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Nell’immensità…

Nell’immensità…

«…e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere! »

GazosaQuesta citazione da uno dei singoli di punta dei Gazosa ci introduce direttamente al feeling con cui mi preparo ad affrontare una nuova incarnazione della Mostra del Cinema di Venezia, che come sempre me pare ieri che è finita la scorsa edizione, e ogni volta cerco di ricordarmi quando ho messo inavvertitamente piede nel boomdotto che mi ha catapultato un anno più avanti senza nemmeno aver avuto possibilità di fare gli sberleffi a Ben Affleck come Flash in Batman v Superman. Vabbè.

Rimbocchiamoci le maniche, che poi tanto si sa che lavoro e cazzeggio nel nostro campo vanno di pari passo, e anzi il rischio è di confondere le due cose. Ma noi siamo equilibratissimi e sappiamo che vi siamo mancati come la marmellata sui peperoni, quindi vi salutiamo con un abbraccio power metal che ricarichi il potere dello Sticazzi che risiede in tutti noi (per saperne di più), e ci prepariamo a una nuova avventura nella magica atmosfera del Lido settembrino. Che poi, dai, bisogna essere ottimisti. Non è detto che sia sempre la stessa cosa: non è detto che il tempo sia anche quest’anno umido e appiccicoso, che i gestori dei locali siano sempre simpatici come lo scherzo della camicia in fiamme, che gli Spritz siano allungati col succo di locusta. Potrebbe essere tutto peggiorato, e questo mi rincuora.

Emanuele RaucoInsieme a un’altra cosa: quest’anno, l’offerta del Concorso s’è fatta fresca e interessante grazie anche all’intervento di giovani e valenti virgulti nel comitato di selezione, tra cui ci piace citare Emanuele Rauco al quale andranno i nostri complimenti per qualsiasi cosa troveremo di positivo nel Festival, anche completamente svincolata dalla materia cinefila. Troviamo i cessi della Sala Pasinetti miracolosamente puliti? #bravorauco! Non ci sputano sulle sarde in saor? #bravorauco! Rimorchiamo? #bravorauco!. Un hashtag per la vita. Naturalmente, per la quarta legge di Murphy – le altre sono ovviamente «Ordine pubblico totale», «Proteggere gli innocenti», «Far rispettare la legge» –  s’è deciso in redazione che io il Concorso non lo seguo. Meglio. Mi trincero alla Villa degli Autori dove già mi hanno bello schedulato il programma delle Interviste per i Venice Days e tra l’una e l’altra mi ubriaco come una merda, il che mi aiuterà anche a sciogliere il mio inglese, che mi servirà, perché i registi so’ tutti lapponi, norvegesi o filippini e nelle lingue d’origine comunicare è difficile.

A tal proposito, se c’è una pellicola che mi dispiace perdere della selezione ufficiale – si fa per dire, poi tanto lo so che me li guarderò tutti lo stesso, per quell’aberrante senso di collezionismo e completezza che attanaglia l’addetto ai lavori in queste situazioni, e che ha rovinato diverse vite anche di persone brillanti, ridotte a uno stato larvale dall’ineluttabile necessità di assistere anche alle proiezioni delle opere più inutili e ripugnanti pur di dire ‘i film quest’anno li ho visti tutti’ – è la nuova opera di Lav Diaz, che in effetti ci mancava. Non pago di aver arricchito le nostre esistenze con le 8 ore – otto! – di Hele sa HiwagangHapis (titolo internazionale A Lullaby To the Sorrowful Mystery) in quel di Berlino, deciso che aveva ancora qualcosina da dire, il regista, sceneggiatore, produttore , direttore della fotografia, montatore, attore, stunt-man, elettricista, addetto al catering e usciere  d’albergo filippino torna con un cortometraggio (appena tre ore) dall’evocativo titolo Ang walang-katapusang kalawakan ng titiibinibigay ko (per il mercato internazionale: The Infinite Immensity of the Big  Fuck I give). Ok, il titolo me lo sono inventato (suona più o meno come L’infinita immensità del Gran Cazzo che Me Ne Frega), ma non venitemi a dire che ve ne eravate accorti. I titoli dei film di Lav Diaz non li avete mai letti nemmeno voi, siate onesti, almeno con voi stessi.

(Ang)

 Venezia 73 Servillo

Ragazzi, non vi nascondo che non vedo l’ora di seguire il concorso. L’unico problema è che l’ultima volta che ho provato a vedere un film di Lav Diaz sono entrata in sala la sera d’apertura del festival e sono uscita prima della premiazione. Ti siedi e ti attaccano flebo e catetere. Poi ogni tanto passa un’infermiera filippina a vedere se sei ancora lucido o inizi a recitare il monologo di Servillo nella ‘La grande bellezza’ (“A questa domanda, da ragazzi, i miei amici davano sempre la stessa risposta: “La fessa”. Io, invece, rispondevo: “L’odore delle case dei vecchi”. La domanda era: “Che cosa ti piace di più veramente nella vita?”). 

Detto questo, se stai a fa Servillo, ti puniscono lasciandoti lì a vedere almeno 192 ore di film, conscio del tuo grandissimo errore, tipo punizione. Poi ti fanno uscire.

Se invece lo guardi e l’ultimo giorno dici ‘noooo ne vorrei ancoraaaaaaa, vi prego, alte 340 ore di film così’ viene proprio Lav Diaz e ti schiaffeggia, urlando:

“Bobo, pelikula na ito ay isang pagsusugal bahagya man ang aking mga kaibigan Pilipino sa bar. Nawala ko at ito ay ang iyong kasalanan, titi baliw. Pumunta sa paghahanap para sa puki bilang lahat ng tao ay!”

Che in filippino significa:

“Coglione! Sto film era na scommessa al baretto co gli altri amici filippini, avevo detto che non sarebbe sopravvissuto nessuno. M’hai fatto perdere, disturbato maniaco che noi sei altro. Vai a figa come tutti!”

Dicono che questo dura meno, ma io non me fido. Me vedo gli altri film in programma e se va male me la prendo con Rauco, che gli vogliamo tanto bene ma se guardo anche un solo film utile come i video di Gianluca Vacchi allora siuo che ti hackero il canale YouTube.

Tornando a bomba a Sorrentino, io quest’anno non vedo l’ora di vedere la serie, non vedo l’ora di vedere Malick, Kim Ki-Duk, Ciafrance, Ozon, Andrei Konchalovsky  ma mammamia che bel programma.

Leonardo dicaprio lady gagaCerto dentro ce sta pure Muccino, ma forse era un pacchetto all-inclusive, gli altri registi hanno detto ‘veniamo solo se c’è quer matto di Gabriele che se pija a parolacce cor fratello, sai come se tajamo che al lido non succede mai niente, mai ‘na gonna che si alza, mai un DiCaprio che perculi Lady Gaga, cose così.

Ma poi lo sapete? C’è anche Emir Kusturica! Che tanto come al solito tutti lo scambiano per Goran Bregovic e daje a ride quando arrivano in sala col birrino pronti a pogare e invece niente, mai una gioia. Però se fate i bravi Kusturica nei titoli di coda vi canta

‘La musica balcanica ci ha rotto i coglioni
è bella e tutto quanto ma alla lunga rompe i coglioni
Certo ne avrei senz’altro tutta un’altra opinione
se fossi un balcanico, se fossi un balcone
ma siccome non sono croato né un balcone balcano
io non capisco perché tutti quanto continuano insistentemente a suonare questa musica di merda’

(Il complesso del primo maggio, Elio e le storie tese)

Si scherza ragazzi, questo racconto cazzone è frutto della fantasia di una che ha fatto poche ferie e questo weekend dovrà fare Tetris con la roba da ficcare in una valigia troppo grande, al solito, per un viaggio che alla fine ci piace e ci sembra – nonostante tutto – sempre troppo breve. Ma per tenervi compagnia, insieme a Ang, questo e altro. So che ci tenete.

Ci vediamo a Venezia!

(Vi)Lav DIaz

Nell – Rinnegata: teaser trailer della nuova serie Disney+

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Nell – Rinnegata: teaser trailer della nuova serie Disney+

Disney+ ha diffuso il teaser trailer della serie originale Nell – Rinnegata. Composta da otto episodi, la serie è scritta e creata dalla sceneggiatrice vincitrice del premio BAFTA Sally Wainwright (Happy Valley) e diretta dal regista Ben Taylor (Sex Education). Tutti gli episodi saranno disponibili dal 29 marzo in esclusiva su Disney+.

In Nell – Rinnegata Nell Jackson, una giovane donna scaltra e coraggiosa, si ritrova incastrata per un omicidio e diventa inaspettatamente la più famosa fuorilegge dell’Inghilterra del XVIII secolo. Ma quando appare uno spirito magico chiamato Billy Blind, Nell capisce che il suo destino è più grande di quanto avesse mai immaginato.

Iscriviti a Disney+ per guardare Nell – Rinnegata e le più belle storie Disney, Pixar, Marvel, Star Wars, National Geographic e molto altro. Dove vuoi, quando vuoi.

Nell – Rinnegata è interpretato da Louisa Harland (Derry Girls) nel ruolo principale di “Nell Jackson” con Frank Dillane nei panni di “Charles Devereux”, Alice Kremelberg in quelli di “Sofia Wilmot”, Ényì Okoronkwo nel ruolo di “Rasselas”, Jake Dunn in quello di “Thomas Blancheford”, Bo Bragason nei panni di “Roxy Trotter”, Florence Keen nel ruolo di “George Trotter”; Nick Mohammed è “Billy Blind”, Joely Richardson interpreta “Lady Eularia Moggerhangar” e Adrian Lester “Robert Hennessey, Conte di Poynton”. Inoltre, Pip Torrens interpreta “Lord Blancheford” e Craig Parkinson è “Sam Trotter”.

Nell – Rinnegata è prodotta da Lookout Point. I produttori esecutivi sono Sally Wainwright, Ben Taylor, Faith Penhale, Will Johnston e Louise Mutter per Lookout Point e Johanna Devereaux per Disney+. Anche Amanda Brotchie (Gentleman Jack – Nessuna mi ha mai detto di no) e MJ Delaney (Ted Lasso) dirigono gli episodi. Jon Jennings è produttore della serie e Stella Merz è produttrice.

Nell – Rinnegata: prime foto della nuova serie Disney+ in arrivo nel 2024

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Disney+ ha diffuso le immagini dell’attesissima serie originale britannica Nell – Rinnegata che debutterà sulla piattaforma streaming nella primavera del 2024 in tutto il mondo. Nell – Rinnegata è un’avventura realizzata da Lookout Point ed è scritta e creata dalla sceneggiatrice vincitrice del premio BAFTA Sally Wainwright (Happy Valley, Gentleman Jack) e diretta da Ben Taylor (Sex Education, Catastrophe).

Louisa Harland (Derry Girls) interpreta il ruolo della protagonista Nell, una giovane donna intelligente e coraggiosa che si ritrova incastrata per un omicidio e diventa inaspettatamente la più famosa brigantessa dell’Inghilterra del XVIII secolo. Ma quando appare uno spirito magico chiamato Billy Blind, interpretato da Nick Mohammed (Ted Lasso), Nell capisce che il suo destino è più grande di quanto avesse mai immaginato.

