In una interessantissima intervista
concessa a MTV.com il regista Tim Burton si confessa su i progetti futuri in
uscita nel 2012:
Frankenweenie e Dark
Shadows, e il film da lui prodotto Abraham
Lincoln: Vampire Hunter
Tim Burton – Intervista su i suoi prossimi film!
Tim Allen: 10 cose che non sai sull’attore
Tim Allen è oggi un attore noto in particolare grazie ad una manciata di ruoli tra cinema e televisione, che sono bastati a fargli guadagnare popolarità e affetto da parte di spettatori di diverse fasce di età. Tra interpretazioni e ruoli da doppiatore, egli si è distinto come una personalità particolarmente carismatica, capace di rendere memorabile ogni ruolo che gli viene affidato.
Ecco 10 cose che non sai su Tim Allen.
Tim Allen: i suoi film e le serie TV
1. Ha preso parte a celebri film. Il primo film in cui ha recitato l’attore è stato Neve tropicale (1988), dove ha un piccolo ruolo. Ottiene poi grande popolarità grazie a Santa Clause (1994), di cui è protagonista. Da quel momento recita in film come Da giungla a giungla (1997), In ricchezza e in povertà (1997), Galazy Quest (1999), con Sigourney Weaver, Joe Somebody (2001), Big Trouble – Una valigia piena di guai (2002), con Stanley Tucci, Che fine ha fatto Santa Clause? (2002), Fuga dal Natale (2004), Shaggy Dog – Papà che abbaia… non morde (2006), Capitan Zoom – Accademia per supereroi (2006), Santa Clause è nei guai (2006), Svalvolati on the Road (2007), con John Travolta, Redbelt (2008), 6 mogli per un papà (2009) e Ricomincio da zero (2010).
2. Ha recitato in celebri serie TV. Allen è divenuto celebre come protagonista della serie Quell’uragano di papà, dove ha recitato dal 1991 al 1999. In seguito, dopo essersi dedicato prevalentemente al cinema, è stato protagonista di L’uomo di casa, serie andata in onda dal 2011 al 2021. Ha poi recitato in alcuni episodi di serie come Cristela (2015), Reno 911! (2020) e Nuovo Santa Clause cercasi.
3. È anche un noto doppiatore. Nel corso della sua carriera Allen si è affermato come il doppiatore ufficiale del personaggio di Buzz Lightyear, uno dei due protagonisti di Toy Story. Gli ha infatti dato voce nei quattro film ufficiali della serie (Toy Story – Il mondo dei giocattoli; Toy Story 2 – Woody e Buzz alla riscossa; Toy Story 3 – La grande fuga; Toy Story 4) e in altre opere legate a quei titoli come il film Buzz Lighyear da Comando Stellare – Si parte! o cortometraggi come Buzz a sorpresa, Vacanze hawaiiane e Non c’è festa senza Rex, ma anche negli speciali televisivi Toy Story of Terror! e Toy Story: Tutto un altro mondo.
Tim Allen è Santa Clause
4. È stato il suo primo ruolo da protagonista. Allen è arrivato al cinema piuttosto tardi, avendo inizialmente intrapreso una carriera come cabarettista. Il suo primo ruolo da protagonista, nonché quello che gli ha conferito grande popolarità, è dunque stato quello di Babbo Natale nel film del 1994 Santa Clause, dove egli si trova a dover assumere i panni del magico giocattolaio che porta doni ai bambini di tutto il mondo. La sua scelta per interpretare tale ruolo è stata una notevole eccezione per la Disney, che solitamente non assume persone con precedenti penali (Allen fu arrestato nel 1978 per narcotraffico).
5. Il trucco richiesto era per lui molto fastidioso. Tim Allen si è dovuto sottoporre a 4-5 ore di trucco e applicazioni prostetiche per trasformarsi in Babbo Natale, escluse le due ore necessarie per togliersi poi tutto. A causa del lattice usato per il trucco, Allen ha subito eruzioni cutanee, cicatrici, graffi e infezioni. C’era un limite di tempo per cui poteva rimanere con il trucco in volto durante le riprese, fino a un massimo di sei ore a causa della scarsa ventilazione. “Sono diventati sempre più bravi a condizionarmi, mantenendomi calmo”, ha detto Allen riguardo ai successivi film della serie.
6. È tornato a vestire i panni di Babbo Natale. A distanza di 16 anni dal terzo film della serie, Allen è tornato a vestire i panni di Babbo Natale nella serie Nuovo Santa Clause cercasi, composta da 6 episodi e disponibile su Disney+, dove egli si impegna a cercare un suo successore per il ruolo di Babbo Natale. Allen si è detto particolarmente felice di poter tornare ad interpretare tale personaggio così da poter dare una degna conclusione alla sua storia. La serie è in realtà già stata rinnovata per una seconda stagione, il che potrebbe voler dire che Allen continuerà a comparire in questo universo narrativo.
Tim Allen in Toy Story
7. Ha accettato di partecipare al film per un motivo particolare. Mentre è noto che ciò che ha attratto l’attore Tom Hanks a doppiare Woody in Toy Story è stato il fatto che, durante la sua infanzia, egli si chiedeva sempre se i suoi giocattoli fossero vivi e si muovessero quando nessuno era nella sua stanza, cio che invece ha attratto Allen a doppiare l’astronauta Buzz Lightyear è stato il fatto che, prima di lui, avevano offerto il ruolo all’attore Chevy Chase, che Allen considera la sua primaria fonte di ispirazione.
Tim Allen: la moglie e i figli
8. Si è sposato più volte. Allen è stato sposato con Laura Diebel dal 1984 al 2003, anno del loro divorzio; hanno avuto una figlia, Katherine, nata nel 1989. Diebel una volta ha lavorato come direttore esecutivo della linea di attrezzi e utensili sviluppata dall’attore, la Tim Allen Signature Tools. Il 7 ottobre 2006 a Grand Lake, Colorado, Allen ha poi sposato l’attrice Jane Hajduk, con la quale si era fidanzato cinque anni prima. Da quest’ultima, ha avuto una figlia, Elizabeth, nata nel 2009.
Tim Allen: oggi
9. Continua a recitare. Pur se meno frequentemente rispetto al passato, Allen continua ancora oggi la sua carriera d’attore. Al cinema manca in realtà dal 2017, quando ha recitato in El Camino Christmas, e prima di quel film aveva recitato nel 2010 in Ricomincio da zero, da lui anche diretto. Nel 2019 ha invece dato nuovamente voce a Buzz Lightyear per il film Toy Story 4. Maggiore è stata la sua presenza in programmi televisivi, essendo stato il protagonista di L’uomo di casa, serie televisiva andata in onda dal 2011 al 2021 e ora di Nuovo Santa Clause cercasi.
Tim Allen: età e altezza dell’attore
10. Tim Allen è nato il 13 giugno del 1953 a Denver, in Colorado, Stati Uniti. L’attore è alto complessivamente 1,79 metri.
Fonte: IMDb
TILL: trailer del film in arrivo al cinema!
Arriva al cinema il 16 febbraio TILL, una storia di coraggio che pone attenzione su un fatto di cronaca nera che alla fine degli anni ’50 sconvolse lo Stato del Mississippi. Till racconta la grave vicenda di Mamie Till-Mobley (Danielle Deadwyler), la cui ricerca della giustizia per il figlio di 14 anni Emmett Louis Till (Jalyn Hall) divenne un’occasione galvanizzante che ha contribuito alla creazione del movimento per i diritti civili. Il film è diretto da Chinonye Chukwu che lo ha scritto con Keith Beauchamp, che già molti anni fa si era occupato della vicenda nel documentario The Untold Story of Emmett Louis Till.
“Se non fosse stato per Mamie Till, la memoria di suo figlio sarebbe svanita nel nulla. Lei è stata l’origine di un moderno movimento per i diritti civili che ha dato la spinta e il coraggio a tanti gruppi attivisti occupati nella lotta per la libertà. Mi sono sentita in dovere di difendere l’eredità di Mamie e di metterla al centro dei riflettori – ha detto la regista -. Mamie ha combattuto il razzismo, il sessismo e la misoginia, che poi è aumentata esponenzialmente dopo la violenta morte del figlio. Lei non ha dato spazio alla paura, si è trasformata in un guerriero!”. Il film arriverà in sala dal 16 febbraio distribuito da Eagle Pictures.
