Si intitolerà
Volcheck, Ray Donovan 2×10, decimo episodio
della seconda stagione di Ray
Donovan. La serie TV di Showtime con protagonista
Liev Schreiber.
In Ray Donovan 2×10, lo stalker
di Ashley (Ambyr Childers), Rob Lepecka
(la guest star Colin Christopher), torna e diventa un problema
per Steve Knight (Eion Bailey). Nel
frattempo, Cochran(Hank Azaria) viene
nominato ufficialmente per occupare il posto della direzione
dell’FBI e
tenta di proteggersi dal processo di controllo delle
credenziali. Kate (Vinessa Shaw),
invece, affronta Ray (Liev Schreiber)
sul suo passato, mentre Mickey (Jon
Voight) riesce ad assemblare un team per la sua rapina nel negozio
di marijuana.
Manca poco all’inizio
di Ray Donovan 2, l’atteso secondo
ciclo di episodi della serie di successo targata Showtime e con
protagonista Liev
Schreiber nel ruolo di Ray
Donovan. Oggi per ingannare l’attesa vi segnaliamo il nuovo
trailer:
Ray
Donovan è una serie televisiva creata
da Ann Biderman per Showtime, trasmessa dal 30
giugno 2013.La
serie ha per protagonista Liev Schreiber nel ruolo di Ray
Donovan.
Il faccendiere Ray
Donovan risolve con abilità e destrezza i problemi di molte
personalità di spicco di Los Angeles, atleti, cantanti e
uomini d’affari, ma con la stessa abilità non riesce a risolvere i
suoi problemi personali. I suoi problemi si complicano quando il
padre, con cui ha da sempre un rapporto conflittuale, viene
inaspettatamente scarcerato, sconvolgendo la sua vita e il suo
nucleo familiare.
Manca poco più di un
mese all’inizio di Ray Donovan 2, il
secondo ciclo di episodi della serie di successo creata da Ann
Biderman per Showtime e con
protagonista Liev Schreiber. E
per ingannare l’attesa vi segnaliamo alcune anticipazioni su cosa
ci aspetta nella seconda stagione.
In Ray Donovan avevamo
lasciato al protagonista la certezza di essere riuscito a lasciarsi
il passato alle spalle, ma sembra che la situazione degenererà
molto presto e lo vedremo impegnato in una serie di sequenze
d’azione mozzafiato, mentre Mickey sarà
pronto a tornare dalla parte del figlio, dato che farà tutto quello
che gli è possibile per avere la libertà, ma non agirà fino a
quando i tempi saranno maturi; con queste premesse, la seconda
stagione sembra veramente imperdibile.
Ray
Donovan è una serie televisiva creata
da Ann Biderman per Showtime, trasmessa dal 30
giugno 2013.La
serie ha per protagonista Liev Schreiber nel ruolo di Ray
Donovan.
Il faccendiere Ray
Donovan risolve con abilità e destrezza i problemi di molte
personalità di spicco di Los Angeles, atleti, cantanti e
uomini d’affari, ma con la stessa abilità non riesce a risolvere i
suoi problemi personali. I suoi problemi si complicano quando il
padre, con cui ha da sempre un rapporto conflittuale, viene
inaspettatamente scarcerato, sconvolgendo la sua vita e il suo
nucleo familiare.
Ray Dolby, creatore dei Dolby
Laboratories ritenuto uno dei pionieri delle tecnologie audio, si è
spento all’età di 80 anni nella sua casa di San Francisco. Già
malato da diverso tempo di Alzheimer a Luglio aveva avuto la
diagnosi di un’acuta forma di leucemia che non gli ha lasciato
molto tempo da vivere.
L’importanza di Ray Dolby anche per
l’industria cinematografica va ben oltre la tecnologia di surround
che, non a caso, porta il suo cognome. Un’importanza riconosciuta
anche formalmente dal mondo in celluloide, che ha permesso a Dolby
di ricevere un Oscar (Scientific and Engineering Award nel 1979),
diversi Emmy e un Grammy per il suo lavoro, oltre a una National
Medal of Technology and Innovation consegnatagli da Bill Clinton e
l’investitura a Member of the Most Excellent Order of the British
Empire da parte della Regina Elisabetta II. Nel 1976, Dolby
trasferì il quartier generale di Dolby Labs a San Francisco, per
poi far debuttare ufficialmente negli anni ‘80 la sua nuova
rivoluzione, legata al surround. Dal 1965 al
2009, Dolby è rimasto nella sua carica di Presidente del consiglio
della propria società, prima di ritirarsi nel 2011. Durante l’anno
successivo, CIM Group e Dolby Labs strinsero un accordo per
dedicare a Ray Dolby il nome del teatro dove si svolgono
annualmente gli Academy Awards, rinominandolo in Dolby Theatre dal
precedente Kodak Theatre.
Dopo essersi formato praticamente
poco più che adolescente in Ampex tra il 1949 e il 1957, Dolby
completò i suoi studi per dare poi vita ai Dolby Laboratories di
Londra, nel lontano 1965, riuscendo immediatamente a compiere la
rivoluzione di cui sopra. Le nuove tecnologie di riduzione del
rumore e pulizia del suono sviluppate dai suoi Labs, oltre alla
possibilità di registrare audio a due canali, permisero a Steven Spielberg di ottenere gli effetti di
Incontri ravvicinati del terzo tipo nel 1977. Stessa cosa anche per
George Lucas e il suo Guerre Stellari, mentre ancor più
significativa fu anni prima la scelta di Stanley Kubrick di
ricorrere a Dolby Labs nel 1971 per Arancia Meccanica.
Dopo i fasti anni ’70
di Non aprite quella porta, lo splatter
seriale di Wrong Turn, le glorie italiane
di Cannibal Holocaust e le recenti derive
western di Bone Tomahawk – senza dimenticare
ovviamente il gioiellino d’autore festivaliero The Bad
Batch – ecco un nuovo interessante racconto
cinematografico dedicato al tabù del cannibalismo. Si tratta di
di Raw, il nuovo horror diretto dalla regista
franco-belga Julia Ducournau e presentato
nella sezione Settimana Internazionale della
Critica al Festival
di Cannes 2016 e vincitrice del
premio FIPRESCI, il cui Red Band trailer
ufficiale è stato rilasciato direttamente da Focus
World.
Evitando sapientemente la recente
moda dello zombie-movie e scegliendo di spingere molto sulla natura
intima delle relazioni umane, Raw (titolo
originale Grave) narra la vicenda
di Justine (interpretata
da Garance Mariller), giovane cresciuta in
una famiglia di veterinari e pronta a seguire le orme di coloro che
l’hanno preceduta, non fosse che, a causa di una terribile serie di
rituali di nonnino dedicati ai nuovi studenti universitari, la
ragazza finirà per cibarsi di carne umana, sviluppando ben presto
orribili e pericolose conseguenze psico-fisiche a lungo
termine.
Le leggende metropolitane del
settore narrano che durante una proiezione particolarmente intesa
di Raw al Toronto International Film
Festival alcuni spettatori in
sala abbiano accusato gravi malori tanto da dover richiedere
l’intervento del personale medico. Tuttavia, al di là di alcune
voci diffuse più che altro a scopo promozionale, il nuovo horror
di Julia Ducournaunon
mancherà certo di suscitare scandalo e diverse
polemiche.
Impostato per essere di fatto un
coming-of-age incentrato sul cannibalismo e sui tabù ancestrali
della razza umana – vedi il caso di Carrie
e Lasciami entrare
– Raw gode della fantastica interpretazione
di Garance Mariller e di una votazione
dell’89% sul noto sito Rotten
Tomatoes, oltre che di un passaparola che ora verrà
sicuramente intensificato grazie al rilascio del primo trailer
ufficiale.
Prima di vincere la Palma d’Oro al
Festival
di Cannes con il film Titane e confermarsi
come una delle voci del cinema più interessanti degli ultimi anni,
la regista Julia Ducournau ha
esordito con un film altrettanto sconvolgente che aveva già fatto
parlare molto di sé. Si tratta di Raw – Una cruda
verità, presentato nella sezione Settimana
internazionale della critica al Festival di Cannes del 2016, dove
ha vinto il premio FIPRESCI. Si tratta di uno di quei film che si è
soliti definire “disturbanti” ed è proprio questo l’effetto che la
regista voleva ottenere, non ritenendo Raw un horror bensì
un film che scava in modo anticonvenzionale nella natura umana.
Per via di scene particolarmente
violente ed esplicite ed il tema generale del cannibalismo quale
metafora di un processo di crescita, Raw – Una cruda
verità è decisamente un film per stomaci forti, ma anche una
visione che oltre a non lasciare indifferenti propone un approccio
insolito a tematiche proprie a tutti. Prima di intraprendere una
visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune
delle principali curiosità relative ad esso. Proseguendo qui nella
lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli
relativi alla trama, al cast di
attori e alla spiegazione del finale.
Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
La trama di Raw – Una cruda verità
Protagonista del film è
Justine, una giovane matricola e studentessa
modello, proveniente da una famiglia di veterinari e ferventi
vegetariani. Quando arriva all’università, non immagina che ad
attenderla ci sono dei riti di iniziazione a dir poco estremi. Sua
sorella maggiore Alexia, anche lei studentessa
della facoltà di veterinaria, non le aveva mai detto nulla a
riguardo. Justine scopre così di essere finita in un mondo dominato
dal nonnismo, dove le reclute vengono sottoposte a prove folli e
feroci. Una tra queste è mangiare carne cruda, ma dopo averlo
fatto, la ragazza inizia scoprire di provare un gusto perverso per
la carne e una disinibizione fuori dal suo controllo.
Il cast di Raw – Una cruda verità
Ad interpretare Justine vi è
l’attrice Garance Marillier, la quale per il suo
personaggio ha dovuto lavorare molto sulla sua fisicità. La regista
ha infatti voluto che l’attrice lavorasse sul suo corpo e sulla sua
postura, per evidenziare il drastico cambiamento visibile tra
l’inizio e la fine del film. La postura di Garance Marillier cambia
dunque con la trasformazione del suo personaggio. Per quanto
riguarda la carne che le si vede mangiare nel film, la maggior
parte di qeusta era in realtà fatta di zucchero. Accanto a lei, nel
ruolo della sorella Alexia vi è invece l’attrice Ella Rumpf,
mentre Rabah Naït Oufella interpreta Adrien,
mentre Laurent Lucas e Joana
Preiss sono i genitori di Justine.
La spiegazione del finale di Raw – Una cruda
verità
Verso il finale del film, le macabre
abitudini alimentari di Justine la portano a passare a
un’alimentazione pesante a base di carne (cotta e cruda), con una
fame famelica e insaziabile che la distrae dalla scuola, dalla
crescente amicizia/relazione con Adrien e con i compagni di classe
e dalla sua salute e benessere generale. Avendo capito dal momento
in cui Justine si è mangiata un dito che condividono la stessa
condizione, Alexia porta la sorella in un giro vorticoso e
devastante, attaccando un’auto in corsa, uccidendo il ferito
all’interno, mangiando le sue cervella dal cranio incrinato e
offrendo persino alla sorella un pezzo di cervello fresco con
inquietante facilità.
