Prime Video ha
svelato oggi il poster e il trailer ufficiali del nuovo film
Original italiano L’Estate Più Calda,
diretto da Matteo Pilati (Maschile Singolare) e vede nel
cast Gianmarco Saurino, Nicole Damiani, Alice
Angelica con la partecipazione di Stefania
Sandrelli, Nino Frassica, Michela Giraud e
Giuseppe Giofrè.
In un paese della Sicilia
meridionale, amore e passione si intrecciano nel corso di un’estate
più calda che mai: l’ultima di Lucia (Nicole Damiani) prima di
partire per l’università e separarsi da Valentina (Alice Angelica),
la sua migliore amica; l’ultima di Nicola (Gianmarco Saurino) prima
di diventare prete. L’arrivo di Nicola nella piccola parrocchia di
Don Carlo (Nino Frassica), sotto il sole accecante di luglio,
porterà euforia e scompiglio in paese. Nel cast anche Stefania
Sandrelli (nel ruolo di Carmen, una parrocchiana molto devota e
amante del gossip), Mehdi Meskar, Michela Giraud, Giuseppe
Giofrè. L’Estate Più Calda è prodotto da Notorious
Pictures e Amazon Studios, in collaborazione con Rufus Film.
Inoltre, il nuovo singolo di
Francesca Michielin “Fulmini addosso” (Columbia Records/Sony Music
Italy), fuori dal 9 giugno in radio e su tutte le piattaforme
digitali, è il brano originale di L’Estate Più Calda. La
cantate, cantautrice e polistrumentista italiana, si presta ancora
una volta colonne sonore cinematografiche.
L’Estate Più Calda si
unirà a migliaia di film e serie già presenti nel catalogo di
Prime Video, tra cui le produzioni italiane
Original The Bad Guy, Prisma, Bang Bang Baby, Gianluca
Vacchi: Mucho Más, Laura Pausini – Piacere di conoscerti, The
Ferragnez – La serie S1 e S2, All or Nothing: Juventus, Anni da
cane, Dinner Club S1 e S2, Vita da Carlo, FERRO, Celebrity Hunted –
Caccia all’uomo S1, S2 e S3, e LOL: Chi ride è fuori S1, S2 e
S3; le serie pluripremiate The Marvelous Mrs.
Maisel e Lizzo’s Watch Out for the Big
Girls, la serie satirica sui supereroi The
Boyse grandi successi come Il Signore degli
Anelli: Gli Anelli del Potere, Citadel, Jack Ryan
di Tom Clancy, Un matrimonio esplosivo, Samaritan, Tredici Vite,
The Tender Bar, A proposito dei Ricardo, La guerra di domani,
Reacher e Il principe cerca figlio, oltre a
contenuti in licenza disponibili in più di 240 paesi e territori
nel mondo, e le dirette in esclusiva in Italia delle migliori
partite del mercoledì sera della UEFA Champions League, oltre che
della Supercoppa UEFA, fino alla stagione 2026/27. Altre serie
Original già annunciate sono Costiera, Love Club, LOL
Talent Show: Chi ride è dentro, la quarta stagione di
Celebrity Hunted – Caccia all’uomo, Everybody Loves Diamonds, e
Citadel: Diana, il capitolo italiano
dell’universo Citadel.
Prime
Video ha alzato le temperature rivelando le prime
immagini della terza e ultima stagione di L’estate nei
tuoi occhi. La serie Original tornerà a Cousins Beach
il prossimo luglio con una stagione di 11 episodi e sarà
disponibile in esclusiva su Prime Video in oltre 240 Paesi e territori nel
mondo.
Al timone della terza stagione de
L’estate nei tuoi occhi troviamo le showrunner Jenny Han e
Sarah Kucserka. Han, Kucserka e Karen Rosenfelt sono executive
producer della serie, insieme a Paul Lee, Hope Hartman e Mads
Hansen per wiip. La serie è una coproduzione di Amazon MGM Studios
e wiip.
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Courtesy of Prime
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Basato sulla trilogia di libri
best-seller firmata da Jenny Han, la serie drama targata Prime
Video è diventata un fenomeno culturale e ha catturato i cuori dei
fan di tutto il mondo. La prima stagione ha debuttato nell’estate
del 2022 ed è diventata la serie numero uno di Prime Video nel
primo fine settimana. La
seconda stagione ha debuttato nell’estate del 2023 e, a soli
tre giorni dal lancio, ha più che raddoppiato il numero di
spettatori della prima stagione.
L’estate nei tuoi occhi è un dramma
multigenerazionale che si basa sul triangolo amoroso tra una
ragazza e due fratelli, sul rapporto in continua evoluzione tra le
madri e i loro figli e sul potere duraturo delle forti amicizie
femminili. È una storia di formazione che parla del primo amore,
dei primi cuori infranti e della magia di un’estate perfetta.
Jenny Han è l’autrice Tutte le volte che ho scritto ti
amo e L’estate nei tuoi occhi, serie di libri
best-seller che hanno scalato le classifiche del New York Times. I
suoi libri sono stati pubblicati in più di 30 lingue. Per la
televisione ha creato due nuove serie basate sui suoi libri:
L’estate nei tuoi occhi di Prime Video, di cui è executive
producer e co-showrunner, e la serie di NetflixXO,Kitty, uno spinoff
dell’universo di Tua per sempre, di cui è executive
producer. Per quanto riguarda il cinema, è executive producer di
tutti e tre i film della trilogia di successo globale di
Netflix Tua per sempre. Han vive a Brooklyn, New
York.
Prime Video svela il trailer ufficiale
della
seconda stagione de L’estate nei tuoi occhi.
Sulle note di ‘Back to December (Taylor’s Version)’ dall’album
di prossima uscita ‘Speak Now (Taylor’s Version)’ e
di ‘august’ da ‘folklore’ di Taylor Swift, Album
Of The Year ai Grammy 2021.
Un tempo Belly era solita contare i
giorni che la separavano dal ritorno a Cousins Beach, ma con
Conrad e Jeremiah che continuano a litigare per il suo amore e il
ritorno del cancro di Susannah, non è sicura che l’estate sarà più
la stessa. Quando un visitatore inaspettato minaccia il futuro
dell’amata casa di Susannah, Belly dovrà riunire la banda e
decidere una volta per tutte dove andrà il suo cuore.
Al timone della seconda stagione
di L’estateneituoiocchi troviamo
le showrunner Han e Sarah Kucserka. Han, Kucserka, Karen Rosenfelt
e Gabrielle Stanton sono anche executive producers, insieme a Hope
Hartman, Mads Hansen e Paul Lee per wiip. La serie è una
co-produzione Amazon Studios e wiip.
Jenny Han è l’autrice delle serie di
libri Tutte le volte che ho scritto ti
amo e L’estateneituoiocchi che
hanno scalato la classifica dei Best-Seller del New York
Times. Le sue opere sono state pubblicate in più di 30 lingue.
Per il piccolo schermo ha co-creato due nuove serie basate su
questi libri – la serie Prime
Video L’estateneituoiocchi,
di cui è executive producer e co-showrunner – e la serie NetflixXO, Kitty, uno spin-off
dell’universo di To All the
Boys, di cui è executive producer e co-showrunner. È stata
inoltre executive producer dei 3 film Netflix della
trilogia To All the Boys. Vive a Brooklyn, New
York.
Siamo già a metà luglio e finalmente
su Prime
Video torna con una nuova e attesissima seconda stagione
L’estate nei tuoi occhi. Se già con i primi setti
episodi vi siete fatti trasportare dagli amori estivi di Isabel
“Belly” Conklin eternamente divisa tra i fratelli Conrad e
Jeremiah, figli di Susannah Fisher nonché la migliore amica di sua
madre, è ora di tornare a Cousins Beach. Perché anche
L’estate nei tuoi occhi 2, trasposizione di “Non è
estate senza te” e secondo romanzo della The Summer
Trilogy della scrittrice Jenny Han conferma,
ancora una volta, che è la serie giusta da vedere in questo periodo
preciso dell’anno in cui si respira l’aria di vacanza e per chi ha
già fortuna direttamente sulla spiaggia al mare o a bordo di una
piscina come Belly e i suoi amici.
Cosa succede in L’estate nei tuoi
occhi 2
Nel finale della prima stagione di
L’estate nei tuoi occhi vediamo Belly e Conrad che
capiscono i loro sentimenti e iniziano a frequentarsi come una vera
coppia. In questi nuovi otto episodi invece tutto si travolge e
viene a mancare un personaggio importante, senza fare spoiler su
chi è esattamente posso solo dire che era già ammalato da tempo e
la sua morte per malattia era già annunciata. Tutta la trama di
L’estate nei tuoi occhi 2 e’ incentrata su questa
perdita e su come tutti i vari protagonisti affrontano questo
lutto.
L’estate imminente sarà la prima per
Belly, con suo fratello Steven, senza la villeggiatura nella
meravigliosa villa sull’oceano di Cousins Beach o almeno così
credono loro e la madre Laurel Park che ha scritto un nuovo libro.
La giovane protagonista intenta a festeggiare la fine di un altro
anno scolastico alle superiori, in compagnia della sua migliore
amica Taylor, riceverà una telefonata da Jeremiah che le chiederà
aiuto perché suo fratello maggiore ha fatto perdere le sue tracce e
non si fa vedere neanche più alla Brown, il College che frequenta.
I due dopo aver discusso della loro complessa amicizia si
metteranno alla ricerca di Conrad e lo ritroveranno, dopo un lungo
viaggio in auto, proprio nella loro casa dove hanno passato fin da
bambini insieme tutte le loro meravigliose e felici estati.
Non più una semplice
serie estiva
Troviamo varie novità in questa
seconda narrazione seriale come quella della durata degli episodi
non più da 40 ma che oscillano verso i 55 minuti. Vengono mostrati
ancora molti flashback ma stavolta ambientati nei mesi precedenti,
in autunno ad Halloween e alla festa del Ringraziamento, in inverno
durante le vacanze natalizie e durante la primavera, in momenti
specifici che spiegano il perché della fine della relazione
d’amicizia tra Belly e i fratelli Fisher.
Finalmente vediamo Belly indossare
maglioni e felpe e la sua casa dove vive con suo fratello diplomato
e sua madre ancora single. Appaiono due nuovi personaggi dalla
parte di Susannah, che sono la zia di Conrad e Jeremiah cioè Julia
e sua figlia Skye, questi sono interpretati da
Kyra Sedgwick e Elsie Fisher. Per ultimo, ma non meno
importante, Belly non è più la sola narratrice ma per l’intero
quinto episodio a dare voce ai propri pensieri sarà Jeremiah.
Scopriamo i suoi veri sentimenti nei confronti della protagonista e
la gelosia che lo lacera perché la ragazza ama da sempre suo
fratello Con.
Team Conrad o Team Jeremiah
Questa stagione è decisamente più
complessa e che punta a mostrare come Belly, Conrad e Jeremiah sono
più maturi, più adulti e lo si vede bene già subito nei primi tre
episodi. Quelli dopo e girati interamente nella località di mare,
come il quarto al luna park, il quinto al country club e il sesto
durante un disco party, puntano alle vibrazioni della stagione
precedente, sono più leggeri e fatti di spensieratezza. Gli ultimi
due sono la resa dei conti, anzi dei sentimenti di tutti i
protagonisti e svela finalmente le sorti della casa di Cousins
Beach. Ovviamente non manca il romanticismo del triangolo amoroso
che è da sempre la colonna portante di L’estate nei tuoi occhi.
Quella che più si rivela cresciuta è Belly, anche perché sarà lei
alla fine a fare la scelta finale su chi scegliere d’amare che
ovviamente non posso svelare.
L’estate nei tuoi occhi
2 si conferma un ottimo prodotto da vedere a luglio, che
trasmette grazie ad una colonna sonora con pezzi di musica pop,
alla fotografia da cartolina con colori pastelli tutto quello che
gli spettatori vogliono vedere in una serie così, che mostra
un’estate magica sulla via dei ricordi e della nostra adolescenza
passata per quel pubblico più grande e cresciuto con i teen dramma
di una volta come l’indimenticabile Dawson’s
Creek.
In L’Estate di
Giacomo Giacomo ha 18 anni e due occhioni azzurri. E’
sordo, ma è un gran chiacchierone. Giacomo ha un’amica: Stefania.