Frank Dillane (Il serpente dell’Essex, Fear the Walking Dead) interpreta il volubile amico e talvolta avversario di Nell, Charles Devereux, un’affascinante canaglia con un pericoloso alter ego malvagio. Joely Richardson (Nip/Tuck) veste i panni dell’eccentrica magnate dei giornali Lady Eularia Moggerhanger, mentre Pip Torrens (The Crown, Poldark) è Lord Blancheford, il padre di Sofia e di suo fratello Thomas, prepotente e incapace, interpretato da Jake Dunn (Half Bad). Ényì Okoronkwo (The Lazarus Project) interpreta invece Rasselas, un vivace stalliere che si unisce a Nell e alle sue sorelle in fuga nel suo tentativo di libertà, mentre Bo Bragason e Florence Keen sono le due sorelle minori di Nell, Roxy e George; infine Craig Parkinson (Line of Duty, Black Mirror: Bandersnatch) è Sam, il padre di Nell dall’animo gentile.

Nell – Rinnegata è una serie d’azione e avventura fantasy in otto episodi della durata di 45 minuti ciascuno ed è prodotta da Lookout Point come serie originale Disney+ britannica. Alla regia sono impegnate anche Amanda Brotchie (Gentleman Jack) e MJ Delaney (Ted Lasso). Jon Jennings è il Series Producer e Stella Merz è la produttrice. I produttori esecutivi sono Sally Wainwright, Ben Taylor, Faith Penhale, Will Johnston e Louise Mutter per Lookout Point e Johanna Devereaux per Disney+.

Nell – Rinnegata: annunciata la data di uscita su Disney+

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Nell – Rinnegata: annunciata la data di uscita su Disney+

In occasione del Television Critics Association Winter Press Tour di Los Angeles, Disney+ ha annunciato che la serie originale Nell – Rinnegata debutterà con tutti gli episodi il 29 marzo in esclusiva su Disney+. La serie originale, composta da otto episodi, è scritta e creata dalla sceneggiatrice vincitrice del premio BAFTA Sally Wainwright (Happy Valley) e diretta dal regista Ben Taylor (Sex Education).

Nell Jackson, una giovane donna scaltra e coraggiosa, si ritrova incastrata per un omicidio e diventa inaspettatamente la più famosa fuorilegge dell’Inghilterra del XVIII secolo. Ma quando appare uno spirito magico chiamato Billy Blind, Nell capisce che il suo destino è più grande di quanto avesse mai immaginato.

Iscriviti a Disney+ per guardare le più belle storie Disney, Pixar, Marvel, Star Wars, National Geographic e molto altro. Dove vuoi, quando vuoi.

Nell – Rinnegata è interpretato da Louisa Harland (Derry Girls) nel ruolo principale di “Nell Jackson” con Frank Dillane nei panni di “Charles Devereux”, Alice Kremelberg in quelli di “Sofia Wilmot”, Ényì Okoronkwo nel ruolo di “Rasselas”, Jake Dunn in quello di “Thomas Blancheford”, Bo Bragason nei panni di “Roxy Trotter”, Florence Keen nel ruolo di “George Trotter”; Nick Mohammed è “Billy Blind”, Joely Richardson interpreta “Lady Eularia Moggerhangar” e Adrian Lester “Robert Hennessey, Conte di Poynton”. Inoltre, Pip Torrens interpreta “Lord Blancheford” e Craig Parkinson è “Sam Trotter”.

Nell – Rinnegata è prodotta da Lookout Point. I produttori esecutivi sono Sally Wainwright, Ben Taylor, Faith Penhale, Will Johnston e Louise Mutter per Lookout Point e Johanna Devereaux per Disney+. Anche Amanda Brotchie (Gentleman Jack – Nessuna mi ha mai detto di no) e MJ Delaney (Ted Lasso) dirigono gli episodi. Jon Jennings è produttore della serie e Stella Merz è produttrice.

Nell – Rinnegata, recensione della serie con Louisa Harland

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Nell – Rinnegata, recensione della serie con Louisa Harland

Irriverente, energica, divertente e ricca di azione, su Disney+ arriva Nell – Rinnegata, serie fantasy in otto episodi disponibile sulla piattaforma dal 29 marzo, diretta da Ben Taylor (Sex Education) ma creata da Sally Wainwright, la quale, dopo Happy Valley e Gentleman Jack, riesce a portare alla luce, grazie a un accordo con la Casa di Topolino, un prodotto originale che rappresenta una vera e propria boccata d’aria fresca in un palinsesto saturo e ripetitivo.

La trama di Nell – Rinnegata

Al centro della storia c’è Nell, interpretata magistralmente da Louisa Harland, una giovane donna con un segreto soprannaturale e uno spirito ribelle che sfida le convenzioni del suo tempo. Abbigliata come un uomo, Nell ritorna al suo villaggio natio, dopo essersi allontanata di sua spontanea volontà per inseguire un suo desiderio di scoperta e di avventura. Tornata a casa, però, dovrà fare i conti con una perdita improvvisa che la porterà a scontrarsi con il crudele Thomas Blancheford e con la legge ingiusta di quell’epoca. In suo aiuto però arriva Billy Blind, una specie di folletto che è sempre al suo fianco e le conferisce forza e agilità ogni volta che è in pericolo.

Tra passato e presente

Come spesso accade in prodotti contemporanei ambientati nel passato, anche Nell – Rinnegata arricchisce i suoi protagonisti di sensibilità moderne, pur tenendo presente alcune delle regole che governavano la vita nel ‘700. Il classismo e l’ingiustizia sociale si associano allo spirito intraprendente e anti-convezionale della protagonista, alle situazioni più rocambolesche raccontate con lo stile della commedia d’azione e a una voglia di divertimento e libertà che sprigiona da ogni inquadratura.

Lo stile di Nell – Rinnegata è infatti lontano sia dalle ricostruzioni storiche filologiche che dalla sciatteria di produzioni a basso budget. È un mix perfetto di credibilità e leggerezza, con un gusto spiccato per le sequenze d’azione e per il racconto di una storia principalmente di evasione. Ogni episodio di Nell – Rinnegata è un pezzetto di un viaggio bizzarro ma sempre divertente attraverso un’Inghilterra del XVIII secolo reinventata.

Louisa Harland è Nell

Il cuore della serie è senza dubbio Louisa Harland nel ruolo della protagonista, Nell. Già vista e amata nel ruolo di Orla in Derry Girls, l’attrice splende per la sua camaleontica interpretazione: sarcastica, caustica, ma anche molto materna e apprensiva, sente il desiderio di avventura e la responsabilità verso i più deboli. La sua Nell non è semplicemente un’eroina action/fantasy da ridere, ma una donna con desideri, sogni e volontà per ottenere giustizia e guadagnarsi la libertà. Con lei, nel nutrito e ottimo cast, anche l’amato Nick Mohammed, già Nate the Great di Ted Lasso.

Nell – Rinnegata coniuga altissimi valori produttivi con la necessità di realizzare una serie d’avventura fantasy indirizzata a un pubblico giovane e affamato di storie originali, che nella sua energica protagonista trova il suo punto di massima forza.

Nel paese delle creature selvagge: recensione del film

Nel paese delle creature selvagge: recensione del film

Nel paese delle creature selvagge è il film del 2009 di Spike Jonze con protagonisti Max Records, Catherine Keener, Mark Ruffalo, Lauren Ambrose, Chris Cooper.

Nel paese delle creature selvagge, la trama: Max è un bambino come molti irrequieto, ha una sorella più grande che, come capita spesso, non gli dà molta attenzione e una madre sola che come tante cerca di rifarsi una vita con altri uomini. Un giorno, a seguito di una serie di delusioni prima dalla sorella e poi dalla madre, esplode dalla rabbia e viene per questo redarguito.

Insofferente scappa di casa finendo, dopo un tragitto in barca a vela, in una terra desolata e arida dove trova dei giganteschi mostri dal cuore anche troppo umano che credono a tutto quello che dice e lo incoronano loro re, almeno fino a quando le sue promesse di spazzare via la tristezza dalla loro vita non si rivelano mendaci.

Nel paese delle creature selvagge, l’analisi

Diretto e sceneggiato da Spike Jonze nel 2009, Nel paese delle creature selvagge è un adattamento cinematografico del libro illustrato per l’infanzia di Maurice Sendak Nel paese dei mostri selvaggi.

Alla sua terza prova di regia Jonze – conosciuto al grande pubblico per il cervellotico e visionario Essere John Malkovich – si misura con il genere fiabesco partorendo un film da un’apertura un po’ in sordina, ma suggellata dalla carezzevole ed evanescente musica della sudcoreana Karen O, bandleader del celebre gruppo alternative e indie rock statunitense Yeah Yeah Yeahs.

Un tiepido sole albeggia su un gelido paesaggio innevato. Un bimbo dallo sguardo incupito gioca da solo, costruisce nel giardino di casa un sorprendente igloo cercando continuamente di richiamare l’attenzione di una sorella assente, che lo ignora e lo trascura, anche quando sarà schernito dai suoi amici.

Lui è Max (Max Records), un bimbo turbolento e inquieto, avido di attenzioni e coccole che, di fronte all’indifferenza della sorella e alla premura che la madre ha per il fidanzato (Mark Ruffalo), esplode di rabbia, scappa di casa e, con indosso l’inseparabile tuta da lupo, con tanto di orecchie e coda – feticcio da cui non si separa mai – prende il largo con una barchetta e si dirige verso l’arcano bosco.

Basta un intro di pochi minuti con dialoghi minimali a suggerire l’idea che pervade il film, a preannunciare il corso degli eventi di cui sarà protagonista il piccolo Max, ansioso di evadere e dare libero sfogo alla sua fervida immaginazione. La creazione di mondi paralleli è l’unico rimedio al malessere della vita reale.

L’ingresso nel fantastico regno delle creature selvagge, abitato da affettuosi watussi che ululano, è l’occasione che stava aspettando per riscattarsi, per guadagnarsi le attenzioni e la dedizione che gli sono sempre mancate, e quel pò di autorevolezza che serve a colmare il vuoto di autostima e l’insicurezza emotiva che un bimbo cresciuto senza padre si porta dietro.

Nel paese delle creature selvagge

Max costruisce un mondo ideale, a sua immagine e somiglianza, in cui ritrova il sorriso grazie alla comprensione e all’affetto di amorevoli creature selvagge, che lo gratificano riponendo in lui la loro fiducia e proclamandolo indiscusso sovrano della foresta.

Il messaggio è chiaro sin dall’inizio, come è giusto che sia in un racconto fantastico che, nel ricalcare la semplice struttura narrativa delle fiabe, ne prende in prestito l’innocenza e la formula moralistica.

La fiaba cinematografica di Spike Jonze vanta quindi una struttura circolare che, in stile Mago di Oz, aderisce al modello del viaggio dell’eroe vogleriano. Ci troviamo quindi di fronte ad un eroe/protagonista imperfetto che ritrova la pienezza interiore lasciando provvisoriamente il mondo ordinario/vita reale per abbandonarsi alla beatitudine di un mondo straordinario, non scevro di insidie, dal quale ritornerà illuminato e pronto ad affrontare il quotidiano con una maggiore consapevolezza.

