In un’atmosfera divertita e
scanzonata, Wes Anderson, in compagnia del fido
Jason Schwartzman e dell’amico produttore
Roman Coppola, presenta, in anteprima assoluta per
il Festival del Cinema di Roma 2013, il suo cortometraggio
Castello Cavalcanti. Si tratta di un
piccolo film, prodotto da Prada, dove un pilota (Jason
Schwartzman), durante una corsa automobilistica negli anni
cinquanta, rimane bloccato in un paesino italiano dopo un rovinoso
incidente con la sua auto, finita contro la statua della piazza
principale. Chiacchierando con gli abitanti del paese, tra un
bicchierino di liquore e un piatto di spaghetti, il pilota ritrova
le sue lontane origini dimenticate e nasce in lui la voglia di
rimanere ancora un po’ di tempo tra quelle persone in apparenza
così diverse da lui.
Anderson racconta che l’idea del
corto era nella sua testa da parecchio tempo e che proviene da
suggestioni avute insieme a Schwartzman dopo una visione di
Amarcord di Federico
Fellini, nonchè dall’ammirazione sconfinata per il vecchio
cinema italiano. Questo si avverte subito dopo pochi secondi di
visione ed è volutamente supportato da una selezione di brani
musicali provenienti proprio da quelle pellicole. Si dichiara
grande estimatore del cinema di Germi e si emoziona, quando dal
pubblico gli viene fatto notare che uno di quei brani inseriti
proviene proprio da un film del grande regista italiano. Afferma
inoltre innamorato di Cinecittà, che aveva avuto modo di conoscere
bene durante le riprese di uno dei suoi primi film.
In Castello
Cavalcanti si riconosce indubbiamente la mano e la
cifra stilistica di Wes Anderson, regista di
capolavori come Rushmore,I Tenenbaum, Le
avventure acquatiche di Steve Zissou, Il treno per il Darjeeling,
Fantastic Mr. Fox e Moonrise
Kingdom anche se siamo lontani dallo stato di grazia
che aveva raggiunto con il cortometraggio Hotel
Chevalier. Il film è comunque godibile e padroneggiato
con istrionismo dal bravo Jason Schwartzman, ormai
divenuto l’alter ego del regista sullo schermo. Anderson
dice di essere molto legato al maldestro pilota protagonista, tanto
da ipotizzare la voglia di realizzare altri cortometraggi che lo
vedano coinvolto in gare automobilistiche e relative piccole
avventure in altre città in giro per il mondo, e Schwartzman
naturalmente approva, dichiarandosi subito pronto ad imbarcarsi
nell’impresa.
Roman Coppola si
aggiunge nella conversazione rafforzando la dichiarazione d’amore
verso il vecchio cinema italiano. I tre, incalzati dal pubblico che
reclama una loro considerazione sul nostro cinema più recente,
nominano anche autori contemporanei come Sorrentino, Garrone,
Guadagnino e Moretti.
Wes Anderson si
lascia andare inoltre in qualche piccola anticipazione del suo
nuovo film The Grand Budapest Hotel, la
storia di un portiere di un lussuoso hotel nel cuore della vecchia
europa negli anni trenta, girato in Germania e in Polonia e ricco
di suggestioni musicali provenienti dai paesi dell’est, che saranno
magicamente orchestrate nella colonna sonora da Alexandre
Desplat, già suo collaboratore nel precedente
Moonrise Kingdom.
Anderson, Schwartzman e Coppola
rispondono poi a numerose domande del pubblico, spaziando dal
cinema in 3D all’animazione e ai film per ragazzi, dal lavoro sullo
script a quattro mani alla ipotetica quanto improbabile
collaborazione con Sofia Coppola, riguardo alla quale Anderson si
defila elegantemente dicendo che lei è autosufficiente e non si
sognerebbe mai di chiedere collaborazione a lui.
Castello
Cavalcanti è visibile sulla pagina youtube di
Prada.
Questo pomeriggio presso la Sala
Petrassi dell’Auditorium del Parco della Musica, si è tenuta la
conferenza stampa di Gods Behaving Badley, film Fuori
concorso di Marc Turtletaub. In sala era presente il regista
e il produttore Peter Saraf.
Una carriera di produttore molto
consolidata, sono curiosa di sapere in questo progetto cosa ti ha
incuriosito? Marc Turtletaub: Avevo letto il libro di Marie
Phillips e avevo pensato di lavorare nella regia. Avevo
lavorato ad un corto metraggio qualche anno fa e mi è piaciuta
moltissimo l’esperienza e cercavo una bella storia con cui esordire
nel cinema. Ho letto le prime tre pagine del libro e ho detto è
questo.
Mi interessa il modo in
cui è cambiata la dinamica operativa tra voi due, dato che sono
anni che lavorate insieme in qualità di produttori. M.T.: La dinamica tra noi due è cambiata poiché in quanto
regista devo ascoltare Peter un po’ di più, fa un lavoro
straordinario e da molti più anni di me, in quanto regista ho
potuto ascoltarlo in un modio che come co-produttore non sarebbe
stato lo stesso.
Peter è un film che ha molta
ambizione, ci sono state delle sfide particolari per portarlo sullo
schermo? Peter Saraf: Certamente è un film ambizioso in termini di
dimensioni della storia, poiché si crea tutto un altro mondo.
Quindi Mark e io dovevamo creare un mondo realistico di New York e
contemporaneamente ci sono questi personaggi di dimensioni fuori
misura che vivono in questa realtà e in mezzo ai mortali. E poi
dovevamo creare quest’altro mondo complementare degli inferi, però
penso che la sfida più grande era da gestire questo cast enorme di
attori straordinari con tutte queste storie che si intrecciano.
Mark come primo film si è preso un progetto molto impegnativo.
Ti ha messo un po’ paura questa
storia? Infondo viene da un libro molto letto. M.T.:
L’autrice del libro ha passato del tempo sul set mentre giravamo e
quando ha cominciato a vedere un po’ del girato mi ha detto “hai
catturato l’essenza del libro e la storia nel senso letterale”
è stato difficile gestire questo
cast stellare? M.T.: Si è stato impegnativo in certi momenti in
particolare, quando abbiamo girato per sei giorni e notti di fila
in quanto molti di questi famosi attori erano impegnati solo per
una piccola parte della sera, magari dovevamo vederci alle tre del
mattino e chiedere a Sharon Stone di scendere sul set per un
ora, oppure chiederlo a Christopher Walken. Abbiamo cercato
di gestire la faccenda nel migliore dei modi possibili. Quello che
ho imparato è che con ogni attore ti devi rapportare in maniera
differente, devi dirigere ognuno in maniera differente. Per esempio
Christopher Walken deve avere tutte le sue battute pronte
con molte settimane di anticipo e nessuna variazione in maniera
tale che può fare tutte le sue prove, poi quando è sul set è
disposto a cambiare una parola o due. Mentre John Turturro e
Rosie Perez che hanno lavorato molto insieme, immediatamente
vengono sul set e cominciano ad improvvisare e se vuoi tirare il
meglio da loro ti devi levare di mezzo e lasciarli fare. Con ogni
attore devi trovare quella chiave.
Avendo lavorato anche nella
sceneggiatura avevi già in mente qualche attore? M.T.: No non ne avevo qualcuno in particolare, quando ho
finito di scrivere Peter e io e la nostra direttrice del cast ci
siamo seduti e abbiamo cominciato a dire “chi sarebbero degli Dèi
contemporanei?” Ovviamente le stelle del cinema ma quelle “più
stelle di tutte” e quindi di una certa età, perché gli Dèi dovevano
essere un pochino invecchiati, la storia lo richiedeva, quindi Zeus
non poteva essere un ragazzo di 25anni, ma un signore un po’
invecchiato e da lì è nata l’idea di Christopher Walken, e
poi gli altri a seguire…e tutti mi hanno detto di si.
Mi chiedevo se è stato difficile
collocare delle figure mitologiche come gli Dèi a New York e nel
mondo contemporaneo? E lei come si è preparato? M.T:
Nel libro vediamo che questi Dèi stanno diventando umani, per
questo non li abbiamo ripresi con qualcosa di sfavillante, o con
una luce particolare. Ho pensato di scriverli come persone
qualsiasi, che si comportano peggio delle persone normali. In cui
il morale della storia è che gli Dèi assomigliano ai mortali ed
imparano la lezione dai mortali, e di cose si ha bisogno l’uni
degli altri.
Attraverso questo staff si è
cercato di segnare un certo tipo di Hollywood e c’è qualche critica
allo star system? M.T.: Un pensiero molto interessante, ma non era mia
intenzione io volevo fare più osservazioni sulla società, sui
difetti e manie, come l’avidità, l’egoismo, però esagerati e
caricati. Più che una critica a Hollywood è una critica all’intera
società. E questi personaggi fuori misura, potevano interpretarli
solo delle icone come loro.
Sesto giorno è anche il giorno di uno degli incontri più attesi
del Festival di Roma 2013. L’ottava
edizione dell’evento diretto da Marco Muller,
al secondo anno al timone della kermesse capitolina ha accolto
nella bellissima cornice dell’Auditorium il trio delle meraviglie
composto da Roman Coppola, Jason Schwartzman
e Wes Anderson. Ecco la nostra intervista sul red
carpet.
Continuano gli annunci da parte
della Warner Bros che si sta dimostrando
particolarmente attiva in questo periodo dell’anno. Dopo l’annuncio
di un nuovo film dedicato alla fiaba di Peter Pan
(qui potete trovare la notiza), è
stato ufficializzato l’arrivo di Rupert
Sanders (Biancaneve E IlCacciatore) chiamato a
dirigere Napoleon.