Till, recensione del film di Chinonye Chukwu
Mamie Till impedì all’America di voltarsi dall’altra parte. Costrinse il Paese a guardare il volto sfigurato di suo figlio Emmett, linciato a soli quattordici anni nel Mississippi del 1955, dove da Chicago si era recato in vacanza per qualche giorno. E perché? Per essere un preadolescente di colore che aveva osato alzare gli occhi verso la padrona di un emporio…
Till, la storia vera
A tre anni dal potente Clemency che vedeva protagonisti Alfre Woodard e Aldis Hodge, la regista Chinonye Chukwu porta sul grande schermo una delle storie più agghiaccianti che riguardano il razzismo e la violenza negli nel sud degli Stati Uniti. Per farlo si affida a un’idea di messa in scena molto “classica”, che sfrutta con solidità e sapienza gli stilemi del melodramma in costume. Una scelta estetica che punta esplicitamente ad abbracciare un maggior numero possibile di spettatori, i quali si trovano di fronte un film la cui confezione si presenta scena dopo scena sempre inappuntabile, dalla fotografia al montaggio, dai costumi alla colonna sonora molto toccante di Abel Korzeniowski. Una scelta forse fin troppo leccata e “conservativa” da parte della cineasta e della produzione? Sarebbe piuttosto riduttivo affermarlo, poiché la Chukwu costruisce Till adoperando tre elementi principali che le permettono di elevare lo spessore del suo film.
La violenza raccontata con pudore
Prima di tutto la regista non si tira indietro quando c’è da mostrare l’orrore della violenza e dell’odio, ma riesce a farlo senza mai indulgere nello stesso al fine di creare un effetto scioccante. Anche nei momenti in cui Till si fa maggiormente esplicito, come nelle sequenze del riconoscimento del cadavere da parte di Mamie e in quella del funerale con la bara aperta, la regia adopera un pudore contenuto di ammirevole lucidità, ed anche quando le immagini si fanno forti non si ha mai la sensazione che vi sia alcuna gratuità in esse. E questo è un pregio enorme di Till.
La seconda, grande forza del lungometraggio sta nella sceneggiatura scritta dalla Chukwu insieme a Keith Beauchamp e Michael Reilly: sfruttando uno sviluppo drammaturgico tanto solido quando prevedibile, lo script offre però elementi di analisi e di discussione estremamente contemporanei, che si rivolgono alla situazione odierna dell’America almeno quanto lo fanno con quella del passato. Ed ecco allora che frasi come “It wasn’t just two men with a gun…”, oppure il semplice gesto di un testimone nero che osa puntare il dito contro un imputato bianco, diventano fortemente emblematiche, e fanno di Till una riflessione dall’impatto emozionale ma anche intellettuale difficili da ignorare.
La forza nella sceneggiatura
Altra finissima scelta di scrittura si rivela quella di scegliere come “antagonista” psicologico e morale del personaggio protagonista non tanto gli assassini del ragazzo quanto la donna che lo ha accusato e consegnato ai suoi aguzzini. Ecco che allora Till scivola mirabilmente verso uno studio tutto o quasi al femminile, quello che vede una donna chiedersi senza successo come un’altra donna (e madre) abbia potuto essere capace di tanto odio nei confronti di suo figlio. I momenti in cui Mamie osserva il volto inespressivo della “vittima” Caroly Bryant (una coraggiosa Haley Bennett) sono probabilmente i più dolorosi dell’intero lungometraggio. E questo ci porta alla terza carta vincente, ovvero la prova maiuscola della protagonista Danielle Deadwyler.
La capacità di trattenere
dentro una compostezza quasi altera le emozioni del personaggio,
lasciandole poi trasparire in poche ma precise scene aumentandone
la veridicità, le consente di sfruttare col passare delle sequenze
una performance dotata di una potente coerenza interna. La presa di
coscienza di Mamie Till viene caratterizzata dalla Deadwyler con
una precisione certosina, con un lavoro sul linguaggio del corpo
esemplare, qualità che affievoliscono anche alcune ridondanze
proposte dal lungometraggio soprattutto nei primi quindici, venti
minuti.
Se Till è un’opera migliore e in qualche modo diversa rispetto a questo tipo di cinema storico-civile che cerca anche il consenso del pubblico più vasto, il merito va anche condiviso con la performance molto calibrata di un’attrice che meriterebbe di concorrere nella stagione delle nomination e dei premi che si sta avvicinando. Till sceglie di raccontare una vicenda dolorosa e terribile, dimostra di sapere molto bene come farlo e non si vergogna di voler far arrivare la propria storia – e i messaggi che essa contiene – a quanti più spettatori possibile. E a nostro avviso è più che giusto così.
Till, la recensione del film con Danielle Deadwyler
“Per non dimenticare”. Una frase che si sente spesso quando si parla dell’Olocausto e che prendiamo in prestito per introdurre Till, il nuovo film di Chinonye Chckwu. La regista sceglie di tornare in sala con una storia vera che scosse l’America degli anni ’50. Nel 1955 un bambino afroamericano, Emmett Till, fu linciato, torturato e ucciso per motivi razziali nel Mississippi, e poi gettato in un fiume dove fu ritrovato qualche giorno dopo completamente sfigurato. Till, lo diciamo subito, è una storia dolorosa, pesante e purtroppo ancora attuale.
Eppure, nonostante l’impatto emotivo forte, questa pellicola diventa necessaria in una società ancora non del tutto guarita dal razzismo. L’omicidio di Emmett Till è un fardello di cui l’America si dovrà per sempre fare carico, ma grazie al quale ad oggi gli afroamericani possono vantare diritti e libertà che quel periodo storico aveva loro negato. L’attivismo di Mamie Till e la sua lotta per la giustizia hanno fatto nascere un movimento che portò all’approvazione di quello che si conosce come Civil Rights Act del 1957. Till è in sala dal 16 febbraio.
Till, la trama
1955. Mamie (Danielle Deadwyler) e suo figlio Emmett (Jalyn Hall) vivono una vita tranquilla a Chicago, dove il colore della loro pelle sembra essere quasi tollerato. La situazione però è molto più grave a Sud, in particolare nel Mississippi, dove il quattordicenne è mandato per un periodo da zii e cugini. Seppur Mamie sia dubbiosa su questo viaggio, viene convinta da sua madre Alma (Whoopi Goldberg) e così Emmett arriva nella cittadina di Money per trascorrere una bella vacanza in famiglia.
I problemi arrivano quando, dopo una giornata nei campi di cotone, il ragazzo si reca con i cugini in un negozio di alimentari e incontra una donna bianca, alla quale fa un fischio di apprezzamento. Tre giorni dopo, il marito di lei si reca a casa dei Mobley e rapisce Emmett, il quale verrà ritrovato morto nel fiume Tallahtchie. La violenza usata dai suprematisti bianchi contro il quattordicenne sfigurato e linciato, porterà Mamie a diventare attivista nel Movimento per i diritti civili degli afroamericani.
Una forte rappresentazione del dolore
Non si può iniziare a parlare di Till senza fare questa premessa: il titolo confonde. Chukwu ha ben chiaro ciò che vuole portare sullo schermo e non è il coraggio di una madre, come si legge all’inizio, bensì il dolore e la disamina del lutto. Questi gli elementi da cui si parte e che costituiscono la cifra dominante di tutto il film. Till, sin dalla prima inquadratura, sceglie come mostrare al suo spettatore la sofferenza di cui si fa consapevole portatore, e che lo accompagnerà fino ai titoli di coda. Lo fa costruendo un doppio rapporto con la protagonista Mamie: intimo e, quando necessario, distaccato. Per permettere una completa identificazione e, al tempo stesso, un riguardo verso la storia che sta raccontando, la regista si focalizza totalmente sul filmico, al quale affida il compito di condurci nel tormento di Mamie.
Essa comincia il racconto dosando da subito i movimenti di macchina, con una cura al dettaglio che non lascia spazio a interpretazioni. Ogni frame è calibrato, ogni angolatura ponderata, in un’operazione attenta e quanto più meticolosa possibile. Conosciamo il cinema come universo sfaccettato in grado di essere sia abile affabulatore che impeccabile trasposizione del reale, e Till è proprio su quest’ultimo aspetto che gioca il suo discorso narrativo. Il focus, in questo caso, è sulla donna in quanto madre. Mamie è seguita con cautela per tutta la durata del film; la macchina da presa considera i suoi tempi e i suoi spazi per non restituire la spettacolarizzazione del dolore ma il totale rispetto per esso.
Degna di nota la sequenza in cui Mamie scopre la morte del figlio Emmett. Una carrellata lentissima in avanti ne mostra il viso sconvolto, soffermandosi sul suo sguardo per pochi secondi. La drammaticità della scena ha già raggiunto il suo picco massimo senza che il dialogo o un musica di commento arrivino per corroborarlo. Dopo aver catturato quel sentimento, con una Deadwyler magistrale, una carrellata all’indietro riprende Mamie di spalle, per lasciarle la privacy di cui necessita. La regista decide così di fotografare solo l’accaduto, anche quando si tratta di momenti di maggior pathos: non conta quanto ci si soffermi su quello strazio, ma come questo riesca a scuotere nell’immediato grazie alla potenza di poche ma giuste immagini.
