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Il petroliere: la trama, il cast e il significato del film

Il petroliere: la trama, il cast e il significato del film

Considerato un film spartiacque nella carriera del regista Paul Thomas Anderson, Il petroliere ha segnato l’inizio di una nuova poetica, che trova nell’esplorazione profonda dell’animo umano una delle sue tematiche principali. Il film ha inoltre permesso al regista di consacrarsi come uno dei migliori e più importanti della sua generazione. Seguito poi negli anni da The Master, Vizio di forma e Il filo nascosto, il film, il cui titolo originale è il suggestivo There Will Be Blood, è oggi considerato uno dei migliori dal 2000 ad oggi. Vien inoltre indicato da molti come uno dei grandi capolavori contemporanei.

Dopo aver diretto Ubriaco d’amore nel 2002, Anderson si prese una lunga pausa per ponderare bene il suo progetto successivo. Fu in questo periodo che entrò in contatto con il romanzo Petrolio! di Upton Sinclair, pubblicato nel 1927. Il regista rimase estasiato da quel racconto, e decise di trarre da quelle pagine il suo nuovo film. Il petroliere non è però una fedele trasposizione, al contrario. Anderson adattò infatti soltanto le prime cento pagine, poiché in esse erano contenuti i temi e la storia di suo interesse. Per il resto, decise di dar vita ad un racconto soltanto vagamente ispirato a quello narrato nel libro.

Nel 2007 il film uscì così nei cinema di tutto il mondo, ottenendo in breve tempo recensioni estremamente entusiastiche. La critica riconobbe subito nel film del regista una lucida riflessione sullo sviluppo degli Stati Uniti e sulla nascita del capitalismo. Il petroliere venne poi candidato a ben otto premi Oscar, tra cui miglior film, miglior regista e miglior sceneggiatura. Vinse però soltanto le statuette per il miglior attore Daniel Day-Lewis e per la miglior fotografia di Robert Elswit. Con il tempo, il suo prestigio è aumentato particolarmente, fino ad essere posizionato al terzo posto nel sondaggio dedicato ai più grandi film del XXI Secolo.

Il petroliere: la trama del film

La vicenda si apre negli Stati Uniti del 1989, nel pieno di un periodo che ha visto nella ricerca del petrolio il suo unico scopo. Nel deserto del New Mexico, anche Daniel Plainview è a caccia dell’oro nero. Con il tempo, grazie alla sua intraprendenza e alla sua sete di potere, l’uomo diventa un ricco uomo d’affari, sempre pronto ad espandere i propri confini. In questo lo aiuta anche H.W., figlio che ha adottato in seguito alla morte di uno dei suoi lavoratori. Con questi si presenta infatti come un amorevole padre, influenzando positivamente i proprietari dei terreni che aspira a fare suoi. L’uomo sembra ormai totalmente corrotto dal potere raggiunto, ma questo si rivela essere anche la sua dannazione.

Si giunge al 1911, anno decisivo per Plainview. Questi, su proposta del giovani predicatore Eli, ha ora modo espandere i propri possedimenti anche a Little Boston, in California, dove sembra essere nascosto un grande giacimento di petrolio. Eli si dimostra inizialmente favorevole all’arrivo dell’uomo, ma nel momento in cui comprende che gli equilibri del paesino verranno irrimediabilmente stravolti dalla sua ricerca, decide di opporsi. Plainview si ritroverà dunque ad essere etichettato come un orco malvagio, la cui sete di potere sembra inarrestabile. Gli scontri che da qui si genereranno saranno decisivi per la morte e la rinascita dell’America capitalista.

Il petroliere cast

Il petroliere: il cast del film

Quello di Daniel Plainview è indicato come uno dei personaggi più complessi e affascinanti di sempre. L’interpretazione che il premio Oscar Daniel Day-Lewis ne ha dato è allo stesso tempo considerata una delle performance migliori della storia. Anderson ha raccontato di aver scritto il personaggio proprio pensando all’attore. Dal canto suo, Day-Lewis accettò di ricoprire la parte ancor prima di leggere la sceneggiatura completa. Noto per le sue meticolose ricerche sui personaggi che interpreta, l’attore iniziò a condurre una serie di ricerche sui cercatori di petrolio dell’epoca. Inoltre, lavorò a lungo sulla propria voce, ascoltando registrazioni di personalità dell’epoca in cui il film è ambientato. Tutto ciò lo portò ad ottenere meritatamente il premio Oscar per il miglior attore.

Altra figura chiave del film è quella del predicatore Eli Sunday, interpretato nel film dall’attore Paul Dano. Questo, in realtà, originariamente doveva interpretare il fratello Paul Sunday, un ruolo particolarmente piccolo all’interno del film. Anderson, però, rimase così colpito dalla sua interpretazione di Paul che decise di assegnarli anche il ruolo di Eli, trasformando così i due in fratelli gemelli. Anche Dano non ha poi voluto essere da meno rispetto a Day-Lewis, e condusse numerose ricerche per poter comprendere meglio la mentalità del suo personaggio principale. Pretese inoltre che, nella scene che lo richiedeva, il collega lo picchiasse realmente con schiaffi e botte varie. Ciò gli permise di rimanere nella parte e fornire una performance migliore.

Il petroliere: il significato del film

Film tanto affascinante quanto ricco di riflessioni, Il petroliere si è affermato per la sua grande capacità di dar vita ad un racconto epico incentrato sulla nascita dell’animo capitalista. Nel corso del film si assiste infatti all’ascesa di Daniel Plainview da semplice cercatore di petrolio a proprietario di un vero e proprio impero fondato sull’oro nero. L’intera narrazione mira a rendere evidente come in quel periodo storico sia germogliato il seme dell’avidità incondizionata, che ancora oggi sembra essere uno dei valori su cui si fondano le società. Plainview espande il suo dominio a scapito di chiunque, finendo in una spirale di follia che lo porta a perdere ogni contatto con l’umanità. Coloro che lo circondano, dal figlio adottivo al fratello, vengono infatti visti come meri strumenti attraverso cui poter raggiungere ulteriore potere.

La forza dominante del capitalismo è così sempre più evidente man mano che la narrazione procede. In ciò si inserisce anche una stretta connessione con la fede religiosa. Il contrasto tra Plainview ed Eli sottolinea la differenza esistente tra avidità materiale e ricerca di spiritualità. Ma con il rivelarsi della natura corrotta del predicatore, sembra emergere come anche la fede abbia infine ceduto e si sia corrotta e macchiata. Anche ciò che era sacro è infine stato vinto dal desiderio di potere e lussuria. Con il finale, la morte di questi valori sembra compiersi in modo inequivocabile. Considerato ciò, molti critici hanno ritrovato nella storia di Il petroliere una parabola sul fallimento dei principi fondativi degli Stati Uniti in nome di valori spesso opposti, e quasi sempre in senso negativo.

Il petroliere: il trailer e dove vedere il film in streaming

Film imprescindibile, è possibile fruire di Il petroliere grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti presente nel catalogo di Chili Cinema, Now TV e Netflix. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È bene inoltre notare che il noleggio prevede dei tempi di scadenza entro i quali è necessario guardare il titolo. Con un abbonamento generale, invece, si avrà modo di guardarlo senza limiti e con maggiore libertà. Il film verrà inoltre trasmesso in televisione lunedì 28 settembre, alle ore 21:15 sul canale La7.

Fonte: IMDb

Il pescatore di sogni: recensione del film con Ewan McGregor

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Il pescatore di sogni: recensione del film con Ewan McGregor

Quello che succede ad un uomo ordinario che viene catapultato suo malgrado in mezzo ad un’impresa straordinaria e un po’ folle. Questo potrebbe essere un breve e significativo commento a Il Pescatore di Sogni, la commedia romantica inglese diretta da Lasse Hallstrom e tratta dal romanzo Salmon fishing in the Yemen.

In Il Pescatore di sogni Ewan McGregor è Alfred Jones e lavora per il Ministero della Pesca e dell’Agricoltura. Emily Blunt è la signorina Harriet Chetwode-Talbot assistente di un ricco sceicco yemenita che vuole trapiantare la pesca al salmone nel suo Paese. Kristin Scott Thomas è Patricia Maxwell, portavoce del Governo britannico e alla disperata ricerca di una notizia che possa gettare una luce positiva sui rapporti tra Regno Unito e Medio Oriente. Le tre vite di questi personaggi collideranno burrascosamente e si concentreranno nella realizzazione di un progetto folle e visionario.

La sceneggiatura di Il pescatore di sogni è firmata da Simon Beaufoy è il punto forte del film: brillante, divertente, che ben caratterizza i personaggi e li colloca alla perfezione in una storia che sebbene dall’inizio sia prevedibile, non manca di fascino. Merito soprattutto del personaggio dello Sciecco, interpretato splendidamente da Amr Waked (Syriana), e che scardina il cliché del ricco uomo orientale preso dalla sua ricchezza e dalle sue mogli e ne fa un uomo di fede, in cerca di un misticismo e all’inseguimento di una visione di grandezza per il suo popolo. A lui si contrappone un impiegato banale, grigio e con la testa sulle spalle, un McGregor che si conferma ottimo interprete e ritrae un uomo tenero e inconsapevolmente insoddisfatto che scardinerà la propria vita per seguire un’emozione mai provata prima.

Anche Emily Blunt conferma il suo talento anche se forse messo al servizio di un personaggi meno interessante. Grandissima prova per la Thomas che invece mette in scena una donna solida, senza scrupoli nel lavoro così come è attenta nella vita dei suoi figli e di suo marito. Forse dietro al suo cinismo e al suo linguaggio non proprio british si nasconde una critica all’attività della stampa e alla manipolazione dei media, ma poco importa, dal momento che la Maxwell è il principale veicolo di comicità del film e si contrappone al tema romantico affidato alla coppia Blunt – McGregor.

Il pescatore di sogni racconta di un sogno, dell’importanza di un progetto nella vita e delle scelte che si compiono per realizzare proprio quei sogni che ci guidano; è un film romantico e ironico, sicuramente melenso in alcune scelte, ma ben confezionato e ben raccontato da un regista che padroneggia alla perfezione questi elementi narrativi.

Il pescatore di sogni: libro, trama e cast del film con Ewan McGregor

Celebre per film come Buon compleanno Mr. Grape, Chocolat e Hachiko – Il tuo migliore amico, il regista svedese Lasse Hallström si è sempre distinto per i suoi melodrammi, capaci di suscitare nello spettatore emozioni forti e irresistibili. Uno dei suoi film più recenti, Il pescatore di sogni (qui la recensione) è un ennesimo perfetto esempio delle capacità del regista con questo genere di storie. Egli ripropone qui un uomo ordinario catapultato suo malgrado nel pieno di un’avventura straordinaria e ai limiti del possibile, dove come sempre sarà l’amore il motore primario del tutto.

Il film è la trasposizione cinematografica del romanzo Pesca al salmone nello Yemen, scritto da Paul Torday. Pubblicato nel 2007, il libro è basato sulle vere esperienze di lavoro di Torday nel governo britannico, come anche sulla sua forte passione per la pesca al salmone e il Medio Oriente. Combinando tutti questi elementi, lo scrittore ha dato vita ad un racconto particolarmente emozionante, vincitore di numerosi prestigiosi riconoscimenti. La fama del libro lo ha dunque fatto essere sin da subito un titolo perfetto per essere portato al cinema, dove ha poi ottenuto un discreto successo insieme ad un’accoglienza critica generalmente positiva.

Per tutti gli amanti del genere, di quei film dove la forza d’animo vince su ogni ostacolo e i sogni diventano realtà, Il pescatore di sogni è un titolo da non lasciarsi sfuggire assolutamente. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi al libro, alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Il pescatore di sogni: la trama del film e le differenze con il libro

Protagonista del film è Alfred Jones, uno scienziato timido e introverso che grazie alle sue conoscenze di ittica si ritrova a lavorare per il governo britannico. Le attività che compie, tuttavia, sono quantomai monotone e contribuiscono, insieme ad un matrimonio insoddisfacente, a rendere ancor più piatta la sua già ordinaria esistenza. Per lui tutto cambia quando si ritrova inaspettatamente coinvolto dallo sceicco Muhammad nel folle progetto di questi. L’uomo, infatti, aspira ad introdurre il salmone nell’arido territorio dello Yemen. Un piano che Alfred non può che trovare ridicolo, ma al quale dovrà sottostare per volere del suo governo.

La portavoce del governo Patricia Maxwell, infatti, vede nelle intenzioni dello sceicco un modo per distogliere l’attenzione mediatica dall’ultima operazione fallimentare del governo britannico in Medio Oriente. A convincere lo scienziato a introdurre la pesca al salmone nelle acque degli altipiani dello Yemen è la visione mistica del mondo del pascià. Non sarà solo il carisma di Muhammad a conquistare Alfred, ma anche la sua assistente Harriet Chetwode-Talbot, che lo aiuterà a capire cosa vuole dalla sua vita e a smuovere la sua scialba e grigia esistenza.

Scritto come romanzo epistolare, ovvero composto da una serie di lettere, e-mail, interviste, articoli e altre tipologie di scritti, il libro necessitò di un’attenta riscrittura per la sceneggiatura. La sceneggiatrice Simon Beaufoy apprezzò molto la sfida di trarre da questa moltitudine di testi un racconto unico e coeso. Ovviamente ciò rese inevitabili alcune modifiche, che hanno portato il film a differire per buona parte dal suo testo di base. La più significativa delle differenze è quella che vede il portavoce del governo passare dall’essere un uomo nel libro a una donna nel film. Inoltre, viene resa più centrale la storia d’amore tra Alfred e Harriet.

Il pescatore di sogni cast

Il pescatore di sogni: il cast del film

Ad interpretare Alfred Jones vi è l’attore Ewan McGregor, celebre per film come Trainspotting o Big Fish. McGregor ha raccontato di aver accettato il ruolo in Il pescatore di sogni proprio per via di alcune similitudini riscontrate tra il personaggio di Jones e quello interpretato in Big Fish. Per prepararsi al ruolo, egli non solo ha letto attentamente il libro da cui il film è tratto, ma ha anche dovuto imparare a pescare a far “volare” i pesci. Dopo un lungo addestramento, l’attore è riuscito a trovare la tecnica giusta per riuscire in tale attività apparentemente semplice ma in realtà molto complessa.