Napoleonsarà un
biopic dedicato alla figura dell’omonimo Imperatore francese, una
delle più influenti figure storiche che da sempre ha attratto
cinema, televisione e letteratura, recente è infatti l’annuncio
della prossima realizzazione di una serie prodotta
da Steven Spielberg ed ispirata
al Napoleonche Stanley
Kubrick desiderava realizzare (qui per ulteriori
informazioni).
La sceneggiatura, ad opera
di Jeremy Doner (The
Killing), descriverà Napoleone attraverso uno
sguardo alla Scarface, alludendo
così ad una lettura quanto mai cruda della vita dello storico
Generale francese. Nessun ulteriore dettaglio, tuttavia, è stato
rivelato circa l’inizio delle riprese, il casting o la data di
rilascio prevista.
Restando sintonizzati in attesa di
ulteriori novità vi informiamo che Rupert
Sanders è attualmente impegnato alla lavorazione
di 90 Church, film su di una matricola del
New York Bureau of Federal Narcotics Enforcement ambientato negli
anni 60, ed in The Kill List,
adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo
di Frederik Forsyth.
Ancor prima di cominciare a prendere
forma, per il sequel di Indipendence
Dayè già giunta una cattiva notizia.
La 20th Century Fox ha infatti deciso di
posticipare la data di rilascio del film dal 3 luglio 2015 al 1
luglio 2016.
Si tratta di un ritardo, questo, che
potrebbe non stupire i ben informati in quanto la produzione del
film è ancora avvolta da una nebbia di numerosi interrogativi. Se è
certo che dietro la macchina da presa prenderà posto ancora una
volta Roland Emmerich, già regista del primo
episodio nel lontano 1996, ancora non è noto, invece,
se Will Smith tornerà ad affrontare le
navicelle aliene a quasi 20 anni di distanza da quando, coadiuvato
da Jeff Goldblum, si lanciò all’attacco della
Nave Madre.
Le uniche notizie che al momento si
hanno del film ci sono giunte direttamente dalla voce
di Roland Emmerich, il quale ha annunciato
che la trama prenderà luogo a 20 anni di distanza dagli eventi del
primo film e vedrà coinvolti in prima linea i figli dei precedenti
protagonisti. Il regista si è detto poi disposto a lavorare
addirittura su di un terzo episodio qualora lo voglia il pubblico.
Unico nome finora accostato al film è quello
di Michael B. Jordan (leggi qui la notizia).
In attesa del rilascio dei primi
video ufficiali di Noah,
kolossal biblico diretto da Darren Aronofsky, in
cui Russel Crow vestirà la tunica di Noé,
grazie ad Entertainment Tonight ci è possibile osservare uno sneek
peek del trailer ufficiale.
In Noahsarà
raccontata l’impresa di Noé (Russel Crow) figura
biblica chiamata dal Signore a costruire un Arca all’interno della
quale gli sarà concesso di salvare da un’alluvione purificatrice,
che sterminerà l’umanità, la propria famiglia ed una coppia per
ogni animale al fine di ripopolare la terra.
Oltre a Russel
Crow il cast prevede star internazionali di primo livello
quali: Anthony Hopkins, Emma
Watson, Jennifer
Connelly, Logan
Lerman e Ray Winstone. Il film
è previsto nelle sale americane il 28 marzo
2014.
Il Premio alla Carriera 2013 al Festival del
Film di Roma è stato assegnato ad Aleksej Jurevič
German. E’ la prima volta che nel circuito dei Festival
europei viene assegnato postumo un premio del genere.
A ritirare il Premio e a rispondere alle domande della stampa
sono arrivati a Roma la vedova e compagna di vita del regista russo
Svetlana Karmalita , il figlio e Leone D’oro per
la Miglior Regia a Venezia nel 2008 Aleksei German
Jr. , l’attore protagonista Leonid
Yarmolnik , il direttore della fotografia
Yuri Klimenko e i
produttori Viktor Izvekov e Rushan
Nasibulin.
Ha dato il via nella celebrazione di German il Direttore
Artistico del Festival, Marco Muller che ha
affermato : “Stavamo discutendo da tanto tempo con questo
gigante del cinema riguardo ad un riconoscimento perché era
da tanto che avremmo voluto celebrare il suo talento, e purtroppo
non siamo riusciti a farlo in precedenza. Ma siamo orgogliosi di
presentare oggi la prima mondiale di Hard To Be A
God, perchè come disse in un intervista il regista e
critico cinematografico francese Gilles Jacob
alla domanda ‘Esiste un film ancora nascosto che potrebbe
cambiare la nostra percezione del cinema?’ lui rispose proprio ‘
Hard to be a God di German’.”
Svetlana Karmalita racconta poi della lunga
lavorazione del film : “I tempi erano diversi, noi ci siamo
conosciuti durante l’invasione russa della Cecoslovacchia e c’era
tanta censura sui suoi progetti, quindi non era libero di poter
fare tutto quel che voleva. Nel 1998 Aleksej pensava che
“Chrustalev, la macchina!” sarebbe stato il suo ultimo film, invece
appena finito decise di riprendere in mano l’idea di fare un film
tratto dal romanzo dei Fratelli Strugackij.”
e Yuri Klimenko continua “Nel
Febbraio del ’99 rimettemmo mano al progetto, nel Marzo del 200
iniziammo le riprese e le finimmo solo dell’Agosto 2006. Dal 2006
in poi abbiamo lavorato sul montaggio e sul suono, e Aleksej già
stava male e stava subendo diverse operazioni. Noi ci
abbiamo messo l’anima in questo film, inteso in senso lato, lui
invece ci ha messo il cuore anche in senso
fisico.”
“Questo è stato un lavoro molto lungo, ma devo dire che è
stato un lavoro felice. Per tutta la vita mi ricorderò di questo
progetto, perchè dopo poco ho iniziato ad appassionarmi ad esso per
tutti gli aspetti del processo. German ci ha regalato
l’eternità : un film per tutti i tempi. Ogni generazione
non capisce che è impossibile rifare una civiltà, è senza senso
provarci. Ma proprio per questo è un tema eterno.”
commenta Leonid Yarmolnik, protagonista
di Hard To Be a God, un film il cui processo creativo è durato
oltre i 14 anni , “Sono estremamente fiero di aver lavorato a
questo film, e di aver fatto parte di questo gruppo di persone che
ha lavorato con un coraggio enorme. Dimostrano che un cinema privo
di compromessi può esistere.”
Alksej German Jr. da nuovo regista promettente
della scena russa parla del suo legame con il film : “Non ho
mai assistito alle riprese, ma ho visto soprattutto la fatica e gli
sforzi che mio padre metteva in questo lavoro. Lui era totalmente
immerso nell’arte. ” e conclude, “Hard To
Be a God è una sfida al cinema, nella forma in cui esiste
adesso.”
È stato presentato oggi al
Festival Internazionale del Film di Roma
2013 il film Il Paradiso degli
Orchi, diretto da Nicolas Bary. Il
film è tratto dall’omonimo libro scritto da Daniel
Pennac, appartenente al cosiddetto ciclo di
Malaussène.
Daniel Pennac era
presente alla conferenza stampa del film. A lui
sono state rivolte diverse domande, la prima delle quali
riguardante la trasposizione in immagini del suo romanzo e se lo
scrittore si fosse sentito tradito o meno da questa operazione:
“Non ho avuto la sensazione di
essere tradito, anche perché non mi aspettavo né fedeltà né
tradimento. Nelle copertine dei miei libri, Malaussène è sempre
rappresentato di spalle, per cui il regista aveva qui tutta la
libertà per agire nel modo che preferiva. Forse il libro è più
noir, il film lo è meno. Ma Bary è riuscito a rendere i rapporti
familiari in modo eccellente”.
Un’altra domanda a
Pennac, ha chiesto quali fossero oggi gli “orchi”
con i quali dobbiamo vedercela:
“Gli orchi di oggi sono gli
stessi di una volta, quelli dei miei tempi, solo che oggi hanno
ancora più fame. Nella prima metà del Novecento abbiamo avuto tanti
giganteschi orchi politici, i vari dittatori ad esempio. In Francia
invece abbiamo avuto solo orchi minori, che mangiavano i resti.
Oggi gli orchi non hanno neanche più bisogno del contesto politico,
hanno una bella faccia in superficie ma poi fanno guerre
sotterranee”.
Pennac ha chiuso la conferenza
spiegando da quali fonti prendesse spunto per creare i personaggi
dei suoi romanzi:
“Le mie fonti sono molteplici
vengono da tanti mondi diversi, non solo dalla letteratura. Posso
dire, per esempio, che il personaggio del capro espiatorio mi è
venuto in mente grazie al filosofo René
Girard”.
Anche per l’Old
Boy secondo Spike Lee è stato
momento di presentazione alla stampa. Si è infatti tenuta a New
York, nella serata di lunedì, la premiere dell’ultimo film del
regista afroamericano, remake dell’omonima pellicola del 2003
firmata Park Chan-Wook.
Al termine della proiezione, in un
incontro con i presenti, regista, produttore e cast si sono
dilungati circa le differenze che si evidenziano fra questo
rifacimento e l’originale.