Il mea culpa di Hollywood
Till, dietro la tragica vicenda che colpì la famiglia Bradley, si impregna di tematiche ancora purtroppo contemporanee. Quella dalla risonanza più forte è il razzismo: nel contesto storico in cui il film si svolge, gli afroamericani non avevano alcun diritto, i bianchi si imponevano politicamente e socialmente. È il tema su cui Chuckwu si sofferma di più, proprio perché fa da cornice e da motore scatenante alla storia. La regista non si fa scrupoli ad esporre la condizione limitante e remissiva delle persone di colore, insistendo su quell’odio che si diffondeva in maniera insensata, proprio come un virus, tra la popolazione americana.
L’omicidio di Emmett, per volere di Chuckwu, ci ricorda quanto in realtà gli americani non siano stati poi così tanto diversi dai nazisti all’epoca della Seconda Guerra Mondiale. La domanda che sorge, mentre si osserva il corpo linciato e il viso malridotto del quattordicenne, è questa: qual era la differenza con i tedeschi? Un ennesimo bagno di vergogna di Hollywood per quel che è stato e per quel che, seppur in forma più lieve, ancora è. La storia non si può cambiare, ma insistere su alcuni temi è necessario per cercare di spingere sempre più al margine un’ideologia cieca.
Till, perciò, vuole essere ennesima testimonianza di un odio basato sull’ego degli uomini, sulla loro credenza di essere superiori ad altri solo perché in una posizione di vantaggio, e sulla loro brama continua di potere. Till è un film che non cambia mai tono, se non nelle ultime battute in tribunale, in cui il dramma si sostituisce alla lotta per la giustizia e per i propri diritti. Un mea culpa fra i tanti che il cinema sente di dover ancora fare, nonostante non basti questo a cancellare quel che è stato.
Tilda Swinton: l’attrice dietro le maschere
Grazie ad un viso incredibilmente particolare e al suo aspetto algido e androgino Tilda Swinton è diventata un icona di un certo tipo di cinema interessato al tema del doppio e dell’identità di genere. Le scelte artistiche che ha compiuto e l’interesse per la politica e l’arte in generale hanno creato due percorsi paralleli per questa attrice britannica. [nggallery id=650]
Katherine Mathilda Swinton nasce a Londra da una famiglia alto borghese con una interessante tradizione militare che la instrada verso una vita fatta di studio e ben inquadrata. Nonostante abbia frequentato le migliori scuole del Regno Unito e una laurea in scienze politiche all’Università di Cambridge, l’amore per l’arte e per la recitazione vengono fuori prepotenti e la spingono a calcare il palcoscenico fin dai primi anni ottanta, con la Royal Shakespeare Company, e a frequentare numerosi artisti alcuni dei quali diventeranno grandi amici come David Bowie e Derek Jarman. Ma non solo con il teatro si cimenta Tilda Swinton fin dalla giovinezza: molte sono le partecipazioni a performance artistiche di vario tipo, ideate da diversi artisti contemporanei tra i quali Cornelia Parker e Oliver Saillard, grazie alle quali si esibisce in contesti importanti come il MoMa di New York, la Serpntine Gallery di Londra e il Palais de Tokyo di Parigi.
Arte performativa e teatro viaggiano su bnari paralleli per Tilda Swinton, ma la grande svolta è quella verso la carriera cinematografia, impressa dal grande amico e regista Derek Jarman. L’attrice reciterà in tutti i film diretti dal regista, pittore e scenografo inglese dal 1985 fino al 1994 anno in cui Jarman scompare prematuramente. L’amore per il cinema però è ormai scattato in Tilda e dopo la fortunata carriera di attrice nei film di Jarman, che gli vale tra gli altri premi una Coppa Volpi al Festival di Venezia del 1992, si fa riconoscere per le sue incredibili doti trasformative come protagonista del film Orlando di Sally Porter. La pellicola è tratta dal romanzo di Virgina Wolf nel quale si narra la storia di un cortigiano di Elisabetta I d’Inghilterra che ad un certo punto della su avventurosa vita, cambia sesso diventando una donna.
Dopo alcune incursioni nel cinema hollywoodiano, nel 2000 recita in The Beach di Danny Boyle e nel 2001 in Vanilla Sky di Cameron Crowe, Tilda Swinton diviene nota al grande pubblico nel 2005 come interprete della Sterga Bianca Jadis in Le Cornache di Narnia: il leone, la strega e l’armadio, prodotto dalla Walt Disney Pictures, che la catapulta nel mondo dei grandi blockbuster americani.
Da qui in poi, ancora una volta grazie anche alla sua fisicità eterea e fuori dal comune, non solo il cinema ma anche la moda e la pubblicità la corteggeranno con successo e sarà testimonial di molte case di moda, come la celeberrima Chanel. Tra i film più interessanti che ha interpretato dal 2000 in poi possiamo segnalare Il curioso caso di Benjamin Button di David Fincher, Burn After Reading – A prova di spia dei fratelli Coen, Broken Flowers di Jim Jarmush e ultimi, ma solo in ordine di tempo, le recenti collaborazioni con Wes Anderson per i film Moonrise Kingdom e The Gran Budapest Hotel.
Ma Tilda Swinton non è estranea nemmeno al mondo della musica, la decennale amicizia con l’artista David Bowie l’ha portata non solo a comparire nel video The Stars tratto dall’ultimo album del “duca bianco” ma anche a posare per alcune foto ne quale i due maestri del trasformismo si scambiano abiti, trucco e acconciatura per impersonare ognuno l’altro evidenziando così una impressionante somiglianza.
Tilda Swinton: 10 cose che non sai sull’attrice
Apprezzata per il suo talento multiforme, l’attrice Tilda Swinton si è distinta per le scelte fatte durante la sua carriere, che l’hanno portata a dar vita ad un parallelo tra film mainstream hollywoodiani e film d’autore all’avanguardia. Per il suo aspetto androgino, inoltre, la Swinton ha negli anni potuto ricoprire ogni più diverso ruolo, sfoggiando una versatilità che l’ha resa sempre più celebre e richiesta all’interno del panorama cinematografico.
Ecco 10 cose che non sai di Tilda Swinton.
Tilda Swinton: i suoi film
1. Ha recitato in celebri lungometraggi. L’attrice esordisce al cinema recitando nel film Caravaggio (1986), e ottiene grande popolarità grazie al film Edoardo II (1991). Successivamente acquisisce ulteriore popolarità recitando in film come Orlando (1992), Perversioni femminili (1996), The Beach (2000), Vanilla Sky (2001), Il ladro di orchidee (2002), Constantine (2005), Le cronache di Narnia – Il leone, la strega e l’armadio (2005), L’uomo di Londra (2007) e Michael Clayton (2007), con cui ottiene nuovi e ampi riconoscimenti. In seguito partecipa ai film Synecdoche, New York (2007), Burn After Reading (2008), Il curioso caso di Benjamin Button (2008), … e ora parliamo di Kevin (2011), Snowpiercer (2013), Ave, Cesare (2016), Doctor Strange (2016), Okja (2017) e La vita straordinaria di David Copperfield (2019).
2. È l’attrice ricorrente di alcuni noti registi. Nel corso della sua carriera l’attrice ha dato vita a diverse importanti collaborazioni, ma più di tutti è solita partecipare ai film di tre celebri registi, che hanno fatto di lei una vera e propria musa. Questi sono Wes Anderson, per cui la Swinton ha recitato nei film Moonrise Kingdom (2012), Grand Budapest Hotel (2014), L’isola dei cani (2018) e The French Dispatch (2020); il regista italiano Luca Guadagnino, che ha voluto l’attrice per i film The Protagonist (1999), Io sono l’amore (2009), A Bigger Splash (2015) e Suspiria (2018). In ultimo la Swinton vanta anche diverse collaborazioni con il regista Jim Jarmusch, con cui ha collaborato per i film Broken Flowers (2005), The Limits of Control (2009), Solo gli amanti sopravvivono (2013) e I morti non muoiono (2019).
3. Si è distinta come produttrice. La Swinton ha in diverse occasioni ricoperto il ruolo di produttrice, in particolare per piccoli progetti indipendenti, spendendosi così per una loro maggiore affermazione nel mercato. Tra questi si annoverano i film Io sono l’amore (2009), … e ora parliamo di Kevin (2011) e Okja (2017), di cui è anche interprete.
Tilda Swinton: i suoi figli
4. Ha avuto due gemelli. Nel 1997 l’attrice dà alla luce due gemelli, avuti dalla sua relazione con il pittore e commediografo scozzese John Byrne. Nel 2003, tuttavia, la coppia si separa, e la Swinton si trasferisce a vivere insieme ai figli con l’artista tedesco Sandro Kopp, con cui ha una relazione dal 2004.
