In un periodo in cui l’attenzione
alla condizione della donna è sempre più al centro delle tempeste
mediatiche che ogni giorno ci assalgono, anche Peter Jackson ha
pensato bene di inserire una “quota rosa” nel suo adattamento de
Lo Hobbit. Il romanzo infatti è
totalmente al maschile, senza neanche un personaggio minore,
nemmeno sullo sfondo come invece accadeva ne Il Signore
degli Anelli in cui spiccavano almeno tre personaggi
femminili di rilievo e di spessore (Arwen, Galadriel e Eowyn).
Dall’alto della sua conoscenza
tolkieniana, Jackson ha inserito nella trama del film il
personaggio di Galadriel, particolarmente amata dal pubblico per la
bellezza del ruolo, ma sicuramente in gran parte per la grandiosità
dell’attrice che l’ha già interpretata nella trilogia precedente:
Cate Blanchett.
Ma chi è
Galadriel? Da dove viene e perché è così amata,
ammirata e anche temuta? Ebbene la bellezza e la potenza di
Galadriel arrivano da lontano, poiché elle è uno degli elfi più
antichi che abbiamo mai toccato le sponde della Terra di Mezzo. Lei
discende direttamente da Finarfin suo nonno, e dal nobile Finwe.
Aveva sempre richiamato l’ammirazione di Feanor per la lucentezza
dei suoi capelli dorati, ricambiando però le attenzioni dello zio
con estremo sdegno a causa del comportamento spavaldo di
quest’ultimo. Feanor infatti credeva che nei suoi capelli fossero
rimasti intrappolati i raggi luminosi d Laurelin e Telperion, e si
dice inoltre che dalla luce dei suoi capelli l’ingegnoso elfo
trasse ispirazione per forgiare i Silmaril.
Conobbe Celeborn ad Alqualondë,
dove dimorava con sua madre Earwen, al quale rimase legato per il
resto della sua lunghissima vita. Ella aveva infatti molti nomi, ma
scelse quello di Galadriel perché le era stato dato da colui che
amava. Scelse, insieme a Celeborn, l’esilio da Aman dopo essersi
ribellata ai Valar durante l’Ottenebramento di Valinor ad opera di
Morgoth e Ungoliant, rifugiandosi nella Terra di Mezzo senza mai
partecipare alla guerra contro Angband, fortezza di Melkor.
Galadriel è
conosciuta anche come l’elfo uomo, a causa della sua statura e
delle sua forza incredibile, sia fisica che spirituale, avveniva
così spesso che i suoi disaccordi con Celeborn fossero molto più
accesi perché nessuna delle due parti cedeva all’altra. Accadde
così che dopo qualche tempo trascorso nell’Eregion, regno fondato a
nord di quella che divenne poi La Contea, i due coniugi si
separassero a causa dell’inimicizia di Celeborn con i Nani, con i
quali invece Galadriel andava d’accordo. Strascico di questa
simpatia tra Galadriel e i Nani può essere considerato il
particolare rapporto che si crea tra Gimli e Galadriel durante la
permanenza della Compagnia a Lorien.
La Dama donerà al Nano tre dei suoi
capelli d’oro e tramite la sua intercessione Gimli fu l’unico nano
a poter vedere Valinor, che raggiunse insieme a Legolas dopo molti
anni dalla fine della Guerra dell’Anello. La Dama si rifugiò quindi
a Lorien, che divenne la sua casa, mentre Celebron rimase a ovest
delle Montagne Nebbiose.
In questo stesso periodo accadde
che Sauron riuscisse ad ingannare i fabbri dell’Eregion, primo tra
tutti Celebrimbor, fabbricatore di Anelli, fino a che lui stesso si
accorse delle menzogne di Sauron e si ribellò. Affidò a Galadriel
Nenya, uno dei tre Anelli degli Elfi. Dopo 1800 anni di
separazione, Galadriel andò alla ricerca di Celeborn, e lo trovò a
Imladris, o Gran Burrone, insieme a Elrond Mezzelfo. Lì dimorarono
per molti anni fino a quando si trasferirono a sud, presso
Belfalas. Qui Galadriel incontrò per la prima volta Gandalf, che le
consegnò l’Elessar, la preziosa gemma elfica che sarebbe poi
passata ad Aragorn anni dopo.
Dopo la morte del primogenito
Amroth, nel 1981 della Terza Era, Galadriel e Celebron si
spostarono definitivamente a Lorien. Nella Terza Era Galadriel
entra a far parte del Bianco Consiglio al capo del quale avrebbe
preferito Gandalf, e non Saruman come invece fu. Il ruolo di
Galadriel è fondamentale durante il viaggio a Sud della Compagnia
dell’Anello, in quanto Lothlorien è una tappa importantissima del
viaggio dell’Anello verso Mordor. Fondamentale per capire il suo
personaggio e la sua psicologia è il momento in cui Frodo chiede
alla Dama di prendere l’Unico, rifiutandone il peso e la
responsabilità.
Galadriel fortemente tentata da
quell’offerta riesce tuttavia a resistere alla tentazione
rappresentata dall’Anello e “lasciò ricadere il braccio, e la
luce scomparve, e improvvisamente rise, e si rimpicciolì: tornò ad
essere un’esile donna elfica, vestita di semplice bianco, dalla
voce morbida e triste. <<Ho superato la prova >>,
disse. <<Perderò i miei poteri, e me ne andrò all’Ovest, e
rimarrò Galadriel>>.” (Il Signore degli Anelli – La Compagnia
dell’Anello).
Galadriel fa molti doni preziosi ai
viandanti, e tra questi regala la gemma elfica ad Aragorn, che lei
sa destinato a sposare sua nipote Arwen, un seme di Mallorn a Sam e
la fiala con la luce di Earendil a Frodo. Inoltre, ospita Gandalf dopo il suo combattimento mortale con
il Balrog di Morgoth. Durante la Guerra dell’Anello Galadriel e
Celeborn vengono attaccati diverse volte a Lorien, fino a che non
si ricongiungono a nord con re Thranduil del Bosco Atro e
purificano quei luoghi dall’influenza negativa del passaggio di
Sauron. Con la distruzione dell’Unico Anello, Galadriel, con tutti
gli alti elfi della Terra di Mezzo, decide di ritornare nel Reame
Beato di Valinor, dopo aver assistito al matrimonio di Arwen e al
funerale di Re Theoden. Parte con
Bilbo, Frodo e
Gandalf dai Porti Grigi il 29 settembre 3021,
ricongiungendosi alla figlia Celebrian e alla casa del padre
Finarfin.
