La saga di Harry
Potter volge al termine, e persino l’unica tra i
protagonisti del film che finora ha dedicato i suoi sforzi
recitativi solo alla serie che gli ha regalato fama e denaro è
stata costretta a guardarsi intorno.
Emma Watson ha
deciso così di entrare nel cast di un film da tempo annunciato, My
Week with Marilyn, basato sulle memorie di Colin Clarke, assistente
di Laurence Olivier sul set de Il principe e la ballerina. Nel
film, che vede confermati Michelle Williams nel
ruolo della diva e Kenneth Branagh in quelli di Olivier, la Watson
avrà una parte non di primissimo piano: quella di una giovane
assistente costumista che lavorava sul set del film intorno a cui
ruotano tutte le vicende raccontate.
Considerando i magri risultati di L’incredibile Hulk, Edward
Norton ha dichiarato di non provare alcun risentimento nei riguardi
della Marvel, che l’ha estromesso come
interprete di Hulk in The Avengers.
Ecco online nuove immagini dei
bambini che vedremo nell’Epilogo di Harry Potter e i Doni della
Morte: Parte II. Ecco i piccoli attori scelti per le scene
ambientate a King’s Cross…
Dopo l’invito dell’Federazione
Internazionale degli Attori verso i propri membri a boicottare Lo
Hobbit, Peter Jackson ha rilasciato una caustica dichiarazione
spontanea sulla questione – ricordiamo che l’IFA pretende che gli
attori neozelandesi (che non fanno parte dell’Unione) svolgano
collettivamente le trattative per i loro contratti di lavoro nello
Hobbit (aderendo di fatto all’Unione).
Jackson, oltre a contestualizzare l’intera situazione,
sottolinea che le richieste dell’IFA sono impossibili da soddisfare
per motivi squisitamente legali, e che l’insistenza da parte
dell’organizzazione potrà causare solo due cose: l’annullamento
dello Hobbit o, più probabilmente, lo spostamento di riprese e
produzione nei Paesi dell’Est Europeo. Uno smacco per l’industria
cinematografica neozelandese, e un danno gravissimo per
l’occupazione (anche australiana, vista la partecipazione diretta
di molti australiani nelle produzioni neozelandesi).
Oltretutto, Jackson prefigura un incidente diplomatico tra
Australia e Nuova Zelanda, sospettando una palese ingerenza del
sindacato degli attori australiano (MEAA) nella piccola
organizzazione di attori neozelandese NZ Equity, che si propone
come interlocutore per le trattative collettive.
qui sotto alcuni passaggi della lunga e interessante lettera di
Jackson, rimandandovi a www.hobbitfilm.it per la lettura
completa.
L’unione dei lavoratori
australiani MEEA sta strumentalizzando la nostra produzione Lo
Hobbit nel tentativo di ampliare la propria base di iscritti, e il
proprio potere all’interno dell’industria cinematografica
Neozelandese. Come regista Neozelandese, che non ha nulla da
nascondere o di cui vergognarsi, non rimarrò in silenzio a guardare
continuare questo comportamento minaccioso senza discutere in
maniera sensibile dei “fatti” e della “verità” dietro alle varie
accuse.
Dietro alle accuse di sfruttamento degli attori chiamati a
partecipare alla produzione “estranea all’Unione” dello Hobbit, e
all’annuncio che numerose star di alto profilo si rifiuteranno di
comparire nei film, ci sono delle strategie molto chiare in
movimento. Come sempre in questi casi, sono tutte basate sul denaro
e sul potere.
Lasciatemi elencare una serie di fatti:
Parlando a titolo personale, non sono affatto contro i
sindacati. Sono un membro orgoglioso di ben tre unioni sindacali
americane, la Directors Guild, la Producers Guild e la Writers
Guild. Supporto la Screen Actors Guild (unione sindacale degli
attori di Hollywood, ndt). Tutte queste organizzazioni – non sono
molto sicuro di conoscere la differenza tra “Guild (sindacato)” e
“unione” – fanno un grandissimo lavoro nell’interesse dei propri
membri. * jackson(…) Per Lo Hobbit la Warner Bros. ha accettato di
creare un fondo separato nel quale verrà accumulata una parte dei
profitti, che verrà divisa tra tutti gli attori non-SAG. Questo non
è stato fatto a causa di pressioni da parte dei sindacati o
dell’Unione: è stata la Warner a proporsi educatamente, e gli
attori Neozelandesi e Australiani saranno quelli che otterranno il
beneficio principale. I membri della SAG hanno la loro percentuale,
e i non-SAG hanno la loro. E’ uno schema che abbiamo presentato
agli agenti degli attori Neozelandesi, e che fa parte dei nostri
contratti attuali per il cast dello Hobbit. * Qualsiasi danno stia tentando di farci la MEAA – e ne farà,
visto che è il loro obiettivo principale, colpendo Lo Hobbit – noi
continueremo a trattare i nostri attori e la nostra troupe con
rispetto, come abbiamo sempre fatto. * (…) Inizia tutto con la “NZ Actors Equity”. E’ una piccola
organizzazione che rappresenta una minoranza di attori
Neozelandesi. Non sono una Unione sindacale, e non hanno mai avuto
lo status legale di una Unione. Dai report a mia disposizione, si
tratta di 100 o 200 membri. * (…) la NZ Actors Equity rappresenta 200 attori su 2000 attori
neozelandesi, cioè il 10%. (…) Recentemente sono stati finanziati
dalla MEAA. * (…) A quanto mi risulta, ora la NZ Actors Equity è confluita
nella MEAA, il che significa che l’organizzazione sindacale
australiana MEAA rappresenta 200 dei nostri 2000 attori
Neozelandesi. Non credo rappresenti gli attori non-Equity. Parla
quindi per voce di una minoranza dei nostri attori. * (…) Sono anche sempre più adirato sapendo che questa piccola
minoranza stia mettendo in pericolo un progetto cui hanno lavorato
centinaia di persone negli ultimi due anni, e al quale migliaia di
persone lavoreranno nei prossimi quattro anni. Le centinaia di
milioni di dollari della Warner Brothers che verranno spesi nella
nostra economia. * (…) La MEAA chiede che la casa di produzione dello Hobbit (la
3foot7 Ltd, di proprietà della Warner Bros.) entri in trattative
per un unico contratto, negoziato dall’Unione, che includa tutti
gli attori del film. * Scusate, ma ho un piccolo problema con le organizzazioni che
rappresentano una minoranza ma cercano di prendere il controllo di
tutti quanti – ma non è questo il vero prolema. La complessa rete
di leggi sul lavoro in Nuova Zelanda sono la vera ragione per cui
questa richiesta non verrà mai soddisfatta. * La legge neozelandese, infatti, vieta che si tengano
trattative con organizzazioni che rappresentano i performer, in
quanto questi sono considerati dei contractor indipendenti. Il NZ
Commerce Act sostiene che sarebbe fuorilegge mettersi a trattare
con una unione australiana su questioni simili.
