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La Teoria del Tutto trailer italiano del film su Stephen Hawking

Ecco il trailer italiano di La Teoria di Tutto (The Theory of Everything), film che vedrà riportare sul grande schermo la giovinezza del celebre scienziato Stephen Hawking. Nel trailer possiamo vedere Eddie Redmayne nei panni di un giovane Hawking e Felicity Jones, che interpreta invece la moglie dello scienziato, Jane Wilde.

La Teoria di Tutto è diretto dal regista premio Oscar James Marsh (Man on Wire; Doppio Gioco) ed è basato sulle memorie di Jane Wilde “Travelling to Infinity: My Life with Stephen”; la sceneggiatura è diAnthony McCarten che si occupa anche della produzione con Lisa Bruce e i soci della Working Title Tim Bevan e Eric Fellner.

La Teoria di Tutto si concentra sulla relazione romantica che Hawking ha intrecciato all’epoca di Cambridge con la donna che sarebbe poi diventata sua moglie, Jane Wilde. La relazione con questa brillante donna portò lo scienziato ad abbracciare notevli sfide personali e scientifiche, e aprì il suo mondo, così a sua volta lui fu in grado di aprire il mondo intero ad una nuova visione ed una nuova prospettiva. Il film uscirà il 7 novembre 2014.

Peter Schlessel, CEO della Focus, ha commentato: “Questa straordinaria storia d’amore tra una delle più grandi menti della storia e sua moglie è profondamente commovente e d’ispirazione, raccontata con cuore e humor. Sotto la dinamica regia di James Marsh, Eddie Redmayne e Felicity Jones ci consegnano due performance di straordinario impatto emotivo.”

Oltre a Eddie Redmayne e Felicity Jones nel cast de La Teoria di Tutto ci sono anche Emily Watson eDavid Thewlis.

 
 

La teoria del tutto dal 29 aprile in Home Video

Arriva domani in Blu-ray e DVD la toccante interpretazione del Premio Oscar Eddie Redmayne ne La Teoria di Tutto, il coinvolgente drama sulla vita dell’astrofisico Stephen Hawking.

Il film, interpretato da Eddie Redmayne e Felicity Jones e diretto da James Marsh, si è aggiudicato tra gli altri riconoscimenti un Premio Oscar , due Golden Globe (Miglior attore in un film drammatico, Miglior colonna sonora originale) e due BAFTA (Miglior attore protagonista e Miglior sceneggiatura non originale).

 
 

La Tenerezza: recensione del film di Gianni Amelio

la tenerezza

La Tenerezza, ritorno al cinema di Gianni Amelio, è un film sulla difficoltà nei rapporti umani, specie quelli tra padri e figli, su un’incapacità che pare senza rimedio, ma forse non lo è sempre, e anche sulla difficoltà ad accettare l’età che avanza. Protagonista Renato Carpentieri nei panni dell’avvocato in pensione, Lorenzo, e la sua relazione tormentata con i figli, soprattutto Elena (Giovanna Mezzogiorno). A spingerlo verso un cambiamento sarà l’incontro casuale con una giovane coppia, Michela (Micaela Ramazzotti) e Fabio (Elio Germano) e i loro due bambini.

Tecnicamente solido, il film conta sulla sensibilità di Amelio nell’inquadratura e sulla fotografia di Luca Bigazzi, che oltre a un ottimo lavoro sui personaggi, rendono coprotagonista la città di Napoli, come su un cast di tutto rispetto, in cui Carpentieri disegna con efficace intensità il ruolo principale.

Coraggioso da parte del regista mettere al centro la figura dell’anziano Lorenzo, avvocato esperto in piccole truffe alle compagnie assicurative. Lo spettatore vede attraverso i suoi occhi. Dunque, degli altri personaggi non sa più di quanto sappia lui, burbero e schivo, che quasi non conosce i figli Elena e Saverio (Arturo Muselli) e poco sa di Fabio e Michela, suoi nuovi vicini appena arrivati a Napoli, ma con cui si trova stranamente a suo agio. È in sintonia con Michela, simpatica, estroversa e un po’ sbadata, ma anche con Fabio, nelle cui difficoltà a rapportarsi ai figli rivede in parte sé stesso. Nella coppia gli pare di trovare l’amore e la complicità che lui e la sua defunta moglie non hanno mai vissuto.