Stefania ha 16 anni ed è molto silenziosa. E’ estate e Giacomo e
Stefania camminano in un bosco del Friuli inciampano, si pungono
sui rovi e poi la trovano: una meravigliosa distesa d’acqua
cristallina. Solo il rumore dell’acqua, del vento, le loro voci, i
loro corpi che si scontrano con l’acqua. Di sera vanno ad una
festa, ballano insieme. Nulla in particolare succede tra queste due
anime, ma, come spesso accade, quando diciamo “nulla in
particolare”, vogliamo dire “tutto”.
A seguirli c’è una telecamera –
solo una – tutt’altro che discreta. La telecamera è, per sua
natura, una dittatrice: vediamo solo ciò che lei ha deciso di farci
vedere … il resto lascia che siamo noi ad immaginarlo. Spesso
vediamo solo Giacomo, spesso vediamo solo Stefania, ma riusciamo ad
immaginarci le espressioni dei loro volti o comunque sentiamo le
loro voci, da un fuori campo così evidente, eppur così trasparente.
I due amici si esplorano e la telecamera aspetta, perché sembra di
essere sempre sul punto della svolta, sta per succedere qualcosa,
ce lo sentiamo, adesso succede.
L’Estate di Giacomo, il film
Ma niente, non succede nulla,
sospesi nell’attimo prima del bacio, Giacomo e Stefania hanno dalla
loro la spontaneità dell’illusoria libertà delle estati appena
cominciate, in cui si ha l’impressione di avere tutto il tempo del
mondo. Così in questo “nulla di particolare” si muovono le
esistenze dei due amici che, forse, vorrebbero essere un po’ di più
senza il coraggio di confessarselo o, forse, non ne hanno bisogno.
Poi, d’improvviso, il tempo li tradisce. Giacomo è ancora lì e c’è
ancora una ragazza, ma non è Stefania. Un ricordo o un sogno? Così
capiamo: è il destino dell’estate… una collezione di frammenti di
vita, tanto brevi quanto intensi.
Opera prima di Alessandro Comodin,
L’Estate di Giacomoè un
film-documentario difficile da leggere, nonostante la semplicità
del mondo che si vuole raccontare. Al limite tra l’ingenuo e il
sagace, tra la fanciullezza e la scoperta di un’imminente maturità,
tra l’amicizia e l’amore, Comodin ci porta nel mondo reale, quello
fatto di persone vere che non si curano della telecamera e quasi le
sfuggono, perché in netto contrasto col paradiso della loro estate:
lontano e puro.
Scritto e diretto da Alessandro
Comodin, girato tra Italia, Belgio e Francia, L’Estate di
Giacomo sarà nelle sale a partire dal 20 luglio.
A dieci anni dal
Party Girl che vinse la Camera d’Or a Cannes (e
dopo un episodio della serie Demain si j’y suis),
torna nelle nostre sale la regista francese Marie
Amachoukeli. Grazie alla distribuzione di
Arthouse, in collaborazione con I Wonder Pictures e Unipol
Biografilm Collection, dal 21 marzo il suo nuovo L’estate
di Cléo è in molti cinema italiani, dopo aver aperto
l’ultima Semaine de la Critique al Festival
di Cannes 2023 e aver raccolto diversi riconoscimenti
internazionali. Un racconto intimo, ma anche un film sull’infanzia
diverso da altri, che vive del forte rapporto tra la Gloria di
Ilça Moreno e la piccola co-protagonista, la Cleo
interpretata da Louise Mauroy-Panzani, nella quale
rivive l’esperienza della stessa regista e sceneggiatrice.
L’estate di Cléo, la trama
Dopo la perdita della
madre, la piccola Cléo di sei anni vive con suo padre e la tata
Gloria, originaria della Repubblica di Capo Verde, alla quale la
lega un rapporto di affetto sincero e potente. Come una seconda
madre, o la madre che Cléo non ha avuto, le due vivono una
quotidianità fatta di tanti piccoli momenti preziosi che alimentano
l’affetto reciproco tra le due. Così, quando Gloria deve tornare a
Capo Verde per prendersi cura della sua famiglia, Cléo le chiede di
mantenere una promessa: rivedersi il prima possibile. Con il
permesso del padre, Gloria invita la bambina a raggiungerla nel suo
paese natale, per trascorrere insieme a a lei e ai suoi figli
un’ultima estate da ricordare per sempre. Nel bene e nel male.
L’estate di Cléo, da un titolo all’altro
È interessante lo
slittamento semantico operato dalla distribuzione italiana nel
trasformare il titolo originale (Àma
Gloria, dedicato alla adulta e affettuosa governante)
focalizzando l’attenzione sull’esperienza della piccola Cléo. Anche
correttamente, in effetti, visto che l’origine della storia sta
proprio nell’esperienza vissuta dalla stessa regista quando aveva
l’età della sua protagonista. E che al netto dell’omaggio della
Amachoukeli alla tata di allora – la Laurinda, immigrata
portoghese, alla quale il film è dedicato – riporta l’attenzione
sul momento vissuto dalla bambina, sulle sue emozioni e soprattutto
sulle sue risposte alla scoperta di una vita completamente diversa
e altra da quella che aveva imparato a conoscere.
Lontana da casa, dalla
protezione paterna e soprattutto dalle dinamiche e dai ruoli ai
quali era abituata, la piccola è spiazzata, ancora non
completamente in grado di comprendere i confini tra dovere e
sentimento, tra il rispetto degli obblighi deontologici della sua
tata, l’attenzione nei suoi confronti e l’amore sincero che le
lega. Ma che lega la donna anche ai suoi veri figli, che mal
sopportano l’arrivo di questa ‘sorellastra intoccabile’, un corpo
estraneo alla loro famiglia, che inevitabilmente affrontano anche
con gelosia e un pizzico di classismo.
L’estate di Cléo, un film
di scoperta
Un groviglio confuso,
complicato da gestire, figuriamoci da capire, e per una bambina di
6 anni. Ma è una parentesi – lunga un’estate, appunto – che vale
una vita, e che costringe la piccola a uscire dalla propria bolla.
Anche quella nella quale l’aveva sempre tenuta la sua Gloria. La
scelta del punto di vista di Cléo rende il film qualcosa di diverso
e di più di un romanzo di formazione, e del film “sull’infanzia e
sull’universalità dell’amore” annunciato, visto che sono ‘adulte’
le emozioni (sottolineate dai tanti primi piani, che rendono ancora
più privato e personale l’intenso racconto) e i conflitti di fronte
ai quali viene messa, e i rischi di certe scelte.
C’è il concetto di
famiglia, troppo spesso ipocritamente e strumentalmente sbandierato
nella sua forma solo tradizionale a discapito della miriade di
forme che questo assume nella vita reale, come scopre la stessa
protagonista, ma ci sono anche la morte, l’errore, il rancore che
viene dal non conoscere l’altro e la capacità di superare i
pregiudizi insieme ai confini. Ma soprattutto il coraggio di
tuffarsi dall’alto di una rupe in un mare pericoloso e aperto (che
ritorna negli splendidi intermezzi animati che impreziosiscono il
film e arricchiscono la caratterizzazione del suo mondo interiore),
come vediamo in una delle scene più belle ed emblematiche del film,
in un gesto estremo di affermazione e rivincita. Dal quale
ripartire, un po’ più preparata ad affrontare il futuro e il
mondo.
Pare che siamo arrivati alla fine.
Oggi ultimo giorno di Festa (ehi, ho imparato a chiamarla così.
Sicuramente l’anno prossimo cambieranno di nuovo diciture), c’è il
sole, Vì è tornata e –sia lode a Chtulhu – non c’è una premiazione
finale. Il film più bello lo decideranno i ventiquattro spettatori
che sono accorsi qui a questa manifestazione, e dunque problemi
loro, significa che noi addetti se ci va di culo siamo perfino
liberi di andarcene a cena in un orario decente e pregustare ‘sto
mezzo week-end di riposo che in finale ci siamo meritati prima di
partire per le prossime avventure (per me Lucca Comics, per altri
Torino).
Oggi devo seguire Il
Piccolo Principe. Il film l’ho già visto a Cannes, il
che mi avvantaggia di due ore di tempo libero. Purtroppo ieri nella
fretta ho guardato il programma a cazzo, e ho confuso gli orari di
proiezione e conferenza, quindi arrivo comunque in orario per la
proiezione, cioè con un paio d’ore d’anticipo. Che potevo usare per
dormire, passeggiare, fare altro. Niente, è il destino del
festivaliero. Fino all’ultimo, la kermesse ti risucchia con
intricati giri d’eventi e tu non puoi sottrarti nemmeno se vuoi. E
quindi andiamo di bilancio, che è un po’ quel che dicono tutti.
Che sarà vero che sta Festa sembra
più una fiera di paese che un evento internazionale, che gli ospiti
sono stati in generale di poca caratura, ma i film in media erano
belli, insomma almeno due tre da consigliare io me li porto.
Probabilmente è vero che “l’essenziale è invisibile agli
occhi”. Ah, tra parentesi, il
film di oggi col Piccolo Principe c’entra abbastanza sega, è una
cosa spielberghiana, alla Hook, volendo,
ma le parti del romanzo che tutti abbiamo amato da bambini si vede
solo in alcune scene d’intermezzo realizzate con gli origami – tra
l’altro ben riuscite – per il resto è tutta animazione moderna
simil-Pixar, dove Antoine de Saint-Exupéry compare nel ruolo di
sé stesso e in guisa di vecchio rincoglionito.
Nel pomeriggio un documentario su
La grande bellezza– pure
bellino e con il merito di durare solo 60’, che per la stanchezza
un po’ de cecagna me piglia – articolo, e poi se Nicolas
Cage vuole è finita. Come sempre a mancarci saranno
soprattutto gli incontri più o meno fugaci con la bella gente del
festival, come quello che abbiamo fatto ieri al Tiepolo, un noto
locale della capitale dove ti danno la patata, e infatti è sempre
pienissimo.
S’è scoperto che parte della
tavolata già lo frequentava abitualmente e che aveva un gruppo
Whatsapp nominato ‘Quelli del Tiepolo’. Noi ci siamo ribattezzati
‘Figli del Tiepolo Minore’, in onore di tanti personaggi ‘minori’
che circolano da ‘ste parti e che per un motivo o per l’altro ci
vogliono corteggiare con insistenza o picchiare. Di solito Vì
ottiene il primo trattamento, io il secondo, ma non è detto.
Ma ora basta chiacchiere,
il momento che aspettavate è arrivato, perché per il gran finale,
Vì è di nuovo tra noi!
Premio Realizzazione Tecnica Demmerda alle macchinette per la
traduzione in sala conferenze. Il segnale sfancula in continuazione
e non c’è modo di sentirle se non alzando a palla, con sommo
disappunto di chi non le usa.
(Ang)
E infatti sono tornata, in realtà
non so nemmeno da dove perché in realtà non mi sono mai fermata.
Praticamente ormai sono un essere mitologico mezza donna e mezza
rotaie. In ogni caso ieri sera ero qui di nuovo in diretta da
questa festa splendida a fare un bagno di folla, a sgomitare per
trovare posto, a fare file immense per riuscire a vedere qualcosa,
praticamente ce stavamo solo noi, lo sapete. Noi e i parenti di
Cupellini.
Ieri, e non so perché devo essere
completamente rincoglionita, ho deciso di andare a vedere
Sport, un docufilm in cui quattro
registi, israeliani e palestinesi, hanno girato dei minicorti sul
tema appunto dello sport.
Che uno che un minimo mi conosce sa
benissimo che a me fottepropriosega di qualunque roba sportiva. Non
che non lo sia, attenzione. Tutt’altro. È che trovo mostruosamente
noioso guardare gare e robe simili. È come se vi costringessi a
guardarmi mentre corro sul tapis roulant, per dire, o pretendessi
l’applauso dopo che ad aerobox corco di legnate il mio avversario,
o che vi propinassi due ore di visione di me che faccio squat in
pantaloncini. Per non parlare del calcio, che per me il derby è al
massimo un succo di frutta, capiamoci. Insomma, detto questo,
posseduta da chissà quale demone (un po’ come la mia macchina, ma
questa è un’altra storia), mi avvio in questa sala e iniziamo
malissimo. Il primo corto è proprio sul calcio e per di più una
filippica mediorientale stile documentario. Inizio a boccheggiare,
soprattutto perché ero scesa dal frecciargento due ore prima,
capite bene che ero un po’ stremata. Ma poi, sorprendentemente, con
gli altri episodi sono stata totalmente rapita da questo lavoro,
tant’è che sono uscita felicissima, spingendolo a tutti, ma che
bello lo sport!