Le teorie cospirazioniste sono numerose, quindi scegliete
quella che preferite: noi abbiamo fatto meglio di loro negli ultimi
anni, attirando produzioni internazionali – e gli Australiani
preferirebbero avere una fetta più grande della torta, iniziando
dallo sfruttare Lo Hobbit per avere più controllo sulla nostra
industria cinematografica. Una logica malata che vedrà la Nuova
Zelanda umiliata sul piano mondiale, perdendo Lo Hobbit, il quale
finirà per essere girato in Europa dell’Est. La Warner
risparmierebbe soldi e avrebbe un successo finanziario, convincendo
altri studios a stare lontani dalla Nuova Zelanda.
L’impressione però è che veniamo attaccati perché siamo un
bell’obbiettivo, grasso e allettante. Ma non abbiamo ancora nemmeno
avuto il via libera alla produzione! E’ come se i grossi cugini
Austaliani ci stessero lanciando la sabbia negli occhi. O, per
metterla in un altro modo, gli opportunisti rovinano il nostro film
per il loro interesse politico.
Peter Jackson
(NB: Questo comunicato rappresenta l’opinione di Peter
Jackson come regista Neozelandese, non l’opinione della Warner
Bros. e della New Line Cinema, che non sono state ancora consultate
a riguardo).
Dopo l’invito dell’Federazione
Internazionale degli Attori verso i propri membri a boicottare The
Hobbit, Peter Jackson ha rilasciato una caustica dichiarazione
spontanea sulla questione – ricordiamo che l’IFA pretende che gli
attori neozelandesi (che non fanno parte dell’Unione) svolgano
collettivamente le trattative per i loro contratti di lavoro nello
Hobbit (aderendo di fatto all’Unione).
Jackson, oltre a contestualizzare
l’intera situazione, sottolinea che le richieste dell’IFA sono
impossibili da soddisfare per motivi squisitamente legali, e che
l’insistenza da parte dell’organizzazione potrà causare solo due
cose: l’annullamento dello Hobbit o, più probabilmente, lo
spostamento di riprese e produzione nei Paesi dell’Est Europeo. Uno
smacco per l’industria cinematografica neozelandese, e un danno
gravissimo per l’occupazione (anche australiana, vista la
partecipazione diretta di molti australiani nelle produzioni
neozelandesi).
Oltretutto, Jackson prefigura un
incidente diplomatico tra Australia e Nuova Zelanda, sospettando
una palese ingerenza del sindacato degli attori australiano (MEAA)
nella piccola organizzazione di attori neozelandese NZ Equity, che
si propone come interlocutore per le trattative collettive.
qui sotto alcuni passaggi della
lunga e interessante lettera di Jackson, rimandandovi a www.hobbitfilm.it per la lettura completa.
L’unione dei lavoratori
australiani MEEA sta strumentalizzando la nostra produzione Lo
Hobbit nel tentativo di ampliare la propria base di iscritti, e il
proprio potere all’interno dell’industria cinematografica
Neozelandese. Come regista Neozelandese, che non ha nulla da
nascondere o di cui vergognarsi, non rimarrò in silenzio a guardare
continuare questo comportamento minaccioso senza discutere in
maniera sensibile dei “fatti” e della “verità” dietro alle varie
accuse.
Dietro alle accuse di
sfruttamento degli attori chiamati a partecipare alla produzione
“estranea all’Unione” dello Hobbit, e all’annuncio che numerose
star di alto profilo si rifiuteranno di comparire nei film, ci sono
delle strategie molto chiare in movimento. Come sempre in questi
casi, sono tutte basate sul denaro e sul potere.
Lasciatemi elencare una serie
di fatti:
Parlando a titolo personale,
non sono affatto contro i sindacati. Sono un membro orgoglioso di
ben tre unioni sindacali americane, la Directors Guild, la
Producers Guild e la Writers Guild. Supporto la Screen Actors Guild
(unione sindacale degli attori di Hollywood, ndt). Tutte queste
organizzazioni – non sono molto sicuro di conoscere la differenza
tra “Guild (sindacato)” e “unione” – fanno un grandissimo lavoro
nell’interesse dei propri membri. * jackson(…) Per Lo Hobbit la Warner Bros. ha accettato di
creare un fondo separato nel quale verrà accumulata una parte dei
profitti, che verrà divisa tra tutti gli attori non-SAG. Questo non
è stato fatto a causa di pressioni da parte dei sindacati o
dell’Unione: è stata la Warner a proporsi educatamente, e gli
attori Neozelandesi e Australiani saranno quelli che otterranno il
beneficio principale. I membri della SAG hanno la loro percentuale,
e i non-SAG hanno la loro. E’ uno schema che abbiamo presentato
agli agenti degli attori Neozelandesi, e che fa parte dei nostri
contratti attuali per il cast dello Hobbit. * Qualsiasi danno stia tentando di farci la MEAA – e ne farà,
visto che è il loro obiettivo principale, colpendo Lo Hobbit – noi
continueremo a trattare i nostri attori e la nostra troupe con
rispetto, come abbiamo sempre fatto. * (…) Inizia tutto con la “NZ Actors Equity”. E’ una piccola
organizzazione che rappresenta una minoranza di attori
Neozelandesi. Non sono una Unione sindacale, e non hanno mai avuto
lo status legale di una Unione. Dai report a mia disposizione, si
tratta di 100 o 200 membri. * (…) la NZ Actors Equity rappresenta 200 attori su 2000 attori
neozelandesi, cioè il 10%. (…) Recentemente sono stati finanziati
dalla MEAA. * (…) A quanto mi risulta, ora la NZ Actors Equity è confluita
nella MEAA, il che significa che l’organizzazione sindacale
australiana MEAA rappresenta 200 dei nostri 2000 attori
Neozelandesi. Non credo rappresenti gli attori non-Equity. Parla
quindi per voce di una minoranza dei nostri attori. * (…) Sono anche sempre più adirato sapendo che questa piccola
minoranza stia mettendo in pericolo un progetto cui hanno lavorato
centinaia di persone negli ultimi due anni, e al quale migliaia di
persone lavoreranno nei prossimi quattro anni. Le centinaia di
milioni di dollari della Warner Brothers che verranno spesi nella
nostra economia. * (…) La MEAA chiede che la casa di produzione dello Hobbit (la
3foot7 Ltd, di proprietà della Warner Bros.) entri in trattative
per un unico contratto, negoziato dall’Unione, che includa tutti
gli attori del film. * Scusate, ma ho un piccolo problema con le organizzazioni che
rappresentano una minoranza ma cercano di prendere il controllo di
tutti quanti – ma non è questo il vero prolema. La complessa rete
di leggi sul lavoro in Nuova Zelanda sono la vera ragione per cui
questa richiesta non verrà mai soddisfatta. * La legge neozelandese, infatti, vieta che si tengano
trattative con organizzazioni che rappresentano i performer, in
quanto questi sono considerati dei contractor indipendenti. Il NZ
Commerce Act sostiene che sarebbe fuorilegge mettersi a trattare
con una unione australiana su questioni simili.
