François
Ozon all’età di soli quarantacinque anni vanta già
una solida formazione nel settore che gli ha permesso di affermarsi
come una delle figure di spicco della cinematografia francese. È
ormai prossimo all’uscita nelle sale il suo nuovo film
Giovane e bella che racconta la storia di
Isabelle, acerba ragazza diciassettenne alla scoperta della propria
sessualità la cui maturazione, scandita in quattro diversi
capitoli, avviene tramite la decisione di prostituirsi sotto la
falsa identità di Lea. Ozon torna dunque ad indagare le complesse
dinamiche della sessualità e le sue sfaccettate implicazioni
nell’universo femminile.
Dopo aver frequentato la scuola di
cinema La Fémis, François Ozon si laurea in
storia del cinema nel 1993 ed esordisce nel 1998 con il suo primo
lungometraggio Sitcom- La famiglia è simpatica. Non a
caso proprio il tema della famiglia, con le sue relazioni di
facciata che rispondono all’ipocrisia di una società che resta di
fatto immutata dagli anni Cinquanta ad oggi, costituisce una dei
pilastri portanti della sua filmografia.
Il più delle volte al suo seguito
troviamo un cast formidabile tutto al femminile: oltre
all’eccezionale Valeria Bruni Tedeshi (CinquePerDue –
Frammenti di vita amorosa, 2004; Il tempo che
resta, 2005), i suoi film recuperano quanto sembrano
perdere a livello di funzionamento della trama narrativa grazie
all’interpretazione di attrici del calibro di Catherine Deneuve,
Fanny Ardant, Charlotte Rampling, Emmanuelle Béart. Difficile
definire il genere prediletto di questo autore in grado di giocare
con i più diversi stili dei generi classici e di saper ogni volta
reinventare un modo di fare cinema ricorrendo a tinte che vanno dal
gotico al musical, dal thriller alla favola moderna (quale ad
esempio quella di Ricky in Ricky –Una storia d’amore e
libertà dove una mamma operaia dà alla luce un bimbo a cui
crescono misteriosamente le ali), dalla commedia teatrale al
racconto romanzesco.
Famosa inoltre la «Trilogia del
lutto» (Sotto la sabbia, 2000; Il tempo che
resta, 2005; Il rifugio, 2009) in cui
il regista mette a nudo il sentimento del dolore e della perdita
tramite tre diverse storie: la prima racconta di una coppia di
mezz’età misteriosamente separatasi, la seconda di un giovane
fotografo che decide di vivere la fase terminale della sua malattia
in totale solitudine e la terza di una ragazza tossicodipendente
che resta incinta del suo compagno morto di overdose. L’amore
omosessuale rappresenta certo una costante per questo regista
dichiaratamente gay, anche quando non direttamente messo in scena.
Tuttavia la pellicola che lo consacra al grande pubblico è la
commedia noir Otto donne e un mistero, film del 2002
ambientato negli anni Cinquanta dove un ben architettato coro di
attrici francesi (Catherine Deneuve, Fanny Ardant, Isabelle
Huppert, Emmanuelle Béart, Virginie Ledoyen, Danielle Darrieux,
Ludivine Sagnier, Firmine Richard) si staglia su di una scena
di impianto più prettamente teatrale (il film è infatti ispirato
alla pièce teatrale Huit femmes di Robert
Thomas) che non prevede l’apertura a spazi esterni e che in un
crescendo di sospetti e in un continuo alternarsi di stacchetti
musicali spingerà le otto donne ad indagare su un omicidio
rimanendo sempre rinchiuse tra le quattro mura domestiche.
In Swimming pool
(2003) una scrittrice di gialli interpretata da Charlotte
Rampling che da Londra si trasferisce nella casa francese del
suo editore per ritrovare la concentrazione, è costretta invece a
condividere la casa con una ragazza sessualmente disinibita che la
coinvolgerà in un omicidio simile a quelli che la scrittrice
immagina per il suo pubblico. L’attrazione tra le due, non
dichiarata, è comunque sempre costantemente percepibile. Ma nella
trama c’è l’inganno che si rivela inaspettato alla fine del film.
