A marzo, il celebre comico
televisivo Jon Stewart, aveva annunciato la sua intenzione
di prendersi una pausa di dodici settimane dal suo celebre tg
satirico Daily Show, con l’intento di dirigere un
film intitolato Rosewater. Ebbene, oggi sappiamo per
certo che il protagonista della nuova pellicola sarà nientemeno che
Gael García Bernal.
Stewart ha adattato la
sceneggiatura dal libro del giornalista della BBC Maziar
Bahari dal titolo Then They Came For Me: A Family’s Story
Of Love, Captivity And Survival, dopo aver da poco ottenuto
i diritti di adattamento del romanzo che narra i brogli elettorali
durante le elezioni presidenziali iraniane del 2009. Per quanto
riguarda Bernal invece, dopo aver da poco solcato gli schermi
europei con l’acclamatissimo No di Pablo
Larrain (sulle vicende pubblicitarie della campagna ideata per
il referendum contro la dittatura cilena di Pino Che) attualmente è
impegnato con Deserted Cities di Roberto
Sneider.
Arriva online grazie a Variety la
prima immagine ufficiale di Gael Garcia Bernal
tratta dal biopic Neruda diretto da
Pablo Larrain (NO – I Giorni
dell’Arcobaleno). Potete vederla di seguito:
Gael Garcia Bernal
e il regista Pablo Larrain tornano a lavorare
insieme dopo NO – I Giorni dell’Arcobaleno. La pellicola,
sceneggiata dal cileno Guillermo Calderon,
racconterà la vita del celebre poeta, politico e premio Nobile per
la letteratura Pablo Neruda, interpretato da
Luis Gnecco.
Gael Garcia Bernal
vestirà i panni del commissario Oscar Peluchonneau, coinvolto nella
fuga del poeta (divenuto senatore indipendente del Partito
Comunista del Cile tra il 1946 e il 1948) in seguito alla accuse
mosse dall’uomo al governo per aver incarcerato dei minatori in
sciopero. Il film uscirà nel 2016.
Gael García Bernal interpreta Saúl Armendáriz,
un wrestler amatoriale gay di El Paso, diventa famoso a livello
internazionale dopo aver creato il personaggio di Cassandro,
il “Liberace della Lucha Libre”. Basato su una storia vera. Diretto
dal regista Premio Oscar Roger Ross Williams
Nel cast anche Joaquín
Cosío e Raúl Castillo, con la
partecipazione speciale di El Hijo del Santo e
Benito Antonio Martínez Ocasio (Bad Bunny). Cassandro
sarà disponibile in tutti i Paesi in cui è attivo il servizio
Prime Video dal 22 settembre.
Diretto da: Roger
Ross Williams Scritto da: David Teague & Roger Ross Williams Con: Gael García Bernal, Roberta Colindrez, Perla
de la Rosa, Joaquín Cosío e Raúl Castillo, con la partecipazione
speciale di El Hijo del Santo e Benito Antonio Martínez Ocasio Consulente: Saúl Armendáriz Prodotto da: Gerardo Gatica, Todd Black, David
Bloomfield, Ted Hope, Julie Goldman Executive Producer: Gael García Bernal, Paula
Amor, Mariana Rodríguez Cabarga, A. Müffelmann, Matías Penachino,
David Teague, Jason Blumenthal, Steve Tisch Durata: 107 minutes
Attualmente al 100% su Rotten
Tomatoes
Saúl Armendáriz, un wrestler
amatoriale gay di El Paso, diventa famoso a livello internazionale
dopo aver creato il personaggio di Cassandro, il “Liberace della
Lucha Libre”. In questo suo percorso, non mette sottosopra solo il
mondo machista del wrestling, ma anche la sua vita.
Gael Garcia Bernal
è il protagonista, insieme a Jeffrey Dean Morgan,
di Desierto, l’esordio cinematografico di
Jonas Cuaron, figlio di Alfonso e
già provetto sceneggiatore.
Jonas ha infatti contribuito alla
stesura dello script di Gravity, nel
2013, al fianco del padre, e ora si prepara a esordire con un
progetto tutto suo. Ecco il trailer:
Scritto da Jonás Cuarón e Mateo García, Desierto racconta
l’inseguimento “gatto e topo” tra un lavoratore messicano senza
documenti (Bernal) e un vigilante americano (Morgan), il tutto
ambientato al confine del deserto, dove il meraviglioso (e brutale)
paesaggio diventerà una metafora delle lotte interiori dei
personaggi.
Jonas ha infatti contribuito alla
stesura dello script di Gravity, nel
2013, al fianco del padre, e ora si prepara a esordire con un
progetto tutto suo. Ecco il nuovo trailer del film:
Gael Garcia
Bernal nel primo trailer di
Desierto di Jonas Cuaron
Scritto da Jonás Cuarón e Mateo García, Desierto racconta
l’inseguimento “gatto e topo” tra un lavoratore messicano senza
documenti (Bernal) e un vigilante americano (Morgan), il tutto
ambientato al confine del deserto, dove il meraviglioso (e brutale)
paesaggio diventerà una metafora delle lotte interiori dei
personaggi.
Ricordiamo che dal 13 ottobre
Gael Garcia Bernal sarà nelle nostre sale con
Neruda, il
biopic diretto da Pablo
Larrain (NO – I Giorni dell’Arcobaleno,
Jackie).
Biografilm
Festival 2016: l’incontro con Gael
Garcia Bernal
La pellicola, sceneggiata dal
cileno Guillermo Calderon, racconterà la vita del
celebre poeta, politico e premio Nobile per la letteratura
Pablo Neruda, interpretato da Luis
Gnecco. Gael Garcia Bernal e il regista
Pablo Larrain tornano a lavorare insieme dopo
NO – I Giorni dell’Arcobaleno.
Gael Garcia Bernal
vestirà i panni del commissario Oscar Peluchonneau, coinvolto nella
fuga del poeta (divenuto senatore indipendente del Partito
Comunista del Cile tra il 1946 e il 1948) in seguito alla accuse
mosse dall’uomo al governo per aver incarcerato dei minatori in
sciopero.
Arriva da
Deadline la notizia che Gael García Bernal, attore messicano noto per
aver interpretato il giovane Ernesto Guevara de la Serna ne I
diari della motocicletta, è entrato ufficialmente a far parte
del cast del nuovo attesissimo progetto cinematografico di M. Night Shyamalan, l’acclamato regista di
The Sixth Sense – Il Sesto Senso e Unbreakable – Il
predestinato.
Il cast di OLD, che
arriverà nelle sale il 23 luglio 2021, annovera già Eliza
Scanlen (Piccole donne), Thomasin
McKenzie (JoJo Rabbit), Aaron Pierre
(Krypton), Alex Wolff (Hereditary – Le radici del
male), Vicky Krieps (Il filo nascosto),
Abbey Lee (Mad Max: Fury Road), Nikki
Amuka-Bird (Luther) e Ken Leung
(Lost).
Come la maggior parte dei suoi
film, anche i dettagli sulla trama di questo nuovo progetto di
Shyamalan sono avvolti nel mistero: non è escluso che il nuovo film
– ancora senza un titolo ufficiale – possa essere collegato in
qualche modo ai suoi lavori precedenti. Shyamalan sarà coinvolto
anche in qualità di produttore insieme ad Ashwin Rajan della
Blinding Edge Pictures e a Marc Bienstock. Steven Schneider,
invece, figurerà come produttore esecutivo.
Il nuovo film di M. Night Shyamalan verrà distribuito dalla
Universal, che si occuperà anche della distribuzione del prossimo
lavoro del regista: non sappiamo se i due film saranno collegati in
qualche modo. La Universal aveva già distribuito gli ultimi film di
Shyamalan, a partire da The
Visit e Split
(che si sono entrambi rivelati un grandissimo successo al
botteghino), fino ad arrivare all’ultimo Glass,
una sorta di sequel di Unbreakable e Split
combinati, che però non è stato accolto con lo stesso entusiasmo
dei predecessori.
Gli ultimi progetti di Gael García Bernal
Per quanto riguarda Gael García Bernal, di recente l’attore ha
recitato in Ema di Pablo Larraín (che arriverà nelle sale
italiane prossimamente, distribuito da Movies Inspired) e in
Wasp Network di Olivier Assayas (disponibile
in Italia direttamente su Netflix). Nel corso della sua carriera l’attore ha
collaborato con celebri registi come Pedro Almodóvar, Michel
Gondry, Alfonso Cuarón, James Marsh, Alejandro
González Iñárritu e il già citato Larraín, con cui ha girato ben
tre film.
Gael Garcia Bernal, protagonista de
L’arte del sogno e di Babel, vestirà i panni dello storico pugile
Roberto Duran nel film Hands of Stone. Accanto a lui potrebbe
recitare un’icona del cinema contemporaneo, Al Pacino, nel ruolo
dell’allenatore Ray Arecel.