Le teorie cospirazioniste sono
numerose, quindi scegliete quella che preferite: noi abbiamo fatto
meglio di loro negli ultimi anni, attirando produzioni
internazionali – e gli Australiani preferirebbero avere una fetta
più grande della torta, iniziando dallo sfruttare Lo Hobbit per
avere più controllo sulla nostra industria cinematografica. Una
logica malata che vedrà la Nuova Zelanda umiliata sul piano
mondiale, perdendo Lo Hobbit, il quale finirà per essere girato in
Europa dell’Est. La Warner risparmierebbe soldi e avrebbe un
successo finanziario, convincendo altri studios a stare lontani
dalla Nuova Zelanda.
L’impressione però è che
veniamo attaccati perché siamo un bell’obbiettivo, grasso e
allettante. Ma non abbiamo ancora nemmeno avuto il via libera alla
produzione! E’ come se i grossi cugini Austaliani ci stessero
lanciando la sabbia negli occhi. O, per metterla in un altro modo,
gli opportunisti rovinano il nostro film per il loro interesse
politico.
Peter Jackson
(NB: Questo comunicato
rappresenta l’opinione di Peter Jackson come regista Neozelandese,
non l’opinione della Warner Bros. e della New Line Cinema, che non
sono state ancora consultate a riguardo).
La Passione di
Carlo Mazzacurati arriva nelle sale italiane dopo
la partecipazione in Concorso alla
67° Mostra del Cinema di Venezia. Si tratta di una
commedia dal buon ritmo, protagonista Silvio Orlando nei panni di Gianni
Dubois: un regista di mezza età in crisi creativa, alle prese
con due problemi: deve trovare in fretta un’idea per un film da
girare con una giovane attrice di fiction (Cristiana
Capotondi) – potrebbe rappresentare la svolta della
sua carriera, mai decollata.
A ciò si aggiunge un increscioso
inconveniente nella sua casa in Toscana: una perdita nel bagno
danneggia un affresco del ‘500 nell’attigua chiesa del paese.
Dubois è costretto quindi a lasciare Roma per recarsi in Toscana,
dove il sindaco (Stefania Sandrelli) e l’assessore
(Marco Messeri) minacciano di denunciarlo ai Beni
Culturali, a meno che non accetti di dirigere la Sacra
Rappresentazione del Venerdì Santo, da organizzare in pochi giorni.
Gli verrà in soccorso un ex carcerato di nome Ramiro (Giuseppe
Battiston), estimatore di Dubois e con una grande
passione per il teatro. Nonostante un susseguirsi di imprevisti dai
risvolti comici, che li vedranno alle prese, tra l’altro, con un
attore di pessima qualità ma di buona memoria (Corrado
Guzzanti), cui affideranno il ruolo del Messia, la Sacra
Rappresentazione andrà in scena e otterrà un buon successo. In più,
qui Dubois incontrerà una giovane barista polacca (Kasia
Smutniak), attorno alla quale costruirà la trama del
suo nuovo film.
La Passione, il film
Dunque un nuovo inizio, una sorta
di resurrezione anche per Dubois, che arriva proprio quando il
destino sembrava accanirsi contro di lui e contro l’altro
personaggio che vorrebbe risorgere dalle ceneri del proprio
passato: Ramiro. La vita sembra infatti riportare l’ex ladro sul
binario che voleva abbandonare, ma avrà il suo riscatto. Dunque,
gli ingredienti paiono essere quelli che avevamo già trovato e
apprezzato dieci anni fa in “La lingua del Santo” – anche lì
seguivamo la tragicommedia dei due protagonisti, ladri improvvisati
che la ricca società padovana aveva relegato ai margini. Tutto
avrebbe potuto funzionare alla perfezione, sennonché qui ci
si muove spesso su un registro parodistico-caricaturale. L’attore
Manlio Abbruscati, interpretato da Corrado
Guzzanti, ne è l’emblema: è un personaggio dai toni
macchiettistici, lo stesso tipo di macchietta che Guzzanti
ottimamente interpreta in teatro ma che, trasposta al cinema, non
ha la stessa efficacia. Alcune situazioni appaiono forzate, ai
limiti del surreale, senza però che si faccia una scelta chiara in
questa direzione.
Al contrario, ai toni da parodia in
La Passione si mescola la mimesi realistica,
generando nello spettatore un senso di straniamento. I meccanismi
comici, poi, sono spesso reiterati e ciò li rende poco incisivi. In
questa chiave parodistica, l’analisi sociale è più suggerita che
approfondita. Bersaglio di Mazzacurati sono i mali
italiani: le istituzioni, che per prime utilizzano la logica del
favore e del ricatto, i servizi al cittadino che non funzionano, e
soprattutto, il mondo del cinema, che appare imbrigliato in logiche
commerciali, senza spazio per la creatività; un cinema che vuole
competere col successo di massa delle fiction televisive e non lo
fa mantenendo la sua specificità, ma conformandosi al modello
proposto dalla TV. Il risultato è, però, meno efficace che in “La
lingua del Santo”, in cui ironia e leggerezza accompagnavano, senza
banalizzarla né sovrastarla, una riflessione sulla dimensione
sociale ed esistenziale, conferendo levitas alla materia trattata.
Il regista sceglie qui un registro più spiccatamente comico, a
tratti farsesco, nel quale però non sembra trovarsi molto a suo
agio.