Quel senso di abbandono e di inadeguatezza che facevano di Max un bimbo incollerito e dispettoso, si dileguano nel corso del suo prezioso e avventuroso viaggio, per lasciare spazio ad un bambino raggiante, più maturo e che non teme più che il sole possa morire da un giorno all’altro.

Nel paese delle creature selvagge

Una spedizione nella wilderness, in cui Max si rende conto di come sia difficile essere equi e giusti e di come i rapporti affettivi siano tutt’altro che perfetti e facili da gestire; impara a comprendere sua madre, il suo universo familiare e capisce come siano proprio le sbavature a rendere le cose più vere e profonde e di come sia necessario rispettare e considerare anche le necessità degli altri e non focalizzarsi solo sulle proprie.

Spike Jonze mette in piedi un racconto fiabesco, un’ibridazione certosina di riprese in live action, pupazzi e computer grafica (frutto di un lungo processo di lavorazione), in cui riconferma lo stile visionario e surrealista già sperimentato nei due lavori precedenti.

Quello di Max è un eclettico viaggio nei sotterranei ed esoterici anfratti della mente umana, votato alla creazione di universo immaginifico idilliaco, dove il bambino si guadagna la stima di irsute e amabili creature, metafora delle sue ansie, paure e desideri.

Nel nostro cielo un rombo di tuono arriva in prima tv su SKY e NOW

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Arriva in prima tv su Sky Nel nostro cielo un rombo di tuono, docufilm diretto da Riccardo Milani, che ripercorre le scelte esemplari e la parabola della straordinaria carriera sportiva di Gigi Riva, uno dei più amati campioni del calcio italiano, in onda martedì 27 giugno alle 21.15 su Sky Cinema Due, in contemporanea anche Sky Sport Summer (attivo dall’11 giugno sul 201, al posto di Sky Sport Uno) e Sky Documentaries, in streaming su NOW e disponibile on demand.

Il film è un racconto intimo, dello sportivo e dell’uomo, che inizia dall’infanzia passando dai primi calci al pallone per proseguire in quella che diventerà la sua regione d’elezione dalla quale non allontanarsi più: la Sardegna. Tra i volti intervistati, oltre a Luigi Riva, anche Gianfranco Zola, Nicolò Barella, Gianluigi Buffon, Roberto Baggio, Massimo Moratti, Cristiano De Andrè. Il film è Una produzione WILDSIDE, società del gruppo FREMANTLE con VISION DISTRIBUTION.

La trama di Nel nostro cielo un rombo di tuono,

Quella di “Nel nostro cielo un rombo di tuono” non è una storia qualsiasi: è la storia di Gigi Riva, un campione e un uomo vero. La vita di Riva è stata caratterizzata dal rigore morale ed etico di un uomo che ha affermato con forza che non tutto si può comprare. Un uomo con un legame indissolubile con una terra e il suo popolo, la Sardegna. Il film racconta la coerenza e il coraggio con i quali Riva ha sempre vissuto, credendo in valori autentici. E raccontare Riva vuol dire anche raccontare un pezzo importante della storia del nostro Paese. In questo progetto non ci sono attori che lo rappresentano, non ci sono voci narranti che raccontano la sua storia. Ci sono lui, le sue storie, le sue verità, i suoi ex compagni di squadra del Cagliari dello scudetto – l’anno in cui il Cagliari è stato più forte di ogni altra squadra – la gente di Sardegna che ha ripagato per sempre il suo affetto e la sua coerenza.

NEL NOSTRO CIELO UN ROMBO DI TUONO– martedì 27 giugno alle 21.15 su Sky Cinema Due, in contemporanea anche Sky Sport Summer (attivo dall’11 giugno sul 201, al posto di Sky Sport Uno) e Sky Documentaries, in streaming su NOW e disponibile on demand.

Nel mio nome, la recensione del film italiano prodotto da Elliot Page

È stato sicuramente tra i film più attesi – di certo annunciati – all’ultimo Festival di Berlino, dove Nel mio nome di Nicolò Bassetti è arrivato forte della produzione esecutiva di Elliot Page, probabilmente il più famoso transgender del circuito cinematografico internazionale dopo l’annuncio del 1º dicembre 2020 della decisione di abbandonare il nome fino a quel punto utilizzato di Ellen. Oggi, placato quel clamore e superata la Berlinale, il documentario del regista italiano (in precedenza ideatore del progetto dal quale Gianfranco Rosi ha realizzato Sacro GRA) arriva nelle nostre sale, grazie a I Wonder Pictures che nei giorni del 13, 14 e 15 giugno lo presenta al cinema come evento speciale.

Nel mio nome: Nico, Leo, Andrea e Raffi

E di speciale ha molto, questa storia di formazione di quattro giovani amici che condividono – con il pubblico e tra loro – momenti importanti delle loro vite e delle loro transizioni di genere da un’identità femminile a un’identità maschile. A partire dall’origine, visto che tutto nasce da un’idea avuta dal regista insieme al figlio Matteo, “transgender F to M di ventisei anni” e da uno sguardo ibridato da quello del genitore che ha fatto definire il film come “unico” allo stesso Page.

Ma il merito è da dividere con i protagonisti delle storie raccontate: Nico, di 33 anni, Leo di 30, Andrea di 25 e Raffi di 23. Ragazzi diversi, di diversa provenienza, con sogni diversi e in diversi momenti delle loro vite e delle loro transizioni. Delle quali raccontano gli aspetti più diversi, da quelli tecnici, medici a quelli più privati e personali. Perché sono i ricordi e le esperienze a fare una persona, e il loro coming out lo hanno già fatto da tempo.

Dal podcast allo schermo

Quattro racconti più che quattro interviste, assemblate in forma filmica, ma raccolte ‘in confidenza’ per il podcast di Leo, che vuole “riempire il mondo di narrazioni nostre” per colmare un vuoto. Questo il presupposto del film, che lo giustifica e motiva. E che mette in secondo piano certe debolezze proprio figlie del taglio scelto nel presentare i risultati dei tre anni passati a testimoniare la loro vita quotidiana.

Normale ed eccezionale insieme, visto che dei quattro ragazzi si finisce con il dare una immagine quasi ‘fuori dal comune’, tanto sono intensi e dotati. Merito loro, certo, ma anche della volontà di rendere le loro storie ancor più singolari di quanto siano naturalmente. Nel senso di uniche, come lo sono tutte, e importanti, in fondo nella loro universalità.

Crescita, scoperta, conflitto, definizione di sé sono passaggi imprescindibili di ogni essere umano, anche se non tutti possono godere delle stesse condizioni nell’affrontarle. Ed è importante seguire Nicolò Sproccati, Leonardo Arpino, Andrea Ragno e Raffaele Baldo nel loro affrontare un mondo binario, dai primi passi del viaggio a oggi.

Unici, ma come tutti

Bassetti fa un gran lavoro nell’intrecciare le quattro storie, cercando di restare testimone discreto degli entusiasmi e le delusioni, la rabbia e la volontà di rifiutare e – insieme – inseguire certi modelli. La tentazione del conformismo è anch’essa naturale, e non solo a una certa, e per quanto possa trasmettere una impressione sbagliata, qui in fondo qui non fa che sottolineare il bisogno di imparare ad affrancarsi da una dialettica tra i generi che preveda una scelta di campo, o anche solo di un punto di vista. O almeno provarci.

Questo ribadiscono con decisione il documentario e i suoi protagonisti, soggetti e oggetti di una osservazione che – inevitabilmente – riduce la spontaneità e, nella sua forma ultima, ci restituisce una recitazione più o meno inconscia, ostenta tanto il pudore quanto la voglia di esemplarità di un prodotto che ha una intenzione, un obiettivo preciso, e un pubblico, che non è quello del podcast.

E che spesso, Nel mio nome sbaglia in buona fede, nell’approcciarsi a una realtà che anche i diretti interessati a lungo faticano a inquadrare. Anche per responsabilità esterne, indubbiamente, visto che – come viene ripetuto – nel nostro ordinamento giuridico “non c’è spazio per un terzo genere”. E se forse certi attacchi al sistema e a un colpevole “limbo normativo” finiscono per oltrepassare i confini del legittimo e sensato nel loro giustissimo “coltivare disobbedienza a tutte le regole di genere”, alla fine a colpire e far riflettere è il confronto con Irene/Nicolò e sua moglie. Sopraffatta da emozioni di diverso segno nel raccontare il suo esser parte di una coppia, prima, protagonista di una battaglia civile a lungo combattuta e conclusasi felicemente con un matrimonio, poi e solo poi, dopo la lunga transizione, più facilmente accettata come ‘tradizionale’.

Nel finale di 1923 c’è un’altra tragedia di Alex Dutton di cui nessuno si rende conto

Oltre alla sua morte, c’è un’altra tragedia per Alex Dutton (Julia Schlaepfer) nel finale della seconda stagione di 1923. Lo sceneggiatore di Yellowstone Taylor Sheridan descrive in dettaglio la vita dei Duttons durante il proibizionismo nel prequel della sua serie originale, spiegando che proteggere il ranch Yellowstone è sempre stata una sfida per la famiglia di John Dutton (Kevin Costner). Spencer Dutton (Brandon Sklenar) finalmente torna a casa nel finale per porre fine alla lunga guerra che Banner Creighton (Jerome Flynn) ha iniziato contro la famiglia di Jacob Dutton (Harrison Ford) nella prima stagione di 1923.

Mentre Spencer aiutava suo zio alla stazione ferroviaria di Bozeman e sua zia Cara Dutton (Helen Mirren) al ranch, in un momento esplosivo e memorabile, la fine della seconda stagione di 1923 è anche piena di tragedie per Spencer e sua moglie Alexandra. Nonostante Spencer sia riuscito a saltare dal treno e a salvare sua moglie mentre passava, vedendo Alex chiedere aiuto, Alex è morta in ospedale dopo aver dato alla luce il suo bambino, che ha chiamato John. Si spera che Alex sia riuscita a trasmettere al figlio il suo coraggio, ma non è chiaro se John verrà mai a conoscenza dell’incredibile storia di sua madre.

Alex Dutton non riesce a tramandare la sua incredibile storia nella seconda stagione di 1923

Brandon Sklenar and Julia Schlaepfer in 1923 (2022)
Foto di Lo Smith/Paramount+ – © Paramount+ 2025

Alex ha una storia incredibile da raccontare, ma non la racconta mai

Mentre incontra persone disposte a intervenire per salvarla nel finale della seconda stagione di 1923, un commento ricorrente nell’ultimo capitolo della serie è che Alex Dutton deve avere una storia incredibile da raccontare. Quando Alex racconta la sua storia a Paul (Augustus Prew) e Hillary (Janet Montgomery) nella loro accogliente casa di Winnetka, Paul scherza dicendo che la storia è così fantastica che vorrebbe raccontarla a Edgar Rice Burroughs, un autore di spicco dell’epoca, autore di Tarzan. Tuttavia, Paul non ne avrà mai l’occasione, poiché lui e Hillary muoiono durante il viaggio verso Emigrant, nel Montana.

