Neil Jordan è il
cineasta sicuramente più famoso nella storia irlandese, il più
eclettico e talentuoso. Quest’anno alla kermesse capitolina
dedicata al cinema Irlandese, Irish Film Festa,
tenutasi alla Casa del Cinema e diretta
dall’esperta critica Susanna Pellis, si è parlato
molto di questo grande regista e nello stesso giorno sono state
proiettate due opere, quella che segna il suo esordio nel 1982,
Angel e quella più recente,
Ondine del 2009.
Non tutti sanno che Jordan è un
romanziere prima che regista e bravissimo sceneggiatore. Debuttò
nel cinema nel 1980, lavorando come consulente alla sceneggiatura
di Excalibur di John Boorman e girando un
minidocumentario su quel set: The Making of Excalibur –
Myth into Movie. Quell’esperienza fu per lui una vera e
propria scuola di cinema, dopo di essa, nonostante i suoi grandi
dubbi e le paure di buttarsi sul cinema, decise di debuttare alla
regia con Angel nel 1982. Un thriller che dimostra
già una sorprendente maturità per un film di esordio. La storia
racconta di un carismatico sassofonista (interpretato dal bravo
Stephen Ray) che dopo aver assistito all’uccisione
di una ragazza cade in un vortice di violenza inaudita, di vendetta
crudele verso i responsabili. Si trasforma in una sorta di
giustiziere in un Irlanda del Nord già ampliamente
devastata dal conflitto tra cattolici e protestanti. Un film ricco
di citazioni soprattutto del cinema italiano di Antonioni. Molte
furono le critiche mosse dai cineasti irlandesi che non tolleravano
che uno scrittore, al suo primo esordio nella regia, avesse
ottenuto il sostegno economico del nascente Irish Film
Board, a discapito di cineasti già lanciati.
Nonostante le polemiche
Neil Jordan continuò a scrivere soggetti e a
trasformarli in film: si fece notare con due discreti successi,
In compagnia dei lupi (1984) singolare remake
della favola di Cappuccetto Rosso, trasformata in un film a tratti
erotico, a tratti horror e per la regia di
Monalisa (1986) un film definito “il miglior noir
del decennio” che è valso l’Oscar alla migliore interpretazione
maschile di Bob Hoskins che veste i panni di George, un autista
scriteriato che dopo sei anni di carcere, si ritiene un osso duro,
mentre invece nasconde un’anima fragile e ingenua.
Monalisa si tratta di un film appassionato,
energico e veloce, ma, a detta di molti critici, sopravvalutato.
Neil Jordan riuscì comunque nell’intento di far conoscere il cinema
irlandese al mondo intero. Inoltre dopo Monalisa,
Neil Jordan diventò un regista famoso oltre oceano
e la sua prima parentesi hollywoodiana si inaugurò con il
discutibile remake di Non siamo angeli (1989) per
il quale scelse due grandissimi artisti: Robert De Niro e
Sean Penn. Nel 1991 girò Un amore, forse
due, film molto personale.
Poi, nel 1991 arrivò un premio
molto atteso, l’Oscar per la sceneggiatura di The Crying
game – La moglie del soldato. Il film, distribuito in
Italia con un titolo che tradisce quello originale, che invece si
rifaceva alla canzone di Boy George, ottenne un successo in tutto
il mondo, di pubblico e di critica. Il primo grande successo
irlandese. Il film racconta di Fergus (interpretato
dall’immancabile Stephen Rea), un militante dell’IRA (Irish
Republican Army) il quale, pur sembrando all’apparenza forte e
violento, è in realtà un uomo capace di amare, tanto da
affezionarsi al soldato inglese di colore che deve tenere in
ostaggio e da promettergli, in punto di morte, di prendersi cura
della fidanzata. All’interno del film, due sono i nuclei narrativi
che procedono parallelamente fino a intrecciarsi nel finale: quello
politico e quello erotico. Ma l’intento principale del film di
Jordan è quello di trattare i personaggi e le situazioni da loro
vissute, in maniera ambigua. Fergus e il soldato Jody, nel corso
della storia, offrono di sé immagini differenti dalla loro essenza:
Jody è, un inverosimile soldato inglese sia per il fisico che per
il colore di pelle; Fergus in Ulster è un terrorista costretto a
recitare la parte del duro. Ma l’ambiguità estrema la ritroviamo in
Deal, interpretato dal vero travestito Jaye Davidson, che ebbe una
nomination all’oscar come migliore attore non protagonista. Un
personaggio intensamente erotico e ambiguo, capace di cambiare look
a seconda delle situazioni, passando dalla femminilità più
disinvolta alla mascolinità più compiuta. La moglie del soldato è
dunque un film complesso e sfuggente, labirintico che fa percorrere
allo spettatore un percorso che lo porterà ad accettare la scelta
di Fergus di amare Deal, seppur per metà uomo. Nel 1994 durante la
sua seconda parentesi hollywoodiana, Neil Jordan
diresse Intervista col vampiro che però non
convinse la critica, nonostante il cast d’eccezione tra cui
Tom Cruise e Brad Pitt.