Tilda Swinton e David Bowie
5. Potrebbe interpretare il noto artista. Numerosi fan dall’attrice vorrebbero che fosse lei ad interpretare il celebre David Bowie in un biopic dedicato all’artista. Per il suo aspetto androgino, non sarebbe poi la prima volta che la Swinton ricopre un ruolo maschile. Questa aveva inoltre collaborato con lo stesso Bowie per il videoclip del brano The Stars (Are Out Tonight).
Tilda Swinton in Le cronache di Narnia
6. Non conosceva il romanzo. L’attrice è stata la prima scelta per il ruolo della malvagia Jadis, la strega bianca del film Le cronache di Narnia – Il leone, la strega e l’armadio. Tuttavia la Swinton ha affermato che quando le fu proposto il personaggio non conosceva il romanzo e che solo a quel punto lo lesse per avere un’idea più chiara del progetto.
Tilda Swinton in Suspiria
7. Ha interpretato più ruoli. Nel film Suspiria, remake della celebre opera di Dario Argento, l’attrice ricopre diversi ruoli, il più dei quali sotto un pesante trucco che rende impossibile riconoscerla. Il principale personaggio da lei interpretato è quello di madame Viva Blanc, severa insegnante di danza, ma è possibile ritrovare la Swinton anche nei panni della malvagia strega Helena Markos e nel dottor Jozef Klemperer, sopravvissuto ai campi di concentramento tedeschi.
Tilda Swinton in Doctor Strange
8. Ha ricevuto critiche per la sua scelta. Quando fu reso noto che l’attrice era stata scelta per il ruolo dell’Antico nel film Doctor Strange, questa e la produzione ricevettero critiche per l’ennesimo caso di un attore caucasico che interpreta un personaggio orientale. La scelta fu tuttavia spiegata con motivi politici, avvalorata dal fatto che la particolare fisionomia dell’attrice la rende quanto più neutra nella rappresentazione etnica del personaggio.
Tilda Swinton è Orlando
9. È la protagonista del film tratto dall’opera della Woolf. Nel 1992 l’attrice ricopre il ruolo di Orlando, aspirante poeta, il quale dall’epoca elisabettiana viaggia attraverso i secoli fino ai primi del ‘900 senza mai invecchiare. La Swinton si è detta particolarmente affezionata a questo romanzo di Virginia Woolf, tanto da volerne realizzare una trasposizione cinematografica. Con il suo ritratto del protagonista l’attrice dà vita ad una delle più celebri interpretazioni androgine del cinema, consacrandosi come interprete delle diversità.
Tilda Swinton: età e altezza
10. Tilda Swinton è nata a Londra, Inghilterra, il 5 novembre 1960. L’attrice è alta complessivamente 179 centimetri.
Fonte: IMDb
Tilda Swinton, Julianne Moore e Pedro Almodovar nelle foto da Venezia 81

Hanno sfilato questa sera sul red carpet dell”81. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica Tilda Swinton, Julianne Moore e il regista Pedro Almodóvar per presentare in concorso La Stanza Accanto (The room next door, la nostra recensione). Ecco tutte le foto dal lido di Venezia.
In merito al film ha commentato: “The Room Next Door è il mio primo lungometraggio in inglese. La mia insicurezza è scomparsa dopo la prima lettura a tavolino con le attrici, alle prime indicazioni di regia. La lingua non sarebbe stata un problema, e non perché io padroneggi l’inglese, ma perché tutto il cast era pronto a venirmi incontro per capirmi e farsi capire. I miei film sono pieni di dialoghi. Tra tutti gli elementi narrativi (tutti importanti e in cui sono coinvolto al 100%), sono gli attori a raccontare davvero la storia. In The Room Next Door Tilda Swinton e Julianne Moore sostengono da sole tutto il peso del film e sono incredibili. Sono stato fortunato perché entrambe hanno dato vita a un vero e proprio recital. A volte, durante le riprese, sia io che la troupe eravamo sull’orlo delle lacrime. È stato un lavoro molto commovente e benedetto, in un certo senso.”
La trama di La Stanza Accanto (The room next door)
Nel film Ingrid e Martha erano care amiche da giovani, quando lavoravano per la stessa rivista. Ingrid è poi diventata una scrittrice di romanzi semiautobiografici mentre Martha è una reporter di guerra e, come spesso accade nella vita, si sono perse di vista. Non si sentono ormai da anni quando si rivedono in una circostanza estrema ma stranamente dolce.
Tilda Swinton, il fascino dell’imperfezione
Androgina, ambigua, seducente, magnetica, colta ed intelligente: sono troppi gli aggettivi che, come pennellate su una tela, possono schizzare con fascinosa imperfezione la figura longilinea e snella della rossa Tilda Swinton, classe 1960, londinese di nascita battezzata con il nome di Katherine Mathilda Swinton (detta, successivamente, Tilda).
Erede di una ricca famiglia di tradizione militare, cresce in un ambiente ricco e agiato ed è addirittura compagna di scuola e amica di Lady Diana Spencer; tutto scorre secondo millenari codici inflessibili almeno fino alla sua laurea in Scienze Politiche e Sociali all’Università di Cambridge: dal 1983 in poi, il carattere anticonformista, ribelle e indomito di Tilda emerge in modo dirompente, tratteggiando quelli che saranno i tratti distintivi della propria personalità. Simpatizza per il Partito Comunista di Gran Bretagna (lei, figlia ed erede di militari); muove i suoi primi passi a teatro presso la Royal Shakespeare Company e il Traverse Theatre di Edimburgo, ma decide di dedicarsi al cinema e ad altre forme d’arte sperimentale, come le avanguardie performative. Ad incarnare perfettamente le esigenze della turbolenta – e giovane – Tilda è l’opera avanguardistica del regista, pittore e scenografo inglese Derek Jarman, attivista per i diritti LGBT morto prematuramente a causa dell’AIDS nel 1994. La Swinton si trasforma in musa ed amica per Jarman, recitando in tutti i suoi film dal 1985 fino al 1994, incluso il suo testamento spirituale Blue: un lungometraggio acustico in cui lo schermo è “invaso” dal colore blu (metafora della cecità di Jarman, ormai sconfitto dalla malattia) le cui parole – tratte dai suoi diari – sono affidate alle voci narranti di amici e collaboratori stretti, tra i quali figura anche l’attrice.
Con Derek Jarman, “padre” della cultura punk inglese, contestatore e castigatore di paure e debolezze della società britannica, Tilda Swinton riesce ad esprimere fin da subito quelli che sono i tratti peculiari della sua recitazione, strettamente connessa con la propria particolare fisicità: interpreta la prostituta Lena nel film Caravaggio (1986) e la regina Isabella di Francia in Edoardo II (1991), vincendo una Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile al Festival di Venezia.
A partire da questi successi la sua carriera comincia a viaggiare, in parallelo, su due binari: da una parte le sempre maggiori richieste da parte del cinema mainstream, che ha bisogno della sua presenza androgina e caratteristica; dall’altra, i lavori più underground e sperimentali, vicini al mondo della video – arte (tradizione inaugurata da Jarman che era solito immortalare la quotidianità dell’attrice tramite curiosi Super8) o comunque dei progetti low budget indipendenti.
Sul fronte della vita privata, nel frattempo la lanciatissima Tilda Swinton trova il tempo di vivere una lunga relazione (1989-2003) con il commediografo e pittore scozzese John Byrne (più grande di vent’anni) che sarà coronata dalla nascita di due gemelli, Honor e Xavier, nel 1997, almeno prima di trovare un nuovo amore nell’artista tedesco Sandro Kopp (con il quale la Swinton ha ben diciott’anni di differenza). Quando nascono i due figli ha ormai già assaporato il grande successo: è nel 1992 che gira Orlando, film tratto dall’omonimo romanzo di Virginia Woolf e diretto da Sally Potter. Il film è un successo di critica e si trasforma subito in un cult soprattutto grazie all’interpretazione della Swinton, che con estrema naturalezza interpreta un personaggio che cambia sesso nel corso della narrazione.
Nel 2000 è accanto a Leonardo DiCaprio in The Beach, diretti da Danny Boyle; nel 2001 viene diretta da Cameron Crowe insieme a Tom Cruise, Penelope Cruz, Kurt Russell e Cameron Diaz nel remake Vanilla Sky, che segue di poco l’uscita del thriller statunitense I Segreti del Lago (The Deep End) per il quel viene candidata ai Golden Globes. Per il film del 2003 sceglie di tornare a lavorare con una crew scozzese (almeno per quanto riguarda regista e attore) calandosi nei panni controversi di uno dei personaggi di Young Adam, al fianco di Ewan McGregor mentre vengono diretti da David Mackenzie. Se riesce ad affiancare, in modo parallelo, progetti indipendenti e particolari come Il Ladro di Orchidee di Spike Jonze (2002) a progetti vicini alla linea dei “primi” cinecomics come Costantine (2005), insieme a Keanu Reeves e Rachel Weisz, non manca di lanciarsi in progetti sperimentali, complessi e rischiosi come i film Perversioni Femminili (1996, dove interpreta un’avvocatessa lesbica), Conceiving Ada (1997, biopic su Ada Augusta Lovelace, matematica e figlia di Lord Byron), Possible Worlds (1999, film privo di qualunque filo logico) e Teknolust (2004, realizzato dalla videoartista Lynn Hershman-Leeson che dirige Tilda Swinton – nei panni di una biogenetista – e i suoi tre cloni).