Restano irrisolti alcuni punti
cruciali. Perché c’era un corto su due in prigione che fanno
yoga?
Ah, anche quello non è un succo di
frutta? Dite?
Po’ esse’, bravi, vi meritate un
like.
Come se lo meritano il mio fido
socio e tutti quelli che mi hanno aspettata, i lettori che si sono
lamentati con me perché ho trascurato Ang, è vero, mi farò
perdonare. Intanto ieri sera ‘i figli di un Tiepolo minore’ hanno
deciso che oggi faranno un reportage di vita reale, proprio lì dove
vige il sordido, svelandovi volti e nomi sui veri retroscena del
festival. Oggi puntiamo a un selfie con la Stefania, santa donna
del kebabbaro-universal (si qui è brandizzato, come il mio
meccanico ‘Tonino’ che se chiama Daniele, ‘Tonino’ è il brand) che
mi nutre e mi avvolge di tante cure. Durante la cena delle patate
ieri abbiamo ricordato molto le sue gesta. Questo Festival è nato
sotto il segno del calendario cinese delle patate. Se fate i bravi
un giorno vi spiegheremo perché.
Adesso scappo, vado a
prendere Ang, andiamo a vedere l’ennesima versione de
La Grande Bellezza, dall’originale titolo
Cercando la grande bellezza. Un film in
cui ‘un regista minore’ (scusate, è una citazione meta-testuale
sulla serata di ieri, non è dispregiativo, noi amiamo i registi
minori, almeno quelli che non vogliono mena’ Ang) in cinque
capitoli che cerca di ricostruire il modo di pensare e di fare il
cinema di Paolo Sorrentino. Quindi ci ubriacano tutti prima di
entrare in sala.
Detto questo, lo sapete che scherzo,
come dico più volte Sorrentino per me può girare pure il menu di
Cesare al Casaletto, anche se epica la frase (di gelo) di mia madre
oggi: ‘ancora a vedere roba su ‘la Grande Bellezza?’ ‘Cosa ti
dovranno mai dire che non sono riusciti a far passare in 5 ore di
pellicola?’ ‘Ma cos’è in realtà un sequestro?’
Mamma ti amo, ti volevo salutare che
qua ci teniamo a ringraziare i cari. Scappo, addio, o forse
arrivederci Roma. Non lo so, ci pensiamo domani.
Discorrere di
Dario Argento è difficile se non si applica un
parallelismo diretto con la sua vita e le sue influenze giovanili.
Figlio d’arte, Dario nasce a Roma nel 1940 da Salvatore Argento,
famoso produttore cinematografico, e Elda Luxardo, fotografa
brasiliana. La propensione artistica cinematografica gli fu
involontariamente imposta da due genitori che di pellicole e shot
ne masticavano e se ne intendevano.
Questa base artistica fu
implementata da una dedizione passionale verso l’arte fantastica e
surrealista i cui rappresentanti principali sono da individuare in
Alfred Hitchcock, Walt Disney, F.W. Murnau, Fritz
Lang, le opere letterarie di Edgar Alla
Poe, e gli scritti alienanti di Thomas De
Quincy. Successivamente, nelle sue opere cominciarono ad
apparire le chiare impronte dello stile del padre e del fratello
Claudio, che produsse alcune delle sue opere. Il successo per
Dario Argento non si fece attendere e subito la
critica riconobbe in lui un talento particolare, tale da definire
le sue opere un cult. Fama e successo lo avvolsero, ma
anche critiche spietate e taglienti. Il suo tocco si caratterizza
per una forte enfasi dedicata alla visualità, in cui stili diversi
si mescolano, alterando gli schemi tradizionali imposti dal gusto
del cinema. Egli utilizza la macchina da presa in maniera diversa
ed elaborata, associandola ad effetti di luce e musicali che
rappresentano la vera quintessenza del suo lavoro e il background
perfetto per le scene di violenza sessuale.
Non è un caso se lo si considera il
maestro europeo del concetto di macabro, in cui le immagini di
violenza raggiungono il limite estremo della loro capacità
espressiva. La sua carriera cinematografica inizia come osservatore
e critico cinematografico per la testata romana Paese Sera e fu
solo dopo, intorno agli anni ‘60, che si dedicò alla scrittura di
sceneggiature di film western: Une Corde un
colt (1969) e Commandos
(1968), ma contribuì anche alla sceneggiatura di Sergio
Leone di C’era una volta il West (1968) che
gli permise di conoscere Goffredo Lombardo e
produrre, quindi, il suo primo film L’Uccello dalle
Piume di Cristallo (1970).
Nonostante l’etichetta horror che
solitamente si attribuisce a quest’opera, essa nasce come un giallo
in cui Argento narra le vicissitudini di un uomo, che
inaspettatamente assiste ad una violenza e gli viene attribuita la
colpa. Dalmas, il personaggio principale, per dimostrare la sua
innocenza deve andare contro le leggi, e trovare da sé la strada
verso la verità. Una verità inaspettata in cui la vittima si
tramuta in carnefice. Lo stile adoperato dal regista sorprende gli
spettatori, i quali applicando il metodo tradizionale di
ricostruzione dei fatti, si trovano spiazzati nel ricondurre tutti
gli indizi (solitamente associati ad una perversità e instabilità
mentale maschile) nella figura di una donna. La confusione logica
di ricostruzione degli eventi dei crimini sessuali generata negli
spettatori sarà una caratteristica pregnante di molte sue opere, in
cui la fine e la risoluzione di un dramma sconvolgerà la
tradizionale analisi effettiva delle situazioni.
Il suo secondo film è
Il Gatto a Nove Code (1971), considerato
anche la sua seconda opera della trilogia degli “animali”, a causa
della presenza nel titolo o nello svolgersi dei fatti di un
animale. A differenza della prima opera, le due successive Il Gatto
a Nove Code e Quattro Mosche di Velluto
Grigio ricevettero critiche negative riguardo lo
stile detective di cui fa uso il regista. Secondo la critica,
Argento mise da parte il metodo razionale e deduttivo per dedicarsi
interamente ad una visione eccessivamente libera e fantasiosa dei
fatti.
Lo stile di Dario
Argento risente a pieno dell’influenza dell’industria
italiana, in cui l’enfasi costante sul genere si mescola ad
un’attitudine più cerebrale, dominata da una visione critica e
intellettuale dell’opera. La combinazione di elementi intellettuali
con slanci istintivi è una caratteristica tipica dello stile
italiano del dopoguerra, in cui si cerca di soddisfare le richieste
di un audience sofisticato e le pretese di una popolazione più
semplice e pragmatica e quindi ottenere, anche, un buon ritorno
economico. Le tecniche che permisero di ampliare il suo range di
pubblico, riuscendo a soddisfare le richieste più disparate, sono
da ricondurre alla presenza di una descrizione politica o
psicoanalitica unite a scoppi irrazionali di risa, suspence,
eccitazione e violenza.
Se Profondo Rosso (1975) si caratterizza
per la presenza di elementi sovrannaturali, questi aspetti
troveranno la loro massima espressione con
Suspiria (1977). Film di grande successo,
Suspiria esprime in pieno l’evoluzione di Argento,
passando dal filone del Giallo a quello di
Horror, pur trattenendo nella sua essenza alcune
caratteristiche di base. Un chiaro esempio ci viene fornito dalla
contrapposizione tra uomini e donne, i primi con caratteri deboli e
inutili le seconde aggressive e dominanti. Ciò che fa di questo
film la pietra miliare dello stile di Argento è la tecnica
impiegata per la narrazione delle scene. E’ proprio qui che il
regista esprime in pieno il suo stile surreale con riprese che,
disorientando lo spettatore, spostano l’osservazione su giochi di
luce e di suoni che saranno in seguito il suo tratto
caratteristico, nonché il valore aggiunto all’opera. Emblematica è
la scena degli omicidi iniziali in cui il progredire drammatico dei
fatti è in maniera crescente accompagnato da un carico di colori e
da una colonna sonora incalzante e nevrotica.
Le sue opere successive non
smentiranno la sua propensione verso l’esaltazione assoluta dei
sensi, tramite l’utilizzo di luci- colori- suoni anche se
conserveranno sempre quei tratti caratteristici della sua fase
iniziale del periodo “giallo”.
Per tentare di
comprendere la paura bisogna partire dal concetto di negazione.
Quando l’ordine costituito viene messo in discussione da un evento
o un personaggio che arriva a sottrarre certezze, valori o
addirittura il senso stesso della realtà su cui quell’ordine stesso
si poggia, ecco che subentrano l’incertezza e l’inquietudine,
pronte a trasformarsi in terrore dell’ignoto col reiterarsi degli
agenti destabilizzanti. Quello che l’essere umano non può
comprendere con il bagaglio culturale, psicologico, emotivo che ha
accumulato nei secoli genera spavento. Ciò che nega il fondamento
stesso di questi valori provoca terrore.
Nessun altro film come
L’esorcista di
William Friedkin ha saputo sviluppare con tale
portata e coraggio l’idea di negazione applicata al cinema horror,
portandola alle estreme conseguenze.
L’esorcista, il terrore
ineguagliato al cinema
Come tassello di partenza
di questo processo c’è la sceneggiatura di William Peter
Blatty, trasposizione cinematografica del suo stesso
romanzo: lo sviluppo narrativo del suo script diventa scena dopo
scena un devastante atto di negazione dell’innocenza, in quanto la
possessione di Regan MacNeil da parte di Pazuzu non ha alcun
motivo, nessun appiglio logico che la spieghi. Nel trasformarsi
nell’essere blasfemo con cui si dovranno confrontare Padre Merrin e
Padre Karras, il personaggio viene progressivamente spogliato di
quell’umanità specifica appartenente ai bambini. La spensieratezza,
la gioia, la dimensione eterea di quell’età vengono scena dopo
scena negati da una metamorfosi inspiegabile quanto radicale. Non
c’è ragione, soltanto l’orrore. Tra l’altro la grandezza della
sceneggiatura sta anche nel “negare” il testo di partenza,
spostando il fulcro emotivo da un personaggio all’altro: se infatti
nel romanzo il dramma principale è quello di Chris MacNeil, madre
che deve impotente alla tortura che sua figlia deve subire, nel
film invece il centro del discorso si sposta su Padre Karras, uomo
di fede che, proprio nel momendo in cui la sta perdendo, deve
ritrovarla al fine di combattere il Male incarnato.
L’impatto de L’esorcista
E adesso la parte più
difficile da spiegare e a conti fatti probabilmente anche quella
maggiormente opinabile, poiché motivata da una visione
profondamente soggettiva de L’esorcista. Il
capolavoro di William Friedkin ha avuto un impatto radicale
e indelebile su chi scrive perché, creando un paradosso concettuale
quanto ontologico, tenta di negare l’orrore stesso in nome di quel
realismo che lo stesso autore era riuscito a inserire nel cinema
americano mainstream con il precedente Il braccio violento
della legge. Prima di tutto Friedkin sembra voler
adoperare la progressione narrativa di Blatty per impedire
all’orrore di entrare nel film: nella prima parte i segnali
suscettibili di interpretazione, poi lo scatenarsi cadenzato di
eventi inquietanti, infine la lunga sequenza delle analisi cliniche
svolte per cercare di capire lo stato di Reagan rappresentano una
dilazione quasi disperata dell’inevitabile: prima di arrivare
all’accettazione della possessione demoniaca Chris e con lei il
film stesso tentano ogni strada percorribile per rimanere nella
sfera di ciò che è tangibile, logico, umano.