Le condizioni di Justine peggiorano
quando la sua sete di sangue diventa un’ossessione violenta e la
situazione precipita definitivamente quando una notte di festa si
trasforma in un tormento grafico in cui Justine, in stato di
ebbrezza e dall’aspetto malaticcio, tenta di mordere un cadavere
con Alexia, provocando il bullismo di decine di altri studenti che
registrano l’incidente. Quando Adrien mostra il video demenziale a
Justine, questa aggredisce la sorella. A lite conclusa le due si
curano le ferite a vicenda, prima che Justine vada a dormire in
camera sua, per poi svegliarsi al fianco del cadavere di Adrien.
Disperata perché convinta di averlo divorato lei stessa, la ragazza
si rende tuttavia conto che la responsabile dell’accaduto è
Alexia.
La sorella viene dunque arrestata
per l’omicidio e Justine torna a vivere a casa, dove sua madre la
obbliga a riprendere una dieta interamente vegetariana. A quel
punto, nel tentativo di ristabilire un minimo di normalità, il
padre svela il suo torso abbondantemente morso e sfregiato, che
spiega essere il risultato della stessa condizione di ibrido
zombie-vampiro vissuta dalla madre delle ragazze e da loro poi
ereditata. Con questo finale, Raw – Una cruda
verità affronta dunque esperienze di una ragazza in
una fase della vita in cui si è alla ricerca del proprio posto nel
mondo, con il bisogno di sviluppare una propria personalità facendo
ogni più disparata esperienza.
Sfuggendo a ciò che i genitori le
avevano sempre imposto, dunque, Justine imparerà a trovare la vera
sé stessa, oltre ad un mondo completamente differente da quello che
aveva imparato a conoscere. Alla fine del suo percorso, scoprirà di
non essere poi così diversa dai suoi genitori e in particolare da
sua madre, la quale a suo tempo sembra aver vissuto le stesse
selvagge esperienze vissute ora da Justine, la quale può dunque in
un certo senso smettere di sentirsi diversa, sporca, per quanto
compiuto, riconoscendo dunque sua madre come sua simile. Da qui, si
presume, avrà inizio un nuovo percorso di crescita.
Il trailer di Raw – Una cruda
verità e dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di
Raw – Una cruda verità grazie alla sua
presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming
presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi
di Rakuten TV, Google Play, Apple TV e
Netflix. Per vederlo, una volta scelta la
piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o
sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di
guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il
film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di
venerdì 15 dicembre alle ore
21:15 sul canale Italia 2.
Nell’estate
del 2013 venne annunciato il progetto di un
film dedicato alla fortunata serie
videoludica Ratchet & Clank, ebbene
ormai alle porte del 2015, anno in cui la
pellicola vedrà la luce, è stato pubblicato un poster dedicato alla
nuova avventura del duo composto dall’alieno Ratchet ed il
simpatico droide Clank.
Ecco il poster in questione:
Vi ricordiamo che il debutto al
cinema del franchise della Insomniac
Games riprenderà le avventure che abbiamo imparato ad
amare nei videogiochi della serie e che a firmare la sceneggiatura
è stato lo stesso TJ Fixman, già
sceneggiatore della controparte videoludica. A
dirigere Ratchet & Clank, invece,
sarà la regista Jericca Cleland.
Questa, invece, la sinossi ufficiale
del film: “Ratchet & Clank racconta la storia di due
improbabili eroi impegnati nell’impedire al malvagio alieno
Chairman Derek la distruzione di ogni pianeta nella Galassia di
Solana. Ratchet, è l’unico sopravvissuto della sua specie, un
lombax cresciuto in solitudine in un pianeta retrogrado, senza
alcuna famiglia. Clank, invece, è un robot cervelloide. I due,
nel corso della loro avventura, si uniranno ad un team di eroi
colorati dal nome i Rangers Galattici in modo da salvare la
galassia. Sulla loro strada, inoltre, impareranno cosa sono
eroismo, amicizia e l’importanza di conoscere le proprie
identità.”
Gramercy Pictures ha pubblicato
online due nuove clip di Ratchet &
Clank, film nato dal videogame giunto sulle console
di mezzo mondo nel lontano 2002. Il gioco ha riscosso negli anni
sempre maggiore successo, scalando le classifiche e guadagnandosi
un posto nell’Olimpo del genere platform.
Vi ricordiamo che il debutto al cinema del franchise
della Insomniac Games riprenderà le
avventure che abbiamo imparato ad amare nei videogiochi della serie
e che a firmare la sceneggiatura è stato lo stesso TJ
Fixman, già sceneggiatore della controparte videoludica. A
dirigere Ratchet & Clank, invece,
saranno Jericca Cleland e Kevin
Munroe.
Questa, invece, la sinossi ufficiale
del film: “Ratchet & Clank racconta la storia di due
improbabili eroi impegnati nell’impedire al malvagio alieno
Chairman Derek la distruzione di ogni pianeta nella Galassia di
Solana. Ratchet, è l’unico sopravvissuto della sua specie, un
lombax cresciuto in solitudine in un pianeta retrogrado, senza
alcuna famiglia. Clank, invece, è un robot cervelloide. I due,
nel corso della loro avventura, si uniranno ad un team di eroi
colorati dal nome i Rangers Galattici in modo da salvare la
galassia. Sulla loro strada, inoltre, impareranno cosa sono
eroismo, amicizia e l’importanza di conoscere le proprie
identità.”
Giunto sulle console di mezzo mondo
nel lontano 2002, Ratchet & Clank ha
riscosso negli anni sempre maggiore successo, scalando le
classifiche e guadagnandosi un posto sull’Olimpo del genere
platform.
Ebbene a distanza di 13 anni dal
debutto su Playstation 2 il duo composto dall’alieno Ratchet ed il
robot Clank è pronto all’esordio cinematografico, così come ci
dimostra il nuovo trailer ufficiale reso pubblico dalla
Gramercy Pictures.
Vi ricordiamo che il debutto al
cinema del franchise della Insomniac
Games riprenderà le avventure che abbiamo imparato ad
amare nei videogiochi della serie e che a firmare la sceneggiatura
è stato lo stesso TJ Fixman, già
sceneggiatore della controparte videoludica. A
dirigere Ratchet & Clank, invece,
saranno Jericca Cleland e Kevin
Munroe.
Questa, invece, la sinossi ufficiale
del film: “Ratchet & Clank racconta la storia di due
improbabili eroi impegnati nell’impedire al malvagio alieno
Chairman Derek la distruzione di ogni pianeta nella Galassia di
Solana. Ratchet, è l’unico sopravvissuto della sua specie, un
lombax cresciuto in solitudine in un pianeta retrogrado, senza
alcuna famiglia. Clank, invece, è un robot cervelloide. I due,
nel corso della loro avventura, si uniranno ad un team di eroi
colorati dal nome i Rangers Galattici in modo da salvare la
galassia. Sulla loro strada, inoltre, impareranno cosa sono
eroismo, amicizia e l’importanza di conoscere le proprie
identità.”
Gramercy Pictures ha pubblicato due
nuove clip di Ratchet & Clank,
videogame giunto sulle console di mezzo mondo nel lontano 2002,
che ha riscosso negli anni sempre maggiore successo, scalando
le classifiche e guadagnandosi un posto sull’Olimpo del genere
platform.
Le clip sono state presentate
durante il WonderCon. Ve le mostriamo:
Vi ricordiamo che il debutto al
cinema del franchise della Insomniac
Games riprenderà le avventure che abbiamo imparato ad
amare nei videogiochi della serie e che a firmare la sceneggiatura
è stato lo stesso TJ Fixman, già
sceneggiatore della controparte videoludica. A
dirigere Ratchet & Clank, invece,
saranno Jericca Cleland e Kevin
Munroe.
Questa, invece, la sinossi ufficiale
del film: “Ratchet & Clank racconta la storia di due
improbabili eroi impegnati nell’impedire al malvagio alieno
Chairman Derek la distruzione di ogni pianeta nella Galassia di
Solana. Ratchet, è l’unico sopravvissuto della sua specie, un
lombax cresciuto in solitudine in un pianeta retrogrado, senza
alcuna famiglia. Clank, invece, è un robot cervelloide. I due,
nel corso della loro avventura, si uniranno ad un team di eroi
colorati dal nome i Rangers Galattici in modo da salvare la
galassia. Sulla loro strada, inoltre, impareranno cosa sono
eroismo, amicizia e l’importanza di conoscere le proprie
identità.”
Dopo il grande successo di
Hollywood, Ryan Murphy torna a proporre al suo
pubblico, tramite Netflix, una nuova serie originale che va ad
esplorare le origini di uno dei
personaggi cinematografici più amati ed odiati di sempre,
l’infermiera Mildred Ratched, protagonista di
Qualcuno volò sul nido del cuculo. E se è vero che
il personaggio originale nasce dalle pagine del romanzo omonimo di
Ken Kesey, è altrettanto vero che l’infermiera
Ratched è stata consegnata all’immortalità da
Louise Flatcher, che per il ruolo vinse premio
Oscar, Golden Globe e BAFTA.
Ad incarnare la protagonista della
serie di Ryan Murphy è Sarah Paulson, alla quale ancora una volta
l’autore chiede uno sforzo importante. L’attrice profonde in
Mildred tutto il suo immenso talento e si fa seguire in questa
origin story da consumare tutta d’uno fiato; gli otto episodi di
Ratched richiedono di essere guardati in binge watching.
Ma andiamo con ordine. Mentre il film di Milos Forman era ambientato in Oregon, nel
1963, la storia che racconta Murphy va indietro nel tempo fino al
1947.
Ratched Origin Story
Durante una notte di pioggia, un
bel giovane trova riparo in una residenza per prelati, sembra un
comune viandante sorpreso da un temporale, fino a che non comincia
brutalmente ad uccidere tutti i residenti dell’abitazione. Ci
spostiamo poi in California, presso l’istituto per malati di mente
Santa Lucia, dove il Dott. Hannover è l’unico dottore che crede che
chi soffre di patologie mentali possa effettivamente essere curato,
e non solo internato come si era sempre fatto. In questo luogo
immacolato e vagamente inquietante arriva Mildred, una donna
elegantissima, affascinante e molto sicura, che farà di tutto per
essere assunta e per consolidare la sua influenza sul dottor
Hannover e il suo potere su tutto l’ospedale.
Pian piano scopriremo qual è il
vero scopo di Mildred e impareremo a sondarne la mente e l’animo,
pozzi neri ricchi di scintillii e insenature da scandagliare.
L’idea di scrivere la storia di origine di un personaggio così
affascinante è sicuramente allettante, e Ryan Murphy ha
intercettato questa possibilità in mezzo a tanti altri autori che
avrebbero potuto fare lo stesso. Certo, l’ideatore di AHS e di ACS
sembra essere già sulla carta la persona adatta a raccontare una
storia morbosa, violenta, intrigante e controversa e anche nella
realtà il suo lavoro si rivela effettivamente vincente.