Solo nel 2005 torna ad interpretare dei panni istrionici ma “rassicuranti” (per quanto possa esserlo una strega!) nel primo capitolo della saga de Le Cronache di Narnia – Il leone, la strega, l’armadio. Dopo aver collaborato con i fratelli Coen nel 2008 (in Burn After Reading – A prova di spia) torna a condividere la scena con George Clooney nell’avvincente e teso thriller Michael Clayton (2007), che le frutta una nuova nomination ai BAFTA (dopo quella maturata con il film dei Coen), una nomination ai Golden Globe, agli Screen Actors Guild Award e, infine, la vittoria di un Accademy Award come miglior attrice non protagonista, per ora l’unico della sua ricchissima carriera.
Tilda Swinton, il fascino dell’imperfezione
Tilda Swinton ha da sempre dimostrato la tendenza a voler collaborare molte volte con gli stessi registi, instaurando rapporti di fiducia e sintonia: è il caso – già citato – di Jarman, ma anche di Jim Jarmusch (diretta da lui in ben tre film: Broken Flowers, The Limits of Control e Only Lovers Left Alive), dei fratelli Coen (Burn After Reading e Ave, Cesare!); l’italiano Luca Guadagnino (il cortometraggio The Protagonists, Io Sono l’Amore, A Bigger Splash e il futuro remake di Suspiria previsto per il 2017) oltre al famoso Wes Anderson con il quale ha collaborato in Moonrise Kingdom e nel recente Grand Budapest Hotel, nel quale interpreta Madame D., un’anziana ereditiera ultraottantenne. E proprio il trasformismo che dimostra nel film di Anderson, sotto uno spesso strato di trucco e un ardito “parrucco”, ricorda la trasformazione sempre della Swinton nello sci – fi distopico di Bong Joon-ho Snowpiercer (2013).
È importante citare, inoltre, la sua partecipazione al film di David Fincher Il Curioso Caso di Benjamin Button (insieme a Brad Pitt e Cate Blanchett) oltre alle sue performance “stand alone” in Julia e …e ora parliamo di Kevin, impressionanti prove che la portano a raccogliere sempre maggior successo di pubblico e critica oltre che una pioggia di premi e candidature.
Un nuovo banco di prova, pronto a mettere in discussione il talento camaleontico e multiforme di questa splendida attrice scozzese è il nuovo cinecomics targato Marvel Cinematic Universe e diretto da Scott Derrickson, Doctor Strange: affiancando il protagonista Benedict Cumberbatch, Tilda Swinton interpreterà l’Antico – ovvero il maestro del Dottor Strange e del Barone Mordo – l’ennesima incarnazione ambigua del suo fascino androgino, esibito così sfacciatamente soprattutto nei videoclip musicali ai quali ha preso parte durante la sua lunghissima carriera, dall’aliena caduta sulla terra in The Box, della formazione elettronica degli Orbital, al malinconico singolo di David Bowie The Stars (Are Out Tonight), del quale forse è sempre stata l’unico doppio plausibile, l’unico riflesso accettabile immortalato nel guizzo inafferrabile della propria, straniante, bellezza aliena.
Tilda Swinton si unirà a Colin Farrell in The Ballad of a Small Player
Tilda Swinton si unirà a Colin Farrell in The Ballad of a Small Player di Edward Berger per Netflix. La storia segue un giocatore d’azzardo ad alto rischio che, dopo essere stato tormentato dal suo passato e dai suoi debiti, decide di restare nascosto a Macao e incontra uno spirito affine che potrebbe contenere la chiave della sua salvezza. La produzione dovrebbe iniziare entro la fine dell’anno. Il film segna il primo progetto nato dalla partnership creativa di Berger e dall’accordo globale per un film first look con Netflix, tramite la sua società Nine Hours.
Rowan Joffe adatterà la sceneggiatura, basata sul romanzo di Lawrence Osborne. Mike Goodridge produrrà attraverso la sua Good Chaos insieme a Berger per Nine Hours e Matthew James Wilkin. Swinton ha recentemente lavorato alla produzione di The Room Next Door di Pedro Almodovar e prevede il lancio di The End di Joshua Oppenheimer entro la fine dell’anno.
Colin Farrell continua a lavorare tanto sia sul grande che sul piccolo schermo. E’ appena uscita su Apple TV+ la sua serie Sugar e entro la fine dell’anno, uscirà l’attesissima serie Max, The Penguin, in cui riprende il suo ruolo acclamato dalla critica nei panni del gangster più famigerato di Gotham City già visto in The Batman.
Tilda Swinton potrebbe partecipare a Snow Piercer
Proseguono le indiscrezioni riguardo il cast che Bong Joon-ho sta assemblando per il suo nuovo lavoro, Snow Piercer: dopo la notizia dei contatti avuti con Chris Evans, escono i nomi di Tilda Swinton e Jamie Bell. Snow Piercer sarà il debutto americano del regista coreano (nonostante le riprese, il cui inizio è previsto per il prossimo marzo, verranno effettuate a Praga) e si concentrerà sui rapporti tra un gruppo di passeggeri a bordo di un treno che attraversa una Terra sconvolta da un nuova glaciazione. Bong ha scritto la sceneggiatura assieme al suo sodale Park Chan-Wook, qui anche in veste di produttore.
Per la Swinton sarebbe un ritorno a climi ‘glaciali’, dopo aver interpretato la Strega Bianca nella saga di Narnia; l’attrice britannica ha conquistato una nomination BAFYA per We Need To Talk About Kevin e ha partecipato a Moonrise Kingdom, prossimo film di Wes Anderson; nel frattmepo, la vedremo in Man On A Ledge, con Elizabeth Banks e Sam Worthington, la cui uscita è fissata per il prossimo 3 febbraio.
Fonte: Empire
Tilda Swinton parla di Moonrise kingdom di Wes Anderson!
Tilda Swinton parla del Il viaggio del Veliero
Con l’uscita del trailer, i protagonisti delle Cronache di Narnia: Il Viaggio del Veliero si inizia a parlare del film. Ecco le prime dichiaraizoni di Ben Barnes e di… Tilda Swinton!
Gli attori del kolossal fantasy di Michael Apted possono finalmente parlare un po’ del loro coinvolgimento.
L’avete vista tutti: Tilda Swinton compare nel filmato, e così durante l’anteprima stampa di Io Sono L’Amore a New York City un giornalista dell’Examiner le ha chiesto informazioni riguardo alla sua partecipazione alle riprese:
Nel Viaggio del Veliero riprendi il ruolo della Strega Bianca. Quanto sono durate le riprese?
Ah, avete saputo che sono nel film. Sì, è vero.
So che non puoi rivelare spoiler, ma sappiamo che ci sei perché
compari nel trailer.
Beh, sono allibita del fatto che abbiano messo la mia scena nel trailer, perché ho passato meno tempo a girare il film di quanto ne ho passato a parlare con te nell’intervista! [ovvero circa 25 minuti]
Insomma, l’attrice comparirà in un vero e proprio cammeo: non si tratterà di “immagini di archivio riutilizzate e manipolate”, come accaduto per il secondo film della saga.
Anche Ben Barnes ha parlato del film in una intervista con Andy Gibbons:
Con l’uscita del trailer, si ricomincia a parlare di Narnia:
promette di essere uno dei grandi kolossal di Natale.
La locandina delle Cronache di Narnia: Il Viaggio del VelieroSì,
spero che sia così. Sono molto eccitato che esca in 3D. E’ il mio
preferito di tutti e sette i film, penso che sia una delle storie
migliori e ci sono degli ottimi personaggi umani, come Eustachio,
che viene interpretato brillantemente da Will Poulter: è un
personaggio molto divertente. Ci saranno molti degli elementi
magici dei primi due film, e molta azione. Sarà bello.
C’è un nuovo regista: cosa ha portato di sè Michael Apted nel
film?
Si tratta di un occhio esteriore, e un tocco umano. Penso che fosse
eccitato e ansioso quanto noi di iniziare a girare. Quando ci siamo
incontrati la prima volta mi ha raccontato di essere ansiosissimo,
per via della portata immensa del film. Penso abbia fatto un buon
lavoro, il film avrà delle qualità interessanti, anche se non ho
ancora visto il prodotto finito.