Una volta negata ogni
altra opzione percorribile, Friedkin tratta la parte soprannaturale
del suo film realismo estremo, e per questo ancora più
terrificante: ne L’esorcista non ci sono ad
esempio i cosiddetti “Cheap thrills”, neppure la celeberrima scena
della zuppa di piselli vomitata dal demone in facciapadre Karras può essere
considerata tale, in quanto si tratta un’azione volta a negare
(ancora una volta) la logica con cui l’uomo di fede tenta di
imprigionare il non-senso di cui l’entità è portatrice. A livello
puramente estetico poi Friedkin adopera il set designing
dell’abitazione e in particolar modo la straordinaria fotografia di
Owen Roizman – artista a cui non verrà mai
concesso abbastanza credito per la riuscita del film – affinché
l’atmosfera creata rimanga sempre tangibile.
In un film che
progressivamente precipita nell’ombra e nell’oscurità visiva ed
emotiva, i punti luce sono quasi sempre interni all’inquadratura,
volti ad aumentare appunto il realismo dell’oppressione e della
claustrofobia. In questo impianto visivo che non permette mai allo
spettatore di “abbandonare” veramente la tangibilità di quello che
sta vedendo/vivendo, ecco che poi l’autore inserisce piccoli scarti
di senso, piccole variazioni capaci di smentire/negare la realtà
stessa delle immagini. Il sogno di Padre Karras con l’immagine
subliminale di Pazuzu ne è il preambolo, mentre l’allucinazione di
cui lo stesso personaggio è vittima verso la fine del film ne è
l’epitome. Quando Karras vede sul letto la madre costretta nella
camicia di forza con cui era deceduta, quello a nostro avviso è il
momento che “spiega” al meglio L’esorcista: un’immagine improntata
sul realismo con un piccolissimo scarto che non viene quasi mai
notato a livello logico ma lavora a livello inconscio per
spiazzare, inquietare: il lenzuolo che copre il materasso è tirato.
La donna non ha alcun peso.
Prima di vedere o
rivedere L’esorcista, nel caso decidiate di farlo,
provate a fermarvi un attimo a pensare quali sono i vostri valori:
etici, religiosi, culturali, decidete voi. E alla fine del film
provate a capire quanti di questi sono stati negati da
William Friedkin e dalla sua opera. Ecco, in
questo sta lo scarto tra l’orrore che passa e quello che resta. Che
non se ne vuole andare.
Con l’uscita di L’esorcista:
Il credente proprio dietro l’angolo, il
classico franchise horror tornerà a spaventare una nuova
generazione di pubblico. Ora, un’esclusiva di Total Film ha rivelato delle
anticipazioni al film, confermando che si tratterà di un ritorno
alle origini.
La nuova immagine dal film ci presenta Olivia
Marcum, che nel film interpreta Katherine, una delle due
ragazze possedute nel film. Inutile dire che la possessione
demoniaca è un concetto terrificante e il film non si tira indietro
nel mostrare quanto possa essere brutale. Uno dei tratti distintivi
del franchise de L’Esorcista è infatti la natura
grottesca delle vittime possedute, e il film non fa eccezione, con
l’immagine che riecheggia efficacemente l’aspetto di Regan del film
originale. Resta da vedere se il film può essere anche da solo,
senza l’eco dell’originale, un film horror avvincente.
A corredo dell’immagine, la rivista
ha pubblicato anche un’intervista a Ashley Rae
Trisler, coordinatrice degli stuntman per L’esorcista:
Il credente: “[Ci sono] alcune scene di
grande impatto, sorprendenti, che potrebbero potenzialmente
superare ciò che la gente ricorda di 50 anni fa,” ha detto
Trisler. Il mondo è cambiato in modo significativo dalla produzione
del primo film, cosa che, secondo Trisler, ha aggiunto importanza a
garantire la sicurezza dei giovani attori.
L’esorcista – Il credente, tutto quello che sappiamo
sul film
L’esorcista:
Il credente si concentrerà sul padre di una
bambina posseduta, che in cerca di aiuto entrerà in contatto con
Chris MacNiel (Ellen Burstyn).
La Burstyn riprenderà il suo ruolo de L’esorcista, dove
era la madre di Regan (interpretata da Linda Blair),
per aiutare a combattere il possesso della bambina e di una sua
amica. Oltre alla Burstyn, il cast di L’esorcista – Il
credente include Leslie Odom Jr.
(Hamilton), Ann Dowd (The Handmaid’s
Tale), Raphael Sbarge (C’era una
volta) e la cantante Jennifer Nettles.
Con un cast di talento riconoscibile
che dà vita al film, L’esorcista:
Il credentesta prendendo forma
come un degno seguito di
L’esorcista. La decisione di avere tutti i film nel
canone di indica inoltre che ci saranno riferimenti anche agli
altri quattro titoli della serie. Il nuovo film, però, segna anche
l’inizio di una nuova trilogia di sequel,
similmente a quanto fatto anche con i sequel di Halloween,
di cui appunto Green è stato regista.
Resta però da vedere come questo
nuovo film si affermerà presso il grande pubblico. Mentre Green si
è dimostrato un talentuoso regista slasher con Halloween,
i suoi sequel Halloween Kills e
Halloween Ends non sono
stati particolarmente apprezzati né dal pubblico né dalla critica.
Tuttavia, con L’esorcista – Il credente, che
crea una nuova storia all’interno dell’universo di
L’esorcista, il film potrebbe svelare nuovi entusiasmanti
aspetti degni di essere raccontati.
Il regista di L’esorcista:
Il credente, David Gordon Green,
ha parlato del modo in cui il film si propone di preservare il tono
del classico originale. Il film, che sarà presentato in anteprima
nelle sale il 13 ottobre, è il sesto capitolo della serie
cinematografica iniziata con L’Esorcista del 1973,
basato sull’omonimo romanzo di William Peter
Blatty e diretto da William Friedkin. Il film seguirà due ragazze
che mostrano segni di possessione dopo essere scomparse per diversi
giorni, portando uno dei loro padri (Leslie Odom
Jr.) ad avvicinarsi Chris MacNeil (Ellen
Burstyn), personaggio del film originale, chiedendo
aiuto.
In una recente intervista con
Empire (che mostrata anche una nuova
immagine ufficiale), Green ha paragonato il nuovo
Esorcista alla sua recente trilogia di sequel di
Halloween. Sebbene abbia affermato che il genere
slasher era un “luogo in cui giocare“, L’esorcista:
Il credente è “più ricercato e un po’
accademico“. Ha cercato di “preservare l’integrità
drammatica” del film originale senza imitare il sottogenere
della possessione direttamente conseguente dal film di
Friedkin.
“I film di Halloween
appartengono al genere slasher. Sono un posto dove giocare e magari
divertirsi un po’. Ma questo era più ricercato e un po’ accademico.
La narrazione che stavamo cecrcando e le relazioni che raccontiamo
erano più drammatiche. È un approccio molto diverso.
Stiamo parlando del genere
horror, ma la mia ambizione principale era preservare l’integrità
drammatica e non appoggiarmi a quello che è seguito per il genere
come conseguenza del successo del film originale. Ma questo è
impossibile: bisogna riconoscere che ci sono stati così tanti film
che sono imitazioni derivate de L’Esorcista. Il concetto si è
evoluto, quindi realizzare un film a combustione lenta, drammatico,
provocatorio e spaventoso è diverso per il pubblico di oggi
rispetto a 50 anni fa.”
L’esorcista – Il credente, tutto quello che sappiamo
sul film
L’esorcista:
Il credente si concentrerà sul padre di una
bambina posseduta, che in cerca di aiuto entrerà in contatto con
Chris MacNiel (Ellen Burstyn).
La Burstyn riprenderà il suo ruolo de L’esorcista, dove
era la madre di Regan (interpretata da Linda Blair),
per aiutare a combattere il possesso della bambina e di una sua
amica. Oltre alla Burstyn, il cast di L’esorcista – Il
credente include Leslie Odom Jr.
(Hamilton), Ann Dowd (The Handmaid’s
Tale), Raphael Sbarge (C’era una
volta) e la cantante Jennifer Nettles.
Con un cast di talento riconoscibile
che dà vita al film, L’esorcista:
Il credentesta prendendo forma
come un degno seguito di
L’esorcista. La decisione di avere tutti i film nel
canone di indica inoltre che ci saranno riferimenti anche agli
altri quattro titoli della serie. Il nuovo film, però, segna anche
l’inizio di una nuova trilogia di sequel,
similmente a quanto fatto anche con i sequel di Halloween,
di cui appunto Green è stato regista.
Resta però da vedere come questo
nuovo film si affermerà presso il grande pubblico. Mentre Green si
è dimostrato un talentuoso regista slasher con Halloween,
i suoi sequel Halloween Kills e
Halloween Ends non sono
stati particolarmente apprezzati né dal pubblico né dalla critica.
Tuttavia, con L’esorcista – Il credente, che
crea una nuova storia all’interno dell’universo di
L’esorcista, il film potrebbe svelare nuovi entusiasmanti
aspetti degni di essere raccontati.
La Universal
Pictures ha diffuso in rete il secondo trailer di The Exorcist: Believer, in
Italia distribuito come L’esorcista:
Il credente. Si tratta di un nuovo sequel del
lungometraggio del 1973, diretto dal regista della nuova trilogia
di HalloweenDavid
Gordon Green. Sebbene il film horror fungerà da sequel
diretto de L’esorcista, è stato
comunicato che gli altri film esistenti nel franchise rimarranno
canonici. Il trailer, della durata di ben 3
minuti, introduce gli spettatori all’atmosfera, alle
vicende e ai personaggi del film, promettendo tanto richiami
all’opera originale quanto nuovi sconvolgenti orrori.
L’esorcista – Il credente, tutto quello che sappiamo
sul film
L’esorcista:
Il credente si concentrerà sul padre di una
bambina posseduta, che in cerca di aiuto entrerà in contatto con
Chris MacNiel (Ellen Burstyn).
La Burstyn riprenderà il suo ruolo de L’esorcista, dove
era la madre di Regan (interpretata da Linda Blair),
per aiutare a combattere il possesso della bambina e di una sua
amica. Oltre alla Burstyn, il cast di L’esorcista – Il
credente include Leslie Odom Jr.
(Hamilton), Ann Dowd (The Handmaid’s
Tale), Raphael Sbarge (C’era una
volta) e la cantante Jennifer Nettles.
Con un cast di talento riconoscibile
che dà vita al film, L’esorcista:
Il credentesta prendendo forma
come un degno seguito di
L’esorcista. La decisione di avere tutti i film nel
canone di indica inoltre che ci saranno riferimenti anche agli
altri quattro titoli della serie. Il nuovo film, però, segna anche
l’inizio di una nuova trilogia di sequel,
similmente a quanto fatto anche con i sequel di Halloween,
di cui appunto Green è stato regista.
Resta però da vedere come questo
nuovo film si affermerà presso il grande pubblico. Mentre Green si
è dimostrato un talentuoso regista slasher con Halloween,
i suoi sequel Halloween Kills e
Halloween Ends non sono
stati particolarmente apprezzati né dal pubblico né dalla critica.
Tuttavia, con L’esorcista – Il credente, che
crea una nuova storia all’interno dell’universo di
L’esorcista, il film potrebbe svelare nuovi entusiasmanti
aspetti degni di essere raccontati.
La Morgan Creek
Productions ha deciso di mettere in vendita i diritti di
sfruttamento dei film che ha in catalogo nella sua libreria. Si
tratta di 78 pellicole delle quali però la casa di produzione
mantiene i dirittiper eventuali remake.
Questo vuol dire che le società che
acquisteranno il catalogo avranno diritto solo a percentuali sugli
incassi.
Si tratta di film molto celebri,
come L’Esorcista, Ace Ventura, Major League, Young
Guns e Flying Tigers.
Il passo della messa in vendita
sarebbe stato fatto in vista di alcuni remake da produrre che
necessiterebbero una certa liquidità. Trai film che potrebbero
essere quindi oggetto di remake ci sono anche dei capisaldi come il
già citato Esorcista, ma anche capolavori
come L’Ultimo dei Mohicani e
Robin Hood – Il Principe dei Ladri.
L’Esorcista, che ha sconvolto il mondo
terrorizzando generazioni di spettatori ed è tuttora considerato un
capolavoro della storia del cinema, viene presentato oggi all’80.
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nella sua
versione restaurata Director’s Cut 4K nell’ambito della sezione
Venezia Classici.