Ratched è una serie che
presenta tutti gli elementi di un prodotto che farà parlare di sé e
che piacerà tanto ai fan, non solo a quelli di Murphy ma anche a
quelli del thriller. La storia infatti si regge su due piedistalli
granitici: da una parte un intreccio forte, solido, pieno di
personaggi intriganti e di svolte narrative avvincenti; dall’altra
una protagonista enorme. Ancora una volta Sarah Paulson dà conferma del suo talento
incredibile. La sua Mildred è una donna affascinante, fiera ed
elegante, è anche estremamente intelligente, è efferata e volitiva,
riesce persino ad essere tenera e compassionevole, presenta in
nuce tutte le caratteristiche che andranno poi a solidificarsi
intorno alla spietata personalità della protagonista del film di
Forman.
Il talento di Murphy, che non
sempre riesce a trapelare dalle sue creazioni (chi scrive non aveva
affatto gradito Hollywood, a suo tempo), questa volta si mette al
servizio di una storia che è perfettamente adeguata al suo stile e
così entrambi ne escono valorizzati. Oltre alle scelte di
rappresentazione grafica della violenza, dell’utilizzo
espressionistico e anti-naturalistico dei colori e della consueta
accuratezza nel decor e nei costumi, l’autore torna a parlare di
omosessualità (tra le altre cose), ma per la prima volta lo fa da
un punto di vista medico, rievocando con vividi particolari, quel
periodo di tempo purtroppo molto lungo, in cui l’omosessualità
veniva considerata una patologia mentale, da curare con metodi che
poco avevano a che fare con la medicina e tutto invece con la
tortura vera e propria. E sarebbe bello dire che, ad oggi, le cose
sono completamente cambiate!
Una sorellanza di “streghe”
Intorno a Paulson, Murphy
costruisce una rete di personaggi davvero interessanti, sfaccettati
e tutti validi, dalla ricca Lenore Osgood, interpretata da Sharon Stone, alla rigida infermiera Betsy
Bucket, di Judy Davis, fino al bellissimo
personaggio di Gwendolyn Briggs scritto per Cynthia Nixon e tutte le guest star, tra cui
spiccano Corey Stoll e Vincent D’Onofrio. Quello che Murphy
costruisce, dentro alla storia di Mildred, è anche un inno alla
sorellanza, a donne che uniscono le loro forze e i loro intenti,
donne risolute e agguerrite, anche di fronte a situazioni spinose,
violente, delicate da gestire. Mildred, Betsy, Gwendolyn non
perdono mai il controllo, per quanto possano essere difficili le
circostanze in cui si trovano, riuscendo sempre a trovare una
strada, soprattutto attraverso l’accordo reciproco e questo, più di
ogni altro, sembra il vero colpo di scena che l’autore piazza sotto
al naso di tutti.
Ratched è a tutti
gli effetti figlia di Ryan Murphy, le atmosfere elegantissime che
strabordano nel kitsch, la morbosità dei personaggi, la violenza
grafica, la riflessione sull’omosessualità, la critica alla
società, una trama avvincente, personaggi borderline e a tratti
sgradevoli, eroi difficili da incasellare che attraggono e
respingono allo stesso tempo. Nella serie originale Netflix, Murphy
infonde tutto ciò che ha caratterizzato la sua produzione fino ad
oggi, per lo fa con grande maturità ed equilibrio.
Nella conclusione aperta, che
lascia ampio spazio alla possibilità di un secondo ciclo,
Ratched svela il suo punto debole, ovvero
l’incapacità di chiudere una storia che si sa essere buona per
cedere piuttosto alla tentazione di annacquarla con altre eventuali
stagioni, che potrebbero invece rivelarsi non all’altezza.
La recensione del film
d’Animazione Ratatouille della Disney Pixar diretto da
Brad Bird e Jan Pinkava.Voci
originali di Patton Oswalt (Rémy), Lou Romano (Alfredo
Linguini), Janeane Garofalo (Colette Tatou), Peter Sohn (Émile),
Brad Garrett (Auguste Gusteau), Ian Holm (Skinner), Brian Dennehy
(Django), Peter O’Toole (Anton Ego).
La trama
Il topino Rémy sembra non essere
intenzionato ad accettare la propria natura di roditore, magari
rovistando per tutta la vita nella spazzatura. Vuole sfruttare il
suo straordinario olfatto per creare delle vere e proprie opere
d’arte con il cibo, proprio come il suo idolo umano, lo
chef Auguste Gusteau. Sullo sfondo di un’affascinate Parigi, Rèmy
giungerà al ristorante appartenuto a Gusteau e verrà coinvolto
nelle vicende di un goffo sguattero: Alfredo Linguini. Tra i due
nascerà un’amicizia che affonderà le sue radici nell’arte della
cucina e nella volontà di far rinascere il ristorante di Gesteau,
contrastando il malizioso chef Skinner e conquistando le papille
gustative del critico Anton Ego.
L’analisi del film
Dopo l’Oscar al miglior film
d’animazione con Gli Incredibili, Brad
Bird replica questo successo con
Ratatouille. Solo dopo averlo visto
abbiamo la certezza che Ratatouille
riprende la definizione di film d’animazione per eccellenza, non
solo per l’accuratezza degli effetti digitali, ma anche per
un’avventura che si adatta alla visione degli adulti, oltre che dei
bambini.
Ratatouille è il film
d’animazione per eccellenza
Il soggetto della storia era stato
sviluppato da Jan Pinkava, successivamente sostituito da Bird che
vi apportò modifiche insieme a Jim Capobianco (noto per
Il gobbo di Notre Dame,
Il re leone, Mosters
& Co e Alla ricerca di Nemo), Emily
Cook e Kathy Greenberg. Il risultato è una storia
avvincente che non stanca mai lo spettatore, grazie ad una
sceneggiatura che, oltre alla sua innocenza e semplicità, lascia
spazio a interessanti tematiche: il difficile ingresso delle donne
nel mondo dell’alta cucina, come lamenta il personaggio di
Tony Colette; la separazione e l’emancipazione
dalla famiglia; la fiducia nelle proprie capacità per realizzare un
sogno.
A completare il quadro ci sono le
particolarità dell’animazione. I personaggi umani, seppur lontani
dal reale aspetto antropico, sono resi alla perfezione grazie a
complesse espressioni facciali; i topi vengono realizzati nei
dettagli più minuziosi pur mantenendo la caratterizzazione animata.
Inoltre gli sviluppatori, primo fra tutti Brad Bird, hanno
frequentato corsi di cucina (tra cui il ristorante di Thomas
Keller, l’inventore della ratatouille), per riuscire a riprodurre
una grande varietà di piatti. Il loro duro lavoro non si è fermato
qui, basti pensare alla complessa scenografia che ha come soggetto
Parigi: per realizzarla c’è stato bisogno di foto e riproduzioni di
strade ed edifici riprese dalla città e rese all’altezza del
protagonista Rémy.
Queste non sono altro che
peculiarità aggiunte alla meraviglia che ci coglie con la visione
di Ratatouille. La vicenda non è mai
statica, ci lascia incollati alla poltrona per circa un’ora e un
quarto, senza mai stancarci. Le peripezie del topolino e dello
sbadato Linguini nascondono dietro la loro comicità una morale che
dimentichiamo spesso durante la nostra vita: così come il mondo
della cucina può risultare totalmente estraneo a chi in realtà è in
grado di riuscire nel campo, così qualsiasi altro sogno può
divenire raggiungibile grazie alla determinazione. È proprio con
questa lezione che il finale del film ci lascia, mentre pensiamo di
correre a casa per sperimentare ricette su ricette.
Serata all’insegna
dell’animazione quella in programma oggi, Venerdì 3 Gennaio 2014.
Infatti, il film che vi segnaliamo oggi
è Ratatouille, film
d’animazione del 2007 diretto da Brad Bird, il
regista che successivamente poi diresse il quarto capitolo del
franchise di Mission Impossible con
Tom Cruise. Il film è in programma su Rai 2 alle
21:05
Curiosità sul film:
Jan Pinkavafu il primo regista incaricato sin dal 2001
di dirigere il film che ne creò lo stile originale, i personaggi e
la sceneggiatura di base. Avendo perso fiducia nello sviluppo della
storia di Pinkava, la direzione della Pixar lo sostituì con Bird
nel 2005. Bird riscrisse la storia con un netto cambio di enfasi,
mettendo in secondo piano Gusteau e dando ruoli maggiori a Skinner
e Colette, cambiando inoltre l’aspetto dei ratti in modo da essere
meno antropomorfi. Per migliorare la loro conoscenza della cucina
durante la produzione di Ratatouille, il regista Brad Bird e il
produttore Brad Lewis hanno passato molte ore a frequentare corsi
di cucina nel ristorante French Laundry di Thomas Keller, colui che
ha inventato la ricetta della ratatouille presentata nel film. Gli
animatori del film hanno realizzato al computer circa 270 piatti
diversi, ciascuno dei quali è stato realmente preparato in una vera
cucina.
Nel film, Linguini è alto più di 1
metro e 85 cm, mentre Remy misura meno di 20 cm.
A Parigi, i programmatori
hanno scattato più di 4500 fotografie da utilizzare come
riferimento per ricreare tutte le ambientazioni.
Colette, l’unica donna nella cucina
di Gusteau’s, guida una motocicletta “Calahan”, che prende il nome
da Sharon Calahan, direttrice della fotografia del film.
Il nome di Skinner è preso in
prestito dallo psicologo che ideò la teoria del
comportamentismo, Burrhus Skinner.
Più di 270 piatti gastronomici
diversi sono stati creati al computer. Ognuno è stato preparato in
una vera cucina, fotografato, e usato come riferimento.
Il film viene citato nell’episodio 5×04 “Un ambiente migliore”
della serie televisiva americana Breaking Bad.
Ratatouille racconta di Rémy è un
piccolo ratto con un grande sogno, cucinare, che vive poco lontano
da Parigi, nella soffitta di una casa di campagna abitata da una
signora anziana ma agguerrita. Il topino ha un fratello di nome
Émile, e un padre, di nome Django, che è il capo della grande
colonia di ratti che abita nella casa. Rémy, contrariamente ai suoi
simili, possiede un olfatto ed un gusto molto raffinati, che lo
portano a non voler mangiare spazzatura come fanno i suoi simili e
a camminare su due zampe, senza poggiare quelle che usa per
mangiare. A causa di questo, Rémy viene scelto come “esaminatore”
olfattivo per tutta la colonia, ed ogni volta che un membro della
colonia porta qualcosa da mangiare, Rémy lo annusa e dice se il
cibo sia mangiabile o no. L’idolo di Rémy è il famoso ed eccentrico
chef francese Auguste Gusteau, la cui filosofia è Chiunque può
cucinare, titolo del suo libro che ha ispirato Rémy. Ma dopo una
recensione negativa da parte del critico gastronomico Anton Ego, il
ristorante di Gusteau ha perso una stella delle sue cinque. In
seguito Gusteau è morto, e per questo motivo, secondo la legge, il
ristorante ha perso un’altra stella ed è caduto in disgrazia. Ego è
un raffinato e ipercritico gastronomico senz’anima, giornalista di
fama internazionale, specialista nella valutazione della qualità
dei ristoranti di alto livello, determinandone con il suo giudizio
il successo o la rovina.
