,
“Birdman”,“Gone Baby Gone”), con l’attrice nominata al Golden Globe
Parker Posey (la serie tv “The Staircase – Una
morte sospetta”, “Café Society”, “Scream 3”, “Superman Returns”,
“Blade Trinity”) e la vincitrice di Grammy Patti
LuPone (“American Horror Story” Tv, “L’accademia del bene
e del male”).
Prodotto da A24 e da
Lars Knudsen and Ari Aster, Beau ha paura
uscirà nelle sale italiane ad aprile distribuito da I
Wonder Pictures.
Dopo il complesso e
ambizioso Midsommar, che guardava al linguaggio del folk – horror
riadattandone i criteri, Ari Aster si presenta,
completamente a briglia sciolta, con il suo terzo film,
Beau ha paura, in sala dal 27 aprile distribuito da
I Wonder Pictures.
Accompagnato da uno
sciame di critiche negative, il film con
protagonista un attonito e impaurito Joaquin Phoenix non
arriva nelle nostre sale con la migliore delle presentazioni, e
probabilmente già soltanto la durata del film, tre ore, basterà a
scoraggiare gli spettatori, a meno che non siano proprio estimatori
del regista di Hereditary.
E non sarebbe poi una
scelta tanto sbagliata andare a vedere il terzo film
di quel regista che tanto ha fatto parlare bene di sé e che,
insieme a Robert Eggers e Jordan Peele, ha dato una
spinta d’autore al genere horror, con molte declinazioni e punti di
vista personali. Tuttavia, Beau ha paura non si muove dentro
gli argini di un genere soltanto, rivelandosi più una
Odissea sotto allucinogeni, una specie di film
d’avventura, un road movie a piedi (scalzi) in cui il protagonista
si perde dentro le sue stesse paranoie.
Beau ha paura, la
trama
E in fondo il film è
questo: il racconto della vita di un uomo paranoico, dentro la
sua stessa testa. Beau ha paura di ogni cosa, sembra avere una vita
normale che gestisce con una immensa fatica, ma, con
l’approssimarsi dell’anniversario della morte del padre, deve
intraprendere un viaggio per raggiungere la casa della madre, che
lui ama e teme in egual misura. Questo viaggio obbligato lo
spingerà a interrompere la sua routine e a mettersi in gioco in un
mondo che, in ogni sua singola manifestazione, lo atterrisce.
Una progressiva discesa
nella mente di Beau
Mentre nella prima parte
ci vengono dati strumenti e coordinate per capire cosa stiamo
guardando, con tutte le esagerazioni, le paure, gli inseguimenti, i
ritmi incalzanti e, appunto, le paranoie che sono solo nella testa
di Beau, nella parte centrale il film deraglia in una fiaba, una
passeggiata in un bosco esistenziale in cui moltissime
contaminazioni narrative si influenzano e si mescolano,
sfilacciando non solo la forma del racconto, ma anche quella del
linguaggio che si contamina con segmenti animati. Se dal punto di
vista linguistico e visivo siano quindi di fronte a una forma se
non nuova almeno interessante, dal punto di vista narrativo siamo
già completamente persi nella mente di Beau, e vengono meno tutte
quelle coordinate che avevamo acquisito nella prima parte del
film.
Sembra che Aster guardi
al cinema di Charlie Kaufman, provando a mettere in scena
situazioni surreali e bizzarre che trovano un’eco nel cinema del
cineasta newyorkese, là dove in Kaufman però c’è una maggiore
consapevolezza dei limiti e forse anche della potenza del racconto,
oltre che una costante e innata dolcezza. Aster invece perde il
senso della misura, e così abbonda, aggiunge situazioni, senza
procedere organicamente con il racconto ma sovrapponendo
suggestioni le une sulle altre, scivolando sempre di più in un
mondo che non è più solo la rappresentazione delle paure di Beau,
ma è un delirio di input, colorato e senza forma.
Il confronto con il
“mostro” finale
Nel terzo atto, poi, ci
confrontiamo direttamente con ciò di cui Beau ha veramente paura.
Tra complessi freudiani, inibizioni sessuali, incomprensioni e
traumi, la paura più grande del protagonista si rivela essere
proprio quella madre, il mostro di fine livello, dalla quale, per
tutto il film, tenta di tornare, ma dal cui è irrimediabilmente
spaventato. In questo rapporto così contraddittorio con una madre
manipolatrice e effettivamente spaventosa Beau può trovare un punto
di contatto con il pubblico, tra cui ci saranno sicuramente persone
con un rapporto complicato con la figura materna. Ma ovviamente lui
è un paranoico, e quindi tutto viene esagerato, esasperato,
addizionato, sovrapponendo strati di significato su strati di
metafora, con il risultato che, alla fine, lo spettatore risulta
stordito e sfiancato dal fiume in piena dei pensieri di Ari
Aster, che, dal canto suo, sembra estremamente compiaciuto del
proprio lavoro, senza risparmiarsi niente, neppure la più piccola
idea bizzarra, che sia un gemello cattivo o un mostro/padre
rinchiuso in soffitta.
Un racconto a briglia
sciolta
La sensazione è che,
fuori dal linguaggio di genere, Ari Aster abbia perso le briglie
del suo stesso racconto, dando libero sfogo al suo immaginario e
così auto-sabotandosi, senza una macchina filmica che gli abbia
offerto sponde e limiti per razionalizzare al meglio la sua idea
che comunque è intrigante, ma disordinatamente realizzata. Ma forse
lo spirito di Beau ha paura è proprio questo: la paura è
irrazionale e incontrollata, non ammette ragionevolezza né limiti
di azione, a maggior ragione se si annida dentro la testa di un
paranoico che ha avuto paura di tutto dal momento in cui è nato,
ancora prima di emettere il primo vagito.
Un enorme contenitore di
idee
Più che un film
ambizioso, come spesso si legge, Beau ha paura è un film
contenitore, in cui Ari Aster ha riversato, senza riguardo
per nulla e nessuno, idee, traumi, sensazioni, situazioni e forse
anche paure personali.
È un film squilibrato, un
flusso di coscienza per immagini senza però la profondità e il
bisogno di riflessione e confronto che ha una vera coscienza quando
si mette a nudo sullo schermo. Beau ha paura è delirio
cinematografico, addizione di suggestioni e incontrollata
glorificazione del proprio ego. Sicuramente si tratta di una
visione ostica e per niente rassicurante, ma forse era giusto
aspettarsi qualcosa del genere da Aster, perché il cinema non deve
sempre per forza essere organico e rassicurante.
Ari
Aster è tornato. Il suo nuovo, visionario e fantasmagorico
Beau ha paura arriverà nei cinema
italiani ad aprile con I Wonder Pictures.
Protagonista il premio Oscar Joaquin Phoenix(“Lei”,
“Joker”), un
individuo paranoico che deve affrontare una strabiliante odissea
per tornare a casa da sua madre in questo film audace e genialmente
adrenalinico.
Dopo
Hereditary,
presentato al Sundance Film Festival nel 2018 e Midsommar, inserito fra i 10 migliori
film indipendenti del 2019 dal National Board of Review Awards, il
pluripremiato autore di culto Ari Aster tornaa stupire il pubblico
con un’opera che intreccia mistero e humor nero in un viaggio folle
e immersivo.
Scritto, diretto e
prodotto da Ari Aster, Beau ha paura
presenta Joaquin Phoenix nel ruolo del titolo
affiancato da un cast che include Nathan Lane
(vincitore di un Emmy per “Only Murders in the Building” Tv, “The
Producers – Una gaia commedia neonazista”), la candidata all’Oscar
e al Golden Globe Amy Ryan (“Il ponte delle spie”,
“Birdman”,“Gone Baby Gone”), con l’attrice nominata al Golden Globe
Parker Posey (la serie tv “The Staircase – Una
morte sospetta”, “Café Society”, “Scream 3”, “Superman Returns”,
“Blade Trinity”) e la vincitrice di Grammy Patti
LuPone (“American Horror Story” Tv, “L’accademia del bene
e del male”).
X-Men ’97 ha ricevuto recensioni
molto positive ed è stato accolto con calore dalla maggior parte
dei fan. Alcuni episodi sono stati migliori di altri, ma una
puntata in particolare si è distinta come un punto basso
della stagione per molti spettatori.