In occasione del
50° anniversario di quest’opera epocale tratta dal romanzo omonimo
di William Peter Blatty, il film sarà proiettato nei cinema
italiani nei giorni25, 26 e 27 settembre nella sua spettacolare
versione Director’s Cut, completamente restaurata in 4K da Warner
Bros. Discovery. Questo evento senza precedenti porterà nuovamente
l’orrore e il brivido nelle sale cinematografiche, illuminando il
buio con immagini straordinarie che terranno gli spettatori
incollati allo schermo, proprio come ha fatto con le generazioni
passate.
‘Credo
che The Exorcist sia tanto intenso oggi, a
distanza di cinquant’anni, quanto lo fu al momento della sua prima
uscita. È questa la genialità della storia di William P.
Blatty’ – dichiarava il compianto regista
William Friedkin, scomparso nelle scorse settimane, in
occasione dell’annuncio della presenza della versione restaurata
del film alla Mostra del Cinema.
L’Esorcista è molto più di un semplice film
horror; è un’icona del cinema, una pietra miliare nella storia del
grande schermo. Da quando è stato presentato per la prima volta nel
lontano 1973, ha spaventato, affascinato e incantato il pubblico di
tutto il mondo. Le sue scene indimenticabili, i personaggi iconici
e l’atmosfera da brivido lo rendono un’opera d’arte cinematografica
senza tempo. Anche dopo cinque decenni, continua a esercitare un
impatto culturale straordinario, influenzando il genere horror e
l’arte del cinema in generale. È una testimonianza del potere
duraturo del cinema nel catturare l’immaginazione e spingere gli
spettatori al limite del terrore e della suspense.
In occasione di
questo anniversario epocale, Warner Bros. Discovery ha dedicato un
impegno straordinario per restaurare L’Esorcista
in una magnifica versione Director’s Cut, con una qualità visiva
ineguagliabile grazie alla tecnologia 4K. Ogni dettaglio è stato
curato con precisione, dal suono inquietante ai dettagli visivi
mozzafiato, creando un’esperienza cinematografica completamente
immersiva.
Per celebrare
questa ricorrenza straordinaria, “L’Esorcista Director’s Cut – 4K
Restaurata” farà il suo ritorno spettacolare nei cinema di tutta
Italia. L’evento si terrà nei giorni 25-26-27 settembre e offrirà
agli spettatori una rara opportunità di rivivere l’angosciante
storia di possessione e fede su uno schermo grande come la vita
stessa. Questa tre giorni di evento esclusivo promette di essere
un’esperienza imperdibile per gli amanti del cinema, sia per coloro
che conoscono già l’opera, sia per chi vuole sperimentarla per la
prima volta. Questo evento epico è un omaggio a un capolavoro
senza tempo, che ha spaventato, incantato e influenzato
innumerevoli spettatori attraverso le generazioni.
In un momento storico in
cui gli unici film che incassavano, i cinecomic, stanno perdendo il
loro ruolo di riferimento per il mercato internazionale, un nuovo
tipo di eroe sorge per puntare a diventare il nuovo faro del box
office: Padre Gabriele Amorth di
Russell Crowe è il protagonista de
L’Esorcista del Papa, il nuovo
film di Julius Avery che, nonostante il suo
protagonista e la figura storica a cui si ispira (molto
liberamente), ha bisogno più che di presentazioni, di una dovuta
premessa.
Una premessa doverosa
Il tema dell’esorcismo ha
fortissime radici nell’immaginario collettivo, immaginario
arricchito e per molti versi determinato anche dal cinema, con il
capolavoro di William Friedkin. Sembra naturale
dunque approcciarsi a L’Esorcista del Papa con una
buona dose di timore e suggestione, dato che è inevitabile far
correre la mente agli illustri predecessori che raccontano le
stesse figure. Ebbene, nulla di più sbagliato, perché il film di
Avery non si prende minimamente sul serio, e più che raccontare
la vita di una delle figure più controverse e in qualche modo
influenti della moderna Chiesa Cattolica, ne fa una sorta di
supereroe scettico e riluttante che prende estremamente sul serio
il Male e le sue, rarissime, manifestazioni. Perché se il suo
intervento è richiestissimo, Padre Amorth dice senza troppi giri di
parole che il 98% dei casi che gli vengono sottoposti si risolvono
con psicoterapia e medici, senza andare a scomodare le potenze
fondate dell’universo. Siamo davanti a un personaggio molto
razionale, malgrado la sua professione, un uomo che non è solo un
prete, ma è un giornalista, un avvocato, un attento osservatore
dell’animo umano, una persona che riesce a capire chi ha di fronte
e quando il suo potere da esorcista è davvero richiesto.
L’Esorcista del Papa, la trama
Ed è proprio quello che
succede quando viene convocato per intervenire in un misterioso
caso di possessione in Spagna, in un’abbazia sconsacrata in cui,
una madre con due figli si sta confrontando con delle
manifestazioni demoniache che sembrano molto potenti. Il più
giovane dei figli è infatti posseduto e il demone al suo interno
chiede l’intervento “del prete”. Quando Amorth arriva è carico di
bagaglio con gli strumenti del mestiere ma anche di una buona dose
di scetticismo, data la sua esperienza, eppure immediatamente
capisce che quella battaglia sarà davvero importante per la sua
vita e per la vita della Chiesa, addirittura.
Lontanissimo dalla
raffinatezza regista e tonale de L’Esorcista,
il
film di Avery ne prende spunto, principalmente nelle
manifestazioni più splatter, per virare sul fantasy
spinto, con toni e ambientazioni che ricordano molto un’estetica
anni ’90 in cui la verosimiglianza e il prendersi sul serio non
erano affatto contemplate. Alla luce di queste considerazioni,
L’Esorcista del Papa si rivela un film molto
divertente, assolutamente privo di pretese e forse proprio per
questo il prodotto adatto a ciò che il pubblico, lontano dalle
sale, desidera vedere sul grande schermo.
Le potenzialità sono
infinite, tanto che la storia, strutturata come una Origin story di
un supereroe, potrebbe aprirsi addirittura a una vera e propria
saga che ha per protagonista Amorth insieme a Padre Esquibel,
aiutante del protagonista con cui si instaura una dinamica da Buddy
movie, addirittura, un braccio destro fondamentale per la vittoria
finale.
Father Esquibel (Daniel Zovatto) and Father Gabriele Amorth
(Russell Crowe) in Screen Gems’ THE POPE’S EXORCIST.
La sceneggiatura
debolissima si perde anche nei territori del thriller investigativo
e in quelli dello splatter, nella parte finale, ma mai riesce a
creare un’atmosfera minimamente spaventosa. Nonostante la regia si
sforzi di inseguire una simmetria nelle sue inquadrature che però
risultano sempre anonime e mai davvero ispirate. Chi invece di
ispirazione ne ha profusa moltissima in questo progetto è il suo
protagonista: Russell Crowe, con la sua ingombrante e
carismatica figura, porta sulle spalle tutto il film, senza mai
timore di recitare sopra le righe e anzi mettendo in scena una
versione romanzata del personaggio realmente esistito che è
divertente e potente, proprio come un supereroe che si confronta
con una grande minaccia per la Terra.
L’Esorcista del
Papa potrebbe riservare molte sorprese a chi non lo
prendesse sul serie e a tutti gli spettatori che si approcceranno
in maniera leggera e divertita alla genesi di questo nuovo,
insolito e ironico supereroe che gira il mondo con la sua
Lambretta.
Se c’è una qualità che la
Blumhouse ha messo in evidenza e rafforzato
nel corso di questi anni e dei successi che ha ottenuto, è quella
di conoscere i propri punti di forza così come i propri limiti.
Jason Blum e l’ormai fidato regista David
Gordon Green sapevano fin dall’inizio di non potersi
veramente confrontare con un horror della statura de L’esorcista:
troppo grande la sua portata, troppo elevato il suo status rispetto
agli altri titoli che sono stati riportati alla ribalta dalla casa
di produzione. Capito questo, il loro nuovoL’esorcista – Il credente in realtà gira intorno
al capolavoro diretto cinquant’anni orsono da William Friedkin, lo chiama in causa per ovvie
ragioni di fama e marketing ma non vi si poggia poi più di tanto,
evitando paragoni e accostamenti che a conti fatti sarebbero stati
fuorvianti se non addirittura deleteri.
L’esorcista – Il credente si ispira
a… Halloween
Il film a cui invece
questo nuovo horror si avvicina esplicitamente è
l’Halloween diretto sempre da David Gordon
Green nel 2018, perché come Blum sa benissimo, formula che
vince non si cambia. Ecco allora che l’ambientazione
principale de
L’esorcista – Il credente è una piccola cittadina della Georgia che
rimanda in tutto e per tutto a quella del reboot-sequel delle gesta
assassine di Michael Myers. L’orrore che si
scatena tra le strade mansuete dell’America di provincia
evidentemente riesce ancora oggi a far presa sul pubblico e
possiede il vantaggio produttivo di contenere i costi di un
lungometraggio dentro il budget adeguato per una produzione targata
Blumhouse.
Una volta stabilito quale
sarà il teatro macabro della vicenda, la sceneggiatura del film
comincia a costruire la storia di possessione delle due bambine con
efficacia e attenzione ai dettami narrativi di questo tipo di film.
Dal canto suo David Gordon Green riesce ad
ammantare la messa in scena di un senso di disperazione e
predestinazione che, soprattutto nella prima parte del film,
funzionano in maniera davvero efficace.
L’esorcista – Il
credente si dipana così come un film autunnale, intriso di
una malinconia che lo rende capace di camminare sulle proprie gambe
con discreta autorevolezza. Certo, le coordinate sono
necessariamente quelle di un film dell’orrore contemporaneo, con
scene ad effetto che devono necessariamente spaventare il pubblico
come di fa oggi, ma tutto sommato tali mezzi vengono dosati con
discreta cura, senza scadere eccessivamente nella banalità.
(from lower left, clockwise) Angela Fielding (Lidya Jewett, back to
camera), Katherine (Olivia O’Neill), Pastor Don Revans (Raphael
Sbarge), Doctor Beehibe (Okwui Okpokwasili), Ann (Ann Dowd), Tony
(Norbert Leo Butz), Miranda (Jennifer Nettles) and Stuart (Danny
McCarthy) in The Exorcist: Believer, directed by David Gordon
Green.
Il ritorno di Chris
MacNeil
Anche l’arrivo in scena
della leggendaria Chris MacNeil ancora una volta
interpretata da Ellen Burstyn non distoglie troppo
l’attenzione dal dramma principale. Anche perché, seppur fa molto
piacere rivedere il personaggio e fa ancora incredibilmente paura
tornare con la memoria alla possessione di sua figlia Regan, si
tratta di una connessione tutto sommato piuttosto labile, che non
aggiunge né comunque toglie – molto al risultato di questo nuovo
capitolo.
Il problema vero de
L’esorcista – Il credente sta nel fatto che, e
bisogna comunque tributargli coraggio anche nell’errore del
risultato, nella seconda parte tenta un approccio “animista” al
confronto tra Bene e Male che conduce a un finale fin troppo
pantagruelico. Gli ultimi venti minuti del film, pur dotati di un
loro fascino teorico, risultano francamente confusi e diluiti in
una serie di colpi ad effetto che fanno scivolare il tutto dentro i
canoni dell’horror commerciale. A mancare poi è anche la profondità
drammatica del personaggio di Victor Fielding,
padre della giovane Angela caduta vittima dei demoni che ne hanno
preso il corpo. L’arco narrativo dell’uomo rimane sempre troppo in
secondo piano, e Leslie Odom Jr. riesce a malapena
a dargli profondità emotiva.
Poteva andare molto ma
molto peggio: questa è la sensazione che si ha alla fine della
visione de L’esorcista – Il credente.