Il mondo dei fumetti
sta diventando una fonte inesauribile di materiale per i produttori
di cinema e televisione, e così ogni giorno un nuovo fumetto si
aggiunge alla lista di quelli che vedremo presto sul grande
schermo. L’ultimo nome in ordine cronologico è Rat
Queens, della Image, che diventerà una serie animata per
la tv.
Variety riporta infatti che la
Pukeko Pictures di Weta Workshop sta lavorando in coppia con Heavy
Metal per adattare Rat Queens in un televisivo animato con episodi
da 30 minuti.
Il fumetto, di genere dark comedy, è
così descritto:
un gruppo di quattro
avventuriere ha il compito di liberare la Hindman Cave dalla
presenza di alcuni fastidiosissimi goblin, ma sia i nemici che la
caverna in questione riserveranno alle protagoniste parecchie
sorprese. Hannah the Rockabilly Elven Mage,
Violet the Hipster Dwarven Fighter, Dee
the Atheist Human Cleric e Betty the Hippy Hafling
Thief sono le eroine che andranno qui a battagliare contro
questi insidiosi nemici e, come avete facilmente intuito dai nomi
scelti da Wiebe per le protagoniste, non stiamo parlando di eroine
convenzionali, ma di un gruppo di avventuriere molto, molto
particolari.
Il fumetto è stato creato da
Kurtis Weibee Roc Upchurch.
Rasputin – la verità supera
la leggenda – La sua storia è avvolta nella leggenda,
nella diceria e soprattutto in quello che la Storia ha permesso si
sapesse di lui fino a questo momento: stregone, diabolico monaco,
lussurioso e abbietto, ma magico taumaturgo. Questo è
Rasputin. Ma cosa succede se si va ad indagare la
vera natura del personaggio storico, al di là della leggenda?
Lo ha fatto Louis Nero, che con il suo
ultimo film Rasputin – la verità supera la
leggenda, ha raccontato in maniera personale e forse
sperimentale una storia che nessuno prima aveva mai raccontato. Le
origini contadine, il percorso personale legato all’esoterismo, la
continuità nel mettersi alla prova davanti alla tentazione, la
grande amicizia con i Romanoff e l’omicidio che l’ha visto annegare
nel fiume Neva nel 1916.
Tutti i passaggi della sua vita
sono rispettati, raccontati attraverso lo strumento narrativo del
flashback e utilizzando un sistema visivo raffinato e pop allo
stesso tempo, ovvero l’introduzione nel quadro di vere e proprie
finestre temporali che ci aiutano ad intersecare i piani narrativi
ed ha sentire tutti i punti di vista relativi a chi conobbe
Rasputin in vita. L’estetica del film, che per
certi versi ricorda il Greenaway di Rembrant J’accuse, si rifà ad
una tradizione pittorica che dai russi arriva fino a Rembrant
(appunto!) e Caravaggio, prediligendo il piano sequenza fisso e la
suggestione che questa figura così complessa e misteriosa proietta
ancora oggi sulla spettatore e sulla storia stessa.
Rasputin – la verità supera la
leggenda
Francesco
Cabras interpreta il monaco siberiano, prestando il suo
viso emaciato e spigoloso al ruolo e provocando vera e propria
inquietudine con il suo sguardo in macchina, ghiacciato ed
incavato, ad indagare dentro lo spettatore e sempre rivolgendosi
per primo a lui e poi agli interlocutori diegetici. Rasputin è un
film spiegato al pubblico, raccontato dagli stessi personaggi che
ci raccontano dalle loro finestre aperte sul passato, una vita
misteriosa anche per coloro che l’hanno condivisa con il nostro
protagonista, e che con il passare del tempo si è oscurata ancora
di più fino a rasentare la leggenda.
Voce narrante, che ipnotizza lo
spettatore ancor più dello sguardo di ghiaccio del protagonista, è
quella di Franco Nero, anche co-produttore, che ci
permette di addentrarci nelle lande siberiane fotografate di blu
dallo stesso Luois, e di accoccolarci negli angoli degli interni
che invece si tingono del rosso della passione, del sangue, ma
anche della misteriosa vita che viene raccontata.
Certo non si può parlare di un film
tradizionale, come già accennato siamo ai limiti dello
sperimentalismo, e sicuramente quindi il filma avrà vita difficile,
ma questo Rasputin riesce comunque a farsi apprezzare se non altro
per il tentativo da parte del regista di rimettere in discussione
questo personaggio e per la straniante sensazione che il film
lascia nello spettatore.
“Il mio Rasputin è diverso da
quello che la storia ci ha tramandato” . Così difende il suo
protagonista Louis Nero, oggi alla conferenza
stampa di presentazione del suo ultimo film Rasputin – la
verità supera la leggenda, “la sua vita è stata una
ricerca della verità e della resistenza al peccato che lui si
poneva sempre davanti agli occhi per potervi resistere. Con lui ho
anche raccontato uno spaccato di quella Russia che di lì a poco si
sarebbe trasformata completamente e avrebbe trasformato il mondo
intero”.
Rashomon è il film
culto del 1050 di Akira Kurosawa con
protagonisti Toshirô Mifune, Machiko Kyô, Masayuki
Mori, Takashi Shimura, Minoru Chiaki, Kichijiro Ueda, Fumiko
Honma.
Negli anni ’50 un vento nuovo
cominciò a soffiare da Oriente investendo la cinematografia
mondiale: un regista sconosciuto come Akira Kurosawa riuscì a
presentare al Festival del Cinema di Venezia, una delle rassegne
cinematografiche più prestigiose al mondo, il suo ultimo film
intitolato Rashomon. Un film rivoluzionario per
quanto riguarda la scrittura narrativa che non segue un ordine
cronologico predefinito né una rigida gerarchia: il film ha
scardinato uno dei precetti chiave del cinema classico aprendo le
porte alla disomogeneità temporale tipica del cinema moderno (la
Nouvelle Vague ne è un esempio).
Rashomon trae
spunto da un racconto dello studente ventitreenne Ryūnosuke
Akutagawa che, dopo una delusione d’amore, pubblicò nel 1915 su una
rivista un suo racconto breve intitolato proprio come il film:
Rashomon. Solo nel 1922 scrisse invece un racconto completo
intitolato “Nel bosco” che, fino ad oggi, è considerato il
capolavoro della sua produzione. Kurosawa prese spunto da
quest’ultimo ampliandolo però in alcune parti- perché altrimenti,
secondo lui, il film risultava incompleto- e modificandone il
finale, troppo nichilista nell’originale e più ottimista (forse
troppo) nella versione cinematografica.
Rashomon riflette maestosamente sulla
relatività e sulle innumerevoli facce che la verità mostra al
mondo; e lo fa in chiave storica, calando i suoi personaggi nel
Giappone medievale e feudale.
Durante una giornata uggiosa, tre
uomini (un monaco, un boscaiolo e un comune passante) si fermano a
commentare un cruento fatto di cronaca avvenuto qualche tempo
prima: un samurai è stato ucciso da un brigante che ha persino
abusato di sua moglie. La storia è raccontata da quattro testimoni
che forniscono quattro versioni totalmente differenti dei fatti, e
tra questi troviamo le voci del brigante stesso, la moglie del
samurai e suo marito (che comunica solo attraverso un medium) e,
infine, un narratore. Le versioni sembrano totalmente diverse l’una
dall’altra e discostano vistosamente tra loro e sono raccontate
attraverso l’uso di una serie di flashback man mano che i vari
personaggi- il bandito, la moglie del samurai, la vittima e
l’anonimo boscaiolo- procedono con la narrazione.
Le prime tre versioni sono fornite
dal monaco che era stato l’ultimo testimone ad aver visto vivi i
coniugi prima della tragica vicenda; è il boscaiolo che smentisce
queste versioni e fornisce, infine, la sua che non è comunque
completamente attendibile. Alla fine le quattro versioni sono
raccontate da un comune cittadino mentre tutti insieme attendono la
fine del temporale (ecco che la vicenda si ricollega con l’inizio)
riparandosi sotto la porta Rashomon, che delimita a sud la città di
Kyoto.
Le influenze e i
debiti di Kurosawa verso un altro modo di concepire e fare cinema
sono notevoli, infatti il regista stesso dichiara che una delle sue
fonti d’ispirazione primaria è stato proprio il cinema muto, che ha
cercato di ricreare (almeno nelle dinamiche) grazie a delle
scenografie minimaliste e a un continuo processo di semplificazione
delle scene, visto che- sempre secondo la sua opinione- il sonoro
tendeva a moltiplicare le difficoltà. Molto forte e
determinante è, allo stesso tempo, il ruolo della luce:
Kurosawa avrebbe voluto utilizzare soltanto la luce naturale come
fonte d’illuminazione ma, essendo troppo fioca, preferì sostituirla
con degli specchi che “illuminavano” i volti degli attori
inquadrati. Secondo alcuni critici (Tadao Sato, Nda) l’anomalo uso
della luce nel film ripropone i temi del male e del peccato, mentre
invece secondo altri (K.I.McDonald) l’illuminazione ripropone il
tipico binomio manicheo bene/male: la luce indica la ragione, le
tenebre il male e l’impulsività.
La struttura anti-narrativa del
film, che procede per flashback e frammenti senza rispettare
nessuna consecutio temporum, ha rivoluzionato il modo di concepire
e fare cinema fino a oggi, influenzando non solo alcuni registi che
ne hanno realizzato dei remake (più o meno pregevoli) come quello
realizzato da Martin Ritt nel 1964, L’Oltraggio, un western con
protagonisti Paul Newman ed Edward G. Robinson; oppure il nostrano
Mario Bava – re dell’horror gore – che diresse nel 1969 una
versione italiana in chiave comico erotica intitolata “Quante
volte… quella notte” fino ad arrivare a pellicole più
contemporanee, come il bellissimo e poetico Hero (2002),
distribuito nelle sale americane e poi mondiali grazie alle
pressioni di Quentin Tarantino (appassionato dei
film cinesi di genere wuxiapian). Ma nemmeno la televisione è
rimasta immune al richiamo di Kurosawa: perfino un longevo serial
tv come CSI-Crime Scene Investigation ha omaggiato il film del
maestro giapponese attraverso un episodio della sesta stagione
intitolato Rashomama e riprendendo la decostruzione cronologica e
l’uso dei flashback per esprimere una propria versione,
relativistica, della verità.
L’attrice Rashida
Jones ha negli anni fortificato la sua carriera attraverso
la partecipazione ad alcune serie di successo come Parks and
Recreation, The Office e Angie Tribeca. Affermatasi
anche al cinema grazie ad alcuni film dal piccolo budget ma dal
buon successo commericiale, la Jones ha potuto dimostrare un
telento e una versatilità da non sottovalutare, ricevendo in più
occasioni le attenzioni della critica.
Ecco 10 cose che non sai di
Rashida Jones.
Rashida Jones: i suoi film
1. Ha recitato in celebri
film d’autore. L’attrice ottiene il primo ruolo di rilievo
nel film Full Frontal (2002), per poi farsi notare
ulteriormente con Tutte le ex del mio ragazzo (2004),
Brief Interviews with Hideous Men (2009), I Love You,
Man (2009), Poliziotti fuori – Due sbirri a piede
libero (2010), The Social
Network (2010), Amici di
letto (2011), Un anno da leoni (2011),
I Muppet
(2011), Separati innamorati (2012), Annie
Parker (2013), Zoe (2018) e Prendimi!
