Stamattina al cinema Adriano a Roma è
stato presentato Un Fantastico Via Vai,
l’ultimo film di Leonardo Pieraccioni,
prodotto dalla Levante e da Rai Cinema. Accompagnano il regista
toscano il co-sceneggiatore Paolo Genovese, il compositore
delle musiche originali Gianluca Sibaldi e il resto del
cast: Serena Autieri, Giorgio Panariello, Massimo
Ceccherini, Maurizio Battista, Marco Marzocca,
Chiara Mastalli, David Sef, Marianna Di
Martino, Giuseppe Maggio, Alice Bellagamba.
Pieraccioni prende subito la
parola ringraziando la stampa in sala e spiegando com’è nata l’idea
del film.
Ho fatto tanti incontri nelle
Università, dove mi diverto da morire a chiacchierare del mio
lavoro e dove davanti a me ho tutti questi ventenni a cui voglio
bene per la luce che hanno negli occhi e per quell’energia che
hanno solo i giovani dai 20 ai 27, anzi ai 25. Tutti questi
incontri per me sarebbero finiti scendendo tra di loro, andando a
mangiare e continuando a ridere, invece, mi accorgevo che
chiaramente venivano a chiedermi un autografo o una foto, dandomi
del Lei. Lì mi accorgevo che dentro si può avere anche 16 anni ma
fuori no ed è bene ricordarselo sennò non si parla della sindrome
di Peter Pan, che è del trentenne, ma della sindrome del bischero,
dei cinquantenni che si comprano la macchina bassa e hanno l’amante
di vent’anni. Dopodiché, quasi per caso, ho incontrato Paolo
(Genovese ndr) che mi ha raccontato un’idea che lui aveva di
un signore di cinquant’anni buttato fuori di casa dalla moglie.
Insomma, un incontro fantastico.
A Pieraccioni.
Cosa ci può dire di Arnaldo, il
suo personaggio?
Quello che mi piace di Arnaldo è
che gli si riaccendono gli occhi di quell’energia che ha perso, ma
attenzione è un privilegiato, specialmente in un momento come
questo: ha un lavoro in banca, una bella casa, una bellissima
moglie e due bellissime figliole. Ci piaceva fare un personaggio il
cui arrivo nella casa degli studenti non fosse la sua condizione
per sfangarla ma un momento di grande tenerezza, di grande macchina
che torna indietro nel tempo. Anche i personaggi di Marzocca
e Battista rappresentano delle persone professionalmente
risolte che, però, non vedono l’ora di tornare indietro e fare una
puttanata andando a cercare l’amico sparito.
Quanto conta l’intervento di un
autore come Genovesi?
Conta perché io sono sempre stato
abituato a lavorare con Giovanni Veronesi, che è strepitoso, e noi
due avevamo tutto un altro metodo. Il metodo di Paolo è quello
d’imbrigliare subito la storia; invece, noi evidentemente anche per
l’aria toscana s’incomincia a scrivere e poi si va a riacchiappare
i personaggi. Paolo giustamente ha detto: Ehilà, fermi. Orrore!
Vediamo dove vanno a picchiare il capo, perché altrimenti ci si
potrebbe fare male. E non ha torto assolutamente, per cui sotto
questo punto di vista è stata più rigorosa la scrittura, cosa che
non mi era mai successa perché di solito era un momento di grande
carnevale quando si scriveva. Questo però è stato un altro modo di
lavorare, che mi è piaciuto. Poi, stando io sempre di più a Firenze
e meno a Roma, noi si lavorava anche separatamente con delle idee
notturne che ognuno elaborava. Ed è molto bellino come modo e ti
stupisci. Va detto che Paolo si dissocia assolutamente solo da una
battuta della sceneggiatura, ovvero quando arrivano i genitori e mi
chiedono se sono l’amministratore e io rispondo ‘Sì, stavo
guardando se la chiappa della ragazza era consona alla tazza del
cesso’. Lui è diventato rosso e più di una volta mi ha
minacciato mentre scriveva questa battuta.