Con la morte di Paul, Hillary e Alex, muore anche la storia di Alexandra. Nonostante le persone che la circondano le dicano che ha una storia da raccontare, Alex non racconta mai la sua storia nel finale di 1923 prima della sua prematura scomparsa. Questo peggiora il destino di Alex nella seconda stagione di 1923. La morte di Alex ha già iniziato a cancellarla dall’albero genealogico dei Dutton. Il fatto che i suoi parenti rimasti non siano a conoscenza della sua incredibile storia rende ancora più piccolo il segno lasciato da Alex. Mentre suo figlio vivrà senza di lei, Jacob, Cara e persino Spencer non comprendono appieno tutto ciò che Alex ha sofferto per arrivare nel Montana, quindi non possono tramandarlo.

Nonostante le cose orribili accadute ad Alex Dutton nel 1923, il viaggio di Alex è stato epico. È fuggita dalla sua vita infelice, racimolando abbastanza soldi con la sua amica per attraversare l’Oceano Atlantico, scambiando letteralmente la sua vita lussuosa con un umile viaggio nel Montana. Poi, Alex Dutton si impegna a vivere come americana, cambiando il suo cognome in Dutton mentre passa attraverso l’immigrazione a Ellis Island, assicurandosi con onore l’ingresso nel paese di suo marito. In seguito, Alex viene picchiata, derubata e aggredita durante il suo viaggio in treno, ma mantiene la sua grazia e tenacia per tutto il tempo, dimostrando la sua grinta.

C’è qualcuno che potrebbe conoscere la storia di Alex Dutton nel 1923?

Brian Geraghty in 1923
Brian Geraghty in 1923 – Foto di Trae Patton/Paramount+

La storia di Alex sembra essere morta con Alex, Paul e Hillary

Sebbene nella seconda stagione di 1923 ci sia la speranza che qualcuno abbia accesso alla storia completa di Alex, le possibilità sono remote. È possibile che Alex abbia raccontato la sua storia a Jacob in una conversazione fuori campo mentre erano in ambulanza diretti all’ospedale di Bozeman. Tuttavia, quando Alex chiede quanto tempo ci vuole per arrivare all’ospedale, Jacob risponde che sono solo cinque o sei miglia, un tempo troppo breve perché Alex possa raccontare anche solo una parte della sua storia. Questo solo se Jacob le avesse chiesto di raccontargliela, nonostante fossero preoccupati per le sue condizioni di salute.

Alex avrebbe anche potuto raccontare la sua storia a Spencer mentre giacevano nel letto d’ospedale. Tuttavia, Alexandra del Sussex riesce a malapena a parlare quando arriva suo marito. Sembra che, una volta che Spencer si sdraia, la coppia si addormenti insieme e, quando Spencer si sveglia, Alex se n’è andata. Tuttavia, forse è possibile che Spencer riesca a ricostruire la storia di Alex, magari dalle lettere che lei ha scritto a lui o alla sua amica Jennifer (Jo Ellen Pellman) durante il viaggio, o forse dai racconti di testimoni oculari, come quello della donna del posto alla stazione di servizio o della polizia che ha parlato con gli amici di Alex a Chicago.

A meno che Alex non abbia scritto un diario durante il viaggio, la sua storia non sarà mai raccontata con le sue parole.

Detto questo, a meno che Alex non abbia scritto un diario durante il viaggio (che Spencer dovrebbe cercare lungo la ferrovia), la storia di Alex non sarà mai raccontata con le sue parole. La rivelazione è un’aggiunta davvero straziante alla tragedia di Alex nella seconda stagione di 1923, aggravando l’incapacità della madre di crescere sua figlia o di incontrare la famiglia che ha impiegato così tanto tempo a conoscere attraverso le lettere di Cara Dutton. La morte di Alex è senza dubbio una delle più tristi della serie Yellowstone, resa ancora più triste dal fatto che i suoi cari non sapranno mai fino a che punto si è spinta la loro matriarca dal cuore di leone.

Nel bunker di Churchill per l’uscita home video de L’Ora più Buia

Avere la possibilità di poter visitare il bunker costruito sotto il Government Office Building e camminare dentro i luoghi dove è stata scritta la storia, non solo dell’Inghilterra, ma del mondo intero, è un’emozione unica. Ci troviamo a Londra, precisamente dietro Westminster, dove Universal Picture Home Entertainment Italia, per l’uscita italiana de L’ora più buia, ci ha permesso di fare un tour nei luoghi che sono stati testimoni cruciali degli avvenimenti della seconda guerra mondiale, nelle stanze segrete dove il Primo Ministro Winston Churchill ha deciso di non arrendersi e continuare a lottare la tirannia di Hitler anche quando tutto sembrava perduto.

Il film racconta le cruciali ore in cui Churchill, appena eletto Primo Ministro, si ritrova a decidere se negoziare la pace o combattere la Germania nazista contro ogni probabilità di vittoria, fino alla fine per l’orgoglio del suo paese, arriva finalmente in DVD e Blu-Ray e 4K Ultra HD disponibile dal 9 maggio con Universal Picture Home Entertainment Italia.

La pellicola è stata diretta da Joe Wright, regista eccezionale conosciuto per Espiazione, Orgoglio e Pregiudizio, e Anna Karenina, vanta una crew di primo livello con la sceneggiatura di Anthony McCarten ed è interpretato da Gary Oldman, vincitore del Premio Oscar al Miglior Attore Protagonista e del Golden Globe nella stessa categoria (sezione drammatica) per la sua interpretazione. Il film è un meraviglioso racconto delle giornate critiche durante le quali Winston Churchill doveva prendere la decisione più difficile della sua vita, evidenziandone anche le sfumature caratteriali e l’uomo che si celava dietro il politico. Mentre Hitler si avvicina al Regno Unito, il Primo Ministro si trova a combattere per la sua leadership e a trovare la soluzione migliore per il suo paese.

L’ora più buia, la recensione del film con Gary Oldman

Il film è principalmente ambientato in quello che oggi è il Churchill Museum e Cabinet War Rooms (Clive Steps, King Charles St, Westminster, London SW1A 2AQ), interamente ricostruito dagli scenografi, dove si riuniva il gabinetto di guerra, al riparo da eventuali attacchi e al sicuro da fughe di notizie.

Il nostro tour è iniziato varcando la porta della stanza in cui si riunivano i potenti, dove abbiamo potuto ammirare la sedia del potere presieduta dal Primo Ministro, dove la nostra guida privata ci ha raccontato che è ufficialmente il posto dove si è fatta la guerra, facendoci notare le scavature create dall’anello di Churchill al lato del bracciolo della sedia, che di consueto batteva nei momenti di nervosismo. Tutta la stanza è piena di posaceneri (i gentlemen presenti a quanto pare fumavano copiosamente, per non parlare del protagonista che viaggiava ad un’andatura di 8/10 sigari per dì), e ogni singolo pezzo all’interno è originale, compresa la valigia rossa del Primo Ministro con l’adesivo delle Barbados, attaccato dal figlio.

Si procede nel lungo corridoio, che nel film pullula di segretarie indaffarate a lavorare, la guida ci mostra l’armadietto privato di Winston contenente sigari, Scotch e banane (rare da reperire in tempi di guerra), prima di entrare nella Map Room, dove sono state girate alcune fra le più toccanti scene della pellicola, Ci viene raccontato che Churchill aveva una certa ossessione per le mappe, che capeggiano ovunque all’interno del bunker, ma in questa stanza in particolar modo ci sono quelle più importanti. Quella grande sul muro che si vede anche nel film, rappresenta tutte le battaglie dell’atlantico ed è piena zeppa di fori, come potrete immaginare, qui si ricevevano informazione da tutto il mondo distinte dal colore dei telefoni, verde, bianco, rosso e nero, è dove Churchill scopre che a Dunkerque si trovano i suoi ragazzi completamente circondati dai tedeschi e si fa venire in mente un modo per salvarli, anche a costo di sacrificarne altri. Vi hanno lavorato circa cinquanta persone a turno all’interno, tutte autorizzate (era una delle stanze più segrete) e tutte dovevano registrarsi non appena entravano. Vi è una cartina-grafico che rappresenta una notevole diminuzione di perdite dal 1942 al 1945 delle flotte inglesi, questo perché nel 1944 grazie a Turing sono stati decodificati i codici creati mediante la macchina Enigma dei Tedeschi (vi esorto a vedere La Teoria del Tutto sceneggiato dallo stesso McCarten che racconta delle prodezze di Turing), e che ha dato un grosso slancio verso la vittoria nella guerra.

Tutti i calendari e gli orologi presenti segnano il 16 agosto 1945 (giorno della vittoria) alle 16.59, e tutto è stato lasciato esattamente come l’ultimo momento in cui sono stati a lavoro li sotto. È un’emozione indescrivibile da percepire e dopo aver visto il film lo si avverte ancora di più, il senso di responsabilità e la gravità che deve aver pervaso gli animi umani che hanno abitato questi uffici.

Il bunker non è solo ufficio, come vediamo nella pellicola di Wright, oltre alle brandine per le segretarie che perdevano il treno, vi erano anche diversi alloggi per i colonelli, quello di Churchill è arredato con moquette e ha un letto incredibilmente piccolo (misura standard, ma ricordiamo che era alto 1,67), nella sua stanza sono presenti diversi posaceneri, ovviamente, e una enorme cartina difronte al letto raffigurante la situazione di possibili attacchi delle coste inglesi. Era solito passare in questa stanza tre o quattro notti a settimana, da abitudine il Primo Ministro si alzava tardi facendo colazione con Whisky e acqua e restava a leggere e telefonare nel letto fino all’ora di pranzo ma poi lavorava fino a tarda ora. In questa stanza, dalla sua scrivania teneva i discorsi alla nazione, come quello presente nella pellicola in diretta nazionale. L’ultimo posto da visitare è in realtà una porta, vi era un unico bagno con acqua corrente li sotto, riservato ovviamente solamente a Churchill, ma si scoprì dopo la guerra che in realtà al suo interno si nascondeva un telefono transatlantico che lo metteva in linea diretta con l’allora presidente degli Stati Uniti d’America, Franklin Delano Roosevelt, come si vede in una scena del film. Il telefono era collegato ad uno degli impianti più all’avanguardia, considerata l’epoca, situato sotto i magazzini Selfridges di Oxford Street.

Innumerevoli cose ci sarebbero da raccontare su questo straordinario personaggio, così controverso e così stoico che ha guidato una nazione verso la vittoria solo e determinato al non accettare la sconfitta, vizioso, burbero e terribilmente elitario, per usare una delle sue frasi: “Il successo non è mai definitivo, il fallimento non è mai fatale; è il coraggio di continuare che conta.”

L’Ora Più Buia racconta le sfumature che hanno caratterizzato il personaggio prima dell’uomo, l’astuto leader di potere e il fragile coniuge e padre di famiglia. Nei contenuti speciali del DVD e Blu-Ray troviamo un’intervista in cui lo straordinario Gary Oldman racconta come diventare Churchill e il commento al film da parte del regista Joe Wright. Vi ricordiamo che è disponile dall’9 maggio distribuito da Universal Picture Home Entertainment Italia.