(2018). Nel 2019 è invece tra le doppiatrici dei film d’animazione
Klaus: I segreti del Natale (2019) e Spie sotto
copertura (2019).
2. È celebre per alcuni
ruoli televisivi. L’attrice eordisce in televisione
recitando in alcuni episodi di serie come Freak and Geeks
(2000), e ottenendo un ruolo di rilievo in Boston Public
(2000-2002), Wanted (2005) e The Office
(2006-2009). Diventa poi celebre con il ruolo di Ann Perkins nella
serie Parks and Recreation (2009-2015). Successivamente è
invece protagonista della serie Angie Tribeca
(2016-2018).
3. Si è distinta come
sceneggiatrice. Negli anni la Jones ha sfoggiato anche
brillanti doti da sceneggiatrice, ricoprendo tale ruolo per il film
Separati innamorati, per la serie documentario Hot
Girls Wanted, per il documentario Quincy, ed ha
inoltre scritto il soggetto del film d’animazione Toy Story
4 (2019).
4. È anche
produttrice. La Jones sembra inoltre aver ereditato il
talento produttivo del padre, ed ha infatti ricoperto tale ruolo in
più di un’occasione, producendo il film Separati
innamorati, le serie A to Z, Hot Girls Wanted, Angie
Tribeca e Claws.
Rashida Jones è su Instagram
5. Ha un account
personale. L’attrice è presente sul social network
Instagram con un proprio profilo, seguito da 1,6 milioni di
persone. All’interno di questo l’attrice è solita condividere
fotografie scattate in occasioni di svago, con amici o colleghi.
Non mancano tuttavia immagini promozionali dei suoi progetti
cinematografici o televisivi, e foto tratte dalle premiere a cui ha
preso parte.
Rashida Jones: i suoi genitori
6. È figlia d’arte.
L’attrice è figlia di Quincy Jones, leggendario
produttore discografico, tra i più celebrati di sempre, in
particolare nell’ambito della black music. La madre della Jones è
invece l’attrice Peggy Lipton, celebre per aver
recitato nella serie TV Twin Peaks.
Rashida Jones e Ezra Koenig
7. Ha avuto un figlio dal
musicista. Nell’agosto del 2018 l’attrice ha avuto un
bambino dal compagno di lunga data, il musicista Ezra
Koenig, celebre per essere il frontman del gruppo indie
rock Vampire Weekend.
Rashida Jones in The Office
8. Ha recitato nella serie
con Steve Carell. Tra il 2006 e il 2009 l’attrice ha
recitato in un totale di 25 episodi nella serie The
Office, ricoprendo il ruolo di Karen Filippelli, direttore
regionale della Dunder Mifflin Utica, nonché ex ragazza di Jim
Halpert, il personaggio interpretato dall’attore John
Krasinski.
Rashida Jones e Black Mirror
9. Ha sceneggiato un
episodio della celebre serie antologica. L’attrice si è
inoltre distinta per aver scritto l’episodio Nosedive,
presente all’interno della terza stagione di Black Mirror
e interpretato da Bryce Dallas Howard. La Jones ha
affermato che l’idea è nata in seguito alla grande diffusione dei
social network, una rivoluzione mediale che le ha causato stati di
ansia in più occasioni.
Rashida Jones età e altezza
10. Rashida Jones è nata a
Los Angeles, in California, Stati Uniti, il 25 febbraio
1976. L’altezza complessiva dell’attrice è di 163 centimetri.
Il lungometraggio d’animazione del
2010 Rapunzel – L’intreccio
della torre, basato sulla fiaba tedesca
Raperonzolo dei fratelli Grimm, è il 50° Classico Disney,
nonché il 7º ad aver incassato di più nella storia, con un incasso
totale di 591 milioni di dollari, ed è
inoltre il film più costoso nella storia dei Classici Disney con un
budget di 260 milioni. Si tratta dunque di uno dei più importanti
film realizzati nello scorso decennio dalla Disney e non sorprende
che lo studio voglia ora realizzarne un adattamento in live action,
sulla base di quanto realizzato negli ultimi anni con molti altri
dei propri Classici d’animazione.
Anche se non ci sono stati annunci
ufficiali (e probabilmente non ci saranno finché gli scioperi non
finiranno), nelle ultime settimane si è sentito parlare parecchio
dei potenziali piani della Disney per tale remake e un nuovo rumor suggerisce ora il
regista che lo studio vorrebbe alla guida del progetto. Secondo
l’insider Daniel Richtman, niente meno che
Baz Luhrmann (Elvis, Il grande Gatsby, Moulin
Rouge) sarebbe il regista in cima alla lista delle preferenze.
Richtman ha inoltre ribadito anche una recente voce secondo cui
Florence Pugh
sarebbe la favorita ad interpretare il ruolo principale di
Rapunzel.
Sebbene Richtman sia solitamente una
fonte abbastanza affidabile, è però bene notare che la sua
dichiarazione è stata smentita da un altro noto insider del
settore, Jeff Sneider, il quale sostiene che
Luhrmann non sarà il regista del film. Vale però la pena notare che
Richtman non ha mai detto che Luhrmann avesse effettivamente
firmato per dirigere, ma solo che la Disney lo sta tenendo in
considerazione per tale compito. Non è dunque da escludere che, con
un colpo di scena, l’accordo possa effettivamente concretizzarsi,
portando Luhrmann alla regia del film, che potrebbe nelle sue mani
assumere un’aspetto inedito e ben distinto rispetto agli altri
remake in live action della Disney.
La Disney starebbe sviluppando una
versione live action di Rapunzel – L’intreccio della
torre, il 50° Classico d’Animazione basato sulla
celebre fiaba tedesca “Raperonzolo” scritta dai Fratelli
Grimm.
Il film d’animazione, uscito nel
2010, annovera tra i doppiatori originali Mandy
Moore (This Is Us) e Zachary Levi
(Shazam!) e divenne un grandissimo successo all’epoca
della sua uscita, con 592 milioni di dollari incassati a livello
mondiale. Attualmente, è il settimo classico Disney ad aver
incassato di più nella storia.
Come riportato da The DisneyInsider, la
Disney è attualmente al lavoro su una versione live action di
Rapunzel che, in realtà, potrebbe anche
non essere un remake del Classico d’Animazione, ma piuttosto un
nuovo adattamento della favola originale. Sempre dalla fonte
apprendiamo che la Casa di Topolino ha incaricato Ashleigh
Powell (Lo Schiaccianoci e i Quattro Regni) di scrivere la
sceneggiatura del film.
Il personaggio di Rapunzel
(chiaramente una versione slegata dal film animato) era già apparso
“in carne ed ossa” nel musical Into the
Woods di Rob Marshall, interpretato dall’attrice
MacKenzie Mauzy.
Al momento non ci sono ulteriori
dettagli. Ricordiamo che di recente la Disney ha annunciato anche i
live action di altri due celebri classici: Bambi e
Pinocchio
(quest’ultimo sarà diretto da Robert Zemeckis,
regista della trilogia di Ritorno al Futuro e di
Forrest Gump).
A marzo arriverà finalmente nelle
sale l’attesissimo live action di Mulan, mentre
tra i film attualmente in produzione figura Cruella, il live
action dedicato all’iconica Crudelia de Mon che vedrà il premio
Oscar Emma Stone nei panni della protagonista.
Il mese scorso, è arrivata la
conferma che
la Disney aveva ufficialmente messo in cantiere un remake
live-action del classico animato del 2010 Rapunzel. Ora, secondo lo scooper
Daniel Richtman, la star di Agatha All AlongKathryn Hahn è stata presa di mira per
interpretare Madre Gothel. Se l’attrice,
recentemente
nominata ai Golden Globes per la sua interpretazione nella
serie Disney+, dovesse ottenere la parte,
probabilmente tornerà a interpretare Gothel in uno spin-off
incentrato sul personaggio.
Sebbene non sia stato confermato
nulla, si ritiene che la Disney stia sviluppando una serie di
progetti live-action incentrati sui cattivi da collegare
all’attrazione pianificata di Villains Land
Disneyland. Oltre a un film su Madre
Gothel, abbiamo sentito che sono in lavorazione anche i
film dedicati alla Regina di Cuori e alla Regina della Neve, e si
dice che questo sia il motivo per cui l’adattamento di
Hercules è stato riadattato per concentrarsi su
Ade.
L’attrice Kathryn Hahn arriva al ricevimento dell’Accademia
Televisiva per onorare i candidati al 73° Emmy Award – Foto da
imagepressagency via Depositphotos.com
In Rapunzel,
Madre Gothel è una vecchia strega vanitosa e
malvagia che conserva la sua giovinezza per centinaia di anni
attraverso mezzi magici. Hahn senza dubbio farebbe centro in questo
ruolo, ma c’è la possibilità che consideri il personaggio un po’
troppo simile ad Agatha Harkness.
Michael Gracey,
regista incaricato di dirigere il film, ha già esperienza nella
regia di musical visivamente attraenti. Il debutto del regista è
stato
The Greatest Showman, la storia interpretata da
Hugh Jackman e Rebecca
Ferguson che ha sbancato i botteghini qualche anno fa.
Con 459 milioni di dollari di vendite globali e recensioni
positive, The Greatest Showman potrebbe essere stato
sufficiente per convincere la Disney a trovare un regista per
Rapunzel. Non è stata fissata una data di uscita
per la nuova versione della fiaba. Nel frattempo, la Disney
rilascerà dei blockbuster molto attesi, come Zootopia
2 e Fantastic Four:First Steps.
Secondo alcune fonti, Disney ha
messo in pausa la versione live-action di Rapunzel, cartone animato del 2010 di grande
successo e molto importante per lo sviluppo dell’animazione in
computer grafica per la società di Topolino. Lo apprendiamo da
Variety.
La storia basata sulla fiaba dei
fratelli Grimm di Rapunzel era in fase di sviluppo
attivo con Michael Gracey, regista di The
Greatest Showman e Better Man, che avrebbe dovuto dirigerla. La
sceneggiatrice di “Thor: Love and Thunder”
Jennifer Kaytin Robinson era a bordo per scrivere
la sceneggiatura.
La decisione arriva nel bel mezzo
dell’uscita di “Biancaneve”
da parte di Disney, che ha incassato un tiepido $ 69 milioni fino
ad oggi negli Stati Uniti e $ 145 milioni in tutto il mondo. Non è
chiaro se ci sia la possibilità di far rivivere la versione
live-action di “Rapunzel” in un momento futuro.
La Disney continuerà a sfruttare la
sua biblioteca animata con due titoli in live-action in arrivo,
“Lilo &
Stitch“, in uscita il 23 maggio, e “Oceania“,
in uscita il 10 luglio 2026. “Oceania” ha il
vantaggio di essere fresco nella mente del pubblico, poiché il
sequel animato “Oceania
2” si è rivelato un successo lo scorso novembre.
Nel frattempo, l’appetito per
“Lilo &
Stitch” sembra essere forte. Lo spot con Stitch
che si schianta sul campo del Super Bowl ha accumulato numeri
enormi, diventando lo spot più visto della Disney in digitale,
mentre l’uscita del trailer di marzo è diventata il secondo trailer
live-action Disney più visto di tutti i tempi nelle prime 24 ore di
uscita.