Sarà il volto di Gael García Bernal a
riportare all’opera il mitico giustiziere mascherato. Infatti,
l’attore è stato scelto dalla 20th Century Fox per rilanciare
il franchise di Zorro.
Gael Garcia Bernal e Mariana Di
Girolamo sono i protagonisti di Ema, il
nuovo film di Pablo Larrain in concorso a
Venezia 76. Ecco la nostra intervista agli
attori:
Quante volte, di fronte a un film
sci-fi, abbiamo desiderato fortemente possedere un certo
prop/oggetto di scena tecnologico o gadget
sci-fi? Da dispositivi di comunicazione high-tech
a marchingegni impressionanti e mortali, la tecnologia
cinematografica ha contribuito a modellare lo sviluppo della nostra
era digitale.
Gli amanti della fantascienza hanno
guardato questi film per anni, selezionando accuratamente i gadget
più cool e tecnologicamente avanzati, che avrebbero voluto
possedere. Alcuni di questi spiccano più di altri, altri si sono
fatti largo man mano nella nostra quotidianità: vediamo assieme la
classifica.
Set OASIS VR – Ready Player
One
Nonostante l’esempio
concreto di molti film o serie tv di fantascienza che illustrano
come una simulazione di realtà virtuale immersiva sarebbe una
pessima idea, gli spettatori continuano ad essere attratti da
questo concetto.
Il set VR di Ready
Player One è la definizione perfetta di immersione in
una realtà del genere, servendosi di strumenti che favoriscono
un’esperienza sensoriale a livello di corpo e mente, con
dispositivi tecnologici aggiuntivi che permettono di camminare
fisicamente o sentire gli odori mentre si gioca. La cuffia VR è
davvero un gadget impressionante e dimostra come un oggetto dalle
piccole dimensioni possa sprigionare un’enorme potenza.
Macchina Esper – Blade Runner
L’Esper Machine di
Blade Runner è un dispositivo in grado di
migliorare il punto di vista dell’utilizzatore, eseguendo uno zoom
quasi infinito per ingrandire i dettagli di immagini digitalizzate.
Più che gadget sci-fi, un vero e proprio
strumento di ricerca.
Al giorno d’oggi, questa ci sembra
una funzione asservita da gran parte dei dispositivi tecnologici
che maneggiamo, eppure l’Esper Machine va al di là del
mero fotoritocco, con risultati stratosferici in termini di
ingrandimento di una foto stampata negli anni ’80, nella cornice
dei film di fantascienza.
Lo zaino protonico –
Ghostbusters
Lo
zaino protonico è probabilmente uno dei motivi principali del
successo diGhostbusters,
testimone di una vera e propria ricerca scientifica dietro la trama
della saga fantascientifica. Come sappiamo, si tratta di un
acceleratore di protoni nucleari inventato dai Ghostbusters nel
1984, nella loro prima pellicola, con lo scopo di acchiappare
fantasmi.
Gli zaini protonici sono stati una
vera e propria introduzione per il pubblico alla tecnologia
fantascientifica ed hanno indubbiamente costituito un punto di
partenza fondamentale per lo sviluppo del mercato di gadget
cinematografici.
Il Reattore Arc- Iron Man
Tony Stark,
intrappolato in una grotta, senza alcuna via di fuga praticabile, è
riuscito a ideare uno dei più, se non il più, avanzato strumento
tecnologico in Iron Man.
ll reattore Arc fornisce energia a un elettromagnete, che
impedisce alle schegge di proiettile incastrate di raggiungere il
cuore di Tony Stark e, anche se si ignora l’origine del
marchingegno, l’ingegnosità di tale tecnologia è impossibile da
negare.
L’Arc Reactor serve come
fonte di energia quasi illimitata, un qualcosa che la gente
oggigiorno può solo sognare. Insieme a un sistema di supporto
vitale impiantato, il reattore alimenta un sistema di armi e
un’intelligenza artificiale: inutile dire che la lista dei fan che
desiderano un reattore ad arco è lunga chilometri…
Il lancia-rampino – Batman
Begins
Tutta l’attrezzatura di
Batman potrebbe essere considerata “la migliore”,
poiché batte qualsiasi contendente dei film di fantascienza.
Tuttavia, nessuno dei dispositivi di Batman è così iconico come il
rampino a forma di pipistrello che ha salvato Batman e Robin da
molte situazioni difficili. Il lancia-rampino, detto anche
Batcavo, normalmente permette a Batman di scalare
o scendere dai palazzi, o di dondolarsi tra i vari grattacieli di
Gotham City su corde. Simile al rampino e alla fiocina, la spara
corde utilizza un fortissimo morsetto attaccato ad un cavo
altamente tensile, per scalare le superfici e/o per attraversare
enormi distanze.
Il successo dello strumento è dovuto
all’idea alla base della creazione, ossia quella di un dispositivo
con funzione diretta, perfetto per sottolineare lo status di
Bruce Wayne come comune mortale agli occhi del
pubblico e, contemporaneamente, determinando la misteriosità del
personaggio agli occhi dei villain e cittadini di Gotham.
Hoverboard – Ritorno al futuro
II
Sono passati anni da quando
Ritorno al futuro II ha anticipato l’arrivo, e
il successo, degli hoverboard nel 2015: pensiamo solo che la gente
nutre ancora la speranza che questa tecnologia venga utilizzata
quotidianamente nel futuro prossimo!
Il fascino di questo monopattino 2.0
deriva direttamente dalla forma dell’oggetto come incredibile pezzo
di equipaggiamento, unito alla concretezza che esso può assumere
all’interno del regno della possibilità: è infatti sempre stato
percepibile come un macchinario fabbricabile e, soprattutto,
utilizzabile! Senza dubbio un gadget
sci-fi che tutti vorremmo avere!
Spara Ragnatele- The Amazing
Spider-Man
Parte integrante del progetto di
distanziamento del film The Amazing Spiderman dalla sua controparte
del 2002 è stata l’aggiunta di spara ragnatele artificiali al
design del personaggio, al posto del fluido organico che il Peter
Parker di Toby Maguire sparava dai polsi.
È la pura e semplice
atemporalità dello spara ragnatela a dimostrare che si tratta di
uno dei miglior gadget di fantascienza in assoluto: bambini e
ragazzi di tutto il mondo, e di ogni età, hanno immaginato di poter
sparare ragnatele da una pistola immaginaria sul loro polso,
sancendo in questo modo l’unicità dello strumento come parte
integrante del personaggio e accedendo l’immaginazione di così
tanti fan!
Comunicatore – Star Trek
Il
comunicatore nell’universo fantascientifico di
Star Trek è un dispositivo che consente di stabilire
un contatto audio tra il personale della Flotta Stellare e le
astronavi o le installazioni fisse della Flotta; questo strumento
sarebbe poi diventato, nei film successivi, un dispositivo
portatile.
Anche se agli occhi dei giovani
della generazione Z non si tratta di un grande miglioramento
rispetto alla tecnologia attuale, l’idea di comunicare attraverso i
pianeti era qualcosa di assolutamente sconosciuto per gli anni ’70.
Erano allora stati inventati solo prototipi portatili di telefoni
cellulari, ma il primo telefono cellulare non sarebbe stato
disponibile al pubblico prima di quattro anni: ancora oggi, l’idea
di possedere un comunicatore così potente è un sogno per molte
persone.
Spade laser – Guerre stellari
Qualsiasi
fan diStar
Wars
ha, almeno una volta nella vita, desiderato possedere una spada
laser: si tratta fondamentalmente dell’arma più iconica di tutto il
regno della fantascienza e di una delle invenzioni più mirabolanti
dell’intera storia del cinema. Un must have trai gadget
sci-fi.
Alimentate dai cristalli Kyber e da
una connessione innata con la Forza, le spade laser non potranno
mai esistere nel nostro tempo. Questo non ha comunque fermato i fan
dal cercare di coltivare la tecnologia adatta per poter procedere
alla creazione di una spada laser!
Gal Gadot ha rivelato che la sua Diana Prince,
l’identità umana di Wonder Woman, è ispirata all’iconica
Diana Spencer. L’attrice israeliana ha debutto nei
panni della supereroina in Batman v Superman di
Zack Snyder, per poi recitare nel cinecomic a lei interamente
dedicato, che si è rivelato un grandissimo successo, non solo di
pubblico ma anche di critica.
Di recente Diana è tornata a vestire
i panni della guerriera amazzone in Wonder
Woman 1984. Nonostante il sequel non abbia ottenuto il
medesimo successo del predecessore, un terzo capitolo della saga è
stato confermato, con Patty Jenkins che tornerà ancora una volta
dietro la macchina da presa. Inoltre, sempre di recente abbiamo
ritrovato Diana anche in
Zack Snyder’s Justice League, il taglio originale del
controverso regista che è stato distribuito in tutto il mondo lo
scorso 18 marzo.