Sua figlia aveva infatti sposato
Elrond Mezzelfo e dal suo matrimonio erano nati Elladan, Elroir e
la bella Arwen Undomiel, sposa di Aragorn figlio di Aratorn ed
erede al trono di Gondor. Tuttavia Celebrian venne ferita quando
Arwen era ancora una bambina e decise di partire per l’Ovest,
lasciando la sua famiglia nella Terra di Mezzo. Celeborn raggiunse
poi Galadriel all’Ovest qualche anno dopo.
Come già anticipato, il ruolo di
Galadriel nella trilogia de Il Signore degli Anelli è stato
affidato a Cate Blanchett, dopo che Kyle
Minogue (prima scelta) fu scartata perché troppo bassa.
Peter Jackson ha reinserito il personaggio di
Galadriel nella sua sceneggiatura de Lo Hobbit, ma non sappiamo
ancora bene in che misura la Bianca Dama di Lorien farà parte della
storia, a parte la scena che la vuole coinvolta, insieme a Hugo Weaving, Ian McKellen e Christopher Lee per il Bianco Consiglio.
Il film
Satantango, del regista ungherese
Bela Tarr, fu girato nel 1994. Vi si narra il
collasso d’una fattoria collettiva, ai tempi del comunismo. I pochi
abitanti si lasciano andare alla vita, persa ogni speranza per un
futuro migliore. A loro, resta soltanto la bottiglia d’alcol. La
noia nichilistica di tutti è però improvvisamente scossa, quando si
sparge la notizia che il pseudo-santone Irimias, ufficialmente dato
per disperso, tornerà in paese (assieme al suo guardaspalle
Petrina). Gli abitanti cominceranno a temere che dovranno
andarsene. Lo spettatore può sapere che il comando di polizia
zonale ha affidato ad Irimias una missione segreta. Egli chiederà
ai vecchi compaesani tutti i loro risparmi, promettendo che li
baratteranno con un vero lavoro (senza più l’abitudine alla puzza
del bestiame, o dei campi arati). Ma sarà solo un inganno,
virtualmente per lasciare che il comando di polizia distrugga la
fattoria.
Satantango ha il bianconero fotografico,
permettendoci di percepire la vitalità smorta dei compaesani. La
sua durata al cinema è di ben 435 minuti. Una lunghezza che segue
la dilatazione dello spleen esistenziale. Sembra che la
gente voglia solo ubriacarsi. Ciò alla fine comporta un profondo e
lungo addormentarsi. La volontà d’abbandonarsi alla frenesia della
vita inevitabilmente si contraddirà. Bela Tarr usa piani-sequenza
che durano 10 o persino 15 minuti. Allora, l’azione dei personaggi
finisce per addormentarsi. Noi vedremo quasi esclusivamente il loro
ambiente circostante. Il film vale esteticamente per la fangosità
nelle relazioni sociali (costruite sulle menzogne od i sospetti), e
la piovosità del destino (il quale incombe se non ferendo
quantomeno appesantendo la vita, con le sue complicazioni). La
desolazione delle terra ungherese è solo in piccola parte dovuta al
crollo dell’utopia collettivistica.
In
Satantango, lo Stato mantiene il suo
potere coercitivo, grazie alla stazione di polizia zonale. I
discorsi del comandante (ricevuti Irimias e Petrina) paiono
chiari: “Qui tutto dipende dal mio umore… Le gente non ama la
libertà, ne ha paura…” . Lo Stato, con la polizia, imporrà
ancora il suo ordine sociale. Esso agirebbe paradossalmente
liberando tutto il popolo, mentre ne controlla l’individualismo. E’
l’utopia del collettivismo. Esteticamente, interessa che il
comandante faccia derivare il potere dal mero
umore. Il film
Satantango è costantemente bagnato in via
percettiva. Gli umori delle persone paiono sempre umidi. Ognuno è
sospettoso nei confronti degli altri: per i tradimenti sentimentali
(tramite la procace signora Schmidt), o per le furberie sugli
affari (specialmente, dal signor Schmidt). Lo pesudo-santone
Irimias porta a compimento il destino, quando esso letteralmente
precipiterà sui personaggi.
Bela Tarr sceglie
di non mostrarci la distruzione della fattoria. Solo, accade che
gli abitanti taglino un armadietto, usando il badile. La lama
precipita sul legno, come la pioggia autunnale. Nel film, muore
solo l’innocente Estike. Lei è ancora una bambina, ciononostante ha
già raggiunto la maturità sociale, capendo la desolazione della
vita ubriacata, dentro la fattoria. Estike arriva a seviziare il
suo amato gattino. E’ la percezione fangosa della vitalità. Il
gattino sembra trito e ritrito nella mani di Estike, come nel campo
da arare. La morte però accade in modo più rarefatto. Estike
avvelena prima il gatto, e poi se stessa. La morte sopraggiunge
dolcemente, senza alcuna precipitazione. Torna comunque la
percezione dell’umore, in quanto il veleno va bevuto. Estike muore
dolcemente, perché il destino va percepito nell’astrattezza di se
stesso. L’universalità pare qualcosa che si distenda sopra
i singoli enti. Il veleno si diffonderà su tutto il corpo.
L’universalità del destino, nelle intenzioni del regista, andrà
“bevuta” da Estike, siccome per lei “gli angeli vedono e
capiscono… non c’è nulla da temere. La bambina avrebbe il dono
della fede. Qualcosa che le permetta più astrattamente un bagno,
sotto la pioggia battente, senza subirne il taglio (per le punte
delle gocce). Nella scena iniziale, l’inquadratura rimane fissa. Un
gruppo di vacche compare da lontano, uscendo dalla propria stalla.
Lentamente, la macchina da presa inizia a seguirne il pascolo. La
carrellata in orizzontale ambiguamente può mantenere la fissità
dell’inquadratura, quando il nostro sguardo si fa parare, dai muri
di più stalle.
Bela Tarr
cerca un’immagine frapposta. Come le vacche scorrazzeranno per
l’aia, così la nostra visione si dipanerà oltre le varie pareti.