Secondo lo
scrittore Mark Protosevich, le maggiori
differenze sono ravvisabili nelle differenze culturali alla base
delle pellicole:
“La storia di base è la stessa,
ma ci sono alcuni aspetti culturali dell’originale che sentivo
appartenessero molto al suo contesto culturale, ed io sono stato
molto attento nel realizzare un film che avesse una prospettiva
propriamente occidentale. C’erano alcuni elementi che erano molto
stilizzati nell’originale e penso che abbiamo cercato di renderli
più ‘reali’, o almeno era questa la mia intenzione, di renderlo più
semplice. Quindi si è cercato di catturare lo spirito e la storia
dell’originale cercando di renderlo il più nostro
possibile”.
Peter Schlessel,
produttore del film, ha definito così il lavoro svolto:
“Pensiamo che sia qualcosa di
veramente diverso ed unico, ciò che cerchiamo sempre di fare alla
FilmDistrict. Penso che Spike lo abbia portato (il film ndr) verso
una nuova direzione, non è un semplice remake in serie, ma ci ha
aggiunto il proprio marchio di ‘Spikeness'”.
Samuel L. Jackson,
che nel film interpreta Chaney, ha sostenuto di essere grato
a Spike Lee per avergli lasciato la libertà
di poter caratterizzare il personaggio secondo la propria chiave di
lettura, permettendogli di utilizzare il proprio background di
attore senza limitarlo.
Nel finale,
Protosevich ha svelato un retroscena, sostenendo che
deve la sua partecipazione al film unicamente a Will
Smith con cui aveva collaborato in Io Sono
Leggenda e che inizialmente avrebbe dovuto prendere parte
alla pellicola. Fu lo stesso Smith, infatti,
a contattare lo scrittore per convincerlo a lavorare allo script
di Old Boy.
Il film, seguendo le linee guida
dell’originale, presenta come protagonista Joe Ducett (Josh
Brolin), un pubblicitario che, dopo essere stato
inspiegabilmente rapito e tenuto segregato per oltre 20 anni, viene
rilasciato senza alcun motivo, così come la sua prigionia era
iniziata. A seguito di questo avvenimento Ducett avrà un solo
scopo, trovare il motivo e la persona che ha deciso di giocare in
quel modo con la sua vita.
Il film è in attesa nelle sale per
il 27 novembre. Nel cast Josh
Brolin, Elizabeth Olsen, Sharlto Copley,
Samuel L. Jackson e James
Ransone.
Dall’Umbria a Milano per cercare di
salvare la vita a suo figlio. Questa è la storia comune eppure
straordinaria di Antonio in I Corpi Estranei, che
da un paesino nella regione del Centro Italia viaggia in macchina
con suo figlio fino a Milano, dove spera di trovare una cura per la
forma di tumore da cui è affetto il bambino. Il reparto di
oncoematologia pediatrica in cui Antonio si trasferirà
provvisoriamente per essere vicino al suo piccolo che deve subire
una grave operazione si trasforma in un microcosmo, in cui genitori
e famiglie terrorizzati cercano di farsi reciprocamente coraggio
per affrontare una prova durissima. Con Antonio ci sono molti altri
genitori, anche di origina araba, che il nostro protagonista guarda
con occhio diffidente e poco favorevole. Questi “corpi estranei”
pregano rumorosamente, accendono incensi, tutte cose che lo stesso
Antonio non comprende e che non gli appartengono. Tuttavia
osservare quella cultura così strana per lui lo fa in qualche modo
avvicinare alle sue tradizioni, e così comincia a frequentare la
cappella dell’ospedale e a provare a ricordare le parole delle
preghiere che gli hanno insegnato da piccolo. La sua ritrosia
troverà uno scoglio molto duro da affrontare in un giovane che
si trova in ospedale per assistere il suo fratellino
malato.
I Corpi Estranei, il film
Mirko Locatelli
con I Corpi Estranei ci racconta una storia di
dolori condivisi tra persone che sembrano non avere nulla in
comune; lo fa con tatto e discrezione, con pudore, appoggiandosi su
uno straordinario Filippo Timi che cerca sempre in tutti i suoi
ruoli, dettagli e interpretazioni che possano mettere alla prova la
sua arte. Pur offrendo una buona prova in un ruolo molto difficile,
Timi non basta a fare del film un buon lavoro. I Corpi
Estranei sembra più una rappresentazione della
staticità, in cui c’è pochissimo spazio per i rapporti
interpersonali che ci aspettiamo più fitti in un microcosmo in cui
coabitano persone che condividono dolori e fragilità così
profonde.
La regia sta addosso al nostro
protagonista, ripreso nei momenti lenti e noiosi, tutti uguali, che
compongono le sue giornate in ospedale. Inquadrature mosse che
pedinano il personaggio e cercano di renderci partecipi della sua
situazione: ma il tentativo resta vano e I Corpi
Estranei, pur avendo un nobile proposito, non riesce
a chiarificarlo sullo schermo con chiarezza. Il film è stato
presentato in Concorso all’ottava edizione del Festival
Internazionale del Film di Roma.
Nel sesto giorno del
Festival del Cinema di Roma sono stati
presentati nella categoria In Concorso Blue Sky
Bones di Cui Jian con Zhao Youliang, Ni Hongjie, Yin
Fang, Huang Xuan, Huang Huan, Guo Jinglin, Lei Han e Tao Ye. E
Seventh Code di Kiyoshi Kurosawa con
Atsuko Maeda, Ryohei Suzuki, Aissy, Hiroshi Yamamoto. Mentre nella
categoria Fuori Concorso Il paradiso degli
orchi di Nicolas Bary con Raphaël Personnaz,
Bérénice Bejo, Émir Kusturica, Guillame De Tonquédec, Thierry
Neuvic e con la straordinaria partecipazione di Isabelle
Huppert.
Non sembra trovar pace
l’adattamento cinematografico del celebre
bestsellers 50
Sfumature Di Grigio, numerosi sono infatti gli imprevisti che
stanno rendendo sempre più difficoltosa la produzione del film
tanto atteso dai fan della trilogia.
Dopo le notizie circa lo
slittamento delle riprese da inizio novembre ai primi di dicembre
(qui le news) per permettere allo
sceneggiatore Mark Bomback di
rimaneggiare uno script non del tutto convincente, è di giornata
l’annuncio della Universal Picture con
cui è stato annunciato un ritardo nella pubblicazione della
pellicola. Previsto inizialmente nelle sale per il 1 agosto
2014, 50 Sfumature Di
Grigioapproderà nelle sale
solo il 13 febbraio 2015. Secondo quanto
evidenziato sulle pagine di EntertainmentWeekly, dietro questa decisione si nasconde la
volontà della produzione di inserirlo un periodo ritenuto
commercialmente più favorevole, San Valentino, per un film il
cui target è prevalentemente femminile.
Qui di seguito le parole di
Donna Langley,
presidente della Universal: “Noi
vediamo questo film come un evento globale, la forza di questo
libro è mondiale, dunque vogliamo fare profitto anche da quelle
donne che in Europa nel mese di agosto saranno in vacanza con le
loro famiglie”.
Dunque una strategia abbastanza
evidente quella dietro la scelta
della Universal che, semplicemente ritardando
di qualche mese l’uscita del film, ha in mente di amplificare il
bacino di utenza che in estate si sarebbe dimostrato
inevitabilmente più ristretto.
Ricordiamo che 50
Sfumature Di Grigiosarà
diretto da Sam Taylor-Johnson e vedrà
impegnati nei ruoli di Anastasia Steele e Christian Grey
rispettivamente Dakota
Johnson e Jamie Dornan.
Il regista
Andrei Gruzsniczki,dopo il suo esordio alla
regia Cealalta Irina, premiatissimo
nei festival di mezzo mondo, arriva in Concorso al Festival di Roma
2013 con Quod Erat Demonstrandum,
una storia che, ambientata negli anni ’80 in Romania, si muove in
bilico tra pubblico e privato, tra Grande Storia e intimità
domestica, creando un ritratto composito e contraddittori del
Regime di quegli anni nell’Est dell’Europa.
Il protagonista, un matematico
accademico, decide di pubblicare un articolo su una rivista
scientifica statunitense, evento che ovviamente non viene visto di
buon occhio dal Partito. Eppure le intenzioni del matematico erano
quelle di rimanere fuori dalla vita politica del paese, cercando un
lavoro che gli consentisse di approfondire i suoi studi, che lui
vive con estrema e coinvolgente passione. Alla sua storia si
intreccia quella di Elena, una assistente all’Università in cui
insegna Sorin (il matematico), e sua grande amica dai tempi della
scuola. La pubblicazione di Sorin scatenerà conseguenze
inimmaginabili, cambiando per sempre il destino e le vite dei suoi
amici.
Gruzsniczki si addentra in una
storia complessa che ci mette davanti i dilemmi fondativi della
società umana, a partire dalla convivenza sociale dell’animale
uomo, fino all’amore e ai legami di amicizia che legano questa
società e la tengono insieme.
Il film, caratterizzato da una regia
molto classica ed elegante e da una fotografia in bianco e nero con
morbidi grigi e poche ombre, è quindi un viaggio all’interno della
società che viveva sotto il comunismo e che cercava di farsi andar
bene lo stato delle cose, ma allo stesso tempo è un film che
racconta la vita di un uomo controcorrente, che si trova a fare i
conti con scelte individuali importanti e con il tradimento di
ideali ai quali deve aderire ma che non sente suoi.
L’ambientazione sovietica del film
sembra essere però quasi un pretesto, in quanto sembra che
l’intenzione non sia quella critica, ma quella di mettere in
determinate condizioni di difficoltà e urgenza i personaggi, che di
conseguenza agiscono costretti dalle situazioni.