L’episodio 4, “Motendo; Lifedeath –
Parte 1”, presentava un’avventura di Jubilee per lo più
autoconclusiva insieme alla prima parte di una storia incentrata su
Tempesta/Forge che avrebbe dovuto costruire una relazione romantica
tra i personaggi.
Sfortunatamente, questa parte
dell’episodio è sembrata molto affrettata, con lamentele sul fatto
che la connessione tra Ororo e il mistico inventore mutante
sembrava forzata, soprattutto considerando quanto è importante
questo momento nei fumetti, per Tempesta. “Lifedeath – Parte 1” ha
anche introdotto l’avversario demoniaco di Tempesta, una creatura
simile a un uccello che arriva verso la fine dell’episodio con
poche spiegazioni.
In un thread, l’ex showrunner
Beau DeMayo sostiene che il motivo per cui
questo episodio è sembrato così “strano” è perché il co-produttore
esecutivo dello show (supponiamo si riferisca a Victoria
Alonso) “odiava” la sua idea originale, “ha rubato
l’episodio e l’ha dato a un editor di What If per rifarlo secondo
la sua visione, il che per coincidenza ha sviscerato circa 1/3
della storia di Tempesta e ha diviso l’Ep4 in due parti
separate”.
DeMayo dice anche che ha dovuto
lavorare molto duramente per convincere l’attore di YellowstoneGil Birmingham a
dare la voce a Forge dopo che i Marvel Studios hanno rovinato il loro rapporto
tagliando il suo personaggio di un Dio nativo americano da
Thor: Ragnarök senza dirglielo (DeMayo potrebbe
sbagliarsi, dato che Birmingham era effettivamente elencato nei
titoli di coda di Eternals). Mentre tutto ciò che DeMayo dice
potrebbe essere corretto, è importante contestualizzare il suo
problema con la Marvel.
Beau DeMayo vs Marvel, la
saga continua
L’anno scorso, abbiamo saputo che i
Marvel Studios/Disney avevano
licenziato Beau DeMayo poco prima della première
mondiale dello show animato. Da allora, Internet è stato pieno di
voci e speculazioni su cosa avrebbe potuto portare al suo
licenziamento, e la Marvel ha finalmente rilasciato una
dichiarazione sulla questione alla fine del 2024. “Il signor
DeMayo è stato licenziato a marzo 2024 a seguito di un’indagine
interna. Data la natura scandalosa delle conclusioni, abbiamo
immediatamente reciso i legami con lui e non ha più alcuna
affiliazione con la Marvel.”
Sebbene ci siano alcuni resoconti
contrastanti su cosa sia successo esattamente, si dice che DeMayo
sia stato licenziato per aver inviato foto oscene a membri del suo
staff, e ci sono state ulteriori accuse che affermano che era
fisicamente e sessualmente inappropriato con molti dei suoi
colleghi.
DeMayo ha sempre negato, suggerendo
che il suo licenziamento fosse semplicemente dovuto all’omofobia e
affermando che è stato privato del suo credito nella seconda
stagione di X-Men
’97 poco dopo aver condiviso una fan art del Gay
Pride Month di se stesso in un succinto costume da Ciclope.
Beatrice
Fiorentino è il nuovo Delegato
Generale della Settimana Internazionale della
Critica (SIC), sezione autonoma e
parallela nell’ambito della Mostra Internazionale
d’Arte Cinematografica della Biennale
di Venezia. Nominata all’unanimità dal Consiglio Nazionale del
Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI),
sostituirà Giona A. Nazzaro, chiamato, dopo cinque anni alla
guida della SIC, a dirigere il Festival di Locarno. A Nazzaro,
il SNCCI esprime gratitudine e augura buon lavoro per il nuovo
prestigioso incarico.
Laureata in Filmologia
all’Università di Trieste, Beatrice Fiorentino è
giornalista freelance e critico cinematografico. Ha insegnato
linguaggio cinematografico e audiovisivo all’Università del
Litorale di Capodistria e oggi scrive per Il manifesto,
Il Piccolo, Cinecittà News, 8 e ½. Nel 2014 ha ricevuto il
Premio Akai come “Miglior critico cinematografico” alla
71esima Mostra del Cinema di Venezia e dal 2015 è parte della
commissione “Film della Critica” del Sindacato Nazionale
Critici Cinematografici Italiani. Dal 2016 è selezionatore per
la Settimana Internazionale della Critica di Venezia e dal 2018 è
membro della European Film Academy.
“Raccolgo questa sfida con
entusiasmo e orgoglio, ben consapevole della grande
responsabilità che mi è stata affidata. Assieme alla
commissione di selezione e alla nuova squadra di programmatori
lavoreremo in continuità con la consolidata
tradizione della Sic, sulla scia di chi molto autorevolmente
ci ha preceduti. Non dobbiamo inventare nulla. Resteremo con
gli occhi ben puntati al presente del mondo e al futuro del
cinema” – afferma Beatrice Fiorentino,
nuovo Delegato Generale della Settimana Internazionale della
Critica.
“Il Sindacato Critici ritiene
molto positivo il lavoro svolto in questi anni da Giona Nazzaro e
la nomina di Beatrice Fiorentino, la più stretta collaboratrice del
delegato uscente, intende proprio dare continuità al progetto, che
ha fatto della SIC l’appuntamento principe per intercettare e
segnalare le novità e le trasformazioni del linguaggio
cinematografico ed individuare i più interessanti autori emergenti.
Particolarmente negli ultimi anni, la SIC ha dimostrato grande
capacità di indagare anche fra le cinematografie meno note e meno
condizionate da logiche di mercato, che spesso penalizzano la
libertà creativa” – dichiara Franco
Montini, Presidente del Sindacato Nazionale
Critici Cinematografici Italiani.
La commissione di selezione della
SIC, composta oltre che
da Beatrice Fiorentino, Paola
Casella, Simone
Emiliani e Roberto Manassero,
è stata integrata con la nomina di Enrico
Azzano.
Per ciò che riguarda la struttura
organizzativa della SIC, a sostituire Eddie Bertozzi, cui
ugualmente il SNCCI esprime vivo ringraziamento per il
prezioso lavoro svolto nel corso di dodici anni,
saranno Alessandro Gropplero e Suomi
Sponton alla guida dell’ufficio programmazione
insieme ad Anette Dujisin-Muharay.
In data 9 dicembre il Consiglio
Nazionale del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani
(SNCCI) si è riunito per eleggere la nuova commissione della
Settimana Internazionale della Critica (SIC) per il triennio
2025-2027. Confermando all’unanimità il mandato a Beatrice
Fiorentino in qualità di
Delegata Generale, ha incaricato come selezionatori i soci:
Matteo Berardini, Marianna Cappi, Francesco Grieco
e Marco Romagna.
La presidente del SNCCI Cristiana
Paternò ha così commentato: «La conferma di Beatrice Fiorentino
quale Delegata Generale della Settimana Internazionale della
Critica, va nella direzione di proseguire per il prossimo triennio
il grandissimo lavoro svolto per la valorizzazione del cinema
d’autore e la scoperta di nuovi talenti».
La Delegata Generale della SIC
Beatrice Fiorentino ha così accolto la conferma del suo incarico:
“Ringrazio il SNCCI per avermi confermata alla guida della
Settimana Internazionale della Critica per un secondo mandato,
reiterando così la fiducia e la stima reciproca che in questi anni
è stata alla base di una collaborazione sempre costruttiva,
stimolante e proficua. Consapevole delle responsabilità che
derivano da questo incarico, sento di dover rinnovare il mio
impegno con nuove energie, non solo in direzione di una selezione
di qualità, ma sempre più a sostegno di un cinema “nuovo”. In
questo periodo di incertezze produttive e dilagante mainstream, va
infatti difeso e portato avanti con convinzione uno spazio di
cinema libero e originale, a garanzia di una pluralità di sguardo
che sia sinonimo di vitalità della settima arte e di ricchezza
artistica e culturale. Il mio impegno, nel prossimo triennio, sarà
quello di sostenere, difendere e promuovere con ogni mezzo quegli
autori e quelle autrici che fin dal loro esordio vogliano
raccogliere assieme a noi questa sfida per il futuro. Un
ringraziamento speciale al comitato di selezione uscente che mi ha
accompagnato fin qui con infinita generosità, e un caloroso
benvenuto alla nuova squadra con l’augurio di buon lavoro”.
