Appena dopo The French
Connection (Il Braccio Violento della Legge,
1971) e il famosissimo The Exorcist
(L’Esorcista, 1973), William Friedkin
regalava al pubblico nel 1977 Sorcerer,
in Italia conosciuto con il nome Il Salario della Paura.
Da sempre considerato come uno dei suoi film minori, ma soltanto
perché all’epoca non fece tremare il botteghino, attraverso le sue
sfumature noir e con un’impronta da puro cinema d’avventura
racconta il viaggio di quattro uomini alla ricerca della
redenzione. Quattro anime in pena relegate in un oscuro e
puzzolente purgatorio chiamato Porvenir, un lurido villaggio
dell’America Centrale, il quale offre loro una possibilità di
riscatto: trasportare per 281 miglia (452 chilometri) lungo la
foresta selvaggia casse di dinamite impregnate di nitroglicerina,
dunque pronte ad esplodere alla minima vibrazione. Un inferno fatto
di fango e pioggia battente, di sacrificio e ponti pericolanti, di
criminali armati, di fato e di fortuna. A 38 anni di distanza
dall’uscita, lo Champs Elysées Film
Festival (dal 10 al 16 giugno) celebra il
regista americano dedicandogli un’intera retrospettiva e iniziando
proprio con la proiezione di Sorcerer, in
versione digitale e restaurata.

Il giovane festival nato del 2012
per volere di Sophie Dulac, che coinvolge i cinema
di una delle strade più suggestive del pianeta (gli Champs
Elysées di Parigi per l’appunto), celebra la cinematografia
franco-americana per un’intera settimana, ripescando film iconici
dal recente passato ma anche proponendo anteprime di prossima
uscita. Presidente di questa edizione 2015 l’attore
Jeremy Irons, che incontreremo il 15
giugno per un’interessante Masterclass. Nel frattempo a irrompere
nella sala 1 dell’UGC George V, dando ufficialmente il via alle
danze, è proprio William Friedkin, che introduce
Sorcerer con la verve che da sempre lo
contraddistingue: “Sono contento che siate qui stasera, state per
vedere un film al quale sono incredibilmente legato e che mi
rappresenta meglio di qualsiasi altra mia opera. So che dovrei
vederlo con voi ma l’ho visto tante di quelle volte… In fase di
montaggio all’epoca dell’uscita, poi in sala, adesso per la
restaurazione… Dunque me ne andrò a cena, se qualcuno vuole i miei
posti lì in quinta fila si senta libero di occuparli. Poi però
torno, potrete rivolgermi tutte le domande che vorrete, purché non
siano sporche.” Come dire, ottant’anni e sentirsi ancora un
ragazzino dentro, nello spirito, in barba al corpo che purtroppo
rende difficile anche salire pochi scalini.

Dunque abbiamo scoperto che
Il Salario della Paura rispecchia alla
perfezione l’anima di Friedkin, ma com’è possibile visto che si
tratta di un film in cui si ammazza per avarizia, si rapina, si
spara… “È vero ma non sono questi elementi che mi rappresentano in
modo materiale, sono le intenzioni. Stiamo parlando di un film
sulla vita e sul caos che la regola, perché è il fato che decide il
suo corso, noi non abbiamo controllo. È questo aspetto che mi
affascina. L’Esorcista affronta il mistero della fede mentre questo
è sul mistero del destino.” Effettivamente di caos all’interno di
Sorcerer ce n’è in quantità, i
protagonisti vengono messi davvero a dura prova dalla natura e
dagli eventi, e come ben potete immaginare all’epoca non esisteva
la grafica computerizzata, ogni cosa mostrata è stata creata
davveroe Friedkin ama sottolinearlo spesso: “Probabilmente è stato
il film più difficile da girare dopo The French
Connection. Un’inquadratura alla volta, una
lavorazione lentissima a causa delle pessime condizioni in cui si
girava. Per la scena del ponte eravamo costantemente sommersi
dall’acqua, per giorni interi è venuta giù per davvero
con la violenza che avete visto, per altri l’abbiamo ricreata
pescando l’acqua del fiume, ma eravamo sempre zuppi. Quasi tutta la
truppe si è ammalata, io stesso qualche settimana dopo la fine
delle riprese mi sono beccato la malaria perdendo
parecchi chili (“Tredici chili” grida dalla platea la moglie
Sherry Lansing, ex presidente della
Paramount). Molta gente mi chiede ‘Ma perché hai
continuato imperterrito, potevi abbandonare tutto’ ma beh, io
fondamentalmente sono pazzo.” Del resto è quel che diceva Beckett:
“Lasciatemi citare un poeta che amo alla follia, Samuel Beckett – a
proposito, se qualcuno non lo conosce può uscire adesso da quella
dannata porta. Lui diceva ‘Non posso andare avanti. Ci andrò’, io
sono esattamente così.”