Forse Satantango va percepito nella
frapposizione del destino sulla vita dell’uomo, col primo che
rallenterà la seconda. La pioggia in qualche modo taglia ed
appesantisce. Essa ci ostacola, e per Tarr anche a suo piacimento.
Nella scena in cui gli abitanti lasciano il loro paese, il
tergicristallo del loro camion gira in maniera solo disordinata
(senza alcun ritmo). Il regista inquadra la luce quasi
esplosivamente tramite un suo varco in profondità. Agli inizi del
film, ad esempio, la comparsa dell’uomo avviene dalle nostre
spalle. Sarà la prima testimonianza del continuo fronteretro
chiaroscurale in cui si rallenta ogni azione individuale. Spesso i
personaggi si nascondono e (paradossalmente) non si nascondono.
Basta inquadrarli dalla loro schiena. Bela Tarr
non nega la vitalità dei personaggi. Ma questa pare appesantita
(dalla noia nichilistica). Nell’oscurità di tutti i personaggi,
resta il varco d’una luce continuamente in attesa d’attrarli a
sé.
C’è una scena in cui la cinepresa
abbandona il nostro punto di vista per avvicinarsi alla finestra,
quasi entrandovi. Ma alla fine le tendine non s’apriranno più. E’
il contraltare percettivo, in chiave ambientale, della figura umana
che si muri esibendo solo la propria schiena. Nel film
Satantango, l’illuminazione resta
costantemente sulla soglia di sé. Gli uomini possono darsi le
spalle fra di loro, appoggiandosi ai muri delle stalle, come se
giocassero a nascondino (mentre spiano). Però, solo la regia
proverebbe a contare il momento buono per passare all’azione. La
narrazione evita sempre ogni forma di suspense. I
personaggi si nasconderanno e basta. Le loro discussioni paiono
inconcludenti. La stessa missione del falso profeta Irimias, agli
occhi dei suoi antagonisti, sarà più il frutto d’una suggestione
(innanzi al sacrificio di Estike), che non d’una coercizione.
Invece, i movimenti della macchina da presa potrebbero contarsi.
All’inizio del film, c’è una carrellata in orizzontale. Noi vediamo
in successione le figure del vaso, del muro, della vacca e del
rubinetto. La regia avanza una sorta di countdown
nichilistico. Un po’ alla volta, la scenografia si spoglia della
presenza antropocentrica (data dai vasi e dai muri) per diventare
più naturalistica. Allora, la regia troverà l’universalità della
piatta inquadratura fissa. In realtà, alla fine resta il rubinetto,
che permette alla vacca di bere. La naturalità dell’acqua
simbolicamente sarà già in via d’annullamento. Paradossalmente,
pare che il rubinetto strozzi la vitalità della vacca, incombendo
su questa. L’acqua sarà appesantita non solo dal più naturale
diluvio, ma pure nell’antropocentrismo della sua canalizzazione.
Frequentemente, il film mostra che i personaggi si lavano entro una
piccola bacinella. Non ci pare una scelta praticissima. Sembra
difficile lavarsi bene in così poco spazio. La bacinella sarebbe il
contraltare artificiale della più naturale pozzanghera. Mancando
una vera e propria immersione nell’acqua (dalla vasca), il corpo
nudo si comporterebbe come il fango, che subito appesantisce il
bagnato.
Nel film
Satantango, la regia ci aiuta a percepire
i movimenti virtualmente piovosi della vitalità umana. Bela
Tarr cercherà un’inquadratura che scandisca il compiersi
del destino avverso ai compaesani. C’è una scena in cui noi vediamo
prima il braccio d’un uomo, e poi un bicchiere sul tavolo. La
cinepresa si sposta lentamente, in orizzontale. Il braccio si
distende, e la mano prenderà il bicchiere. E’ il momento in cui
l’uomo vuole bere. In seguito, il braccio si distende in direzione
opposta, rimettendo il bicchiere sul tavolo. La scena si ripeterà
ancora. L’inquadratura si percepirà in via pendolare. Ma è un
countdown che, per l’appunto, non porta a nulla, lasciando
che il personaggio del bevitore semplicemente s’addormenti. Il
braccio, incurvato per prendere il bicchiere, avrà la stessa
configurazione del rubinetto per le vacche. Ciò conferma la
percezione estetica che la vitalità si faccia strozzare. Il film
Satantango è interamente costruito
sull’inerzia narrativa. La stessa missione di Irimias accade solo
astrattamente. Il rubinetto strozza la vitalità della vacca, ed il
braccio che prende il bicchiere (col vino al posto dell’acqua)
quella dell’ubriacone.
Il film
Satantango va percepito nella continua
frapposizione degli elementi scenografici. La visione del rubinetto
taglierà quella della vacca, la visione del braccio taglierà quella
del bicchiere, magari nell’alternanza di se stesse (quando la
macchina da presa si sposti da sinistra a destra, o viceversa). Non
c’è alcuna flessibilità percettiva. Ove l’inquadratura si faccia
binaria, il primo elemento parrà semplicemente spalmato sul
secondo, nella solita pesantezza della loro fangosità. Anche per
questo, uno dei personaggi si lamenta del suo spleen
esistenziale dichiarando: “La flessibilità è ciò che ho
perso”. Nella scena più famosa del film, Bela Tarr usa un
piano-sequenza di 15 minuti. L’illusione che l’alcol rivitalizzi
fermenta sul ballo dei compaesani, al bar. In realtà,
malinconicamente noi percepiamo che loro si lascino andare al solo
addormentarsi. Là, manca completamente ogni flessibilità
coreografica. I compaesani si limitano ad allargare le braccia,
così da spalmare la fermentazione dell’alcol.
Nicola Deorsola,
già aiuto regista di Rubini e Veronesi, esordisce dopo una lunga
attesa dovuta alle difficoltà nel reperimento di fondi, e lo fa
scegliendo il genere romantico, che mette in scena in maniera
classica: nel punto di vista e nello stile registico. Sembra
sposare l’ottica adolescenziale dei suoi protagonisti: la
psicologia e l’analisi si rivelano quasi del tutto inutili, mentre
Ilaria “guarisce” semplicemente grazie all’amore. Il grande amore
dei ragazzi, che è più forte della menzogna “a fin di bene”, e
anche quello che emergerà dai cuori dei genitori. Vorrei
Vederti Ballare si muove tra tono leggero e tono serio, ma
l’elemento prevalente è il romanticismo.