La Settimana Internazionale della
Critica (SIC) è una sezione autonoma e parallela organizzata dal
Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI)
nell’ambito della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica
della Biennale di Venezia.
Paul Mescal è uno dei nomi più caldi di
Hollywood in questo momento, soprattutto grazie alla sua
interpretazione ne
Il gladiatore 2, il sequel storico del
regista Ridley Scott che ha incassato oltre 350
milioni di dollari al botteghino mondiale. Il suo ruolo di Lucius
nel secondo film del Gladiatore è probabilmente il più
importante della sua carriera, ma è stata finalmente confermata la
sua presenza in un altro progetto imminente che potrebbe
conquistare la corona.
Mentre parlava con il regista
premio Oscar Christopher Nolan dopo una
proiezione del Gladiatore 2 alla Directors Guild of
America giovedì scorso, come riportato da THR, Ridley Scott ha rivelato che il
suo protagonista del Gladiatore 2, Paul Mescal,
reciterà nel prossimo biopic sui Beatles diSam Mendes. È
stato inoltre confermato che Barry Keoghan
interpreterà Ringo Starr e si vociferava che Joseph
Quinn avrebbe avuto un ruolo nel film, ma non è ancora
stato confermato.
La rivelazione è arrivata quando a
Scott è stato chiesto se era vero che era in corsa per riunirsi
con Mescal nel prossimo film The Dog
Stars, cosa che lui ha confermato e ha
anche detto scherzando: “Paul è impegnato con i Beatles.Quindi potrei doverlo lasciare andare”. Le informazioni su
The Dog Stars sono state mantenute segrete, ma il film è
basato sull’omonimo romanzo di Peter Heller e la
sceneggiatura è stata scritta da Mark L. Smith e
Christopher Wilkinson. Il libro è ambientato in un
mondo post-apocalittico in cui un virus spazza via l’umanità. Gli
unici sopravvissuti sul pianeta affrontano degli spazzini
conosciuti come Mietitori e Hig, un pilota, è sopravvissuto alla
pandemia ma ha perso la moglie. Si dice che Mescal interpreterà
Hig, ma non è stato confermato.
Mescal è stato anche scritturato
per recitare al fianco di Josh O’Connor in
The History of Sound, un dramma
sentimentale in uscita nel 2025 del regista Oliver
Hermanus. Interpreterà inoltre William Shakespeare accanto
a Emily Watson in Joe
Alwyn in Hamnet, il prossimo
film del premio Oscar Chloé Zhao. Mescal è
anche attualmente in produzione in Merrily We Roll
Along, il prossimo progetto del regista
di Richard Linklater, che vede anche
la partecipazione di Ben Platt, Boo
Arnold, e Beanie Feldstein.
Il biopic sui Beatles non ha ancora
una data di uscita ufficiale.
Sky annuncia le
riprese di Beata Te, la nuova commedia Sky
Original prodotta per Sky da
Cinemaundicie Vision Distribution
che affronta, con toni leggeri ma mai banali, il delicato tema
della maternità e dell’autodeterminazione femminile. Il set è in
corso a Roma.
Prodotto da Olivia
Musini, con la regia di Paola Randi
(La Befana vien di notte – Le origini) e la sceneggiatura
di Lisa Nur Sultan e Carlotta
Corradi, il film è liberamente tratto dall’opera teatrale
“Farsi Fuori” di Luisa Merloni e vede protagonista Serena Rossi (Ammore e malavita, Song ‘e
Napule, La tristezza ha il sonno leggero).Accanto a lei
Fabio Balsamo ((Im)perfetti criminali,
Generazione 56 k).
Nel cast anche Paola
Tiziana Cruciani, Gianni Ferreri, Valentina Correani, Elisa Di
Eusanio, Corrado Fortuna, Emiliano Masala, Alessandro
Riceci e con la piccola Caterina
Bernardi.
La trama
Marta (Serena Rossi) è una regista
di teatro, single e bene o male soddisfatta della sua vita, a un
passo dal debutto del suo Amleto. Al suo 40esimo compleanno riceve
una visita inaspettata: l’Arcangelo Gabriele (Fabio Balsamo), che
vorrebbe annunciarle la nascita di un figlio. Ma Marta non è sicura
di volere un figlio “in dono” e chiede tempo per pensarci. Preso
alla sprovvista da questa richiesta, costretto a fermarsi sulla
Terra più del previsto, Gabriele si trasferirà a casa sua e le
starà accanto per le due settimane che a Marta serviranno per
capire cosa vuole per sé stessa e per essere felice.
La regista Paola
Randi ha dichiarato: Quando Lisa Nur Sultan mi ha
parlato dell’idea di ‘Beata te’ l’ho trovata folgorante. Una donna
che compie quarant’anni e vede materializzarsi davanti ai suoi
occhi il famigerato orologio biologico nei panni dell’Arcangelo
Gabriele. La sceneggiatura, da lei scritta insieme a Carlotta
Corradi, ha fatto il resto. La commedia italiana di grande
tradizione incontra qui un sapore contemporaneo, internazionale,
metropolitano, che sa essere graffiante, ma caldo e
coinvolgente.
È stato impossibile non farsi
coinvolgere da un progetto come questo che mi dà, tra l’altro,
l’opportunità di lavorare con una squadra di donne straordinarie
che stimo molto come Lisa, Carlotta e la produttrice Olivia Musini,
e con uno splendido cast, capitanato dalla protagonista Serena
Rossi e da Fabio Balsamo nei panni dell’Arcangelo. E sono felice di
fare questo film con Sky e Vision.
Mi ha conquistata anche
l’occasione di affrontare un tema importante come quello del
diritto delle donne di scegliere se avere o meno un figlio, con
leggerezza e al contempo profondità.Perché, come ci
insegnano le maestre e i maestri, la commedia è libertà.
Il film Sky Original BEATA
TE arriverà in prima assoluta prossimamente su
Sky e NOW.
Arriverà il25 dicembre in
prima assoluta su SkyCinema e in streaming solo su NOWBEATA TE, la nuova commedia Sky
Original prodotta per Sky da
Cinemaundici e Vision
Distribution che affronta, con toni leggeri ma nonbanali,
il delicato tema della maternità e della libera scelta.
Prodotto da Olivia Musini, con la regia di
Paola Randi (La Befana vien di notte – Le
origini) e la sceneggiatura di Lisa Nur
Sultan e Carlotta Corradi, il film è
tratto dall’opera teatrale “Farsi Fuori” di Luisa Merloni e ha come
protagonista Serena
Rossi(Ammore
e malavita,
Song ‘e Napule, La tristezza ha il sonno leggero). Accanto
a lei Fabio Balsamo ((Im)perfetti criminali,
Generazione 56 k).
Nel cast anche Paola Tiziana Cruciani, Gianni Ferreri,
Valentina Correani, Elisa Di Eusanio, Corrado Fortuna, Emiliano
Masala, Alessandro Riceci e con la piccola
Caterina Bernardi.
La trama
Marta (Serena Rossi) è una regista di teatro, single e tutto
sommato soddisfatta della sua vita, a un passo dal debutto del suo
Amleto. Al suo 40esimo compleanno riceve una visita inaspettata:
l’Arcangelo Gabriele (Fabio Balsamo), che vorrebbe annunciarle la
nascita di un figlio. Ma Marta non è sicura di volere un figlio “in
dono” e chiede tempo per pensarci. Preso alla sprovvista da questa
richiesta, costretto a fermarsi sulla Terra più del previsto,
Gabriele si trasferirà a casa sua e le starà accanto per le due
settimane che a Marta serviranno per capire cosa vuole per sé
stessa e per essere felice.
Guarda il trailer del film Beata Ignoranza, la
nuova commedia di Massimiliano Bruno con
protagonisti nel cast Alessandro Gassmann e Marco
Giallini.
La trama del film Beata Ignoranza
Ernesto
(Marco Giallini) e Filippo (Alessandro Gassmann) hanno due
personalità agli antipodi e un unico punto in comune: sono entrambi
professori di liceo. Filippo è
un allegro progressista perennemente collegato al web. Bello e
spensierato è un seduttore seriale sui social network. E’ in
grado di sedurre anche i suoi studenti grazie
a un’app, creata da lui, che rende immediata la soluzione
di ogni possibile calcolo.