Continua Genovese. Sì,
l’ho minacciato, in effetti, non sono riuscito a fargliela
togliere. Per me è stata un’esperienza molto divertente per un
motivo, soprattutto, perché di solito scrivo da solo e non mi era
mai capitato. Leonardo oltre a scrivere il film con te,
te lo recita. Tu ti rendi conto esattamente di quello che stai
scrivendo. Soprattutto, lui non recita solo il suo ruolo ma recita
anche imitando alla perfezione tutti gli altri, non per divertirti,
è un suo metodo.
La citazione della
corsa via dal ristorante, presa da I laureati, è dovuta un
po’ al senso del film, alla nostalgia verso il passato e quindi
anche al passato sua personale?
In quella corsa, in un minuto e
mezzo, c’è proprio il riassunto di tutto il film. Laddove avevo
29/30 anni ne I Laureati si scappava a piè veloce, adesso
invece come avete visto la milza fa male. Peraltro ho fatto una
figura tremenda, sono cascato durante le riprese davanti a tutti.
Ho fatto di finta di averlo fatto per far ridere, ma insomma l’età
c’è e c’è anche quello che dicevo prima: laddove si faceva la
zingarata, la cosa ben fatta da giovani, qui ora si fa la
figuretta; a cinquant’anni non puoi scappare da una trattoria
perché fai tristezza.
A Panariello. Una brutta parte
che alla fine si riprende. Insomma, sarebbe bello che un problema
grande come il razzismo inculcato nella mentalità di certe persone
si potesse risolvere con un bel discorso.
Bastasse il cinema a risolvere
certi problemi, sarebbe facile, ma dal momento che si ha
quest’opportunità di arrivare a tanta gente e affrontare questi
temi, si fa. Per di più poi questo personaggio è uno che odia i
neri, ma ama gli animali. Io sono un animalista convinto, ma si sa
che questo è un assurdo frequente, voler più bene alle bestie e
meno alle persone. La bellezza del nostro lavoro è questa: fare dei
ruoli che sono proprio il contrario di quello che sei nella
vita.
Interviene Pieraccioni.
Sotto questo punto di vista, sono un regista fortunatissimo
perché i comici hanno la doppia valenza: sanno fare il loro
mestiere di comico, ma anche tutti i toni del dramma. Ho visto
un’intervista di Woody Allen, in cui diceva che gli attori
drammatici non possono fare la commedia, invece gli attori comici
possono assolutamente fare il film drammatico perché nella
tavolozza hanno tutti i colori. Quando ho proposto questo ruolo a
Panariello, lo sapevo che mi avrebbe chiamato preoccupato,
perché è chiaro che il comico vuole far subito ridere; invece, c’ho
parlato e gli ho detto che non aveva scelta, doveva farla lui
quella parte e c’è riuscito; nella scena della paternale mi
guardava con un’espressione da grande attore.
A Pieraccioni.
Come sono cambiati gli
universitari da I Laureati a oggi?
Sono sempre gli stessi e sempre
lo saranno, non è che i social network hanno cambiato le cose.
Prima, ad esempio, non c’erano i telefonini e ci si perdeva;
invece, adesso ci si chiama e ci si trova “Do’ tu sei? – Son qui
all’angolo.” Sicché il ventenne è il cuore; dai 20 ai 25 c’è questo
tsunami di emozioni talmente forte che è fantastico, ti rimane
addosso come un tatuaggio. I quattro ragazzi durante la pausa
vivevano quelle le emozioni che io e lui (Panariello ndr) si
viveva a vent’anni con Carlo Conti quando si cominciava a
capire che Conti non avrebbe fatto il bancario come facevo, che io
non avrei continuato a fare il magazziniere come facevo e Giorgio
non avrebbe continuato a fare il disoccupato (ridono).
Come hai scelto questi
ragazzi?
Ho avuto davvero l’imbarazzo
della scelta, perché è una fascia d’età in cui sono più preparati,
credo, di noi alla loro età. Così li ho presi bravissimi e anche
bellissimi, talmente belli che una certa battuta non era in
sceneggiatura e l’ho dovuta proprio dire. Tra l’altro la
Mastalli mi ha minacciato dopo la registrazione del provino.
