Il cinema americano deve molto alla
sua zazzera bionda e ai suoi occhi azzurri, al suo volto bello, ma
non del tutto convenzionale, che ha utilizzato negli anni per
caratterizzare personaggi assai diversi. Dal novello sposo di
un’eccentrica Jane Fonda in A piedi nudi nel
parco, all’amante inquieto di una volitiva Barbara
Streisand in Come eravamo, allo spirito libero de
La mia Africa. Ma anche gente di malaffare, come
il rapinatore Sundance Kid di Butch Cassidy, o il
truffatore de La stangata. E non si è fatto
neppure mancare ruoli da onesto cittadino che si batte contro le
storture del sistema, come ne I tre giorni del
condor e Tutti gli uomini del presidente.
Ha prestato la sua espressività a personaggi piuttosto complessi,
spesso scomodi: uomini imprigionati in storie d’amore intense, ma
impossibili, o in complotti e scandali più grandi di loro. Decisi,
ma fragili allo stesso tempo, orgogliosi, ironici, talvolta eroici
loro malgrado. Poi è passato dietro la macchina da presa,
distinguendosi nella direzione di pellicole di impianto classico,
sentimentale, romantico, con una forte presenza della natura, da
lui tanto amata. Sempre con un occhio rivolto alla sfera
individuale, e uno a quella collettiva. Produttore, con la sua
Wildwood Enterprises, scopritore di nuovi talenti e sostenitore del
cinema indipendente, ha fondato il Sundance Institute e patrocinato
il Sundance Film Festival, rispettivamente fucina e vetrina di
giovani attori e registi che vogliono crescere lontano dallo
strapotere hollywoodiano. Da interprete ha segnato il cinema di
almeno tre decenni (‘60-‘80), da regista ha lasciato la sua
impronta negli altri due (’90- ’00).
Charles Robert Redford Jr. nasce a
Santa Monica, in California, nel ’37, da madre casalinga e padre
lattaio di origine irlandese, poi contabile alla Standard Oil
(negli anni ’50). Dopo la morte prematura della madre,
avvenuta a soli 41 anni, e dopo essersi diplomato, parte per
l’Europa, facendo vita d’artista. Amante della natura, infatti, si
è dato alla pittura. Visita Francia e Italia. Nel ’57 è di nuovo
negli Stati Uniti, dove decide di iscriversi al Pratt Institute of
Arts di New York. Propende per la recitazione, e si iscrive
all’Accademia Americana di Arti Drammatiche. In questo periodo
conosce Lola Van Wagenen, che sposerà nel ’58. Nel ’59 nasce il suo
primogenito Scott, che muore poco dopo. Ma l’attore avrà con Lola
altri tre figli – nel ’60 nasce Shauna, due anni dopo James, oggi
sceneggiatore, e nel ’70 Amy, attrice.
È il ’59, però, l’anno del suo
debutto teatrale a Broadway, con la partecipazione a Tall
story. Nei primi anni ’60 inizia a lavorare per la tv e
prosegue col teatro. Ma soprattutto, esordisce al cinema nel 1961,
in Caccia di guerra di Dennis Sanders, ambientato
nel ’53 durante la guerra di Corea. Accanto a lui, tra gli altri,
recita l’amico Sydney Pollack, che punterà su di lui per diverse
fortunate pellicole, mettendo in luce l’astro Redford nel
firmamento hollywoodiano, prima, e ne consoliderà la fama, poi. Nel
’65, sarà in un paio di divertenti commedie: Situazione
disperata, ma non seria e Lo strano mondo di Daisy
Clover, dove reciterà accanto all’amica Natalie Wood. Il
talento di Redford nella commedia è d’altronde noto dalle sue
prime esperienze teatrali. Ed è proprio con una commedia di cui era
stato già protagonista in teatro, per la regia di Neil Simon,
A piedi nudi nel parco, che arriva il primo vero
successo sul grande schermo. È il 1967 e il film è diretto da Jamy
Saks. La coppia di caratteri opposti formata da Redford e Jane
Fonda funziona più che bene nel dipingere la difficile quotidianità
di due novelli sposi. Ne scaturisce un godibile ed esilarante
racconto di illusioni che cadono e ostacoli da superare: la
scoperta dell’altro nel bene e nel male, con pregi e difetti, con
cui fare i conti tutti i giorni. A Redford il compito di
impersonare il marito compassato e razionale, alla Fonda quello di
calarsi nei panni dell’eccentrica e svagata moglie, senza
dimenticare Mildred Natwick nei panni della tipica suocera.