Quod Erat
Demonstrandum è un film che ai molti pregi accosta
anche un rallentamento del ritmo dovuto alla lunghezza forse
eccessiva. Buonissima prova danno gli attori (Ofelia Popii,
Sorin Leoveanu, Florin Piersic Jr., Virgil Ogășanu, Tora
Vasilescu trai protagonisti) che riescono a farci
interessare ad una vicenda con un sapore antico che potrebbe
scoraggiare lo spettatore medio.
Il Paradiso degli
orchi di Nicolas Bary è
stato presentato al Festival Internazionale del Film di
Roma 2013 nella categoria “fuori concorso”.
Benjamin Malaussène (Raphael
Personnaz) di professione fa il capro espiatorio. Lavora
ai grandi magazzini e si prende tutti i rimproveri dall’ufficio
reclami, con la speranza che il cliente, dopo un acquisto non
andato a buon fine, si impietosisca e non sporga denuncia. Vive con
una bizzarra famiglia di fratellastri e sorellastre a cui deve
badare. Una donna dai capelli rossi, zia Julia (Bérénice
Bejo) e una serie di incidenti…esplosivi sul luogo di
lavoro, lo porteranno ad essere l’indiziato numero 1 di una serie
di omicidi, tanto per aggiungere un tocco in più ad una vita già
abbastanza complicata.
Tratto dall’omonimo libro
appartenente al cosiddetto ciclo
di Malaussène, scritto da Daniel
Pennac, Il Paradiso degli
orchisi impegna a conservare le atmosfere
del romanzo e lo fa parlare con le immagini. Pur con le dovute
modifiche d’adattamento, specie nel numero dei personaggi,
l’intenzione di voler rimanere fedeli all’alone generale che
circonda il libro di Pennac è chiara.
È difficile non amare il
personaggio di Malaussène. Un capro espiatorio sul lavoro e anche,
non volendo, nella vita: per quanto possa impegnarsi, è sempre
colpa sua. Il montaggio del film è frenetico, instancabile, come a
sottolineare che per il protagonista non c’è mai pace. Tranne
in alcuni momenti, attimi di tregua dove tutto diventa diverso. I
racconti inventati che offre ai suoi fratellastri ne sono un
esempio, evasione dalla realtà per toccare le vette della fantasia.
E in questi momenti si può essere qualunque cosa, dall’eroe senza
macchia e senza paura, all’inventore di storie, fino ad arrivare a
interloquire con una giraffa che prende vita.
Una commedia divertente e
umoristica, tra dialoghi frizzanti e un ritmo rapidissimo. Il tutto
rinchiuso in una cornice che avvolge uno scenario vivace e
colorato. C’è un odore di leggerezza che permane durante tutto il
film, appena un gradino sotto il confine tra realtà e fantasia.
Menzione speciale per il personaggio
di Stojil, interpretato da Emir
Kusturica. Esce domani 14 Novembre
nelle sale italiane.
La nostra foto gallery del Festival:
[nggallery id=325]
Nel corso
dell’ American Film Institute
Festival ha avuto luogo la premiere di
Lone
Survivor, film diretto da Peter
Berg che vede come protagonista Mark
Wahlberg. Al termine della presentazione è stato lo stesso
attore a prendere la parola, ma non ha voluto fare alcun commento
al film o al ruolo da lui interpretato, queste le sue parole:
“Non sono in una buona
posizione per poter parlare di qualsiasi cosa. Per noi attori
sarebbe così falso parlare di cosa abbiamo passato su quella
montagna considerando cosa hanno fatto e cosa hanno vissuto questi
ragazzi (i Navy SEAL ndr)”.
L’attore, incalzato poi circa la
sua esperienza nel film da Jacqueline Lyanga
(direttrice del festival), in una stato di visibile alterazione ed
emozione ha sostenuto l’inutilità di stare lì a parlare circa la
fatica sostenuta durante il lavoro di preparazione al ruolo o nel
corso delle riprese poiché ciò che ha fatto non è nemmeno
paragonabile a quanto hanno patito realmente i Navy SEAL trai i
monti dell’Hindu Kush.
Wahlberg ha
poi aggiunto di essere fiero del suo ruolo nel film, seppure alla
base dello stesso ci sia molto di più di quanto egli abbia fatto,
facendo un ovvio riferimento alla tragedia a cui la pellicola si
ispira.
In chiusura, l’attore ha dichiarato
di non voler rispondere ad ulteriori domande, scusandosi con i
presenti per aver perso le staffe.
Lone
Survivorarriverà nelle sale
americane il 27 dicembre per una prima distribuzione limitata,
successivamente sarà distribuito in tutto il territorio a partire
dal 10 gennaio. Nel film oltre Mark Whalberg
compaiono anche Eric
Bana, Taylor
Kitsch, Emile Hirsch, Ben
Foster ed Alexander Ludwig.
Ecco il primo trailer italiano di
Maleficent, l’ultimo adattamento Disney
della fiaba de La Bella Addormentata nel Bosco, in cui
Angelina Jolie interpreta la strega nemica della
principessa Aurora (Elle Fanning).
Disney
presenta Maleficent, la storia mai raccontata di una
delle più amate cattive delle favole Disney, tratta dal classico
del 1959 La bella addormentata nel bosco.
Malefica, una bella e giovane donna dal cuore puro, vive una vita
idilliaca immersa nella pace della foresta del regno, fino a
quando, un giorno, un esercito di invasori minaccia l’armonia di
quei luoghi. Malefica diventa la più fiera protettrice delle sue
terre, ma rimane vittima di uno spietato tradimento ed è a questo
punto che il suo cuore puro comincia a tramutarsi in pietra. Decisa
a vendicarsi, Malefica affronta una battaglia epica contro il
successore del re invasore e, alla fine, lancia una maledizione
contro la piccola Aurora. Quando la bambina cresce, Malefica
capisce che Aurora rappresenta la chiave per riportare la pace nel
regno e, forse, per far trovare anche a lei la vera felicità.
La Walt
Disney ha svelato in esclusiva la nuova sinossi
ufficiale di Maleficent, la nuova
pellicola fantasy che segnerà il ritorno sul grande schermo del
premio Oscar Angelina Jolie. Eccola, di
seguito:
“Maleficent racconterà la storia
di una delle villain più amate dell’universo Disney, antagonista
della favola La bella addormentata nel bosco del 1959. Affascinante
donna dal cuore gentile, la bellissima Maleficent ha vissuto a
lungo in un bosco incantato circondata da pace e armonia, fino a
quando un squadra di invasori non ha messo a repentaglio la
tranquillità del suo regno. Maleficent si trasforma così nella più
cattiva guardiana del suo universo, subendo un terribile tradimento
che tramuterà il suo cuore benevolo in un cuore di pietra. Accecata
dalla sete di vendetta, Meleficent inizierà una leggendaria
battaglia contro il successore del re invasore, gettando una
maledizione sulla figlia Aurora. Col passare del tempo, la strega
di renderà conto che la giovane custodisce la chiave per la
salvezza del suo regno e forse anche quella per ritrovare l’ormai
perduta serenità.“
Diretto dallo scenografo due volte
premio Oscar Robert
Stromberg, Maleficent,
prodotto da Joe Roth, annovera nel cast
anche Elle Fanning, Sharlto Copley, Sam Riley, Imelda
Staunton, Juno Temple, Palak
Patel e Miranda Richardson. La
release è prevista per il 14 marzo 2014.
Entertainment Weekly ha
pubblicato le prime foto di 50 Sfumature di
Grigio. Si tratta di scatti promozionali in cui
Jamie Dornan e Dakota Johnson
posano nei panni dei rispettivi personaggi, Christian Grey e
Anastasia Steele.
50 sfumature di
grigioè un romanzo, caratterizzato dalla
descrizione di scene di esplicito erotismo e da elementi di
pratiche sessuali BDSM, ha in breve tempo raggiunto una vasta
popolarità e un grande successo di vendite negli Stati Uniti e in
Gran Bretagna. L’intera serie ha venduto oltre 70 milioni di copie
in tutto il mondo e i diritti sono stati venduti in 37 paesi.
Il film è stato scritto
da Kelly
Marcele,mentre a dirigere
sarà Sam Taylor-Johnson (moglie
dell’attore Aaron Taylor-Johnson). A produrre
il film, invece, ci saranno Michael De
Luca, Dana Brunetti e l’autrice
del romanzo E.L. James, per
un’uscita fissata per il 14 Agosto 2014
Lo scorso 7 novenbre è uscito nei
cinema italiani
Questione di tempo, la commedia romantica di
Richard Curtis di cui oggi vi proponiamo la
colonna sonora ufficiale.
Il regista
Richard Curtis ha scelto personalmente tutti i brani
realizzando una poliedrica compilation, passando dal melodico
datato all’attuale ritmo, per arrivare alla romanticissima
How Long Will I Love You, mentre
i pezzi originali del film sono del londinese
Nick Laird-Clowes.
Il cast del film è composto da Rachel McAdams, Domhall
Gleeson e Bill Nighy.