Ernesto
è un severo conservatore, rigorosamente senza computer,
tradizionalista anche con i suoi allievi, che fa della sua
austerità un punto d’onore e vanta una vita completamente al di
fuori della rete. E’ probabilmente l’ultimo possessore
vivente di un Nokia del ’95.
Un
tempo erano “migliori amici” ma uno scontro profondo e mai risolto
li ha tenuti lontani, fino al giorno in cui si ritrovano fatalmente
a insegnare nella stessa classe.
I loro punti di vista opposti li portano inevitabilmente
a una nuova guerra. Saranno obbligati
ad affrontare il passato, che ritornerà nelle sembianze di Nina,
una ragazza che li sottoporrà a un semplice esperimento che si
trasforma in una grande sfida: Filippo dovrà provare a uscire dalla
rete ed Ernesto a entrarci dentro.
Questo
viaggio li cambierà profondamente, costringendoli a trovare un
equilibrio, sempre più raro e delicato ai giorni nostri, tra la
coscienza globale di chi si affida alla rete e la totale
indifferenza di chi si ostina a resistere a oltranza all’epoca
digitale.
Dopo aver scelto Marco
Giallini per Confusi e felici (2014) e
Alessandro Gassmann per Gli ultimi
saranno ultimi (2015), Massimiliano Bruno
li ha voluti insieme per la sua quinta regia, Beata
ignoranza, una commedia incentrata su un tema
relativamente nuovo, ma già un classico del genere: l’uso di
internet, social media e smartphone e il loro impatto
sulla vita quotidiana. Ha scelto di parlarne facendo perno sulla
contrapposizione fra due protagonisti opposti: l’analogico,
fieramente old style, che si mantiene alla larga da tutto
ciò che è social, Ernesto (Marco
Giallini), e l’internauta che per sentirsi sempre
giovane, è al passo con ogni novità dell’era digitale e non può
fare a meno di internet, Filippo (Alessandro
Gassmann).
Beata ignoranza, la trama
In Beata ignoranza
di Paolo Genovese Ernesto e Filippo si incontrano
di nuovo dopo 25 anni, professori nello stesso liceo, e subito si
scontrano, non solo perché sono così diversi, ma anche a causa di
una vecchia ruggine: entrambi hanno amato la stessa donna, Marianna
(Carolina
Crescentini) ed ora hanno in comune una figlia, Nina
(Teresa Romagnoli). Dopo una lite furibonda che
finisce sul web, in cui uno attacca e l’altro difende la rete, Nina
propone loro una sfida: Filippo dovrà tentare di uscire dal mondo
di internet, Ernesto tentare di entrarvi, per dar vita a un
documentario sull’uso dei social media. La sfida li porterà a
confrontarsi con opposti punti di vista, oltre che con il passato,
mentre Nina cercherà di costruire con loro un vero rapporto.
Più che due anime, una che dibatte
sul mondo di internet e l’altra che indaga i rapporti umani,
Beata ignoranza ha due parti che si distinguono
abbastanza nettamente: la prima, più efficace per forma e
contenuto, in cui si presentano i protagonisti con il loro diverso
modo di essere e di insegnare, e si riassumono la nascita e le
alterne vicende della loro amicizia, balzando avanti e indietro nel
tempo, con Ernesto, Filippo e Marianna che raccontano sé stessi
allo spettatore guardando direttamente in macchina.
Il racconto i rapporti
umani al tempo delle nuove tecnologie
La seconda parte, in cui i
due professori si sfidano e il film dovrebbe evolversi, affiancando
alla superficie della diatriba social sì, social no, un reale
approfondimento sulle figure dei protagonisti, su Nina, su Marianna
e una riflessione sui legami familiari, non soddisfa a pieno le
aspettative, rivelando meno freschezza nella costruzione. È proprio
sui rapporti umani che la sceneggiatura diventa ricorsiva –
all’orizzonte nuovi triangoli sia tra i giovani che tra gli adulti,
complice anche l’entrata in scena di una prof emancipata e
disinvolta, Margherita (Valeria Bilello). Nel
mondo della scuola, poi, non si entra davvero, rimanendo alla
contrapposizione tra un insegnante eccessivamente all’antica e uno
fin troppo moderno.
Un cast eccellente per
Beata ignoranza che però non è supportato da una storia che va a
fondo
Anche se la comicità nel gioco
delle parti tra Filippo ed Ernesto diverte e intrattiene,
alimentandosi della bravura di Giallini e Gassmann, che giungono
così alla loro terza prova come “coppia comica” (erano apparsi
insieme già in Tutta colpa di Freud di Paolo Genovese e Se Dio vuole di Edoardo Falcone), e sebbene il
film possa contare sul solido talento di Carolina
Crescentini, oltre che su brillanti caratterizzazioni
quali quelle di Luca Angeletti, Michela
Andreozzi e Pietro De Silva, il lavoro
rivela i suoi limiti e si conclude non essendo andato molto oltre
il suo punto di partenza, ovvero quello di una commedia leggera su
argomenti di tendenza come internet e i social. In sala dal
23 febbraio.
Netflix ha diffuso on line il teaser trailer
di Beasts of No Nation, film
prodotto dall’azienda statunitense che sarà presentato in anteprima
mondiale a settembre alla Mostra del Cinema di Venezia, prima
di approdare al Festival di Toronto.
Beasts of No
Nation, diretto dal regista della prima stagione di
True DetectiveCary
Fukunaga, è basato sull’omonimo romanzo dell’autore
nigeriano Uzodinma Iweala: una drammatica
incursione nella storia di un bambino soldato, interpretato
da Abraham Attah, che viene preso sotto l’ala
protettrice di un signore della guerra, Idris
Elba, coinvolto in un sanguinario conflitto civile in
Africa.
Il film sarà rilasciato su Netflix
il 16 ottobre ma, grazie a un accordo con la casa di
distribuzione Bleecker Street e i Landmark Theatres, sarà
proiettato anche in alcuni cinema selezionati americani (New
York, Los Angeles, Boston, Philadelphia, Baltimore, Washington,
D.C., Atlanta, Indianapolis, Detroit, Chicago, Minneapolis,
Milwaukee, St. Louis, Houston, Dallas, Denver, Seattle, San
Francisco, San Diego), potendo così entrare di diritto nella corsa
agli Oscar. Beasts of No Nation se
la vedrà sul grande schermo con Crimson
Peak di Guillermo Del Toro e
Bridge of Spies di Steven Spielberg.
Quando in futuro le nuove
generazioni studieranno l’evoluzione dei media e della TV di oggi,
certamente si imbatteranno nel nome Netflix. Basti
nominare l’oscura House of Cards, di un
rigore stilistico superbo, tanto che vi si può scorgere anche lo
zampino di David Fincher,
Daredevil, che ha reinventato e ampliato
il senso di cine-comic, Orange is the New
Black e Sense8 dei fratelli
Wachowski. Ora il colosso americano è oltre il piccolo schermo
e ci troviamo a parlare di Beasts of No
Nation, film in piena regola affidato alla direzione di
Cary Fukunaga, il genio dietro il successo della
prima stagione di True Detective.
Beasts of No Nation: la trama
Basato sul libro Bestie senza
una patria (Beasts of No Nation) di
Uzodinma Iweala, è a tutti gli effetti una discesa
agli inferi, un viaggio profondo dentro le guerre ‘silenziose’
dell’Africa occidentale, dove i bambini vengono strappati
all’infanzia per essere trasformati in soldati, in macchine da
guerra pronte a sparare e a uccidere. Un’opera che incanta a
livello produttivo, ma anche a livello registico, nonostante
l’assenza di qualsivoglia tecnicismo fuori dal comune.
Non c’è infatti tempo e spazio per
i piani sequenza alla True Detective, la
strada è violenta, brutale, spietata, la camera da presa è mossa,
instabile, frenetica, come l’animo di Agu (interpretato dal piccolo
Abraham Attah), un bambino che si scopre
mercenario all’ombra di un fantomatico comandante che ha il volto
di Idris Elba, a causa di un conflitto che gli ha
portato via gli affetti, l’esistenza, l’essenza. Attraverso i suoi
occhi inermi, camminiamo lungo un sentiero di macerie, spirituali
ancor più che letterali, capace di trasformare la guerra in gioco,
in terra promessa, in danza tribale, in unico ideale da seguire per
un futuro prospero e ricco di belle promesse, di belle speranze.