Un altro importante incontro nella
carriera di Redford è quello con George Roy Hill, che lo sceglie
prima per interpretare il ruolo di Sundance Kid in Butch
Cassidy (’69), poi per La stangata (’73).
Nasce e si consolida così una delle coppie più affiatate della
storia del cinema americano: Redford incontra Paul Newman, e il
successo è assicurato. Coppia di ladri, assaltatori di treni e
banche nel Far West nel primo caso, di truffatori nell’America
della Grande Depressione nel secondo. Uno più esperto (Newman),
l’altro giovane, ma promettente (Redford). Molta ironia,
interpretazioni perfette e ruoli complementari, colonne sonore che
restano stampate nella memoria (Raindrops keep fallin’ on my
head di Burt Bacharach nell’uno, e il celebre ragtime di Scott
Joplin The Entertainer nell’altro). Questi gli ingredienti
di sicura riuscita cui Hill s’affida. E non sbaglia, vista la
pioggia di Oscar – è proprio il caso di dirlo – che cade
sulle due pellicole: cinque statuette per Butch
Cassidy e addirittura otto per La
stangata. Per il ruolo di Sundance Kid, Redford si
aggiudicherà il BAFTA – che spetterà anche alla protagonista
femminile Katherine Ross – mentre per quello di Johnny Hooker,
l’attore riceverà il David di Donatello come Miglior Attore
straniero.
In questi stessi anni la
collaborazione con Pollack dà i suoi primi frutti. Se già nel ’66
questi aveva diretto Redford nel suo secondo film, Questa
ragazza è di tutti, nel ’72 lo vuole per interpretare
Jeremiah Johnson nel western Corvo rosso non avrai il mio
scalpo. Ma il primo vero grande successo ottenuto da
questa fortunata unione artistica è la commedia sentimentale
Come eravamo (‘73) dove l’attore californiano
recita al fianco di Barbra Streisand. È un viaggio in un ventennio
di storia americana, dagli anni ’30 ai ’50, in cui si dipana la
vicenda sentimentale piuttosto tormentata della coppia: Hubbell
Gardner/Redford e Katie Morosky/Streisand. Lui, giovane di classe
media, che sperimenta esercito e guerra, ma con la passione per la
scrittura, finisce a fare lo sceneggiatore a Hollywood, durante il
maccartismo. Lei, attivista di sinistra di carattere e convinzioni
incrollabili, lotta per le sue battaglie. Pur nell’estrema
diversità, si amano e provano ad affrontare una vita insieme. Ma i
caratteri opposi alla lunga, nonostante l’amore, si rivelano
inconciliabili. Gran successo del film, grazie alle ottime
interpretazioni dei protagonisti, alla sapiente regia di Pollack e
alla colonna sonora di Marvin Hamlisch – lo stesso che, sempre nel
’73, adatta il ragtime di Joplin per La stangata.
Valanga di premi, anche in questo caso: Oscar e Golden Globe per la
Miglior Colonna sonora e Canzone originale, The way we
were, cantata sul finale dalla stessa Streisand. David di
Donatello a lei come Miglior Attrice straniera.
Due anni dopo, Pollack e Redford
bissano il successo con I tre giorni del condor.
Stavolta siamo in tutt’altro clima. Redford interpreta il
tranquillo impiegato Joseph Turner, che fa ricerche per conto della
Cia. Scampa per caso a una strage e si troverà nel bel mezzo di una
storia di servizi segreti deviati e dossier falsi, creati per far
scoppiare una guerra in Medio Oriente. Saprà cavarsela abilmente,
anche grazie all’aiuto di Kathy/Faye Dunaway. Qui, Redford è alle
prese con questioni di ordine etico, sociale e politico. Interpreta
con convinzione ed efficacia il ruolo del cittadino comune, onesto
lavoratore, che, venuto a conoscenza di crimini e ingiustizie, fa
la cosa giusta, scegliendo di non tacere.