Al contempo,  però, ogni personaggio secondario introduce una sua peculiare solitudine, un vissuto ricco di spunti interessanti e temi forti – dal terrorismo al funzionamento del sistema giudiziario, alla violenza che spesso si annida dove non ci si aspetta ed ha radici profonde. Temi che meriterebbero un maggiore sviluppo, mentre molti interrogativi restano aperti circa esistenze solo sfiorate (soprattutto quelle di Fabio e Michela, le più complesse e sacrificate).

Coraggiosa anche la scelta del registro minimalista: scrittura scarna, povera di dialoghi, poche frasi spesso ruvide o laconiche, lunghi silenzi e gesti che sembrano definitivi, abbandoni e rinunce che lasciano enormi vuoti. Interpretazioni tese a trattenere le emozioni piuttosto che a mostrarle, eppure intense. Una scelta severa, per cui il film può risultare di fruizione non facile, simile ai suoi personaggi: una superficie all’apparenza fredda, dalla quale il regista fa emergere solo in rari sprazzi il magma di sentimenti sopiti, rimossi, ricacciati in profondità. Lo spettatore deve essere pronto a coglierli.

Amelio restituisce così una visione dura, di un mondo in cui solitudine e incomunicabilità rischiano di schiacciarci e in qualche caso lo fanno, in cui gli uomini sembrano più fragili, le donne più tenaci – anche se a volte la tenacia è solo ostinazione o sopportazione – i bambini i più danneggiati dall’incapacità degli adulti. Lascia però aperto uno spiraglio al cambiamento, che passi magari attraverso un gesto di tenerezza.

 
 

La Tenerezza, a Roma presentato il nuovo film di Gianni Amelio

la tenerezza

Presentato a Roma il nuovo lavoro di Gianni Amelio, La Tenerezza, in anteprima al Bari International Film Festival il 22 aprile e in sala dal 24. Il regista ne parla assieme al ricco cast – Renato Carpentieri, Giovanna Mezzogiorno, Elio Germano e Micaela Ramazzotti .

Ci dia la sua definizione di “tenerezza”.

Gianni Amelio: “In realtà non ci ho mai riflettuto. Il titolo è venuto pensando al finale e soprattutto alla testardaggine con cui la figura di Elena [Giovanna Mezzogiorno ndr] cerca di recuperare un gesto da suo padre. […] Credo sia qualcosa di cui abbiamo bisogno per scacciare l’ansia, oggi che siamo prigionieri di un mondo in cui non ti aspetti ciò che potrebbe succedere fra un secondo, un mondo fatto di trappole e inganni. […] Ci vuole il coraggio di non essere timidi e vergognosi, anche se un gesto di tenerezza contrasta con il nostro essere forti, o volerlo essere. Un uomo che fa un gesto di tenerezza si considera debole e anche le donne ormai hanno capito che la tenerezza va data quando è autentica, altrimenti è una merce scaduta”.

Com’è stato lavorare con Gianni Amelio?

Renato Carpentieri: “Da quando ho fatto Porte Aperte ho sognato di fare un altro film con Gianni. Qui poi avevo un’altra responsabilità: essere il suo doppio, c’era qualcosa di Gianni nel mio personaggio”.

Amelio: “Renato ed io abbiamo la stessa età, mi specchio in lui, è il mio lato bello sullo schermo e siamo in sintonia su molte cose”. “Se c’è una qualità che mi riconosco è proprio quella di aver scelto questi attori”. “Li ho voluti in modo tignoso e appassionato, perché la scelta dei compagni di viaggio è fondamentale, sono loro che ti rendono il viaggio bello oppure un inferno”.

Micaela Ramazzotti: “Siamo stati tutti adottati da Gianni, che ci ha liberato, ci ha fatto essere ciò  che voleva e che noi forse desideravamo, perché quando incontri un regista come lui vale più di cento riconoscimenti insieme. Sai che c’è qualcuno pronto a prenderti qualsiasi cosa tu faccia e questo ci ha dato energia”.

Elio Germano: “È vero, Gianni ti abita. Lavorare con lui è un abbandono. Pensiamo sempre che il nostro mestiere sia di volontà, invece, specialmente con grandissimi autori, è l’abbandono che fa la differenza. A un certo punto non sai in che strada stai andando e questo è molto piacevole”. 

Giovanna Mezzogiorno: “Anch’io penso che bisogna sapersi abbandonare, fidarsi completamente, più che andare verso un film o un personaggio lasciare che questi vengano a te, che ti prendano, ed essere pronti ad accoglierli a braccia aperte. Si può leggere un copione, pensare al personaggio, parlarne molto prima delle riprese, ma c’è sempre un momento in cui non hai più il controllo, vieni preso e portato dove non sai e non lo puoi sapere prima. […] È il momento migliore”.