All’età di 21 anni, Tim Lake
(Gleeson) scopre di essere in grado di viaggiare nel tempo
… Dopo l’ennesima, deludente festa di Capodanno, il padre di
Tim (Nighy) rivela a suo figlio che gli uomini della loro famiglia
hanno sempre avuto il potere di viaggiare attraverso il tempo. Tim
non può cambiare la storia ma può cambiare quel che accade e che è
accaduto nella sua vita, perciò decide di rendere il suo mondo
migliore … trovandosi una fidanzata. Sfortunatamente questa impresa
non sarà facile come potrebbe sembrare. Giunto a Londra dalla Cornovaglia per diventare avvocato, Tim
incontra la bella ma insicura Mary (McAdams). I due si innamorano,
ma per colpa di un fatale viaggio nel tempo, si allontanano per
sempre. Ma si incontrano di nuovo, come se fosse la prima volta, e
continuano ad incontrarsi ancora … fino a quando, giocando
d’astuzia contro il tempo, Tim riuscirà finalmente a conquistare il
suo cuore. Il giovane a quel punto usa il suo potere per dichiararsi
romanticamente nel modo migliore, per tutelare il suo matrimonio
dal peggiore discorso mai fatto da un testimone di nozze, per
salvare il suo migliore amico da un disastro professionale e per
riuscire ad arrivare in tempo in ospedale per far partorire sua
moglie, nonostante un terribile ingorgo di traffico ad Abbey
Road. Tuttavia, nel corso della sua insolita vita, Tim si rende conto
che il suo dono straordinario non può preservarlo dalle sofferenze,
e dagli alti e bassi che tutte le famiglie, ovunque, sperimentano.
Sono grandi i limiti di ciò che un viaggio nel tempo può ottenere,
senza contare che può rivelarsi alquanto pericoloso. Questione di
Tempo è una commedia che parla dell’amore e del potere dei viaggi
temporali e che insegna che in fondo, per vivere una vita piena e
soddisfacente, non c’è bisogno di viaggiare nel tempo.
Lana ha sette anni e si
occupa di suo fratello Nico che ne ha quattro. Il loro passatempo
preferito è guardare i loro pesciolini rossi nuotare nell’acquario.
Una mattina, mentre si preparano per la scuola, Nico scopre uno che
dei pesci galleggia a pancia in sù. Dopo averlo seppellito, perde
lo scuolabus. Tornando a casa incontrano un ragazzo, Nene, nascosto
in una scatola. Nene si è appena trasferito nell’appartamento
accanto. I due bambini lo invitano a conoscere Curly, il pesce
rosso superstite. Commosso, Nene convince Lana e Nico a
intraprendere un viaggio alla ricerca di un amico per il pesciolino
rimasto solo.
Una storia semplicissima che fa
partire un road movie. Alexandre Rockwell ritorna
ad un (quasi) lungometraggio mettendo in scena la sua famiglia e
chi le sta intorno. Protagonisti assoluti i figli, Lana e Nico di
una storia scritta a quattro mani, come recitano i titoli di coda
scritti sull’asfalto dalla bambina, da “Lana e papà”. Echi di
Jarmusch degli esordi, e anche in questo caso gli eroi lottano per
una causa essenziale che poi passa in secondo piano mano mano che
la storia si evolve. Tutti modi per espiare però un lutto, far
finta che ci sia sempre un domani o un mondo parallelo in cui
continua a vivere e vederci chi ci abbandona fisicamente da questo
mondo.
Il perchè un regista
che è presente ai festival dal 1992, e che è stato vincitore di un
Sundance Film Festival, nel 1994 con In the soup, faccia un
film così semplice, è lui stesso a spiegarlo: “cercare
soldi e finanziatori mi stava togliendo la passione di fare il
cinema. Volevo tornare a fare qualcosa di semplice, autofinanziato,
con persone che amavo. Allora ho seguito le storie dei miei figli,
che sono in quel periodo della vita in cui tutto è
poetico”.
Dalla semplicità all’arte il passo è
breve, basta sapere come fare, insomma.
Ad introdurre il film, un’altra
opera di un regista esperto di lungometraggi che per la prima volta
si è cimentato con un film di breve durata. Il regista cinese
Yonfan Yonfan ha deciso di raccontare una storia che ha le sue
radici nella mitologia classica cinese in Lu, cortometraggio
che si svolge in un teatro durante una rappresentazione.
Ciò che resta, della messa in scena
teatrale sono gli elementi essenziali anche in questo caso: la
gestualità, i movimenti, i colori ed i costumi.
“Siamo partiti da
un’immagine che mia moglie, la sceneggiatrice del film
(Giuditta Tarantelli, ndr), aveva nella testa
– così Mirko Locatelli ha introdotto la genesi del suo film,
I Corpi Estranei, presentata in
Concorso all’ottava edizione del Festival di Roma – Si tratta
di una immagine che risale a vent’anni fa: un uomo solo con in
braccio un bambino in un reparto di oncologia. Quest’uomo solo, con
il suo bambino, era solo un’immagine. Siamo partiti da lì cercando
di immaginare una storia intorno a quest’uomo, perchè spostava
l’attenzione, rispetto al tema della fragilità, dal bambino
all’adulto. Così, nelle nostre ricerche, abbiamo scoperto che nei
casi in cui un bambino ha qualcosa di molto grave, i veri malati
sono i genitori, che non vengono accompagnati per davvero in questo
processo doloroso.”
Giuditta Tarantelli
prende la parola chiarendo il concetto: “Tutte le cure sono
riservate ai bambini, e l’aspetto psicologico di chi sta intorno al
bambino viene trascurato. I genitori sono così chiamati i malati
invisibili che hanno lo stesso trauma di chi ha subito una
catastrofe”.
Mirko Locatelli:
“Abbiamo voluto fare non un film sul dolore, ma sulla
fragilità. Il dolore può diventare patetico. Mentre noi abbiamo
spostato l’attenzione e abbiamo utilizzato la malattia come
pretesto. Per parlare del dolore ci vuole del pudore. Quindi
spostando con pudore il tema sulla fragilità, servendoci anche del
personaggio secondario, con il quale il protagonista si approccerà
e cambierà la sua prospettiva”.
Infatti il protagonista è un uomo
molto fragile. Come si è approcciato Filippo Timi a questo
personaggio?
Filippo Timi:
“A sei anni i miei genitori mi portano a Pisa, perché
zoppicavo, per un controllo. Poi ho scoperto che il controllo era
dovuto alla paura che avessi un tumore alle ossa, ma i miei mi
regalarono la prima scatolina di Lego, ed io ero felicissimo. Per
fortuna poi stavo bene, ma i miei genitori erano preoccupatissimi
perché un bambino con il tumore alle ossa a sei anni, non arriva ai
14.” “Entrando in questo progetto – continua Timi – e
leggendo la sceneggiatura mi sono trovato dall’altra parte. In
quella occasione ho capito che è impossibile recitare un dolore di
un padre il cui figlio sta così male. Ho provato solo a chiudere la
porta di quel dolore. Poi non ho potuto recitare molto, perché ho
dovuto avere a che fare con il bambino, con il quale non puoi
recitare, ma devi solo provare ad entrarci in contatto”.
Jaouher Brahim,
co-protagonista con Timi, racconta la sua prima esperienza sul set,
e soprattutto la sua scoperta del mondo dietro alla malattia, un
mondo fatta di famiglie che soffrono.
Il progetto
Glaucocamaleo prende il via da un famoso
libro di Kurt Vonnegut del 1961, “Ghiaccio 9”, in cui, tra le altre
cose, si narra la storia di uno scienziato, inventore del
“ghiaccio-nove”: una microparticella in grado di cristallizzare e
congelare istantaneamente l’acqua (portandone il punto di fusione a
114 °F) e potenzialmente in grado, con una reazione a catena, di
propagare questa proprietà a tutta l’acqua del pianeta, rendendola
solida, per contatto, con conseguenze catastrofiche per la
vita.
Il disastro innescato nel libro è il
blocco del ciclo dell’acqua, il passaggio di stato, la mobilità
delle particelle. Ed è da qui che
Glaucocamaleo inizia. L’uomo nasce,
si sviluppa e muore in continua relazione con la natura. Da essa
trae, in un continuo lavorio, risorse volte a soddisfare le
proprie esigenze.
Nel film di Luca
Trevisani però, qualcosa si è rotto. Una trasformazione
inaspettata e repentina ha ghiacciato il mondo. In uno scenario
così inospitale, la sola soluzione è un cambio di prospettiva.
Abbandonando una visione antropocentrica e geocentrica della
realtà, degli uomini realizzano che la risposta al disastro è da
cercare altrove, nel sole, nella sua energia. Utilizzandone i
raggi, l’uomo sblocca lo stallo in cui ha messo il mondo,
condannandosi a negoziare un nuovo, instabile, equilibrio.
Glaucocamaleo è un progetto molto
ambizioso. All’interno della sezione a lui più adatta “CineMaxxi”
dedicato al cinema innovativo e sperimentale che dialoga e
soprattutto fa riferimento alle altre arti, le immagini ad alta
definizione del ghiaccio, il fuoco, gli elementi che danno la vita
e la morte, sono uno spettacolo a sé stante, dove la parola è di
fatto superflua, ed infatti non c’è se non nel primo quarto d’ora,
in cui la questione della sparizione umana viene discussa da due
camerieri molto più colti di quanto il camice e il conseguente
stereotipo farebbero pensare. Poi lo spazio è lasciato ad immagini
e sensazioni, a panoramiche che fanno pensare agli spazi
rappresentati da Godfrey Reggio nella trilogia
iniziata con Koyanisqatsi e alcune sono estranianti via musica,
suoni e interruzione della finzione, nel momento in cui entrano in
campo i drone di cui il regista ha fatto ampio uso nella
realizzazione del film, diventando un personaggio alieno che prende
possesso della scena, sia con le sue soggettive che con i suoi
suoni.