La storia d’amore è il fulcro del
film. Il resto – l’approccio da commedia e i temi anche forti (il
conflitto coi genitori, l’anoressia, l’elaborazione del
lutto) – ruota attorno. Lo dimostra anche lo stile registico:
primissimi piani, inquadrature classiche del genere romantico,
paesaggi suggestivi di Calabria, dove il film è ambientato, oltre a
un montaggio evocativo (a sottolineare romantiche similitudini) e
alla colonna sonora in francese curata da Giuseppe Fulcheri –
mente del film di cui è anche soggettista, sceneggiatore e
produttore.
In Vorrei Vederti
Ballare, Martino (Giulio Forges
Davanzati) e Ilaria (Chiara Chiti) sono
due ragazzi in conflitto coi genitori: il primo col padre
(Alessandro Haber) – uno psicologo rigido e
autoritario che vuole organizzargli la vita – mentre la madre è
morta da alcuni anni. È iscritto a psicologia, ma studia e
frequenta poco; invece, segue le sue passioni: le tartarughe, il
cinema e Ilaria, che osserva esercitarsi a danza dalla finestra di
casa. Ilaria, dal canto suo, ha una madre (Giuliana De
Sio) ex ballerina, con cui si scontra continuamente e che
la opprime, scaricandole addosso le sue frustrazioni. Mentre suo
padre è del tutto assente. Entrambi i ragazzi chiedono, in fondo,
affetto e una reale attenzione. S’incontrano quando Ilaria inizia a
soffrire di disturbi alimentari e va in terapia proprio dal padre
di Martino. Quest’ultimo, allora, coglie l’occasione: fingendosi un
giovane collega del padre, riesce ad avere in cura Ilaria. I due si
aiuteranno a vicenda, iniziando un percorso di apertura verso
l’altro, di crescita che sfocerà in una storia d’amore e
ridisegnerà i loro rapporti coi genitori.
Il regista fa il suo compito, senza
rischiare o stupire. Si sbizzarrisce un po’ solo col personaggio di
Gastone, interpretato in maniera molto divertente da
Gianmarco Tognazzi, che finalmente vediamo in
veste comica e con un’espressività meno rigida di quella che
ultimamente gli conosciamo. Per il resto, tutto è abbastanza
prevedibile, a forte rischio di banalità, forse rassicurante ma non
emozionante e non dissimile da altre prove del genere. Il tutto
rende il film nel complesso più adatto al salotto di casa che non
alla sala cinematografica.
Il cast di Vorrei Vederti
Ballare punta sui giovani – Chiara Chiti,
già diretta da Matteo Rovere, e Giulio
Forges Davanzati, noto soprattutto per aver partecipato ad
alcune fiction, offrono buone prove – ma si avvale anche di
collaborazioni illustri: i già citati Giuliana De Sio,
Alessandro Haber e Gianmarco Tognazzi e
anche Paola Barale che in look da diva anni ’50 è
una cassiera col sogno del cinema. Prodotto da Falco Produzioni in
collaborazione con Rai Cinema, è nelle sale dal 6 dicembre.
Il sito italiano
Badtaste.it ha pubblicato quattro interessantissime featurette
direttamente dal backstage dell’atteso Les
Misérables in cui possiamo entrare dentro
Ecco una nuova foto di
Henry Cavill nella tuta di Superman, pubblicata in
copertina dalla rivista francese Studio Ciné Live.
L’attore, diretto da Zach Snyder, sarà impegnato
nel suo primo ruolo davvero importante da protagonista nel prossimo
L’Uomo
d’Acciaio, ennesimo e speriamo vincente adattamento
della storia del supereroe kryptoniano.
Con Cavill, partecipano al film
Amy Adams nei panni della giornalista Lois Lane e
Laurence Fishburne è il suo caporedattore Perry
White. Inoltre del cast fanno aprte anche Diane
Lane e Kevin Costner, che interpretano i
coniugi Kent, e Ayelet Zurer e Russell
Crowe che interpretano invece i genitori naturali di
Clark/Superman, Lara Lor-Van e Jor-El. Il bravissimo
Michael Shannon sarà il villain, Generale Zod, e
Antje Traue sarà Faora.
Ecco il primo poster ufficiale del
prossimo film a “basso” budget di Michael Bay. Si
intitola Pain&Gain e vede
protagonista una indedita coppia tutta muscoli,
Comingsoon.net riporta che l’acclamato
regista di Drive, Nicolas Winding
Refn, è in tratative per dirigere, per la Columbia
Pictures, l’adattamento di The
Equalizercon Denzel Washington. Si
tratta di una serie anni ’80 in cui il protagonista è un soldato
detective che si fa assumere da chi non riesce a risolvere i propri
problemi.
Intanto Refn è impegnato ad
ultimare il suo ultimo film che ha visto doppiare la sua
collaborazione con Ryan Gosling: Only
God Forgives, per il quale non si ha ancora una data
d’uscita.
Il sito americano IGN ha pubblicato il
primo poster ufficiale di Oblivion,
l’atteso sci-fi tratto dall’omonima graphic novel che vede
protagonista assoluto l’inossidabile Tom
Cruise.
Accanto a Tom ci saranno altri
volti più o meno noti del grande schermo: Morgan
Freeman, l’ex Bond girl Olga Kurylenko,
Andrea Riseborough, Nikolaj
Coster-Waldau (noto ai più per il suo ruolo di Jaimie
Lannister nella serie HBO Game of Thrones) e il premio Oscar
Melissa Leo. A dirigire il film ci sarà
Joseph Kosinski anche autore del fumetto.
Ecco la trama del film:
Jack è un ex soldato, l’ultimo
sopravvissuto sulla Terra, devastata dalla guerra contro una razza
aliena. Dopo aver ritrovato un’astronave distrutta, la storia
dell’unica superstite al suo interno lo trascina in un’ avventura
che cambierà per sempre il loro destino. Jack mette in discussione
tutto ciò che credeva di sapere sul suo mondo, sulla sua missione e
su se stesso. In un inseguimento per terra, aria e spazio. Jack è
costretto a un confronto con i suoi superiori per conoscere la
verità.