Diretto da Michael Apted, Le Cronache di Narnia: il Viaggio del Veliero uscirà il 10 dicembre negli USA, il 17 da noi, anche in 3D.
Fonte: Examiner, Badtaste
Tilda Swinton nella prima clip di Ave Cesare!
Ecco la prima clip italiana di Ave Cesare!, il film dei fratelli Coen che arriverà in sala il prossimo 10 marzo. Nel video vediamo Tilda Swinton e Josh Brolin. La Swinton in particolare interpreta un doppio ruolo: le gemelle Thora e Thessaly Thacker.
Qui invece potete vedere una featurette in cui l’attrice premio Oscar racconta del suo doppio ruolo:
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Hail Caesar è scritto e diretto dai fratelli Coen e, basato sulla vita del detective privato Fred Otash, racconta la storia di Eddie Mannix, uomo incaricato dagli Studios hollywoodiani per proteggere la reputazione delle star a loro legate con un contratto.
Come anticipatovi, la commedia basata sul lavoro del vero detective privato Fred Otash, prima guardia del corpo e poi poliziotto, che dopo esser stato licenziato dalla polizia, si dedicò a spiare la vita degli attori per conto degli Studios. Suo compito era mettere a tacere eventuali scandali senza destare clamore, con ogni mezzo possibile, consentito o meno.
Nel cast di Hail Caesar insieme a Scarlett Johansson ci sono Channing Tatum, Jonah Hill e George Clooney.
La pellicola, le cui riprese sono in corso in quel di Los Angeles sarò distribuita dalla Universal ed è attesa nei cinema il 10 marzo 2016.
Tilda Swinton entusiasta del suo ruolo in Doctor Strange
All’inizio di quest’anno è stato rivelato che Tilda Swinton era in trattative per entrare nel cast di Doctor Strange nel ruolo dell’Antico. All’iniziale perplessità di molti in merito alla decisione di scegliere qualcuno così diverso dal personaggio della versione a fumetti (il mistico mentore di Strange è originariamente un maschio), fa ora eco l’entusiasmo di unirsi all’Universo Marvel da parte della Swinton, che conferma la sua apparizione nel film di Scott Derrickson.
“È fatta.
Ho davvero apprezzato la premessa di questo personaggio e l’idea di
interpretarlo. Sono una fan della Marvel e credo che questo
particolare mondo del Dottor Strange sia davvero, davvero, davvero
emozionante. Sono molto curiosa sia come attrice che come fan di
vedere cosa si farà in questo mondo particolare.”
In che cosa differirà Dottor Strange dai precedenti film Marvel? La Swinton aggiunge: “È tutta una questione di creatività. Non si tratta di esplosioni finali. Si tratta di qualcosa di molto diverso. L’idea di interpretare l’Antico mi solletica. Non avrei potuto dire di no!”
L’uscita di Doctor Strange è prevista per il 4 novembre 2016. Dirige Scott Derrickson da una sceneggiatura di Jon Aibel e Glenn Berger, rimaneggiata da Jon Spaihts. Nel cast del film al fianco del protagonista Benedict Cumberbatch sono stati confermati Tilda Swinton, Rachel McAdams e Chiwetel Ejiofor. Produttore del film, Kevin Feige, con Louis D’Esposito, Victoria Alonso, Alan Fine, Stan Lee e Stephen Broussard come produttori esecutivi.
Fonte: Comicbookmovie
Tilda Swinton ecco il video omaggio del MoMA
A novembre, in occasione del suo
compleanno, il MoMA ha dedicato un video omaggio a Tilda
Swinton, un tributo all’estro artistico di una delle
migliori attrici del panorama contemporaneo che si è sempre spesa
per la settima arte, regalandoci tantissimi ruoli interessanti e
soprattutto diversi tra loro.
Leggi anche: Tilda Swinton su ciò che di speciale hanno i gay
Il video di seguito dimostra quanto, tra travestimenti e ruoli sopra le righe, la Swinton sia stata, ed è tutt’oggi, una delle attrici di riferimentio per il cinema indie e anche per quello più commerciale.[iframe width=”640″ height=”480″ src=”//www.youtube.com/embed/jnFv5qVrdGM” frameborder=”0″ allowfullscreen][/iframe]Il video è stato realizzato di Erin McKnight (editor), Sean Egan (producer) e Sandro Kopp (advisor) i brani musicali scelti per commentarlo sono stati presi dal repertorio musicale che Tilda Swinton ha più volte dichiarato di ascoltare: Fitzpleasure di Alt’J e All Is Full of Love di Bjork. Come potete vedere lo show reel ci da un assaggio della carriera completa dell’attrice: Caravaggio, Orlando, The Grande Budapest Hotel, E ora parliamo di Kevin, Snowpiercer, Le Cronache di Narnia, Only Lover Left Alive, Burn After Reading, Io sono l’amore, Young Adam, Michael Clayton, Il Curioso Caso di Benjamin Button e tanti altri.Fonte: IndieWire
Tilda Swinton e il genere dell’Antico in Doctor Strange
Doctor Strange si appresta a essere uno dei film più attesi della Marvel, in primo luogo perché le prime immagini del film hanno convinto tutti, poi perché si fregia di una cast assolutamente stellare, guidato da Benedict Cumberbatch, ma che vede al suo fianco attori come Mads Mikkelsen, Chiwetel Ejiofor, Rachel McAdams e non ultima Tilda Swinton che interpreterà l’Antico.
Proprio su questo personaggio, nel film, si è discusso melto, dal momento che nei fumetti si tratta di un uomo, mentre la Swinton, ovviamente è una donna. Il dubbio nasce però dal fatto dalla straordinaria capacità camaleontica dell’attrice che non di rado ha dato vita a personaggi sessualmente ambigui, proprio facendo leva sulla sua estrema bravura a far scomparire la sua pur particolare femminilità dietro sguardi e make up appositi.
Per quanto riguarda il genere l’Antico in Doctor Strange, Kevin Feige ha dichiarato che si tratta di una cosa non specificata. Nel film ci si rivolta al personaggio come fosse una donna, eppure sembra che fisicamente e nei costumi la Swinton non sarà poi tanto caratterizzata come tale. Feige ha spiegato la necessità per il MCU di innovarsi e modificarsi, ma ha anche specificato che con un’attrice come Tilda tutto diventa più semplice. Ma che ne dice lei? L’attrice premio Oscar ha dichiarato: “Non saprei come rispondere a questa domanda, credo che in fin dei conti la risposta sia tutta negli occhi di chi guarda”.
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L’uscita di Doctor Strange è prevista per il 4 novembre 2016. Dirige Scott Derricksonda una sceneggiatura di Jon Aibel e Glenn Berger, rimaneggiata da Jon Spaihts. Nel cast del film al fianco del protagonista Benedict Cumberbatch sono stati confermatiTilda Swinton, Rachel McAdams e Chiwetel Ejiofor. Produttore del film, Kevin Feige, con Louis D’Esposito, Victoria Alonso, Alan Fine, Stan Lee e Stephen Broussard come produttori esecutivi.
Tilda Swinton e Dakota Johnson per il remake di Suspiria
È da tempo ormai che si parla del remake di Suspiria, uno dei capolavori del maestro Dario Argento, ad opera dell’italiano Luca Guadagnino (Melissa P, Io sono l’amore). La nuova trasposizione, inizialmente affidata al regista David Gordon Green, sarà ambientata nella Berlino del 1977, con musiche curate ancora una volta da John Adams, con il quale Guadagnino aveva già lavorato per Io sono l’amore.
Adesso, è stato lo stesso regista a svelare chi saranno le protagoniste del remake: si tratta del premio Oscar Tilda Swinton (Michael Clayton, Solo gli amanti sopravvivono) e dell’astro nascente Dakota Johnson (50 Sfumature di Grigio, Single ma non troppo), che Guadagnino aveva già diretto nell’ultimo A Bigger Splash, presentato alla scorsa edizione del Festival di Venezia.
Nonostante i ruoli che le due attrici interpreteranno nel film non sono ancora stati rivelati, è facile immaginare che alla Swinton andrà quello di Miss Tanner o di Madame Blanche, che erano rispettivamente di Alida Valli e Joan Bennett, mentre alla Johnson quello di Susy Benner, che fu nel Suspiria originale era Jessica Harper.
Suspiria è un film del 1977 diretto da Dario Argento e ispirato al romanzo Suspiria De Profundis di Thomas de Quincey, e interpretato da Jessica Harper e Stefania Casini. Il film è il primo capitolo della trilogia delle tre madri ed ha avuto due sequel: Inferno (1980) e La terza madre (2007).
Al momento non ci sono ulteriori dettagli. Nel frattempo, ricordiamo che Tilda Swinton farà parte del cast di Ave, Cesare! dei fratelli Coen (dal 10 marzo nelle nostre sale), ma anche di quello dell’attesissimo cinecomic Doctor Strange. Dakota Johnson, invece, è attualmente impegnata con le riprese di 50 Sfumature di Nero, sequel del campione d’incassi basato sulla trilogia letteraria di E.L. James.