Ricco il cast di La
Passione: accanto a Silvio Orlando, già scelto da
Mazzacurati nel ’92 per “Un’altra vita”, Giuseppe
Battiston, che ben interpreta il personaggio forse più
complesso del film, confermandosi come una sicurezza del nostro
cinema. E poi Stefania Sandrelli, di nuovo in
coppia con Marco Messeri, dopo La prima
cosa bella di Virzì. Produzione affidata a
Domenico Procacci e Fandango, in
collaborazione con Rai Cinema.
Guillermo del Toro collaborerà con
la DreamWorks Animation per i prossimi mesi: il regista ha messo
mano a Megamind, e sta sviluppando Trollhunters, che realizzerà in
animazione!
Inception
debutta al primo posto al box office italiano, con un risultato non
particolarmente esaltante, al contrario di quanto avvenuto nelle
scorse settimane nel resto del mondo. Buon esordio per
L’ultimo dominatore dell’aria al secondo
posto, mentre La passione non riesce a
imporsi su Mordimi.
Finalmente, dopo lunghe settimane
di attese, Inception è arrivato in Italia
e, come prevedibile, ha immediatamente guadagnato la prima
posizione al botteghino; i 2,6 milioni di euro incassati tuttavia
non rappresentano un risultato eccezionale, considerando le 600
sale in cui è stato lanciato il film, e le attese dei fan di Nolan.
Bisogna anche riconoscere che lo spettatore medio del nostro Paese
non è spesso attirato da pellicole cerebrali e impegnative a
livello intellettuale, anche quando si parla del film dell’anno,
come nel caso di Inception, in grado di incassare oltre
750 milioni di dollari worldwide. Ma indubbiamente il film
dell’acclamato Christopher Nolan, che ha presenziato a una
conferenza stampa a Roma nei giorni scorsi, potrà beneficiare
del passaparola positivo.
L’ultimo dominatore
dell’aria esordisce al secondo posto con 2,1 milioni,
un buon risultato benché affatto brillante: nel totale occorre
considerare la somma di 1,7 milioni ottenuta con le copie in 3D,
anche se in questo caso si parla del 3D più massacrato
dell’anno.
Mordimi
regge in terza posizione ottenendo altri 987.000 euro e arrivando a
quota 3,4 milioni; la commedia parodistica sta dimostrando
un’ottima performance in Italia, considerando il genere.
Segue l’altra new entry, La passione: il
film italiano presentato all’ultima Mostra di Venezia ha raccolto
810.000 euro.
Mangia, prega,
ama scende in quinta posizione con altri 779.000 euro
arrivando a 2,6 milioni complessivi; anche in Italia il film con
Julia Roberts non sta affatto riscuotendo il successo vagheggiato
in partenza.
Sesto posto per Sharm
el Sheikh – Un’estate indimenticabile, giunto a 2,4
milioni con altri 723.000 euro; segue La solitudine dei
numeri primi, che sfiora i 3 milioni totali con i
338.000 euro raccolti nel suo terzo weekend.
Shrek e vissero felici
e contenti scende all’ottava posizione, con oltre
16,5 milioni totali e 316.000 euro incassati negli ultimi tre
giorni. Cani e gatti: La vendetta di Kitty
3D ottiene altri 304.000 euro e supera il milione
totale, confermandosi un flop.
Chiude la top10 Resident Evil Afterlife
3D, che con altri 302.000 euro arriva a 3,8 milioni
complessivi.
A pochi registi capita di vedere
realizzato un proprio lavoro post mortem. E’ questo quello che è
capitato con una sceneggiatura sepolta di Jacques Tati,
L’Illusionista, disegnata e portata sullo schermo
da Sylvain Chomet il regista nominato agli Oscar
per Appuntamento a Belville.
L’Illusionista, il film
La storia è quella di un vecchio
Illusionista che asta perdendo il suo pubblico a causa delle nuove
generazioni che scoprono il rock e perdono la fascinazione per i
trucchi di magia In un mondo in cui anche i bambini vogliono che il
trucco sia svelato, l’illusionista incontra Alice, una ragazzina
che lo seguirà e che crederà sempre, fino alla fine, che la sua
magia è vera. Si tratta di un cartone animato old-fashion per una
generazione abituato alla perfezione dell’animazione digitalizzata
e ai colori sgargianti, ma il regista vuole dare esattamente
l’effetto di animazione anni ’60, imperfetta e imprecisa ma per
questo poetica.
Tuttavia il film scivola nella
banalità e per quanto le premesse fossero nobili (si tratta infatti
di una sceneggiatura che Tati scrisse pensando al difficile
rapporto con la figlia) la storia non decolla, trasmettendo solo
una profonda tristezza per le sorti del vecchio illusionista e un
astio non troppo velato verso la ragazza che si dimostra ingrata e
stupida. Unica cifra distintiva in un film noioso sono i personaggi
di contorno, nostalgici clown reduci da un mondo che ha smesso di
esistere.
L’Illusionista uscirà nei cinema italiani il
29 ottobre distribuito dalla Sacher Distribution.
Arriva al cinema l’attesissimo
nuovo film di Christopher Nolan, Inception,
che vede protagonista Leonardo DiCaprio alla prima collaborazione
con l’autore inglese.
Il sogno è reale. Questa è l’unica
certezza che accompagna lo spettatore in sala, oltre alla
grandissima curiosità e all’eccitazione palpabile nell’aria. I
trailer non sono mai stati così lungi, poi, a premiare l’attesa,
arriva il logo grigio della WB, che ci introduce nel mondo di
Inception.
Ancora una volta, com’è successo
per i suoi film precedenti, Nolan non realizza un film da vedere,
organizza una vera e propria esperienza per i suoi fidelizzati
spettatori, ancora una volta, tutto quello che c’è da vedere, da
capire e da scoprire sembra troppo per due soli occhi e orecchie.
Tutto intorno a questo film è stato mistero, sin dall’inizio,
persino la trama che anche adesso si esita a rivelare, primo per
non togliere il gusto agli spettatori, secondo perché, anche chi il
film l’ha visto non può costringersi a ridurlo ad una semplice
storia. Capotimoniere di questa avventura è Cobb, un Leonardo DiCaprio ancora una volta in stato di
grazia, che ci conduce attraversando i sogni degli altri, nella sua
mente, fino a farci scoprire i suoi. Il ladro di idee più bravo al
mondo, l’estrattore di sogni più abile del pianeta dovrà,
nell’ultima sua commissione, praticare un innesto
(Inception), per trovare la sua libertà.