Nel ’76 invece, non sarà Pollack,
ma Alan Pakula a dirigere Redford in un altro classico del cinema
americano, che stavolta lo vede recitare in coppia con Dustin
Hoffman. Si tratta di Tutti gli uomini del
presidente, dove l’attore veste i panni del giornalista
Bob Woodward. È così che, dopo i politici rampanti stile Kennedy
(The candidate), il maccartismo, i servizi segreti
deviati, il nostro sarà uno dei due giornalisti del Washington Post
che con le loro rivelazioni daranno il via allo scandalo Watergate,
che porterà il Presidente Nixon alle dimissioni. Sceneggiatura di
William Goldman, premiata con l’Oscar, per l’efficace adattamento
del libro, scritto dagli stessi Woodward e Bernstein. Il film è la
ricostruzione puntuale dell’inchiesta, cui i volti e le
interpretazioni di Redford e Hoffman regalano corpo e passione
civile. Passione civile che contraddistinguerà sempre Redford nella
vita, oltre che nelle sue interpretazioni e nei suoi lavori da
regista.
L’attore californiano interpreta
poi il cowboy Sonny Steele, che non sopporta maltrattamenti e
sfruttamento dei cavalli, recitando di nuovo per Pollack, ne
Il cavaliere elettrico (‘79). Qui, ritrova la
collega Jane Fonda. È il direttore di un penitenziario che si finge
detenuto per verificare le condizioni del suo carcere in
Brubaker di Stuart Rosemberg (’80), e il giocatore
di baseball Roy Hobbs ne Il migliore di Barry
Levinson (’84). Ma la pellicola più riuscita cui partecipa in
questi anni è senza dubbio La mia Africa (’85),
ennesimo capitolo del sodalizio con Pollack, che ora lo sceglie per
stare accanto a una volitiva Meryl Streep, nei panni di Karen
Blixen. Il film è infatti tratto dall’omonimo libro della baronessa
danese, che nei primi decenni del ‘900 acquistò, e diresse da sola,
una piantagione di caffè in Kenia, eleggendo l’Africa a sua terra
d’adozione. Piglio da imprenditrice, indipendenza, filantropia,
coraggio le doti principali di questa donna, interpretata
magistralmente da una magnifica Meryl Streep. Una donna
insoddisfatta della vita, pure agiata, che il marito barone le fa
condurre, insoddisfatta di un matrimonio contratto per convenienza,
che ha il coraggio di lasciarsi alle spalle tutto, dapprima
acquistando la piantagione dove si trasferirà, poi divorziando dal
marito, sempre più lontano. Coraggiosa anche nel cercare in questa
nuova vita, un nuovo amore, che troverà appunto in Denys/Redford.
Altra relazione tumultuosa, non la prima nella carriera di Redford
attore, perché i due caratteri non collimano: possessiva lei, che
attribuisce l’aggettivo “mio” a tutto ciò che ha intorno e vorrebbe
farlo anche con le persone, ivi compreso ovviamente lo stesso
Denys. Spirito libero lui, che non vuole rinunciare a un briciolo
della sua indipendenza, nonostante l’amore per Karen. Grande
successo di critica e pubblico e ancora una volta incetta di
statuette (Oscar per Miglior Film, Regia, Sceneggiatura, tra gli
altri), Nastro d’Argento e David di Donatello come Miglior Film
straniero. Quest’ultimo riconoscimento va anche alla Streep come
Miglior Attrice straniera. Nella vita privata, questo per l’attore
è l’anno del divorzio da Lola Van Wagenen.