Si ringrazia il Churchill War Rooms | Imperial War Museums e la guida Jasmine Losasso.

Nel 2015 arriva il reboot dei Fantastici Quattro!

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Nel 2015 arriva il reboot dei Fantastici Quattro!

La 20th Century Fox ha annunciato che il reboot dei Fantastici Quattro uscirà il 6 Marzo 2015 per la regia di Josh Trank (Chronicle), su una sceneggiatura scritta da Michael Green e Jeremy Slater. 

Nel 2012 al via Ghostbusters 3

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Nel 2012 al via Ghostbusters 3

Ghostbuster 3 si farà, parola di Dan Aykroyd. L’attore ha infatti dichiarato al The Dennis Miller Show che il film ha un buon copione, già pronto, e che le riprese inizieranno nella prossima primavera. Poco importa se Bill Murray deciderà di partecipare o no!

“L’idea alla base del franchise è molto più ampia di ogni ruolo individuale e la premessa di Ghostbusters 3 è che consegnamo l’equipaggiamento a nuove leve.” Nella storia infatti i nostri sono troppo vecchi per continuare la loro caccia ai fantasmi infestanti, per cui decidono di passare la palla ad acchiappafantasmi più giovani. Le new entry saranno tre uomini e una donna, ma nulla si sa ancora del casting ufficiale.

Fonte: comingsoon

Nel 2011 pioggia di eroi Marvel al cinema

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Nel 2011 pioggia di eroi Marvel al cinema

cap america

Presentati alle Giornate professionali del cinema di Sorrento i listini ufficiali di Universal e 20th Century Fox. Buone notizie per i fan della Marvel!

Neisi: La fuerza de un sueño: recensione del film di Daniel Yépez Brito

Tokyo, 2021. Un fiocco blu tra i bei capelli neri e ricci. Due giovani braccia alzate reggono 145 chili. Le urla di commozione, i sorrisi e le lacrime di gioia. Tutta la forza e il dolore di una giovane atleta. Questa è l’avvincente ed entusiasmante storia di Neisi Patricia Dajomes Barrera, la prima donna dell’Ecuador a vincere una medaglia d’oro olimpica nel sollevamento pesi.

Vincitore del Premio IILA – Cinema 2024 (dell’Organizzazione Internazionale Italo-Latino Americana) come Miglior Documentario, Neisi: La fuerza de un sueño è il toccante docufilm del regista Daniel Yépez Brito (7 Muros, Ovejas, La rebelión de la memoria) dedicato alla coraggiosa e straordinaria atleta ecuadoriana Neisi Barrera, divenuta in pochi anni orgoglio per la sua nazione e grande esempio per tutte le giovani atlete. La pellicola, prodotta da Irina López Eldredge e Retrogusto Films, è stato presentata in anteprima italiana lo scorso 16 maggio 2024 al Cinema Barberini di Roma in occasione della 17ª edizione de La Nueva Ola – Festival del Cinema Spagnolo e Latinoamericano.

Neisi: la forza inarrestabile di una combattente

In Neisi: La fuerza de un sueño, tra continui flashback, testimonianze, interviste e filmati privati, il regista guida il pubblico in un viaggio coinvolgente che esplora e celebra la straordinaria storia di Neisi Dajomes. Il film offre uno sguardo attento e delicato sulla vita di questa giovane atleta, figlia di rifugiati colombiani, partendo dalle sue umili origini nella povera cittadina ecuadoriana di Shell. Qui, insieme ai suoi fratelli, Neisi ha mosso i primi passi nel mondo del sollevamento pesi, coltivando il suo talento e affrontando le sfide della vita con notevole determinazione e passione.

Daniel Yépez e Irina López riescono, in soli 90 minuti, a portare sullo schermo i momenti che più hanno segnato la vita di Neisi. Non solo i ricordi gioiosi in famiglia, le prime conquiste e la passione per questo sport, ma anche il dolore, le sconfitte e i sacrifici. Il documentario si sofferma in particolare su due tragici eventi che hanno stravolto la sua vita: la perdita prematura del fratello maggiore Javier e, poco dopo, quella della madre. Questi lutti familiari, nonostante la grande sofferenza e il vuoto lasciato, hanno plasmato la sua forza interiore e dato nuova linfa alla sua tenacia e perseveranza.

Neisi ha combattuto con tutta se stessa per poter dedicare una medaglia d’oro alle persone che ha amato, soprattutto a quelle che non erano più con lei. Questo profondo atto d’amore l’ha resa un vero e proprio esempio di resilienza e di forza femminile, non solo per il suo Paese ma per tutto il mondo sportivo.

“Grazie guerriera, grazie donna d’oro!”

Neisi: La fuerza de un sueño va ben oltre il semplice testimoniare la formazione sportiva e la scalata al successo di una giovane atleta. Il documentario di Daniel Yépez e Irina López – nonostante tratti uno sport ancora poco conosciuto e apprezzato – riesce, con estrema autenticità, delicatezza e rispetto, a far ripercorrere allo spettatore il climax di emozioni vissuto dalla protagonista: dal dramma della competizione ai Giochi Panamericani di Toronto 2015, dove Neisi ha subito uno svenimento e un attacco epilettico, proseguendo per la sua difficile vita familiare, le sfide e le rinunce imposte da questa disciplina, fino all’incoronamento del suo grande sogno.

Al di là del possibile disinteresse per questa disciplina sportiva e del ritmo a tratti troppo lento e riflessivo, il film intrattiene piacevolmente il pubblico narrando una storia tanto drammatica quanto intensa e affascinante, un’ispirazione per tutte le bambine del mondo. Neisi: La fuerza de un sueño è la celebrazione di un sogno, un vero “viaggio eroico” e umano in cui Neisi brilla più di qualsiasi medaglia olimpica.

Neils Arden Oplev e il remake di Linea Mortale

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Quella del remake di Linea Mortale, film del 1990 firmato da Joel Schumacker è un’idea che circola ormai da un paio d’anni: il progetto sembra ora aver preso nuovo slancio, con la scelta del regista: a dirigerlo sarà il danese Neil Arden Oplev, giunto alla notorietà internazionale grazie a Uomini che odiano le donne.

L’originale vedeva protagonista un manipolo di ‘giovani speranze’ della Hollywood del tempo – Julia Roberts, Kiefer Sutherland, Kevin Bacon, William Baldwin e Oliver Platt – nel ruolo di un gruppo di studenti di medicina con pochi scrupoli intenti ad indagare sul confine tra la vita e la morte.

Oplev ha recentemente lavorato alla trasposizione televisiva del romanzo The Dome di Stephen King e Dead Man Down, con Colin Farrell e Noomi Rapace, da lui diretta proprio nell’adattamento del primo romanzo della trilogia di Millennium.

Fonte: Empire

Neill Blomkamp: “Il mio Alien non annullerà gli ultimi due film”

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Neill Blomkamp: “Il mio Alien non annullerà gli ultimi due film”

In seguito alle ultime dichiarazioni di Neill Blomkamp a proposito del quinto capitolo della saga di Alien, erano in molti a temere per la continuità narrativa del franchise, considerando che il regista di District 9, Elysium e del prossimo Humandroid aveva rivelato di voler realizzare un film che fosse il “fratello genetico” di Aliens Scontro finale, ignorando così Alien 3 e Alien La Clonazione. Adesso, però, è lo stesso Blomkamp a chiarire le cose, dichiarando che non ignorerà quanto accaduto nella seconda parte del noto franchise di fantascienza:

“Non sto cercando di cancellare quanto accaduto in Alien 3 o in Alien La Clonazione – ha detto il regista al sito AlloCine – I miei preferiti sono i primi due film. Voglio fare un film che sia collegato ad Alien e ad Aliens Scontro finale. Questo è il mio obiettivo”.

Alien 3, che ha segnato il debutto alla regia di Fincher, e Alien: La clonazione, per la regia di Jean-Pierre Jeunet da una sceneggiatura di Joss Whedon, non sono generalmente ben considerati dai fan del franchise sci-fi. Alien (1979) fu diretto da Ridley Scott, mentre James Cameron prese le redini e diresse Aliens – Scontro finale (1986). Staremo a vedere se Neil Blomkamp riuscirà a portare in auge una delle saghe più amate della storia del cinema. Ricordiamo che Sigourney Weaver tornerà nei panni dell’iconica Ellen Ripley.

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Neill Blomkamp, regista di District 9, ha girato un nuovo film in gran segreto

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Neill Blomkamp, ​​meglio conosciuto per il suo lungometraggio d’esordio District 9, ha girato segretamente un film horror soprannaturale in Canada, durante la pandemia. Dopo il grande successo di District 9, che ottenne anche quattro candidature agli Oscar (incluso miglior film), la carriera di Blomkamp è stata caratterizzata da una serie di insuccessi.

Ad oggi, il regista ha diretto soltanto altri due lungometraggi, Elysium con Matt Damon, e Humandroid con Hugh Jackman, entrambi stroncati dalla critica. In particolare, il regista non ha mai nascosto che il fallimento di Humandroid è stato “incredibilmente doloroso”: proprio per questo, dal 2016 Blomkamp si è dedicato esclusivamente alla produzione di una serie di cortometraggi attraverso la sua società, Oats Studios, nonostante abbia continuato a lavorare ad altri progetti sci-fi (incluso un quinto capitolo della saga di Alien mai realizzato).

Ora, sembra che il regista abbia spezzato la catena e sia tornato in attività, con Deadline che riferisce che Neill Blomkamp ha girato un film horror soprannaturale, in gran segreto, durante la pandemia. Blomkamp ha girato il film in Canada, durante la scorsa estate, dopo che il suo prossimo lungometraggio, The Inferno, è stato ufficialmente posticipato al 2021. The Inferno sarà un thriller d’azione ad alto budget interpretato da Taylor Kitsch, mentre questo nuovo film è stato realizzato con un budget inferiore, consentendo a Blomkamp a mostrare le sue rinomate capacità nel campo degli effetti visivi.

Non c’è dubbio che Blomkamp abbia un approccio visivo unico ai suoi film: se è riuscito a combinarlo con un’entusiasmante storia di genere, allora è probabile che questo nuovo titolo sarà un enorme successo. Al momento non ci sono ulteriori dettagli sul progetto: in molti si chiedono se anche questa volta è stato coinvolto Sharlto Copley, attore feticcio del regista, apparso non solo in tutti e tre i suoi lungometraggi, ma anche in uno dei cortometraggi prodotti da Oats Studios.

Neill Blomkamp, il sequel di Elysium e l’opinione su Humandroid

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Neill Blomkamp, il sequel di Elysium e l’opinione su Humandroid

Neill Blomkamp sta promuovendo i suoi Oats Studios, la casa di produzione che ha cominciato a produrre cortometraggi horror, ma i suoi progetti al cinema non sono ancora terminati. A partire dal sequel di Elysium: “Elysium è una di quelle cose che sento che avrei potuto fare meglio. Se si avessero questi mezzi per fare un film come Elysium si potrebbe finire in uno scenario differente, perché il film aveva tutte le tematiche che volevo. Amo moltissimo il setting di Elysium. L’idea della separazione delle classi e del cerchio nello spazio è ancora molto allettante per me, adorerei tornare indietro e fare un altro film nel mondo di Elysium perché è avvincente. Credo semplicemente che potrei fare un lavoro migliore adesso in quanto a temi affrontati e motivazioni dei personaggi. Posso fare meglio, credo.”