Dietro ogni omicidio, dietro ogni imboscata, si nasconde però un
atroce inganno, una linea retta che non si interrompe mai.
Cary Fukunaga,
anche autore della sceneggiatura, prende le nostre viscere e gioca
a stritolare, a ferire, a stringere, facendoci diventare spettatori
dell’incubo. Pazienti della cura Ludovico, con gli occhi
sbarrati sul precipizio, sul burrone; nonostante il
riferimento ad Arancia Meccanica, lo
spirito kubrickiano rivive in alcuni momenti, alcune inquadrature
che citano esplicitamente Full Metal
Jacket. Scheletri di edifici in fiamme, tenebrose
marce nel fango con voce off, ma non solo: Fukunaga fa pensare
implicitamente a Furiosa di Mad Max: Fury Road, alla disperata
ricerca della terra fertile che non esiste, ma soprattutto al mondo
dei videogiochi.
Agu è quasi la nemesi perfetta di
Ajay Ghale, vendicativo protagonista di Far Cry 4,
riferimento che si fa ancor più marcato quando lo schermo vira
completamente al rosso come nei sogni allucinogeni del titolo
Ubisoft. Unico rammarico un finale troppo edulcorato, come uno
spaghetto cotto più del dovuto, che somiglia più ad uno spot
Unicef; il dolore che resta impigliato nell’anima, il senso di
soffocamento e di angoscia, sono però troppo forti per farci
caso.
Si intitolerà Beasts of
No Nation il prossimo lavoro cinematografico del
regista di True Detective, Cary Fukunaga.
Protagonista del film è Idris Elba, che vediamo
nella prima immagine del film: L’immagine è stata
diffusa da Deadline, che informa che le riprese del film
sono ancora in corso in Ghana. Il film prende spunto dal romanzo di
Uzodinma Iweala che racconta la storia di Agu, un ragazzino che
viene arruolat in milizie mercenarie quando nel suo Paese scoppiala
guerra. Elba interpreterà il Comandante che guida il gruppo di
guerriglia.
Ecco il trailer finale di
Beasts of no Nation di Cary
Fukunaga, film presentato al Festival di Venezia 2015 che ha riscosso
un discreto successo di critica.
Il film prende spunto dal romanzo di
Uzodinma Iweala che racconta la storia di Agu, un
ragazzino che viene arruolato in milizie mercenarie quando nel suo
Paese scoppiala guerra. Elba interpreterà il Comandante che guida
il gruppo di guerriglia.
Il film prende spunto dal romanzo di
Uzodinma Iweala che racconta la storia di Agu, un
ragazzino che viene arruolato in milizie mercenarie quando nel suo
Paese scoppiala guerra. Elba interpreterà il Comandante che guida
il gruppo di guerriglia.
Ci sono pochi luoghi in cui
l’apparenza eserciti più fascino che in un liceo. Questo il
pensiero di Daniel Barnz (Phoebe in
Wonderland) sceneggiatore e regista di
Beastly film tratto dal romanzo omonimo di
Alex Flinn, ispirato al noto cartone Disney
La Bella e La Bestia. Un film
costruito equilibrando toni fantastici a messaggi profondi, come
l’andare al di là delle apparenze.
In Beastly Kyle
(Alex Pettyfer) è un diciassettenne ricco, bello,
pieno di sé, cresciuto con la convinzione che non conta ciò che sei
ma ciò che appari. Insegnamento datogli dal padre (Peter
Krause), giornalista affermato, con poco tempo da dedicare
al figlio. Ma Kyle sembra cavarsela benissimo da solo, tra la sua
sicurezza e la fama che ha nel suo liceo. La sua vita sembra essere
perfetta, fin quando egli non offenderà Kendra, una sua compagna di
classe dark che si vocifera sia una strega. Kyle la umilierà per la
sua bruttezza, facendo un errore che gli rovinerà la vita. Kendra
farà su di lui un incantesimo trasformandolo in un orribile mostro.
Kyle ha un anno di tempo per trovare qualcuno che lo ami, così
com’è. Se non ci riuscirà rimarrà una bestia per sempre. La vita di
Kyle diverrà un inferno, sempre chiuso tra le mura del suo
appartamento, ma un giorno, per una serie di accadimenti, nella sua
vita entrerà Lindy (Vanessa
Hudgens), una compagna di classe a cui Kyle non ha mai
prestato attenzione e da allora qualcosa cambierà. Un rapporto
dapprima ostile che si trasformerà in una splendida storia d’amore,
entro i canoni della Disney.
Beastly, il film
E’ il 2008 quando la CBS
Film acquista i diritti per la produzione cinematografica
del romanzo per adolescenti di Alex Flinn. Un film
basato su un libro, ispirato a sua volta ad un noto pilastro del
mondo dei cartoon. Una sfida non facile, ma ben riuscita grazie al
regista. Dopo aver visto Phoebe in Wonderland al
Sundance Film Festival nel 2008, la casa di
produzione non ha avuto alcun dubbio nel fare il nome di Daniel
Barnz, il quale non ha deluso alcuna aspettativa e ha saputo unire
perfettamente la realtà alla fantasia, una trama per adolescenti a
una sceneggiatura sofisticata. Una versione del mito de
La Bella e la Bestia diversa da
tutte le precedenti.
Ottima anche l’interpretazione dei
giovani attori (Alex Pettyfer,
Vanessa Hudgens) di soli 21 e 23 anni, della
streghetta (Mary-Kate Olsen) e di tutto il cast.
Sorprendente l’aspetto della bestia, per nulla copiato a quello del
cartone. Un film che farà furore tra gli adolescenti e che non
dispiacerà anche ai più maturi.
La Universal
Pictures ha diffuso il trailer ufficiale di
Beast, il film diretto da Baltasar Kormákur che ha
diretto Everest, Cani sciolti e Contraband di Universal Pictures e
con protagonista Idris Elba. A volte il fruscio tra i
cespugli è davvero causato da un mostro.
Idris Elba (Fast
& Furious: Hobbs & Shaw,
The Suicide Squad) è il protagonista di un nuovo thriller
al cardiopalma che racconta di un padre e delle sue due figlie
adolescenti che si ritrovano braccati da un enorme leone solitario
intenzionato a dimostrare che nella savana c’è solo un predatore
supremo.
Elba interpreta il Dottor Nate
Daniels, un marito rimasto vedovo da poco, che torna in Sudafrica,
dove ha conosciuto sua moglie, per un viaggio a lungo pianificato
con le figlie in una riserva di caccia gestita da Martin
Battles (in serie tv come Sharlto Copley e Russian Doll, e
film come Maleficent), un vecchio amico di famiglia e biologo della
fauna selvatica. Quello che inizia come un viaggio di guarigione si
trasforma in una spaventosa lotta per la sopravvivenza quando un
leone, sopravvissuto a bracconieri assetati di sangue, inizia a
perseguitarli sentendosi ormai minacciato dagli esseri umani.
Iyana Halley (Il
coraggio della verità – The Hate U Give, e la serie TV This is Us)
interpreta la figlia diciottenne di Daniels, Meredith, e Leah Sava
Jeffries (serie TV Rel e Empire) interpreta la tredicenne
Norah.
Dall’intenso regista Baltasar
Kormákur che ha diretto Everest, Cani sciolti e Contraband di
Universal Pictures, Beast è prodotto da Will Packer, produttore di
Il viaggio delle ragazze, della serie Ride Along e di dieci film
che hanno raggiunto il primo posto al botteghino americano, tra cui
La scuola serale, Ossessione omicida e Think Like a Man, da James
Lopez, presidente della Will Packer Productions, e da Baltasar
Kormákur. Il film è scritto da Ryan Engle (Rampage – Furia animale,
Non-Stop), tratto da una storia originale di Jaime Primak Sullivan
che ne diventa anche produttore esecutivo con Bernard Bellew.
Il regista islandese Baltasar Kormákur ha spesso e
volentieri con i suoi film raccontato situazioni estreme,
riflettendo attraverso di esse e i personaggi protagonisti, sui
limiti del corpo umano. Film come The Deep, Everest e Resta con me sono
esempi ideali a riguardo e a questi titoli si aggiunge ora anche
Beast, con protagonista l’attore Idris Elba. Il
film, al cinema dal 22settembre,
non prevede però pericolose scalate in montagna né viaggi in mare
aperto ai limiti del possibile, bensì uno scontro con la natura
selvaggia. Girato nella savana sudafricana, Beast porta
infatti i protagonisti a scontrarsi con un ferocissimo leone.
