Nato il 25 agosto del 1972 a Londra,
Joe Wright fa parte di quella schiera di cineasti
che hanno bisogno delle proprie opere per essere identificati dal
grande pubblico. Per lo spettatore comune Joe
Wright non è solo il suo nome: è il regista di
Orgoglio e Pregiudizio, di
Espiazione, de L’ora più
buia. Eppure in ogni sua singola opera si scorgono
indizi e conferme di una autorialità sì in fieri, ma già
ampiamente riconoscile. Un modo di creare e pensare le proprie
opere nato in seno all’attività di famiglia, quel teatro di
burattini che nel cuore della capitale inglese ha donato al giovane
regista quella linfa vitale necessaria ad alimentare il proprio
fiume creativo.
Le delusioni, le difficoltà (come la
dislessia), le lotte, i successi, gli studi artistici e i film
guardati alla TV, sono tessere di un puzzle combaciante con il suo
modo di concepire e creare il cinema. Quello di Wright è un
microcosmo abitato da adulti che si comportano come bambini, e
bambini chiamati ad agire come adulti. La macchina da presa li
segue con leggiadria, quasi danzando, per poi immortalarli là, in
quelle parti del corpo dove sono più vulnerabili: sono mani e occhi
che Wright scruta nel dettaglio e da cui estrae ogni sentimento
sottaciuto, passione repressa, o vendetta chiamata a gran voce.
Tra donne forti, figure storiche
divenute icone, citazioni cinematografiche e artistiche, quello
tentato da Joe Wright è – a oggi – un saggio in
sette atti con cui tradurre in linguaggio filmico la potenza
sottesa nell’arte della parola, della musica, e dell’immaginazione.
Dei sette capitoli di cui consta il suo trattato cinematografico,
ne abbiamo selezionati cinque, quelli che più di ogni altri
racchiudono il cuore e lo spirito della visione artistica di questo
regista, pronto a tornare sugli schermi a maggio 2020 con La donna alla
finestra.
Orgoglio e
Pregiudizio
Molti si sorprenderanno nel
ritrovare questo film in quinta e ultima posizione. In effetti,
l’opera – adattamento del classico di Jane Austen
– è stata nel 2005 un esordio folgorante per Wright, il suo golden
ticket nella fabbrica dei sogni. Palestra fatta di libertà, grazie
a cui Wright ha potuto sperimentare e allenare i tratti
caratterizzanti il proprio stile registico, Orgoglio e
Pregiudizio si è rivelato a posteriori un allenamento
intensivo che ha rafforzato il suo modus operandi dando vita negli
anni a seguire a universi ancor più riusciti e maggiormente
d’impatto.
La storia d’amore tra la scaltra e
acuta Elizabeth Bennett, e il burbero Mr. Darcy è considerata come
il classico della letteratura romantica per antonomasia. Tradurre
al cinema una storia così talmente conosciuta, soddisfacendo
l’orizzonte di attesa di milioni di lettori, non deve essere stata
cosa facile per Wright. Grazie all’interpretazione di Keira
Knightley, il cineasta rende ancor più umana la
protagonista Lizzie; la immortala come figlia della terra, la
sporca di fango e le scompiglia i capelli. In questo modo accorcia
la distanza tra personaggio e spettatore, facilitando
l’immedesimazione tra il pubblico femminile e la propria
eroina.
Per dar vita alla negazione e
all’esplosione del sentimento tra i due protagonisti, Wright
rifugge dall’uso ossessivo delle parole, sostituite da correlativi
fisici delle loro emozioni: sono le mani, i balli, gli sguardi, e
le opere d’arte (il quadro di Darcy viene qui sostituito da una
statua a mezzo busto) a esprimere i sentimenti d’amore. Un primo
passo verso quell’emotività visiva che caratterizzerà l’intera
opera di Joe Wright.
L’ora più
buia
Un microcosmo confuso
e disordinato, difficile da seguire e da comprendere: ecco cos’è
diventato nel corso degli anni il mondo della politica. Una
trasformazione non certo improvvisa, ma figlia di tanti piccoli
mutamenti alimentati nella culla dell’egoismo e
dell’autodeterminazione. Semi generanti quest’immagine di mondo
così distaccato da quello del popolo si possono ritrovare
nell’Inghilterra della Seconda Guerra Mondiale dominata da politici
in veste di divinità atte a decidere autonomamente sulla sorte
degli umani.
Ed è nell’accezione di un Monte
Olimpo infernale, dove politici urlano, nascondono verità e timori
sotto etichette menzognere degli “affari di stato”, che Joe Wright
affida l’incipit del suo L’ora più buia. La sua cinepresa
si aggira con eleganza per la Camera dei Comuni. Dall’alto discende
danzando, così da afferrare ogni singolo parlamentare, spodestarlo
dal trono celestiale, per poi gettarlo nel caos terreno. Wright si
lascia alle spalle le delusioni di Pan per riesumare il
suo estro creativo, pura commistione di immaginazione e senso di
realismo. Un’operazione qui resa possibile anche grazie al talento
di Gary
Oldman, impeccabile nei panni di Winston Churchill
tanto da essere premiato nel 2018 con un premio Oscar per la
migliore interpretazione maschile. Forte del suo passato a stretto
contatto con la polvere del teatro, Wright concepisce
l’operato del Primo Ministro inglese come un grande spettacolo
teatrale; l’impianto, però, non è più quello dello
svelamento di trucchi nascosti come in Anna
Karenina, ma è uno spettacolo nella sua essenza, fatto di
piani sequenza, uso delle finestre e porte come sipari, e una
prossemica mai causale, ma insignita di profondi significati. Ad
avvolgere di pathos l’intera opera ci pensa la musica di Dario
Marianelli, mentre a far da collante a inquadrature cariche di
sentimento e (quasi) mai di retorica, è il montaggio di Valerio
Bonelli.
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