Accanto a lui, nel ruolo di Harriet Chetwode-Talbot, la donna di cui Alfred si innamora, vi è l’attrice Emily Blunt, rimasta particolarmente affascinata dalle tematiche e dalla storia in sé. Ad interpretare lo sceicco Muhammad vi è invece l’attore Amr Waked, visto in popolari film come Lucy e Wonder Woman 1984. Ad interpretare la porta voce del governo, Patricia Maxwell, vi è l’attrice Kristin Scott Thomas, mentre il marito di lei è interpretato da Tom Beard. Nel film recitano poi anche Tom Mison nei panni del capitano Robert Mayers e Catherine Steadman in quelli di Ashley. Rachel Stirling, infine, è la moglie del protagonista.

Il pescatore di sogni: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire di Il pescatore di sogni grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play, Infinity+, Apple iTunes e Amazon Prime Video. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di mercoledì 6 aprile alle ore 21:00 sul canale Iris.

Fonte: IMDb

Il Peggior Natale della mia Vita: recensione del film

Il Peggior Natale della mia Vita: recensione del film

Il 22  novembre con l’uscita de Il Peggior Natale della mia Vita, ritroviamo l’imbranato Paolo in una nuova e disastrosa esperienza. È quasi Natale e Giorgio (Antonio Catania) e Clara (Anna Bonaiuto), insieme alla figlia e al genero, sono invitati a passare le feste nel castello in montagna di Alberto (Diego Abatantuono), capo e amico di lunga data di Giorgio, appena scampato alla morte.

Ne Il Peggior Natale della mia Vita il finale aperto del primo film trova riscontro nel pancione di Margherita (Cristiana Capotondi), che è quasi giunta al termine della sua gravidanza e che aspetta ansiosa l’arrivo di Paolo (Fabio De Luigi). Il marito, infatti, li raggiungerà in un secondo momento con la sua mini-car portandosi dietro una piscina portatile, affinché Margherita possa partorire in acqua, come desidera tanto. Giorgio, invece, è più preoccupato del solito perché sa che Alberto, ora incurabile ottimista, vuole godersi la vita lasciandogli le redini dell’azienda, ma ha paura che Paolo possa, come sempre, rovinare tutto. Nel castello ci sono, inoltre, la figlia di Alberto, Benedetta (Laura Chiatti), anche lei incinta, e un’inquietante quanto bizzarro maggiordomo, Pino (Dino Abbrescia). Insomma, a Paolo non mancheranno le occasioni per combinare guai e le persone alla cui incolumità attentare.

Con questo suo lungometraggio, Genovesi dimostra di aver raggiunto una certa maturità nel mettere in scena i personaggi e nel creare una storia più omogenea e bilanciata; ciò dipende sia dalla sceneggiatura, scritta come nel precedente film insieme a De Luigi, sia soprattutto dalla sua abilità nel gestire un cast così ricco di attori bravi e famosi. Si nota dall’inizio alla fine la complicità e la sintonia del gruppo attoriale, sia nei dialoghi che nei momenti di silenzio, quest’ultimi molto importanti nel creare carichi spunti comici. Inoltre, un’altra evidente differenza da La Peggior Settimana della Mia Vita, è appunto la scelta, azzeccata, di delegare battute e scene divertenti anche al resto del cast, non più solo a De Luigi; decisione che permettere di approfondire gli altri personaggi, come ad esempio quello di Margherita, molto marginale nel primo film. Un accenno ai piccoli ruoli del truccatore e del becchino, rispettivamente Ale e Franz, che seppur concentrati in poche brevi scene, creano un buon ritmo comico col trio maschile principale.

Lo scenografo è riuscito ad arredare e decorare il castello, set del film, in maniera tale da evidenziare l’aspetto fiabesco, eterno del Natale, cui mirava la produzione. Anche la selezione di certe canzoni tipiche, americane e non, e le musiche di Pivio & Aldo De Scalzi hanno contribuito allo scopo, facendo sempre percepire, sotto le risate e l’atmosfera un po’ surreale, un piacevole spirito natalizio e di affetto familiare, che cresce nel corso della storia, raggiungendo l’apice alla fine.

Decisamente migliore rispetto al primo episodio, Il Peggior Natale della mia Vita, seconda disavventura di Paolo e della sua famiglia è raccontata con più convinzione e in maniera più armoniosa, mostrando di mirare sì alla pura risata, ma senza basarsi esclusivamente su quella, e di aver espresso bene la comicità e l’anormalità che colpisce tutti durante la festività natalizia.

Il peggior Natale della mia vita: poster e sinossi ufficiale

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Il peggior Natale della mia vita: poster e sinossi ufficiale

Ecco il poster e la sinossi ufficiale de Il Peggior Natale della mia Vita, film di Alessandro Genovese sequel de La Peggior Settimana della mia vita, tratto sempre dalla famosa

Il peggior Natale della mia Vita: la conferenza stampa

Il peggior Natale della mia Vita: la conferenza stampa

Alla conferenza stampa de Il Peggior Natale della Mia Vita, tenutasi ieri mattina al The Space Moderno di Roma, era presente tutto il cast principale (Fabio De Luigi, Cristiana Capotondi, Antonio Catania, Anna Bonaiuto, Diego Abatantuono, Laura Chiatti), il regista Alessandro Genovesi, il presidente della casa di produzione Colorado Film, Maurizio Totti, e il direttore generale della Warner Bros. Pictures Italia, Niccolò Maccanico.

Il Peggior Natale della mia vita con Fabio De Luigi in TV

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Il Peggior Natale della mia vita con Fabio De Luigi in TV

peggior natale della mia vita anteprimaSerata all’insegna della comicità made in Italy quel in programma su Canale 5, infatti, andrà in onda in prima serata Il Peggior Natale della mia vita, film del 2012 diretto da Alessandro Genovesi e interpretato, tra gli altri, da Fabio De Luigi, Diego Abatantuono, Cristiana Capotondi e Laura Chiatti. Girato a Gressoney, presso il Castel Savoia è il sequel de La peggior settimana della mia vita.

Paolo deve raggiungere il castello di Alberto Caccia, dove è stato invitato a trascorrere il Natale assieme alla famiglia di Margherita, al nono mese di gravidanza. Con loro ci sarà anche Benedetta, figlia di Alberto e amica d’infanzia di Margherita, anche lei incinta. Tra disavventure e goffaggini varie, Paolo ne combinerà un’altra delle sue, arrivando a far credere a tutti, per via di un malinteso, che Alberto sia morto per colpa sua

Il paziente inglese: libro, cast e premi del film con Ralph Fiennes

Ritenuto ancora oggi uno dei più importanti film degli anni Novanta, Il paziente inglese ha segnato il suo anno con una struggente storia di avventura e passione nel drammatico contesto della Seconda guerra mondiale. All’interno di questo si ripercorre infatti la vita del conte Laszlo Almasy, ricostruita grazie a racconti, ricordi e testimonianze. Un film epico che testimonia una volta di più la grandezza della vita e la necessità di viverla al pieno delle proprie possibilità, nonostante le possibili condizioni avverse.

Il film, distribuito nel 1996, è il capolavoro del regista Anthony Minghella, ed è tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore canadese Michael Ondaatje. Questi basò il racconto sul vero esploratore Lazlo Almasy, la cui vicenda si discosta però notevolmente da quella presente nel libro. Essendo divenuto un best seller nell’anno della sua pubblicazione, il 1992, i diritti di questo vennero acquistati ben presto per una trasposizione cinematografica, le cui riprese si svolsero principalmente in Italia, tra le città di Trieste, Arezzo, Marina di Massa, Ripafratta, Venezia e negli studi di Cinecittà di Roma.

Arrivato infine in sala, Il paziente inglese si affermò come un grandissimo successo, arrivando ad incassare circa 232 milioni di dollari a fronte di un budget di soli 30. Per il film questo fu però solo uno dei primi, tanti successi. Si affermò infatti come uno dei più film amati e premiati del suo anno, incoronato con i massimi onori. Per scoprire ulteriori curiosità sul film, il suo cast e i premi vinti, sarà sufficiente proseguire nella lettura, entrando così a contatto con uno dei più grandi e intramontabili classici della storia del cinema.

Il paziente inglese: la trama del film

La vicenda si apre sul finire della Seconda Guerra mondiale, in un monastero caduto in rovina nella campagna italiana. Qui si trova Hana, un’infermiera della Royal Canadian Army, intenta a prendersi cura di un uomo in fin di vita, deturpato da gravi ustioni e quasi del tutto incapace di ricordare il proprio nome e il proprio passato. La donna lo chiama “il paziente inglese”, per via del marcato accento britannico che l’uomo sfoggia nelle poche cose che riesce a pronunciare. Desiderosa di scoprire qualcosa di più sull’uomo, la donna inizia a leggere il libro ritrovato nella borsa di lui, all’interno del quale si ritrovano fotografie, appunti scritti a mano, itinerari e molto altro. Tutti elementi che permettono di ricostruire la vita del morente paziente inglese.

I ricordi che si accinge a leggere per sé e per l’uomo, però, risultano essere particolarmente dolorosi, testimonianza di un trascorso turbolento e struggente. La donna arriva così a scoprire la vera identità dell’uomo, i suoi viaggi e il suo amore proibito con la bella Katharine. Accanto ai due, nel mentre, si avvicenderanno una serie di bizzarri personaggi, alcuni dei quali aiuteranno Hana a fare luce sugli ultimi aspetti del passato del paziente inglese. Le ultime pagine del racconto, però, si riveleranno le più inaspettate e drammatiche, portando alla luce ricordi che forse avrebbero dovuto rimanere sepolti nel passato.

Il paziente inglese cast

Il paziente inglese: il cast del film

Per dar vita ai personaggi del romanzo, i produttori si sono assicurati la partecipazione di alcuni tra i maggiori interpreti di quegli anni, affidandosi ad attori inglesi, francesi o americani. Protagonista assoluto nel ruolo del paziente inglese è Ralph Fiennes. Oggi noto per aver dato volto al malvagio Lord Voldemort di Harry Potter, l’attore si sottopose per il suo ruolo in Il paziente inglese a grandi trasformazioni fisiche. Per applicare il trucco delle ustioni sull’intero suo corpo, Fiennes sopportò un processo lungo oltre cinque ore, durante le quali si impegnò per entrare nello stato mentale richiesto per il suo personaggio. Ancora oggi la sua interpretazione in questo film è considerata una delle più belle della sua carriera.

Accanto a lui nel film si ritrova poi l’attrice Juliette Binoche nel ruolo dell’infermiera Hana. L’attrice raccontò di aver voluto far parte del film sin dalla prima lettura della sceneggiatura, rapita dalla bellezza struggente della storia. La celebre attrice Kristin Scott Thomas, invece, interpreta Katharine, ruolo per il quale si propose personalmente, riuscendo infine ad ottenerlo. Colin Firth è invece Goeffrey Clifton, amico del paziente inglese e marito di Katharine, mentre l’attore Naveen Andrews dà vita all’affascinante artificiere Kip. Particolarmente importante è infine il personaggio di David Caravaggio, misterioso agente dell’intelligence canadese che aiuta a far luce sul protagonista. Per interpretarlo, i produttori avevano preso in considerazione l’attore Sean Connery. Dopo il rifiuto di questi, la parte venne allora assegnata a Willem Dafoe.

Il paziente inglese: i premi, il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

Come accennato precedentemente, il film si rivelò essere il maggior vincitore di alcuni tra i più importanti riconoscimenti dell’industria hollywoodiana. Dopo aver vinto premi ai Satellite Award, agli European Film Awards, ai Bafta Awards e ai Golden Globe, Il paziente inglese conquistò ben 13 nomination ai prestigiosi premi Oscar. Qui finì poi con il vincere i maggiori onori, tra cui miglior film e miglior regia. La Binoche vinse il premio come miglior attrice non protagonista, mentre Fiennes e la Thomas dovettero accontentarsi rispettivamente della nomination come miglior attore e miglior attrice. Tali vittorie portarono naturalmente il film ad essere indicato come il più importante del suo anno e tra i più importanti del decennio.

Per gli appassionati del film è possibile fruire di questo grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Il paziente inglese è infatti disponibile nel catalogo di Chili Cinema, Google Play, Apple iTunes, Tim Vision e Now TV. Per vederlo, basterà sottoscrivere un abbonamento generale o noleggiare il singolo film. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si ha soltanto un determinato periodo di tempo entro cui vedere il titolo. Il film sarà inoltre trasmesso in televisione il giorno mercoledì 17 maggio alle ore 21:30 sul canale La7 D.

Fonte: IMDb

Il patto del silenzio: recensione del nuovo film al cinema

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Il patto del silenzio: recensione del nuovo film al cinema

Il patto del silenzio (titolo originale Un monde) è una nuova pellicola drammatica scritta e diretta dalla regista emergente belga Laura Wandel. La pellicola, presentata a diverse premiazioni cinematografiche, ha già ricevuto alcuni riconoscimenti: ha ottenuto il premio Magritte come miglior opera prima, miglior regista alla Wandel, miglior promessa maschile e femminile, miglior attrice non protagonista e miglior sonoro.  Inoltre, la pellicola era stata selezionata per rappresentare il Belgio agli Academy Awards 2022 per la categoria miglior film straniero. Nel cast ritroviamo tutte figure nuove e sconosciute al cinema internazionale: Maya Vanderbeque interpreta la piccola Nora, mentre Günter Duret è nei panni di Abel, fratello maggiore di Nora.

Il patto del silenzio: la scuola diventa incubo

Nora è una bambina timida di sei anni: Il patto del silenzio si apre al suo primo giorno di scuola. Nora si affaccia ad una nuova realtà fatta di regole, socialità e gioco. Abel è un bambino chiuso e triste, per lui la  scuola è diventata semplicemente un incubo, ma nessuno sembra notarlo. Durante la ricreazione in cortile Nora scopre il segreto del fratello: è giornalmente vittima di bullismo e di soprusi vari da parte di un gruppo di ragazzini più grandi. Nora cerca di aiutare il fratello per quanto possibile: avvisa le maestre per farle intervenire, ed alla fine, pur avendo promesso ad Abel di mantenere il segreto dei suoi problemi a scuola, racconta tutto al padre.