In una recente intervista con
Vanity Fair, Gal Gadot ha rivelato di essersi ispirata
alla Principessa Diana per la sua interpretazione di
Wonder Woman. L’attrice ha spiegato che mentre stava
guardando un documentario sulla compianta Lady Diana rimase
totalmente affascinata dalla sua compassione e dal suo amore nei
confronti degli altri. Proprio per questo, decise che la sua Diana
Prince doveva avere le medesime caratteristiche.
“In questo documentario che ho
visto c’è stata una parte in cui si diceva che la Principessa era
piena di compassione e che si è sempre presa cura degli altri
durante la sua vita”, ha spiegato l’attrice. “È stato come
un campanello d’allarme. Ho capito che la mia Wonder Woman doveva
essere come lei.”
Il futuro di Wonder Woman al cinema
Wonder
Woman 1984 è arrivato in Italia direttamente in
esclusiva digitale lo scorso 12 febbraio. Nel sequel, oltre
a Gal
Gadot, hanno recitato anche Chris
Pine, Kristen
WiigePedro
Pascal. Subito dopo l’uscita del film in USA (avvenuta
a dicembre 2020, in contemporanea al cinema e su HBO Max), è stato
confermato ufficialmente Wonder
Woman 3, che vedrà ancora una volta il ritorno
di Patty
Jenkins dietro la macchina da presa e quello di
Gadot nei panni di Diana Prince.
Gabrielle (Gabrielle Marion-Rivard) ama
la musica, canta in un coro ed ha una dote straordinaria:
l’orecchio assoluto. Purtroppo questo dono è anche legato alla sua
disabilità. Gabrielle, infatti, è affetta da sindrome di Williams
che comporta, tra le altre cose, anche il ritardo mentale.
Nonostante questo, spinta dall’amore per il compagno di coro Martin
(Alexandre Landry), Gabrielle vorrà rendersi
indipendente emancipandosi dalle cure degli operatori del centro in
cui vive e dalla dipendenza (materiale ed affettiva) dalla sorella
Sophie (Mèlissa Dèsormeaux-Poulin).
Il secondo lungometraggio della
regista canadese Louise Archambault,
Gabrielle un amore fuori dal coro, nasce
dall’incontro con alcune realtà assistenziali che si occupano di
ragazzi con disabilità fisiche e psichiche presenti nella città di
Montrèal. L’attrice Gabrielle Marion-Rivard che
interpreta la protagonista, proviene proprio da una di queste
realtà, il Centro di arti dello spettacolo Les
Muses che fornisce una formazione d’alto livello
professionale nel campo artistico, a persone disabili. La
Archambault ha osservato molto da vicino
l’attività di queste istituzioni ed ha costruito il film
sull’esperienza e sulla vita delle persone che le frequentano,
operatori ed assistiti. Grazie anche a questo contatto diretto con
la realtà, il film sprigiona un brillante alone di autenticità.La
regista adotta il punto di vista della giovane Gabrielle e ci
trascina nel suo mondo mostrandoci la realtà tramite i suoi occhi.
L’obiettivo è quello di
farci prendere consapevolezza di come anche i disabili siano
persone come tutti gli altri aldilà della loro disabilità. Persone
con esigenze condivise con noi, come quella di amare ed essere
amati o come il desiderio e la sessualità. Purtroppo nella nostra
società questo è considerato ancora un tabù ed i disabili vengono
percepiti come degli eterni bambini che non possono provare un
certo tipo di desiderio carnale. Questo punto di vista, nel film, è
incarnato dalla figura della mamma di Martin (Marie
Gignac) che cerca in tutti i modi di allontanare il figlio
da Gabrielle quasi disgustata dalla voglia che i due ragazzi hanno
di amarsi in modo completo. Un’altra figura emblematica è quella di
Sophie, la sorella di Gabrielle che, come molti fratelli sani di
ragazzi disabili, tende a sentirsi in colpa per il desiderio di
realizzare la sua vita lasciando indietro la sorella.
Gabrielle un amore fuori
dal coro è un film divertente e toccante con una
regia caratterizzata da uno sguardo inedito ed introspettivo. Per
catturare la spontaneità dei protagonisti la regista ha girato
principalmente in piano sequenza affidando ad un montaggio spesso
serrato le azioni più coinvolgenti. Il film, che ha concorso al
Festival del film di Locarno
aggiudicandosi il premio del pubblico
UBS, uscirà nel circuito italiano il 12 Giugno
distribuito da Officine Ubu.
Arriva nelle sale italiane, distribuito da Officine Ubu, Gabrielle Un amore fuori dal
coro, il film diretto dalla
regista canadese Louise
Archambault che ha commosso
il pubblico del Festival di Locarno, vincitore del Premio nella
sezionePiazza
Grande. Gabrielle, interpretata
da Gabrielle Marion-Rivard, è una giovane donna affetta dalla
Sindrome di Williams dotata di una contagiosa gioia di vivere e di
una spiccata propensione per la musica.
Gabrielle si innamora, felicemente ricambiata, di
Martin, un ragazzo conosciuto nel centro ricreativo dove canta in
un coro. Le rispettive famiglie non permettono ai ragazzi, a causa
della loro disabilità, di vivere il proprio amore come vorrebbero.
Mentre il coro si prepara a partecipare ad un importante festival
musicale, Gabrielle fa di tutto per dimostrare la propria autonomia
e per guadagnarsi un’indipendenza tanto agognata. Con grande
determinazione, la giovane dovrà affrontare i pregiudizi di chi le
sta intorno e i propri limiti, per sperare di poter vivere con
Martin una storia d’amore per nulla ordinaria. Con la
partecipazione di Robert
Charlebois, noto cantante
canadese,la pellicola è una riflessione a tutto tondo sul
desiderio di libertà e di amore che accomuna tutti gli esseri
umani; è un ritratto, delicato e dal tocco tipicamente femminile,
di una donna, della sua forza di volontà e della profondità dei
rapporti umani, come la magia del legame con la sorella Sophie.
Oltre la protagonista, il film ritrae anche la complessità di tutto
il contorno che la circonda, fatto di familiari – attraverso un
controverso rapporto con la mamma -, operatori sociali e gli altri
ragazzi del centro che fanno parte del coro, questi ultimi tutti
attori non professionisti.
Gabrielle – Un amore
fuori dal coro, il film che ha commosso il pubblico
del Festival di Locarno, vincitore del Premio nella Sezione Piazza
Grande, sarà proiettato in anteprima nazionale martedì 10
giugno alle ore 17.00 presso il Cinema Arlecchino di Bologna
all’interno del Biografilm Festival, nella Sezione
Contemporany Lives. Il Festival, che celebra
quest’anno il suo decennale, sceglie Gabrielle per raccontare il
tema della diversità e di quello straordinario strumento di
trasformazione di sé e del mondo che è l’arte.
Distribuito da Officine
UBU, Gabrielle arriva nelle sale
italiane il 12 giugno con la regia della canadese
Louise Archambault, con Gabrielle Marion-Rivard,
nel ruolo della protagonista, Alexandre Landry, Mélissa
Désormeaux-Poulin e tutti i ragazzi, attori non professionisti, de
l’École Les Muses et la Gang à Rambrou. Un inno alla vita,
all’amore, alla gioia che racconta la storia di una giovane donna
affetta dalla Sindrome di Williams-Beuren, dotata di una contagiosa
gioia di vivere e di una spiccata propensione per la musica.
Gabrielle si innamora, felicemente ricambiata, di Martin, un
ragazzo conosciuto nel centro ricreativo dove canta in un coro. Le
rispettive famiglie non permettono ai ragazzi, a causa della loro
disabilità, di vivere il proprio amore come vorrebbero. Mentre il
coro si prepara a partecipare ad un importante festival musicale,
Gabrielle fa di tutto per dimostrare la propria autonomia e per
guadagnarsi l’indipendenza tanto agognata. Con grande
determinazione, la giovane dovrà affrontare i pregiudizi di chi le
sta intorno e i propri limiti, per sperare di poter vivere con
Martin una storia d’amore per nulla ordinaria. Con la
partecipazione di Robert Charlebois, noto cantante
canadese,la pellicola è una riflessione a tutto tondo sul desiderio
di libertà e di amore che accomuna tutti gli esseri umani; è un
ritratto, delicato e dal tocco tipicamente femminile, di una donna,
della sua forza di volontà e della profondità dei rapporti umani,
come la magia del legame con la sorella Sophie.
Dopo Chloe Moretz nel ruolo della
protagonista e Julianne Moore in quello della madre, nuova conferma
per il remake di Carrie adattamento dell’omonimo libro del Re del
brivido, portato per la prima volta sugli schermi da Brian de
Palma: Gabriella Wilde sarà Sue Snell, mentre per il ruolo di Miss
Collis si parla di Judy Greer; nell’originale di De Palma, il ruolo
di Sue era stato coperto da Amy Irving. La Wilde, ancora non
notissima, vanta comunque già alcune apparizioni di rilievo, tra
cui quella nei Tre Moschettieri nello scorso anno, in St Trinian’s
2, e in un episodio della stagione 2010 del Dottor Who.