Mi ha lasciato una videolettera in cui mi diceva ‘Ah
Pieracciò, me so’ rotta i cojoni de fa’ i provini. O me pii o te la
vai a pià in *** ****’. (ridono) Una minaccia alla
Bombolo.
A Panariello. Che tipo di regista
è Leonardo? C’è stata improvvisazione?
Leonardo non riesco a vederlo
come Pieraccioni il regista o l’attore, perciò quando vengo
chiamato in nazionale vò e lo affronto come Leonardo; ci si mette a
tavolino a casa sua che è più grande della mia otto volte, quindi
c’è più spazio, si lavora sulle cose che ha già scritto lui,
mettiamo delle cosine insieme, cerco di fare mio il personaggio,
come abbiamo fatto con Cateno in Ti Amo in Tutte le Lingue del
Mondo. Ho lavorato sul personaggio, ma sul testo c’è da far
poco quando Leonardo scrive, con l’aiuto poi del nuovo
sceneggiatore (Genovese ndr), bravissimo. Parecchie cose
vengono aggiunte sul set: le cose che dice lui potrebbe andare
bene, quelle che dico io quasi mai. (ride) Il lavoro ce lo
dividiamo un po’ così, però è un piacere lavorare con Leonardo
perché è un film nel film, il set è sempre divertente e
stimolante
A Pieraccioni.
Checco Zalone ha riportato
migliaia di persone al cinema. Questi film servono in un periodo
come questo?
Da sempre c’è voglia di ridere, dal
Dopoguerra in poi, sicché figurati. Checco Zalone è
fortissimo, è un attore comico iper efficace. Me n’ero accorto
quando lo guardavo alla televisione. L’ho chiamato e ci siamo
incontrati; doveva fare un mio film nel momento esatto in cui però
è stato chiamato a fare il suo dalla Medusa. Io ho visto il film e
il film fa ridere, ragazzi; lui è un attore che mi piacerebbe
tantissimo avere.
Ci sono molti film in uscita.
Temi qualcuno in particolare? Tutti temono Lo
Hobbit, piace a grandi e bambini. Perché? Ci siamo chiesti?
Perché è brutto. Quindi se piace uno che fa paura, lo hobbit,
allora chiamo il film Lo Ceccherini.
E’ la prima volta che usa così
tanti dialetti. Come mai?
Mi è sempre piaciuto di non fare
un film toscano per i toscani, perché quello era successo con
qualche collega prima. Ecco perché Papaleo o Tognazzi
ne I Laureati, o una napoletana alla Tosca D’Aquino
ne Il Ciclone. Poi sono tutti dialetti che mi fanno morir
dal ridere. I due romani in questo film perché nelle filiali delle
banche non ci sono mai gli indigeni del posto e anche perché è un
film, non la scienza esatta delle comunicazioni e mi piaceva usare
loro due. C’è poco nord invece. Mi piaceva proprio per questo che
lo studente di medicina fosse bolognese; Maggio ha provato
anche a parlare con quel dialetto, ma parlava bolognese come io
l’inglese così abbiamo lasciato perdere. (ridono)
Conclude Pieraccioni. Noi
facciamo parte di un circo fortunatissimo in cui non si fa altro
che divertirsi, è tutt’altro che lavorare. Allora per scusarmi di
tutte le volte che diciamo ‘Ah quanto siamo stati bene, come ci
siamo divertiti!’ vi racconto questa cosa che può suonare
populista, ma non lo è. A Corso Francia, era un 12 d’agosto,
stavano rifacendo la strada; c’era un camion nel mezzo e gli
operari siccome erano distanti da tutti e due i bar mangiavano un
panino sotto il camion. Io l’ho fotografato nella mia testa per
tutte quelle volte che un attore o un artista abbia a dire ‘Oddio,
sono stanco, che dobbiamo ancora lavorare?’. Ecco lo piglierei e lo
metterei sotto il camion.
Un Fantastico Via Vai,
dedicato al truccatore Francesco Nardi e
all’attore Carlo Monni, uscirà il 12 dicembre in 500
copie.