Un film studiato a tavolino e
schematicamente, la voce narrante, Kary Mullis,
scienziato premio Nobel per la chimica nel 1993 è stato scelto per
le sue caratteristiche controverse. Lo scienziato infatti, che è
anche un surfista senza tregua, ha più volte sostenuto che le sue
scoperte sono state agevolate da un ampio uso di LSD, ha espresso
grande scetticismo riguardo all’esistenza del riscaldamento globale
così come ha affermato di essere stato rapito da esseri alieni.
La scelta di Kary
Mullis, così come di ogni location e materiale impiegato
nel film, è fondamentale. La sua figura è stata di
fondamentale ispirazione e consequenziale ai significati generati
dal film stesso: l’immagine di uno scienziato da sempre in
grado di assecondare la propria curiosità e le proprie
ossessioni, un prometeo contemporaneo che mette in discussione le
gerarchie e i valori. Il film è stato introdotto da un
cortometraggio dal titolo Thing, che indaga a suo modo un
panorama simile: un mondo inesistente, in wireframe, a cui siamo
arrivati non si sa con quale delle molte spinte distruttive. Anche
il corto di Anouk DeClerq cerca un’entità aliena e molte delle
immagini, desaturazioni di lunghe panoramiche urbane, sembrano
paesaggi spaziali o alieni.
Presentato nella sezione Fuori
Concorso, Gods Behaving Badley di Marc
Turtletaub, è tratto dall’omonimo romanzo scritto da Marie
Phillips. La sceneggiatura adattata dalla stesso regista e
Josh Goldfaden fa leva sulla popolarità che gli Urban
Fantasy stanno acquisendo sempre più nel contemporaneo panorama
cinematografico. Seppur venga naturale il collegamento con
Percy Jackson; la storia in realtà si distacca molto
dalla saga di Rick Riordan, infatti il percorso di scrittura
procede in maniera opposta, declinando le relazioni e le dinamiche
degli Dèi nella società del XXI secolo.
In Gods Behaving Badley la
relazione tra Kate e Neil è ostacolata da una causa soprannaturale:
l’imperitura ostilità che divide ancora gli antichi dei greci.
Ritiratisi a vivere in esilio a Manhattan gli dei dell’Olimpo si
nascondono allo sguardo dell’umanità in una villetta, trascorrendo
il tempo fra schermaglie e liti. Quando Apollo s’innamora
perdutamente di Kate, Neil deve riconquistarla e salvare anche la
razza umana dalla minaccia dell’estinzione.
Gods Behaving Badley, il film
La trama di Gods Behaving
Badley prende come spunto solo alcune delle
caratteristiche e degli attriti degli Déi per poi sviluppare una
storia del tutto personale senza risaltare leggende o miti. Proprio
per questa caratteristica, la sceneggiatura risulta essere
abbastanza lineare e di facile lettura fino alla sua conclusione,
mostrando i celebri capricci di alcuni Dèi, contornati e caricati
di un ironica contemporaneità. Infatti, questi sono ormai
“umanizzati” per via dei loro esili poteri e quindi ridotti ad
essere schiavi di egoistici capricci, difatti, uno dei punti
nevralgici della storia ruota proprio sulla mancanza di “fede” e i
loro poteri che li ha portati a rintanarsi e dimenticarsi del loro
mondo. In questo scenario, il loro torpore viene svegliato dal
coinvolgimento di Kate e Neil che attraverso le loro disavventure e
i loro sentimenti umani riusciranno a ricordare agli Dèi la loro
figura e l’importanza che ricoprono.
Gods Behaving
Badley riesce a distinguersi con piccole novità che
notiamo sin dai titoli di testa e nell’incipit, ma spicca
soprattutto per il divertente e brillante cast da cui è composto,
su cui spiccano tra tutti Ebon Moss-Bachrach, Edie Falco, Oliver
Platt, Nelsan Ellis e il meraviglioso duo Zeus-Ade,
Christopher Walken e John Turturro. Difatti saranno proprio loro che con i
loro meravigliosi tempi comici sosterranno l’intera linea narrativa
del film, suscitando la maggior parte delle volte la risata.
Gods Behaving Badley, come
già suggerisce il titolo, gioca e diverte con le figure classiche
della mitologia greca, usando soprattutto rimandi e nuovi percorsi
narrativi che riescono a intrattenere la sala e a divertire il
pubblico senza aggiungere nulla di nuovo al genere Urban Fantasy ma
rinvigorendolo con un’altra storia.
Scozzese, classe 1969, Gerard
Butler debutta a teatro a soli 12 anni, ma, sebbene sia
bravino, finisce che si mette a studiare legge. Dopo il
praticantato di routine, e a una settimana dal diventare
ufficialmente avvocato, Gerard viene licenziato dallo studio per
cui lavora, a causa del discutibile stile di vita che ha mantenuto
in un momento per lui molto difficile.
Così si trasferisce a Londra, e qui
il richiamo del palco è talmente forte (o forse è solo per la
smania di diventare famoso, come ammette lui stesso) che il giovane
Butler prende seriamente in considerazione la carriera d’attore.
Alla solita gavetta teatrale segue il debutto al cinema nel 1997
con La mia regina di John Madden, un discreto
successo che gli apre le porte di Hollywood. Nel 2002 Gerard è
infatti al fianco di Angelina Jolie in Tomb Raider –
La culla della vita, per poi prendere parte all’adattamento
per il grande schermo di uno dei musical più celebri del mitico
Andrew Lloyd Webber, Il fantasma dell’Opera,
dove Gerard rivela insospettabili doti canore. La fama conclamata,
però, gliela regala il ruolo di Leonida in 300, dal
graphic novel di Frank Miller: al grido di “QUESTA È
SPARTAAAAA!!!” – e con l’ausilio di un addome a tartaruga entrato
negli annali – Butler si ritaglia un posto fra i sex symbol del
nuovo millennio. Dello stesso anno, il 2007, è anche il lacrimevole
P.S. I love you, dove l’amata in questione è
Hilary Swank; seguono un ruolo da macho-col-cuore-tenero in
La dura verità (con Katherine Heigl) e uno da
macho-e-basta (ma un po’ trash) in Giustizia privata,
prima di fare Il cacciatore di ex (= Jennifer
Aniston) e di raccontarci quello che sa sull’amore
insieme a Gabriele Muccino.
Di recente è tornato a fare il
macho-che-non-deve-chiedere-mai in Attacco al potere– Olympus has fallen, ennesimo action movie in cui un
manipolo di spietati terroristi assalta la Casa Bianca e prende in
ostaggio il povero Presidente USA. Noi, invece, usiamo le buone
maniere per invitarlo a spegnere le candeline (lo spumante è meglio
evitarlo). HAPPY BIRTHDAY GERARD!
La redazione di
Cinefilos ha avuto il piacere di incontrare la
signora Nadja Swarovski , presidente e
produttore esecutivo della
Swarovski Entertainment , in
occasione della presentazione di Romeo e Giulietta
al Festival del Film di Roma. La Swarovski
Entertainment , fondata nel 2010 , si occupa di
finanziare e produrre film originali e artisticamente compiuti e
Romeo Giulietta di Carlo Carlei è stato il loro primo
progetto.
Come mai avete deciso di
diventare produttori per questo film e di non partecipare solo con
il product placement , come in genere fanno i brand?
Avevamo già preso la decisione
di creare la Swarovski Entertainment ed eravamo in cerca
di un copione. Julian Fellowes che è un amico di
famiglia e del quale ammiriamo il lavoro è venuto da noi e
ci ha proposto Romeo e Giulietta.Ci
è piaciuta da subito la storia che è una bellissima storia d’amore:
il mondo Swarovskvi è fatto di doni che nascono da pensieri
d’amore, quindi questo era il progetto giusto. Con la nostra
produzione vorremmo arricchire culturalmente lo
spettatore attraverso un messaggio educativo e un classico
di Shakespeare era perfetto in questo senso, in particolare per le
generazioni più giovani.
Lei ha detto che
Julian Fellowes è un amico di famiglia, anche lei è una fan di
Dowtown Abbey?
Certo, chi non lo
è! Lui ti fa diventare dipendete da quello show!
Questo per voi è stato
il primo progetto, cosa ci possiamo aspettare in futuro dalla
Swarovski Entertainment?
E’ sicuramente solo l’inizio per
noi e nei progetti futuri la Swarovski sarà molto coinvolta ad
esempio con l’industria della moda, l’architettura e gioielleria ma
si tratta soprattutto di rimanere fedeli ai valori in cui
noi crediamo e magari scegliere storie con delle morali
forti. Alla fine tutti i progetti della Swarovski saranno
indirizzati verso l’arricchimento culturale delle persone,nel
riuscire ad educarle attraverso i film.
State già producendo
qualcosa di nuovo?
Si abbiamo una storia pronta,
non posso rivelarvi troppi dettagli ma sarà sul mondo della
moda. Uno sguardo nel dietro le quinte di questo mondo,
dove le persone che non ne sono coinvolte non possono e non
riescono a capire bene come funzioni. Quindi rimane sempre un
progetto educativo ma allo stesso tempo piacevole.
Riguardo la moda, in
Romeo e Giulietta i costumi sono una parte fondamentale e possono
essere ammirati per la loro grandiosità e cura nei minimi dettagli
– per cui sono stati usati anche cristalli Swarovski. Lei ha
partecipato al processo di design suggerendo qualcosa che
rispecchiasse il suo gusto?