“Rapunzel”
ha incassato quasi 600 milioni di dollari in tutto il mondo durante
la sua uscita nel 2010-2011 ed è stato candidato all’Oscar per la
canzone originale. Con un punteggio positivo dell’89% su Rotten
Tomatoes, è stato un successo sia per le famiglie che per la
critica.
Disney Channel
ha annunciato che il film Rapunzel
diventerà presto una serie animata con le voci
di Zachary Levi e Mandy Moore. A
produrre saranno Chris Sonnenburg
(Enchanted) e Shane Prigmore (Dragon
Trainer).
La serie animata che dovrebbe
debuttare negli USA nel 2017 racconterà gli eventi accaduti tra il
primo film e il successivo
cortometraggio. Rapunzel conoscerà meglio la sua
famiglia, i suoi genitori e il regno della Corona dove la
giovane deciderà di intraprendere nuove avventure insieme a
Eugene, il suo amico camaleonte Pascal, il
cavallo Maximus, i criminali del Snuggly Duckling Pub, e
Cassandra, un nuovo personaggio che diventerà presto amica
della protagonista.
Ambientato subito dopo le vicende
del classico Disney Rapunzel – L’Intreccio della Torre
e prima del corto di animazione Rapunzel – Le incredibili
Nozze, l’attesissimo Disney Channel Original Movie
Rapunzel Prima del Si sarà presentato in
anteprima al Giffoni Experience, il festival
dedicato ai ragazzi, domenica 16 luglio con sue
proiezioni speciali alle 15:30 e alle 19:00
dedicate ai giurati della sezione Elements +6.
Il film anticiperà l’arrivo a
ottobre su Disney Channel (canale 613 disponibile
solo su Sky) diRapunzel: La Serie e vedrà la
Principessa Perduta fare i conti con la nuova vita a Palazzo.
Rapunzel, infatti, scopre che far parte della famiglia reale può
essere soffocante e desiderosa di maggiore libertà, e nonostante
l’amore che prova per lui, decide di rifiutare la proposta di
matrimonio di Eugene. Il suo irrefrenabile spirito libero e la sua
naturale curiosità la porteranno, con l’aiuto dell’ancella
Cassandra, a lasciare il castello di nascosto nel cuore della notte
e giungere nel luogo in cui fu trovato il fiore che le donò i
magici capelli. Qui accadrà qualcosa di inaspettato: dal terreno
spunteranno delle spine i lunghi capelli biondi della principessa
riprenderanno a crescere. Mentre tutti nel regno si preparano
all’incoronazione di Rapunzel, una figura misteriosa raggiungerà il
luogo da cui proviene il magico fiore…
In queste nuove avventure, Il
pubblico ritroverà i personaggi più amati del classico
d’animazione, come Eugene/Flyn Rider, il tenero camaleonte Pascal,
fino al simpatico cavallo Maximus a capo delle guardie reali, e gli
strambi personaggi della Locanda del Brutto Anatroccolo, mentre
farà il suo debutto Cassandra, la sua leale ancella di corte.
Azione e tanto divertimento
attendono i giurati del 47° Giffoni Experience nell’attesa del
debutto in tv a ottobre delle incredibili avventure di
Rapunzel: Prima del Si e
Rapunzel: La Serie a ottobre solo
su Disney Channel (canale 613 disponibile solo su
Sky).
Rapunzel
diventerà un musical per la Disney Cruise Line. La
compagnia di navigazione statunitense di proprietà della The
Walt Disney Company aggiunge al suo carnet per gli ospiti che
scelgono un viaggio in mare a tema un nuovo spettaccolo, un
rifacimento per teatro in muscia del film basato sul racconto di
Raperonzolo. Nel musical ci saranno due brai inediti composti dal
premioo Oscar Alan Menken.
Nella storia ritroveremo tutti i
personaggi che hanno fatto la fortuna del film.
Gli adattamenti live-action della
Disney continueranno a essere prodotti. Deadline riporta che una nuova versione di
Rapunzel è in fase di sviluppo presso lo
studio. La società ha anche scelto un regista per la storia:
Michael Gracey siederà dietro la macchina da presa
per la storia di una principessa smarrita che alla fine ritrova la
strada di casa. La Disney ha anche assunto Jennifer Kaityn
Robinson per scrivere l’ultima bozza dell’adattamento. La
sceneggiatrice ha già collaborato con lo studio durante lo sviluppo
di
Thor: Love and Thunder, l’ultimo sequel che ha
permesso a Chris Hemsworth di tornare nei panni del
potente personaggio Marvel.
Michael Gracey ha già esperienza
nella regia di musical visivamente attraenti. Il debutto del
regista è stato
The Greatest Showman, la storia interpretata da
Hugh Jackman e Rebecca
Ferguson che ha sbancato i botteghini qualche anno fa.
Con 459 milioni di dollari di vendite globali e recensioni
positive, The Greatest Showman potrebbe essere stato
sufficiente per convincere la Disney a trovare un regista per
Rapunzel. Non è stata fissata una data di uscita
per la nuova versione della fiaba. Nel frattempo, la Disney
rilascerà dei blockbuster molto attesi, come Zootopia
2 e Fantastic Four:First Steps.
La versione
animata di Rapunzelè stata
diretta da Nathan Greno e Byron
Howard. Il musical seguiva Rapunzel (Mandy
Moore) mentre incrociava Flynn Rider (Zachary
Levi), un ladro che cercava una delle corone del palazzo.
Il film ha subito stabilito che Raperonzolo era in realtà una
principessa perduta che era stata rapita da una strega nota come
Madre Gothel (Donna Murphy). Tangled è
stato accolto positivamente dal pubblico di tutto il mondo e ha
guadagnato 592 milioni di dollari al botteghino mondiale.
L’avventura live-action della
Disney continua
L’annuncio di una versione
live-action di Tangled non dovrebbe essere una sorpresa.
La Disney sta per distribuire
Mufasa:Il Re
Leone nei cinema. Il prequel è stato prodotto
dopo che il precedente capitolo de Il Re
Leone ha guadagnato più di un miliardo di dollari al
botteghino mondiale, dimostrando che agli spettatori piace vedere i
loro classici preferiti tornare in vita in un modo completamente
diverso.
La Disney sta anche lavorando a
un’iterazione live-action di
Oceania.
Dwayne Johnson riprenderà il suo ruolo di Maui nel
blockbuster che dovrebbe arrivare sul grande schermo il 10 luglio
2026. Il tempo ci dirà quando lo studio sarà pronto a permettere al
pubblico di rivedere Rapunzel. La Disney non ha
ancora fissato una data di uscita per la nuova versione di
Rapunzel.
La recensione del film
d’animazioneRapunzel, la
pellicola diretta da Nathan Greno e Byron
Howard.
In un lontano regno delle fiabe
tutti i sudditi sono preoccupati per la sorte della regina, incinta
del sospirato erede ma malata e in fin di vita: grazie a un fiore
magico giunto sulla terra con una goccia di Sole, la regina riesce
a guarire e a far nascere la principessa
Rapunzel che eredita i magici poteri
curativi della pianta nei suoi biondi capelli; una vecchia
ossessionata dal desiderio di rimanere giovane che aveva già
scoperto i poteri del fiore magico rapisce la piccola e la
rinchiude in una torre dove lei resterà con i suoi lunghi capelli
magici crescendo con la speranza di poter un giorno uscire a vedere
il mondo. Un giorno l’affascinante ladro Flynn Rider si rifugia
nella torre per sfuggire ai suoi inseguitori…
Regia:Nathan Greno e Byron
Howard
Anno: 2010
Con le voci di:
Mandy Moore/Laura Chiatti: Rapunzel; Zachary Levi /Giampaolo
Morelli –Massimiliano Alto: Flynn Rider; Donna Murphy /Giò Giò
Rapattoni: Madre Gothel; Ron Perlman /Pino Insegno: Fratelli
Stabbington.
Per un lavoro che aveva l’ingrato
onere di rappresentare il cinquantesimo lungometraggio della
canonica tradizione, la fiaba di Raperonzolo viene epurata di tutti
i suoi elementi più inquietanti e incongruenti (raperonzoli
compresi) per inserirsi perfettamente in più familiari contesti:
dopo l’esperienza de La principessa e il ranocchio, affascinante
ritorno alle vecchie tecniche di disegno purtroppo carente di ritmo
ed emozione, il passaggio alla CGI era quasi inevitabile e molti
potrebbero giudicarlo come la sconfitta definitiva, ma quando il
risultato è così strabiliante e incantevole si può
solo gioire e festeggiare per un ritorno di grazia
tanto sperato e atteso: con la regia di Nathan
Greno e Byron Howard (Bolt, Mulan, Koda fratello orso) grazie
anche ai consigli e alle direttive di John Lasseter, storico nome
della Pixar, la Disney impara la
lezione senza però smarrire sé stessa: supportandosi di
una sceneggiatura classica che riacquista
fiducia nelle capacità di quelle principesse che da tanto
tempo erano state dimenticate, Rapunzel
condisce la ricetta con un po’ di sana ironia, prendendo in
giro i suoi stessi meccanismi senza però ridicolizzarli
(l’esperienza di Come D’Incanto, misto
animazione e live action assolutamente riuscito, ha certamente
insegnato a casa Disney a imparare
a ridere di sé stessa e delle sue divinità),
regalandoci protagonisti svecchiati dal ruolo impostogli dai
fratelli Grimm e nei quali diventa facile identificare sorrisi e
paure di ieri e di oggi, citando allo stesso tempo le pellicole più
indimenticabili del suo repertorio. Fra i tanti riferimenti velati
alcuni si fanno più evidenti: la scena assolutamente spassosa nella
locanda non può non ricordare quella de La Bella e La Bestia,
nel regno del Sole hanno certamente usato il castello di
Cenerentola per disegnare le proprie architetture, la curiosità di
Rapunzel durante la visita al villaggio e
la meravigliosa scena delle lanterne nel cielo che i
protagonisti ammirano in barca sul lago sono chiaramente
ispirate alla Sirenetta e il protagonista maschile Flynn Rider,
oltre a scherzare sulla galanteria e il fascino di Erroll
Flynn (storico interprete di Robin Hood), prende da Aladdin alcuni
atteggiamenti e sorrisi (oltre che per le parti cantate il
doppiaggio di Massimiliano Alto), la spettacolare sequenza della
diga pur non di Disneyana memoria non può non ricordare
Indiana Jones.