Nel 1996 fu la volta dell’epico
Micheal Collins che vinse il Leone d’oro a
Venezia, definito pietra miliare del cinema irlandese. Un film che
impegnò Neil Jordan per tredici anni tra studi e
sceneggiature riscritte. Racconta sette anni della breve e intensa
esistenza di Michael Collins (1891-1922), discusso
eroe dell’indipendenza irlandese, ucciso in un’imboscata da altri
irlandesi. Michael Collins è un film di guerra, guerra civile, la
più disperata e atroce delle guerre, raccontato evidentemente dalla
parte di Collins e contro De Valera, che si finisce per odiare.
Locations autentiche, una fotografia artistica mirabile che sfrutta
ogni luce naturale e l’intensa interpretazione di un cast quasi
completamente irlandese e con un finale accompagnato
dall’indimenticabile voce di Sinead O’ Connor.
Neil Jordan sembra
non fermarsi mai e nel 1997 vinse l’Orso d’Argento come miglior
regista per l’inedito The Butcher Boy. Film
simbolico e visionario che studia i moti dell’animo umano.
Ambientato in una piccola città irlandese negli anni ‘60, segue
l’infanzia di un ragazzino Francie Brady (Eamonn Owens – Magdalene)
che non riuscirà a evadere dalle brutture della sua famiglia: il
suicidio della madre, la morte del padre alcolizzato, la reclusione
in riformatorio, l’abuso sessuale a opera di un sacerdote.
Cadrà inevitabilmente nella pazzia
e nella violenza. L’intero film procede come una sorta di monologo
interiore, stream of cosciusness dell’adulto Francie, conservando
l’autenticità del romanzo di McCabe, dal quale è tratto. Il merito
più grande di Jordan va però all’aspetto visuale che destabilizza,
contrapponendo ironicamente la tradizionale purezza del paesaggio
irlandese ai crescenti disturbi psichici del ragazzo
(l’inquadratura di un incontaminato lago azzurro fra il verde delle
colline viene all’improvviso sconvolta da un’esplosione nucleare).
“Un realismo magico e malato al tempo stesso che sovverte
l’immaginario irlandese più tradizionale e rappresenta la miglior
risposta del regista a chi lo ha sempre considerato uno scrittore
solo prestato al cinema o un cineasta troppo asservito al mercato”.
Così lo definisce Susanna Pellis nel suo libro Breve storia del
cinema irlandese.
Neil Jordan: il genio
d’Irlanda
Nel 1999 girò In
Dreams, thriller paranormale con Annette
Bening e Robert Downey
Jr. e, lo stesso anno, diresse la coppia Ralph
Fiennes e Julianne Moore
nella trasposizione del romanzo omonimo di Grahame Greene, Fine di
una storia, vincendo un BAFTA per la
migliore sceneggiatura. Con l’arrivo del nuovo millennio,
Neil Jordan decise di sperimentare co-produzioni
internazionali, coinvolgendo Canada, Francia, Irlanda e Gran
Bretagna nella commedia Triplo gioco (2003), che
raccoglie nel suo cast Nick Nolte e il regista
Emir Kusturica.Tornò invece a parlare di ambiguità
sessuale nel 2005 con Breakfast on Pluto, il cui
protagonista è un ragazzo figlio del peccato, nato da una relazione
sessuale tra un prete e sua madre, che decide di diventare
donna. Infine, la più recente opera cinematografica
realizzata dal grande Jordan, è Ondine – Il segreto del
mare. Una favola malinconica e irreale che racconta la
storia di Syracuse (Colin
Farrell), un pescatore irlandese noto a tutti gli
abitanti del villaggio col soprannome di Circus per via del suo
passato da alcolizzato. Circus è divorziato da un’alcolista con la
quale ha concepito sua figlia Annie (Alison
Barry), vincolata alla sedia a rotelle e a una macchina
per la dialisi, a causa dei suoi problemi di salute. Un giorno
Circus mentre pesca, trova impigliata nella sua rete una ragazza
che si fa chiamare Ondine (Alicja Bachleda). La
ragazza, non ricorda nulla di sé ma è spaventata e confusa.
Gradualmente nasce una storia d’amore magica tra i due. In paese la
chiamano la donna venuta dal mare e la figlia Annie è convinta che
sia una Selkie, una creatura marina che abita le leggende
scozzesi,una foca che,uscita dalle onde,perde il suo manto e lo
seppellisce per restare sulla terraferma con l’uomo che ama.
Naturalmente come in ogni favola, si palesa un cattivo che vuol
portare via la bella Ondine e che causerà non poche deviazioni
narrative. Il ritmo è lento e scandisce con calma gli argomenti,
sospesi tra il reale e l’immaginario. Una favola quindi, che
purtroppo alla fine ci riporta a una realtà fin troppo cruda e noir
che scuote lo spettatore. Ottima la fotografia di
Christopher Doyle che ritrae un paesaggio
incontaminato, perfetto palcoscenico di storie fantastiche, di miti
e leggende sotto il cielo d’Irlanda. Splendida anche la colonna
sonora affidata alla straordinaria sonorità dei Sigur
Ros.
In conclusione non posso non
sostenere quanto sia carismatico questo regista visionario,
intelligente e capace di coinvolgere lo spettatore nella profondità
dei suoi sentimenti. Un regista che dovrebbe essere più famoso in
Italia e nel mondo intero perché ha molto da insegnare ai cinefili
che, come me, vorrebbero intraprendere questa strada.