No per niente. Una scelta
importante è stata quella di decidere con quale costumista lavorare
e devo ammettere che Carlo Poggioli è stato davvero
fantastico. Aveva come consulente Milena
Canonero e hanno avuto la possibilità di scegliere i
cristalli da utilizzare, ma noi non abbiamo mai interferito con le
loro scelte creative. Anche la possibilità di lavorare con
le sarte italiane è stato incredibile.Sapete questa arte è
nel loro DNA e gli viene naturale. La manodopera e i dettagli sono
stupendi,ad esempio nelle giacche ricamate o i vestiti in velluto,
assolutamente bellissimi.
Quali sono le qualità
che cercate nei progetti da finanziare e produrre?
Sicuramente l’arricchimento
culturale è la qualità numero uno. L’aspirazione al bello, belle
scenografie e costumi sono altre. Ma anche semplicemente la
proposta di un copione ben adattato che abbia certe informazioni
che lo spettatore può apprendere una volta che è finito il film,
sono qualità importanti. Vogliamo dare un contributo
positivo all’industria, perché ci sono talmente tanti film
in giro che siamo molto fermi nel voler fare un prodotto
informativo che aggiunga valore.
Presentato Fuori Concorso al Festival del Film di Roma
Je Fais Le Mort , commedia poliziesca del regista
Jean-Paul Salomè.
Jean Renault (Francois Damiens) è un attore
fallito che viene deriso anche dai propri figli e dalla ex moglie.
La sua agente , disperata quanto lui perché viene licenziato dalle
varie produzioni in quanto troppo preciso e quindi rompiscatole ,
gli propone una parte particolare : quella del morto! Così per
pochi soldi Jean parte alla volta di Mauve , un paesino in mezzo
alle montagne , colpito dalla tragedia di un triplice omicidio. Lì
lui dovrà aiutare la rigida magistrato donna ( Gèraldine
Nakache ) e il capo della polizia del luogo il Tenente
Lamy ( Lucien Jean-Baptiste ) , a ricostruire le
azioni dell’assassino sulla scena del delitto per concludere le
indagine giudiziarie, facendo la parte del morto. La sua eccessiva
ossessione per i dettagli e esperienza recitativa lo porterà a
dubitare e a far dubitare del ragazzo preso come colpevole, che
risulta già dal primo sguardo poco credibile. Tra gag divertenti e
antipatie che si trasformeranno in qualcos’altro , l’inesperto
attore aiuterà la polizia a risolvere il caso in un modo
inaspettato.
Pochi semplici ingredienti rendono la storia intrigante e
leggera, e Jean-Paul Salomè manovra un cast di bravi attori che non
coprono la trama con il loro protagonismo ma accompagnano bene
l’allegro andare dell’indagine. L’idea è abbastanza innovativa per
un film, ma non molto per la televisione. Ricorda ad esempio
The Mentalist o Castle , dove un
personaggio esterno e spesso eccentrico, riesce con un intuito
più umano e derivante dall’esperienza in un altro campo a vedere
degli indizi anche dove al momento non sono ben visibili a polizia
e magistrati. Ma non è un punto a sfavore, anzi.
Con il classico humor francese e un Francois Damiens che
potrebbe pure non parlare, dalle efficacissime espressioni facciali
quasi da film muto, Je Fais Le Mort è un divertente parentesi di
tranquillità.
Nel quinto giorno del Festival di
Roma è stato presentato come film in concorso Out of
the Furnace di Scott Cooper con
Christian Bale, Casey Affleck, Woody Harrelson, Forest Whitaker,
Zoë Saldaña, Sam Shepard e Willem Dafoe. Nella sezione Fuori
Concorso la commedia francese Je fais le
mort di Jean-Paul Salomé con
François Damiens, Géraldine Nakache e Lucien Jean-Baptiste ed
infine La Santa di Cosimo
Alemà con Massimiliano Gallo, Francesco Siciliano,
Gianluca Di Gennaro, Michael Schermi, Marianna Di Martino e Lidia
Vitale.
Di seguito il video commento dei film:
Arrivata l’ufficialità circa la
presenza di Elizabeth Olsen in
Avengers:
Age of Ultron, in cui l’attrice indosserà il costume
di Scarlet Witch, sono giunte, nel corso della conferenza stampa di
presentazione dell’Old
Boy di Spike Lee, alcune
sue dichiarazioni circa il personaggio che andrà ad
interpretare.
L’attrice si è detta “eccitata”
all’idea di prendere parte ad un’importante produzione
quale The Avengers, dichiarando di
essere, al momento, immersa nella lettura di numerosi fumetti per
comprendere meglio il personaggio, anche se ha aggiunto che la
maggior parte di quanto abbia letto non risulterà utile ai fini del
film. Riguardo il costume che indosserà ha sostenuto di non
conoscere dettagli particolari al momento, ma di sapere più o meno
come sarà realizzato e che, molto probabilmente, sarà differente da
ciò che i fan si aspettano. Circa, invece, scene che la vedranno
impegnato al fianco di Samuel L. Jackson, ha
detto di non sapere ancora se i due condivideranno lo schermo nel
corso del film.
Elizabeth Olsen ha
poi espresso cosa l’ha colpita del proprio personaggio: “La
cosa divertente è come lei sia un “collegamento”, come lei sia
l’unica di questo universo capace di comunicare con le cose
paranormali, il passato, il futuro e gli altri universi, è una cosa
incredibile! Mi piace pensare quanto sia fantastico poter
semplicemente toccare degli oggetti per poter sapere dove essi
siano stati, è una cosa pazzesca!”
La trama ufficiale del film diretto
da Joss Whedon è la seguente: Quando Tony Stark cerca di avviare un
programma di pace, le cose degenerano e i più grandi eroi della
Terra, tra cui Iron Man, Captain America, Thor, l’Incredibile Hulk,
Vedova Nera e Occhio di Falco, saranno messi alla prova, mentre il
destino del pianeta è a rischio. Il villain Ultron emerge, e
spetterà agli Avengers impedirgli di attuare i suoi terribili
piani, e presto scomode alleanze e situazioni inaspettate apriranno
la strada a un’avventura originale, su scala globale. La squadra
deve riunirsi per sconfiggere James Spader nei panni di Ultron, un
terrificante megacattivo deciso ad annientare il genere umano.
Sulla strada, gli eroi affronteranno due misteriosi nuovi arrivati,
Wanda Maximoff, interpretata da Elizabeth Olsen, e Pietro Maximoff,
interpretato da Aaron Taylor-Johnson, incontrando anche un vecchio
amico in vesti nuove, quando Paul Bettany diventerà Visione.
Avengers:
Age of Ultron uscirà – nei formati 2D, 3D e IMAX 3D –
il primo maggio 2015 negli Stati Uniti mentre per quanto concerne
le sale cinematografiche italiane l’uscita è prevista qualche
giorno prima, il 22 aprile 2015.
Questo pomeriggio presso lo spazio
BNL si è tenuta la conferenza stampa del film fuori concorso
Border, di Alessio
Cremonini. A presentare il film oltre al regista erano
presenti gli attori Sara El Debuch, Dana Keilani, Sami
Haddad, Jamal El Zohbi, la co-sceeneggiatrice
Susan Dabbous e prodotto da Francesco
Melzi d’Eril.
Perché hai voluto
raccontare una storia del genere? Alessio Cremonini: Perché sono italiano e mi
riguarda molto, nel senso che la Siria ha molte cose in comune con
noi, almeno storicamente, come alcune città dell’impero romano. C’è
stata una foto sul Corriere della Sera bellissima, che
forse mi ha spinto a fare il film, in cui si vedeva una
famiglia siriana rifugiata in una tomba dell’impero romano. E li ho
pensato, se ci fosse la guerra in Italia questo potrebbe accadere
anche alla mia famiglia, rifugiarsi in un posto che una volta era
un tomba romana. Inseguito anche perché Damasco è a poche ore di
volo da qui, qualche papa del medioevo era siriano, un signore che
si chiama San Paolo si è convertito sulla via di damasco e
poi siamo tutti quanti nel mediterraneo e forse noi italiani
siamo i più mediterranei o comunque i più vicini
geograficamente all’altra sponda del mediterraneo. Quindi chi
meglio di noi italiani, può comprendere e magari raccontare agli
altri europei cosa sta accadendo dall’altra parte del mediterraneo.
Ed in aggiunta, mi ha spinto l’indignazione per quello che
accadeva, questo non è un film politico e non vuole assolutamente
esserlo, anche perché è una storia vera, però è un film da
indignato, come lo sono probabilmente tutte le persone che hanno
partecipato e lo hanno fatto, cioè la sceneggiatrice Susan Dabbous
, gli attori protagonisti, il terzo protagonista non è qui oggi
perché in questo momento, grazie ad alcune leggi italiane, non
faccio i nomi dei politici, è dovuto andare via dall’Italia dove
risiedeva da dieci anni e il protagonista maschile Wasim Abo Azan è
ora rifugiato, richiedente asilo politico in Svezia, che è l’unico
paese che accoglie i siriani. Quindi questo film è uno spaccato
della Siria di oggi.
Il film inizia con
delle immagini di repertorio e poi parla dei rapporti umani, questa
scelta dell’intreccio del passaggio di testimone all’interno del
film c’è stato sin dall’inizio e si è evoluto in
seguito? A.C.: Io ho cominciato a cercare qualche storia,
tramite amici e via dicendo, ed infine mi sono imbattuto in questa
storia, quindi sostanzialmente io e Susan abbiamo cercato di
renderla cinematografica, quindi abbiamo cercato di riportare
quella storia che io avevo incontrato piano piano, facendomi
accogliere dalla comunità siriana. Loro sono stati accolti nel mio
paese e io sono sono stato accolto nel mio paese da loro, è stato
uno scambio e c’è stata anche un arricchimento personale enorme,
quindi in realtà queste entrate uscite purtroppo sono
tendenzialmente della vicenda umana di quelle persone che poi si è
salvata, piccole cose le abbiamo dovute aggiustare. Tutti gli stop
and go di cui tu parli esistevano e dato che volevamo fare un film
che fosse vero, che fosse il più puro possibile abbiamo cercato di
intervenire il meno possibile sulla storia.