L’intervento del genitore, ignaro all’inizio di tutto, non sembra risolvere la situazione: le aggressioni ad Abel diventano sempre più umilianti. Nora, la quale inizialmente riuscì a fare amicizia con le altre bambine, viene esclusa per via di suo fratello. Così anche tra Abel e Nora, sempre uniti fino ad ora, inizieranno a crearsi dei contrasti.

Un dramma statico

Il patto del silenzio in se è caratterizzato da una trama molto semplice e lineare, senza particolari intrecci temporali o colpi di scena. Il film si incentra solo sull’aspetto emotivo: pur mantenendosi molto statico dal punto di vista narrativo, riesce comunque ad emozionare lo spettatore. La pellicola riesce a mantenere l’attenzione del pubblico anche grazie alla sua brevità: il patto del silenzio dura soli 72 minuti.

Gli elementi che favoriscono questa accentuata drammaticità sono le performance dei due piccoli attori che interpretano Nora ed Abel, e la curiosa scelta di una totale assenza di qualsiasi sottofondo musicale durante tutto il film. Nora, che all’inizio del film sembrerà solo una bambina timida e chiusa, mostra nell’evolversi delle vicende prima un particolare coraggio e senso della giustizia verso ciò che accadeva al fratello, e poi un odio per l’ingiustizia di essere esclusa solo per via di Abel. La bambina finirà per sfogare questa sua rabbia sullo stesso fratello.

La questione del background musicale risulta anche più interessante: solitamente in moltissimi film viene utilizzata una qualche forma di accompagnamento musicale, almeno nei momenti più importanti nelle vicende. In Il patto del silenzio sembra proprio prevalere la quiete; momenti di silenzio topico, come Nora nella piscina della scuola che osserva i suoi compagni, sembrano alternarsi a momenti di caos ed urla dei bambini, prevalentemente nei corridoi durante gli intervalli o nel cortile.

Il bullismo: una violenza senza fine

Tema focale di Il patto del silenzio è proprio il bullismo. Nella pellicola vengono mostrate due tipologie di comportamento differenti  dei bambini. Prima, attraverso le amicizie che in breve tempo fa Nora, si nota la bontà propria dei più piccoli: questi la invitano a giocare, le insegnano ad allacciarsi le scarpe. L’onesta propria dei bambini si manifesta però anche nelle critiche e prese in giro: dopo un piccolo umiliante incidente in mensa, Abel finirà per essere non più solo vittima delle angherie dei bulli, ma anche delle battute di tutti i bambini. Purtroppo, la sincerità dei bambini non ha limiti.

Analizzando più da vicino il tema del bullismo, si vede come la rabbia e  la violenza mostrata a questa così giovane età porti dei seri danni ai bambini, delle insicurezze poi difficili da estirpare. Abel è così rassegnato al fatto di essere una vittima che non reagisce in alcun  modo, ne direttamente contro i suoi aggressori, ne parlando con gli adulti. Ciononostante, il bambino coltiva dentro di se una rabbia ed un senso di umiliazione che si scatenerà alla fine anche qui in violenza contro i più deboli. Si genera così una catena di rabbia e violenza senza fine, e difficile da estirpare. Sarà Nora a salvare suo fratello dal diventare egli stesso carnefice.

Il patto del silenzio – Playground da 2 marzo al cinema

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Il patto del silenzio – Playground da 2 marzo al cinema

In occasione della Giornata Mondiale contro il bullismo e il cyberbullismo che si celebra annualmente il 7 febbraio – data simbolica che vuole rappresentare un’occasione per riflettere su un fenomeno ancora troppo diffuso e su quali  possano essere gli strumenti più idonei per impedire che episodi di prevaricazione continuino ad accadere e che possano aiutare ragazzi e ragazze nel riconoscere le forme di bullismo/cyberbullismo e scoprire come difendersi – Wanted Cinema ha rilasciato il trailer italiano de Il patto del silenzio – Playground. Il film è la sorprendente opera prima della regista belga Laura Wandel che racconta la realtà del bullismo scolastico con un tocco delicato e al contempo deciso, tutto femminile.

Dopo una calorosa accoglienza in numerosi festival internazionali, altrettanti riconoscimenti tra cui il Premio Fipresci come Miglior film a Cannes 2021 e la recente candidatura agli Academy Awards 2023 in rappresentanza del Belgio, Il patto del silenzio – Playground  è in arrivo nei cinema italiani a partire dal 2 marzo distribuito da WANTED CINEMA.

Il patto del silenzio – Playground è interpretato dall’esordiente Maya Vanderbeque, che nel film è Nora, una bambina di sette anni dall’indole introversa che assiste ad alcuni episodi di bullismo che si verificano nella sua scuola elementare, la cui è vittima è il fratello maggiore Abel (Günter Duret). La bambina cerca di attirare l’attenzione degli inseganti e del padre, ma Abel tiene tutto segreto per non subire le ritorsioni dei suoi compagni aguzzini. Il ragazzino troverà come unica via d’uscita quella di adottare gli stessi comportamenti dei suoi aguzzini, rischiando di trasformarsi da vittima in carnefice. Il patto del silenzio – Playground , nei cinema dal 2 marzo con Wanted Cinema, è un’indagine psicologica nel mondo del bullismo scolastico brillantemente interpretata da due giovanissimi esordienti. Un film prezioso per tutti, e, in particolare, per insegnanti, genitori e figli.

 La trama

Nora, al suo primo anno di scuola, inizia a frequentare lo stesso istituto di suo fratello maggiore Abel. Quando assiste a un atto di bullismo nei confronti di Abel da parte di altri bambini, Nora, scioccata, cerca di proteggerlo avvertendo il padre e le insegnanti. Ma Abel la costringe a rimanere in silenzio. Intrappolata in un conflitto di lealtà, Nora dovrà cercare con difficoltà di trovare il suo posto nel nuovo ambiente, divisa tra il mondo dei bambini e quello degli adulti.

Il patriota: la storia vera dietro il film con Mel Gibson

Il patriota: la storia vera dietro il film con Mel Gibson

Sebbene ricrei la storica Rivoluzione Americana, la vera storia di Il patriota è molto diversa da quella vista sullo schermo. Nel film, Benjamin Martin (Mel Gibson) è un veterano della guerra franco-indiana che ora vive da vedovo con i suoi numerosi figli. Martin è inizialmente riluttante a combattere contro gli inglesi, ma quando il malvagio leader delle giubbe rosse, il colonnello William Tavington, uccide uno dei suoi figli, Martin recluta una milizia e la guida in una campagna di guerriglia altamente efficace contro le forze britanniche nella Carolina del Sud.

Il patriota è stato ampiamente criticato per aver ridotto la guerra d’indipendenza americana alla missione di vendetta di un solo uomo. Tuttavia, alcuni aspetti del film sono basati su una storia vera, da diversi personaggi principali alle tattiche di battaglia utilizzate. Nonostante queste ispirazioni, ci sono ancora più aspetti del film che sono stati criticati per essere invenzioni complete e offensive, nonché momenti che ignorano aspetti chiave della storia. Nel complesso, la vera storia di Il patriota rispetto al film crea un’eredità complicata.

Benjamin Martin è basato principalmente su Francis “Swamp Fox” Marion

Il Il patriota è un ottimo esempio di film ispirato alla storia ma con molti elementi di finzione nella trama. Non esisteva alcun leader della milizia patriota chiamato Benjamin Martin che abbia combattuto nella guerra d’indipendenza, e i dettagli della vita e della famiglia di Benjamin sono inventati. Tuttavia, nel featurette del DVD “True Patriots”, lo sceneggiatore Robert Rodat spiega che Benjamin è basato su diversi personaggi storici reali: Francis “Swamp Fox” Marion, Thomas Sumter, Nathanael Greene, Andrew Pickens e Daniel Morgan.

Francis Marion sembra essere stato l’influenza principale, poiché molti dettagli del personaggio di Benjamin – tra cui il suo ruolo nella guerra franco-indiana, il suo uso di tattiche di guerriglia, il suo raduno e la sua leadership dei miliziani e il suo uso di imboscate per raccogliere informazioni – sono tratti direttamente dalla biografia di Marion. La creazione di un personaggio immaginario anziché l’utilizzo di una figura storica fornisce a Il patriota una scusa per tralasciare dettagli che sarebbero stati più difficili da tollerare per il pubblico moderno in un presunto eroe.

Ad esempio, i personaggi afroamericani che lavorano nella casa e nei campi di Benjamin sono descritti come schiavi liberati che rimangono sconvolti quando vengono portati via con la forza per combattere per gli inglesi. Francis Marion, tuttavia, era un proprietario di schiavi che aveva la reputazione di violentare le sue schiave e durante la guerra prese di mira e giustiziò gli schiavi liberati che erano sospettati di collaborare con gli inglesi. Era anche noto per la persecuzione e il massacro degli indiani Cherokee, che nel film è stato riscritto come un singolo episodio bellico che Benjamin Martin considera la sua più grande vergogna e il suo più grande rimpianto.

Jason Isaacs il patriota
Jason Isaacs in il patriota

William Tavington è vagamente ispirato a Banastre Tarleton

Il cattivo principale di Il patriota è invece il malvagio William Tavington, interpretato da Jason Isaacs, che si ispira al vero soldato e politico britannico Sir Banastre Tarleton. Il vero Tarleton guidò le forze britanniche nella battaglia di Cowpens (al centro del terzo atto del film) e fu incaricato di stanare e catturare la Mariion quando si rivelò un problema per le forze britanniche nella Carolina del Sud. Come Tavington nel film, non ebbe successo. A Tarleton fu dato il soprannome di “il Macellaio”, ma non a causa del suo trattamento brutale dei civili. Il soprannome derivava da una singola battaglia, la battaglia di Waxhaws, durante la quale Tarleton fu colpito mentre era a cavallo e rimase intrappolato sotto di esso.

Mentre lui non era in grado di dare ordini, i suoi uomini, temporaneamente senza un capo, continuarono a uccidere i soldati continentali, molti dei quali si stavano arrendendo o non opponevano resistenza. L’esercito continentale utilizzò il “massacro di Waxhaws” in una campagna di propaganda contro gli inglesi, concentrandosi su Tarleton come il cattivo della storia. La campagna ebbe molto successo e “Tarleton’s Quarter” divenne un modo di dire che significava non fare prigionieri. Tuttavia, Tarleton non era il mostro assassino di bambini che è invece William Tavington nel film, e l’atto più mostruoso di Tavington non è mai avvenuto.

Gli inglesi non hanno bruciato una chiesa piena di civili

Una delle scene più controverse del film Il patriota è quella in cui Tavington mette alle strette un gruppo di cittadini, tra cui donne e bambini, che si sono riuniti per pregare in chiesa, e ordina ai suoi uomini di chiudere le porte con un lucchetto e bruciare la chiesa con loro all’interno. Sebbene durante la guerra d’indipendenza ci siano state vittime civili e edifici bruciati, non vi è alcuna traccia di un evento simile commesso da entrambe le parti. Il film è stato pesantemente criticato per questa scena, sia perché dipinge in modo fuorviante l’esercito britannico come cattivo, sia perché sminuisce l’orrore di un’atrocità simile avvenuta nella realtà.

Una versione di questo incendio di una chiesa fu commessa quasi 200 anni dopo da una divisione Panzer delle SS durante la seconda guerra mondiale, quando gli abitanti del villaggio di Oradour-sur-Glane, nella Francia occupata dai nazisti, furono radunati e massacrati. A un certo punto, le persone furono radunate nella chiesa locale e poi furono lanciate delle granate, mentre mitragliatrici sparavano su chiunque tentasse di fuggire dalle finestre. Tra le vittime c’erano 247 donne, 205 bambini e tre sacerdoti.

Skye McCole Bartusiak e Mel Gibson in Il patriota
Skye McCole Bartusiak e Mel Gibson in Il patriota

Il patriota edulcora pesantemente la schiavitù

L’altro aspetto principale in cui l’inesattezza storica de Il patriota è considerata particolarmente grave è l’edulcorazione del trattamento riservato agli schiavi e agli schiavi liberati dall’esercito continentale in generale, e da Francis Marion in particolare. I personaggi di colore nel film sono ritratti come uomini e donne liberi che si guadagnano da vivere lavorando la terra di Benjamin Martin, che amano la sua famiglia e sono trattati come membri della famiglia stessa. Si tratta di un’affermazione particolarmente problematica, dato il trattamento riservato da Marion ai propri schiavi.

Sia l’esercito britannico che quello americano cercarono di motivare gli schiavi a combattere per loro offrendo loro la libertà e persino un compenso dopo un periodo di servizio, e molti schiavi fuggirono per combattere per i britannici contro i loro ex proprietari. In Il patriota, tuttavia, il fatto che gli schiavi liberati della famiglia Martin vengano radunati per combattere per gli inglesi è trattato come un momento triste, mentre Occam, donato alla milizia di Benjamin Martin dal suo proprietario e che guadagna la libertà attraverso il servizio, è presentato come una trama trionfante.

Il regista Spike Lee ha espresso con particolare veemenza il suo disgusto per il modo in cui The Patriot ha trattato la schiavitù all’epoca (tramite The Guardian): “Per tre ore Il patriota ha eluso, aggirato o completamente ignorato la schiavitù. Com’è conveniente… che il personaggio di Mel Gibson non sia uno schiavista… Il patriota è pura e palese propaganda hollywoodiana americana. Una completa mistificazione della storia”.

Il patriota è storicamente accurato nelle scene di battaglia

Sebbene non sia affatto il film di guerra più accurato, le sequenze di battaglia sono gli aspetti storicamente più accurati di Il patriota. Il film ritrae due battaglie chiave della guerra d’indipendenza americana: la battaglia di Camden (che Gabriel e Benjamin osservano da lontano) e la battaglia di Cowpens (la battaglia finale del film). La vista delle forze americane e britanniche che marciano rigidamente l’una verso l’altra attraverso un campo e poi si fermano e rimangono completamente esposte in colonne ordinate mentre sparano con i loro fucili può sembrare strana rispetto alle tattiche più moderne.

