Michael Bay è più
in forma che mai: le esplosioni, i tramonti, i protagonisti sporchi
e sudati, le inquadrature angolate e, ancora, le esplosioni, non
sono mai state così copiose e straordinarie come in
Transformers 4 – L’era dell’estinzione, prossimo
capitolo della saga Hasbro in arrivo al cinema dal
prossimo 16 luglio.
Mark Wahlberg è il protagonista di carne e
ossa di questo capitolo; è un uomo tutto muscoli e tanto cervello,
che cerca di sbarcare il lunario inventando oggetti senza molto
successo, con lui ha una figlia, adolescente ribelle
(Nicola Peltz), che ha scresciuto da solo.
Intanto, dopo la battaglia di Chicago cinque anni prima (Transformers
3), gli Stati uniti hanno aperta la caccia ai
giganti robot alieni, Decepticons e Autobots senza differenze.
Dietro questa caccia spietata ci sono interessi commerciali e
‘nazionalistici’ incarnati in
Stanley Tucci e Kelsey
Grammer (neanche a dirlo, straordinari entrambi).
Transformers 4 – L’era
dell’estinzione, il film
La trama, esile, serve
principalmente per reggere tre atti di un film che si basa
esclusivamente sull’azione. Le vere protagoniste di questa storia
di giganti sono le esplosioni, prolungate, insistite e
spettacolari, che intontiscono lo spettatore. In tutto questo
trambusto di città distrutte e Transformers smembrati,
Michael Bay si trova perfettamente a proprio agio,
come un bambino con il suo giocattolo preferito che fa quello che
sa fare meglio: divertirsi con un tipo di cinema di cui, in barba
ai suoi detrattori, è re incontrastato. Certo, questa volta la sua
grande visione va un po’ troppo a briglia sciolta, accantonando
completamente la sceneggiatura per buona parte della seconda metà
del film e distraendosi dalla regia stessa, cosa che a Bay,
bravissimo tecnico di genere, capita raramente.
Risentendo anche di una durata
eccessiva, quasi tre ore, il film non è la grandiosa esperienza,
visivamente portentosa e drammaturgicamente leggera e divertente
che ci aspettavamo, ma rimane un prodotto che non ha nulla o poco a
che vedere con la freschezza del primo
Transformers, che non cattura lo
spettatore con la sbruffonaggine di
Armageddon, e in cui il patriottismo
tipicamente bayano assume due facce estreme ed esasperate:
da una parte fiere bandiere a stelle e strisce che sventolano
dietro ogni angolo e dall’altra il folle di turno che fa della
sicurezza nazionale e del senso di amor patrio una vera e propria
malattia.
Impeccabili i design dei robot, sia
di quelli nuovi, sia di quelli tradizionali aggiornati e
perfezionati, così come la perfetta fotografia patinata sembra
portarci in un costoso spot pubblicitario lungo quasi tre ore. Ma
la ‘spark’, la scintilla, che fa vivere i Transformers non fa lo
stesso con il film, a meno che non sia la scintilla che innesca la
prossima, travolgente esplosione.