Accanto a Cobb/Di
Caprio, tutta una schiera di attori famosi e bravissimi, a
partire dalla giovane quanto convincente
Ellen Page, l’architetto Arianna dal nome sibillino
(Arianna è colei che con il suo filo ha permesso a Teseo di uscire
dal Labirinto una volta ucciso il Minotauro), unica depositaria del
vero segreto di Cobb, e abilissima nel costruire i mondi che
insieme ai personaggi percorreremo anche noi in sala. La stella in
ascesa, Joseph Gordon-Levitt, è Arthur, fedele complice di Cobb,
che ha il compito di tenere sotto osservazione i sognatori.
Josep Gordon-Levitt si distingue per la sua
recitazione composta, quasi monocorde che risulta sempre efficace,
dal piccolo gioiello 500 Giorni Insieme, fino al colossal
Inception, portando sullo schermo quel suo viso
che (non senza provocare brividi) ricorda tanto quello di Heath Ledger. Per falsificare un’idea e
immetterla nel subconscio di un uomo la cosa indispensabile è un
falsario, e Cobb si rivolge al più bravo, Eames, a cui da volto e
corpo Tom Hardy, già visto in
Rocknrolla e Marie Antoinette, elemento sdrammatizzante del
cast, che mette in condizioni il gruppo di scende ‘ai livelli
inferiori’ e porta con sé una simpatica, quanto solo accennata,
rivalità con Arthur.
Ma un colpo che si rispetti ha un
mandante e una vittima, entrambi vecchi amici di Nolan dai tempi di
Batman Begins, si tratta della superstar giapponese Ken
Watanabe, sempre bravissimo, già finto Ra’s Al Ghul e qui
interprete di Saito, figura chiave che finirà per chiudere il
cerchio con Cobb e tirare le somme della storia nel finale; e
ancora un bravissimo Cillian Murphy (Spaventapasseri/Dottor Craine
nel due Batman
Begins di Nolan), ignara vittima di un crimine
architettato alla perfezione.
Ma il grande motore del film è Mal,
moglie di Cobb, perduta ma forse non morta e sempre presente, come
ricordo malevolo, nei sogni di Cobb, a darle volto una bellissima
quanto ambigua
Marion Cotillard, che per coloro che erano ancora
scettici, conferma il suo immenso talento, dando una forma e una
dimensione dolente e eterea al suo personaggio. Di contorno restano
il fedelissimo nolaniano Michael Caine, Cobb Senior, e (si intuisce)
istruttore del figlio nei viaggi onirici, e Dileel Rao, interprete
di grossi film quali Drag me to Hell e
Avatar,
e qui nei panni di Yusuf, medico/pozionista/sciamano.
Inception si regge
sul cast, e non perché la sua architettura sia fallace, ma perché è
mutevole magmatica e mai la stessa, paradossale quanto basta da non
essere surreale. Nessuna realtà onirica alla maniera di Buñuel, qui
è rappresentata una finzione assai più vera e pericolosa della
realtà, un sogno fisico e doloroso, scientificamente coerente con
la visione ‘teslaniana’ alla quale Nolan ci ha abituati.
Una visione poderosa che lascia
semplicemente bloccati lì, sulla poltrona, incapaci a staccare gli
occhi dallo schermo, completamente frastornati da una musica che
alla wagneriana maniera stordisce lo spettatore in una maniera
tanto cerebrale quanto emotiva, merito di uno Zimmer che rimanendo
al servizio della sceneggiatura sfoga la sua vena tedesca senza
cedere al sentimentalismo che talvolta prende il sopravvento come è
successo ne Il Gladiatore. Un viaggio
nell’architettura della mente, una consapevole discesa laddove si
nascondono le paure di un uomo intimamente tormentato da un senso
di colpa che allo spettatore non è dato conoscere fino alla fine.
Un vero e proprio trip che Nolan organizza, nella sua maniera così
personale quanto ormai universalmente condivisa; un percorso
all’interno di un labirinto strutturato alla maniera di scatole
cinesi, nella mente dell’uomo.
Nessuno come Nolan e Cobb si era
mai spinto così oltre, nessuno come Nolan, attraverso Cobb, avrebbe
potuto mai farlo. Concedendo allo spettatore un regalo prezioso in
forma di speranza o di dannazione: un dubbio. Nel dubbio Christopher Nolan risolve il suo film più
personale, quello più complicato da realizzare e da guardare. Il
sogno è reale, è vero, ma solo nel momento in cui scegliamo di
crederci, e questo Cobb (come Nolan) lo sa benissimo, alla fine
sceglierà(nno) e lo spettatore potrà a sua volta scegliere. Non si
può dire di Inception che sia un film ‘solo’
bello, c’è bisogno di più; ci vuole una spiegazione, una
discussione a riguardo, o semplicemente basta vederlo per
immergersi nella testa di Nolan, per rimanere abbagliati,
frastornati, trasformati.
Forse il più interessante week della nuova stagione italiana
volge al termine, con due titoli certamente che molti di voi
aspettavano da lungo tempo: l’attesissimo Inception e il kolossal
di M. Night Shyamalan L’Ultimo Dominatore dell’Aria. Li avete
visti? Diteci cosa ne pensate!
Il regista Jason Reitman si
riunisce a Diablo Cody dirigere Young Adult: alla protagonista
Charlize Theron si uniscono ora Patrick Wilson e Patton Oswalt…
Sono iniziate a Weirton le riprese
di Super 8: ecco alcune nuove immagini dal set del misterioso nuovo
film di J.J. Abrams sviluppato assieme a Steven Spielberg. E al cast si aggiunge AJ
Michalka!
Il 21, 22 e 23 Settembre scorsi,
presso la Libreria del cinema, a Roma, si sono tenuti gli incontri
con i montatori candidati (e uno vincitore) agli ultimi Nastri
d’Argento.
E’ ufficiale: Kate Beckinsale tornerà nei panni di Selene nel
quarto capitolo della saga di Underworld, ideata e avviata da suo
marito Len Wiseman, che di questo capitolo (così come fu del terzo)
sarà producer.
Christopher Nolan e Emma Thomas, in qualità di producer, hanno
iniziato i colloqui per trovare un regista che porti di nuovo
davanti alla macchina da presa Superman.
Tra i papabili il Duncan Jones di Moon, il Jonathan Liebesman di
Non aprite quella porta : L’inizio, il Matt Reeves di Cloverfield
e, tanto per non farsi mancar nulla, due grandi nomi: Tony Scott e
Zack Snyder.
La produzione mirerebbe a rispettare un’uscita per il marzo del
2012, quindi la decisione andrà presa al più presto.
Finalmente direttamente dal set di Captain America: The First
Avenger, diamo una prima occhiata alla star del film,
Chris Evans, nei panni di Steve Rogers!