Come ormai risaputo, non sono i
leoni ad andare a caccia, bensì le leonesse. Ai leoni spetta invece
il ruolo di difendere il branco, anche a costo della propria vita.
Il leone protagonista del film fallisce questo intento e vede i
suoi simili venire massacrati da un branco di bracconieri.
L’animale sviluppa a questo punto un desiderio di vendetta tale nei
confronti dell’essere umano, che inizia ad attaccare e uccidere
senza distinzione chiunque finisca sul suo percorso. Tra i
malcapitati vi sono anche il dottor Nate Samuels e
le sue figlie Meredith e Nora,
intenti a fare un safari insieme per metabolizzare la recente
scomparsa della moglie e madre. Padre e figlie dovranno dunque
trovare il modo di salvarsi mentre ricercano il loro legame
perduto.
La natura sfida l’uomo, ma con qualche novità
Beast è ascrivibile ad un
filone di film noti come “men vs. nature”, di cui uno dei
massimi capolavori è proprio Lo squalo di
Steven Spielberg. Da questo titolo
ad oggi sono stati realizzati innumerevoli film di questa
tipologia, ogni volta con animali diversi pronti a mettere a dura
prova l’esistenza umana. Il leone è tra questi, essendo già stato
al centro di film come Prey – La caccia è aperta (2007) e
Prey – La preda (2016). Diverso è però il modo in cui
viene raccontato nel film di Kormákur. Se nei due titoli poc’anzi
citati questo è il vero e proprio elemento di rottura
dell’equilibrio nella convivenza tra uomo e natura, in
Beast tale elemento è invece incarnato dall’uomo.
Si tratta di un cambio non
indifferente, certamente al tempo con le nuove sensibilità, che non
demonizza l’animale ma va invece a ribadire la dannosità
dell’azione umana quando si intromette nel regolare svolgersi della
natura. L’oggetto di insulti da parte degli spettatori non sarà
dunque il leone, che per quanto rappresenti la principale minaccia
per i protagonisti è qui dotato di buone motivazioni per ciò che
compie, bensì i bracconieri che hanno alterato il suo status quo.
Visto da questa prospettiva, Beast acquisisce un valore in
più, lasciando inoltre aperta la domanda su chi possa davvero
essere la “bestia” del titolo.
Sharlto Copley, Iyana Halley, Idris Elba e Leah Sava Jeffries in
una scena di Beast.
Leoni, padri e figlie… e i limiti della scrittura
Naturalmente Nate e le sue figlie
non hanno alcuna colpa a riguardo e ciò consente al film di avere i
suoi eroi umani per cui spingere a fare il tifo. Un tifo che
potrebbe anche verificarsi, se non fosse che le azioni compiute dai
tre personaggi sfidano fin troppo la sospensione dell’incredulità
dello spettatore. Se c’è un punto su cui Beast è
principalmente carente è proprio la costruzione dei suoi personaggi
umani, i quali dicono e compiono cose fin troppo forzate, oltre ad
essere guidati da una necessità di elaborare un lutto e le mancanze
del padre che mal si incastrano con il resto del racconto,
emergendo sempre in momenti inappropriati.
Ciò li porta a stridere in modo
evidente rispetto a quanto sta avvenendo, poiché affrontati sempre
di petto, in modo esplicito, senza che si abbia poi la sensazione
di un effettivo progresso a riguardo. Un film a suo modo simile
come Crawl –
Intrappolati aveva saputo invece trattare molto
meglio la dinamica tra padre e figlia. Da questo punto di vista,
risulta dunque molto più convincente la caratterizzazione
psicologica del leone. Fortunatamente Idris Elba, da
bravo attore qual è, riesce a far avvertire meno questi limiti
della sceneggiatura Jaime Primak Sullivan, il
quale in generale non sembra riuscire a gestire le molteplici
sfumature tematiche e di tono inserite nel racconto.
Beast, buon intrattenimento tra regia ed effetti
speciali
Messi da parte questi problemi di
scrittura, Beast riesce comunque ad offrire un godibile
intrattenimento, merito in particolare della regia di Kormákur e
della fotografia del premio Oscar Philippe
Rousselot. I due trovano infatti il giusto modo di
raccontare per immagini la difficile situazione dei protagonisti,
puntando in particolare su di una serie di eleganti piani sequenza
che permettono di conferire una certa continuità all’azione e allo
spettatore di potersi sentire ancor di più accanto ai protagonisti,
provando dunque paura insieme a loro. Ancor di più, però, si
sfrutta il potenziale di uno spazio esteso come la savana, nella
quale risulta difficile individuare il leone prima che questi
sferri il suo attacco.
L’insegnamento di Lo
squaloviene qui in parte recuperato, con il
leone che meno si vede più fa paura. Gli attacchi non sono dunque
molti e quelli che ci sono restituiscono nella maggior parte dei
casi quel senso di sorpresa e terrore che ogni film di questo
genere aspira a suscitare. È dunque un peccato che tali aspetti più
legati all’azione non riescano ad amalgamarsi a dovere con le parti
più introspettive del film. Il loro è uno scontro che, pur vedendo
trionfare l’azione, limita fortemente il potenziale del film, che
non riesce dunque ad essere più di quello che ci si aspetterebbe da
un prodotto simile. Forse, però, vedere Idris Elba
intento a fare a pugni con un leone potrebbe bastare a garantire a
Beast una certa popolarità.
Il film di genere survival
del 2022 Beast
(qui
la nostra recensione), diretto da Baltasar
Kormákur, può raccontare una storia apparentemente
irrealistica di un leone divoratore di uomini che perseguita un
padre e le sue due figlie, tuttavia gli eventi di base del film
sono realmente accaduti e sono ancora più spaventosi di quanto
raccontato sullo schermo. Ma scopriamo prima qualcosa in più sul
film:
Idris Elba è il protagonista nei panni di Nate, padre
di due bambine che porta in Africa per avere la possibilità di
riavvicinarsi a loro. La famiglia, infatti, è in lutto per la
perdita della madre delle bambine e dell’ex moglie di Nate, morta
di cancro.
Qui, durante un’escursione, si
imbattono però in un leone africano che sembra più intelligente
della media degli animali, che uccide quasi un intero villaggio
prima di mettere gli occhi su Nate e le sue figlie. Ad averlo
scatenato, vi è lo sterminio del suo branco da parte di crudeli
bracconieri. Nel corso di Beast, la famiglia vive
dunque diversi momenti terrificanti, affrontando agguati,
sbranamenti e pedinamenti da parte del leone. Alla fine, Nate e le
sue figlie ne escono vivi, più forti di prima, ma devono
sacrificarsi e soffrire prima di arrivarci. Alla fine il leone
viene abbattuto dai suoi stessi simili e il pericolo viene
finalmente debellato.
La storia vera dietro
Beast: I Mangiatori di uomini dello Tsavo
Anche se l’idea di leoni che
cacciano gli esseri umani può sembrare improbabile, gli eventi di
Beast sono a loro modo realmente accaduti in
Kenya nel 1898 ad opera di una coppia di leoni
successivamente chiamati Mangiatori di uomini dello
Tsavo. Ma le morti che questi due hanno provocato sono
molto diverse da quelle viste nel film. I mangiatori di uomini
dello Tsavo si trovavano nella regione dello Tsavo, in Kenya, e
prendevano di mira gli operai che lavoravano alla ferrovia
Kenya-Uganda. Il periodo di massima attività è stato da marzo a
dicembre del 1898 e ha causato enormi disordini nell’area, poiché
gli operai hanno iniziato a fuggire dai loro posti di lavoro per
paura di essere attaccati.
Complessivamente, si dice che i
Mangiatori di uomini dello Tsavo abbiano ucciso 135 persone
nell’arco di circa 10 mesi, anche se una ricerca più recente ha
suggerito che questa cifra potrebbe essere un’esagerazione e che
solo 25-30 uomini sarebbero morti a causa dei leoni. In ogni caso,
i felini si sarebbero concentrati sui vari accampamenti sparsi
nella regione dello Tsavo, dove era appena iniziata la costruzione
di un ponte sul fiume Tsavo. A pochi giorni dall’inizio del
progetto, sono iniziate le sparizioni e le uccisioni. I leoni
prelevavano gli uomini dalle loro tende durante la notte e li
mangiavano. In seguito, gli attacchi si intensificarono al punto
che si verificava un omicidio al giorno.