 

Una scena di battaglia in Il patriota
Una scena di battaglia in Il patriota

 

Tuttavia, all’epoca, le armi da fuoco richiedevano molto tempo per essere ricaricate (nel migliore dei casi, un soldato poteva sparare circa tre colpi al minuto) e non erano particolarmente precise anche quando mirate alla perfezione (la scena in cui Benjamin e i suoi due figli sparano ai Redcoats con precisione millimetrica è molto irrealistica). Ciò significava che la chiave per la vittoria in una battaglia aperta era mantenere la formazione e sparare il più rapidamente possibile, perché in formazione i soldati diventavano più forti della somma delle loro parti.

Quaranta uomini in formazione che sparavano nella stessa direzione generale avrebbero colpito più bersagli rispetto agli stessi quaranta uomini sparsi sul campo di battaglia che cercavano di mirare a bersagli specifici. Mentre una linea di soldati si abbassava per ricaricare, la linea dietro di loro poteva prendere la mira e sparare la successiva raffica di colpi. La vittoria poteva anche essere ottenuta costringendo la parte avversaria a rompere la propria formazione, cosa che nella battaglia di Camden fu ottenuta attraverso una carica alla baionetta alla quale le forze americane non erano preparate e che le fece andare nel panico e disperdersi.

I soldati americani nella battaglia di Cowpens erano guidati dal generale Daniel Morgan, uno degli uomini su cui è basato Benjamin Martin, e la scena in cui ai membri della milizia viene chiesto di sparare solo due colpi e poi fingere una ritirata è realmente accaduta. Il piano era stato ideato per attirare le forze britanniche in avanti, facendogli credere di aver messo in fuga gli americani, solo per condurli in una raffica preparata di colpi di moschetto seguita immediatamente da una carica alla baionetta. Da questo punto di vista, dunque, Il patriota sfoggia le sue carte vincenti.

Il patriota: curiosità da sapere sul film con Mel Gibson

Il patriota: curiosità da sapere sul film con Mel Gibson

Regista di alcuni tra i più celebri film catastrofici di sempre, Roland Emmerich ha diretto nel corso della sua carriera anche film non legati a tale genere. Tra questi, in particolare, spicca Il patriota, lungometraggio del 2000 che segna per Emmerich un incursione nel dramma storico dopo aver diretto Godzilla e prima di dar vita a The Day After Tomorrow. Scritto da Robert Rodat, già autore di Salvate il soldato Ryan e Kursk, questo presenta una storia originale ambientata però nel violento contesto della Guerra di indipendenza americana, toccando dunque tutte le principali tematiche relative a questo brutale scontro.

Per Rodat ed Emmerich, dunque, era fondamentale dar vita ad un racconto che fosse storicamente accurato, così da poter rendere più libero le vicende che invece seguivano sviluppi frutto di fantasia. Nonostante tale volontà, Il patriota divenne particolarmente noto per le numerose controversie circa la rappresentazione di alcuni eventi e personaggi, i quali sembrano avere poco a che fare con la realtà dei fatti. In particolare, il film sembra distorcere il delicato concetto di patriottismo, sfociando in una violenza spesso inaudita. Nonostante tali critiche, il film riuscì ad ottenere un buon risultato al box office.

Il patriota arrivò infatti a guadagnare 215 milioni di dollari, ottenendo anche tre nomination ai premi Oscar per la miglior fotografia, la miglior colonna sonora e il miglior sonoro. Se visto con la consapevolezza dei suoi limiti storici, il film rimane indubbiamente un titolo particolarmente affascinante e coinvolgente. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Skye McCole Bartusiak e Mel Gibson in Il patriota
Skye McCole Bartusiak e Mel Gibson in Il patriota

La trama di Il patriota

La vicenda narrata si svolge nel 1776, nella Carolina del Sud coloniale. Benjamin Martin, un eroe di guerra franco-indiano ossessionato dal suo passato, ora non vuole altro che vivere in pace nella sua piccola piantagione e non intende partecipare a una guerra con la nazione più potente del mondo, la Gran Bretagna. Nel frattempo, però, i suoi due figli maggiori, Gabriel e Thomas, non vedono l’ora di arruolarsi nel neonato Esercito Continentale. Quando la Carolina del Sud decide di unirsi alla ribellione contro l’Inghilterra, Gabriel si iscrive immediatamente per combattere, senza il permesso di suo padre.

Ma quando il colonnello William Tavington, famoso per le sue tattiche brutali, arriva e dà alle fiamme il loro villaggio, la tragedia colpisce duramente Benjamin. Più addolorato che arrabbiato, egli sembra non possedere più alcuno spirito combattivo, ma lasciare che gli inglesi conquistino la sua terra non è concepibile e con grande sforzo Benjamin decide di imbracciare le armi per un’ultima volta. Egli si ritrova dunque rapidamente combattuto tra il dover proteggere la sua famiglia e cercare vendetta, oltre a far parte della nascita di una nuova, giovane e ambiziosa nazione.

Il cast del film

Mentre scriveva la sceneggiatura del film, Rodat aveva da subito pensato a Mel Gibson come interprete ideale di Benjamin Martin. Per sottolineare tale volontà, descrisse il personaggio come padre di sei figli, proprio quanti ne aveva realmente Gibson. Quando però all’attore nacque anche il settimo figlio, anche Benjamin ne guadagnò uno in più. Prima di proporre il ruolo al premio Oscar, però, i produttori contattarono Harrison Ford, il quale però rifiutò ritenendo il film troppo violento. Scelto dunque Gibson per il ruolo, egli fu pagato la cifra record di 25 milioni di dollari.

Accanto a lui, nel ruolo della moglie Charlotte, vi è l’attrice Joely Richardson, mentre Gregory Smith interpreta il figlio Thomas Martin. Heath Ledger, qui in uno dei suoi primissimi ruoli di rilievo, interpreta il figlio Gabriel. Tale personaggio ha segnato una svolta nella sua carriera, poiché fino a quel momento egli riceveva solo offerte per ruoli da adolescente. Tra gli altri figli di Benjamin si ritrovano anche Trevor Morgan come Nathan, Logan Lerman come William e Skye McCole Bartusiak come Susan. L’attore Jason Isaacs interpreta lo spietato colonnello William Tavington, mentre Chris Cooper è il colonnello Harry Burwell e Tom Wilkinson il generale Charles Cornwallis, realmente esistito.

Il patriota cast

Le candidature all’Oscar di Il patriota

Il patriota ha poi  ricevuto 3 candidature agli Oscar. Il film è stato nominato per migliore fotografia (Caleb Deschanel), miglior colonna sonora originale (John Williams) e miglior sonoro. Tuttavia, non ha vinto in nessuna di queste categorie. La statuetta per la fotografia andò a La tigre e il dragone, come anche quella per la colonna sonora ad opera di Tan Dun. Il premio per il sonoro fu invece conquistato da Il gladiatore, il grande vincitore di quell’edizione. Nonostante le sconfitte, le nomination testimoniano il riconoscimento tecnico e artistico ricevuto dal film.

Il trailer di Il patriota e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire del film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Il patriota è infatti disponibile nei cataloghi di Apple iTunes e Prime Video. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di giovedì 12 gennaio alle ore 21:25 sul canale Nove.

Fonte: IMDb

Il pasticciere recensione del film con Antonio Catania

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il pasticciereIngenuo e sensibile pasticciere diabetico, Achille Franzi (Antonio Catania) ha passato l’esistenza chiuso in un laboratorio, cucinando dolci per gli altri e seguendo pedissequamente i consigli del defunto padre. Un manuale che egli applica in maniera rigorosa anche nella vita quotidiana, ricercando in essa l’ordine e la rassicurante prevedibilità tipiche delle ricette.

Ma un giorno si ritrova costretto ad affrontare il mondo esterno e i suoi pericoli, vestendo i panni di un finanziere spregiudicato coinvolto in una super truffa. Il viaggio che intraprende verso la vicina Croazia, desolata e spettrale “terra di nessuno”, lo farà entrare in un giro malavitoso dal quale non potrà più uscire, aiutato e al tempo stesso intralciato dalla sensuale Angela (Rosaria Russo), e da un falso avvocato (Ennio Fantastichini). Su di lui indaga una scrupolosa poliziotta (Sara D’amario), decisa ad identificare e far crollare il macchinoso gioco ordito ai danni dello stesso pasticciere.

Il regista Luigi Sardiello, qui anche autore del soggetto e della sceneggiatura, ha cercato con Il Pasticciere di unire generi diversi, facendo incontrare gli elementi tipici del noir con una commedia agro-dolce ai limiti del surreale. Ecco allora che le grigie ambientazioni notturne, le figure dei “cattivi” e il topos dell’omicidio vengono (forzatamente) accostati alla figura del “buono”, dell’individuo candido e ingenuo che sembra non avere la benché minima cognizione di come possa essere spietata la vita “reale”. Un’operazione che, seppur encomiabile nei suoi intenti e – in fondo – nella sua originalità, non ha dato i frutti sperati, quei frutti che ci si sarebbero potuti aspettare da un’idea di partenza niente affatto male, ma anche – diciamocelo – dalla presenza del solitamente bravo Antonio Catania.

E in effetti, l’interessante spunto iniziale soffre per la sceneggiatura mal sviluppata,  per una trama che mostra qua e là delle crepe, mancando spesso di credibilità nello sviluppo delle situazioni come dei personaggi (vedasi, ad esempio, la scena dei due poliziotti imbambolati dalle spiegazioni di Achille che ha appena sotterrato un pc).

Anche i dialoghi sono privi di ritmo, e peccano dell’ingenuità che dovrebbe appartenere unicamente al protagonista, ma che invece finisce per contagiare anche il resto dei personaggi. Un candore che risulta mal costruito a monte, nello script, e che porta anche un attore come Catania (sempre apprezzabile nelle sue precedenti e svariate performance) ad avere difficoltà nel trovare le giuste sfumature per il suo Achille. Il risultato è un calcare troppo la mano sulla purezza del personaggio, rendendola eccessiva e a tratti fuori luogo, quasi inverosimile.

Rosaria Russo, nei panni di Angela, interpreta una figura di donna stereotipata, la bella prostituta straniera alla mercè del criminale di turno, e lo stesso Fantastichini stenta nel dare al suo “avvocato” un volto ed una psicologia verosimili.

Insomma, forse ci si aspettava qualcosa in più dal “Pasticciere”, anche pensando a quel Premio Speciale “Cinebo Award” che il film si è portato a casa alla XIV edizione del Festival del Cinema Europeo di Lecce. Ed è un peccato, date le discrete potenzialità  di quello che, per il regista, è il secondo lungometraggio, preceduto dal “Piede di Dio” che nel 2009 gli valse diversi premi.

Sembra quasi che, nel suo tentativo di dare forma ad un <<film di confine>>, nella confusa ricerca del mix noir/commedia amara, Sardiello abbia fatto il passo un po’ più lungo della gamba. Come il suo protagonista.

Il Pasticciere la conferenza stampa con Antonio Catania

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il pasticciereAl cinema Barberini di Roma, Luigi Sardiello ha presentato alla stampa Il Pasticciere, suo secondo lungometraggio prodotto da Alessandro Contessa per la Bunker Lab. In sala, oltre al regista e alla produzione, erano presenti i protagonisti Antonio Catania e Rosaria Russo. Il film uscirà nelle sale il 31 ottobre.

Com’è nata l’idea di Il pasticciere?

L. S.: Ho voluto prendere un genere, quello del noir, e utilizzarne tutti i topoi – l’ambientazione del posto isolato, di una “terra di nessuno”, la figura del cattivo, quella della dark lady ecc – e mettere in mezzo un personaggio che in tutto ciò non c’entrava niente, un personaggio puro, candido. E questo genera poi delle situazioni che sono grottesche, ibride, sul filo dell’agro-dolce.

A. C.: Effettivamente il mio è un personaggio (Achille Franzi, ndr) candido, una sorta di foglio bianco. È difficile trovare un uomo così oggi. Ma forse rappresenta simbolicamente quello che in fondo ognuno di noi sente di avere dentro di sé. La nostra tendenza a chiuderci deriva infatti dalle difficoltà di affrontare il mondo, con la sua spietatezza ecc. Con la sua arte, lui riporta le “dosi” e l’ordine tipici della pasticceria, il suo candore e la sua perfezione, e le riporta solo agli altri (dato che, essendo diabetico, non può mangiare dolci). Questo cavaliere senza macchia sarà poi costretto a rapportarsi col mondo esterno, non potrà per sempre vivere in una campana di vetro.

Sei stato ispirato da film come Mine vaganti di Ozpetek per la scena finale, o magari da Hitchcok per le suggestività stile noir?

L. S. : No, anche perché il film è stato scritto prima di Mine vaganti, per quanto riguarda la scena finale mi sento di dire che Il pasticciere semplicemente andava in quella direzione. È chiaro invece che Hitchcock è un riferimento obbligato in questo tipo di film, in cui c’è un uomo alle prese con una situazione più grande di lui, un uomo “anormale” in un contesto purtroppo “normale”.

Ci sono dei momenti in cui la trama sembra mancare di credibilità, mostra delle crepe, degli intoppi, come per esempio il protagonista che ad un certo punto diventa un “cattivo”… Che ne pensa?

L. S. : Il problema della credibilità me lo sono posto, ma del resto è insito nella stessa trama del film. Per quanto riguarda la bontà del personaggio non sono riuscito a renderlo buono fino alla fine, ma volevo che optasse per una scelta comunque etica nel finale. Ed è lì che si riappropria della sua infanzia, che torna al se stesso da bambino… C’è un’escalation, ma io non credo che diventi del tutto un “cattivo”.

A. C.: Beh direi forse che il confine Achille lo oltrepassa quando uccide la vecchia, a quel punto c’è un bisogno di redenzione, deve in qualche modo pagare per quello che ha fatto – lì siamo di fronte ad un “vero” omicidio.

Perché ha scelto proprio la Croazia come “terra di nessuno”?

L.S.: A me serviva un luogo dove si mescolassero tante lingue diverse, tante identità diverse che portano poi ad una non-identità. Ho scelto la Croazia anche per motivi di copione, per la vicinanza, e poi perché mi ha sempre affascinato come Paese.