Tigers: dal 22 luglio al cinema, il trailer
Ronnie Sandahl, sceneggiatore di “Borg McEnroe“, torna a raccontare il risvolto intimista e psicologico dello sport dirigendo TIGERS, il film distribuito da Adler Entertainment nelle sale dal 22 luglio e liberamente ispirato alla storia dell’ex calciatore prodigio Martin Bengtsson. Il racconto di un’ossessione, ma anche della disciplina necessaria a raggiungere obiettivi, del coraggio e dell’onestà verso se stessi.
Nelle parole del regista, Tigers “é una storia sulle tigri del mondo del calcio. Su uomini giovani e ammirati, rinchiusi in gabbie dorate, addomesticati fino a diventare marchi”. Ronnie Sandhal è sceneggiatore, regista e autore ed ha lavorato a una trilogia di film su sport e psicologia: oltre a “Tigers” ha scritto anche la sceneggiatura di “Borg McEnroe” (2017) e del prossimo dramma sulla ginnastica “Perfect”, diretto da Olivia Wilde.
Martin Bengtsson ha raccontato la sua vicenda nel libro “Nell’ombra di San Siro” (In The Shadow of San Siro), pubblicato nel 2007: la storia di come il sogno di una vita si è trasformato in un incubo e delle circostanze esterne e interne che, combinate, lo hanno portato alla depressione e al crollo mentale.
Nel cast del film, oltre ad Erik Enge nei panni di Bengtsson, anche Maurizio Lombardi (Pinocchio, 1994, The New Pope), Lino Musella (The Young Pope, Favolacce, Il Cattivo Poeta) e Gianluca Di Gennaro (Capri-Revolution, Gomorra – La Serie 2).
TIGERS – la trama
Martin è uno dei
talenti calcistici più promettenti che la Svezia abbia mai visto. A
sedici anni, il sogno di una vita diventa realtà quando viene
acquistato da uno dei club più prestigiosi d’Italia. Tuttavia quel
sogno ha un prezzo molto alto in termini di sacrificio, dedizione,
pressione e, soprattutto, solitudine. Martin inizia a chiedersi se
questa sia davvero la vita che ha tanto desiderato.
“Tigers” è una corsa sulle montagne russe della vita e della
morte attraverso la moderna industria del calcio. Con una
prospettiva unica sul mondo degli sport professionistici, Ronnie
Sandahl racconta la vera storia del sedicenne prodigio del calcio
Martin Bengtsson. Un dramma di formazione sull’ossessione ardente
di un giovane in un mondo in cui tutto, e tutti, hanno un
prezzo.
Tigers, recensione del film di Ronnie Sandahl #RFF15
Il regista Ronnie Sandahl arriva alla Festa del Cinema di Roma nella Selezione Ufficiale con Tigers, coprodotto da Alice nella Città, tratto da una storia vera e basato sul romanzo autobiografico di Martin Bengtsson All’ombra di San Siro, nel quale l’ex calciatore svedese racconta la sua esperienza nel mondo del calcio professionistico e di come il raggiungimento del sogno della sua vita abbia rischiato di trasformarsi in un incubo. Tigers è parte di una trilogia scritta da Sandahl sui risvolti psicologici dello sport professionistico, ma anche sugli aspetti politici ed economici del fenomeno. E’ iniziata con Borg vs McEnroe, diretto da Janus Metz, e terminerà con Perfect di Olivia Wilde, previsto per il 2021. Tigers è l’unico dei tre ad essere anche diretto da Sandahl.
Il film accende i riflettori sul mondo che è dietro le quinte del calcio giovanile ai più alti livelli, su quelle fucine di talenti dove i ragazzi non vengono solo preparati atleticamente per essere pronti a diventare futuri campioni, ma viene testata anche la loro resistenza psicologica a un mondo pieno di pressioni. Una realtà dura e cinica, dominata dal profitto, dove l’essere umano è un brand, una macchina da soldi e non sembra contare più di un animale in un circo o in un allevamento intensivo.
Tigers, la trama
Martin Bengtsson, Erik Enge, non ha ancora diciassette anni quando viene acquistato dall’Inter per giocare nella Primavera. Lascia la sua casa in Svezia e arriva a Milano col sogno di giocare a San Siro, coltivato fin da bambino. Martin è un talento e si allena con abnegazione, ma per essere promosso nella prima squadra la determinazione non basta. Ci vuole molto sacrificio e una certa dose di pelo sullo stomaco, che Martin non ha. Tra le cose da sacrificare, poi, ci sono le relazioni, le amicizie, gli amori. Tutto ciò che fa naturalmente parte della vita di un diciassettenne. Per Martin il calcio è tutto, lo è sempre stato, ma non sa se riuscirà a sopportare questa vita e a reggere la pressione.
L’ossessione di Martin per il calcio e la pressione psicologica
Tigers è anche la storia di un ragazzo fragile, che dietro lo sguardo fiero, di sfida, contrastante con l’aspetto un po’ gracile e innocente, nasconde vuoti e problemi irrisolti. Un ragazzo cresciuto senza padre, che ha di lui solo pochi ricordi d’infanzia legati proprio al calcio, a quelle partite delle squadre italiane guardate in tv col genitore, sognando San Siro. Lo sport, il successo nel mondo del calcio è per il protagonista un mezzo per arrivare al padre, per essere visto, accettato, amato. Ma il film mette anche in guardia sui pericoli di queste ossessioni, che facilmente possono andare fuori controllo e diventare davvero pericolose, mettendo a rischio la vita stessa, soprattutto se un sistema tutto votato al profitto le incentiva. Un sistema in cui ci sono più “Martin” di quanti si pensi, che mette i giovani giocatori gli uni contro gli altri, in un clima pesante di sfida continua, dove l’amicizia è merce rara.
Non mancano atteggiamenti
di bullismo nei confronti degli ultimi arrivati o dei più dotati,
che hanno più chance di essere promossi. C’è un controllo quasi
poliziesco della vita quotidiana. Un meccanismo in cui, mentre i
ragazzi come Martin costruiscono il loro futuro e ottengono ciò che
hanno sempre voluto, sono strumento del successo altrui, sfruttati
dalle società come animali in un circo. La metafora animale
percorre tutto il film e rende bene la condizione di Martin. I
ragazzi sono appunto visti come le tigri del circo, chiusi nella
gabbia dorata del calcio per far divertire gli spettatori e
arricchire le società. Sembrano star bene a uno sguardo distratto,
hanno soldi, ma senza la libertà, rischiano la follia. Ecco il
senso del titolo.
È una sorta di tempesta perfetta, che fa esplodere il disagio, la frustrazione e il senso di fallimento nel protagonista. Il regista scandaglia bene il suo mondo interiore, complice anche la buona interpretazione del giovane Erik Enge, come quella di Frida Gustavsson nel ruolo di Vibeke, la ragazza con cui Martin inizia una storia. Emerge con forza e tocca lo spettatore la sensazione di fallimento che si prova quando ci si accorge che, raggiunto ciò che si è tanto desiderato, non si riesce a reggerlo, perché c’è qualcosa di inaspettato che non si era considerato. Sembra che tutto crolli, ma non è così.
Il film e l’esperienza realmente vissuta da Bergtsson sono uno sprone per tanti e mostrano come ci si possa rialzare e costruire un nuovo percorso perché, come dice la madre di Martin: si può sempre cambiare idea e a volte è salutare farlo.
Tigers disponibile on demand dal 16 settembre
Ronnie Sandahl, sceneggiatore di “Borg McEnroe”, torna a raccontare il risvolto intimista e psicologico dello sport dirigendo TIGERS, disponibile on demand dal 16 settembre su Sky Primafila, Prime Video Store, Apple Tv, Chili Tv, Google Play, Infinity, Rakuten Tv, Timvision e liberamente ispirato alla storia dell’ex calciatore prodigio Martin Bengtsson. Il racconto di un’ossessione, ma anche della disciplina necessaria a raggiungere obiettivi, del coraggio e dell’onestà verso se stessi.
Nelle parole del regista, Tigers “é una storia sulle tigri del mondo del calcio. Su uomini giovani e ammirati, rinchiusi in gabbie dorate, addomesticati fino a diventare marchi”. Ronnie Sandhal è sceneggiatore, regista e autore ed ha lavorato a una trilogia di film su sport e psicologia: oltre a “Tigers” ha scritto anche la sceneggiatura di “Borg McEnroe” (2017) e del prossimo dramma sulla ginnastica “Perfect”, diretto da Olivia Wilde.
Martin Bengtsson ha raccontato la sua vicenda nel libro “Nell’ombra di San Siro” (In The Shadow of San Siro), pubblicato nel 2007: la storia di come il sogno di una vita si è trasformato in un incubo e delle circostanze esterne e interne che, combinate, lo hanno portato alla depressione e al crollo mentale.