Ormai la fama di Redford è
consolidata, ha avuto l’opportunità di farsi dirigere da grandi
registi e lavorare al fianco dei più noti volti maschili e
femminili di Hollywood. È per questo che, già all’inizio del
decennio ’80, cerca gratificazioni anche in altre attività. È il
1980 quando passa dietro la macchina da presa, per dirigere Donald
Sutherland, Mary Tyler Moore e Timothy Hutton in Gente
comune. Si trova più che a suo agio Redford nella nuova
veste di regista, ed è così abile che guadagna quell’Oscar mai
ricevuto fin ora come attore. Da regista potrà dedicarsi ad
esplorare le tematiche che più gli stanno a cuore: i rapporti
familiari, in particolare quelli fra genitori e figli, l’amore per
la natura e gli animali, ma anche la passione civile. Quest’esordio
ottiene gli Oscar per il Miglior Film, la Miglior Regia e la
Miglior Sceneggiatura.
Le capacità registiche di Redford
saranno confermate negli anni a venire, specie nei ’90. I larghi
paesaggi naturali del Montana faranno da sfondo alla storia di una
famiglia americana nei primi trent’anni del secolo scorso, nel film
In mezzo scorre il fiume (1992). Di buona fattura,
si avvale di una trattazione classica della geografia dei
sentimenti, non scevra da retorica. Due anni dopo dirige John
Turturro in Quiz show, in cui riflette sul ruolo
della tv nella società moderna. Nel ’98 torna al suo amore per la
natura e gli animali dirigendo sé stesso e la quattordicenne
Scarlett Johansson in L’uomo che
sussurrava ai cavalli. Film sentimentale, in cui Redford
tocca le corde più facilmente emotive dello spettatore, non
rinunciando al suo stile classico, forse un po’ stucchevole, ma
alla fine efficace. Ancora una volta, ambientato tra le verdi
vallate del Montana. Qui il regista ritaglia per sé la parte del
cowboy saggio e piuttosto solitario, che sembra quasi preferire gli
animali agli uomini.
Negli anni ’90 e 2000, Redford
continua a far film anche solo come attore, ma non di particolare
rilievo, scegliendo di concentrarsi soprattutto sulla regia. Da
molto, poi, ha creato una sua casa di produzione cinematografica, e
si è dato al sostegno e alla formazione di giovani talenti
artistici. Ha fondato, infatti, anche il Sundance Institute, nello
Utah. Accanto a questo istituto, è nata quella che negli anni è
diventata un’importante vetrina per nuove promesse del cinema: il
Sundance Film Festival – oggi il maggior festival americano di
cinema indipendente. Questo suo impegno nella promozione del cinema
indipendente made in Usa è tra le motivazioni alla base dell’Oscar
alla carriera, conferitogli nel 2002 dall’Academy hollywoodiana. Il
Sundance Film Festival ha lanciato registi come Quentin Tarantino,
Robert Rodriguez e Darren Aronofsky.
Tornando al lavoro dietro la
macchina da presa, nel 2000 Redford dirige Will Smith e Matt Demon
in La leggenda di Bugger Vance. Poi si prende una
pausa, per tornare alla politica e all’attualità con Leoni
per agnelli nel 2007. Cast stellare che vede, oltre a
Redford stesso, Meryl Streep e Tom Cruise, per il ritorno
all’impegno politico del regista californiano. Qui, il maturo
Redford punta a suscitare dibattito, dubbi, domande, su quella che
è forse la più grande questione politica di questi anni: la guerra
in Medio Oriente come strumento di lotta al terrorismo. Nei tre
episodi del film emerge la posizione nettamente antimilitarista di
Redford e la volontà di smascherare la cattiva coscienza,
l’ipocrisia e l’opportunismo di quella parte della società
americana che sostiene le ragioni della guerra. Ma punta a scuotere
anche chi, pur contrario, non fa abbastanza per opporvisi.
E torna ancora alla politica nel
2010 con The
Conspirator, per raccontare la storia di una donna,
arrestata con altri sette compagni dopo l’uccisione di Abramo
Lincoln. Sono tutti accusati di aver tramato per uccidere il
Presidente. La pellicola sarà nelle sale italiane dal prossimo 22
giugno. Ancora grandi questioni morali, politica, ma anche affetti
e sentimenti, insomma gli ingredienti tipici della cinematografia
di Redford, per questo atteso ritorno alla regia