Novità su Spider-Man 4che Marc Webb
girerà a partire dalla fine dell’anno: Emma Stone e Mia Wasikowska
sarebbero il lizza per i ruoli di Mary Jane Watson e Gwen
Stacy.
Inception: Dom Cobb è fondamentalmente un
ladro, ha la capacità di rubare i segreti più profondi di un essere
umano entrando nel suo subconscio durante la fase di sonno REM.
Proprio per questa sua capacità è diventato famoso nel mondo dello
spionaggio ma proprio per questo è la persona più ricercata…
Sarà la giovane attrice Chloe
Moretz a interpretare Emily The Strange, la
ragazzina emo nata da una linea di abbigliamento e adesivi e,
protagonista di fumetti e merchandising di culto.
Arriva al cinema anche in Italia,
il “caso” Buried – Sepolto, il thriller
che sta facendo discutere la critica di mezzo mondo e con
protagonista l’attore Ryan
Reynolds.
In Buried – Sepolto Paul
(Ryan
Reynolds) si ritrova rinchiuso in una cassa di legno
tre metri sottoterra con in tasca un cellulare, una matita e un
accendino Zippo. Grazie a questi tre elementi, deve capire come è
finito in quella cassa, per quale motivo e come fare a guidare i
soccorritori fino a lui per poterlo liberare. Mentre i 90 minuti di
aria a disposizione scorrono, mantenere la calma è sempre più
difficile…
Questo è Buried –
Sepolto, un film ansiogeno, angosciante, pieno di terrore,
sofferenza e speranza che riesce per ben 94 minuti a tenere alta
l’attenzione dello spettatore nonostante sia interamente girato
dentro una cassa da morto con un solo attore….Beh sicuramente non è
stato semplice per il regista Rodrigo Cortés girare il film in
quelle condizioni, per le luci, per il posizionamento delle
telecamere, ecc… ma di sicuro è stato molto più difficile per
l’attore Ryan Reynolds che ha affermato che non si
lamenterà più di un set dopo aver girato Buried….e c’è da
crederci!!! Diciassette giorni di riprese, 25 scene al giorno
chiuso in una bara sono cose che lasciano il segno!
Partendo dal presupposto che la
grandezza di una storia non dipende dalla vastità di un paesaggio,
dal numero di personaggi o dai production values, Cortés è riuscito
a creare una storia davvero incredibile dove il senso di
claustrofobia, la paura e l’ansia del protagonista vengono sin da
subito mostrate e sentite. I primi cinque minuti di buio completo
dove si sente solamente il respiro affannato di Paul danno inizio
ad un crescendo di sensazioni che fino alla fine portano lo
spettatore ad identificarsi totalmente con il protagonista….proprio
per questo lo sconsiglierei a chi soffre di claustrofobia!!
La fotografia e il montaggio
di Buried – Sepolto sono eccezionali,
per non parlare della sceneggiatura scritta da Chris Sparling che,
nonostante a volte tenda un po’ a dilungarsi in alcune telefonate,
sicuramente farà del film un cult.
Ovviamente principale è l’attore
Ryan Reynolds che, dopo aver recitato accanto alla
bella Sandra Bullock in
Ricatto d’Amore e in
X-Men Le origini: Wolverine, ha raggiunto il suo massimo
livello di espressività e bravura. In ogni singola scena riesce ad
esprimere con impressionante realismo le emozioni che può provare
un uomo sotterrato vivo. I movimenti della torcia, la voce
modellata perfettamente, ogni movimento è stato ben studiato e
Reynolds è riuscito nell’impresa.
Tutte le sue espressioni facciali,
i suoi scatti d’ira e di paura, quell’ansia che nasce e cresce ad
ogni telefonata e dalle varie sorprese disseminate lungo il film,
il suo respiro sempre più pesante segnale della mancanza d’aria
sono tutte ottimamente rappresentate da Reynolds.
Insomma un film che tiene svegli, sicuramente da vedere ma non da
persone troppo sensibili né troppo ansiose. Tutto questo grazie al
regista Cortés che con un budget praticamente pari a zero e con una
sola location è riuscito a costruire un film che molti affermano
sarà un cult, ma sopratutto grazie al fantastico Reynolds che
riesce a coinvolgere lo spettatore per 94 minuti completamente solo
dentro una cassa di legno!
Voce italiana di Gru, super cattivo
protagonista di Cattivissimo Me, Max Giusti ha incontrato la stampa
di settore questa mattina nella bella cornice dell’Hotel Eden. Dopo
essersi sottoposto alle foto di rito con i suoi tirapiedi (nel
film), i gialli minions, l’attore e presentatore televisivo e
radiofonico ha risposto con garbo e simpatia alle domande dei
giornalisti.
Avatar – L’ultimo
dominatore dell’Aria: La leggenda di Aang, questo è il
titolo completo dell’anime dal quale è tratto l’ultimo film di
M. Night Shyamalan. Si tratta di un anime
curiosamente ideato da due occidentali, Brian Konietzko-Michael
Dante DiMartino, che racconta la storia di Aang, giovane
appartenente alla tribù dell’Aria e dominatore del proprio elemento
naturale, che scopre di essere l’Avatar, un prescelto che ha la
capacità di dominare tutti e quattro gli elementi e di portare la
pace nel cuore degli uomini.
Il film di
Shyamalan parte da questo punto: due ragazzi,
Katara (dominatrice dell’Acqua) e il fratello Sokka, abitanti del
paese dell’Acqua del Sud, scoprono in una bolla d’aria nell’acqua
glaciale il fuggiasco Aang. Il giovane tornato al mondo dovrà
decidere se abbracciare o no il suo destino di Avatar, riportando
la pace e contrastando la nazione del fuoco. L’ultimo dominatore
dell’Aria è un’anomalia nella filmografia del regista, prima di
tutto perché l’autore non si è trovato a lavorare su una
sceneggiatura originale, e infatti si nota in questo caso qualche
pecca che altrove nel suo lavoro era assente; in secondo luogo la
tecnica usata, la riconversione in 3D, era estranea ad oggi al suo
lavoro, anche se si tratta appunto di riconversione per cui il
lavoro materiale non è cambiato affatto.