Sue Snell, inizialmente tra le
ragazze che prendono di mira Carrie coi loro scherzi crudeli, si
ricrederà cercando di darle una mano, ma con esiti tutt’altro che
brillanti. La Collins è invece un’insegnante di educazione fisica
che prende in simpatia la protagonista, cercando di
difenderla; un ruolo importante per la Greer, fattasi già
notare in The Descendents e Jeff Who Lives At Home; nell’originale
la parte era stata affidata a Betty Buckley, in seguito
conosciutissima al grande pubblico anche in Italia grazie al
ruolo della madre nel telefilm della Famiglia Bradford. Ulteriori
indiscrezioni danno Ivana Baquero per la parte di Chris
Hargensen, la vera ‘nemesi’ di Carrie, alla guida della banda
di ‘bulle’ che la perseguita, nell’originale interpretata da Nancy
Allen. L’uscita del film è prevista per il 15 marzo 2013, anche se
al momento non è ancora stata fissata una data per l’inizio delle
riprese.
Sarà il Regista Premio
Oscar Gabriele Salvatores a raccontare
ai visitatori del Padiglione Italia a Expo 2020 Dubai
le Regioni del nostro Paese che da oggi
cominciano così il loro cammino verso il grande evento globale di
quest’anno.
Con una conferenza stampa sulla piattaforma digitale della
Stampa Estera il Commissariato per la partecipazione dell’Italia ha
svelato il progetto che vedrà i territori protagonisti assoluti del
percorso espositivo del Padiglione alla prossima Esposizione
Universale al via il primo di ottobre.
A Salvatores – scelto da una commissione presieduta dallo
scrittore Sandro Veronesi – è affidato
il compito di narrare la Bellezza del Paese evocata sin dal
titolo della partecipazione italiana – “La Bellezza unisce le
Persone” – che a sua volta declina il claim di Expo Dubai
“Connettere le menti, creare il futuro”.
Nelle prossime settimane lo sguardo del regista premio Oscar,
con la produzione di Indiana Production,
attraverserà le Regioni che hanno aderito al progetto, realizzando
riprese che verranno poi editate e infine proposte per l’intera
durata del semestre espositivo ai visitatori del Padiglione
Italia.
Tutto il racconto del Padiglione è stato immaginato come il
viaggio di uno sguardo. All’inizio i visitatori si troveranno ad
ammirare il paesaggio del percorso espositivo per poi addentrarsi
lungo un itinerario di architetture narrative fatte di contenuti
che esprimono il meglio della competenza e della bellezza italiana:
dal cinema al teatro, dai paesaggi, alle imprese più innovative,
dalle tecnologie d’avanguardia alla sostenibilità.
Il racconto costruito dal Regista con le Regioni partecipanti
prevede una serie di contenuti altamente scenografici e d’impatto a
cominciare da quelli del Belvedere,
il luogo da cui si vede il bello: una finestra
circolare sui territori del Paese con proiezioni a 360 gradi dei
paesaggi italiani più suggestivi che sta a significare anche
l’importanza di protezione e cura di questo inestimabile valore che
il nostro Paese rappresenta per il mondo intero.
Il percorso continua con il film sul ‘Saper
Fare’ italiano, raccontato su uno schermo di
100 metri quadrati e capace di mostrare al visitatore il meglio
delle ‘artigiane’, dell’agroalimentare, della meccanica, del design
e dell’esercizio delle tecnologie più sofisticate; la
narrazione prosegue con le ‘Short Stories’, mostre
temporanee con un approfondimento tematico sulla nostra cultura e
arte oltre che sulle innovazioni contemporanee nei campi della
salute, della medicina, dello spazio e del design.
Il Padiglione Italia a Expo Dubai sarà quindi un vero e
proprio ‘Giardino delle Storie’: un giardino
perché sintesi metaforica di tanti elementi diversi che insieme
creano un linguaggio di equilibrio e armonia, proiezione
dell’ordine dell’universo. E le storie che nascono nei nostri
territori rappresentano spesso competenze uniche al mondo: quelle
di un’innovazione capace, come è successo tante volte nei secoli e
accade ancora nel presente, di cambiare il corso della storia e
dell’umanità grazie alla visione e alla consapevolezza di vivere in
un territorio di inestimabile valore naturalistico, paesaggistico e
culturale.
“Credo che la bellezza, l’arte e anche se vogliamo il
piacere della vita che l’Italia sa ben fornire ed esportare possano
veramente aiutare a cambiare il mondo”, ha
affermato Gabriele Salvatores.
“La bellezza italiana che Gabriele Salvatores racconterà
magistralmente è la bellezza che si fonda sulle diversità dei suoi
territori e dei suoi saperi: così le nostre Regioni saranno, per la
prima volta in un’Esposizione Universale, partner artistici del
Padiglione italiano, realizzandone i contenuti per l’intero periodo
dell’Expo”, ha affermato Paolo Glisenti,
Commissario Generale per la partecipazione dell’Italia a Expo 2020
Dubai. “Per rilanciare il turismo, a cominciare da quello
esperienziale, ma anche per far crescere l’attrazione dei capitali
internazionali verso le filiere d’impresa dall’artigianato alla
grande industria, e far crescere l’attrazione di capitale umano
verso i centri di competenza scientifica e tecnologica destinati a
generare innovazione e sostenibilità nel futuro”, ha aggiunto
Glisenti.
“Tutti i paesaggi del nostro Paese, ad esclusione di quelli
naturali, sono di fatto espressione diretta del saper fare
italiano. Sono molto contento che sia un autore come Gabriele
Salvatores, con la sua sensibilità, a raccontare e declinare tutto
questo”, ha dichiarato Davide Rampello,
Direttore Artistico del Padiglione Italia a Expo 2020 Dubai.
Prodotto da Rai
Cinema, con Indiana Production e distribuito da 01
Distribution, Comedians,
il nuovo film di Gabriele Salvatores arriva in sala dal 10
giugno in 250 copie. Una scelta coraggiosa, visto il periodo
difficile per le sale, dovuto all’emergenza Covid, e
l’approssimarsi dell’estate, ma di cui il regista si dice convinto,
e spiega: “Per me è importante uscire con questo film
adesso. […] A me la carriera è andata bene e ogni tanto
nella vita bisogna restituire qualcosa. Questa è la mia maniera di
dire che il cinema va avanti: le sale sono aperte, torniamo al
cinema”. Si dice anche convinto che “le sale non chiuderanno
mai. Non sono uno stupido ottimista. Non chiuderanno perche sono
quel luogo dove si può decidere di passare due ore senza essere per
forza interattivi, se non con la mente e le emozioni,
abbandonandosi a un viaggio di due ore pensato da un’altro. […]
In una sala si sospende la realtà per un attimo, mentre a casa
tua, per quanto possa essere bello il film che stai vedendo, la
realtà è sempre presente”.
Il progetto arriva da
lontano, da una pièce teatrale del 1985, tratta da un testo di
Trevor Griffiths, messa in scena dallo stesso Salvatores e
diventata poi un film da lui diretto, Kamikazen – Ultima
notte a Milano. Molta è la curiosità intorno a questa
rilettura dopo ventun anni, che ha dato vita a
Comedians. Così ne parla il regista, sottolineando le
differenze tra i due progetti:“Kamikazenè
veramente un’altra cosa. Non c’è la scuola, non c’è il maestro, non
c’è l’esaminatore, tant’è vero che nel film non c’è neanche scritto
che sia ispirato o in realzione al testo di Griffiths. […]
Lì abbiamo indagato le vite private dei singoli personaggi.
[…] L’umanità delle case di ringhiera di Milano”. “Quando
avevamo messo in scena il testo di Griffiths nell’85 eravamo
giovani affamati di successo e desiderosi di farci vedere. Quindi
lo avevamo usato come contenitore per riempirlo di gag e di
improvvisazioni. Rileggendolo ventun anni dopo, ho scoperto quello
che i Pink Floyd chiamerebbero il “dark side of the moon” di questo
testo, cioè la parte più riflessiva e malinconica. Questa è una
piccola umanità che deve giorno per giorno fare i conti con la
vita. Sognano una visibilità che è molto difficile da avere. Il
testo si è rivelato, rileggendolo, molto più attuale di quello che
pensavo”. “Ci sono temi che non avevo intravisto nella prima
lettura. Per esempio, il rapporto tra padre e figlio che c’è tra i
personaggi interpretati daBalassoePrannoè interessante, è un padre che non glie le
fa passare e un figlio che lo contesta. […] C’è voglia di
apparire, di successo, di non essere perso in umanità di
“raindogs” [cani randagi ndr.] ma essere qualcuno su un
palco con una luce. Questo è molto attuale. Non è necessario che
tutti stiano sul palco con la luce addosso. Ognuno può fare bene il
proprio lavoro anche senza farsi vedere per forza”.