David Gordon Green ha infatti realizzato un horror
che funziona piuttosto bene nello sfruttare il lato drammatico
della vicenda, che sa spaventare adoperando gli spazi oscuri degli
interni – sotto questo punto di vista a nostro avviso James
Wan e il suo The Conjuring hanno dettato le regole
dell’horror contemporaneo in maniera ancora insuperata – che
richiama in causa il capolavoro originale senza abusarne, che sa
condurre lo spettatore dentro il labirinto terrificante che ha
efficacemente costruito. Viene addirittura quasi da chiedersi se
c’era davvero bisogno di richiamare in causa L’esorcista del 1973, ma tant’è. Il link
porterà probabilmente il pubblico al cinema, e questo di certo non
guasta…
La 20th Century Fox ha
pubblicato una nuova clip originale tratta da L’Era
Glaciale in Rotta di Collisione, nuovo episodio della
saga d’animazione che ha sbancato i botteghini del mondo, facendo
divertire grandi e piccoli.
Di seguito il video:
https://www.youtube.com/watch?v=WLiMtRGGW7Y
Guarda i character poster de
L’Era Glaciale in Rotta di Collisione
SINOSSI:
Sempre all’inseguimento della mitica ghianda, Scrat verrà
catapultato nello spazio dove, accidentalmente, darà origine ad una
serie di eventi cosmici che trasformeranno e minacceranno il mondo
dell’Era Glaciale. Per salvarsi Sid, Manny,
Diego e il resto del gruppo dovranno abbandonare la loro casa e
intraprendere un’avventura ricca di comicità, viaggiando attraverso
nuove terre esotiche e incontrando nuovi e coloratissimi
personaggi.
L’Era Glaciale In Rotta
di Collisione sarà al cinema dal 25 agosto 2016.
Nella versione originale ritornano nel cast le voci di Ray
Romano, Denis Leary, John Leguizamo, Queen Latifah, Seann William
Scott, Josh Peck, Simon Pegg, Keke Palmer, Wanda Sykes e Jennifer
Lopez. Si uniscono al gruppo Stephanie Beatriz, Adam DeVine,
Jesse Tyler Ferguson,
Max Greenfield, Jessie J, Nick Offerman, Melissa Rauch, Michael
Strahan e Neil deGrasse Tyson.
Il franchise ha esordito nel 2002
con L’Era Glaciale, diventando poi un
vero e proprio successo di pubblico e arrivando, con In
Rotta di Collisione, al suo quinto capitolo.
La 20th Century Fox ha pubblicato
in rete il nuovo trailer finale di L’Era Glaciale in
Rotta di Collisione, nuovo episodio della saga
d’animazione che ha sbancato i botteghini del mondo, facendo
divertire grandi e piccoli.
Ecco il trailer in italiano:
Guarda i character poster de
L’Era Glaciale in Rotta di Collisione
SINOSSI:
Sempre all’inseguimento della mitica ghianda, Scrat verrà
catapultato nello spazio dove, accidentalmente, darà origine ad una
serie di eventi cosmici che trasformeranno e minacceranno il mondo
dell’Era Glaciale. Per salvarsi Sid, Manny,
Diego e il resto del gruppo dovranno abbandonare la loro casa e
intraprendere un’avventura ricca di comicità, viaggiando attraverso
nuove terre esotiche e incontrando nuovi e coloratissimi
personaggi.
L’Era Glaciale In Rotta
di Collisione sarà al cinema dal 25 agosto 2016.
Nella versione originale ritornano nel cast le voci di Ray
Romano, Denis Leary, John Leguizamo, Queen Latifah, Seann William
Scott, Josh Peck, Simon Pegg, Keke Palmer, Wanda Sykes e Jennifer
Lopez. Si uniscono al gruppo Stephanie Beatriz, Adam DeVine,
Jesse Tyler Ferguson,
Max Greenfield, Jessie J, Nick Offerman, Melissa Rauch, Michael
Strahan e Neil deGrasse Tyson.
Il franchise ha esordito nel 2002
con L’Era Glaciale, diventando poi un
vero e proprio successo di pubblico e arrivando, con In
Rotta di Collisione, al suo quinto capitolo.
Ecco quattro nuovi character poster
de L’Era Glaciale In Rotta di Collisione,
il nuovo capitolo della popolare saga cinematografica d’animazione,
che ha come protagonisti Scrat – scoiattolo simpatico e maldestro
sempre a caccia della sua ormai mitologica ghianda – e tutta
l’allegre brigata di animali preistorici.
SINOSSI:
Sempre all’inseguimento della mitica ghianda, Scrat verrà
catapultato nello spazio dove, accidentalmente, darà origine ad una
serie di eventi cosmici che trasformeranno e minacceranno il mondo
dell’Era Glaciale. Per salvarsi Sid, Manny,
Diego e il resto del gruppo dovranno abbandonare la loro casa e
intraprendere un’avventura ricca di comicità, viaggiando attraverso
nuove terre esotiche e incontrando nuovi e coloratissimi
personaggi.
L’Era Glaciale In Rotta
di Collisione sarà al cinema dal 25 agosto 2016.
Nella versione originale ritornano nel cast le voci di Ray
Romano, Denis Leary, John Leguizamo, Queen Latifah, Seann William
Scott, Josh Peck, Simon Pegg, Keke Palmer, Wanda Sykes e Jennifer
Lopez. Si uniscono al gruppo Stephanie Beatriz, Adam DeVine,
Jesse Tyler Ferguson,
Max Greenfield, Jessie J, Nick Offerman, Melissa Rauch, Michael
Strahan e Neil deGrasse Tyson.
Il franchise ha esordito nel 2002
con L’Era Glaciale, diventando poi un
vero e proprio successo di pubblico e arrivando, con In
Rotta di Collisione, al suo quinto capitolo.
È stato pubblicato online il trailer
finale di L’Era Glaciale 5 – In Rotta di
Collisione, definito dal regista stesso come “più
grande e più fantasmagorico” rispetto alle precedenti avventure di
Manny, Sid, Diego e soci alle prese con il loro ferino mondo
perduto.
https://www.youtube.com/watch?v=Ueykbe69Uws
Giocando con i cliché del genere
sci- fi (e strizzando un occhio all’estetica cult di
pellicole come Alien, Gravity e
2001- Odissea nello Spazio) questa nuova
avventura trova la sua forza proprio nel precario equilibrio tra lo
schema tradizionale che ha reso questa saga un franchise
di successo – la comicità slapstick dei suoi personaggi,
le meraviglie evocate tramite l’animazione in CGI e i buoni
sentimenti che trionfano sempre – e alcune innovazioni, apportate
soprattutto in ambito visivo: partendo proprio dall’intento di
creare un capitolo ancora più grande e più ricco dei precedenti, il
regista Mike Thurmeier –nonostante il budget
ridotto e il poco tempo a disposizione per la gestazione del
progetto – è riuscito a regalare allo spettatore un’esperienza
visiva unica, dominata da nuove gamme cromatiche (esemplare è
l’incursione del viola nel mondo preistorico mostrato) e personaggi
aggiunti che si presentano come degne controparti degli storici
protagonisti, in una giostra cromatica e caleidoscopica che ha il
sapore di una fantasia new age, di unamandala o
di un folle giro in una giostra che divertirà i cultori della saga
e i neofiti, grandi o piccoli che siano.
A sei anni dall’ultima
avventura al tramonto dell’Era Glaciale, torna il
franchise nato in seno alla 20th Century Fox e ora
di proprietà della Walt Disney Company con una
storia completamente dedicata al furetto pirata dal titolo L’Era Glaciale – Le Avventure di
Buck.
La trama parte dagli opossum Eddie e
Crash. Dopo l’ennesima lite con Ellie, la loro sorella mammut, i
due scappano in cerca di un posto dove possano vivere in pace, da
soli, come degli adulti, peccato che non sono affatto pronti per
questo passo e si ritrovano presto nei guai, finendo nel mondo
sotterraneo in cui vivono i dinosauri. Si tratta proprio di quel
mondo nascosto che abbiamo conosciuto nel terzo film della saga, ed
è proprio qui che ritroviamo Buck, il furetto un po’ picchiatello
che cerca di far vivere in armonia le tremende bestie che popolano
quella terra. Proprio in compagnia di Buck, i due vivranno
l’avventura della vita, mentre Ellie, con Manny, Sia e Diego si
lanciano alla loro disperata ricerca, consci, molto più degli
opossum, che i due non sono capaci di badare a se stessi…
Far riemergere dai
ghiacci il franchise dell’Era Glaciale non è stato certo semplice.
Già gli ultimi capitoli erano risultati stanchi, ma L’Era Glaciale – Le Avventure di Buck
ridimensiona completamente la scala e l’ambizione, rivelandosi un
prodotto che in altri tempi sarebbe finito Direct to video e che
invece grazie alla piattaforma di Disney+, arriva direttamente nelle case
degli abbonati e sicuramente in questa sede troverà il pubblico
giusto: le famiglie.
Una storia per tutta la
famiglia
Il comune denominatore
dei film del franchise è infatti la famiglia, che sia di
provenienza o adottiva, un nucleo di persone che si scelgono, si
sostengono, si aiutano e ci cambiano. E così Eddie e Crash sono
cresciuti e hanno bisogno del loro spazio, scappano come degli
adolescenti che non vogliono più sottostare alle regole di mamma e
papà e si trovano con Buck, un solitario che tanti anni prima ha
preferito al solitudine rispetto alla vita di branco. Le metafore
non sono molto raffinate ma arrivano dritte e pregnanti per una
storia che non mancherà di stregare i più piccoli e di permettere
ai genitori di condividere con loro del tempo.
Nel cast vocale originale
del film torna Simon Pegg, che dà voce a Buck, e con lui ci
sono anche Vincent Tong, Aaron Harris, Utkarsh
Ambudkar e l’irresistibile Justina
Machado, che dà voce a Zee, un personaggio nuovo che
diventerà presto il preferito di grandi e piccini.
Arriva il 25 marzo su
Disney+L’Era Glaciale – Le Avventure di Buck, il
nuovo film del famoso franchise campione d’incassi. Tornano tutti i
personaggi animati del franchise, che non sarebbero nulla senza le
loro voci, ecco cosa hanno raccontato dell’esperienza di doppiare
Buck, Eddie, Crash e tutti i protagonisti di questa nuova avventura
animata.
Justina
Machado in particolare interpreta Zee, un personaggio
nuovo, che esordisce nel franchise con questo film: “Per me è
stato eccitante doppiare un personaggio così carismatico, una
“social Warrior” e una persona così razionale che riesce a gestire
tutto così bene, è stato divertente.”
Al suo fianco, veterano
del franchise, c’è Simon Pegg, che per la prima
volta si trova a doppiare Buck in un film in cui lui è il
protagonista. “Ho aspettato per 12 anni questo film. La cosa
bella del franchise è che ci sono tanti personaggi meravigliosi,
proprio come un universo condiviso, non credo ci siano altri
franchise animati così adatti all’espansione. In un film non puoi
stare tanto tempo con tutti i personaggi, quindi questa è una buona
occasione per passare del tempo con Buck, Eddie e Crush, ma anche
con Zee e con gli altri nuovi personaggi.”
Da veterano del
franchise, Pegg si rende conto di quanto sia amato e importante per
il pubblico un nuovo film de L’Era Glaciale, ma
anche Justina Machado ne era consapevole, quando
le hanno offerto il ruolo: “Ero eccitata dall’idea di far parte
di questo frnachise, avrei fatto qualsiasi cosa. È stato divertente
come è divertente la mia Zee. Poi è circondata da tanti personaggi
divertenti. Per me è stata un’esperienza di puro
divertimento.”
Ma da dove è nata la
storia e l’idea di tornare a questo franchise dopo sei anni
dall’ultimo film? Ne parla la produttrice
esecutiva Lori Forte: “Vivo nell’era
glaciale da 20 anni, ormai, e questo è un franchise perfetto per
espandersi. Abbiamo cominciato con lo sviluppo di Buck, è così
eccentrico e avventuroso e Simon lo ha portato in vita per noi,
credo che fosse un po’ di tempo che ormai volevamo portarlo di
nuovo sullo schermo. E nel voler raccontare un’altra satira nel
mondo de L’Era Glaciale, ci è sembrato naturale tornare a Buck e
esplorare il suo personaggio di più.”
John
Donkin, regista del film, aggiunge: “Penso che questo
ci permetta di cominciare a sviluppare i livelli del personaggio di
Buck ma anche di introdurre altri personaggi, come Zee, che ci
aiutano a conoscere meglio Buck. Abbiamo potuto scavare più a fondo
nei personaggi per spiegarli meglio. E Zee è stata una grande
aggiunta alla storia di Buck.”