Ecco delineato un altro tema portante del linguaggio
cinematografico di Ozon: l’interfacciarsi continuo tra realtà e
immaginazione, spesso realizzato proprio grazie allo stratagemma
della scrittura che consente l’effetto a scatola cinese della
“storia nella storia”; è quanto avviene ad esempio nel film
Nella casa (2012) dove un adolescente portato per la
scrittura ed incoraggiato dal suo insegnante inizia a fantasticare
sulla vita famigliare di un compagno di classe, che tra l’altro si
innamora di lui, frequentando quotidianamente la casa dove abita,
spiando di soppiatto i problemi che la riguardano e facendo di essa
la principale fonte d’ispirazione dei suoi racconti, gli stessi che
tanto appassionano l’insegnante contro ogni ossequio al rispetto e
alla morale.
Ad un certo punto il film prosegue
rendendo sempre più difficile allo spettatore il compito di
distinguere cosa è reale e cosa appartiene invece alla mente
creativa del ragazzo. La scrittura e la conseguente dicotomia
realtà-immaginazione è al centro di un altro film intitolato
Angel – La vita, il romanzo; questa volta la figura
femminile eletta da Ozon è una giovane scrittrice inglese che agli
inizi del Novecento, pur essendo impreparata e incolta, tenta di
mettere a frutto il suo talento e la sua traboccante capacità
immaginativa per elevarsi dalle sue origini proletarie e diventare
una famosa scrittrice di best-seller rosa che ottengono un enorme
successo di pubblico. Ma la vita che ha puerilmente immaginato, la
stessa che ha messo su carta, si scontra con una realtà più dura
che indirizzerà inevitabilmente la sua ascesa verso la caduta.
Angel è un angelo caduto che ricorda a tratti la Madame Bovary
vittima delle sue letture, a tratti L’Anna Karenina vittima della
sua passione. Ma è al genere classico del melò hollywoodiano anni
Quaranta che Ozon guarda reinterpretando il melodramma nella sua
maniera moderna e originale.
Nel 2010 il film Potiche – La
bella statuina con Catherine Deneuve e Gérard
Depardieu, ottiene vasti consensi dalla critica ricevendo
quattro candidature ai premi César 2011. Di nuovo una figura
femminile questa volta magistralmente interpretata da Catherine
Deneuve: una donna che negli anni Settanta del Novecento
abbandona il ruolo di “bella statuina” all’interno della casa, di
moglie premurosa e accondiscendente verso un marito arrogante e
dispotico, l’industriale Robert Pujol, per riscoprire la sua natura
carismatica, mettersi a capo della fabbrica del marito e difendere
i diritti dei lavoratori. Da “bella statuina” a “iron lady”.
È evidente che l’universo femminile
sia il più delle volte al centro dell’opera artistica di questo
giovane regista pieno di sorprese. L’occhio attento alla condizione
della donna e alla sua sessualità tenta di scavalcare e di
abbattere l’ipocrisia moralistica che regge tanto la società quanto
l’istituzione famigliare. La restrizione in cui la donna il più
delle volte viene relegata facilita ovviamente ogni discorso
sull’indipendenza e l’affermazione di sé, così come l’attenzione
posta alle differenze di classe. Ma tale riflessione è sempre
alleggerita da toni sarcastici, allegri e spesso paradossali. Si
tratta, forse, di una tematica prevedibile che accomuna tanti
registi omosessuali e alla quale Ozon si allinearsi, avvitandosi su
degli stilemi ricorrenti. Ma la sua originalità va riconosciuta, in
lui non c’è sentimento di rivalsa che vada ad incupire la trama
narrativa, ma semplicemente una genuina e divertita presa d’atto.
Originale è anche il modo con cui, giocando tra realtà e finzione,
invita a riflettere sulle apparenze e sul perbenismo di facciata
che spesso dettano le regole. Per questo, se già è possibile
prevederne alcuni aspetti, il film Giovane e bella
lascia comunque un’attesa piena di aspettative.
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