E trattando della
dicotomia tra bravura e successo, tema affrontato nel film,
parla della sua esperienza personale: “Il vero problema è il
successo […] A questo io ho risposto cercando di fare ogni
volta qualcosa che non sapevo fare, cioè cambiando genere, tipo di
film, sia per imparare qualcosa, ma soprattutto per non
considerarmi in nessun modo arrivato. Quando sei convinto di saper
fare molto bene una cosa sei vicino alla fine, secondo me. Credo
che soprattutto per un artista ci voglia l’ansia, la paura di non
saperlo fare. La voglia di provare delle cose nuove per rimanere
vivo”.
Il regista spiega
poi come ha lavorato al film, facendo precedere le riprese
da prove, proprio come si fa in teatro: “Ho usato un metodo che
aveva usato ancheClint Eastwood […] inMillion Dollar BabyeGran
Torino. Ha preso gli attori e il direttore della
fotografia, ha provato prima il film […]. Quindi, quando è
andato a girare, ci ha messo cinque settimane. Noi ce ne abbiamo
messe quattro. Ma abbiamo fatto due settimane di prove prima. Così,
quando arrivi sul set sai già dove mettere la macchina […],
gli attori sanno dove spostarsi. […] Con due macchine da
presa mi sono inserito tra di loro, semplicemente a stargli vicino,
a farli vedere. Il grosso vantaggio rispetto al teatro è proprio
poter vedere delle cose piccolissime” . Esperienza che il
regista dice di voler ripetere in futuro, aggiungendo: “E’ un
vizio degli attori italiani, che passano da un film all’altro
velocissimamente e quindi non hanno mai il tempo di provare. Invece
durante le prove […] nascono tantissime idee e
rapporti”.
A questo proposito, così
alcuni membri del cast raccontano l’esperienza sul
set.
Il giovane Giulio
Pranno, già protagonista di Tutto il mio follle
amore, che qui iterpreta Zappa, il personaggio inquieto,
dice: “Ho costruito il personaggio andando sul set giorno dopo
giorno e lavorando con gli altri. Questo è stato un lavoro di
gruppo. Con Gabriele è il secondo film che facciamo insieme. Mi sa
dirigere e sono stato molto tranquillo su questo set. Mi sono molto
fidato del lavoro. […] Ho fatto anche un corso di clownerie
per prepararmi al ruolo”. E aggiunge di essere un amante del
“black humour”.
Ale e Franz
interpretano i fratelli Filippo e Leo Marri, Ale racconta
così i loro personaggi: “Siamo il prototipo del fallimento: un
fallimento personale, umano. E siamo sulla soglia di un nuovo
fallimento, all’inizio […] messo nella giusta direzione da
Barni, ma appena arriva Celli, dentro di noi si crea questo grosso
dubbio, soprattutto in me. Quindi andiamo nella direzione più
facile, perché il pubblico vuol ridere, andiamo sulla risata
facile, quella immediata. […] Lui [Leo, interpretato da
Franz ndr.] se ne risente, va per la sua strada e si crea una
crepa tra di noi che manda tutto a ramengo.” Mentre
Franz ricorda: “Abbiamo iniziato davvero conBalassocome insegnante in un laboratorio. […]
È stato davvero per noi un sogno lavorare con Gabriele, un
percorso artistico che ha trovato il suo compimento”.
Natalino Balasso,
che interpreta Eddie Barni, l’insegnante buono, descrive così il
maestro: “Barni dice quello che penso io e Griffiths l’aveva già
scritto nel ’78 […] La prima cosa che insegno loro è
[…]: quando si
entra in campo con le battute, con la comicità, capire perchè si è
lì. Sembra una cosa ovvia, semplice, ma non è così. Credo che il
novanta per cento della comicità non lo abbia capito. Anche per
questo il film è importante”, e aggiunge: “Il mio
personaggio dice delle cose che condivido a pieno”. Interrogato
su cosa lo diverta, Balasso afferma: “Non ho una comicità
preferita. Rido di molte cose, a volte anche di una comicità molto
banale. Il comico che mi fa più ridere in assoluto è mio zio. Però
è una cosa legata anche alle fasi della vita. Credo che da giovani
si rida di certe cose, poi col passar degli anni, anche di
altre”.
Christian De Sica,
qui nei panni del talent scout prammatico, descrive l’esperienza
con Salvatores: “Non avevo mai avuto la fortuna di
lavorare con Salvatores, ma ci conosciamo da tanti anni e ora con
questo film siamo diventati anche amici. Serviva un attore
nazional-popolare, guitto, uno che fa i cinepanettoni, e coi
produttori si sono detti: chi prendiamo? Io ho accettato e lui ha
scoperto uno straordinario attore drammatico”, dice tra il
serio e il faceto. Poi prosegue: “Ho lavorato con tanti
registi […] ma il clima in quei giorni a Trieste è stato
meraviglioso. […] Lui è come un papà o una mamma. C’era una
tale gentilezza e leggerezza. Veramente un attore si sente
tranquillo nelle sue mani. […] È un film di una grande
classe e questo dimostra anche il coraggio cheSalvatoresancora ha. Si mette alla prova con un
film artisticamente così severo e lo fa uscire il 10 giugno dopo il
covid. È un passo importante anche per il cinema, per gli
esercenti, per il pubblico”. Mentre sul suo personaggio così
argomenta: “Questo personaggio secondo me non dice poi tante
stronzate, dice la verità: io non cerco dei filosofi, non siate
profondi, io sto cercando dei comici, se volete avere successo.
Nella vita l’ho seguita questa strada e non è che mi sia andata
male”. A chi gli domanda cosa lo faccia ridere, l’attore
risponde guardando ai classici: “Mi fanno ridere ancora oggi
moltissimoTotòeAlberto
Sordi. Credo siano i più grandi comici che abbiamo avuto
nel mondo”.
Su come sia cambiata
la comicità negli anni, Salvatores risponde invece così, e non
rinuncia a una critica alla classe politica: “Si è
sdoganato completamente, negli anni ’80 e ’90, il politicamente
scorretto. Il che per certe cose è un bene, ma per certe altre
siamo andati un po’ oltre. Adesso, se dici una cosa gentile, ti
dicono che sei un buonista. Bisogna essere cattivi, un po’ haters,
un po’ protagonisti, non essere d’accordo. E anche usare la
comicità come
fanno alcuni dei nostri politici per essere amici, simpatici e non
invece padri. Abbiamo tanto bisogno di padri secondo me, in questo
momento. Di padri come Natalino e De Sica. Puoi non essere
d’accordo con il personaggio di Christian, ma almento prende
una posizione. […] Ci vuole qualcuno che si prenda la
responsabilità. Mi piacerebbe tanto che la nostra classe politica
fosse un po’ più così”.
Da qui un dibattito sugli
eccessi del politicamente scorretto e del suo contrario, che
a sua volta, se estremizzato, può diventare pericolso quanto e più
dello stereotipo. Il regista argomenta così: “Il politicamente
corretto, sopratutto se usato in una certa maniera, è rischioso.
Guardate per esempio quello che sta succedendo con MeToo. Una
istanza giusta, un motivo giusto che sta diventando certe volte
anche ridicolo. Sento delle cose che arrivano dall’America che
veramente sono impressionanti. Il politicamente corretto nel cinema
porta al fatto di premiare per forza un film che ha degli attori
neri. Ora c’è l’obbligo di rappresentare nel film varie cose. In
Malcom e Mary il regista bianco è stato criticato perchè mette in
scena un regista nero, appropriandosi di una cultura che non è la
sua. Secondo me è pazzia. È una questione di equilibrio. Bisogna
stare attenti da entrambe le parti. È una domanda molto importante
ed io non ho la risposta precisa. Mi barcameno”.
Franz sul tema e
sull’esistenza di limiti da non oltrepassare in campo comico,
commenta: “Il limite è legato alla sensibilità di ciascuno.
Noi [ come duo comico con Ale ndr.] ci siamo posti un limite
dall’inizio, che combacia con la nostra sensibilità. Non scherziamo
sulle malattie. C’è poi una barriera tra lo scherzare tra amici e
il mettere in scena qualcosa. Nel momento in cui sali su un palco,
hai una responsabilità molto maggiore”.
Interviene anche
Balasso: “E’ un problema anche culturale. C’è sempre meno
gente che capisce l’ironia. L’ironia va anche capita, ci vuole
anche un’intelligenza, bisogna metterla in campo”.Comedians
di Gabriele Salvatores è in sala dal giugno in 250 copie.
“L’Italia che viene
fuori da questi video è un Paese ferito, è un Paese che soffre con
dignità e che non ha chiuso le finestre verso il futuro. C’è un
senso di tenerezza verso la vita, verso l’umanità, che ho trovato
positiva.” A parlare è Gabriele Salvatores
che al Festival di Venezia 2014 ha presentato Fuori Concorso il suo
Italy in a Day – Un giorno da italiani,
progetto ideato da Ridley Scott e adottoato per l’Italia
da Salvatores. Il prodotto finale è un film realizzato dagli
italiani che hanno raccontato le loro giornate, le loro paure, le
loro storie, la loro vita. Il regista si è quindi trovato a dover
mettere ordine in mezzo a quasi 45mila video. Il risultato è un
film sui generis, che non è di fiction ma non si può nemmeno
considerare un documentario (o un mocumentario).