Secondo la produttrice
Forte, Il Mondo Perduto era il posto in cui i
filemaker volevano tornare a tutti i costi, visto che la risposta
del pubblico a quel mondo era stata così positiva. “Poi i
nostri consulenti ci hanno consigliato di raccontare qualcosa in
più dei dinosauri e di metterli insieme con i Mammut. Abbiamo
pensato che il mondo nascosto, in cui alcuni dinosauri sono
sopravvissuti, potesse essere affascinante. Poi è un posto così
misterioso e bizzarro che sarebbe stato interessante da esplorare
ulteriormente.”
“Il concept del film
parla di famiglia per scelta – aggiunge John
Donkin – È il nucleo di ogni film dell’Era Glaciale. È
nel DNA del franchise. E qui ci chiediamo cosa succede quando la
famiglia sente il bisogno di crescere e ognuno vuole andare per la
sua strada. Abbiamo esplorato questo aspetto per Eddie e Crash, con
la loro sorella adottiva, e abbiamo esplorato anche un po’ la
famiglia di Buck. Sì, la famiglia è il nucleo tematico del film e
sembrava interessante esplorarlo in questo modo.”
Dopo diversi anni,
Simon Pegg si è ritrovato a dover interpretare
Buck, soprattutto a farlo in maniera più approfondita, dal momento
che in questo caso è il protagonista. Ma sembra che non sia stato
troppo difficile per lui: “Buck appartiene ormai alla mia
memoria muscolare, perché l’ho interpretato un po’ di volte, ormai
– ha raccontato – Ho solo cercato di dormire tanto prima
delle sessioni, perché sono tutte estremamente energiche e Buck è
sempre pieno di energia. È estenuante, e alla fine sei sempre
esausto, e Justine lo può confermare, perché per il live action hai
i gesti, il corpo, il volto, mentre qui devi mettere tutto dentro
la voce. È incredibilmente divertente, amo Buck, anche solo perché
è nato nello stesso anno in cui è nata mia figlia e lei è cresciuta
con questi film, e per una strana coincidenza, mia sorella ha
partorito questa settimana! Quindi porta la storia avanti. È una
gioia per me interpretare Buck, perché per me e per la mia famiglia
ha questa ulteriore risonanza.”
Spalla di Buck nel film,
ma mai in ombra o in secondo piano rispetto a lui, è Zee, doppiata
proprio da Justina Machado: “Abbiamo
sviluppato il personaggio insieme. Non è stato troppo difficile
interpretare qualcuno così in controllo e così fico, sono i
personaggi che preferisco e sono contenta che me l’abbiano lasciato
fare. Ma dovevamo capire anche chi era, che voce aveva, come
parlava e questo è stato interessante, perché io sono molto
“animata” mi muovo molto, ma avevamo bisogno della voce, e davvero
questo processo è stato puro divertimento. Ho ottenuto questo
lavoro nel bel mezzo della pandemia, ed è stata una fuga bellissima
incontrare questo personaggio e questo film che parla di questi
argomenti così belli, come il coraggio, l’amore e la famiglia che
ti scegli. E non vedevo l’ora di partecipare a ogni sessione, e il
personaggio è venuto fuori in maniera molto organica.”
E, come accadeva nel
cuore della pandemia, quando i contatti interpersonali erano
ridotti all’osso, anche i doppiatori non si sono mai incontrati, in
sala di registrazione. Pegg ha detto: “E non ci siamo mai
incontrati, per via della pandemia. E questo è uno degli elementi
che più sono incredibili dell’animazione, ovvero quello di mettere
tutti i pezzi insieme e di creare alchimia e tempi perfetti. Non ho
mai incontrato Justine, ed è una cosa molto strana.”
Si
intitola L’Effetto Dorothy il pilot che
dal 15 marzo è disponibile su Raiplay. Progetto bizzarro, che
annuncia, anzi promette una storia esilarante e originale, è
realizzato in co-produzione da Rai Fiction,
Movimenti Production ePremio Solinas.
Protagonista della puntata, realizzata in forma di
mockumentary, è Ninni Bruschetta, nei
panni del Professor Gaspare Maria Dorotei, un
docente dell’università di Pisa, che opera nel distaccamento di
Volterra e che con un gruppo di ricercatori sta portando avanti una
ricerca che viene documentata in video.
La location è quella del
dipartimento di Psicologia Cognitiva, un caos organizzato in cui il
gruppo di ricercatori cerca, senza successo, dei volontari per il
loro esperimento, mentre una dottoranda cerca di mettersi in
contatto con Dorotei per entrare a far parte del team. Il
professore però è completamente assorbito da questa troupe,
misteriosamente finanziata dal Belgio, che lo segue in ogni
anfratto del dipartimento e che intende realizzare un documentario
sulle loro metodologie. Così la ricerca vera e propria ricade nelle
mani dei suoi collaboratori. L’obiettivo?
Dimostrare che gli esseri umani sono sempre pronti a cogliere
segnali primordiali, anche quando impegnati in attività
logiche.
L’Effetto Dorothy, un
pilot da ridere
L’idea, semplice e
brillante, si fonde alla perfezione con l’esecuzione, in
particolare modo degli interpreti guidati da Bruschetta, che
incarna perfettamente l’essenza dell’eccentrico psicologo
evoluzionista, regalando al pubblico momenti di comicità pura con i
suoi improvvisi picchi di entusiasmo demenziale. Trascinato da lui,
il cast nel suo complesso si distingue per la capacità di mettere
in scena in maniera credibile le varie sfumature delle diverse
personalità “da ricercatori”. Il risultato è un microcosmo
eccentrico e irresistibile.
Alla regia,
Valerio Attanasio dimostra di possedere e
padroneggiare il linguaggio del mockumentary, forma
cinematografica portata all’attenzione del grande pubblico da
progetti illustri, come il Borat di Sacha
Baron Cohen, e che si presta perfettamente alla comicità
che il pilot propone.
L’Effetto
Dorothy è un’esperienza televisiva di grande
intrattenimento, capace di mescolare i piani del reale e
dell’assurdo con grande armonia e questa componente, unita alla
bontà del cast e al colpo di scena finale, fanno montare la
curiosità di scoprire cosa succederà dopo.
Samir (Samir
Guesmi) si innamora a prima vista di Agathe
(Florence Loiret Caille) dopo aver incontrato la
donna in un bar.
Avendo casualmente scoperto che lei
è istruttrice alla piscina comunale di Montreuil, Samir decide di
prendere lezioni di nuoto per poterla conoscere. Succede però che
Agathe è invitata a partecipare ad un convegno in Islanda e Samir
non trova altra soluzione che seguirla, sotto copertura e a sua
insaputa.
L’ultimo regalo, postumo, della
regista franco islandese Solveig Anspach, è
L’effetto acquatico, una deliziosa
commedia vincitrice del premio SACD, presentata alla Quinzaine
des réalisateurs, che prende il nome dalle parole di una
tenera nonnina islandese la quale, nel corso della vicenda,
comunica alla protagonista di trovarsi in una specie di “stato
acquatico”.
Infatti, nonostante la storia ruoti
tutta attorno alla vicenda amorosa che si sviluppa fra il timido
Samir e l’ostinata Agathe, è proprio l’acqua la vera protagonista e
il collante della bizzarra storia d’amore; i personaggi stessi
sembrano uniti dall’acqua che si dimostra essere un ponte tra
culture e persone ma anche una metafora di “rinascita”, così come
ci viene detto dal medico islandese che si impegna a curare
l’amnesia fulminante di Samir.
Con un intreccio che si
srotola in situazioni fortemente bizzarre ma che la Anspach riesce
a far risultare quasi credibili, insieme al co-sceneggiatore
Jean-Luc Gaget la regista islandese mette in scena una storia
d’amore assoluta e paradossale tramite personaggi determinati ma al
contempo fragili che riescono a rendere accettabile qualsiasi loro
eccesso, bugie ed equivoci compresi.
Perfino il repentino cambio
d’ambiente – dalla piccola cittadina di Montreuil ci si ritrova
catapultati improvvisamente nelle vaste lande ghiacciate islandesi,
terra natia della regista – influirà sensibilmente sulla presa di
posizione dei personaggi, senza che ritmo e narrazione ne risultino
eccessivamente sfilacciati.
La Anspach decide infatti di portare
tutte le situazioni al limite, mostrandoci così, metaforicamente,
la natura stessa dei sentimenti tramite il susseguirsi di
eventi irrazionali e istintivi: perfino il viaggio di Samir sta a
veicolare che, in fondo, se qualcuno è davvero innamorato farà di
tutto per dimostrarlo.
Che si tratti dunque di una semplice
commedia o di un modo per trasmettere un messaggio molto più
importante rimane a libera interpretazione dello spettatore.
L’unica certezza concreta è che
L’effetto acquatico è stata l’ultima
occasione della Anspach per donarci piccole situazioni divertenti e
assurde dell’esistenza e un consiglio pratico per affrontare la
vita con più leggerezza.
Ecco il nuovo trailer finale di
Rules Don’t Apply, da noi L’Eccezione alla
Regola, il nuovo film diretto e interpretato da
Warren Beatty con protagonisti Lily Collins e e Alden
Ehrenreich (il nuovo Han
Solo). Il film segna il ritorno alla regia di Beatty,
che qui interpreta Howard Hughes, dal 1998.
Ecco il trailer:
La storia racconta di una giovane
donna, Marla Mabrey, che comincia a lavorare per Hughes, ma
che si innamora dell’autista del miliardario. La loro attrazione
istantanea si scontra con il fatto che lui è fidanzato e prossimo
alle nozze e che Hughes stesso proibisce le relazioni sentimentali
trai suoi impiegati.
Nel cast di Rules Don’t
Apply ci sono Lily Collins, Warren Beatty,
Alden Ehrenreich, Haley Bennett, Alec Baldwin, Matthew
Broderick, Candice Bergen, Steve Coogan, Martin Sheen, Ed
Harris, Oliver Platt e Annette
Bening.
Il film uscirà negli Stati Uniti il
prossimo 23 novembre, distribuito dalla 20th Century Fox.
Reduce dal teen movie
#ScrivimiAncora, Lily
Collins è impegnata al momento su tre set di film previsti
per il prossimo anno: il prossimo film drammatico di
Anthony Lucero ancora senza titolo, l’atteso
Okja di Joon-ho Bong e
To the Bone, film drammatico in cui Lily
recita al fianco di Keanu Reeves.
Dopo aver attirato l’attenzione di
pubblico e critica alle Giornate degli Autori del Festival di Venezia, dove è stato
presentato in prima mondiale come Evento Speciale,
L’avamposto, il film documentario di Edoardo
Morabito arriva al cinema. Un road movie
avventuroso e rocambolesco che unisce i temi
dell’emergenza climatica, la Foresta Amazzonica, e il culto
irresistibile dei Pink Floyd.
L’avamposto è prodotto
da Dugong Films con Rai Cinema,in
associazione con Intramovies, con la O2 Pòs
Produções di Fernando Meirelles e Bidou
Pictures, ed esce nelle sale dal 26 febbraio distribuito da
Luce Cinecittà. Girato trail cuore dell’Amazzonia
e la frenetica City affaristica di Londra il film racconta il sogno
di una battaglia per salvaguardare il pianeta.
A condurla è Christopher Clark, un
eco‐guerriero, uno scozzese fuori dall’ordinario che nel cuore
della foresta amazzonica ha creato il suo personalissimo
Avamposto del progresso: un modello di società utopica
basato sull’equilibrio perfetto tra natura e tecnologia, gestito e
preservato dagli abitanti della foresta. Ma dopo 30 anni il
governo si rifiuta ancora di creare una riserva e un nuovo grande
incendio sta minacciando di distruggere l’Avamposto. Chris decide
allora di giocare d’azzardo, opponendo alla spettacolare
distruzione della foresta un evento altrettanto spettacolare: un
concerto dei Pink Floyd dentro l’inferno verde, così da convincere
il governo brasiliano a istituire una riserva.
Del resto nella mente di un
sognatore tutto è possibile e forse ha ragione lui, in un mondo che
corre a velocità folle verso l’apocalisse, essere un po’ folli è
l’unico modo per opporre resistenza. Ma veramente possiamo salvare
la foresta, noi, i figli del modello capitalista, lo stesso modello
che la sta distruggendo?