Quali le differenze rispetto al libro cui il film è liberamente ispirato [La tentazione di essere felici di Lorenzo Marone ndr]?

Amelio: “Il protagonista del libro è del tutto diverso da Lorenzo, protagonista del film”. “Ho dato al personaggio un’inquietudine che io e Renato condividiamo, ovvero una sorta di rifiuto dell’età che avanza. Trovo che sia una cosa ingiusta, ci si dovrebbe fermare nell’età migliore, un uomo ai 45, una donna ai 35, e portarseli per tutta la vita, però avendo la saggezza della maturità. L’idea di invecchiare dà una sorta di rifiuto della premura altrui, anche quando è giustificata”.

Come avete scelto le ambientazioni napoletane?

Amelio: “Il libro si ambienta al Vomero. […] Per chi come me non è napoletano, però, arrivare al Vomero non è arrivare a Napoli. Io non saprei raccontare quel quartiere. È come se un turista giapponese arrivasse a Roma e andasse subito ai Parioli, piuttosto si va al Colosseo o a Trastevere. Quindi ho operato una variante enorme: la Napoli del film è quella dei bassi, ma anche dei suoi straordinari attici”.

Carpentieri: “Ha scelto tutto Gianni, ma quella che ha scelto è la mia Napoli, sono i luoghi della mia vita, quelli che conoscevo a menadito, c’era un legame affettivo”.

Perché il film non è a Cannes?

Amelio: “Sono stato sette volte a Venezia con un Leone d’Oro e quattro volte a Cannes. I premi li ho vinti, ora da questo film, che abbiamo fatto con grande onestà, passione e semplicità, vorrei il pubblico”.

La Tenerezza, prodotto da Pepito Produzioni di Agostino Saccà e Rai Cinema, arriva nelle sale il 24 aprile.

 
 

La tendenza alla cecità. Considerazioni disordinate non riordinabili (forse).

C’erano una volta e ora ce ne sono di meno, dei film che impressionavano per il loro contenuto violento e che venivano spesso accusati di ispirare reali manifestazioni di violenza all’interno della società. Ma la responsabilità dell’artista è più nell’opera in sé e meno negli effetti che essa produce, per quanto nefasti essi possano essere.

Dico che c’erano una volta perché ora poco o nulla sembra poter produrre in noi sconcerto. Siamo spettatori terribilmente svezzati, disincantati, smaliziati. Alla violenza che vediamo sullo schermo ci siamo ormai abituati, tanta ne abbiamo veduta, tanta ne vediamo e ne viviamo. La violenza è paradossalmente accettata e non sappiamo più ricevere dalla sua rappresentazione uno shock, non sappiamo più rimanerne sconcertati.

La vediamo dappertutto e dunque non è mai estranea, tanto ne siamo imbevuti. È conosciuta una volta per sempre, è classificata, incasellata in miliardi di servizi televisivi da paesi che ci sembrano ancora più lontani visti sullo schermo, è sterilizzata dal linguaggio giornalistico che funziona come una litote.

È la società dello spettacolo, la nostra, diceva Debord. L’immagine è al centro di tutte le possibili relazioni tra tutti i soggetti. E così produciamo immagini a iosa e ne siamo imbevuti. Ma è proprio questo vedere di tutto sempre acritico e passivo ad averci reso meno ricettivi, anche per quelle immagini che dovrebbero colpirci. Il sentimento della meraviglia si attenua. L’abitudine a vedere deve averci reso ciechi.

Del resto, fa notare Ghezzi nel suo castoro su Kubrick prendendo le definizioni del dizionario Inglese-Italiano Hazon, che “Overlook” significa tanto “guardare con attenzione” che “trascurare”, “lasciarsi sfuggire”. E così anche Edipo pur vedendo tutto era cieco, e solo quando dal troppo aver conosciuto si crepò gli occhi, tornò a vedere.

“What have you done to his eyes?”, urlava una (comprensibilmente) terrorizzata Rosemary guardando gli occhi di quel suo figlio avuto da sua maestà infernale. Cosa è stato fatto dei nostri occhi? Diversamente dal Gloucester di Re Lear, a noi non sono stati strappati. Piuttosto è stata loro strappata la capacità di farci assalire da questa o quell’altra visione: tutte si equivalgono, tutte hanno lo stesso sapore. I prodotti cinematografici sono sempre più prodotti seriali, pressoché simili. Del resto, quella del cinema è un’industria, fordiana, ma più nel senso di Henry che di John.