I caratteri femminili sembrano essere più forti rispetto a quelli maschili. Quanto questo è stato voluto e quanto è invece dipeso dalla performance delle attrici?

L.S.: Quelli femminili sono due personaggi per i quali avevo molta simpatia, e volevo vedere che sarebbe successo se alla fine le due donne si fossero incontrate, dopo aver seguito due percorsi diversi. Una è una donna che non ha mai potuto scegliere, e che ha quindi usato il suo corpo per sopravvivere come poteva. L’altra avrebbe voluto anche lei fare scelte diverse (la famiglia, ecc). Ma sono entrambe due donne, e riescono a cavarsela grazie alle loro capacità, al loro intuito.

R.R.: In realtà io non vedo Angela, il mio personaggio, come una donna forte, anzi secondo me è una donna molto fragile. Per me il vero personaggio forte è il pasticciere stesso. Comunque l’importante non è che il personaggio sia forte o meno, ma l’evoluzione che esso compie.

Il Passato trailer del film con Bérénice Bejo

Il Passato trailer del film con Bérénice Bejo

Il Passato, candidato all’Oscar per l’Iran, uscirà tra due giorni in Italia. Ecco il trailer del film di Asghar Farhadi che è valso alla protagonista Bérénice Bejo il premio come Migliore Attrice a Cannes.

Il passato recensione del film di Asghar Farhadi

Il passato recensione del film di Asghar Farhadi

il passato recensioneA distanza di due anni dal pluripremiato Una separazione, il regista iraniano Asghar Farhadi torna con Il passato, il primo film francese della sua carriera, in uscita il 21 novembre. La pellicola, presentata a Cannes nel 2013, ha consegnato il premio come migliore attrice alla protagonista Bérénice Bejo (l’eloquente volto di The Artist).

Cosa succede quando il passato bussa alla porta dopo un periodo di latitanza rivelando la sua intonsa forza di incidere ancora sui ricordi e i sentimenti? Sono passati quattro anni e, anche se Ahmad (Alì Mosaffa) torna a Parigi dall’ex moglie Marie (Bérénice Bejo) solo per formalizzare il divorzio e scrivere la parola fine al loro passato insieme, si ritroverà soffocato da un guazzabuglio di relazioni frammentarie, scomode verità e sibillini conflitti. Marie adesso sta con Samir (Tahar Rahim) ma la loro è una relazione che vive di fraintendimenti e sensi di colpa, frenata da un passato doloroso, in bilico tra la vita e la morte. E Lucie, la primogenita di Marie, divorata dall’angoscia del suo segreto, proprio non riesce a mandare giù la nuova vita che la madre ha scelto per loro.

il passato recensione poster originaleIl regista iraniano sceglie la casa di Marie come microcosmo in cui far muovere i personaggi, nuove generazioni che scalpitano e vecchie che stagnano, naufragate in relazioni intense e contraddittorie, appollaiate in una dimensione temporale in cui passato, presente e futuro compenetrano. Farhadi lascia sullo sfondo una Parigi periferica, lontana da quella turistica, per circoscrivere la sua storia tra le mura domestiche di una casa in restauro, che nasconde nelle pareti scrostate e nel cigolio dei polverosi infissi, il sapore di un passato di cui non riesce ancora a liberarsi. Un tempo quella casa era nido d’amore di Marie e Ahmad, ora è un focolare allargato, nutrito dallo sguardo innocente dei figli, testimoni critici dominati da una coscienza candida ma interagente.

Il passato, quindi, come via di mezzo tra un presente troppo complicato e un futuro in attesa di essere vissuto, prigioniero di una casa che lo induce a fare i conti con se stesso. La scelta di girare quasi completamente in interni ispessisce il ritratto psicologico della famiglia, consentendone una messa a fuoco accurata e claustrofobica. Ognuno di questi personaggi ha un rapporto ambivalente con il proprio passato: Marie cerca di scansarlo con veemenza per darsi un’altra possibilità, Lucie vi si aggrappa disperatamente provando gioia solo nell’atto di riassaporarlo e Samir lo osserva con sguardo interrogativo in attesa.

Attraverso lenti movimenti di macchina Farhadi ci accompagna nel pathos e nello strazio della casa dei ricordi dove (con grande abilità di scrittura e regia) ci dimostra come guardarsi dentro, ripescare il passato, interrogarlo e trovare il modo di conviverci, sia l’unica strada possibile per andare avanti.

Il parkinson di Michael J Fox diventa un “fun fact”

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Il canale E! è stato giustamente costretto a scusarsi con l’attore Michael J Fox per una mancanza di delicatezza durante il red carpet dei 71esimi Golden Globe. Il canale, che trasmetteva in diretta l’evento, ha intervallato le interviste ai vari ospiti presenti con i classici “fun fact”, ovvero aneddoti simpatici che coinvolgono proprio le star della serata. In merito a MJ Fox però E! ha mandato in onda un “fatto simpatico” non proprio delicato.

Ecco lo screenshot:

Michale J Fox Parkinson“A Michael J. Fox è stato diagnosticato il morbo di Parkinson nel 1991”.

Per quanto la malattia di Fox sia di dominio pubblico, e per quanto lui stesso ci ironizzi su, anche nel suo nuovo show tv, definire una tale diagnosi un “fun fact” è stato decisamente uno scivolone per il canale che si è così scusato:

“Rimpiangiamo di aver così classificato la diagnosi di Michael J. Fox durante la nostra diretta streaming del red carpet. Capiamo la serie natura della malattia e ci scusiamo sinceramente.”

Ricordiamo che dopo un lungo periodo di assenza, Michael J Fox è tornato a lavorare proprio all’inizio di questa stagione televisiva nel The Michael J Fox show.

Fonte: Variety

Il Pardo d’onore Manor 2021 a John Landis

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Il Pardo d’onore Manor 2021 a John Landis

Il Locarno Film Festival renderà omaggio all’irrefrenabile genio comico e creativo di John Landis, regista, sceneggiatore e attore statunitense, a cui verrà consegnato il Pardo d’onore Manor nella serata di venerdì 13 agosto, in Piazza Grande. Sabato 14 al Forum @Rotonda by la Mobiliare, Landis sarà al centro di una conversazione con il pubblico, che nel corso di Locarno74 potrà rivivere tre film indimenticabili della sua carriera: National Lampoon’s Animal House (1978), Trading Places (1983) e Innocent Blood (1992).

Dalla scuola di satira irriverente e corrosiva di National Lampoon e Saturday Night Live, fino alla consacrazione di autore di culto negli anni Ottanta e Novanta, con titoli come il road musical The Blues Brothers (1980), l’horror An American Werewolf in London (1981), ma anche incursioni leggendarie nella musica pop, con il videoclip per Thriller di Michael Jackson (1983) che, dopo essere rimasto incantato dalle ambientazioni horror del suo ultimo film, ha voluto Landis alla regia di quello che ad oggi è considerato uno dei primi video musicali “cinematografici”. La carriera di John Landis segna l’irruzione di un nuovo tipo di comicità nella storia della settima arte e una delle rielaborazioni dei generi classici più originali di tutti i tempi. Il Locarno Film Festival celebra questa figura con il Pardo d’onore Manor, assegnato ogni anno a una personalità straordinaria del cinema di sempre.

Il direttore artistico del Locarno Film Festival, Giona A. Nazzaro: “John Landis è un autentico genio americano. La totalizzante passione cinefila, la musicalità slapstick, l’irresistibile senso dell’umorismo, l’amore viscerale per il cinema di serie B, il senso critico e politico sempre vigile hanno fatto di lui il cineasta chiave del rinnovamento del cinema statunitense a cavallo fra gli anni Settanta e Novanta. Fautore di ibridazioni mai viste fra horror e comico, musical e noir, ha creato capolavori che hanno entusiasmato il pubblico di tutto il mondo, rinnovato il linguaggio cinematografico e sfidato convenzioni e perbenismi. Landis ha dimostrato che si poteva fare tutto, si poteva sognare tutto e lo ha fatto, rendendo il cinema migliore, più inclusivo, più giusto. Portatore delle inquietudini della generazione degli anni Sessanta, ha saputo offrirne una chiave di lettura diversa, creando un nuovo tipo di comicità e un’idea di fisicità mutante che – fra John Belushi e i lupi mannari – ha ricodificato l’estetica dominante. John Landis è tutto il cinema americano che abbiamo sempre amato e ameremo sempre.”

Il programma dell’omaggio

In occasione del premio consegnato a Landis la sera del 13 agosto, verranno proposti durante il Festival (4-14 agosto) tre titoli emblematici della sua filmografia, grandi classici da rivivere nell’atmosfera unica di Locarno:

  • National Lampoon’s Animal House, John Landis – Stati Uniti – 1978, presentato in Piazza Grande la sera di venerdì 13 agosto 
  • Trading Places, John Landis – Stati Uniti – 1983
  • Innocent Blood, John Landis – Stati Uniti – 1992

Sabato 14 agosto, inoltre, Landis incontrerà il pubblico del Festival durante una conversazione che si terrà al Forum @Rotonda by la Mobiliare, lo spazio di parola del Festival.

Landis sarà accompagnato dalla moglie, Deborah Nadoolman Landis, professoressa emerita e direttrice del David C. Copley Center for the study of Costume Design della UCLA School of Theater, Film & Television, che terrà una masterclass aperta al pubblico sul costume design nel pomeriggio di giovedì 12 agosto. Oltre ad aver contribuito come costumista a numerosi film, incluso Indiana Jones per Raiders of the Lost Ark (Steven Spielberg, 1981), Deborah Nadoolman Landis ha curato la mostra di grande successo “Hollywood Costume” (2012) al Victoria & Albert Museum. Autrice di sei volumi sul costume design, è stata presidente del Costume Designers Guild e membro del Board of Governors della Academy of Motion Pictures Arts & Sciences.

Il Pardo d’onore del Locarno Film Festival è stato attribuito a cineaste e cineasti del calibro di Manoel de Oliveira, Bernardo Bertolucci, Ken Loach, Jean-Luc Godard, Werner Herzog, Agnès Varda, Michael Cimino, Marco Bellocchio e, nel 2019, John Waters. A partire dal 2017, il Pardo d’onore è sostenuto da Manor, Main partner del Locarno Film Festival.

John Landis – Biografia

John Landis (Chicago, 1950) ha debuttato come sceneggiatore e regista a 21 anni, con il lungometraggio a basso costo Schlock (1973), un affettuoso omaggio ai film di mostri: vestito con una tuta da scimmia, Landis interpretava lo “Schlockthropus”, o “anello mancante” tra uomo e animale. Il successivo The Kentucky Fried Movie (1977) è stato il preludio ai grandi successi a venire: la commedia studentesca National Lampoon’s Animal House (1978); The Blues Brothers (1980), scritto insieme a Dan Aykroyd, protagonista del film accanto a John Belushi; Trading Places (1983), che ha dato avvio a una collaborazione con Eddie Murphy proseguita con Coming to America (1988) e Beverly Hills Cop III (1994); la parodia sul nucleare Spies Like Us (1985); Into the Night (1985); e Three Amigos! (1986).

Nel 1981 Landis ha realizzato An American Werewolf in London, contaminazione tra horror e commedia che ha talmente ispirato Michael Jackson da chiedere allo stesso Landis di realizzare il videoclip Michael Jackson: Thriller nel 1983. Nel 2009, il corto è stato inserito nel Library of Congress National Film Registry, che oggi include anche National Lampoon’s Animal House e The Blues Brothers. Landis ha diretto di nuovo Michael Jackson nel videoclip di Black Or White nel 1991, ed è stato il produttore esecutivo (e spesso regista) della serie televisiva Dream On (1990-1996), che ha fatto vincere alla HBO il suo primo Emmy.

Nel 2004 ha esplorato la forma del documentario con Slasher (2004), film verità su un venditore di auto usate. Dopo i mediometraggi Deer Woman (2005) e Family (2006), per la serie televisiva americana Masters of Horror creata dal regista Mick Garris, nel 2010 ha diretto la black comedy Burke & Hare. Nel 1985 è stato nominato Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres dal governo francese. Retrospettive del suo lavoro sono state organizzate alla Cinémathèque française nel 2009 e in vari festival internazionali.

Il Pardo alla carriera Ascona-Locarno a Costa-Gavras

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Il Pardo alla carriera Ascona-Locarno a Costa-Gavras

Durante la 75esima edizione (3-13 agosto 2022), il Locarno Film Festival renderà omaggio a Costa-Gavras, maestro del cinema di impegno civile. Al regista greco-francese verrà consegnato il Pardo alla carriera Ascona-Locarno nella serata di giovedì 11 agosto, in Piazza Grande. Venerdì 12 agosto al Forum @Spazio Cinema, Costa-Gavras converserà con il pubblico, che nel corso di Locarno75 potrà rivedere i due titoli che hanno dato avvio alla sua carriera: Un homme de trop (Shock Troops, 1967) e Compartiment tueurs (The Sleeping Car Murders, 1965).

Dal 1946 il Locarno Film Festival è sinonimo di libertà: per questo motivo, nell’edizione in cui si celebra il 75esimo anniversario della manifestazione, il Pardo alla carriera Ascona-Locarno verrà assegnato a Costa-Gavras, un regista che con i suoi film ha saputo denunciare apertamente le ingiustizie, affrontando senza censure alcuni dei capitoli più oscuri della nostra storia. L’uso magistrale della suspense, l’aderenza a generi popolari come il thriller, il noir e il film processuale, la capacità di scoprire sfumature inedite in star europee e statunitensi – da Yves Montand a Jack Lemmon, Simone Signoret e Jill Clayburgh, John Travolta e Jessica Lange, Dustin Hoffman e Johnny Hallyday – hanno permesso ai suoi film di raggiungere il grande pubblico, coniugando l’intrattenimento più emozionante all’impegno civile.