Rapunzel – l’intreccio
della Torre: recensione del film
In ogni caso, fra tutti i lavori
omaggiati forse il più eclatante per ovvie ragioni di plot è
Il Gobbo di Notre Dame, col quale sembra
quasi correre su un binario parallelo: con lui la dolce
Rapunzel condivide grande creatività e
passione per vita che si esprimono attraverso arti pittoriche e non
solo, cercando di sopravvivere alla prigionia in un gabbia
dorata e dimenticata, col desiderio di andare fuori a vedere il
mondo; non per realizzare chissà quali eroiche imprese ma
semplicemente per essere parte di un evento straordinario che hanno
osservato da lontano per tutta la vita e che nel loro cuore di
adolescenti è diventato più importante di qualsiasi altra cosa (la
festa dei folli per Quasimodo, la scia luminosa delle lanterne per
la nostra protagonista) per infrangersi contro le minacce di
una figura loro vicina che li terrorizza con racconti di
un’umanità malvagia e senza pietà. Distrutti da una cocente
delusione, sia Quasimodo che Rapunzel
ritornano di nuovo nel loro rifugio-prigione , riflettendo su
quanto fossero stati in torto (“avevi ragione su tutto” è una
battuta che viene ripetuta praticamente con le stesse parole da
entrambi al cattivo di turno), per poi rendersi conto della verità
e affrontare il male che tenterà di combatterli con un pugnale
prima che il lieto fine possa finalmente trionfare.
Nonostante gli ovvi punti di
contatto, la nuova pellicola della Disney prende comunque un’altra
direzione che è di per sé ancora più inquietante: se per Quasimodo
l’ostacolo da vincere non è soltanto la paura generata da Frollo ma
quella della repulsione che gli altri possano provare per la sua
diversità, nel caso di Rapunzel a
impedirle di uscire è soprattutto il terrore di disobbedire a
quella che lei crede essere sua madre. Madre Gothel, che ha
cresciuto la bambina come una figlia solo per potersi mantenere
eternamente giovane, è forse uno dei cattivi più perfidi mai
concepiti dalla Disney; priva di qualsiasi potere
magico, simile a Cher nella magnetica fisionomia e nella voluminosa
permanente dei suoi ricci neri, si serve di un sortilegio molto più
terribile di qualsiasi altro mai visto: una spudorata
ipocrisia.
Nonostante sia ovvio per lo
spettatore che sia lei il personaggio negativo della storia dato
che come tale viene introdotto nel prologo, ella si
presenta alla nostra eroina come una madre devota, fingendo il
suo amore con una naturalezza e una spontaneità davvero spaventose;
eppure, dietro dichiarazioni di affetto smisurato e baci e carezze
materne si nasconde sempre, lì dietro l’angolo, una frase o un
commento cattivo e denigratorio, una stoccata sottile come uno
stiletto per sottolineare l’inadeguatezza, l’inconsistenza e
l’inutilità della povera ragazza, mascherata da battuta scherzosa
di pessimo gusto ma pur sempre detta dall’unica madre che lei abbia
mai conosciuto. Ci può essere paura più grande che quella di non
essere amati dai propri genitori?
Ciononostante,
Rapunzel sembra nutrire per lei sincero
affetto e dedizione, che consentono di far emergere quegli aspetti
del suo carattere che la rendono un personaggio vivo e realistico
per ogni spettatore: vivace, allegra e spensierata e ben lontana
dall’essere la solita fanciulla in pericolo che attende un
salvatore, la giovane è totalmente terrorizzata al pensiero di
disubbidire, come ogni ragazzo che vorrebbe trovare il coraggio di
buttarsi dal nido ma è intrappolato (o intrecciato secondo il
titolo originale Tangled) da una famiglia iperprotettiva; la lotta
interiore fra il rimorso per la fuga e la felicità per la grande
avventura dà vita a uno dei momenti più divertenti dell’intera
pellicola proprio per la freschezza e la spontaneità di quella
continua volubilità di cui molte altre eroine, prese dai loro
doveri e dai loro obiettivi, erano completamente prive.
Assolutamente spassosi i
personaggi che, armata di padella e lunghi capelli, incontra sul
suo cammino, con animali non parlanti come da tradizione ma che
nelle loro espressioni sono assolutamente irresistibili: il
camaleonte Pascal, con le sue smorfie e le sue occhiate di
ammonimento, Maximus, cavallo reale col fiuto di un segugio votato
a combattere il crimine anche meglio di tutti soldati del regno che
pendono dalle sue capacità investigative con un debole per le mele
buone e saporite (a patto che siano state comprate e pagate secondo
la legge), il brigante della taverna che invece di terrorizzare
voleva soltanto realizzare il proprio sogno di essere un grande
pianista, e i corpulenti Fratelli Stabbington che già nel nome
nascono tutta la loro determinazione e caparbietà nell’inseguire il
bottino perduto (richiama facile assonanza con l’inglese “stubborn”
che significa testardo). Senza dimenticate naturalmente il bel
Flynn Rider (all’anagrafe Eugene Fitzerbert) che con il suo omonimo
di cinematografica memoria condivide una certa propensione ai furti
anche se per donare unicamente a sé stesso, e che si innamora della
protagonista dopo averne approfondito la conoscenza e conosciuto lo
spirito; il “sorriso che conquista” che tanto era stato utile ai
suoi predecessori, tutti quei principi di rango in calzamaglia che
così avevano fatto scattare istantanei colpi di fulmine di pochi
secondi senza nemmeno scambiare una parola con la loro pulzella,
qui è sufficiente soltanto a fargli guadagnare una padellata sulla
testa: era tempo di provare altre strade.
Come in ogni Cartoon Disney che
voglia definirsi tale, i momenti musicali sono fondamentali e
chiamare al timone lo storico Alan Menken (detentore del record di
ben 8 premi Oscar) non poteva che rivelarsi una scommessa vinta:
certo non siamo ai briosi livelli raggiunti in passato (ma quelli
si erano già iniziati a smarrire nel 91′ dopo la morte dello
storico collaboratore e paroliere Howard Ashman), ma le canzoni
sono comunque orecchiabili e alcune sono davvero elettrizzanti
(provate a stare fermi sulla poltrona durante la scena della danza
del regno…); resta sempre l’ eterno problema della traduzione dei
testi in italiano, che continua a essere piuttosto discutibile ma
considerando che target di pubblico è costituito da bambini è
effettivamente eccessivo nonché impossibile chiedere qualcosa di
diverso a uno spettatore che non solo si stancherebbe subito di
leggere i sottotitoli ma probabilmente nemmeno sarebbe capace di
farlo data la sua giovanissima età. Unica solita pecca che
condivide ormai con buona parte delle uscite di questi ultimi due
anni è l’uso del 3D, che se non altro ha qui il merito di conferire
profondità , ma sacrificando come al solito la luminosità dei
colori che meritavano davvero di essere contemplati in tutta la
loro brillantezza.
Nulla da dire dunque sulla
qualità dell’animazione digitale se non per fare una lunga,
lunghissima standing ovation: sfumature pastello di rosa verde e
azzurro governano un mondo incantato dove ogni dettaglio, dal più
piccolo fiore al più sottile riflesso dei biondi capelli, è curato
alla perfezione, fino alla fantastica scena della diga dove vengono
gettati sullo spettatore ben 87 milioni di litri di acqua virtuale.
Il character design morbido e non troppo spigoloso facilmente
potrebbe essere adattato all’animazione vecchio stile; non
burattini freddi e inanimati in una realtà virtuale, ma personaggi
palpabili dotati di sentimenti e profondità che si leggono
facilmente nella luce dei loro occhi lucidi: ogni sguardo di
amore, odio e lacrime è assolutamente reale, quando proprio in una
lacrima si nasconde il vero cuore di
Rapunzel: quella che il re, dopo quasi 18
anni di separazione dalla figlia perduta, non riesce a trattenere
per la disperazione davanti alla fiduciosa regina prima di
accendere le lanterne della speranza: una sola, per consacrare
Tangled come il meraviglioso e trionfale ritorno della Walt
Disney Pictures.
Dopo la Palma d’oro alla
carriera del 2021 e le tante partecipazioni (da Il traditore e Vincere, solo per citare gli ultimi in
concorso, o Esterno notte e Marx può aspettare, in
Cannes Première), Marco Bellocchio sceglie di nuovo il
Festival
di Cannes per
presentare la sua ultima opera. E
Thierry Frémaux sceglie di nuovo il nostro regista, questa volta
nella sezione più importante con il Rapito che 01
Distribution porta al cinema a partire dal 25 maggio. Una storia
vera, raccontata in maniera unica anche grazie alle interpretazioni
magistrali di un cast perfetto nel quale spiccano il Papa Pio IX di
Paolo Pierobon, Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi,
Filippo Timi e il Miglior Attore dei David di
Donatello 2023, Fabrizio Gifuni.
Rapito: la storia vera di tanti ebrei
italiani
Il piccolo Enea Sala e
Leonardo Maltese, una volta cresciuto, danno vita al bolognese
Edgardo Mortara, bambino ebreo che nel 1858 fu strappato alla sua
famiglia per essere allevato da cattolico sotto la custodia di Papa
Pio IX. Un caso internazionale trattato ampiamente – come anche i
tanti analoghi – da David I. Kertzer, Marina Caffiero o Vittorio
Messori (in Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX – memoriale
inedito del protagonista del “Caso Mortara”), oltre ovviamente
che in “Il caso Mortara” di Daniele Scalise, al quale si
sono liberamente ispirati il regista e
Susanna Nicchiarelli per la sceneggiatura, stesa con la
collaborazione di Edoardo Albinati, Daniela Ceselli e la consulenza
storica di Pina Totaro.
Tutto inizia nel
quartiere ebraico di Bologna, quando i soldati del Papa arrivano a
casa della famiglia Mortara per portare via il piccolo Edgardo, di
sette anni. Temendo per la sua vita, all’età di sei mesi, l’allora
domestica l’aveva segretamente battezzato e a distanza di anni il
diritto canonico dello Stato Pontificio esige che il ragazzino
riceva un’educazione cattolica e venga cresciuto dal Vaticano. E’
l’inizio di una battaglia legale, e politica, che non si conclude
nemmeno con il declino del potere temporale della Chiesa per la
conquista di Roma del 20 settembre 1870.
Il
racconto unico e potente di Marco Bellocchio
La componente tecnica è
importante nel racconto che fa Marco Bellocchio della storia di Edgardo
Mortara, ma ancora una volta è lo sguardo del regista di Bobbio a
rendere unico il risultato finale che arriva sul grande schermo.
Come sempre, la sua capacità di armonizzare dati oggettivi,
narrativa e suggestioni oniriche regala un film personale e
riconoscibile, capace di polarizzare lo sguardo del pubblico pur
rappresentando l’umanità dei soggetti in causa. Unico e potente,
grazie anche alla partecipazione determinante della fotografia di
Francesco Di Giacomo, la scenografia di Andrea Castorina, i costumi
di Sergio Ballo e Daria Calvelli o le musiche di Fabio Massimo
Capogrosso, chiamate in molti casi a farsi carico di un sottotesto
non secondario.
L’alternarsi delle
ottiche rende ancor più maestosi e distorti gli ambienti vaticani
nei quali si svolge il dramma di Edgardo e della famiglia Mortara,
una grandiosità soffocante che i crescendo drammatici del commento
musicale rendono ancora più opprimente. Costringendo il piccolo
ebreo rapito a rifugiarsi nella fantasia e in un personalissimo
rapporto con il Cristo al quale si trova costretto a rendere
continuo omaggio. Confuso, affascinato, curioso, nell’uomo
inchiodato alla croce il bambino vede quasi un compagno di
sventura, da aiutare, come nessuno sembra volere – o potere –
aiutare lui.