Avvertiamo dunque la falsità del dispositivo cinematografico e di ciò che esso mostra: è più chiaro a noi che a Welles che un film è sempre un fake, e come tale non ce ne facciamo suggestionare, così per la violenza in esso mostrata. Erano trent’anni fa o trenta secoli fa quando “Cane di paglia” e “Arancia meccanica” ci facevano paura?

Eppure necessitiamo di verità perché tutto ci sembra falso, tutto uguale, nulla ci impressiona realmente. Perché torniamo a impressionarci, è necessario che le cose ci appaiano veramente vere, e questo perchè forse siamo noi ad essere diventati un po’ più finti: anche noi parte del gioco della società dello spettacolo, con la nostra immagine da portare avanti. Diceva Alex De Large che non era affatto meccanico che “è buffo come i colori del mondo vero diventano veramente veri solo quando uno li vede sullo schermo”.

Ecco allora i mockumentaries: da “The Blair Witch project” fino a “Cloverfield”. Per potere essere impressionati di nuovo da ciò che viene mostrato sullo schermo, abbiamo necessità che esso sia dichiaratamente non-finto, che sia reale, presentato come documentario.

Come il santo straccione di Pasolini arrivava alla soluzione estrema di crepare davvero sulla croce perché non aveva alcun altro modo per ricordare di essere vivo, così anche noi ricorriamo all’estremamente finto (il mockumentary, documentario finto che finge d’essere vero) per poter essere ancora emozionati, perché ci appare estremamente vero.

Ecco anche i reality shows in ambientazioni esotiche… Perché non ci basta più vedere un altro normale show televisivo: ci siamo abituati.

Alex De Large ci sta molto più simpatico del suo carceriere (il secondino della prigione). Quest’ultimo è davvero “meccanico”, “a orologeria”, mentre Alex è vitale. Perché è questo mondo a volerci meccanicizzati, perché vorremmo sentirci vivi quando invece non lo siamo e abbiamo un disperato bisogno di verità dai realities ai mockumentaries perché solo così possiamo tornare a sconcertarci e a impressionarci, per assicurarci di non essere meccanici…

 
 

La tempesta perfetta: la trama, il cast e la vera storia dietro al film

La tempesta perfetta film

Ci sono storie talmente tanto ricche di avventura, ostacoli da superare e passioni che sembrano essersi svolte appositamente per divenire poi film per il cinema. Una di queste è quella narrata in La tempesta perfetta, film del 2000 diretto da Wolfgang Petersen, autore di titoli come Air Force One e Troy. La vicenda ruota qui intorno alle intemperie del mare contro cui si imbatté un peschereccio nel 1991. Uno scontro realmente avvenuto e che ha portato allo stremo e alla morte quanti vi rimasero coinvolti. Il film ripercorre così, in chiave romanzata, tali eventi, portando in scena tanto la bellezza quanto il terrore che un tempesta perfetta può suscitare.

Nel dar vita a questa storia, la pellicola si è basata sull’omonimo romanzo del 1997 scritto da Sebastian Junger. Giornalista americano, questi ha riportato nel libro un dettagliato resoconto della tempesta anche nota come Nor’ester del periodo di Halloween del 1991. Un evento che causò diversi morti tra i pescatori del Massachusetts, nonché oltre 500 milioni di dollari di danni. Ancora una volta lo scontro tra l’uomo e la natura si pone al centro dell’interesse di Hollywood, che vide in questa storia il materiale perfetto per trarne un film con cui rendere omaggio alla memoria di quanti persero la vita.

La tempesta perfetta si rivelò poi un buon successo al box office, arrivando ad incassare un totale di 327 milioni di dollari a fronte di un budget di 120. Tra grandi effetti speciali e memorabili interpretazioni, il film è ancora oggi un titolo tutto da riscoprire e apprezzare. Prima di intraprendere una visione di questo, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità ad esso relative. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast di attori e alla vera storia dietro al film. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

La tempesta perfetta: la trama del film

Protagonista del film è l’equipaggio del peschereccio noto come Andrea Gail, capitanato dal lupo di mare Billy Tyne. Questi, accompagnato dai suoi fedeli uomini, decide di uscire in mare confidando in una pesca sostanziosa al tal punto da poter risollevare la difficile situazione economica di tutti loro. Avventuratosi oltre le normale rotte di pesca, l’equipaggio si dirige verso Flemish Cap, un’area nota per i consistenti banchi di pesce spada. Qui gli uomini riusciranno a dar vita ad una pesca particolarmente fruttuosa, ma i problemi per loro devono ancora iniziare. In breve, infatti, si imbattono in una tempesta di proporzioni colossali, che li costringerà a decisioni estreme. Gli uomini si troveranno così costretti a sfidare la tempesta perfetta, mettendo in gioco la loro stessa vita.

