In Into Paradiso
Alfonso (Gianfelice Imparato) è un ricercatore
scientifico napoletano recentemente licenziato che, superata la
cinquantina, deve reinventarsi una vita e trovare un nuovo lavoro.
Un suo amico gli consiglia di chiedere aiuto ad un vecchio
conoscente, ora noto politico, Vincenzo (Peppe
Servillo) e farsi raccomandare. Gayan (Saman
Anthony) è un ex campione di cricket dello Sri Lanka, che
pensa di trovare una vita migliore in Italia, rispetto ad un futuro
come modesto cronista sportivo in patria. Ad alimentare questa
illusione è stato il cugino, che ha raccontato diverse bugie sul
suo stile di vita nel nostro paese.
Gayan si ritrova così a dover
vivere in un lavatoio sul tetto di un palazzo del quartiere Cavone
a Napoli, in cui realmente vivono molti cingalesi, e a dover fare
da badante ad un’anziana signora altoborghese appassionata di
telenovele sudamericane. Vincenzo, candidato alle prossime
elezioni, viene convocato e costretto da un capo locale della
camorra a far consegnare un “pezzo” ad alcuni suoi scagnozzi, il
politico non vede persona migliore del disperato Alfonso per
svolgere questa missione, che viene illuso di stare portando un
regalo ad un fantomatico rettore di università. La consegna va male
oltre ogni aspettativa e la storia si complica. Alfonso trova
rifiugio nel palazzo dei cingalesi e nel casotto di Gayan, Vincenzo
va alla sua ricerca, con la missione di metterlo fuori gioco,
obbligato dalle minacce del camorrista.
Into Paradiso, il film
Il resto della storia quindi
si sviluppa attorno al terrazzo dal quale Alfonso non può scendere,
la sedia a cui viene legato Vincenzo per evitare di commettere
sciocchezze e il paese in cui Gayan è costretto a restare contro la
sua volontà. Il film di Paola Randi, che esce il
10 febbraio in sole 30 copie, è frutto di un’impressione: durante
una passeggiata per Napoli, la regista ha visto un gruppo di
ragazzi cingalesi giocare a cricket con accanto un gruppetto di
ragazzini italiani che giocavano a calcio. Da qui l’idea di
raccontare una storia di convivenza ma anche di costrizione, come
precisa durante la conferenza stampa Peppe
Servillo, voce degli Avion Travel
prestata al cinema, che ha un ruolo anche nella colonna sonora,
visto che le musiche sono realizzate da un altro componente del
gruppo napoletano: Fausto Mesolella.
Più che di coabitazione,
Into Paradiso narra infatti lo estraniamento e la
reazione al cambiamento dei personaggi principali. Alfonso si deve
rimettere in gioco ad un’età in cui normalmente si dovrebbero avere
delle certezze, di colpo perde il lavoro e, a causa di
Vincenzo, si trova in una situazione che non gli appartiene,
rinchiuso in un luogo che è in Napoli, ma in cui i napoletani sono
gli estranei che lo vogliono morto, mentre i normalmente
“stranieri”, i cingalesi, sono coloro che lo aiutano. Vincenzo,
d’altronde si trova costretto in una complicazione che non aveva
pianificato. E’ l’unico effettivamente in prigionia, visto come
viene legato alla sedia e reso inoffensivo dai tranquillanti che
Alfonso gli somminstra.
Gayan è invece emigrato in un paese
che non ha niente in più da offrirgli rispetto a quello di origine,
che anzi gli prometteva un lavoro adatto alle sue competenze. Il
suo problema è pratico: deve trovare i soldi per comprare il
biglietto di ritorno in Sri Lanka. Intorno a tutto ciò c’è Napoli,
che non è però protagonista ingombrante di Into
Paradiso, come spesso accade. Il tutto si racchiude nei
pochi metri quadri del casotto e nella stanza della signora bene
dove lavora Gayan. I camorristi, il motore della storia, sono
tratteggiati in maniera quasi comica, ognuno perfettamente aderente
allo stereotipo del mariuolo un po’ guascone. A differenza di ciò
che avviene in molte altre storie di questo tipo in cui i due
personaggi costretti a convivere alla fine perdono di vista il
proprio obiettivo iniziale in nome della nuova amicizia, i due
personaggi principali sono molto razionali nel perseguire la loro
missione di tirarsi fuori dai guai.
La logica di Into
Paradiso è permeata però da momenti realmente onirici: la
regista ammette infatti una certa fascinazione per gli effetti
girati nel momento di ripresa o realizzati non in postproduzione.
Fatto che dà vita a due sequenze molto interessanti che non sono un
“corpo estraneo” ma sono perfettamente inserite nella dinamica
della storia. Nella prima, Alfonso ricostruisce il delitto a cui ha
assistito e che lo ha portato in quella situazione: crea un
plastico sul quale viene proiettata, su diversi angoli, la scena a
cui ha assistito e con la quale lui interagisce. La seconda è un
sogno girato a passo uno nel quale Alfonso immagina di sedurre
l’affascinante cugina di Gayan. Queste ed altre sono alcune
soluzioni che rendono il film molto divertente, di certo con alcuni
punti da smussare, ma sicuramente una buona prima prova da regista
per Paola Randi.