I lavoratori cercarono di
scoraggiarli con recinzioni e incendi, ma nulla di ciò ebbe
effetto. Il consenso generale sul motivo per cui i due leoni
prendevano di mira gli esseri umani in quel periodo aveva a che
fare con l’approvvigionamento di cibo dei leoni e con problematiche
dentali. Gli scienziati ritengono che i due leoni non mangiassero
gli esseri umani come ultima risorsa, ma come supplemento alla loro
dieta. Nella regione dello Tsavo, non sarebbe stato insolito per un
leone imbattersi in un cadavere umano, e questo potrebbe aver
contribuito alla loro spinta a mangiare gli esseri umani.
Inoltre, uno dei felini aveva
un’infezione alla radice di uno dei denti, mentre l’altro una
ferita a un dente e una nella mascella. La carne umana risulta
molto più tenera rispetto a quella di altri animali come zebre,
antilopi, bufali o giraffe; i due felini avrebbero sofferto meno
nella masticazione, meno impegnativa che in carni coriacee come
quella delle loro prede abituali. Alla fine, i mangiatori di uomini
dello Tsavo furono uccisi dal tenente colonnello John Henry
Patterson. Riuscì ad abbattere il primo leone il 9
dicembre 1898, e il secondo tre settimane dopo.
Egli documentò poi la sua esperienza
di caccia ai due leoni nel suo libro semi-biografico, The
Man-Eaters of Tsavo, e nel 1924 vendette le pelli dei due
leoni al Field Museum di Chicago, dove sono
conservate ed esposte ancora oggi. Tuttavia, tale evento non è da
considerarsi così eccezionale come Patterson lo dipinse: i leoni
della regione dello Tsavo avevano probabilmente iniziato a predare
gli uomini prima del 1890 e, stando ad alcune ricerche,
continuarono forse fino agli anni quaranta.
Beast è davvero basato sui
Mangiatori di uomini dello Tsavo?
Anche se Beast è
stato probabilmente ispirato dalla storia dei
mangiatori di uomini dello Tsavo, il film
non è basato su eventi realmente accaduti. Ci sono molte differenze
tra le due storie, come ad esempio l’ambientazione del villaggio
presente nel film anziché di un cantiere edile e l’attenzione al
personaggio e alla famiglia di Idris Elba. Inoltre, in Beast
c’è un solo leone, che viene infine ucciso da altri leoni maschi,
mentre gli eventi reali comprendevano due leoni maschi e l’intensa
caccia da parte del tenente colonnello John Henry
Patterson. La mancanza di questi dettagli fondamentali
dimostra che il film non è un adattamento diretto, ma certamente
potrebbe essere stato ispirato da quella vicenda.
Poiché Beast è
molto diverso dalla storia dei mangiatori di uomini dello Tsavo,
gli eventi della vita reale sarebbero sicuramente un grande film a
sé stante. Data l’intensità degli attacchi e l’interessante figura
di John Henry Patterson, il film potrebbe seguire molte strade, tra
cui quella di fornire ulteriori informazioni sull’Africa e sulle
ragioni degli attacchi dei leoni. Nel complesso,
Beast e quell dei mangiatori di uomini dello Tsavo
sono storie che fanno venire i brividi e che possono far riflettere
sul potere degli animali selvatici ma anche sugli abusi dell’uomo
nei loro confronti.
Dalle profondità
più estreme ai luoghi più freddi della Terra. Bear Grylls ci
accompagna alla scoperta dei luoghi più impervi e ostili presenti
in natura.
Bear
Grills: la legge del più forte è una serie in 6 episodi,
in onda su National Geographic (Sky, 403) dal 28 aprilela domenica alle 20.55 che ci porterà nei luoghi più estremi
del nostro pianeta mostrandoci gli straordinari modi in cui gli
animali si sono adattati alle avversità per sopravvivere.
Il nostro pianeta
è cambiato più negli ultimi 40 anni che in qualsiasi altro periodo
della sua storia. Gli animali che popolano gli ambienti più ostili
della Terra si sono dovuti adattare ai cambiamenti in un vero e
proprio battito di ciglia in termini evolutivi. La loro sfida è una
sola: adattarsi o morire.
Classe 1991, il regista russo
Kantemir Balagov torna
al Festival di Cannes
2019 con la sua opera seconda,
Beanpole, selezionata all’interno della sezione
Un Certain
Regard. Il titolo è traducibile con “spilungona”,
l’aggettivo con cui viene spesso appellata la protagonista, Iya, il
cui appassionante racconto d’amore e speranza, si snoda all’interno
di un contesto traumatico come quello che segue di poco la fine
della seconda guerra mondiale. Con un film tanto poetico, Balagov
dà nuovamente prova del suo talento, dimostrando di meritare
l’attenzione che ora gli si rivolge.
Il film si apre a Leningrado, nel
1945. La guerra ha devastato la città, demolendo i suoi edifici e
lasciando i suoi cittadini in uno stato fisico e mentale
particolarmente fragile. Con la fine dell’oppressione e delle
ostilità, la vita sembra riprendere il suo normale corso. È qui che
si svolge la storia di Iya (Viktoria
Miroshnichenko) e Masha (Vasilisa
Perelygina), le quali cercano, ognuna a suo modo, di
ricostruire la propria vita tra le rovine.
Prima di abbagliare visivamente con
una delle tante bellissime composizioni di cui è ricco il film, il
regista cattura l’attenzione facendo udire su schermo nero un
boccheggiamento, che riesce a presentarci allo stesso tempo il
personaggio protagonista e, metaforicamente, anche la situazione di
sfinimento di un popolo logorato dalla guerra. Con l’avanzare della
narrazione, si tende a dimenticare il contesto storico, visto come
qualcosa da lasciarsi alle spalle il più in fretta possibile, per
concentrarsi su una dimensione più intima, che è quella messa in
gioco dalle due bellissime e bravissime protagoniste.
Balagov racconta così di personaggi
alla disperata ricerca di vita e speranza, un bisogno che fino a
quel momento sembrava essere stato spento dagli orrori subiti e
visti e che facilmente può trasformarsi in ossessione. È una
ricerca che però si scontra inevitabilmente con l’apparente
incapacità di riuscire ad aprirsi a nuove emozioni. L’insolita
altezza della protagonista non è, a tal proposito, un caso. Tramite
questa scelta il regista ci sottolinea la volontà di affrontare la
storia attraverso gli occhi di una “diversa”, non vista come tale
dagli altri quanto da sé stessa. Questa condizione fisica porta la
protagonista ad assumere un atteggiamento che la pone al margine,
facendola ben presto diventare succube di quanto la circonda. La
sua è una condizione difficile, è in maniera del tutto naturale si
arriva ad empatizzare per lei.
Merito anche di una meravigliosa
Viktoria Miroshnichenko, attrice di grande grazia che riesce a
comunicare la sua instabilità emotiva con pochi gesti del corpo o
del volto. La sua Iya è un personaggio fin troppo buono, alla
ricerca di un sentimento vero in un mondo che invece non sembra
averne più. Balagov tratta con grande rispetto lei e la sua storia,
firmando una sceneggiatura che fugge da ogni cliché e colpisce
invece per il risvolto poetico di molte delle vicende. Tutto ciò è
accompagnato da una regia che non cerca di colpire con virtuosismi
o simili, ma trova nella scelta di una messa in scena contenuta,
come l’emotività della protagonista, la possibilità di un maggior
impatto emotivo.
Con Beanpole,
Balagov regala al Festival un piccolo grande gioiello, dotato di
sentimenti sinceri, che pervadono l’intera opera di un’atmosfera
incantevole, capace di rubare gli occhi e il cuore dello
spettatore. Attraverso i desideri e le speranze delle due affiatate
protagoniste, il regista ritrae un’umanità intera, ferita, ridotta
in ginocchio, ma capace ancora di cullare un sogno di rinascita ad
ogni costo.
Il primo film in distribuzione è
Il segreto di Liberato di
Francesco Lettieri, un lavoro sorprendente che
unisce documentario, musica e animazione, dedicato al nuovo
fenomeno della scena musicale partenopea. Il film-evento sarà in
sala per una settimana dal 9 maggio.