Qualcosa che lo accomuna
al Pio IX di un incredibile Pierobon, altra figura non rassicurante
né lineare. Un Papa minaccioso e violento (come sa la delegazione
della comunità ebraica romana guidata da Paolo Calabresi, irrisa e ricattata), eppure
costretto a combattere con il proprio essere Papa Re, pur malato e
a suo modo visionario, per mantenere il controllo sulla propria
gente, anche a costo di umilianti ‘lezioni’ (come quella impartita
all’impacciato Edgardo, ormai cresciuto e fedelissimo).
Nell’opera
Rapito di
Bellocchio convivono l’empatia e l’orrore, la commozione e il
sacro timore, componenti apparentemente inscindibili di una realtà
complessa, non semplice nemmeno per i più faziosi, che un tema
tanto divisivo sicuramente chiamerà in causa. Prova ulteriore ne
sia la messa in scena – molto riuscita e d’effetto – in parallelo
di riti e penitenze, tanto della famiglia ebrea riunita, quanto
dell’algido funzionario di Fabrizio Gifuni, capace di rendere ancor più
disumano il frate domenicano Pier Gaetano Feletti, inquisitore
nell’esercizio delle sue funzioni. Ma soprattutto dell’alternarsi
di volti e liturgie diverse del processo all’ecclesiastico e della
cresima del ragazzo che sanciscono la definitiva sconfitta da parte
della famiglia.
La scoperta delle reali
motivazioni della servetta alla base del rapimento e la sorda
presunzione dell’istituzione vaticana sono ‘dettagli’ che
renderanno ancora più inaccettabile il tutto allo spettatore
moderno, ma più dell’invito a contestualizzare ripetuto a più
riprese da regista e attori è lo stesso finale a creare una anomala
sospensione. La fervida immaginazione visiva di Bellocchio – come
già in Buongiorno, notte e altrove – lascia aperta una porta
tra sogno e cronaca. E il dubbio – anche se in una scena forse
troppo confusa e contraddittoria – di un’anima più tormentata di
quel che deve esser stata, viste le note finali sulla storia del
Mortara adulto, morto in monastero a novanta anni dopo una vita da
missionario.
Il caso Mortara –
riscoperto a partire dagli anni Novanta del Novecento e
recentemente portato al cinema da Marco
Bellocchio con il film Rapito
(qui
la nostra recensione) – è stata una celebre causa italiana che
ha catturato l’attenzione di gran parte dell’Europa e del Nord
America negli anni Cinquanta e Sessanta
dell’Ottocento. Riguardava il sequestro da parte dello
Stato Pontificio di un bambino di sei anni di nome
Edgardo Mortara alla sua famiglia ebrea di
Bologna, sulla base della testimonianza di una ex domestica che
aveva amministrato un battesimo d’emergenza al bambino quando si
era ammalato da neonato.
Mortara crebbe dunque come cattolico
sotto la protezione di Papa Pio IX, che rifiutò le
disperate suppliche dei genitori per il suo ritorno. Tale
vicenda, Alla fine Mortara – crescendo in questo nuovo
contesto – divenne sacerdote, ma l’indignazione interna e
internazionale contro le azioni dello Stato Pontificio contribuì
alla sua caduta durante l’unificazione dell’Italia. È infatti
proprio in questo vivace contesto, dove tutto si apprestava a
cambiare per sempre, che si svolge la storia di Edgardo Mortara. Un
contesto da Bellocchio riproposto fedelmente in tutta la sua
caoticità.
Un film che inizialmente avrebbe
dovuto dirigere Steven Spielberg, basandosi sul libro scritto
da David Kertzer, Prigioniero del Papa
Re. Spielberg, però, decise infine di abbandonare il progetto
ed è a quel punto che Marco Bellocchio decise
di girare lui un film sulla vicenda. Basandosi liberamente sul
libro Il caso Mortara di Daniele Scalise,
ha così dato vita al lungometraggio, interpretato da Paolo
Pierobon, Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi, Enea Sala e
Leonardo Maltese, con anche Filippo Timi e Fabrizio Gifuni.
Barbara Ronchi in Rapito. Foto di Anna Camerlingo, cortesia di 01
Distribution
La vera storia dietro il film Rapito
Il territorio italiano al momento
del caso Mortara vedeva vecchi governi composti da ducati,
granducati, regni borbonici e sabaudi, presidi austriaci e Stato
Pontificio, i quali stavano però per svanire dalla penisola
italiana nel confronto con i discendenti dell’Illuminismo e della
Rivoluzione francese. In questo contesto, papa Pio
IX regnava su un territorio che si estendeva da Roma verso
nord, attraversando il Granducato di Toscana fino a Bologna.
Proprio in quest’ultima città ha inizio la vicenda che portò poi al
formarsi del caso Mortara.
Alla fine del 1857, l’inquisitore di
Bologna, padre Pier Feletti, venne a sapere che
Anna Morisi, che aveva lavorato in casa Mortara
per sei anni, aveva battezzato segretamente
Edgardo quando aveva pensato che stesse per morire
da piccolo. La Suprema Sacra Congregazione
dell’Inquisizione Romana e Universale ritenne dunque che
tale atto rendesse irrevocabilmente il bambino cattolico e, poiché
la legge dello Stato Pontificio vietava di allevare cristiani da
membri di altre fedi, ordinò che fosse tolto alla famiglia e
allevato dalla Chiesa.
La polizia si recò dunque a casa
Mortara nella tarda serata del 23 giugno 1858 e prese in custodia
Edgardo la sera successiva. Dopo che al padre del bambino fu
permesso di visitarlo durante i mesi di agosto e settembre del
1858, emersero due racconti nettamente diversi: uno raccontava di
un bambino che voleva tornare alla sua famiglia e alla fede dei
suoi antenati, mentre l’altro descriveva un bambino che aveva
imparato perfettamente il catechismo e voleva che anche i suoi
genitori diventassero cattolici. A quel punto, le proteste
internazionali montarono, ma il Papa Pio IX non si
scompose.
Paolo Pierobon in Rapito. Foto di Anna Camerlingo, cortesia di 01
Distribution
Il Papa, anzi, si assunse
personalmente la responsabilità del sequestro e difese l’operato
del Sant’Uffizio. La famiglia Mortara, sconvolta, si appellò alla
comunità ebraica di Roma, ma la notizia si diffuse rapidamente di
ghetto in ghetto, raggiungendo anche quelli più emancipati del
Regno di Sardegna. Mentre la comunità romana
rimase in silenzio, come d’abitudine, per non compromettere
equilibri e privilegi, altrove gli ebrei insorsero. In Piemonte,
unico Stato dove la comunità israelitica godeva di fondamentali
diritti costituzionali, vi furono proteste pubbliche.
La vicenda raggiunse ben presto
risonanza internazionale e fu sfruttata da tutti i governi, da
Cavour a Bismarck fino a
Napoleone III in Francia, per gettare discredito
sulla Chiesa cattolica e su Pio IX. Nonostante ciò, niente riuscì a
far cambiare idea al Papa Re che si dichiarò indifferente a tutti
gli appelli Dopo la fine del governo pontificio a Bologna nel 1859,
Feletti fu processato per il suo ruolo nel rapimento di Mortara, ma
fu assolto quando il tribunale decise che non aveva agito di sua
iniziativa.
Nel novembre del 1867 Edgardo
assunse poi i voti semplici e acquisì il nome di Pio
Maria, in omaggio al suo padre adottivo, Pio IX. Il 20
settembre 1870 le truppe italiane fecero infine il loro ingresso a
Roma, ponendo fine all’esistenza dello Stato Pontificio. Un mese
dopo, il padre biologico lo invitò a raggiungerlo a Firenze, ma lui
rifiutò. Temeva che gli venisse imposto il ritorno in famiglia,
così la sera del 22 ottobre lasciò la città in abiti civili,
dirigendosi al monastero di Novacella, vicino a Bressanone, dove
visse sotto falso nome, studiando teologia ed ebraico. Fu lì che
nel 1871 pronunciò i voti solenni.
Foto di Anna Camerlingo, cortesia di 01 Distribution
L’anno seguente si trasferì a
Poitiers, in Francia, e nel 1873 fu ordinato sacerdote. Nei
successivi trent’anni Edgardo si dedicò alla predicazione e alla
raccolta di fondi per il suo ordine. Mantenne anche un rapporto
epistolare saltuario con i genitori, cercando di persuaderli alla
conversione. Nel 1906 si ritirò nel monastero di Bouhay, nei pressi
di Liegi, in Belgio dedicando il resto della vita allo studio e
alla preghiera. Morì infine nel 1940 all’età di 88 anni senza
essersi mai ricongiunto con la sua famiglia naturale, pur avendone
seguito le sorti nel corso del tempo.
Il trailer di
Rapito e dove vederlo in streaming e in TV
È possibile fruire di
Rapito grazie alla sua presenza su alcune delle
più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è
infatti disponibile nei cataloghi di Apple
iTunes, Tim Vision e
Prime Video. Per vederlo, una volta
scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo
film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di
guardarlo in totale comodità e ad un’ottima qualità video. Il film
è inoltre presente nel palinsesto televisivo di sabato 1
febbraio alle ore 21:20 sul canale
Rai 3.
Distribuito da 01
Distribution e in sala dal 25 maggio, il
nuovo film di Marco Bellocchio dal titolo
Rapito si fa ora ammirare grazie al suo
trailer ufficiale. Nel nuovo lungometraggio del regista, che sarà
presentato in concorso al Festival di
Cannes, si racconta del casoEdgardo Mortara. Siamo nel 1858, nel quartiere
ebraico di Bologna, dove i soldati del Papa irrompono nella casa
della famiglia Mortara. Per ordine del cardinale, sono andati a
prendere Edgardo, il loro figlio di sette anni. Secondo le
dichiarazioni di una domestica, ritenuto in punto di morte, a sei
mesi, il bambino era stato segretamente battezzato.
La legge papale è inappellabile:
deve ricevere un’educazione cattolica. I genitori di Edgardo,
sconvolti, faranno di tutto per riavere il figlio. Sostenuta
dall’opinione pubblica e dalla comunità ebraica internazionale, la
battaglia dei Mortara assume presto una dimensione politica. Ma il
Papa non accetta di restituire il bambino. Mentre Edgardo cresce
nella fede cattolica, il potere temporale della Chiesa volge al
tramonto e le truppe sabaude conquistano Roma.
Liberamente ispirato al libro di
Daniele ScaliseIl caso Mortara. La vera storia
del bambino ebreo rapito dal papa (1996), il film scritto da
Bellocchio insieme a Susanna Nicchiarelli con la
collaborazione di Edoardo Albinati e
Daniela Ceselli e la consulenza storica di
Pina Totaro, rappresenta dunque un nuovo capitolo
nell’analisi della storia novecentesca d’Italia portata avanti da
Bellocchio con il suo cinema, dopo i recenti casi di Il traditore ed
Esterno notte. Nel film
recitano gli attori Paolo Pierobon, Fausto Russo
Alesi, Enea Sala, Barbara Ronchi, Filippo Timi, Fabrizio Gifuni, Andrea
Gherpelli, Samuele Teneggi, Corrado Invernizzi, Paolo
Calabresi.