Con Z (1969), riconosciuto come il primo grande film politico della nostra epoca, e vincitore del Premio Oscar per il Miglior film straniero, Costa-Gavras ha fatto luce sulla Grecia dei colonnelli, senza mai smettere di interrogare la realtà, come dimostrano i successivi L’aveu (The Confession, 1970), sui processi staliniani, Missing (1982), sul coinvolgimento della CIA nel golpe cileno del 1973, Hanna K. (1983), sul conflitto israelo-palestinese e, in tempi più recenti, Le capital (Capital, 2012) sulla corruzione del sistema finanziario. La carriera di Costa-Gavras, segnata da due premi Oscar, un Orso d’oro, una Palma d’oro e un premio della giuria a Cannes, così come da molti altri riconoscimenti nei maggiori festival mondiali, è un coraggioso scandaglio dell’oppressione e delle logiche distorte del potere di ogni colore politico. Un richiamo alla responsabilità collettiva che in questo momento storico non può che suonare di estrema attualità.

Il paradosso del fuori campo

Il presente saggio analizza una figura tecnica e linguistica precipuamente cinematografica e l’uso particolare che ne hanno fatto alcuni registi: il fuori campo. Ho scritto precipuamente poiché di fuori campo si può parlare anche per la fotografia e, volendo, per la pittura, ma nel cinema la sua presenza è più forte, in correlazione alla specificità di quest’arte che è, diversamente dalle altre due, è basata sulle immagini in movimento.

Addentro, A  lato, Addietro, Altrove.
Il paradosso del fuori campo cinematografico

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella…

Leopardi, L’infinito

In generale, nel cinema esistono il fuori campo visivo e quello sonoro. Il fuori campo visivo è lo spazio diegetico escluso dal campo dell’inquadratura e suscettibile di entrare a farne parte, nonché lo spazio non diegetico che non potrà mai far parte dell’inquadratura. Più dettagliatamente, Noël Burch distingue sei tipi di fuori campo visivo-spaziale: quattro di essi corrispondono ai quattro margini dell’inquadratura (superiore, inferiore, sinistro, destro) costituendo gli ideali prolungamenti di questa; un quinto fuori campo è quello situato dietro un qualsiasi elemento posto all’interno del campo visivo (ad esempio: un personaggio dietro una porta chiusa è fuori campo); il sesto fuori campo è invece posizionato dalla parte della macchina da presa in una sezione di spazio che l’angolo di ripresa non include nell’inquadratura. Quest’ultimo fuori campo costituirebbe lo “spazio interdetto”, il “fuori campo tabù”, e cioè il luogo della produzione materiale del film posto sempre fuori dal quadro, in cui si trovano la troupe e le attrezzature.

I fuori campo sonori sono classificabili secondo due criteri: acusmantico (i suoni di cui non si individua visivamente la fonte) e diegetico/extradiegetico. Se include tutti quei suoni la cui fonte non è individuabile visivamente nell’inquadratura, ma che è udibile dai personaggi della diegesi, il fuoricampo sonoro è definito “off screen sound”. Esiste poi “la voice off” di un dispositivo sonoro (una radio, un televisore, etc.) udibile dai personaggi, che può essere o meno acusmantica (ad esempio, una radio visibile o meno nell’inquadratura) e comunque sempre diegetica.

Un fuoricampo sonoro sempre extradiegetico è quello costituito dalla musica in colonna sonora esterna al piano della narrazione, non udibile dai personaggi della narrazione ma solo dallo spettatore, nonché la “voice over” di un narratore onnisciente, anch’essa non udibile dai personaggi ma unicamente dallo spettatore. Tuttavia un fuori campo può sempre diventare, potenzialmente, un “in campo”, allo stesso modo che ciò che è in campo può trovarsi successivamente fuori campo. Una porzione di spazio inizialmente esclusa dall’inquadratura ma che viene poi, tramite un movimento della mdp o uno zoom, inclusa in essa costituisce il fuoricampo cataforico (inquadratura potenziale). Se invece la mdp restituirà alla visione dello spettatore una porzione di spazio già mostrata in precedenza e nuovamente inclusa nell’inquadratura avremo il fuori campo anaforico (inquadratura ripetuta).

Lo spettatore presuppone il fuoricampo. Egli integra, cioè, con l’immaginazione lo spazio della diegesi presupponendone la continuazione oltre i bordi del quadro. Ad esempio, se la mdp inquadra unicamente il dettaglio di piedi in movimento, lo spettatore è naturalmente portato a presupporre una persona che cammina e che successivamente potrà essere inquadrata dalla mdp. In tal senso, il fuori campo è cataforico, cioè costituisce la possibilità pura di una successiva inquadratura, nonché la possibilità stessa del progresso della narrazione per immagini.

Diceva André Bazin che “le cadre est un cache”, ovvero che l’inquadratura è una benda, un nascondiglio. Essa stabilisce il visibile e allo stesso tempo l’invisibile. Il confine tra i due, per lo meno cinematograficamente, non è mai netto, non solo perché l’uno trapassa o può trapassare nell’altro, ma perché ciascuno di essi è definito ontologicamente anche grazie all’altro, ed entrambi sono sempre narrativamente co-implicati, esistendo in un regime di iper-dialettica, per dirla con Merleau-Ponty (che al rapporto tra visibile e invisibile dedica uno dei suoi ultimi scritti), dove non esistono sintesi definitive né opposizioni unilineari, ma è possibile una molteplicità di rapporti con una polivalenza di significati.

Se è possibile per un regista decidere e realizzare un “cadre”, ciò implica che automaticamente (e/o accidentalmente) si realizzi con essa anche una “cache” sulla quale la capacità di manipolazione del visivo di un regista sembra venire meno proprio per il carattere di automaticità e accidentalità che il fuori campo possiede. Vi sono però nella storia del cinema degli autori che hanno fatto del fuori campo un uso consapevole dal punto di vista tecnico, narrativo ed espressivo, conferendogli un’importanza tale da riscattarlo in parte o del tutto dal suo carattere di (almeno apparente) automaticità e accidentalità e anzi stabilendola proprio come figura tecnica, linguistica, stilistica. Tra gli altri ne passerò in rassegna quattro: Renoir, Welles, Tarkovskij, Bresson.

Uno dei film dove sicuramente il fuori campo assume particolare rilievo narrativo,  è sicuramente La regola del gioco (1939) di Jean Renoir. Il film di Renoir, da sempre annoverato tra i capolavori della storia del cinema, è in anticipo di due anni su quella “bibbia” delle tecniche cinematografiche che è Quarto Potere (1941) di Orson Welles per l’uso del piano sequenza e per il recupero della profondità di campo. Renoir si avvale a questo scopo di obiettivi di fabbricazione Lumiére opportunamente adattati. È certo che i fuori campo siano messi in causa in maniera forte pressoché lungo tutta la durata del film, ambientato per gran parte in una villa in campagna dove un nutrito numero di aristocratici francesi tiene un festeggiamento, mentre la mdp, fissa o in movimento ne segue i dialoghi, le battute di caccia, i pranzi, le vicende amorose, gli intrighi, ora incorniciati nelle architetture, ora al buio di uno spettacolo di danza, o nei corridoi e nelle stanze da letto.

Passiamo ora ad analizzare più dettagliatamente una scena del film: quella del pranzo dei servi della villa. Mentre il pranzo procede, i servi si scambiano confidenze e pettegolezzi sui signori che di cui sono o sono stati a servizio. La mdp segue in carrellata laterale da sinistra a destra una cameriera mentre porta a tavola tre vassoi, seguita da un maggiordomo. Stacco. Campo medio di Lisette, serva della padrona di casa Christine, seduta a capotavola, e altri due servi seduti accanto a lei. Stacco. Due cuochi intenti a preparare il pasto dei signori e criticare le loro abitudini in fatto di diete e ossessioni alimentari. Dopo un’altra piccola carrellata in cui la stessa cameriera vista precedentemente porta ancora il suo vassoio attorno al tavolo, è la volta di un piano di insieme della tavolata con Lisette a capotavola e tutti gli altri servi seduti.

Seguono dei primi piani di Lisette che parla a due dei commensali, voltando il capo ora a sinistra e ora a destra della mdp, finchè un nuovo primo piano su un altro maggiordomo precede lo stacco sulla rampa di scale che conduce alla tavolata da cui scende Schumacher, il guardiacaccia marito di Lisette.

Mentre Schumacher scende le scale, la mdp si avvicina  a un lato della tavolata, dove il cuoco visto precedentemente scambia un alcune chiacchiere coi commensali “impallando” il marito di Lisette poco dietro di lui, che a passi lenti si dirige verso la moglie seduta a tavola uscendo di campo a destra. Mentre il cuoco esce di campo, la mdp panoramica a destra, inquadrando così il guardiacaccia appoggiato dietro la sedia di Lisette mentre parla con lei. La mdp compie poi un movimento inverso al precedente, panoramicando verso sinistra rimettendo così in campo il cuoco tornato al lato della tavolata come visto nell’inquadratura precedente. Nel frattempo, vediamo Schumacher di spalle, allontanatosi dalla sedia di Lisette, dirigersi dalla destra al centro dell’inquadratura.

La mdp compie poi un ulteriore movimento verso sinistra, lasciando la tavolata fuoricampo e inquadrando Schumacher mentre sale le scale e incrocia il bracconiere Marceau che scende per unirsi alla tavolata. Marceau siede a tavola e comincia a chiacchierare con Lisette con l’intenzione di iniziare un corteggiamento. Stacco. La mdp inquadra in primo piano due servi seduti alla sinistra di Lisette, poi, panoramicando a sinistra, la stessa donna che sorride a Marceau dapprima fuori campo e poi visto di profilo. Stacco. Primo piano di Marceau ammiccante e quinta in campo di Lisette. Stacco. Una radio nella sala dove si svolge il pranzo ci mostra la fonte della musica diegetica e acusmantica udita precedentemente.  La dissolvenza incrociata dell’immagine della radio con quella di un orologio da tavolo in un salotto della villa, marca la fine della scena.

Dalla descrizione appena fatta è evidente che qui, come altrove nello stesso film, Renoir conferisce al fuori campo una notevole importanza. In che modo il fuori campo entra in gioco nella scena appena descritta? Abbiamo qui sia fuori campo visivi cataforici e anaforici nonché dei fuori campo sonori. Il fuori campo sonoro, in particolare, è costantemente in gioco per tutta la durata della scena. Sono fuori campo le voci di alcuni commensali non inquadrati mentre parlano, i rumori delle posate, e la musica proveniente dalla radio che vedremo solo alla fine della scena.

Sembra quasi che la mdp arrivi con ritardo a scoprire i volti di chi parla, come se la vita e il gioco degli intrighi, dei pettegolezzi, degli amori, scorresse indipendentemente da ciò che è dato vedere e sentire, tanto a noi spettatori quanto agli stessi personaggi, che di volta in volta perdono o acquistano visibilità, perdono o acquistano terreno di gioco. È così per il marito di Lisette, Schumacher, la cui entrata in campo è quasi subito celata, la sua visibilità ostacolata dalla figura del cuoco che scambia pettegolezzi con i commensali. Anche quando la macchina si sposta su Schumacher alle spalle di Lisette, è solo per poco, poiché presto ritorna nuovamente sul cuoco, conferendo così, all’inquadratura precedente pressoché identica, il valore di fuori campo anaforico. Schumacher abbandona poi la sala del pranzo, risalendo le scale e incontrando il bracconiere Marceau che insidia giocosamente sua moglie Lisette. Marceau rimane invece a lungo in campo, siede a tavola, e lungo è il primo piano che lo riguarda mentre mangia lanciando occhiate complici a Lisette. Non è casuale che il guardiacaccia sia così spesso fuori campo durante questa scena in cui viene a delinearsi in maniera più precisa il personaggio di Lisette, serva civettuola che accoglie il corteggiamento di Marceau.

I pavimenti della villa dove si svolge il film sono a scacchiera, così come la tovaglia del tavolo nella scena presa in esame, e in effetti quasi tutti i personaggi (tanto gli aristocratici quanto i servi) sono ben consapevoli di condurre le proprie esistenze come un gioco in cui il calcolo, il cinismo, le buone apparenze, sono fondamentali, ma “la regola” è non prendersi e non prendere assolutamente nulla sul serio, meno che mai l’amore e i sentimenti. Chi non accetta questa “regola del gioco” è destinato a soccombere, come l’aviatore romantico Jurieaux, o a commettere errori fatali come il guardiacaccia Schumacher, che, convinto di sparare a Octave, altro giocoso “spasimante” della sua Lisette, colpirà invece proprio Jurieaux.

La scena descritta si svolge in una cantina-cucina ai piani inferiori della villa, mentre sopra ha luogo il rendez-vous degli aristocratici, ma anche l’ambiente dei servi, piccolo borghesi fagocitati dall’universo dei potenti, partecipa degli stessi giochi di questi ultimi. Ciò che accade qui (in basso), è influenzato da ciò che accade ai piani superiori, in alto, fuori campo e comunque condizionante. Lo spettatore è portato a seguire con gli occhi ciò che vede nelle inquadrature, ma a tenere viva la sua attenzione anche su ciò che non vede, su quel gioco sotterraneo, simulato e dissimulato svelato rivelato (nel senso di “ due volte velato”)  che esclude inevitabilmente i personaggi più sinceri come Schumacher e quelli appassionati come Jurieaux.

La mdp di Renoir, così abile a cogliere “il gioco dell’amore e del caso”, così attenta e lieve nel suo aggirarsi senza centro per i labirinti della villa dove lo sguardo si sperde, si soffermerà, nel finale, sulle ombre degli aristocratici che a sera faranno ritorno alla villa, del tutto passivi di fronte alla morte di Jurieaux, tagliati fuori dalla realtà eppure colpevoli (forse proprio per la loro indifferenza e il loro cinismo), così “fuori campo” rispetto alla disgrazia della storia (siamo nel 1939, e il secondo conflitto mondiale è alle porte) e così parte in causa, attori di una farsa che termina in tragedia.

Ho scritto che La regola del gioco è in anticipo su Quarto potere per ciò che riguarda l’uso della profondità di campo e l’uso del piano sequenza. Tra le differenze linguistiche che esistono tra i due film, segnalerei proprio la diversa modalità dell’uso del fuori campo. A differenza di Renoir, Welles cerca di includere quanti più elementi possibili in una sola inquadratura in piano sequenza. A tal proposito cito la ben nota scena in cui viene deciso il destino di Kane bambino che gioca sulla neve inquadrato attraverso i bordi di una finestra, mentre la madre, all’interno della casa, discute la possibilità del suo affidamento con un banchiere.