“Quello che avete visto è quello
che abbiamo ricevuto, ho dovuto fare qualche scelta ma in
proporzione è esattamente quello che c’è. Su 45mila non più di 3,
400 video avevano forti connotazioni sociali. Nei video ci sono
tanti poveri, mentre non ci sono ricchi. Questa è una cosa
interessante: come mai nessun professionista affermato ha sentito
la necessità di mandare un proprio filmato?”
I video sono montati in ordine
cronologico, dalla mezzanotte alla mezzanotte successiva del 26
ottobre 2013, e la struttura narrativa ‘oraria’ è stata realizzata
mettendo insieme i filmati arrivati, tutti che rappresentano
quotidianità spensierate o comuni, nonostante sia molto presente
una dimensione di difficoltà che incombe su tutti e sull’Italia
stessa.
“Se io fossi un politico
italiano oggi – ha continuato Salvatores – sarei più
colpito dalla quotidianità dei video che da certe discussioni o
risse che vediamo in tv. Perchè la protesta sociale oggettiva e
fondamentale è sotto gli occhi di tutti. La voglia di mantenere la
dignità o di desideri che non siano solo quelli legati al cellulare
nuovo, che passa attraverso queste persone semplici è bella, mi
toccherebbe di più, mi sentirei responsabile, come mi sono sentito
responsabile della scelta dei video e delle storie che ho deciso di
raccontare. Sarebbero delle persone di cui dovrei
occuparmi.”
Il Premio Oscar Gabriele
Salvatores arriva a Giffoni con Ludovico
Girardello protagonista de Il Ragazzo Invisibile – Seconda
Generazione per incontrare i ragazzi del Festival
e tenere una masterclass. A Giffoni sarà proiettato anche Denti,
film del 2000 con Paolo Villaggio che ricorda con emozione:
“Era un grandissimo attore e un amico, era un grande attore
comico – sottolinea – perché aveva innato il senso tragico della
vita”.
Alle domande sul suo prossimo film
dice: “Uscirà a gennaio e sarà accompagnato da una serie di
iniziative collaterali. Ci sarà una graphic novel con la Panini e
molto probabilmente uscirà il secondo capitolo del libro. Stiamo
ultimando gli effetti e ricreando alcuni passaggi in 3D. Nel
frattempo dal precedente a questo il nostro protagonista è
cresciuto e senza fare troppe anticipazioni – aggiunge – scoprirà
di avere una sorellina un po’ “infiammabile” e due madri, una
biologica e l’altra adottiva – questo secondo film ha un andamento
emotivo molto forte e più dark del primo”.
A venti anni di distanza da
Nirvana (1996) Salvatores spiega come all’epoca
non si conoscevano le potenzialità della rete. “L’approccio
alla fantascienza mi viene naturale. Per capire la realtà non basta
la ragione e oggi capire il confine tra realtà a finzione non è
facile. Il cinema ha un grande potere, quello di far apparire le
ombre di Platone vere. Il cinema ha il potere di evocare i fantasmi
come diceva Jacques Derrida, e per questo la sala cinematografica
non morirà mai – asserisce con convinzione Salvatores. Il ragazzo
invisibile gioca con il tema dei supereroi e cita Gramsci per
affermare che per capire la realtà non basta la ragione. Nel primo
film il protagonista scopriva il superpotere, nel secondo il tema è
come usare i superpoteri, cosa farne e come capire il confine tra
giusto e ingiusto, tra bene e male”.
Il ragazzo invisibile seconda generazione: il teaser
trailer del film di Gabriele Salvatore
Parlando di un certo cinema che si
ispira a storie realmente accadute Salvatores spiega che per lui
“il cinema non ha più solo la funzione di essere una finestra
sulla realtà. Una storia vera ti lega alla presa diretta e la
televisione, se ben fatta, assolve a questo compito. Apprezzo molto
Dolan perchè è molto bravo a coniugare lo sguardo sulla realtà con
la dimensione emotiva andando oltre il realismo. Nel mio film c’è
uno sguardo introspettivo, un ritmo serrato ed è più spettacolare
del primo. Ne sono fortemente innamorato. Sto intraprendendo alla
soglia dei 67 anni (li compirà il 30 luglio) un viaggio che
scompagina la struttura classica della sceneggiatura.”
Alla domanda se ci sarà la
continuazione di Italy in a Day, il documentario
che nel 2014 realizzò con la Rai, a partire da una campagna
pubblicitaria online che chiedeva alle persone di riprendere alcuni
momenti della propria giornata, Salvatores ha detto che ne sarebbe
contento e che “sarebbe potuto e potrebbe diventare un
appuntamento annuale ma – sottolinea – per questo servirebbe la Rai
a cui peraltro abbiamo proposto il progetto ma ad oggi non se ne è
fatto nulla. Gli avevamo proposto il tema del Capodanno. Farei
Italy in a Day di nuovo”.
Parlando dei progetti futuri
Salvatores dice: “Sto lavorando a un film americano, sarebbe un
ritorno al road movie raccontando un rapporto tra padri e
figli”. A proposito de Il Ragazzo Invisibile
non esclude che ci possa essere un terzo episodio. “In un
momento in cui i ragazzi vogliono la visibilità attraverso i social
abbiamo scelto questo super potere perché il più economico e non si
vende.”
Tra i più abili registi italiani vi
è senza ombra di dubbio Gabriele Muccino, profondo
conoscitore del mezzo cinematografico che negli anni ha portato al
cinema la storia di un’Italia, e di italiani, in piena
trasformazione. Con le sue storie corali e ricche di passioni, il
regista ha conquistato critica e pubblico, riuscendo anche a
compiere il salto in quel di Hollywood, dove ha avuto modo di
realizzare più di un film.
Ecco 10 cose che non sai su
Gabriele Muccino.
Gabriele Muccino: i suoi film
1. Ha scritto e diretto
lungometraggi in Italia e negli Stati Uniti. Muccino
debutta alla regia nel 1998 con il film Ecco fatto,
ottenendo maggior popolarità con l’opera seconda Come te
nessuno mai (1999). Il successo arriva con il film
L’ultimo bacio (2001), che lo consacra come uno dei
protagonisti della scena cinematografica italiana. Dirige poi
Ricordati di me (2003), mentre con La ricerca della
felicità compie il suo esordio statunitense, collaborando
con l’attore Will
Smith, che dirige nuovamente in Sette anime
(2008). Torna poi in Italia per realizzare Baciami ancora
(2010), sequel del suo celebre film. Negli Stati Uniti realizza poi
altri due film Quello che so
sull’amore (2012) e Padri e
figlie (2015). Con L’estate addosso (2016) torna
in Italia, ottenendo poi un altro grande successo con A casa tutti
bene (2018). Nel 2020 torna al cinema con il film Gli
anni più belli, dove dirige alcuni tra i suoi attori feticcio,
come Pierfrancesco
Favino e ClaudioSantamaria, in aggiunta a Kim Rossi
Stuart e Micaela Ramazzotti.
2. Per i suoi film ha
ottenuto importanti riconoscimenti. Nel corso degli anni
Muccino si è affermato come un regista particolarmente apprezzato
dalla critica, che ne ha in più occasioni premiato l’opera
artistica. Con L’ultimo bacio, infatti, ha vinto il David
di Donatello come miglior regista, mentre nel 2008 riceve un David
speciale per i suoi successi negli Stati Uniti come autore e come
regista. Nel 2019, infine, vince la prima edizione del David dello
spettatore con il film A casa tutti bene, premio assegnato
ai più grandi successi della stagione.
3. Ha prodotto il remake
americano di un suo film. Il successo del film
L’ultimo bacio fa sì che ne venga realizzato un remake
hollywoodiano, intitolato The Last Kiss e con gli attori
Casey
Affleck e Zach Braff. Per il film
Muccino ha ricoperto il ruolo di produttore esecutivo, ma l’opera è
stata considerata universalmente inferiore rispetto all’originale
italiano.
Gabriele Muccino è su
Instagram
4. Ha un account
personale. Il regista è presente sul social network
Instagram con un proprio profilo, seguito da 103 mila persone.
All’interno di questo Muccino è solito condividere immagini e video
promozionali dei suoi progetti cinematografici, ma non mancano
anche affascinanti dietro le quinte estratti dalle riprese dei suoi
film.
Gabriele Muccino: moglie e
figli
5. Si è sposato più
volte. Muccino è stato sposato una prima volta dal 2002 al
2006 con Elena Majoni, mentre dal 2012 è sposato con Angelica
Russo. Per entrambi i matrimoni, Muccino ha mantenuto particolare
riserbo, evitando di condividere dettagli privati sui social o con
i media.