Oats Studios “Volume 1”: secondo trailer del progetto di Neill Blomkamp

In merito a Humandroid, il suo film successivo, Neill Blomkamp ha dichiarato: “Tanto per essere chiari. Humandroid non è un film che avrei fatto in modo diverso, anzi con questo è esattamente l’opposto. Nonostante tutti gli aspetti negativi di quel film, sono ancora convinto del modo in cui l’ho raccontato. Credo di aver realizzato esattamente quello che avevo in testa. Per quanto io possa meritare critiche o meno, sono convinto di aver fatto quello che volevo.”

Non sappiamo a cosa lavorerà Blomkamp in futuro ma sappiamo per che un sequel di Elysium sarà estremamente difficile da realizzare.

Neill Blomkamp in trattative per scrivere e dirigere un nuovo Sci-Fi

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Dopo aver visto accantonare il suo progetto riguardante il sequel di Alien, Neill Blomkamp potrebbe aver trovato il suo prossimo film: The Gone World.

Prodotto dalla Fox, il progetto riguarda l’adattamento del nuovo romanzo di Thomas Sweterlisch, già autore del precedente Tomorrow And Tomorrow, e sarà prodotto da Peter Chernin.

Nel suo precedente romanzo Thomas Sweterlisch presentava un racconto tipicamente cyberpunk: ambientato in una Pittsburgh distrutta, la storia era incentrata sulla relazione tra l’umanità e la dimensione virtuale. Si sa ancora molto poco del nuovo libro e del suo adattamento: Deadline ipotizza si tratti di uno Sci-Fi in cui avranno forte rilievo i viaggi nel tempo. Insomma, gli elementi di partenza sembrano decisamente congeniali al regista di District 9, ElysiumChappie, a cui è stato inoltre anche offerto il ruolo di sceneggiatore dell’adattamento. Riguardo a questo progetto, inoltre, non è ancora disponibile alcuna data riguardo a un potenziale inizio dei lavori, anche se è presumibile che se Blomkamp accettasse il progetto entrerebbe subito in fase di scrittura.

Nel caso accettasse l’incarico, il regista sudafricano avrebbe un nuovo progetto a cui dedicarsi nell’attesa che, una volta rilasciato l’attesissimo Paradise Lost di Ridley Scottla Fox permetta a Blomkamp di concentrarsi sul suo già citato progetto dell’universo di Alien.

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Neill Blomkamp aveva in cantiere un film di Alien?

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Neill Blomkamp aveva in cantiere un film di Alien?

Via Instagram, il regista di District 9 e Elysium, Neill Blomkamp, ha diffuso una serie di concept art relativi a un progetto al quale stava lavorando. Si tratta di un film ambientato nell’universo di Alien, anche se lo stesso regista, dopo la diffusione dei concept, ha specificato che il progetto non aveva nulla a che fare con “lo studio” (cioè la 20th Century Fox, che detiene i diritti della saga di Alien).

I concept art, che potete vedere cliccando sull’immagine di seguito, sembrano ispirati ai primi due film della saga e hanno come protagonista Ellen Ripley (Sigourney Weaver).

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Sembra che Neill Blomkamp stesse lavorando al progetto in maniera del tutto autonoma, con l’intento di proporre solo in seguito la sua idea alla 20th Century Fox, in modo da ottenere i finanziamenti per realizzare la pellicola. Non sappiamo come siano andate realmente le cose; è probabile che adesso il regista abbia semplicemente voluto stuzzicare l’interesse dei fan e, magari, catturare l’attenzione degli studios. Vi terremo aggiornati…

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Neill Blomkamp afferma che il suo sequel di ALIEN non è successo perché non è un “regista lacchè dei studios”

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Ci stiamo avvicinando a un decennio da quando è stato rivelato per la prima volta che Neill Blomkamp stava sviluppando Alien 5, anche se il fatto che questo progetto non sarebbe mai diventato realtà è stato reso evidente qualche tempo fa.  L’idea era che Sigourney Weaver riprendesse il ruolo di Ellen Ripley, con Michael Biehn nei panni di Cpl. Anche Dwayne Hicks e un Newt adulto avrebbero dovuto essere al centro della scena. Ci si aspettava che gli eventi del terzo e del quarto film fossero in gran parte ignorati, notizia che è stata un sollievo per i fan di quelle classiche prime due puntate.

Nel corso degli anni, Blomkamp è stato associato a numerosi franchise di fantascienza al di fuori di Alien, tra cui Halo e RoboCop. Anche quelli non si sono mai concretizzati e il regista ha fatto luce sul perché durante una recente intervista con Empire Online“Le cose che mi hanno colpito di più nella mia carriera sono i progetti che non sono stati realizzati – ‘Alien’, principalmente”, rivela  il regista di District 9“[Avrei potuto continuare a lavorare all’interno del sistema cinematografico statunitense] se fossi stato più un regista lacchè di McDonald’s, tipo Burger King, che fa un film ogni anno o ogni 1,5 anni”.

“Naturalmente, sono un artista che non gioca al gioco di Hollywood”,  ha continuato Blomkamp. “Quando me ne sono andato, ho pensato alle cose e sono tornato con un punto di vista diverso su come mi avvicinerò a Hollywood”. Il regista non ha mai approfondito del tutto il motivo per cui Alien 5 non è stato realizzato, anche se è stato ampiamente teorizzato che Sir Ridley Scott abbia scelto di staccare la spina per concentrarsi sui suoi film prequel che sono iniziati con Prometheus (che è terminati bruscamente quando Alien: Covenant è stato accolto negativamente).  Ora, aspettiamo con fervida attesa la nuova serie TV Alien da Noah Hawley creatore di Fargo e un film diretto da Fede Alvarez che si pensa si chiami Alien: Romulus.  Sei deluso che Alien 5 di Blomkamp non sia mai diventato realtà?

Neil Patrick Harris: 10 cose che non sai sull’attore

Neil Patrick Harris: 10 cose che non sai sull’attore

Attore, cantante, prestigiatore e showman dello spettacolo statunitense, Neil Patrick Harris si è affermato negli anni grazie alla sua grande versatilità e al suo incontenibile carisma. Interprete di alcuni tra i più noti personaggi della televisione degli ultimi decenni, è oggi una vera e propria icona, seguito e apprezzato dai suoi numerosi fan in tutto il mondo.

Ecco 10 cose che non sai di Neil Patrick Harris.

Parte delle cose che non sai sull’attore

Neil Patrick Harris Oscar

Neil Patrick Harris: i suoi film e le serie TV

10. Ha recitato in celebri lungometraggi. La carriera cinematografica dell’attore ha inizio nel 1988 con il film Il grande cuore di Clara, per poi proseguire con titoli come Starship Troopers (1997), Sai che c’è di nuovo? (2000), Harold & Kumar (2008), I puffi (2011), I Muppet (2011), I puffi 2 (2013), Un milione di modi per morire nel West (2014), con Amanda Seyfried, L’amore bugiardo – Gone Girl (2014), con Ben Affleck e Rosamund Pike, e DownsizingVivere alla grande (2017), con Matt Damon. Nel 2022 tornerà al cinema con The Matrix 4, con Keanu Reeves.

9. È noto per i suoi ruoli televisivi. Harris ottiene una prima popolarità televisiva grazie alla serie Doogie Howser (1989-1993), per poi prendere parte ad alcuni episodi di celebri titoli come La signora in giallo (1993), Will & Grace (2000), e Law & Order: Criminal Intent (2004). Il ruolo della sua carriera arriva però con How I Met Your Mother, dove dal 2005 al 2014 interpreta il leggendario Barney Stinson, recitando accanto agli attori Jason Segel e Cobie Smulders. Di recente si è poi fatto apprezzare per il ruolo del Conte Olaf in Una serie di sfortunati eventi (2017-2019).

8. È celebre anche come doppiatore. Particolarmente capace ad adattare la propria voce in base al personaggio ricoperto, Harris si è distinto anche per le sue qualità nel doppiaggio. Tra i film per cui ha ricoperto tale ruolo si annoverano Piovono polpette (2009), Cani & Gatti – La vendetta di Kitty (2010) e Piovono polpette 2 – La rivincita degli avanzi (2013). Ha poi dato voce al personaggio di Spider-Man in Spider-Man: The New Animated Serie (2003).

Neil Patrick Harris: il suo matrimonio

7. Si è sposato in Italia. Nel 2014 l’attore si è sposato a Perugia, in Italia, con il compagno David Burtka, con il quale aveva una relazione dal 2004 e per il quale fece coming out nel 2006. A celebrare le nozze fu la regista Pamela Fryman, che aveva collaborato con Harris per How I Met Your Mother. Durante il ricevimento seguente la cerimonia, si è invece esibito Elton John, amico della coppia.

Neil Patrick Harris ha due figli

6. È diventato padre. Nell’ottobre del 2010 l’attore, insieme al suo compagno, diventa padre dei gemelli Harper Grace e Gideon Scott, avuti tramite madre surrogata. Sul profilo Instagram dell’attore è possibile ritrovare numerose foto della famiglia durante alcuni momenti di svago divenuti particolarmente celebri tra i fan di Harris.

Parte delle cose che non sai sull’attore

Neil Patrick Harris How I Met Your Mother

Neil Patrick Harris in How I Met Your Mother

5. Ha personalmente eseguito i trucchi di magia visti nella serie. Nel corso delle stagioni, Barney si diletta in più occasioni con alcuni numeri di magia, spesso particolarmente sorprendenti. Per eseguirli, tuttavia, non è stato necessario ricorrere a particolari effetti speciali o controfigure. Harris è infatti un rinomato prestigiatore, ed ha personalmente eseguito con successo i trucchi previsti.

4. Ha inventato una celebre espressione. Tra i maggiori tormentoni di Barney Stinson, vi è quello relativo al “The Bro Code”, un sacro codice di regole da rispettare per poter essere a tutti gli effetti un fidato amico fraterno. Benché nella serie si giochi sull’invenzione di tale codice, fu proprio Harris a contribuire alla sua istituzione, come supportato anche dalla sua non esistenza sul Web prima del 2008, anno in cui compare nella serie.

3. Gli è stato donato un prezioso oggetto della serie. Al termine della serie, ogni membro del cast ebbe modo di portare via con sé alcuni tra i maggiori e più ricorrenti oggetti presenti nella serie. Harris decise di tenere con sé il famoso “The Playbook”, ovvero il libro ricco degli stratagemmi che il suo personaggio, Barney, utilizza nel corso delle stagioni per conquistare le sue numerose donne.

Neil Patrick Harris e gli Oscar

2. Ha condotto la celebre cerimonia. Nel 2015 Harris viene scelto come conduttore dell’87ª edizione dei premi Oscar. In tale occasione, l’attore ha avuto modo di sfoggiare nuovamente le proprie doti canore come anche quelle di ballerino. Resta memorabile, tuttavia, il suo sketch ispirato al film Birdman, candidato quell’anno, che lo portò a presentarsi sul palco in mutande.