Tuttavia questo è forse il primo
punto debole del film, un 3D superfluo che si evidenzia solo nei
titoli di testa e coda, senza aggiungere nulla durante tutta la
visione del film se non un grosso fastidio agli occhi. Per quanto
anche il tema possa sembrare distante dalla poetica di Shyamalan,
in realtà ci sono molti più punti in comune di quelli che si
possano immaginare, soprattutto con il capolavoro
Unbreakable – Il Prescelto, dove un super eroe
(Bruce
Willis) deve prendere coscienza delle sue doti
straordinarie e decidere se schierarsi o meno per rendere il mondo
un posto migliore; inoltre si ricorda che il misticismo che pervade
il film, e che tanto aveva penalizzato a torto lo Shyamalan di
Lady in the Water, è qui un filo rosso che si
tende tra i vari personaggi e contribuisce a dare coesione alla
trama, costituendo a prescindere un elemento tematico che Shyamalan
predilige.
Il giovane cast del film si
dimostra all’altezza della prova, tanto più difficile quanto
associata in post produzione da una massiccia dose di effetti
digitali che rendono la recitazione forse più complicata, per non
parlare po degli sforzi fisici che i giovani hanno sostenuto, dopo
molte sedute di allenamento precedenti alle riprese. Su tutti ha
convinto Dev Patel, lo The Millionaire di
Danny Boyle, al quale è affidato forse il ruolo
più interessante e che probabilmente rappresenta la nemesi di Aang,
interpretato discretamente da Noah Ringer.
Il limite di questo film, che è il
primo episodio di una trilogia, è quello di dover dare una serie di
informazioni di servizio che risultano nel loro contesto fantastico
credibili e coerenti, ma che appesantiscono un po’ la narrazione.
Come al solito il lavoro di Shyamalan si distingue per due cifre
stilistiche predominanti: la regia inattaccabile, farcita di quegli
espedienti tipici del suo cinema come i piani sequenza, le messe a
fuoco esasperate ad evitare il campo-controcampo, i movimenti
fluidi e immersivi, e la colonna sonora, ancora una volta affidata
a James Newton Howard e ancora una volta un
capolavoro, che accompagna il film con enfasi e discrezione a
seconda dei casi, aiutando sempre lo spettatore a immergersi
nell’atmosfera.
Con un finale epico e poetico
Shyamalan riesce a sbalordire e affascinare i suoi spettatori, gli
effetti speciali della Industrial Light & Magic
(Avatar)
sono spettacolari e sicuramente attrarranno al cinema molti fan del
genere, oltre che gli appassionati della serie animata e i
fedelissimi del regista. L’Ultimo Dominatore dell’Aria è un buon
film, che forse non rientra nel catalogo dei migliori di Shyamalan,
ma che serve a confermare come un grande autore riesca a modellare
sulla sua poetica anche storie che apparentemente ne sono lontane.
Peccato per il 3D, una mossa commerciale che speriamo premierà la
produzione, ma che sicuramente non aggiunge nulla.
Il Vulture Blog del New York Magazine ha pubblicato alcuni
dettagli sul nuovo film dei fratelli Wachowski, Andy e Lana,
intitolato per il momento Cobalt Neural 9 e ambientato in gran
parte in Iraq.
La Haunted Films, proprietà del team di Paranormal Activity
formato da Jason Blum, Steven Schneider e Oren Peli, ha ingaggiato
Rob Zombie per dirigere The Lords of Salem.
Il titolo è ripreso da una canzone del rocker contenuta
nell’album Educated Horses. Nelle intenzioni di Rob c’era anche la
creazione di una band musicale con lo stesso nome e soprattutto un
comic book in collaborazione con Steve Niles.
Alien è il film
cult del 1979 di Ridley Scott, nonché uno dei migliori
film di fantascienza e che ha
lanciato l’attrice Sigourney Weaver.
Ci sono alcuni film che ci restano
dentro fin da piccoli, siamo lì, magari in cucina a vedere cosa c’è
di buono in pentola, e nello zapping generale dei nostri genitori,
si finisce magari a guardare incuriositi scene che rimarranno come
ricordo indelebile fino ai giorni dell’età adulta, difficilmente
infatti si possono dimenticare le svariate scene cult di questa
pellicola, ma andiamo con ordine.
Il
primo Alien è un’opera di straordinaria
capacità di sintesi, andando a ridefinire gli standard fanta-horror
dell’epoca grazie ad una scenografia tecnicamente eccezionale che
si distacca dalle ambientazioni spaziali tipicamente bianche di
film come “2001 Odissea nello spazio“.
Il computer di bordo inoltre, tale
“Mother” non può non ricordare Hal 9000, ed il rapporto con i
membri della nave stranamente non sarà per niente idilliaco.
Il racconto originale proviene da un
soggetto di Dan O’Bannon e Ronald Shusett, ancora oggi però la
paternità della storia è divisa con lo scrittore tedesco A. E. Van
Vogt che scrisse prima della realizzazione della pellicola due
romanzi analoghi: “Discord in Scarlet” del 1939 e “Voyage of the
Space Beagle” del 1950, inoltre non accreditato partecipò ad una
prima stesura anche il talentuoso regista Walter Hill che doveva
inizialmente dirigere Alien.
A parziale discolpa di
Ridley
Scott si può aggiungere che film analoghi erano già
usciti tempo addietro: L’invasione degli Ultracorpi di Don Siegel ad esempio mostrava già alieni
parassiti degli esseri umani. La notevole produzione
fantascientifica degli anni 50 americana inoltre, aveva già
ampiamente trattato storie similari, certo non con tutto il
simbolismo ed il terrore strisciante di cui è pregna l’opera di
Scott. Sotto questo punto di vista l’incipit è esemplare: quattro –
cinque minuti di silenzi interrotti sporadicamente da rumori di
bordo con la camera che va ad esplorare i lunghi e angoscianti
corridoi della labirintica astronave “Nostromo” omaggiando nello
stile “l’odissea spaziale” di kubrikiana memoria.
La sensazione che trasmettono queste
scene è quella di una profonda solitudine ma anche quella di una
imminente minaccia, un ambiente un po’ alieno quindi, con cui Scott
giocherà per tutta la durata del film molte volte prendendo un pò
in giro lo spettatore, come quando lo (scapestrato) gatto Jones se
ne va in giro nascondendosi nei posti più impensati dispensando
attimi di terrore nell’equipaggio già impaurito.
La storia è presto detta: in un
futuro non precisamente delineato, la nave spaziale “Nostromo”
addetta principalmente ad attività commerciali, riceve sui propri
strumenti di bordo un segnale cifrato da un’entità sconosciuta.
“Mother” il computer che gestisce la nave, sveglia dal loro lungo
sonno nelle capsule criogeniche l’equipaggio per permettergli di
scoprire l’origine del messaggio che si ripete ogni dodici secondi
nello stesso modo.