Oblivion
uscirà esclusivamente in IMAX il 12 aprile e nel formato classico a
partire dal 19 aprile. Ovviamente si tratta di date USA, mentre
quelle italiane non sono ancora note.
La Walt Disney Pictures sembra
intenzionata a ritornare nel paese delle meraviglie di Lewis
Carroll. Infatti, secondo Variety lo studios ha assunto Linda
Woolverton per scrivere
La 20th Century Fox ha annunciato che il reboot dei Fantastici
Quattro uscirà il 6 Marzo 2015 per la regia di Josh Trank
(Chronicle), su una sceneggiatura scritta da Michael Green e
Jeremy Slater.
Raccontiamo ora di Thorin
Scudodiquercia, Re Sotto la Montagna e principale fautore
degli eventi raccontati ne Lo Hobbit.
Thorin è il capo della compagnia dei 12 nani che
parte, con
Bilbo e
Gandalf, per riconquistare il tesoro sotto la Montagna
Solitaria e sconfiggere definitivamente Smaug.
Thorin Scudodiquercia
Al drago infatti si deve il suo
esilio dal regno che comprendeva in origine le terre comprese tra
Dale e la Montagna Solitaria, cuore del regno. All’inizio del
viaggio dimostra una certa diffidenza verso
Bilbo e verso l’utilità che il piccolo hobbit può
avere nell’aiutarlo a riconquistare il suo tesoro. Lungi infatti
dal credere di riuscire effettivamente a sconfiggere il drago,
Thorin tende soprattutto a voler riconquistare l’oro e
l’Archipietra, la mistica gemma di rara bellezza ed infinito pregio
andata perduta quando la reggia della montagna è stata occupata da
Smaug.
Thorin II, detto
Scudodiquercia, nasce nell’anno 2746 della Terza Era, è figlio di
Thrain e nipote di Thror, ha un carattere molto più austero
rispetto a quello dei suoi compagni di viaggio e le sue vicende,
precedenti a quelle raccontate ne Lo Hobbit, vengono raccontate da
Tolkien stesso nell’appendice A de Il Signore degli Anelli.
Quasi per caso, Thorin
incontra Gandalf il Grigio a Brea, mentre lo stregone
stava viaggiando per raggiungere la Contea. Dopo un primo incontro
fra i due,
Gandalf iniziò a mettere assieme molti tasselli di un
mosaico di cui non sapeva il disegno. Anni prima infatti a Dol
Guldur aveva trovato nelle segrete un nano che gli aveva consegnato
una mappa appartenuta alla gente di Durin con una chiave, così
capisce quindi che quel povero nano morente era Thráin II. Nel
secondo incontro con Thorin, Gandalf espone il suo piano per l’impresa,
sarà una azione furtiva che richiederà poche ma fidate persone.
Nell’impresa dovrà poi esserci un hobbit, essendo questi coraggiosi
all’accortezza, e soprattutto avendo un odore sconosciuto al drago
che difende il tesoro come suo.
Nel film di Peter
Jackson, Lo Hobbit: Un Viaggio
Inaspettato,Thorin
Scudodiquercia è interpretato da Richard Armitage, fascinoso attore inglese
noto per i suoi ruoli televisivi e per essere apparso di recente in
Captain America: Il Primo
Vendicatore. Le reticenze
con cui è stato accolto il suo aspetto da nano, dovute soprattutto
alla giovinezza dell’attore rispetto all’idea e alle descrizioni
tolkieniane relative al personaggio, sembrano essere state fugate
dai primissimi trailer del film, in cui Armitage dimostra di essere
un Thorin all’altezza del suo rango.
Tom Hank – 4
nomination ai BAFTA, 6 agli Screen Actors Guild Awards , 6 agli
Oscar, 7 ai Golden Globe e 8 agli Emmy. Ma non finisce qui: due
Oscar vinti come miglior attore protagonista, una nel 1994 con
Philadelphia e uno nel 1995 con
Forrest Gump, eguagliando il record
di Spencer Tracy (nel 1937-1938),
l’unico ad aver vinto per due anni consecutivi l’ambita
statuetta.
Lui è Tom Hanks,
classe 1956, enfant prodige degli anni ’80 il cui caché, a
oggi, si aggira intorno ai 20 milioni di dollari a interpretazione.
Interpretazioni che l’hanno portato a essere il vicepresidente
dell’Academy.
Thomas Jeffrey Hanks nasce il 9
luglio 1956 sotto il sole della California, a Concord, da padre
cuoco (Amos Mefford Hanks) e madre infermiera (Janet Marylyn
Frager). Timido e introverso sin da piccolo, Tom studia teatro allo
Chabot College, sempre in Calfifornia per poi trasferirsi
alla California State University di Sacramento. Nel 1978
sposa l’attrice Samantha Lewes da cui avrà due figli, Colin ed
Elizabeth.
Del 1979 è il primo grande
cambiamento: partenza per New York City in cerca di successo che
incontra, dopo una serie di film low budget, agli ABC
studios accaparrandosi un ruolo principale nella comedy
Bosom Buddies (conosciuta in italia con
il titolo di Henry e Kip) in cui, in 37
episodi andati in onda dal 1980 al 1982, vengono raccontate le
vicende di due single che lavorano nel campo della pubblicità e
che, per pagare di meno l’affitto, si travestono da donne per
vivere in un appartamento riservato al gentil sesso.
Tom Hanks, filmografia
Grazie al successo televisivo,
Hanks viene notato da Ron Haward che nel 1982 gli
riserva un ruolo come guest appearance in un paio di
puntate del mitico Happy Days. La collaborazione tra i due
continua quando Haward decide di assegnare al giovane californiano
il ruolo principale in Splash – Una sirena a
Manathann (1984), commedia romantica che si trasforma
in un vero e proprio successo al box office incassando quasi 70
milioni di dollani.
Con il film di Garry
Marshall del 1986 Niente in
comune, Hanks pone le basi per un salto di qualità
nella sua carriera da attore e comincia a farsi conoscere al grande
pubblico anche e soprattutto per le sue capacità interpretative
drammatiche. Il grande successo arriva due anni dopo con
Big, film dalla strana (ma casuale)
identità di soggetto con Da Grande di
Francesco Amurri (con Renato
Pozzetto) in cui Hanks interpreta Josh, un ragazzino di
dodici anni che abita a New York, follemente innamorato di una sua
compagna di scuola molto più grande di lui, motivo per cui si trova
a esprime il desiderio di non essere più un bambino. Il giorno
dopo, al suo risveglio, scoprirà di essere diventato un aitante
trentenne.