6. Ha tre figli. Il
regista ha avuto un primo figlio, Silvio Leonardo, nato nel 2000 da
una relazione avuta con Eugenia F. Di Napoli. Nel 2003, durante il
matrimonio con Elena Majoni, nasce il secondo figlio, chiamato
Ilan. La prima figlia femmina nasce invece nel 2009, avuta con
l’attuale moglie Angelica Russo.
Gabriele Muccino e suo
fratello
7. Suo fratello è un noto
attore. Muccino ha un fratello minore, Silvio, divenuto
negli anni un noto attore. Questi esordisce al cinema proprio come
protagonista del film Come te nessuno mai, per poi
collaborare nuovamente con il fratello per i film L’ultimo
bacio e Ricordati di me.
Gabriele Muccino: il suo ultimo
film
8. Ha diretto un film con i
suoi amici. Con A casa tutti bene Muccino torna a
raccontare una famiglia e i suoi taciuti contrasti, che
esploderanno nel momento in cui i numerosi parenti si trovano
costretti in casa da un temporale. Per realizzare il film, uno dei
maggiori successi del 2018, il regista si è avvalso della
collaborazione di suoi amici e ricorrenti attori come
Stefano Accorsi,
Carolina Crescentini, Pierfrancesco Favino, Sabrina Impacciatore,
Stefania Sandrelli e Elena Cucci.
Gabriele Muccino: il suo nuovo
film
9. Tornerà al cinema con una
nuova storia corale. Il 6 febbraio 2020 debutterà al
cinema il nuovo film del regista, Gli anni più belli,
narrante la storia di Paolo, Gemma, Giulio e Riccardo, amici fin
dall’adolescenza. Nel film verranno raccontate le loro aspirazioni,
i successi e i fallimenti, il tutto compreso in un arco di 40 dove
anche l’Italia subisce profondi mutamenti.
Gabriele Muccino: età e
altezza
10. Gabriele Muccino è nato
aRoma, in Italia, il 20 maggio 1967. Il
regista è alto complessivamente 182 centimetri.
Gabriele Muccino ha
fatto molto parlare di sé nelle ultime ore a causa di una sua
dichiarazione abbastanza “scooda” affidata a Facebook. La questione
presa in esame dal regista è nientemento che il rapporto tra
Pier Paolo Pasolini, di cui ricorre il
quarantesimo anniversario della morte, e il cinema, o meglio, la
figura di regista.
Ecco cosa ha scritto Muccino:
Pier Paolo Pasolini,
regista.
Leggo tanto di lui in questi
giorni, ovunque. Lasciatemi dire la mia, ciò che penso da quando
iniziai a sognare di diventare, un giorno, regista. Avevo
diciott’anni e avevo tantissimi riferimenti che ancora oggi sono
rimasti tali e altissimi. So che quello che sto per dire suonerà impopolare e forse
chissà, sacrilego? Ma per quanto io ami Pasolini pensatore,
giornalista e scrittore, ho sempre pensato che Pasolini regista
fosse fuori posto, anzi,
semplicemente un “non” regista che usava la macchina da presa in
modo amatoriale, senza stile, senza un punto di vista meramente
cinematografico sulle cose che raccontava, in anni in cui il cinema
italiano era cosa altissima, faceva da scuola di poetica e racconto
“cinematico” e cinematografico in tutto il mondo.
In quegli anni Pasolini regista aprì involontariamente le porte a
quella illusione che il regista fosse una figura e un ruolo
accessibile a chiunque, intercambiabile o addirittura
improvvisabile. La dissoluzione dell’eleganza che il cinema
italiano aveva costruito, accumulato, elaborato a partire da
Rossellini e Vittorio de Sica per arrivare a Fellini, Visconti,
Sergio Leone, Petri, Bertolucci e tanti, davvero tanti altri
Maestri, rese il cinema un prodotto avvicinabile da coloro che il
cinema non sapevano di fatto farlo. Non basta essere scrittori per
trasformarsi in registi. Così come vale anche il contrario. Il
cinema Pasoliniano aprì le porte a quello che era di fatto l’anti
cinema in senso estetico e di racconto. Il cinema italiano morì da
lì a pochissimi anni con una lunga serie di registi improvvisati
che scambiarono il cinema per qualcos’altro, si misero in conflitto
(come fece Nanni Moretti) con i Maestri che il cinema lo avevano
nutrito per decenni e di fatto distrussero con tutti quelli che
seguirono quella scia di arroganza intellettuale rifiutando anzi
demolendo la necessità da parte del Cinema di essere un’arte
POPOLARE e lo privarono, di fatto, di un’eredità importante che ci
portò dall’essere la seconda industria cinematografica più grande
al mondo ad una delle più invisibili.
Con legittimo e immenso rispetto
per Pier Paolo Pasolini poeta e narratore della nostra società
quando ancora in pochi riuscivano a interrogarla, provocarla e
analizzarla, il cinema è però altra cosa.
Il regista Gabriele
Muccino commenta il discorso fatto agli Oscar del collega
Paolo Sorrentino, che secondo lui avrebbe dovuto
ringraziare anche Medusa Film che ha
finanziato e distributore del film. Il regista scrive sulla sua
pagina ufficiale di facebook che al suo posto
avrebbe ringraziato la casa che ha finanziato il film,
sottolineando che per molti anni ha finanziato altri grandi film e
merita riconoscimento:
Nei ringraziamenti di Paolo
Sorrentino ne è mancato uno che io avrei fatto. Ovvero a chi ha
finanziato e distribuito il suo film. La Medusa. La Medusa è
stata per decenni la Casa dei più grandi autori italiani. Ha
finanziato e distribuito enormi successi. Conquistato grandi premi,
fatto esordire importanti registi. Oggi ha finanziato La Grande
bellezza e portato a casa un Oscar. Ma nessuno che l’abbia
nominata. Eppure un film non è un quadro né una poesia. Un film ha
bisogno di coraggio e denari da parte di chi vuole investire nel
cinema.
Ma non sol, il regista parla
anche dello stato attuale che la Medusa Film non
propriamente positivo, anche se nell’ultimo periodo ha centrato una
serie di successi al botteghino:
Medusa sta subendo una lenta
indecifrabile morte per eutanasia da parte della gestione del suo
padrone. Berlusconi avrà forse legittime ragioni per asfissiare
quella che fino a pochissimi anni fa era la più importante, insieme
a Rai Cinema, casa di produzione e distribuzione del cinema
italiano. Un paese senza cinema e senza cultura è un paese povero,
con meno energia, meno lavoro, meno prestigio e una statura sempre
più piccina.
“Mi auguro che questo Oscar vinto da Paolo […] faccia
rivedere i piani di demolizione di una delle pochissime ma migliori
cose che Berlusconi abbia costruito nei suoi migliori anni: Il
Cinema libero e senza bandiere e propaganda. Ma solo cinema. A
volte grande davvero.”
Più che una conferenza, è stato un
vero e proprio sfogo per il regista Gabriele
Muccino, l’incontro con la stampa italiana questa
mattina a Roma. Il regista romano,
Gabriele
Muccino non vuole abbandonare l’altra sponda
dell’Atlantico, dopo aver realizzato il suo sogno americano:
arrivare al successo grazie all’incursione hollywoodiana con
La ricerca della felicità e
Sette anime. Quello che so sull’amore (Playing
for Keeps) uscirà in Italia il 29 novembre e racconta
la storia di una ex star del calcio (Gerard
Butler) che, dopo il ritiro, trascorre la sua vita tra
ricchezza e frivolezze.
Alla fine ha
ceduto, Gabriele Muccino, ed è andato al cinema a
vedere Captain America Civil War. Il
regista italiano conosciuto anche all’estero ha però avuto una
brutta esperienza al cinema, tanto che a circa metà proiezione ha
lasciato la sala, ormai insofferente di fronte a quello a cui stava
assistendo.
Alla fine sono andato. Sono andato ieri a vedere Captain America Civil war. E devo
dirlo, non sono riuscito a vederlo tutto. Mi ha talmento depresso
l’idea di disattivare la mia mente
del tutto pur di diventare un demente fruitore di un simile B movie
che alla fine mi sono liberato di quella tortura che attanagliava
la mia vista e sono uscito dal cinema pur di riveder le stelle e
sentire di nuovo me stesso e potermi illudere che il cinema non sia
davvero diventato tanto di scarto. Il cinema drammatico è stato
completamente scippato al cinema da Netflix e questo si sa. Quello di qualità viene
confinato e ammassato nei tre mesi antecedenti alla stagione degli
Academy che va da settembre a dicembre, durante la quale escono
circa 40 film di cui almeno l’ 80 percento rimane del tutto sotto
il radar e lontano dalla possibilità di essere conosciuto dal
pubblico, eppur famelico del cinema di qualità che ancora c’è, lì
fuori. Tutto quel che resta in giro, quasi tutto, è spesso privo,
appunto, di tutto.