Grandi nomi e grandi storie
arricchiscono un listino eclettico che si muove fra generi diversi,
coniugando qualità e mainstream con la volontà di rivolgersi a
pubblici ampi e diversificati nel nome dell’originalità.
Il leggendario autore
di Taxi Driver e Toro scatenato, Paul Schrader, e
Richard Gere tornano a collaborare assieme,
per la prima volta dopo l’iconico American
Gigolo, in I
tradimenti(Oh,
Canada). Completano un cast d’eccezione
il nuovo divo del cinema americano
Jacob Elordi (Saltburn, Priscilla) e
Uma Thurman. Il film sarà
presentato in Concorso al prossimo Festival
di Cannes.
Un Nicolas Cage assolutamente inedito è il
protagonista di Longlegs di Osgood Perkins, una caccia al serial
killer feroce e dagli inaspettati risvolti occulti. Già al centro
di una campagna marketing virale, in attesa della grande uscita
americana prevista per l’estate, il film è già fra i thriller più
attesi dell’anno.
Il maestro e Margherita, uno dei
capolavori più amati della letteratura mondiale, illumina il grande
schermo in un adattamento sontuoso firmato da Michael Lockshin,
mantenendo inalterato il potere sovversivo e immaginifico del
romanzo. Protagonisti Claes Bang (The
Square) e August Diehl (La
vita nascosta).
Dal concorso dell’ultima Berlinale,
l’acclamato Architecton del maestro Victor Kossakovsky, fra i
più importanti documentaristi contemporanei. Un viaggio vertiginoso
fra antico e moderno, pietra e cemento, che affronta con urgenza
tematiche greenattraverso la potenza di
immagini incredibili.
Completano l’offerta del
listino Le avventure di Jim
Bottone e Jim Bottone e
la banda dei tredici pirati, una doppia proposta per tutta
la famiglia tratta dei celebri libri per l’infanzia firmati da
Michael Ende (La storia infinita).
Be
Water, società di produzione e distribuzione di contenuti
artistici, culturali e giornalistici, nasce nel 2021 con l’intento
di creare un racconto contemporaneo e multiforme sui grandi
temi ed eventi del nostro tempo e su ciò che riguarda il futuro di
tutti noi. Producendo contenuti nei quali l’arte,
l’informazione e la creatività si fondono in un flusso costante di
progetti come podcast, film, documentari, live show e inchieste
giornalistiche l’intenzione è quella di sollecitare nuove occasioni
di riflessione su questioni strutturali del nostro presente come ad
esempio la sostenibilità,
l’inclusione, la tecnologia, lo
scenario geopolitico in continua evoluzione e il
mondo della finanza.
A Guido Brera,
Filippo Sugar, Barbara Salabè, Mario Calabresi, Mattia
Guerra e Saverio Costanzo, soci di Be
Water già precedentemente annunciati, si uniscono ora
Stefano Bises,
Alessandro Borghi, Claudio Erba, Riccardo Haupt e
Cecilia Sala.
Guido
Brera, socio fondatore di maggioranza di Be Water insieme
a Filippo Sugar, racconta così l’ingresso dei
nuovi soci:
“Sono convinto che il
cambio paradigmatico della percezione di vero o falso, di bene e
male, di origine e storia, di povertà e ricchezza, chieda nuove
forme di racconto capaci di proporre una visione sia olistica dei
contenuti, sia contemporanea dei linguaggi, della durata e della
tecnologia. Con Be Water vogliamo costruire una media company
moderna, in grado di catalizzare idee, temi, provenienze, ed
esperienze diverse eppure affini.
Per fare questo negli
ultimi due mesi Be Water ha aperto le proprie porte a
talenti desiderosi di investire in un sistema di connessioni
ideali, partecipativo e polifonico, dando vita così a una compagine
azionaria compatta ed eclettica unica nel nostro panorama: Barbara
Salabè, tra i manager più capaci e completi nella
costruzione di squadre e progetti pioneristici nel mondo dei media;
Mario Calabresi, giornalista straordinario, nostro
primo compagno di viaggio e co-fondatore di Chora, oggi CEO di Be
Content, la società che raggruppa le attività Chora e Will
(podcast, digital media e journalism), affiancato dal COO,
Riccardo Haupt, che con il team di Will ha
costruito una comunità di oltre 2 milioni di giovani tra i 18
e 35 anni; Mattia Guerra, AD della nostra società
di produzione e distribuzione Be Water Film, brillante produttore
cinematografico e televisivo, già creatore della linea produttiva
di Lucky Red; Filippo Sugar, Presidente e CEO
di Sugarmusic tra i più importanti editori musicali in Europa che
ha contribuito a definire la cultura musicale italiana nel mondo
spaziando da Andrea Bocelli, Ennio Morricone, Nino Rota e Paolo
Conte fino a Madame e Sangiovanni; Saverio
Costanzo, regista riconosciuto e acclamato dalla scena
internazionale; Alessandro Borghi, attore tra i più talentuosi
e amati del cinema europeo; Stefano Bises,
sceneggiatore di importanti serie televisive dell’ultimo decennio;
Cecilia Sala, autorevole firma del giornalismo
indipendente d’inchiesta e di guerra e infine Claudio
Erba, fondatore di Docebo, tra le più grandi piattaforme
di e-learning al mondo e recentemente quotata al Nasdaq.”
“Quando penso a Be
Water – dichiara Barbara Salabè,
Executive Chairman di Be Water – mi viene in mente una girandola,
in cui ogni parte fa girare l’altra. Forse perché la nostra squadra
gli somiglia: i piedi ben piantati a terra e i pensieri senza
briglie. Noi di Be Water vogliamo costruire assieme ai nostri
ascoltatori, spettatori e consumatori una comunità nella quale
potersi riconoscere attraverso tre parole: audio, video,
live.
Chora e Will, quindi podcast,
video e brevi formati giornalistici, creano IP contemporanei,
rilevanti e immaginifici, con una loro autonomia produttiva e di
pubblico. Sono loro la sorgente, la fucina, il sensore delle
domande, delle aspirazioni.
Il compito di
Be Water Film sarà anche quello di trasformare le
storie frutto delle inchieste in veri e propri prodotti di
finzione, cioè sviluppare, produrre e distribuire film e serie in
linea con la nostra missione narrativa, che naviga nel solco della
realtà fattuale. Anche l’immenso bacino di storie e personaggi del
mondo musicale di Sugar sarà di ulteriore ispirazione per le nostre
produzioni.
A seguire con
Be Water Live porteremo sulla scena i temi e i
personaggi più popolari per farli incontrare con il loro
pubblico.
Unire in un unico
volano mercati, talenti, personaggi e pubblico, ne sono certa,
permetterà a Be Water di superare gli ostacoli di un mercato oggi
molto segmentato e parcellizzato con una particolare attenzione a
un mondo giovanile, così affamato di risposte alle loro
inquietudini.
“Be Water è il luogo
dove creare contenuti informativi, formativi e di intrattenimento,
nei formati più diversi, che siano liberi e
indipendenti.” Stefano Bises
“Be Water è un luogo
di pensiero libero e creazione, di relazioni e di idee che prendono
forma.
“La missione di Be
Water è di creare storie autentiche e profonde capaci di trovare
ascolto e attenzione in un mondo di rumore.” Mario
Calabresi
“Be Water è la
squadra con cui fare
un’avventura.”Saverio
Costanzo
“Be Water è un
ecosistema con un incredibile impatto sociale, con il potenziale di
espandersi oltre i segmenti in cui ha già
avuto successo.”Claudio Erba
“Be Water è uno
spazio libero dove il talento può esprimere la creatività
attraverso tutti i media. Vogliamo parlare alle persone utilizzando
un linguaggio innovativo, creando un tratto distintivo
nell’industria dell’audiovisivo.”Mattia
Guerra
“In un panorama
mediatico sempre più conservatore e statico, Be Water rappresenta
una sfida allo status quo che mira a cambiare le regole del gioco
del settore dei media in Italia.”Riccardo
Haupt
“Be Water sono i
ragazzi e le ragazze, ancora troppo poche, con cui fare un
viaggio.” Cecilia Sala
“Be Water è un luogo
libero e indipendente dove far nascere idee, proteggerle mentre
crescono e poi liberarle in forme nuove e diverse per farle
viaggiare in Italia e nel mondo.”Filippo
Sugar