Nel cast del film, oltre ad Erik Enge nei panni di Bengtsson, anche Maurizio Lombardi (Pinocchio, 1994, The New Pope), Lino Musella (The Young Pope, Favolacce, Il Cattivo Poeta) e Gianluca Di Gennaro (Capri-Revolution, Gomorra – La Serie 2).
Tigers, a trama
Martin è uno dei talenti calcistici più promettenti che la Svezia abbia mai visto. A sedici anni, il sogno di una vita diventa realtà quando viene acquistato da uno dei club più prestigiosi d’Italia. Tuttavia quel sogno ha un prezzo molto alto in termini di sacrificio, dedizione, pressione e, soprattutto, solitudine. Martin inizia a chiedersi se questa sia davvero la vita che ha tanto desiderato. “Tigers” è una corsa sulle montagne russe della vita e della morte attraverso la moderna industria del calcio. Con una prospettiva unica sul mondo degli sport professionistici, Ronnie Sandahl racconta la vera storia del sedicenne prodigio del calcio Martin Bengtsson. Un dramma di formazione sull’ossessione ardente di un giovane in un mondo in cui tutto, e tutti, hanno un prezzo.
Tiger: tre punti chiave del documentario Sky sulla leggenda del golf
È disponibile su Sky e su NOW il documentario Tiger, un lungo racconto dell’ascesa e della rovina di una leggenda del golf, uno degli sportivi più famosi al mondo, uno dei più ricchi e uno di quelli che ha fatto parlare non solo l’erba dei campi con le sue gesta, ma anche giornalisti ed esperti di gossip per la sua vita privata turbolenta. Ambizione, capitalismo, razzismo, celebrità, misoginia, pettegolezzi, la vita di Tiger Woods è stata a di poco ricca di eventi che ne hanno plasmato la figura pubblica e l’uomo privato, e il documentario, diretto da Matthew Heineman e Matthew Hamachek, la racconta attraverso gli occhi e le parole di chi lo ha conosciuto meglio. Ecco di seguito tre punti fondamentali del film che servono da chiavi di lettura per l’intera vicenda, umana e professionale, di un uomo extra-ordinario.
Tiger è disponibile su NOW. Iscriviti a soli 3 euro per il primo mese e guarda il film e molto altro.
1Le donne
Il film non prevede l’intervento della ex moglie di Tiger Woods, Elin Nordergren, che come possiamo immaginare non aveva molta voglia di ritornare a raccontare un periodo che per lei (come per altri) è stato sicuramente infelice e difficile. Tuttavia sono due le donne di Woods che prendono la parola nel documentario disponibile su Sky e NOW. Si tratta di Dina Parr, che usciva con Tiger nel periodo tra il liceo e il college, e Rachel Uchitel, la proprietaria di un nightclub la cui relazione con Woods nel 2009 ha posto fine al suo matrimonio e ha infranto la sua reputazione pubblica esemplare. Il punto interessante della testimonianza offerta da queste due donne, è che hanno conosciuto Woods in momenti molto diversi della sua vita, e, nonostante questo, entrambe lo descrivono come capace di rilassarsi soltanto in situazioni private, con loro, magari a letto, come se altrove fosse incapace di vivere serenamente.
Nelle riprese dei video domestici, vediamo un giovane Woods ballare e suonare il sassofono con la famiglia di Parr. “Sapeva che poteva essere se stesso e non c’era giudizio, nessuna pressione per essere all’altezza di tutte queste aspettative”, racconta Parr, spiegando la differenza tra la sua casa e quella di Woods e il differente atteggiamento che Tiger stesso aveva in casa sua e con i genitori. Uchitel, che per questo documentario rompe il silenzio che manteneva dal 2010 sull’argomento, afferma che, durante la sua relazione con Woods, lui si svegliava la mattina e “si permetteva di essere un bambino“, mangiando cereali e guardando i cartoni animati. Come se questa continua fuga, dalla vita matrimoniale pubblica, fosse alla ricerca di un posto felice in cui essere se stesso, libero da pressioni, come quel salotto della casa della sua fidanzata al college.
TIFF: Tom Hiddleston e Elizabeth Olsen per I Saw The Light After
Si è tenuta a Toronto Film Festival 2015 la prima proiezione ufficiale di I Saw The Light After, la pellicola con protagonista Tom Hiddleston e a seguire il cast ha partecipato al consueto after party.
Tiff: parata di film e star a Toronto
Il Toronto Film Festival di
quest’anno, forse più delle passate edizioni, riserva pellicole che
saranno probabilmente protagoniste della prossima stagione, con un
occhio di riguardo (non è mai troppo presto) a quelle che saranno
le candidature ai prossimi Academy Awards. 12 Years a
Slave, Prisoners, Hateship Loveship, Parkland, The Last Robin
Hood e The Railway
Man sono solo alcuni dei titoli che vedranno nei
prossimi giorni avvicendarsi sul red carpet del Tiff tantissime
star internazionali, a partire dai primi nomi attesi Brad
Pitt, Hugh Jackman, Jake Gyllenhaal e Zac
Efron.
L’eccitazione degli addetti ai lavori in merito all’evento è palpabile, intanto noi speriamo che anche qui in Italia i titoli arrivino presto, magari accompagnati da intepreti e registi!
TIFF: Alex Gibney con Mea Maxima Culpa
TIFF: a Joaquin Phoenix l’Actor Award
Joaquin Phoenix sarà onorato il prossimo mese al Toronto International Film Festival. Il TIFF ha annunciato venerdì mattina che il tre volte candidato all’Oscar riceverà uno dei due Actor Awards durante l’inaugurazione di Gala del festival. Oltre a lui è già stato annunciato il premio a Meryl Streep.
“Mostrando sia istinto grezzo che abilità tecnica consumata, Joaquin Phoenix è l’attore completo e uno dei migliori del cinema contemporaneo – ha dichiarato Cameron Bailey, co-direttore del festival – Nel corso di tre decenni, ha portato una verità penetrante in ogni ruolo rivoluzionario. TIFF è entusiasta di celebrare un artista del suo calibro con questo premio inaugurale. ”
La prossima apparizione di Phoenix sarà nel Joker del regista Todd Phillips, in cui interpreta la Nemesi di Batman. Il film avrà la sua anteprima nordamericana al festival, ma è presente anche nel programma del Festival di Venezia.
“Siamo entusiasti del fatto che lo straordinario talento di Joaquin Phoenix sarà onorata al TIFF Tribute Gala di settembre – ha dichiarato Joana Vicente, co-responsabile del festival – Il suo eccezionale contributo al cinema è una testimonianza della missione principale del TIFF di trasformare il modo in cui le persone vedono il mondo attraverso il cinema”.
Durante la serata di gala, che si svolgerà il 9 settembre al Fairmont Royal York, saranno assegnati riconoscimenti anche a Taika Waititi con il TIFF Ebert Director Award e a Participant Media con il TIFF Impact Award. Il destinatario del Mary Pickford Award in onore di un talento femminile emergente verrà annunciato in un secondo momento. David Foster si esibirà durante i festeggiamenti.
Il 44° TIFF si svolgerà dal 5 al 15 settembre.
Fonte: Variety
TIFF 2015: The Martian di Ridley Scott convince
E’ stato presentato oggi al Toronto Film Festival 2015, The Martian, l’atteso film di Ridley Scott che vede protagonista un cast d’eccezione composto da Kate Mara, Jessica Chastain, Kristen Wiig, Sebastian Stan, Sean Bean, Michael Peña, Mackenzie Davis, Chiwetel Ejiofor e Jeff Daniels.
La pellicola presentata alla stampa internazionale è stata accolta con un applauso, convincendo anche i più scettici e sopratutto quelli rimasti molto delusi da Prometheus.
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Ecco la sinossi:
Durante una missione su Marte, l’astronauta Mark Watney (Matt Damon) viene considerato morto dopo una forte tempesta e per questo abbandonato dal suo equipaggio. Ma Watney è sopravvissuto e ora si ritrova solo sul pianeta ostile. Con scarse provviste, Watney deve attingere al suo ingegno, alla sua arguzia e al suo spirito di sopravvivenza per trovare un modo per segnalare alla Terra che è vivo.
A milioni di chilometri di distanza, la NASA e un team di scienziati internazionali lavorano instancabilmente per cercare di portare “il marziano” a casa, mentre i suoi compagni cercano di tracciare un’audace, se non impossibile, missione di salvataggio.
The Martian vede protagonisti anche un cast d’eccezione composto da Kate Mara, Jessica Chastain, Kristen Wiig, Sebastian Stan, Sean Bean, Michael Peña, Mackenzie Davis, Chiwetel Ejiofor e Jeff Daniels.