Una testardaggine che ha creato un
mito in carne ossa, autore di una filmografia iconica capace
di restare ben salda nella memoria degli spettatori, ma c’è
qualche autore al quale Friedkin si è ispirato? “Sicuramente
Orson Welles ma anche i registi della Nuovelle
Vague francese: Jean Pierre Melville, Jean-Luc Godard,
Henri-Georges Clouzot, Alain Resnais, ovviamente
François Truffaut e molti altri. Questi
grandissimi artisti mi hanno anche insegnato quanto è importante
che sia il pubblico a dare un significato al finale di ogni film.
Prendete ad esempio Citizen Kane – sempre
a proposito, se qualcuno non ha visto Citizen Kane può
andare al diavolo subito – ha un finale assolutamente poetico e
intimo, ci fa capire quanto era importante per il protagonista
l’infanzia perduta, elemento nel quale ognuno di noi può rivedere
pezzi della sua vita e dare interpretazioni. Oppure prendete il
finale de I Quattrocento Colpi di
Truffaut, un solo frame cristallizzato che lascia allo spettatore
il merito di completare la storia.” Ma torniamo a
Sorcerer: in apertura abbiamo parlato di
una copia restaurata e digitalizzata ad opera di un talentuoso
studio di Marsiglia, davvero ben fatta e ripulita al meglio, ma
cosa pensa il regista di queste nuove tecnologie? Sente la mancanza
della pellicola? “Il 35mm non mi manca per niente, sono felice sia
finito il suo tempo. Invece amo alla follia le nuove camere
digitali, che infatti ho usato per Killer
Joe. Sono immediate, ti permettono di vedere subito
quello che hai girato, se la luce è a posto, se i fuochi e i colori
sono corretti. Al tempo di Sorcerer bisognava aspettare
settimane prima di vedere i risultati, addirittura in quel caso
dovevamo mandare le pellicole in Messico poiché non esistevano
laboratori nella Repubblica Dominicana. Cosa succedeva se dopo due
settimane ti ritornava fra le mani del materiale sbagliato, fuori
fuoco e con la luce sballata? Dovevi rigirare tutto di nuovo,
un’autentica follia.”

“Con il digitale è anche più facile
post-produrre e ottenere il risultato sperato, sei sicuro che ogni
copia in uscita sia uguale all’altra. Con il 35mm era un sogno, le
copie variavano a seconda dello sviluppo e il 90% usciva con colori
sbagliati, purtroppo finivano in sala così. Inoltre ad ogni
proiezione si raccoglievano polvere e graffi, tutti elementi che
finivano sullo schermo rovinando tutto. Molti appassionati hanno
sempre pensato che quella sporcizia fosse voluta, ma non era così.
All’uscita del Blu-ray di The French
Connection abbiamo ricevuto centinaia di lamentele a
causa della pulizia del film. La gente invocava i graffi e la
sporcizia che noi avevamo ‘irrispettosamente tolto’ ma ecco, quegli
elementi di disturbo non facevano parte dell’opera originale.
Sinceramente non vedevo l’ora di sbarazzarmene. Se qualcuno vi dice
con nostalgia che il 35mm era la sola forma di cinema pura, beh sta
dicendo una grande stronzata.” Lunga vita alla pulizia digitale
dunque, sarà forse il caso di restaurare e ripulire anche altre sue
vecchie pellicole signor Friedkin? “Santo cielo, non posso passare
la vita a restaurare vecchi film, voglio farne di
nuovi.” Proprio le parole che volevamo sentire.