Big viene
osannato dalla critica e configura Hanks come il miglior giovane
talento nascente di Hollywood: una nomination agli Oscar come
Miglior attore protagonista, la prima vittoria del Golden Globe
come miglior attore in un film commedia o musicale, il
riconoscimento da parte del Los Angeles Film Critics Association
Award come miglior attore protagonista e la menzone speciale al
festival di Venezia di quell’anno.
Gli anni della consacrazione a star
sono anche quelli che lo hanno visto sposato con l’attrice
Rita Wilson, nel 1988, conosciuta sul set di
Bosom Buddies ma di cui si innamorerà
solo successivamente e dalla quale avrà due figli: Chester e
Truman.
Subito dopo la consacrazione a star
da parte della critica, seguirono per l’attore molti fallimenti al
botteghino come L’erba del vicino (The
‘burbs), Joe contro il vulcano (che vede
per la prima volta Hanks insieme a Meg Ryan) e il
flop più grande, Il falò della vanità,
diretto da Brian De Palma con Bruce
Willis e Melanie Griffith, film che costò
47 milioni di dollari e riuscì a incassarne solo 15.
Sarà la commedia del 1992 di
Penny Marshall con Madonna tra i protagonisti,
Ragazze vincenti, a portare Tom
Hanks nuovamente in vetta. In un’intervista di quel
periodo a Vanity Fair l’attore dichiarò
di essersi reso conto che il suo lavoro era diventato meno
pretestuoso, finto e sopra le righe e percepiva nell’aria l’inizio
di una nuova era cinematografica.
Era che si apre con il
succeso della commedia romantica del 1993 Insonnia
d’amore che lo vede nuovamente al fianco di
Meg Ryan e, successivamente, con l’indimenticabile
Philadelphia dalla drammatica porata
sociale. Nel film Hanks interpreta Andrew “Andy” Beckett, un
avvocato gay licenziato perché malato di AIDS, la malattia che
raggiunse il culmine della sua diffusione negli anni novanta. Per
interpretare il ruolo dell’avvocato (affiancato da un grande
Denzel Washington), Hanks perse più di 35 chili e
rasò a casaccio i suoi capelli al fine di apparire credibile in
quanto malato. Oltre alle pluripremiate interpretazioni dei due
attori, elemento di spicco del film fu la musica, affidata a
Howard Shore affiancato dagli autori Bruce
Springsteen e Neil Young, che accompagnò
i due attori in quasi tutti le scene principali. In una recensione
per People, la giornalista Leah Rozen scrisse:
«Al di là di tutto, il
successo del film è da riscontrarsi in Tom Hanks che ha fatto un
lavoro splendido nel calarsi totalmente nel ruolo di una persona,
non un personaggio, un uomo qualunque e non un santo martire. È
stato assolutamente pazzesco, estremamente profondo con
un’attenzione incredibile a tutte le sfumature comportamentali di
una persona in quelle condizioni. Si merita
l’Oscar».
Oscar che non tardò ad arrivare,
nel 1993, come miglior attore protagonista. Nel discorso di
ringraziamento, Hanks fa riferiferimento a due persone che hanno
dato molto alla sua carriera e a questo ruolo, il suo insegnate di
teatro al liceo Rawley Farnshworth e il compagno
di classe John Gilkerson, entrambi estremamente
vicino all’attore ed entrambi gay.
L’errore degli anni
precedenti non venne ripetuto e subito dopo questa profonda
interpretazione all’attore venne immediatamente affidato un altro
ruolo destinato a diventare un cult: Forrest
Gump.
«Quando ho letto lo script di
Gump ho intravisto un gran ruolo, un film pieno di speranza che
potesse arrivare a un gran pubblico… l’ho sentito mio»
dichiarerà Tom Hanks in un’intervista successiva
all’uscita del film. Diretto da Robert Zemeckis il
film, liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Winston Groom del
1986, narra l’intensa vita di Forrest Gump, un uomo dotato di uno
sviluppo cognitivo inferiore alla norma, nato negli Stati Uniti
d’America a metà degli anni quaranta e, grazie a una serie di
coincidenze favorevoli, diretto testimone di importanti avvenimenti
della storia americana. Forrest Gump
venne accolto in modo estremamente positivo sia dalla critica sia
dal pubblico, conferendo ad Hanks per il secondo anno consecutivo
la statuetta come miglior attore protagonista eguagaliando il
record di Spencer Tracy, sfiorando il record di nomination di
Eva contro Eva e
Titanic e classificandosi al 20° posto
nella classficia dei 250 migliori film di sempre di IMDb. Il film
ebbe anche un notevole impatto sulla cultura popolare. Frasi come
«corri, Forrest, corri» sono diventate parte del linguaggio comune.
Lo stesso Tom Hanks riadatterà una frase del suo
personaggio nel suo discorso alla cerimonia degli Oscar.
Tra le varie, il film viene
ricordato per aver pagato a Hanks l’ingaggio, allora stratosferico,
di 8 milioni di dollari, incassandone in tutto il mondo circa
680.
La salita all’olimpo
dei super attori di Hollywood procede e con il suo ruolo successivo
segna la reunion tra l’attore e il regista che per primo credette
in lui: Ron Howard, con cui Tom è pronto a volare
nello spazio, con la pellicola del 1995 Apollo
13. La critica applaudì il film e la prova
di Hanks e compagni (Kevin Bacon, Bill Paxton, Gary Sinise,
Ed Harris e Kathleen Quinlan) conferendo
al titolo nove nomination agli Academy Awards e vincendone due,
nessuna delle quali per Tom.
Poco dopo Apollo
13 Hanks cominciò ad avvicinarsi al mondo
dell’animazione e di quegli anni fu la sua prima collaborazione con
la Disney/Pixar per il blockbuster d’animazione Toy
Story, in cui prestò la voce allo sceriffo Woody.