Un film visionario e politico che
attraverso le avventure di un Fitzcarraldo del XXI secolo ci
racconta le contraddizioni che animano la salvaguardia del pianeta.
Alle prese con un videomessaggio da spedire ai Pink Floyd, la
preparazione di un cocktail nel cuore della foresta vergine, o
mentre s’adopera per spegnere un incendio, Chris ci ricorda la
necessità delle utopie e un monito per l’umanità: per sopravvivere
abbiamo bisogno di ritrovare il desiderio e la giusta dose di
immaginazione. Una riflessione viva e non retorica su un tema
cruciale. Accompagnata da una seducente colonna sonora che gioca
con gli echi di una delle più grandi rock band della storia.
‘Mentre il mondo brucia e noi
assistiamo al cambiamento climatico come fosse la diretta streaming
del grande spettacolo che è l’apocalisse, Chris si sente investito
di una missione: salvare quel che resta dell’Amazzonia. Con ogni
mezzo possibile.
L’avamposto è certamente un film
sulla fine del mondo o quantomeno sulla distruzione del mondo
naturale per mano dell’uomo. Ma è soprattutto un film
sull’importanza del sogno per tornare ad immaginare possibili
futuri… Perché sognare, come direbbe Chris, significa agire in
prospettive cosmiche’.Dalle note di regia di Edoardo
Morabito. Dopo la prima a Venezia il film è stato presentato
con successo al São Paulo International Film Festival e
al Festival del Cinema di Rio, e ha vinto il premio
come Miglior Documentario al Festival del Cinema italiano
di Madrid.
Dal 26 Febbraio sarà distribuito
nelle sale da Luce Cinecittà con un tour di proiezioni
evento alla presenza del regista e di ospiti, a Roma, Milano,
Torino, Napoli, Firenze, Palermo, Catania, Pisa, Padova, e altre
tappe in attesa di calendarizzazione.
Adler
Entertainment in collaborazione con Dynit è felice di
annunciare che all’etichetta I Love Japan, che riunisce
produzioni del Sol Levante ancora inedite sui grandi schermi
italiani o in occasioni di importanti anniversari, si aggiungono
L’Attacco dei Giganti – il film.Parte 1 –
L’Arco e la Freccia Cremisi e Parte 2 – Le Ali
della Libertà, che solo il 10, 11 e 12 febbraio
arrivano al cinema in una speciale maratona.
Chi andrà a vedere questo
titolo al cinema avrà la possibilità di vincere un soggiorno studio
a Tokyo per immergersi nella cultura del Sol Levante imparandone la
lingua e respirandone l’atmosfera. EF (https://www.ef-italia.it)
mette infatti in palio un viaggio-studio in Giappone per chi
acquisterà il biglietto per uno dei film di I Love Japan, a cui
appartengono anche Let Me Eat Your Pancreas (3-5 febbraio),
Your Eyes Tell (7-9 aprile) e April Come She Will
(28-30 aprile). Il concorso sarà valido dal 3 febbraio fino al 31
maggio.
L’anime che ha
conquistato il mondo torna ed è pronto a conquistare il cuore di
tutti i fan, che avranno nuovamente l’occasione di vederlo sul
grande schermo. Nei cinema italiani arrivano i primi due film
riassuntivi della famosissima serie anime: L’Arco e la
Freccia Cremisi, che contiene l’arco narrativo della caduta
di Shiganshina e quello della battaglia di Trost, e Le Ali
della Libertà, che si concentra sul protagonista Eren e il
Corpo di Ricerca. Li si potrà vedere in continuità, per
un’immersione completa nel mondo dell’Attacco dei Giganti. I due
film, prodotti da Wit Studio in collaborazione con Production
I.G, sono tratti dall’acclamato manga di Hajime Isayama e
propongono scene aggiuntive rispetto agli episodi televisivi che
hanno fatto la fortuna di questo titolo.
La
storia è ambientata nella città di Shiganshina: sono più di cento
anni che gli abitanti non possono uscire dalle sue altissime mura,
che la difendono da un pericolo senza nome. Le mura proteggono le
persone dagli attacchi dei giganti,enormi
creature umanoidi che divorano gli uomini senza un apparente
motivo. Ma un giorno uno di essi riesce a aprire una breccia e
semina morte e distruzione, uccidendo la madre di Eren. Da quel
momento la vite del ragazzo sarà sconvolta e lentamente la verità
verrà a galla.
L’Attacco dei
Giganti – il film.Parte 1 – L’Arco e la
Freccia Cremisi e Parte 2 – Le Ali della
Libertà saranno al cinema solo il 10, 11 e 12
febbraio con Adler in collaborazione con Dynit.
La trama di L’Attacco dei Giganti – il
film
Per oltre cento anni le alte mura che circondano
Shiganshina hanno difeso la cittadina da un pericolo che gli
abitanti si rifiutano persino di nominare. Chi desidera esplorare
il mondo esterno è visto come un pazzo e guardato con disprezzo. Il
giovane Eren si sente però come un animale in cattività e, sebbene
avvenga spesso che le squadre inviate ritornino decimate, sogna di
unirsi al Corpo di Ricerca per scoprire la realtà che lo circonda.
Un giorno Eren sogna l’attacco di esseri giganteschi e, anche se al
risveglio ha rimosso ogni ricordo di quanto ha visto, gli resta
addosso una stranissima sensazione. Poco più tardi accade
l’imprevisto: un immenso Titano apre una breccia nelle mura di
protezione. Per Eren sarà uno shock senza precedenti…
L’asso nella manicaRegia:
Billy Wilder Anno: 1951 Cast:
Kirk Douglas, Jan Sterling, Robert Arthur, Porter Hall, Frank
Cady.
Diretto dal ‘re della Commedia’
Billy Wilder, il film è una denuncia al cinismo
dei mass-media in nome della fama e del successo. Essendo datato
1951, è una lungimirante previsione di quanto accadrà anni dopo,
soprattutto con l’avvento della Tv.
Charles ‘Chuck’ Tatum è un
giornalista di talento, ritrovatosi disoccupato e squattrinato dopo
essere stato cacciato da più giornali per il suo comportamento poco
professionale. Riesce a trovare occupazione in un quotidiano
locale, a bassa tiratura, ma dopo un anno la redazione lo manda in
Messico per scrivere un articolo su una stramba caccia ai serpenti,
ma si ferma vicino a una cava dove è seppellito un minatore, Leo
Minosa. Ha fiutato infatti l’occasione e sente che ne può uscire un
ottimo pezzo che può ridargli la fama che spera. Il cinismo dei
media e della società contemporanea trasformerà il dramma del
minatore in un grande occasione per arricchirsi. Non a caso il
titolo originale del film è proprio Il grande
carnevale.
Gli anni ’50 si aprono per
Billy Wilder nel migliore dei modi, con capolavori
uno dietro l’altro. Ad aprire le fortunate danze proprio L’asso
nella manica, con cui il regista tratta con agghiacciante
lungimiranza il problema dei media. Wilder li dipinge cinici,
pronti a tutto per avere uno scoop che attiri spettatori, anche se
la notizia poggia su un dramma umano. Ma non solo i media sono
sanguisughe senza scrupoli; anche la società contemporanea non
perde tempo per arricchirsi, anche quando il dramma in questione
riguarda un loro vicino parente o caro amico. E Billy Wilder mette
in luce tutto ciò, con la solita brillante maestria.
Il regista oltre ad aver diretto
commedie che hanno lasciato il segno – tra cui si ricordano
soprattutto Sabrina, Quando la moglie è in
vacanza e Gli uomini preferiscono le bionde (i due
film che resero leggenda Marylin Monroe) – ci ha
regalato anche perle del genere giallo, come Testimone
d’accusa e La fiamma del peccato. O un altro
film-denuncia sulla società hollywoodiana: Viale del
tramonto.
Nei panni del giornalista arrivista
Chuck, invece, troviamo Kirk Douglas, attore
instancabile (80 film) che ha attraversato decenni diversi del
cinema hollywoodiano, dai tardi anni ’40 con il film drammatico
Lo strano amore di Marta Ivers, fino ai giorni nostri con
la commedia del 2003 Vizio di famiglia, un film passato
alla storia per la contemporanea presenza dei due Douglas.
L’assedio è il
film del 1998 diretto da Bernardo Bertolucci e con protagonisti nel
cast David
Thewlis, Thandie Newton e
Claudio Santamaria.
Trama del
film L’assedio: Kinsky è un pianista
inglese che vive e lavora in un appartamento al centro di Roma.
La sua colf è Shandurai, ragazza
africana fuggita dalla dittatura, studentessa di medicina, il cui
marito è prigioniero politico in Africa. Kinsky non tarda ad
innamorarsi della ragazza, che però non ricambia.
Pian piano la casa del pianista si
svuota di tutti gli oggetti di valore, compreso il pianoforte.
Quando Shandurai scopre che l’uomo ha venduto tutto per ottenere la
liberazione di suo marito, comprende la forza dei sentimenti di
Kinsky, ne resta colpita e si accorge che anche in lei qualcosa è
cambiato. Cosa farà di lì a poco, all’arrivo del marito a Roma?
Analisi: Dopo Io ballo da
solaBernardo Bertolucci, indiscusso maestro
del nostro cinema, si cimenta con questo lavoro inizialmente
destinato alla televisione, poi distribuito nelle sale, accettando
la sfida di un medium diverso senza sacrificare il suo stile. Si
tratta del Bertolucci che prediligere storie quotidiane, ambientate
in spazi ristretti in cui il mondo sembra ridursi all’essenziale.
Un Bertolucci lontano dalla potenza evocativa e dai fasti de
L’ultimo imperatore.
Tuttavia, in questa dimensione
maggiormente intimista si possono sentire con più forza le corde
dell’animo umano risuonare. È questo uno di quei casi in cui
bisogna porsi all’ascolto oltre che della musica – cui il regista
si affida moltissimo, con una scelta drastica e poco televisiva –
dei più piccoli sussulti, scrutare gli sguardi e le espressioni, i
gesti dei protagonisti, parchi di parole.
Al posto dei dialoghi, coinvolgenti
partiture di Mozart, Grieg, Bach, Beethoven, Chopin suonate da
Kinsky (David Thewlis, perfetto pysique du
role d’artista, gentleman inglese, con fascino ammiccante ma
discreto), ma c’è anche la musica africana e John Coltrane.
Bertolucci conduce con sapienza attraverso eloquenti inquadrature
dai particolari spesso rivelatori, come lo è il montaggio, che
mostrano una Shandurai (una brava Thandie Newton)
sempre più in sintonia con Kinsky e la sua musica. L’essenza del
film è l’incontro tra due mondi lontanissimi, che si trovano a
vivere a stretto contatto.
Non solo un incontro di
culture – l’africana e l’europea, un’occasione per parlare di
immigrazione, dittature, regimi – ma un incontro tra due
personalità opposte. Impossibile sulla carta, ma quella distanza
può essere facilmente annullata. Metafora ne è, oltre alla musica,
lo spazio del film: i due appartamenti – il piano alto dove
vive Kinsky e il seminterrato in cui è ospite Shandurai – collegati
da una scala a chiocciola, spesso percorsa da entrambi fino a
trovarsi al piano superiore (la stessa dicotomia tra alto e basso
si ritroverà in
Io e te, pellicola dall’ambientazione quasi
claustrofobica, anch’essa scandaglia due individualità opposte a
confronto). I concetti di amore e sacrificio, poi, vanno di pari
passo: l’amore di Kinsky per Shandurai è rispettoso, il suo
britannico contegno fa da contraltare al sacrificio estremo,la
vendita dei beni, la rinuncia allo strumento della propria arte in
nome di un sentimento sconvolgente.
Fuori da quelle mura in Vicolo del
Bottino, e solo in subordine, Piazza di Spagna, la metropolitana,
l’università dove la ragazza studia medicina, il suo compagno di
studi Agostino (Claudio Santamaria). Una Roma che
impara a diventare multietnica. Ma anche l’Africa lasciata lontano,
alle cui responsabilità Shandurai sarà richiamata.
Il soggetto del film
L’assedio è tratto da un racconto di James
Lasdun.