Neil Patrick Harris: età e altezza

1. Neil Patrick Harris è nato ad Albuquerque, in New Mexico, Stati Uniti, il 15 giugno del 1973. L’attore è alto complessivamente 183 centimetri.

Fonte: IMDb

 

Neil Patrick Harris in A Million Ways to Die in the West

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Neil Patrick Harris è il nuovo arrivato all’interno del cast di  A Million Ways to Die in the West, la nuova commedia di Seth MacFarlane, autore della fortunata serie dei Griffin e di Ted.

Neil Patrick Harris è un artista poliedrico, attore, cantante, ballerino, doppiatore, presentatore, il ragazzo di Albuquerque si è già cimentato in diversi ruoli ed è noto soprattutto per la serie televisiva Doogie Howser e la sitcom How I Met Your MotherIn bacheca vanta già numerosi presmi, tra cui tre Young Artist Awards, due Emmy Awards, tre People’s Choice Awards e svariate nomination, comprese quattro ai Golden Globe.

In A Million Ways to Die in the West, Neil Patrick Harris si ritroverà a lavorare all’interno di un cast di assoluto valore, che comprende Charlize Theron, Amanda Seyfried, Sarah Silverman, Liam NeesonGiovanni Ribisi e lo stesso Seth MacFarlane. Riguardo al ruolo che Harris dovrebbe interpretare non ci sono ancora informazioni.

La Universal e Media Rights Capital hanno annunciato intanto la data di uscita ufficiale del film, fissata per il 30 maggio 2014. Ecco la sinossi ufficiale di A Million Ways to Die in the West:

La mutevole fidanzata (Amanda Seyfried) di un pecoraro codardo (Seth MacFarlane) decide di lasciarlo per un altro uomo dopo che lui si è tirato indietro a un duello. Una misteriosa e bella donna (Charlize Theron) appena giunta in città lo aiuterà a ritrovare coraggio, e i due si innamoreranno. Il contadino dovrà mettere alla prova il suo coraggio appena ritrovato quando il marito di lei, un noto fuorilegge (Liam Neeson), arriverà in cerca di vendetta.

Neil Patrick Harris dubita che ripresenterà gli Oscar

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L’attore Neil Patrick Harris, ultimo presentatore degli Oscar, sembra essere rimasto scottato dalle critiche ricevute per la sua conduzione degli Academy Awards e ha dichiarato, nel corso di un’intervista all’Huffington Post, che “né la sua famiglia o la sua anima potrebbero mai sopportare un’altra conduzione”. Sorridendo, ha definito bestiale questa esperienza; certamente un punto importante da spuntare in una lista dei desideri professionali, ma anche un impegno difficile da portare avanti ogni anno, o anche solo in un’altra occasione, considerando il tempo speso e la risonanza critica.

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L’interprete di How I Met Your Mother e Gone Girl – L’amore bugiardo ha sottolineato che nulla è stato lasciato all’improvvisazione durante lo spettacolo. “Non è facile per chi guarda lo show da casa comprendere il tempo e l’esigenza di giungere a un compromesso, a una concessione, una spiegazione dietro ogni singolo aspetto della serata”. Neil Patrick Harris accetta le critiche, inevitabili di fronte ai bassi ascolti dell’87esima edizione degli Oscar (che ha registrato un calo del 16% di spettatori), ma difende comunque il suo operato, perché teso a esaltare i film in gara quest’anno e a divertire la platea.

 

Insomma, difficile prevedere un bis per Neil Patrick Harris alla conduzione della notte degli Oscar, mentre c’è chi reclama un ritorno di Ellen DeGeneres.

Fonte: http://variety.com/2015/film/news/neil-patrick-harris-oscars-host-doubt-again-academy-awards-1201447176/

Neil Patrick Harris Choose Your Own Autobiography: il ‘magico’ booktrailer della autobiografia dell’attore

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Vi manca How I Met Your Mother? Vi manca Barney Stinson? Ebbene, ci pensa Neil Patrick Harris con il booktrailer della sua autobiografia dal titolo Neil Patrick Harris Choose Your Own Autobiography. Ecco il video!

Di seguito trovate la sinossi e la copertina del libro:

Neil Patrick Harris

Neil Patrick Harris, star di “How I Met Your Mother“, conduce i lettori un’avventura divertente e originale attraverso la sua vita e la sua carriera.
Stanco delle memorie che ti raccontano solo di quello che davvero è successo? Non ne puoi più dei racconti personali scritti in prima persona? Sei alla ricerca di una lettura eccitante, interattiva che riporti la U in “aUtobiography”? Allora non cercare oltre, ecco Neil Patrick Harris: Choose Your Own Autobiography! In questo esperimento rivoluzionario, joyciano, l’attore/personalità/ Neil Patrick Harris consentirà a te, lettore (o e-reader, perché pensiamo che questo libro venderà molto bene su Kindle), di vivere la sua vita.
Sarai nato in New Me

xico. La tua grande svolta arriverà in un acting camp. Avrai un confronto bizzarro fuori da un nightclub con l’attore Scott Caan. Ancora meglio, ad ogni svolta critica della tua vita sceglierai come procedere. Sceglierai se decidere di fare un provino per “Doogie Howser” [la serie che ha lanciato Harris ndr]. Deciderai se lottare per anni con la tua sessualità. Deciderai quale tipo di caviale mangiare a bordo dello yacht di Elton John.
Scegli correttamente e otterrai fama, soldi e il vero amore. Scegli male e arriveranno per te miseria, delusioni amorose e un posto come ospite in una una clinica di riabilitazione. Tutto questo, più trucchi magici, ricette di cocktail, imbarazzanti foto del tuo periodo come attore bambino e anche una canzone di chiusura.
Sì, se compri un libro quest’anno, congratulazioni per essere al di sopra della media americana, ma fai sì che sia…

Neil Marshall per The Last Voyage of the Demeter

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Neil Marshall per The Last Voyage of the Demeter

E’ una vicenda travagliata quella di The Last Voyage of the Demeter, film di argomento draculesco scritto da Bragi Schut (L’ultimo dei templari). La storia è incentrata sul viaggio, a bordo della nave russa Demeter, che porta

Neil Marshall per l’antologia horror Tales of Halloween

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Neil Marshall per l’antologia horror Tales of Halloween

Neil Marshall, regista di Centurion con Michael Fassbender, ma anche regista per la nota serie tv Game of Thrones, sarà coinvolto in un nuovo interessantissimo progetto horror con a capo un team di numerosi registi. Si tratta di Tales of Halloween, pellicola antologica che sarà divisa in 10 episodi diretti da 11 registi, e che racconterà di storie di fantasmi, alieni ed assassini ambientate nei sobborghi americani, durante la notte di Halloween. Insieme a Neil Marshall, ci saranno anche Darren Bousman (Saw II, III e IV), Joe Begos (Almost Human), Axelle Carolyn (Soulmate), Adam Gierasch (Night Of The Demons), Andrew Kasch (Never Sleep Again: The Elm Street Legacy) e John Skipp (Stay At Home Dad), Mike Mendez (Big Ass Spider!), Dave Parker (The Hills Run Red), Ryan Schifrin (Abominable) e Paul Solet (Grace). Le riprese del film dovrebbero iniziare a novembre.

Fonte: Empire

Neil Labute pensa a un musical

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Neil LaBute vorrebbe portare sullo schermo Company, il musical di Stephen Sondheim rappresentato a Broadway negli anni Settanta e riportato a teatro in un revival nel 2006.

Neil Labute inaugura con Out of the Blue il 33° Noir Film Festival

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L’apertura del 33° Noir in Festival è stata affidata a Neil Labute, che con il suo Out of the Blue, propone un noir che si sposa perfettamente con i tratti del genere e che offre un ritratto di femme fatale affidato alla versatile Diane Kruger: “Marilyn è un personaggio che somiglia alle varie dark lady impersonate da Barbara Stanwyck o Jane Greer” spiega il regista, che con Out of the Blue vuole proporre “un tentativo di muoversi nel solco dei grandi classici del genere. Mi piaceva l’idea di una figura femminile più adulta del protagonista e che il protagonista perdesse subito la testa per questa donna.”

È proprio questa infatti una delle caratteristiche della splendida attrice di origine tedesca che hanno convinto Labute a voler lavorare con lei: “Ho scelto un’attrice che è in grado di rendere credibile ciò che il protagonista sceglie di fare, rischiando di mandare all’aria la propria vita in nome dell’attrazione che sente per lei fin dal primo momento. Diane Kruger mi è sembrata l’attrice perfetta, perché è un’artista che affascina e incuriosisce sia quando parla che quando resta in silenzio, e che può rendere plausibili anche situazioni estreme, come quelle che si verificano nel film”. 

Ma nessuna femme fatale funziona senza un altro personaggio che viene irretito e che subisce quel fascino così letale e irresistibile: “Per quanto riguarda Ray Nicholson (figlio d’arte, ndr), non lo conoscevo, ma quando ho avuto modo di vedere alcune delle sue interpretazioni, ho pensato: è perfetto per il ruolo, non è un criminale né un santo, è soltanto un ragazzo che aveva qualche problema nella gestione della rabbia, e infatti ha esagerato ed è finito in prigione, e adesso sta cercando di rifarsi una vita ma si ritrova invischiato in questa storia passionale e nelle sue conseguenze.”

Una controparte perfetta per il personaggio di Marilyn, quindi, per formare una coppia perfettamente inserita nel canone noir e sul quale costruire la storia del film, che fino alla fine pone degli interrogativi allo spettatore su quali siano le vere intenzioni di ogni personaggio.

Neil Labute viene da una solida esperienza teatrale che si rispecchia alla perfezione nella maniera che sceglie di mettere in scena soprattutto le scene di dialogo: “Adoro i dialoghi, adoro vedere la gente che parla e credo che attraverso le parole si possa creare la giusta tensione, dare un’idea di violenza e sopraffazione o al contrario intrattenere, divertire. In Out of the Blue vediamo spesso i personaggi che parlano senza il classico campo/controcampo. Diane e Ray hanno trovato entusiasmante lavorare così e anche a me piace, e anche questa modalità è molto classica. Ho appena rivisto Gilda e mi sono accorto di quanti dialoghi ci fossero. Le sceneggiature di allora erano il doppio di quelle attuali. Gli attori dell’epoca studiavano a lungo i copioni, molti di loro venivano dal teatro.”

Questa scelta riesce a diventare non solo di messa in scena ma anche drammaturgica dal momento che ci mostra solo quello che i personaggi vogliono che si sappia di loro, senza uno sguardo oggettivo sui loro racconti: “Nessuna delle cose che Marilyn racconta a Connor può essere verificata – spiega LabuteNon vediamo mai il marito di Marilyn, perché se lo vedessimo, lo giudicheremmo, e quindi scegliamo di credere o non credere alla donna. Questa maniera di procedere secondo me genera ambiguità. Ma non a tutti piace l’ambiguità. Molte persone vogliono andare in una sala e capire cosa sta succedendo e cosa è bene e cosa è male. Nei film noir non sempre è possibile, perché a volte i cattivi non vengono puniti e i buoni muoiono, ma secondo me è questo il bello.”