L’amore per lo spazio non
abbandonerà l’attore che, nel 1996, unirà questa passione con
quella per le serie tv diventando produttore (insieme all’ormai
amico Ron), co-scrittore e co-direttore del documentario per la HBO
Dalla terra alla luna, miniserie che segue le vicende del programma
Apollo dalla sua prima missione del 1961, fino alla sua ultima
missione del 1972. La miniserie ricevette numerosi premi e
nomination nel corso del 1998 e del 1999, vincendo tra gli altri
tre Emmy, un Golden Globe e due Television Critics Association
Awards. Oltre ai prestigiosi premi, la miniserie viene ricordata
anche per essere stata la produzione più costosa per un
documentario televisivo: 68 milioni di dollari. I progetti
successivi non furono certo da meno in quanto a spese e con
Salvate il soldato Ryan (1998) si apre la
fortunata collaborazione con Steven Spielberg. Ambientato
durante la seconda guerra mondiale, in particolare nei giorni del
D-Day, il film fu acclamato dalla critica soprattutto per i primi
24 minuti che dipingevano, in maniera cruda e realistica, lo sbarco
dei soldati a Omaha beach. Etichettato come uno dei migliori film
di guerra mai girati, valse al regista la sua seconda statuetta
alla regia e all’attore un’altra nomination come miglior attore
protagonista. Dopo questa intensa interpretazione, Hanks aveva
bisogno di qualcosa di leggero e dello stesso anno è
C’è posta per te che vede Hanks
nuovamente con Meg Ryan in una commedia romantica
remake del classico di Ernst Lubitsch,
Scrivimi fermo posta.
Alle soglie del nuovo
millennio Hanks torna come voce per il secondo capitolo del film
d’animazione Toy Story 2 per poi gettarsi
nell’adattamento del romanzo di Stephen King Il miglio
verde, diretto da Frank Darabont
(oggi noto ai più per essere il regista della terza stagione di
The Walking Dead), in cui interpreta il ruolo drammatico
di Paul Edgecombe, capo guardia dei prigionieri condannati a morte
la cui vita cambia quando in carcere arriva John Coffey
(Michael Clarke Duncan), un gigante di colore
accusato di aver massacrato due bambine. Il nuovo Hanks, quasi
totalmente votato a ruoli drammatici, continua la sua scalata al
successo nel 2000 con il film di Robert Zemeckis Cast
Away, in cui Hanks interpreta un importantissimo
ingegnere della FedEx che, a causa di un incidento aereo dopo un
ammaraggio di fortuna, si ritrova su uno scoglio gigante a nord
della Nuova Zelanda, da solo. Il film venne girato in due periodi
di tempo separati da diversi mesi. Nella prima sessione di riprese
vennero girate le scene nel mondo “moderno”, mentre nella seconda
sessione vennero girate le scene sull’isola. Il motivo della pausa
fu la necessità di Tom Hanks di avere a
disposizione tempo per perdere peso: durante la pausa Hanks dimagrì
di circa 20 kg per interpretare la parte (e Zemeckis girò
Le verità nascoste).
L’anno successivo Hanks
torna dietro la macchina da presa insieme a Steven
Spielberg per produrre Band of Brothers,
miniserie in 10 puntate per la HBO considerata come un vero e
proprio spin-off del precedente Salvate il soldato
Ryan. Visto l’enorme successo, nove anni dopo i due
torneranno a produrre insieme un’altra miniserie di dieci puntata
per lo stesso canale intitolata The Pacific e incentrata sugli
avvenimenti della guerra del Pacifico.
L’esplorazione delle proprie
capacità drammatiche continua nel 2002 con Era mio
padre, film in cui l’attore interpreta il ruolo di un
killer professionista per conto di un mafioso che l’ha cresciuto
come un figlio. Il felice connubio con il regista Spielberg
prosegue sempre negli stessi anni con Prova a
prendermi, al fianco di Leonardo DiCaprio. Questo è il primo film dal
1988 in cui Tom Hanks non riceve la paga più alta
per un ruolo di protagonista che venne assegnata a DiCaprio. Nello
stesso anno produrrà insieme alla moglie Rita
Wilson la commedia di successo Il mio grosso
grasso matrimonio greco.
Nel 2004 l’attore ormai regista e
produttore appare in tre film diversi: la commedia dei
fratelli CoenLadykillers, un altro film di Spielberg
The Terminal e il film d’animazione
Polar Express di Zemeckis. Nel 2005
arriva un altro importante ricooscimento e Hanks viene votato come
vice presidente dell’Academy Award.
Negli anni successivi
prenderà parte al kolossal tratto dal best seller di Dan Brown,
Il Codice Da Vinci, interpretando il
ruolo del del professor Robert Langdon che tornerà anche nel
2009 per un altro capitolo della saga, Angeli e Demoni.
Il 2007 è anche l’anno che lo vede
protagonista del film scritto da Aaron Sorkin La guerra
di Charlie Wilson in cui interpreta il deputato
democratico del Texas Charles Wilson che valse all’attore
l’ennesima candidatura ai Golden Globe. L’ultimo ruolo a
conferirgli una candidatura agli Oscar è stato l’adattamento del
romanzo di Jonathan Safran Foer Molto forte, incredibilmente vicino,
del 2011, in cui Hanks interpreta il padre di un ragazzino con una
certa forma di autismo rimasto vittima degli attacchi terroristici
dell’11 settembre.
Sebbene quest’ultima pellicola non
sia stata eccessivamente apprezzata dalla critica, Hanks, che di
insuccessi alle spalle ne ha conosciuti svariati, non ha certo
intenzione di buttarsi giù ed ha svariati progetti per il futuro
come Saving Mr. Banks al fianco di
Emma Thompson e Colin Farrell in
cui si aggiudicherà un altro record: essere il primo a interpretare
Walt Disney al cinema. Il film è atteso nelle sale
per il 2013.
Intanto tra poco, esattamente il 3
gennaio, Tom inaugurerà la sua collaborazione con i
fratelli Wachowski, per i quali ha partecipato alo
straordinario e colossale Cloud Atlas,
tratto dal visionario e profetico romanzo di David Mitchel. Nel
film, Hanks interpreta diversi ruoli, attraversando il tempo e lo
spazio, seguendo il genio dello scrittore Mitchell e la follia
degli ideatori di Matrix.
La star dei record ha scalato le
vette più alte del box office di tutti I tempi con più di 3.639
miliardi di dollari lordi incassati, con una media di 107 milioni
di dollari a film. Provaci ancora, Tom!