Se non c’è un Art House vicina, e per vicina intendo entro i 30
kilometri, se parliamo di Los Angeles, non c’è modo di andare al
cinema senza finire quasi inesorabilmente intrappolati in un bel
Multiplex incolore e nella fruizione passiva e inaffettiva di un
film che va ben oltre l’accettabilità della necessaria
commerciabilità del prodotto. Captain America e con esso tutto il
franchising che sta divorandosi Hollywood, diventa amnesia del
cinema e di cosa esso possa e debba rappresentare. Il Batman di
Nolan piuttosco che l’Iron Man di Favreu sono ormai pezzi di una
scialuppa lontana e alla deriva. Il nuovo franchising, lanciato da
quei film circa dieci anni fa, è ormai l’ammucchiata di Avengers
che si prendono a botte dall’inizio alla fine senza che a te, e
parlo per me, si intenda, possa fregare di meno.
E allora si torna casa, si accende Amazon, Netflix e si scarrella
alla ultima e urgente ricerca di qualcosa di bello da vedere. E
quando lo si trova, si tira un respiro e si guarda finalmente un
FILM.
È chiaro che, per molti versi, il
regista ha le sue ragioni. Noi stessi (Cinefilos.it) abbiamo più
volte sottolineato la mancanza, negli ultimi cinecomicsMarvel, di racconto e pathos, la
mancanza di tutte quelle strutture, tecniche e artistiche, nonchè
emotive, che fanno il cinema. Sembra tuttavia quantomeno cattivo,
da parte del regista, ignorare il lavoro e la perizia tecnica che
comunque esiste in prodotti a grande budget come il film Marvel in
questione. Considerato poi che la sua recente filmografia non
brilla per prodotti che si possono annoverare nell’Olimpo dei FILM,
come li chiama lui, sembra oltremodo insensata una posizione così
dura. Si corre soltanto il rischio di apparire ingiustamente
snob.
Sembra proprio che Gabriele Muccino
non riesca a trovare il progetto giusto con cui ritornare sul
mercato americano. Saltato il film di fantascienza Passengers a
causa del budget troppo elevato, pare perà che sia in dirittura
d’arrivo con un nuovo progetto. Staimo parlando della commedia
romantica Playing ther Field che vedrà coinvolte tre star di grande
impatto: Gerard Butler, Uma Thurman e Jessica Biel.
Il regista Gabriele
Mainetti, dopo aver lavorato a “Lo
chiamavano Jeeg Robot” e “Freaks
Out“, sta lavorando al prossimo progetto che sarà un film di
kung fu ambientato nel quartiere multietnico di Piazza Vittorio a
Roma. Le riprese sono appena cominciate a Roma e il film sarà il
terzo lungometraggio di Mainetti, ancora da intitolare, che lo
vedrà cimentarsi con un genere che affonda le proprie radici nella
storia del cinema, come accaduto con i precedenti film. Vision
Distribution lancerà le vendite del film al Marché du Film
di Cannes.
Ambientato nel melting pot
cosmopolita del quartiere romano l’Esquilino/Piazza Vittorio,
l’ultimo lavoro di Mainetti vedrà incrociarsi due anime molto
diverse. Uno è il figlio di un ristoratore locale indebitato
scomparso con il suo amante. L’altra è una giovane donna
misteriosa appena arrivata nella capitale italiana alla ricerca
della sorella scomparsa. “Uniti dal destino, i due si
ritroveranno catapultati nei bassifondi del ventre criminale di
Roma”, si legge nella sinossi. “Per sopravvivere
dovranno combattere fianco a fianco in una travolgente avventura
senza esclusione di colpi, sfidando eserciti di spietati criminali,
ma soprattutto antichi pregiudizi e diversità culturale.”
Il film di kung fu ambientato a Roma è
interpretato dall’artista marziale cinese Liu
Yaxi, che era la controfigura di Liu
Yifei nel film della Disney “Mulan“,
insieme all’italiano Enrico Borello (“Lovely
Boy”),
Sabrina Ferilli (“La grande bellezza”), Marco Giallini (“Perfetti Sconosciuti”) e
Luca Zingaretti (“Montalbano”).
Il film è scritto da Mainetti con gli
sceneggiatori Stefano Bises (“Gomorra”) e
Davide Serino (“Il cattivo”). È prodotto da
Mario Gianani e Lorenzo Gangarossa
per Wildside, la società di Fremantle dietro a “Le Otto
Montagne”, il dramma ambientato nelle Alpi che ha vinto il premio
della giuria l’anno scorso a Cannes ed è diventato un successo
speciale. A bordo ci sono anche Vision
Distribution, una compagnia Sky, e Goon
Films di Mainetti in collaborazione con la tedesca
DCM, che distribuirà il film in Germania, Austria
e Svizzera, e la francese Quad Films, che lo
distribuirà in Francia. Vision si occuperà
anche della distribuzione in Italia.
Si è tenuto sabato 31 ottobre alle
ore 18.30 l’incontro in streaming con Gabriele
Mainetti, regista dell’acclamato Lo chiamavano
Jeeg Robot e dell’attesissimo Freaks
out, nell’ambito di Lucca Comics & Games – edizione
Changes.
Dopo esser stato ospite dell’Area
Movie di Lucca Comics & Games nel 2015, proprio per
presentare Lo chiamavano Jeeg Robot, Gabriele
Mainetti è tornato, anche se solo virtualmente, nel capoluogo
toscano per raccontare le sue passioni, il suo cinema, il suo
rapporto con Lucca e i fumetti in un incontro dal
titolo Gabriele Mainetti – Passione
Lucca, moderato da Gianmaria Tammaro.
Il regista ha dichiarato di avere un
ricordo molto bello di quella prima volta a Lucca nel 2015, dove
aveva percepito una vitalità difficile da immaginarsi oggi in un
momento come quello che stiamo vivendo, una sensazione di
collettività di un pubblico unito dalla passione. “Mi sono
sentito un po’ come una rockstar” ha dichiarato Mainetti
“Vedere persone vestite come i personaggi del mio film mi ha
emozionato”.
Rispetto al suo rapporto con i
fumetti, Mainetti ha raccontato di aver letto
molto Topolino, Lupo Alberto, Alan Ford, durante la
sua infanzia fino alla scoperta di Dylan Dog a
10 anni, ma l’ispirazione per Jeeg Robot è arrivata dagli
anime.
Riguardo alla possibilità di un
ipotetico sequel del suo successo Lo chiamavano Jeeg
Robot, Mainetti risponde di non essere interessato al
momento, perché impegnato su altri progetti e perché considera
conclusa quell’esperienza.
Edison for Nature,
progetto di cinema collettivo su energia, uomo e natura, raccontati
attraverso gli occhi di ognuno di noi, sbarca al Giffoni
Film Festival.
Appuntamento lunedì
18 luglio alle 16.00 con il regista Gabriele Mainetti,
reduce dallo straordinario successo della sua opera d’esordio
Lo chiamavano Jeeg
Robot, testimonial e curatore – insieme a
Andrea Segre – del progetto ideato da
Edison, azienda leader nel settore dell’energia,
da sempre impegnata nella diffusione della cultura della
sostenibilità e del risparmio energetico.
Il regista incontrerà alle 15.00 i
ragazzi ospiti della manifestazione per una
Masterclass, e alle 16.00 presenterà il progetto,
aperto a chiunque abbia un’idea e una storia da raccontare
nell’ambito dei temi green: Comportamenti
sostenibili, L’energia del futuro e
I mestieri dell’energia. Un contest al quale sarà
possibile partecipare attraverso video,
parole, immagini e
audio.
Chiunque potrà caricare,
entro fine luglio, i contributi sulla piattaforma
www.edisonfornature.it.
Le idee proposte verranno valutate e selezionate da Gabriele
Mainetti e dal documentarista Andrea Segre per l’individuazione di
dieci progetti finalisti. I loro autori avranno l’opportunità di
sviluppare il proprio progetto, insieme a Gabriele Mainetti e
Andrea Segre, affiancati da una troupe professionista, realizzando
un cortometraggio. Sarà a questo punto dell’iniziativa, che i
registi Mainetti e Segre, partendo dai 10 cortometraggi realizzati,
daranno vita ad un mediometraggio collettivo.
Edison
Edison è tra i principali
operatori di energia in Italia ed Europa con attività
nell’approvvigionamento, produzione e vendita di energia elettrica,
nei servizi energetici e ambientali grazie anche alla propria
controllata Fenice e nell’E&P. Con i suoi oltre 130 anni di
storia, Edison ha contribuito all’elettrificazione e allo sviluppo
del Paese. Oggi opera in 10 paesi nel mondo in Europa, Africa,
Medio Oriente e Sud America, impiegando 5.000 persone. Nel settore
elettrico Edison può contare su un parco impianti per una potenza
complessiva di 7 GW.