La mdp di Welles crea spesso inquadrature centripete, in cui il fuori campo è progressivamente inglobato nell’inquadratura e viene dunque a trovarsi in campo, dando luogo quindi a dei fuori campo cataforici. Altre volte, il fuori campo realizza una sorta di “effetto eco” di personaggio uscito di campo. Un esempio in questo senso è costituito dalla scena in cui Susan abbandona Kane, passando attraverso delle porte e uscendo dalla reggia di Xanadu (e dalla vita di Kane), e venendosi così a trovare fuori campo. Di fatto, Susan esce dalla vita di Kane e questi sprofonderà sempre più nella propria monolitica solitudine su cui grava l’eco dell’abbandono da parte di sua moglie da lui stesso provocato.

Veniamo ora ad analizzare una scena in cui il fuori campo è usato come espediente tecnico e figura stilistica al contempo. La scena è tratta dal film Andrej Rublëv (1966), di Andrej Tarkovskij. Siamo poco dopo la metà del film, quando la città di Vladimir è stata saccheggiata da un esercito di tartari in complotto con dei russi, i quali hanno fatto irruzione nella cattedrale dell’Annunciazione. Tra i cadaveri nella chiesa semidistrutta, vi sono due superstiti: il pittore-monaco Andrej, e una donna sordomuta, che poco prima ha subito un tentativo di stupro da parte di un soldato russo, ucciso dal pittore.

Sconvolto, Andrej ha una visione di Teofane il Greco, anziano pittore suo maestro, morto alcuni anni prima. I due iniziano a parlare e Andrej palesa a Teofane il proprio turbamento circa gli episodi da poco accaduti, che lo hanno visto, tra l’altro, assassinare un uomo, e il pittore, colmo di sfiducia per gli uomini e sconvolto dalla loro crudeltà, matura il proposito di osservare un voto di silenzio e di non dipingere più.

Per tutto il dialogo tra i due personaggi, il fuori campo viene impiegato da Tarkovskij in maniera significativa come espediente tecnico volto ad connotare in senso espressivo lo sconforto di Andrej e il suo senso di smarrimento, nonché il suo dialogo “impossibile” con il morto Teofane in un’atmosfera oniroide.I due personaggi vengono a trovarsi di volta in volta in posizioni non plausibili rispetto alle loro uscite di campo. Mi spiego meglio: un personaggio lasciato fuori campo a sinistra dell’inquadratura, viene poi a trovarsi, senza stacchi e senza che egli passi davanti alla mdp, a destra, e viceversa. In pratica, Tarkovskij fa muovere il personaggio dietro la macchina da presa per poi farlo passare dal lato opposto nell’inquadratura successiva, quando tornerà in campo, raggiunto dal movimento della mdp, valorizzando così quel sesto fuori campo interdetto di cui parla Noel Burch.

Come è possibile notare dalle immagini, in oltre, i due personaggi sono illuminati in maniera differente: Andrej resta più spesso in ombra, mentre su Teofane scende una luce più intensa, che sembra connotarlo come visione onirica del pittore giovane. La scelta stilistica di Tarkovskij si rivela, seppure ardita, pienamente coerente con la situazione messa qui in scena e pertanto motivata dal punto di vista narrativo. Il fuori campo appare, nell’opera del regista sovietico, come uno degli elementi più rilevanti del suo stile registico.
Tornano utili, adesso le definizioni del fuori campo fatte da Gilles Deleuze. Egli distingue infatti un fuori campo relativo (a una singola inquadratura intesa come taglio parziale e prelievo da un ambiente più vasto) e uno assoluto (in cui l’inquadratura è taglio totale in rapporto a ogni campo possibile), da lui rinominati rispettivamente l’ “a-lato” e l’“altrove”. Scrive infatti il filosofo francese: “Ogni inquadratura determina un fuori campo. Non vi sono due tipi di quadro di cui uno soltanto rinvierebbe al fuori campo, ma due aspetti assai differenti del fuori campo di cui ognuno rinvia a un modo di inquadratura” .

Per avvalerci della terminologia deleuziana (qui, e in seguito a proposito del fuori campo in Bresson) potremmo dire che Tarkovskij oscilla tra l’ a-lato e l’altrove. Pur essendo Teofane visibile (a noi spettatori come ad Andrej), pur potendosi trovare “a-lato”, fuori campo rispetto allo spazio concreto degli interni della cattedrale di Vladimir, egli è al contempo presenza di un non specificato “altrove”, morto parlante di un aldilà non specificato, emanazione onirica della coscienza sconvolta di Andrej. Questo perchè i movimenti che compie fuori campo lo mostrano poi alternativamente ai due opposti lati del quadro, lo connotano come figura sospesa tra il reale e l’irreale, tra l’attuale e il virtuale, oscillante tra uno spazio immanente (a- lato) e concreto e un altro (altrove) trascendente e possibile, di cui Tarkovskij fa comunque sentire in qualche modo la presenza.

L’altro regista che mi propongo di analizzare a proposito del fuori campo è Robert Bresson. Accade più spesso che il fuori campo Bressoniano sia invece assoluto, sia cioè un altrove più che un a-lato. Nel cinema del regista francese sono frequenti le inquadrature di dettagli e particolari cui manca spesso un piano di insieme o un totale che connoti in maniera precisa l’ambientazione. Penso ad esempio al film Lancillotto e Ginevra (1974) in cui la sequenza del torneo dei cavalieri viene girata unicamente attraverso il succedersi di inquadrature di lance, dettagli di zoccoli e ventri di cavalli montati dai partecipanti.

Le inquadrature di Bresson innescano un tipo particolare di paradosso. Sono dettagli, dicevamo, il massimo cioè, dell’evidenza fotorealistica del mondo quotidiano, ma tale mondo non è rappresentato nelle sue proprietà spaziali concrete, bensì frammentato, rimandando a un Altrove assoluto, a un ambiente mai attuale e sempre virtuale perchè mai dato nelle inquadrature, che esiste unicamente e continuamente come spazio del possibile.
Dai casi presi in esame appare evidente come alcuni autori (ma se ne potrebbero citare anche altri, da Ophuls a Kubrick a Leone a Truffaut) abbiano conferito al fuori campo un valore di pratica (lo hanno cioè attivato consapevolmente) tecnica, narrativa, espressiva, stilistica, concettuale estremamente rilevante. Di più: essi hanno posto l’accento su ciò che nel cinema, fatto di immagini in movimento visibili, è invisibile in quanto non è immagine, non è in campo. Del resto, per il poeta citato in apertura del saggio, l’infinito non sarà visibile perché l’ultimo orizzonte è celato da una siepe, che invece è ben visibile, ma sedendo e mirando interminati spazi di là da quella….

Il Paradiso per Davvero Trailer italiano con Greg Kinnear e Kelly Reilly

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Guarda il Trailer italiano del film il del film Il Paradiso per Davvero, diretto da Randall Wallace. Tratto da un’incredibile storia vera, il film uscirà nelle sale il prossimo 10 luglio.

http://youtu.be/yStwRBbmxdw

Il Paradiso per DavveroTratto dall’omonimo best-seller che ha ottenuto la prima posizione nella classifica del New York Times , Il Paradiso per Davvero porta sullo schermo una storia vera che ha commosso milioni di persone in tutto il mondo: la straordinaria esperienza che ha cambiato la vita di un bambino e la decisione coraggiosa di suo padre di condividerla con tutti.

Candidato all’Oscar® e vincitore dell’Emmy ®Award, Greg Kinnear (Qualcosa è cambiatoLittle Miss Sunshine) interpreta Todd Burpo, imprenditore di una piccola città, vigile del fuoco volontario e pastore, che cerca di andare avanti in un anno difficile per la sua famiglia. Dopo che suo figlio Colton (interpretato da Connor Corum al suo debutto cinematografico) è stato ricoverato in ospedale per un intervento chirurgico d’urgenza, Todd e sua moglie Sonja (Kelly Reilly, Volo, Sherlock Holmes) sono felici per la sua guarigione miracolosa.

Ma sono del tutto impreparati a ciò che succede dopo. Colton inizia a descrivere nei particolari il suo incredibile viaggio verso il cielo.

Mentre Colton racconta con innocenza dettagli che non poteva conoscere, il padre Todd si trova a scontrarsi contro un muro di mistero e dubbio, finché non riesce a ritrovare la speranza, la fede e la forza di andare avanti.

TriStar Pictures presenta Il Paradiso per Davvero, diretto da Randall Wallace, lo scrittore candidato all’Oscar ® per Braveheart- Cuore impavido. La sceneggiatura è di Randall Wallace e Christopher Parker, basata sul libro di Todd Burpo e Lynn Vincent. Il film è prodotto da Joe Roth e TD Jakes e i produttori esecutivi sono Sue Baden-Powell, Sam Mercer e Derrick Williams. Insieme a Kinnear, Reilly e Corum,fanno parte del cast Margo Martindale (Justified, I segreti di Osage County), Thomas Haden Church(Sideways – In viaggio con Jack, La mia vita è uno zoo) vincitore dell’Emmy ® Award e candidato all’Oscar ®. Le musiche sono di Nick Glennie-Smith. Fanno parte del team anche il direttore della fotografia Dean Semler (Balla coi lupi, Mad Max: The Road Warrior, Apocalypto) membro dell’Australian Cinematographers Society (ACS) e dell’American Society of Cinematographers (ASC), vincitore dell’Oscar®, lo scenografo Arv Greywal (Lars e una ragazza tutta sua), il montatore John Wright (Apocalypto, Speed), membro dell’ American Cinema Editors, due volte vincitore del BAFTA Award e il costumista Michael T. Boyd (Segreteria, We Were Soldiers – Fino all’ultimo uomo).
Durata del film: 100 minuti

Il Paradiso degli Orchi teaser trailer

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Il Paradiso degli Orchi teaser trailer

Il Paradiso degli Orchi teaser 2 Un primo assaggio dello strampalato universo di Benjamin Malaussène, protagonista de Il Paradiso degli Orchi, il nuovo film di Nicolas Bary tratto dal primo libro della fortunata saga di Monsieur Malaussène di Daniel Pennac.

Professione bizzarra quella di Malaussène: è il capro espiatorio dei grandi magazzini di Parigi. E quando il centro commerciale diventa oggetto di attentati dinamitardi, il sospettato numero 1 è proprio lui. Sarà questa la prima occasione in cui Benjamin cercherà di provare la sua innocenza e trovare il vero colpevole, supportato dall’amata zia Julie e dalla tribù di fratelli.

Nel cast Raphael Personnaz, Bérénice Bejo, Emir Kusturica, Guillaume De Tonquédec. L’uscita del film in Italia è prevista ad ottobre.

Il paradiso degli orchi recensione del film tratto da Pennac

Il paradiso degli orchi recensione del film tratto da Pennac

il paradiso degli orchi recensione

Il Paradiso degli orchi di Nicolas Bary è stato presentato al Festival Internazionale del Film di Roma 2013 nella categoria “fuori concorso”.

Benjamin Malaussène (Raphael Personnaz) di professione fa il capro espiatorio. Lavora ai grandi magazzini e si prende tutti i rimproveri dall’ufficio reclami, con la speranza che il cliente, dopo un acquisto non andato a buon fine, si impietosisca e non sporga denuncia. Vive con una bizzarra famiglia di fratellastri e sorellastre a cui deve badare. Una donna dai capelli rossi, zia Julia (Bérénice Bejo) e una serie di incidenti…esplosivi sul luogo di lavoro, lo porteranno ad essere l’indiziato numero 1 di una serie di omicidi, tanto per aggiungere un tocco in più ad una vita già abbastanza complicata.

Tratto dall’omonimo libro appartenente al cosiddetto ciclo di Malaussène, scritto da Daniel PennacIl Paradiso degli orchi si impegna a conservare le atmosfere del romanzo e lo fa parlare con le immagini. Pur con le dovute modifiche d’adattamento, specie nel numero dei personaggi, l’intenzione di voler rimanere fedeli all’alone generale che circonda il libro di Pennac è chiara.

È difficile non amare il personaggio di Malaussène. Un capro espiatorio sul lavoro e anche, non volendo, nella vita: per quanto possa impegnarsi, è sempre colpa sua. Il montaggio del film è frenetico, instancabile, come a sottolineare che per  il protagonista non c’è mai pace. Tranne in alcuni momenti, attimi di tregua dove tutto diventa diverso. I racconti inventati che offre ai suoi fratellastri ne sono un esempio, evasione dalla realtà per toccare le vette della fantasia. E in questi momenti si può essere qualunque cosa, dall’eroe senza macchia e senza paura, all’inventore di storie, fino ad arrivare a interloquire con una giraffa che prende vita.

Una commedia divertente e umoristica, tra dialoghi frizzanti e un ritmo rapidissimo. Il tutto rinchiuso in una cornice che avvolge uno scenario vivace e colorato. C’è un odore di leggerezza che permane durante tutto il film, appena un gradino sotto il confine tra realtà e fantasia.

Menzione speciale per il personaggio di Stojil, interpretato da Emir Kusturica. Esce domani 14 Novembre nelle sale italiane.

La nostra foto gallery del Festival:
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Il Paradiso Amaro di Payne

Il Paradiso Amaro di Payne

Le combinazioni vincenti non sono dettate dalla loro natura di affinità e questo Alexander Payne lo ha capito da sempre. La bellezza non è data dalla felicità, e forse la perfezione dei suoi film scaturisce da abbinamenti opposti e complementari: la spensieratezza della California con la consapevolezza amara vissuta da Paul Giamatti, e ancora l’esotismo delle Hawaii con il dramma di George Clooney.