Sembra che l’attore Johnny
Depp sia interessato all’adattamento del Don Chisciotte in
chiave moderna. Questo è quanto riferisce Deadline, aggiungendo che
la casa di
Guarda la prima foto del film Lo
Hobbit: la desolazione di Smaug. L’immagine arriva da
EW e ritrae Bilbo (Martin Freeman) nella Tana del
Drago Smaug piena di monete d’oro.
Trama: Le avventure di Bilbo
Baggins e della compagnia di dodici nani di Thorin Scudodiquercia,
formata da Balin, Dwalin, Kili, Fili, Dori, Nori, Ori, Oin, Gloin,
Bifur, Bofur e Bombur. Il gruppo deve recuperare il tesoro posto
nel cuore della Montagna Solitaria, sorvegliato dal drago
Smaug.
Arriva dal Giappone il nuovo trailer di Iron Man 3. Il film è diretto da Shane Black e vede
ancora una volta protagonista Robert
Downey Jr. nei panni di Tony Stark.
In Sammy 2 – La grande
fuga Amici da sempre, Sammy e Ray, due tartarughe marine,
trascorrono giorni felici nella barriera corallina. Un giorno
mentre guidano i primi passi verso il mare dei loro nipotini, Ricky
ed Ella, si ritrovano prigionieri di una rete da pesca. Catturati
dai bracconieri, Sammy e Ray vengono venduti e si ritrovano ben
presto in un gigantesco acquario sottomarino di Dubai. Qui faranno
la conoscenza di pesci provenienti da tutto il mondo, alcuni
simpatici, altri un po’ matti, e tutti insieme tenteranno di
scappare dal grande acquario, con l’aiuto di due alcuni amici molto
speciali.
Il secondo lungometraggio animato
della coppia Stassen e Kesteloot (il primo fu
infatti Le Avventure di Sammy uscito nel
2010) riprende il filo da dove si era concluso il precedente. Sammy
e Ray sono ormai cresciuti e sono addirittura diventati nonni. La
nuova avventura coinvolge questa volta non solo loro ma anche i
loro neonati nipotini. Dall’uscita di Alla ricerca di
Nemo in poi, tutte le case produttrici di film
d’animazione si sono cimentate con l’argomento delle avventure
sottomarine, costruendo in alcuni casi personaggi e storie molto
credibili, e in alcuni altri prodotti molto meno convincenti.
Sammy 2 – La grande fuga, il film
È purtroppo il caso di
Sammy 2 – La grande fuga. La galleria di
personaggi che i due incontrano durante la loro prigionia del
grande acquario di Dubai è sicuramente poco convincente: un cattivo
poco cattivo che non suscita quel naturale sentimento di rabbia e
frustrazione, la parte dei “giullari” invece è affidata a fin
troppi personaggi (addirittura tre) che si spartiscono quel tocco
di pazzia e simpatia che li contraddistingue, risultando poco
efficaci. Il mondo subacqueo creato dai registi olandesi a ben poco
a che fare, poi con la prigione in cui le due anziane tartarughe si
sentono rinchiuse: ampi spazi, cibo a volontà, e l’attenzione dei
clienti del ristorante extralusso non sembrano poi così
insopportabili da giustificare il frettoloso bisogno di fuga, se
non fosse per i due neonati bisognosi di aiuto.
I lungometraggi di animazione ci
avevano abituati, negli ultimi anni, a esempi di scrittura
cinematografica e maestria tecnica ottimi (basti ricordare, tra gli
altri, le prove della Pixar e della Disney), nel caso di
Sammy 2 – La grande fuga, invece alla validità
della proiezione 3D, che ci trasporta completamente sotto i mari,
non segue un’eguale energia narrativa.
In occasione dell’uscita in home-video
di Madagascar 3 – Ricercati in Europa, disponibile dal 5 dicembre
in Blu-ray, Blu-ray 3D, DVD e in due inediti box-set con l’intera
trilogia in Blu-ray e DVD,
Pacific Rim uscirà solo il 12
Luglio 2013 ma a quanto pare Guillermo Del Toro è già al lavoro
sulla sceneggiatura di Pacific Rim 2. Infatti, è nelle intenzioni
della Legendary Pictures
Dopo la la prima foto de Lo
Hobbit: andata e ritorno con Orlando Bloom e Luke Evans la
Warner Bros ha rilasciato tramite EW una nuova foto de Lo
Hobbit Parte 1 che ritrae Gandalf che affronta il Re dei
Goblin:
Ecco il poster di G.I. Joe –
La Vendetta, sequel de La Nascita dei
Cobra e attesa pellicola action che vede protagonista
ancora una volta Channign Tatum affiancato questa
volta da due pezzi grossi: Dwayne Johnson e
Bruce Willis.
Il film è diretto da Jon M.
Chu e uscirà in Italia il prossimo 29 marzo.
A pochissimi giorni dall’uscita al
cinema de Lo Hobbit: Un Viaggio
Inaspettato, ecco apparire, via Entertaiment Weekly,
la prima foto ufficiale del terzo
Guarda il Teaser Trailer Italiano
del film I
Croods, il nuovo film d’animazione tardato DreamWorks.
I
Croods uscirà il 22 Marzo 2013 con le voci originali
di Nicolas Cage, Ryan Reynolds, Emma Stone, Catherine Keener, Clark
Duke, Cloris Leachman .
Trama: I
Croods: una preistorica e avventurosa commedia di
animazione in cui vedremo la prima famiglia sulla Terra che
affronta il viaggio della vita quando la caverna che la protegge da
sempre dai pericoli dell’esterno viene distrutta. Viaggiando
attraverso un panorama spettacolare, I Croods scopriranno un nuovo
incredibile mondo popolato da creature fantastiche – e il loro
sguardo sarà cambiato per sempre!
Arriva dal Belgio il lungo speciale
dietro le quinte de Lo
Hobbit: un viaggio inaspettato di Peter Jackson. Infatti, la
Warner Bros belga ha pubblicato il filmato, lo speciale che dura
ben 13 minuti.
Manca ormai davvero poco e i fan
dello Hobbit potranno andare al cinema a vedere il primo film della
trilogia su Bilbo Baggins nato dalla testa di Peter
Jackson.