Giunti sul pianeta da dove giunge il
segnale, scoprono un relitto alieno semidistrutto dove al posto di
guida trovano uno strano essere umanoide col torace fracassato da
qualcosa di esploso al suo interno. Nelle vicinanze, i tre
dell’equipaggio che sono andati in esplorazione scoprono quelle che
presumibilmente sono le uova dell’essere deceduto, una di queste si
schiude proprio davanti al responsabile esecutivo Kane
(John Hurt), un parassita a metà strada tra un
ragno e un granchio gli si attacca al viso mandandolo in stato
vegetativo.
Nonostante le rimostranze di Ellen
Ripley (Sigourney Weaver) che ricorda agli altri
quanto sia pericoloso far entrare un organismo sconosciuto senza
una quarantena di almeno ventiquattro ore, i tre riescono a
rientrare sulla navicella con l’aiuto del subdolo medico di bordo
Ash (Ian Holm).
Una volta ripartiti alla volta della
terra, l’essere alieno si stacca dalla testa di Kane che,
apparentemente sano, festeggia pranzando con i compagni. La
felicità però dura poco e nel mezzo del pasto, Kane si sente male e
dal suo addome fuoriesce perforandoglielo un mostriciattolo, il
celeberrimo Alien, una creatura pressoché
invincibile che si riproduce usando il corpo di altri esseri come
un parassita. Comincia così una caccia senza esclusione di colpi.
Della scenografia ho già parlato quindi mi soffermo sugli altri
elementi che rendono questa pellicola immortale. La protagonista
era un esordiente quasi assoluta, la Weaver aveva solo fatto una
comparsata con Woody Allen ed anzi, la prima bozza
della sceneggiatura non prevedeva lei come personaggio principale
bensì il capitano Dallas alias Tom Skerritt.
La scelta coraggiosa si rivela
felice, visto che la Weaver tiene alta la tensione anche quando si
ritroverà sola ed in alcuni momenti come nel finale potremo quasi
apprezzarla come mamma l’ha fatta. E’ interessante poi venire a
conoscenza che tra le parti eliminate dal montaggio finale vi
è una scena d’amore tra la Ripley e Dallas, decisione presa
probabilmente per donare un ulteriore aspetto di mascolinità alla
protagonista.
Altre scene tagliate riguardano
uccisioni considerate troppo violente o disturbanti come quella
della giovane Lambert o quella in cui l’alieno appare a Brett
appeso a della catene come Cristo, fortunatamente queste scene
sono recuperabili nella versione Director’s Cut
pubblicata qualche anno fa.
Per tutto il film viene instaurato
un difficile rapporto tra il mondo femminile e quello maschile;
decisamente a sfavore di quest’ultimo, i maschi uno dopo l’altro si
dimostrano impotenti, l’unico che subdolamente riesce a
imporre una sua decisione si scoprirà essere un androide, lo stesso
computer di bordo che quasi farà secca Ripley è chiamata Mother ed
ha una voce di una donna sui 50-60 anni, come a voler essere
la madre di molti sull’equipaggio.
Lo stesso alieno che negli anni è
diventato un’icona del merchandising nasconde qualche riferimento
sessuale, la doppia bocca nella lingua retrattile dell’alieno o
l’apertura delle uova che ricordano una vagina. Probabilmente una
contrapposizione “femminile” alla ostentata mascolinità della
Ripley/Weaver.
L’alieno che feconda forzatamente
Kane, fuoriesce dalla sua pancia, a voler sottolineare quasi una
maternità al contrario e l’inutilità del sesso maschile, usato come
mezzo e non come strumento attivo. A salvarsi sarà quindi la sola
Ripley, l’unica che ha dimostrato un minimo di saggezza e astuzia,
l’unica che ha tentato di decifrare più volte il messaggio alieno e
che scopre la sua pericolosità, il fatto poi che sia lei a
salvarsi, affrontando faccia a faccia l’alieno invincibile è una
specie di selezione naturale. Solo i più astuti si salveranno, un
messaggio destinato all’umanità per prepararsi ad uno scontro
contro l’ignoto a cui difficilmente si può sfuggire con la sola
paura.
E’ uno
Ridley Scott che inaugura il suo trittico
fantascientifico (con
Blade Runner e Legend) in modo pessimistico, contro
l’avarizia ed il consumismo americano, non è un caso che alcuni
membri dell’equipaggio pensino fin troppo alla ricompensa e si
muovano per scovare l’entità del messaggio alieno solo perché
costretti da una clausola sul contratto. Il resto del cast è di
alto livello, comprendendo attori di rango come Ian
Holm nei panni del medico di bordo Ash e John
Hurt in quelli dello sfortunato Kane.
Detto ciò, il film non è esente
da alcune piccole ingenuità, mi riferisco a tutte le scene mediche
in cui manca un bel po’ di buon senso, come fare l’autopsia al
parassita (che aveva già manifestato la sua pericolosità ed era
assolutamente sconosciuto) a mani nude senza alcuna mascherina
oppure quando Parker e Brett se ne vanno a caccia dell’alieno con
una specie di rete da pesca.
Alla sua uscita
Alien incassò la bellezza di 103 milioni di
dollari e ne costò 11 consacrandolo come pietra miliare della
cinematografia sci-fi, vinse inoltre 5 Oscar tra cui quello per gli
effetti speciali che per l’epoca erano veramente qualcosa di mai
visto.
Notevole anche la colonna sonora
composta da Jerry Goldsmith, di stampo moderno e avveniristico,
un’artista spesso legato al mondo sci-fi come “Il pianeta
delle scimmie” e “Star trek – Il film”
che consente ad Alien di essere un punto di
riferimento anche sotto il profilo musicale.
Il successo del film non si fermerà
nemmeno negli anni successivi visto che verranno realizzati tre
sequel e due prequel, più tutta una serie di opere per lo più di
serie b che hanno pescato a piene mani dal film di Scott.
L’influenza però non si ferma solo al mondo cinematografico; un
intero filone videoludico è nato grazie alle atmosfere di
Alien, serie di videogiochi come Doom e Quake hanno costruito la
loro fortuna su corridoi labirintici claustrofobici, alieni
xenoformi ed ogni sorta di arma per farli fuori.
Alien è infine un
punto di riferimento assoluto sia per il cinema horror che per
quello fantascientifico, capace di unire i due genere raggiungendo
un climax perfetto con una Weaver in stato di grazia,
fortunatamente Scott ci abituerà fin troppo bene, pochi anni dopo
infatti giungerà nelle sale un certo “Blade
Runner“.