Parlando di come il film si inserisce nell contemporaneità, pur lavorando su un genere e su degli omaggi al cinema di genere noir classico, il regista continua: “La contemporaneità del film è piuttosto evidente, ovunque guardi te ne accorgi. Proprio questo mi ha indotto a scegliere location che avessero un aspetto molto classico. Sarebbe bello se qualcuno, magari fra 10 anni, vedendo il film si domandasse in che epoca è ambientato. Magari Out of the Blue non darà l’illusione di essere stato girato negli anni ’40, ma nemmeno lo scorso anno. Prendete la biblioteca in cui Connor lavora. L’ho vista e ho pensato immediatamente: ‘Accidenti, dobbiamo venire qui a girare’. In realtà era una libreria, ma l’abbiamo trasformata in una biblioteca simile a quelle di una volta. Abbiamo insomma cercato luoghi che non avessero una connotazione temporale, perché a suggerire la contemporaneità della vicenda c’erano già diversi elementi: le automobili, per esempio.”

Presentato al 33° Noir in Festival, Out of the Blue sarà prossimamente su Sky e Now.

Neil Jordan: il genio d’Irlanda

Neil Jordan: il genio d’Irlanda

Neil Jordan è il cineasta sicuramente più famoso nella storia irlandese, il più eclettico e talentuoso. Quest’anno alla kermesse capitolina dedicata al cinema Irlandese, Irish Film Festa, tenutasi alla Casa del Cinema e diretta dall’esperta critica Susanna Pellis, si è parlato molto di questo grande regista e nello stesso giorno sono state proiettate due opere, quella che segna il suo esordio nel 1982, Angel e quella più recente, Ondine del 2009.

Non tutti sanno che Jordan è un romanziere prima che regista e bravissimo sceneggiatore. Debuttò nel cinema nel 1980, lavorando come consulente alla sceneggiatura di Excalibur di John Boorman e girando un minidocumentario su quel set: The Making of Excalibur – Myth into Movie. Quell’esperienza fu per lui una vera e propria scuola di cinema, dopo di essa, nonostante i suoi grandi dubbi e le paure di buttarsi sul cinema, decise di debuttare alla regia con Angel nel 1982. Un thriller che dimostra già una sorprendente maturità per un film di esordio. La storia racconta di un carismatico sassofonista (interpretato dal bravo Stephen Ray) che dopo aver assistito all’uccisione di una ragazza cade in un vortice di violenza inaudita, di vendetta crudele verso i responsabili. Si trasforma in una sorta di giustiziere in un Irlanda del Nord già ampliamente devastata dal conflitto tra cattolici e protestanti. Un film ricco di citazioni soprattutto del cinema italiano di Antonioni. Molte furono le critiche mosse dai cineasti irlandesi che non tolleravano che uno scrittore, al suo primo esordio nella regia, avesse ottenuto il sostegno economico del nascente Irish Film Board, a discapito di cineasti già lanciati.

Nonostante le polemiche Neil Jordan continuò a scrivere soggetti e a trasformarli in film: si fece notare con due discreti successi, In compagnia dei lupi (1984) singolare remake della favola di Cappuccetto Rosso, trasformata in un film a tratti erotico, a tratti horror e per la regia di Monalisa (1986) un film definito “il miglior noir del decennio” che è valso l’Oscar alla migliore interpretazione maschile di Bob Hoskins che veste i panni di George, un autista scriteriato che dopo sei anni di carcere, si ritiene un osso duro, mentre invece nasconde un’anima fragile e ingenua. Monalisa si tratta di un film appassionato, energico e veloce, ma, a detta di molti critici, sopravvalutato. Neil Jordan riuscì comunque nell’intento di far conoscere il cinema irlandese al mondo intero. Inoltre dopo Monalisa, Neil Jordan diventò un regista famoso oltre oceano e la sua prima parentesi hollywoodiana si inaugurò con il discutibile remake di Non siamo angeli (1989) per il quale scelse due grandissimi artisti: Robert De Niro e Sean Penn. Nel 1991 girò Un amore, forse due, film molto personale.

Poi, nel 1991 arrivò un premio molto atteso, l’Oscar per la sceneggiatura di The Crying game – La moglie del soldato. Il film, distribuito in Italia con un titolo che tradisce quello originale, che invece si rifaceva alla canzone di Boy George, ottenne un successo in tutto il mondo, di pubblico e di critica. Il primo grande successo irlandese. Il film racconta di Fergus (interpretato dall’immancabile Stephen Rea), un militante dell’IRA (Irish Republican Army) il quale, pur sembrando all’apparenza forte e violento, è in realtà un uomo capace di amare, tanto da affezionarsi al soldato inglese di colore che deve tenere in ostaggio e da promettergli, in punto di morte, di prendersi cura della fidanzata. All’interno del film, due sono i nuclei narrativi che procedono parallelamente fino a intrecciarsi nel finale: quello politico e quello erotico. Ma l’intento principale del film di Jordan è quello di trattare i personaggi e le situazioni da loro vissute, in maniera ambigua. Fergus e il soldato Jody, nel corso della storia, offrono di sé immagini differenti dalla loro essenza: Jody è, un inverosimile soldato inglese sia per il fisico che per il colore di pelle; Fergus in Ulster è un terrorista costretto a recitare la parte del duro. Ma l’ambiguità estrema la ritroviamo in Deal, interpretato dal vero travestito Jaye Davidson, che ebbe una nomination all’oscar come migliore attore non protagonista. Un personaggio intensamente erotico e ambiguo, capace di cambiare look a seconda delle situazioni, passando dalla femminilità più disinvolta alla mascolinità più compiuta. La moglie del soldato è dunque un film complesso e sfuggente, labirintico che fa percorrere allo spettatore un percorso che lo porterà ad accettare la scelta di Fergus di amare Deal, seppur per metà uomo. Nel 1994 durante la sua seconda parentesi hollywoodiana, Neil Jordan diresse Intervista col vampiro che però non convinse la critica, nonostante il cast d’eccezione tra cui Tom Cruise e Brad Pitt.

Nel 1996 fu la volta dell’epico Micheal Collins che vinse il Leone d’oro a Venezia, definito pietra miliare del cinema irlandese. Un film che impegnò Neil Jordan per tredici anni tra studi e sceneggiature riscritte. Racconta sette anni della breve e intensa esistenza di Michael Collins (1891-1922), discusso eroe dell’indipendenza irlandese, ucciso in un’imboscata da altri irlandesi. Michael Collins è un film di guerra, guerra civile, la più disperata e atroce delle guerre, raccontato evidentemente dalla parte di Collins e contro De Valera, che si finisce per odiare. Locations autentiche, una fotografia artistica mirabile che sfrutta ogni luce naturale e l’intensa interpretazione di un cast quasi completamente irlandese e con un finale accompagnato dall’indimenticabile voce di Sinead O’ Connor.

Neil Jordan sembra non fermarsi mai e nel 1997 vinse l’Orso d’Argento come miglior regista per l’inedito The Butcher Boy. Film simbolico e visionario che studia i moti dell’animo umano. Ambientato in una piccola città irlandese negli anni ‘60, segue l’infanzia di un ragazzino Francie Brady (Eamonn Owens – Magdalene) che non riuscirà a evadere dalle brutture della sua famiglia: il suicidio della madre, la morte del padre alcolizzato, la reclusione in riformatorio, l’abuso sessuale a opera di un sacerdote.

Cadrà inevitabilmente nella pazzia e nella violenza. L’intero film procede come una sorta di monologo interiore, stream of cosciusness dell’adulto Francie, conservando l’autenticità del romanzo di McCabe, dal quale è tratto. Il merito più grande di Jordan va però all’aspetto visuale che destabilizza, contrapponendo ironicamente la tradizionale purezza del paesaggio irlandese ai crescenti disturbi psichici del ragazzo (l’inquadratura di un incontaminato lago azzurro fra il verde delle colline viene all’improvviso sconvolta da un’esplosione nucleare). “Un realismo magico e malato al tempo stesso che sovverte l’immaginario irlandese più tradizionale e rappresenta la miglior risposta del regista a chi lo ha sempre considerato uno scrittore solo prestato al cinema o un cineasta troppo asservito al mercato”. Così lo definisce Susanna Pellis nel suo libro Breve storia del cinema irlandese.

Neil Jordan: il genio d’Irlanda

Nel 1999 girò In Dreams, thriller paranormale con Annette Bening e Robert Downey Jr. e, lo stesso anno, diresse la coppia Ralph Fiennes e Julianne Moore nella trasposizione del romanzo omonimo di Grahame Greene, Fine di una storia, vincendo un BAFTA per la migliore sceneggiatura. Con l’arrivo del nuovo millennio, Neil Jordan decise di sperimentare co-produzioni internazionali, coinvolgendo Canada, Francia, Irlanda e Gran Bretagna nella commedia Triplo gioco (2003), che raccoglie nel suo cast Nick Nolte e il regista Emir Kusturica.Tornò invece a parlare di ambiguità sessuale nel 2005 con Breakfast on Pluto, il cui protagonista è un ragazzo figlio del peccato, nato da una relazione sessuale tra un prete e sua madre, che decide di diventare donna.  Infine, la più recente opera cinematografica realizzata dal grande Jordan, è Ondine – Il segreto del mare. Una favola malinconica e irreale che racconta la storia di Syracuse (Colin Farrell), un pescatore irlandese noto a tutti gli abitanti del villaggio col soprannome di Circus per via del suo passato da alcolizzato. Circus è divorziato da un’alcolista con la quale ha concepito sua figlia Annie (Alison Barry), vincolata alla sedia a rotelle e a una macchina per la dialisi, a causa dei suoi problemi di salute. Un giorno Circus mentre pesca, trova impigliata nella sua rete una ragazza che si fa chiamare Ondine (Alicja Bachleda). La ragazza, non ricorda nulla di sé ma è spaventata e confusa. Gradualmente nasce una storia d’amore magica tra i due. In paese la chiamano la donna venuta dal mare e la figlia Annie è convinta che sia una Selkie, una creatura marina che abita le leggende scozzesi,una foca che,uscita dalle onde,perde il suo manto e lo seppellisce per restare sulla terraferma con l’uomo che ama. Naturalmente come in ogni favola, si palesa un cattivo che vuol portare via la bella Ondine e che causerà non poche deviazioni narrative. Il ritmo è lento e scandisce con calma gli argomenti, sospesi tra il reale e l’immaginario. Una favola quindi, che purtroppo alla fine ci riporta a una realtà fin troppo cruda e noir che scuote lo spettatore. Ottima la fotografia di Christopher Doyle che ritrae un paesaggio incontaminato, perfetto palcoscenico di storie fantastiche, di miti e leggende sotto il cielo d’Irlanda. Splendida anche la colonna sonora affidata alla straordinaria sonorità dei Sigur Ros.

In conclusione non posso non sostenere quanto sia carismatico questo regista visionario, intelligente e capace di coinvolgere lo spettatore nella profondità dei suoi sentimenti. Un regista che dovrebbe essere più famoso in Italia e nel mondo intero perché ha molto da insegnare ai cinefili che, come me, vorrebbero intraprendere questa strada.

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