Il panel di Dark Shadow al Comic-Con

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Il panel di Dark Shadow al Comic-Con

Tim Burton torna con la sua squadra, ovvero Johnny Depp e Helena Bonham Carter, con l’aggiunta di Michelle Pfeiffer, Eva Green e Jackie Earle Haley e porta al Comic-Con

Il Palm Springs IFF aprirà con i salmoni di Lasse Hallstrom

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Il Palm Springs IFF aprirà con i salmoni di Lasse Hallstrom

La 23esima edizione del Palm Springs International Film Festival aprirà i battenti il prossimo 5 gennaio con la proiezione

Il Paese delle Spose Infelici: recensione del film

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Il Paese delle Spose Infelici: recensione del film

In Il Paese delle Spose Infelici Zazà e Veleno sono due ragazzini, amici per la pelle, ma molto diversi per famiglia e condizione. Figlio di medio borghesi Veleno, con un futuro e prospettive, e soprattutto dei genitori che lo seguono, figlio della strada invece Zazà, orfano che vive con un fratello delinquente e con una sola via di fuga dal degrado della periferia tarantina: il calcio. L’arrivo di Annalisa nelle loro vite crea aspettative e tensioni, ma anche attimi di pura estasi in cui i due maldestri amici riesacono ad assaporare un po’ di felicità, riuscendo a sfuggire per poco al loro destino segnato.

Il Paese delle Spose Infelici si rivela un prodotto strana, atipico e difficile da classificare. Sembra il classico film italiano che racconta il malessere giovanile, ma la presenza di questa figura femminile, sorta di Malena alla Tornatore, ma meno patinata, introduce un velo di mistero, quasi un’evasione dalla realtà per rifugiarsi in un sogno di bellezza e dolcezza, cose che per i due ragazzini sembrano impossibili da trovare nella vita vera.

Il Paese delle Spose Infelici, il film

Il racconto procede da lontano, senza creare una vera e propria empatia con lo spettatore, mostrando il calore e l’arsuro, la vittoria e la violenza, la possibilità di riscatto da una vita dura e ingiusta, possibilità che puntualmente sfugge a chi, come Zazà, è cresciuto in un ambiente malato. I giovani protagonisti Luca Schipani e Nicolas Orzella hanno quell’aspetto ruvido, di chi vuole atteggiarsi a uomo, ma con gli occhi colmi di stupore e dolcezza. I loro personaggi sono avidi di immagini e di corpi e la bella Annalisa (Aylin Prandi), l’apparizione volante che piomba nelle loro vite, rappresenta l’incarnazione dei loro desideri, la sposa infelici che loro in qualche modo desiderano curare.

Il titolo stesso del film Il Paese delle Spose Infelici, rimanda però a qualcosa di più del singolo caso di Annalisa, non è solo lei la sposa infelice, ma forse tutte quelle donne la cui vita si svolge in quell’ambiente ricco solo di miseria droga e inquinamento. La sposa infelice diventa quindi una metafora del malessere di una terra che non riesce a guarire, malata dalle fondamenta, incapace di accogliere nel sue grembo speranze e sogni di giovani uomini.

Il Paese dei Jeans d’agosto: finite le riprese del film

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Il Paese dei Jeans d’agosto: finite le riprese del film

Il sono concluse oggi le riprese del film “Il Paese dei Jeans d’agosto”, opera prima di Simona Bosco Ruggeri.  Il lungometraggio, girato interamente in Campania – precisamente nel Vallo di Diano e a Montesano  – è prodotto da Akita Film con Maremosso, Adler Entertainment e Minerva Pictures.

L’opera indaga la quotidianità di una piccola provincia italiana dove ha luogo la super “postata”, quanto chiacchierata, storia tra il sedicente influencer @IlCarlito e @LaRossetti, in perenne attesa di un cambiamento che svolti in positivo la vita. Carlo e Luisa sono disposti a tutto pur di perseguire i propri obiettivi, e non avranno scrupoli nell’utilizzare a proprio vantaggio la realtà fittizia dei social per raggiungerli.

Lina Siciliano (Luisa Rossetti), dopo i premi e i riconoscimenti ottenuti con il ruolo drammatico interpretato in “Una Femmina”, è la protagonista di questa commedia con un personaggio originale e divertente.  Pasquale Risiti (IlCarlito), conosciuto per le interpretazioni nelle serie di successo come “Gomorra”, “Un medico in famiglia”, “La Squadra”,  e nel film “Non tutto è perduto”, esordisce in questa occasione con un ruolo da protagonista. Il cast si completa con attori amati dal pubblico come Enzo Decaro (Guglielmo Rosetti), Rosalia Porcaro (Agata Maria Rosaria Landolfi), Nunzia Schiano (Pinuccia Callegari), Ninni Bruschetta (Faluccio Arato), Valerio Santoro (Don Martino), Ludovica Coscione (Elena Rosetti), Mimma Lovoi (La Venezuelana), Franca Abategiovanni (Tanina), Adriano Occulto (Marvin) e Manuela Morabito (Gloria).

Un pesce grosso nell’acquario è piccolo nell’oceano e l’Oceano ora è a portata di click – racconta con ironia la regista, Simona Bosco Ruggeri – Facebook, Instagram, TikTok, Twitter: arene in cui gareggiare all’ultimo selfie. Like, followers, trending, hashtags sono indici per misurare la propria vita e il proprio valore. E se sei l’ultimo in classifica, è crisi. E’questo il punto di vista della storia che racconteremo”.

“Crediamo molto in questo progetto- spiegano i produttori Luca Lucini e Paolo Zaninello – siamo sicuri che ha gli ingredienti giusti per regalare un gran bel film ad un pubblico trasversale. La sceneggiatura ha il pregio di utilizzare un linguaggio naturale, spontaneo e contemporaneo. Un film coinvolgente, capace di parlare il linguaggio di generazioni lontane fra loro e raccontare così una storia vicina a tutti noi, al nostro mondo che cambia”.

La trama

Nel cortocircuito fra i Social e la socialità di una piccola provincia un tempo isolata, adesso fortemente “connessa”, ha luogo la tanto postata quanto chiacchierata storia tra @IlCarlito e @LaRosetti. Il ventiseienne Carlo, un tempo V.I.P., è ora un sedicente Influencer alla perenne ricerca di soldi da trasformare in likes. La ventottenne Luisa, un tempo promessa laureanda, è ora alla mercé del Paese in perenne attesa che qualcosa le capiti. A Luisa capita Carlo, a @IlCarlito, @LaRosetti: Lui piace ma non ha soldi, Lei ha soldi ma non piace. Insieme puntano a tutto.

Il padrino: tutte le curiosità sul film con Marlon Brando

Il padrino: tutte le curiosità sul film con Marlon Brando

Quella di Il padrino è una delle trilogie cinematografiche più conosciute e amate di sempre, vero e proprio simbolo di un genere. Con tre film, questa affronta un arco temporale di circa 96 anni, raccontando ascesa e declino della famiglia Corleone, tra le più potenti in assoluto nella malavita di New York. Il primo film, intitolato semplicemente Il padrino, uscì al cinema nel 1972 per la regia di Francis Ford Coppola, qui alle prese con il suo primo grande lungometraggio dopo averne diretti alcuni a basso costo. Nonostante i numerosi problemi produttivi, legati principalmente a divergenze con i produttori sulla scelta del cast, il film riuscì infine a prendere vita.

Il padrino si affermò da subito come un successo straordinario, incassando nei soli Stati Uniti ben 86 milioni di dollari, battendo dunque il record di Via col vento che durava da oltre trent’anni. Anche la critica lodò il film, definendolo il più bello incentrato sulle losche attività della mafia e l’impatto culturale lasciato dal film nell’immaginario collettivo rimarrà nella storia, con i numerosi detti mafiosi e alcune scene chiave (come quella della testa di cavallo, o la morte di Sonny) rimaste indelebili ancora oggi, a tal punto da essere citate in numerose altre pellicole di successo negli anni a venire.

Candidato a 10 premi Oscar, Il padrino finì con il vincerne tre: miglior film, miglior sceneggiatura non originale e miglior attore protagonista a Marlon Brando, il quale però come noto rifiutò il premio. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al libro e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Il padrino: la trama del film

La vicenda del film si svolge nella New York a metà tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta ed ha per protagonista la famiglia di origine italo-americana Corleone, la più potente nell’ambiente mafioso della città. Questa è specializzata in attività come gioco d’azzardo, racket e prostituzione e il tutto viene gestito dal patriarca Don Vito. Grazie ai numerosi debitori di cui è circondato, egli vanta un potere immenso, che gli ha permesso di ottenere amicizie importanti tra i personaggi di spicco della società newyorkese. Ormai anziano, però, Don Vito si sente in dovere di scegliere un proprio successore.

Tra i pretendenti al suo posto vi sono naturalmente i suoi figli, dall’iracondo Sonny all’ingenuo Fredo, dal figliastro Tom Hagen fino al riluttante Michael. Quest’ultimo, mantenutosi sempre estraneo alle attività criminali della famiglia, finisce a poco a poco per esserne coinvolto in modo sempre più personale. Mentre la famiglia cerca dunque di riassestarsi per confermare il proprio dominio, una serie di scontri con altri clan mafiosi renderanno sempre più delicata la situazione, sino a portare alla necessità di attuare delle vendette non prive di ovvie conseguenze. Per i Corleone si presentano dunque momenti molto difficili.

Il padrino: il libro da cui è tratto il film

Come noto, il film è l’adattamento dell’omonimo romanzo scritto da Mario Puzo e pubblicato nel 1969. All’interno di questo si narrano le vicende di una famiglia mafiosa di origini italiane. Il libro godé da subito di una grandissima popolarità e introdusse una serie di terminologie tipiche di quell’ambiente all’epoca ancora poco note. Nel testo, per esempio, si può leggere la parola omertà lasciata in italiano, divenuta da quel momento estremamente popolare. Diviso in nove parti, il libro contiene una grande quantità di eventi e personaggi, non tutti finiti nel primo film della trilogia.

Molto di quanto non inserito in questo, però, è stato poi ripreso per i successivi due sequel. In particolare, i contenuti del romanzo formarono la base per i primi due film, integrati da nuovo materiale, sceneggiato dall’autore stesso, per parte del secondo e del terzo. Con il completamento della trilogia, dunque, Puzo poté vedere compiersi il suo appassionato racconto della famiglia Corleone. Nel 1984, infine, Puzo pubblicò anche quello che è giudicato uno “spin-off” de Il padrino, ovvero Il siciliano, dedicato al bandito Salvatore Giuliano.

Il padrino cast

Il padrino: il cast del film

La composizione del cast di Il padrino fu uno degli aspetti più complessi del film. Molti attori non considerati desideravano infatti avere una parte, mentre alcuni di quelli indicati da regista e produttori non volevano assolutamente saperne nulla. Per il ruolo di Don Vito Corleone, ad esempio, è noto che Orson Welles fece grande pressione pur di ottenere la parte. Francis Ford Coppola, grande fan di Welles, ha però dovuto rifiutare l’offerta perché aveva già in mente Marlon Brando per il ruolo e sentiva che Welles non sarebbe stato adatto. Brando, però, notoriamente problematico, era visto con grande preoccupazione dai produttori, che richiesero che l’attore firmasse un contratto ricco di clausole da rispettare.

L’interpretazione di Brando è ancora oggi considerata una delle migliori nella storia del cinema. Egli si dedicò personalmente anche alla caratterizzazione del personaggio, richiedendo di poter indossare uno speciale apparecchio dentale che gli gonfiasse le guance, donandogli l’aspetto di un bulldog. Per il personaggio di Michael Corleone, invece, Coppola scelse l’allora quasi sconosciuto Al Pacino, in quanto egli possedeva l’aspetto di un vero siciliano. Vi sono poi James Caan nei panni di Sonny Corleone e Robert Duvall in quelli di Tom Hagen, Diane Keaton è Kay Adams, fidanzata di Michael, mentre John Cazale è Fredo.

Il padrino: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire di Il padrino grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play, Apple iTunes, Now, Amazon Prime Video e Tim Vision. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di lunedì 11 ottobre alle ore 21:00 sul canale Iris.

https://www.youtube.com/watch?v=379OHVmeqxs

Fonte: IMDb

Il Padrino: per la Paramount un quarto capitolo è una possibilità

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La Paramount ha affermato che un quarto film della saga de Il Padrino è una possibilità. Negli ultimi mesi si è tornato a parlare della celebre trilogia in seguito alla notizia della distribuzione della Director’s Cut de Il Padrino – Parte III, che uscirà alla fine del mese di dicembre con il titolo “Mario Puzo’s The Godfather, Coda: The Death of Michael Corleone”. Secondo Diane Keaton, a cui non era piaciuta la conclusione originale della trilogia, il nuovo taglio ha migliorato notevolmente il film.

Nel 1990, all’epoca della sua uscita in sala, Il Padrino – Parte III è stato accolto in maniera negativa rispetto ai primi due capitoli, da sempre considerati due dei migliori film della storia del cienma. Francis Ford Coppola ha iniziato a lavorare sulla Director’s Cut all’inizio di quest’anno, un lavoro più o meno simile a quanto già fatto in passarto con Apocalypse Now Redux. Secondo quanto riportato, la nuova versione del film sarà corredata da un nuovo inizio, un nuovo finale e anche da una serie di riprese alternative di alcune scene, oltre a nuovi spunti musicali.

Adesso, in una dichiarazione ufficialmente rilasciata al New York Times, la Paramount Pictures ha affermato che un quarto capitolo de Il Padrino è una possibilità. Lo studio ha specificato che la decisione di dare o meno il via libera ad un nuovo film dipenderà dall’arrivo nelle loro mani della “storia giusta”. In passato, Coppola si era sempre dichiarato contrario ad un nuovo eventuale capitolo. Tuttavia, la decisione finale spetta comunque alla Paramount, in possesso dei diritti sulla saga.

“Sebbene non ci siano piani imminenti per un altro film nella saga de Il Padrino, dato il potere duraturo della sua eredità, rimane una possibilità qualora venisse fuori la storia giusta”, questa la dichiarazione ufficiale della Paramount.

I progetti in cantiere legati alla saga de Il Padrino

Attualmente, ci sono diversi progetti in lavorazione incentrati sul making of de Il Padrino. Tra questi, figura anche Francis and The Godfather con Oscar Isaac e Jake Gyllenhaal, che racconterà proprio della realizzazione del film e del conflittuale rapporto tra Coppola e il produttore Robert Evans. Il film, che sarà diretto da Barry Levinson, si concentrerà infatti sulle battaglie leggendarie e selvagge che hanno portato alla realizzazione del classico del 1972.