«Appartengo a un mondo in
cui il lettino dell’analista aveva sede dal barbiere e alle nevrosi
si rispondeva con la passione.»
Una delle più belle frasi di
Ettore Scola ricostruisce in fondo quella che era
la personalità del grande maestro. Un uomo d’altri tempi. Dedito al
suo lavoro senza però sentirsi un privilegiato. Piuttosto un uomo
di mestiere.
Così ama ricordarlo chi lo ha
conosciuto e amato. Come una persona semplice che non ama “mettersi
in mostra”. Per questo quando i due giovani organizzatori di
“Piacere, Ettore Scola” – Nevio de Pascalis e
Marco Dionisi – si sono presentati da lui con
l’idea di creare una mostra dedicata alla sua vita, il regista è
sembrato restio sul momento. Perché, come ricorda la moglie del
regista, Gigliola Fantoni – una delle ospiti
d’eccezione in conferenza – «Non amava che si parlasse troppo di
lui, non amava essere al centro dell’attenzione. Voleva solo fare
il suo lavoro».
La preoccupazione principale del
regista era che questa esposizione si sviluppasse in maniera
sbagliata. Per questo inizialmente non era convinto «diceva:
“questa mostra non interesserà a nessuno, quello che avevo da dire
lo ho già detto con i miei film”.» – ricorda la figlia
Silvia – « Invece grazie alla dedizione e
all’insistenza di Marco e Nevio, e anche al nostro appoggio
convinto, la mostra è stata creata. Ci ha fatto piacere aprire i
cassetti e cercare i ricordi. L’esposizione, già inaugurata in
Irpinia ha avuto un grande successo. Questa mostra
è nata insieme a lui e via via si sta arricchendo anche dopo la sua
scomparsa. Basta non esagerare con i cimeli ora che è morto. Perché
questo non lo avrebbe mai sopportato».
Piera Detassis,
arbitro della conferenza nonché produttrice della mostra tramite la
Fondazione Cinema per Roma , si rivolge
quindi ai due curatori.
Come è nata questa
mostra?
MARCO DIONISI: «La mostra, che si
terrà dal 16 settembre al 23 ottobre 2016 al Museo Carlo
Bilotti, è la prima monografica sul grande regista. Tutto
è iniziato nel 2013, quando siamo andati da Scola per proporgli
questa idea, che lo ha lasciato piacevolmente sorpreso. Ci chiese
però perché la gente dovesse andare a vedere questo genere di
esposizione, a chi potesse interessare. Ma noi eravamo fermamente
convinti che, come noi due, anche altri avrebbero amato e
apprezzato ripercorrere la carriera del grande maestro. La
monografia parte dal raccontare le sue origini a
Trevico, fino ad arrivare ai suoi ultimi film,
toccando tutte quelle che sono le tematiche care al regista, dalle
più desuete a quelle più famose. Abbiamo anzitutto cominciato col
raccogliere del materiale a Cinecittà, dove
abbiamo scelto e catalogato molta documentazione. Che mano a mano
cresceva fino a prendere le forme di una vera e propria raccolta,
per prima esposta in Irpinia, luogo di origine del regista. A Roma
invece la mostra si presenterà ulteriormente arricchita di
materiale. Grazie anche all’aiuto di varie cineteche come quella di
Bologna e dell’Istituto Luce. Ma l’aiuto più prezioso ci è
pervenuto dalla famiglia, che ne racchiudeva i ricordi più intimi e
validi».
Come è stata la collaborazione con
la famiglia quindi?
NEVIO DE PASCALIS: «E’ stata una
collaborazione molto presente ma che ci ha lasciato spazio. Una
presenza discreta che ci ha sempre sostenuto. Ettore ci ha dato
grande fiducia che ci ha permesso di andare avanti nelle difficoltà
«Il duro lavoro paga sempre» diceva.
Scola è un personaggio complesso
ricco di sfaccettature: è stato vignettista, autore di testi comici
e televisivi, regista teatrale, ecc. Il nostro obiettivo era quello
di rappresentarlo nella sua interezza.
La mostra si costituisce di 9
sezioni a loro volta suddivise in due parti: la
prima parte cronologica e la seconda
tematica. Nella prima parte ripercorriamo la
vita di Scola, dall’infanzia in Irpinia al lavoro
per il Marc’Aurelio, dalla collaborazione in
Rai agli scritti come sceneggiatore accanto a
Ruggero Maccai (ad esempio ne Il
Sorpasso di Dino Risi o in Io la conoscevo
bene di Antonio
Pietrangeli).
Fino ad arrivare all’intensa
carriera di regista, dagli esordi nel 1964 con Se
permettete parliamo di donne fino al suo ultimo film
Che strano chiamarsi Federico.
La seconda sezione, quella dedicata
alle tematiche, riguarda il rapporto tra attori e
collaboratori, dentro e fuori dal set. Si evidenzia inoltre la sua
passione civile e politica che ritorna in tutte le sue opere.
Analizzeremo poi i suoi film di ambientazione romana e la passione
per il teatro. Abbiamo anche una sezione dedicata al
disegno, che infondo è il fil rouge di tutta la
sua carriera e grande amore della sua vita».
Quale era il suo rapporto con gli
attori?
GIOVANNA RALLI: «Io e Ettore ci
siamo conosciuti giovanissimi, negli anni ‘50. Il film era una
delle sue prime sceneggiature Fermi tutti arrivo
io, e a distanza di anni ho recitato nel suo primo film
Se permettete parliamo di donne, fino ad arrivare
al grande successo di C’eravamo tanto amati. Non
vedevo l’ora la mattina di andare a lavorare. Ettore ci
accompagnava dall’inizio delle riprese fino alla fine, e si
preoccupava che “vivessimo” i dialoghi. Lui scriveva il miglior
linguaggio del cinema italiano. Non scriveva cose “recitate”,
detestava che si recitasse».
SERGIO CASTELLITTO: « Infatti per me
è stato anzitutto un grande scrittore, sceneggiatore è quasi
riduttivo. Poi ha declinato il suo genio nel disegno e nella
comicità,. Ma anzitutto scriveva parole e immagini. E l’ironia era
la sua forma di ispirazione principale. La grazia di poter
appoggiare la risata alla condizione umana, pur così dolorosa, era
una cosa che solo lui sapeva fare così bene».
La mostra sarà presentata a
Cannes il 18 maggio in onore dei 40 anni del
Premio alla Regia di Brutti Sporchi e
Cattivi.