Susan Dabbous: Ciò che mi preme dire da giornalista che questa
storia da questa parte del mediterraneo si ha il privilegio di
vedere come spettatori è una storia di tante storie che io ho
raccolto sul campo e che sono tremende ecco. Sono molto contenta di
aver portato questo contributo perché rende questo film reale,
aldilà che sia una storia vera, siamo abituati al cinema a vedere
riprodotte storie vere in modo completamente artefatto. questo è un
film che il direttore del Toronto Film Festival è stato trasmesso
in anteprima mondiale e definito “sensibile e disadorno” ed è stato
un modo di rappresentare questa realtà e lo abbiamo fatto senza
giudizio, questo è importante. Il film racconta la storia da una
parte ma fa vedere anche l’altra ed è questa la complessità di ciò
che sta succedendo nello scenario. Non vogliamo dare dei giudizi
vogliamo raccontare delle storie che purtroppo accadono
realmente.
Credi che essendo un film
del tutto italiano, non ti saresti potuto permettere in un altro
contesto? A.C.: Tanto cinema in Siria non si fa, per esempio
una cosa che a me e Susan ha spinto inizialmente e che noi italiani
abbiamo del cinema che racconta noi stessi anche per le generazioni
future i siriani in questo caso no. E quindi se non hanno fatto
prima cinema non credo che lo faranno adesso, dove le strutture
produttive non lo permettono facilmente. S.D.: è un film che molti scambiano per
documentario, non è un documentario ma ha un valore
documentaristico sicuramente importante.
Sara e Dana come vivete
questo rapporto molto stretto di Italiane e damascane? Dana Keilani: Io devo dire la verità, molte cose
le ho approfondite dopo lo scoppio della guerra, molte cose non se
ne parlavano in casa, non si parlava di questo. è vero che io ho
sempre vissuto qui per un periodo con i miei genitori, inseguito
loro sono ritornati a Damasco e sono rientrati da poco. Non avevamo
le idee chiare dal punto di vista politico in Siria, è una specie
di delusione, vedere il nostro paese ridotto in queste condizioni
proprio da quelle persone che non pensavamo potessero fare
questo. Sara El Debuch: Lo stesso vale per me, ho 18 anni,
andavo in Siria ogni anno e di politica non se ne parlava e quindi
molte cose come Dana ha precisato sono dovuta andare a rivederle a
sapere perché certe cose non si sapevano a meno che tu non avessi
subito qualcosa nell’ambito politico. Inseguito ho conosciuto
Alessio, che fortunatamente ha fatto questo film e siamo riusciti a
raccontare la storia di queste due ragazze che mostra a tutti gli
italiani cosa accade in Siria e cosa si sta vivendo, in piccola
misura, perché non si può mostrare in un film la sofferenza di un
popolo che va avanti da circa tre anni.
Come sono state scelte
le attrici? A.C.: Questo è un film molto fortunato, è
miracoloso a fare un film del genere, non ho dovuto fare tanto
casting perché ho avuto tanti angeli custodi che mi hanno
accompagnato, la prima persona che mi ha aperto le porte della
comunità siriana è stata Susan, da lei ho conosciuto molte persone
tra cui Sami Haddad Abdul Ahmed e Sara El Debuch e inseguito lei mi
ha portato a conoscere Dana, da entrambe ho conosciuto Wasim che
inseguito mi ha fatto conoscere Jamal! Ovviamente ho conosciuto
molte altre persone però anche gli attori hanno fatto il
casting. S.D.: Nel casting l’oggetto discriminate è che
dovevano essere siriani e quindi parlare siriano e non arabo, non
valeva un egiziano o un tunisino, questo era l’importante.
Come è nato il rapporto con
la comunità siriana? Non c’era la paura che questa vicenda fosse
strumentalizzata? A.C.: Loro si sono presi il rischio di chi non ha
voce, loro hanno poca voce, hanno creduto ad una persona che
umilmente ha provato a dargli voce, non sono Fellini, Antonioni o
Rosi ma ci provo. Non so se loro sono intelligenti o stupidi ma si
sono fidati… D.K.: …è stata una grandissima occasione,
l’abbiamo sfruttata subito, di poter portare questa tragedia qui
che ciocca in prima persona, la nostra famiglia è lì. Poi non solo,
parliamo di storia, architettura, vite umane che dovevamo parlarne
in qualche modo e questa è stata un occasione perfetta.
Continua la lavorazione di
Nymphomaniac,
ultima fatica del regista svedese Lars Von
Trier, film atteso per la prima mondiale il 25 dicembre a
Copenhagen. Secondo quanto evidenziato all’interno del contenuto di
un articolo in uscita il 13/11 sulle pagine del magazine
danese Filmmagasinet Ekko e
riportato da Hollywoodreporter, sembra che per la prima volta
in carriera Von Trier non si occuperà del final cut
della sua nuova creatura.
Secondo quanto annunciato dal
produttore Peter Aalbaek Jenser, il regista
avrebbe consegnato un montato di circa 5 ore e mezza, una durata
ritenuta eccessiva che ha visto ridursi nel risultato finale di 4
ore. Il film, tuttavia, sarà distribuito nelle sale in due parti da
due ore ciascuna. Riguardo i
tagli Jenser si è espresso così:
“La versione breve va contro la volontà di Lars, ma la
accetta perché consapevole dei meccanismi di mercato. Non si può
durare un film del valore di 60 milioni di corone così a lungo.
Cinque ore e mezza è una durata così estrema che ne ridurrebbe il
valore commerciale in maniera estrema”.
Dunque, motivo di tale riduzione,
non sembrerebbero essere questioni puramente di censura legate
all’esplicito materiale sessuale presente nella pellicola, ma a più
semplici esigenze commerciali, tuttavia è prevista in uscita una
doppia versione dell’opera, una censurata ed una integrale, in modo
da permettere alle sale di decidere liberamente quale delle due
proiettare. Ekko, inoltre, riporta che il
regista non avrebbe, tuttora, neppure visto il montato finale.
Nymphomaniac, la trama
“Nymphomaniac è la storia poetica e
selvaggia del viaggio erotico di una donna dalla sua nascita fino
all’età di cinquant’anni, raccontata dalla protagonista, la
ninfomane Joe. Una fredda sera d’inverno l’anziano scapolo
Seligman trova Joe in un vicolo, è stata picchiata. La porta a casa
sua, e cerca di curarla, chiedendole nel frattempo informazioni
sulla sua vita. Ascolta così il racconto in otto capitoli la storia
della sua complicata e lussuriosa vita, ricca di coincidenze
fortuite e collegamenti.”
Al Festival Internazionale
del Film di Roma 2013 è stato presentato oggi
The Green Inferno di
EliRoth;potete
leggere qui la nostra recensione.A
seguire si è svolta la conferenza stampa, che ha
visto partecipare lo stesso regista e l’attrice protagonista
Lorenza Izzo.
La prima domanda ha interessato
proprio Roth, cui è stato sottolineato come il suo film nasca per
omaggiare il cinema “cannibalico” italiano, anche se poi segue una
strada diversa, più moderna. Roth ha argomentato molto: “Io
adoro il cinema di genere italiano. Film come quelli di Dario
Argento, Mario Bava, Lucio Fulci…Nessuno è bravo a far vedere la
violenza come gli italiani ed è qualcosa che ha radici storiche,
che riguarda anche Rossellini e Pasolini. Poi è arrivato Cannibal
Holocaust, per me un must assoluto e lì ho capito che il regista
del film Ruggero Deodato aveva creato qualcosa di importante,
perché era riuscito a mescolare l’horror al neorealismo degli anni
prima”.
Il regista ha poi continuato
parlando dell’esperienza durante le riprese di The
Green Inferno: “Abbiamo girato in mezzo a persone
che non avevano mai visto una telecamera, anzi non avevano mai
visto un film. Ho fatto vedere a tutti Cannibal Holocaust. Per ora
quello è il loro modello di cinema”…
All’attrice Lorenza
Izzo è stato chiesto se conoscesse anche lei registi e
film italiani citati da Roth e come fosse stato trovarsi “nuda” in
mezzo ai cannibali: “Non sapevo molto di questi film in realtà,
li ho conosciuti con Eli. L’esperienza delle riprese è stata unica
e anche il luogo era unico. Un posto dove non c’è internet, non
prendono i cellulari, completamente fuori dalla tecnologia. Eppure
loro vivono una vita molto piena; semplice, ma
piena”.
Anche il pubblico ha avuto il suo
spazio e al regista è stato chiesto se dopo questa esperienza si
fosse sensibilizzato riguardo ai temi sull’Amazzonia: “In
realtà il villaggio dove abbiamo girato, che si trova in Perù, è
protetto dal governo. Il problema è che il Perù è un paese davvero
molto povero”. Infine, Roth ha chiuso la conferenza con
ulteriori considerazioni sul film appena presentato: “Con
The Green Inferno non volevo ricreare i film
“cannibal” degli anni ’70 e ’80. Diciamo che è un omaggio a quei
film, ma volevo creare la mia atmosfera, fare la mia storia. Volevo
dare una sensazione al contempo caotica e realistica.
La nostra foto gallery del Festival:
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