La tempesta perfetta cast

La tempesta perfetta: il cast del film

Tra i maggiori elementi di interesse del film vi è un cast composto da alcuni tra i più celebri interpreti di Hollywood. George Clooney è il capitano Billy Tyne, amante del mare e delle pesca ma privo di grande fortuna. L’attore, inizialmente, si propose per un ruolo secondario, ma venne convinto dal regista di avere le giuste qualità per interpretare il protagonista. Fu Mark Wahlberg ad ottenere il ruolo originariamente voluto da Clooney, quello di Bobby Shatford, imbarcatosi in cerca di denaro. Per dar vita a questi, l’attore decise di conoscere i famigliari di Shatford, acquisendo da loro informazioni su Bobby. Dovette inoltre impegnarsi per nascondere il suo accento tipico della città di Boston. L’attrice Diane Lane dà invece vita a Christina Cotter, fidanzata di Bobby, la quale cercherà di dissuaderlo dal partire per mare.

L’attore John C. Reilly interpreta Dale Murphy, membro dell’Andrea Gail e personalità in crisi dopo la fine del suo matrimonio. William Fichtner veste invece i panni di David Sullivan, individuo spostato e indolente ma che non mancherà di rivelare la propria generosità. L’attore Michael Ironside venne scelto per il personaggio di Bob Brown per via della sua grande somiglianza con questi. Questa era tanto forte che in più occasioni Ironside venne scambiato dai locali per il vero pescatore. Mary Elizabeth Mastrantonio interpreta qui Linda Greenlaw, comandante del peschereccio Hannah Boden. L’attrice, dopo una brutta esperienza sul set di The Abyss, dichiarò che non avrebbe mai più partecipato a film ambientati in mare. Il regista riuscì tuttavia a convincerla a ricoprire il ruolo poiché le sue scene si svolgevano sulla terra ferma.

La tempesta perfetta: la vera storia dietro al film

Nell’ottobre del 1991 il ciclone tropicale noreaster ha imperversato nell’Oceano Atlantico per diversi giorni, causando innumerevoli danni e vittime. Questo si originò in seguito al confluire di diversi venti e correnti, formando così una tempesta di eccezionale potenza sopra ad una vastissima area. Non presentando i tipici avvertimenti di un uragano, le piccole imbarcazioni di pescatori già in mare si trovarono ad essere colte alla sprovvista, dovendo così fronteggiare una situazione particolarmente difficile. Tra queste vi era l’Andrea Gail. Contrariamente a quanto avviene nel film, infatti, l’equipaggio non aveva idea di essere in procinto di imbattersi in un evento metereologico di questa portata. Da questo punto in poi, nessuno sa realmente cosa sia accaduto al peschereccio, e lo stesso film propone una versione dei fatti del tutto romanzata, frutto di supposizioni.

Terminata una tempesta, un elicottero di soccorso venne inviato in mare, dando vita ad una ricerca di eventuali superstiti che però non portò a nessun risultato. Dopo 10 giorni, la ricerca venne interrotta per via dell’ormai certa morte dei pescatori rimasti in mare. In totale, durante la tempesta persero la vita 13 uomini, di cui 6 appartenenti al peschereccio Andrea Gail. I danni furono però numerosi anche sulla terra ferma. Numerose case e attività vennero distrutte dalla tempesta, costringendo in molti a spostarsi in cerca di sicurezza. Strade e aeroporti vennero chiusi, e migliaia di persone rimasero senza corrente elettrica. La città di Gloucester, particolarmente colpita, dedicò poi una statua ai pescatori morti in mare, riportante appunto la dicitura “They that go down to the sea in ships“.

La tempesta perfetta: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile vedere o rivedere il film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. La tempesta perfetta è infatti disponibile nel catalogo di Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play, e Apple iTunes Per vederlo, in base alla piattaforma scelta, basterà iscriversi o noleggiare il singolo film. Si avrà così modo di poter fruire di questo per una comoda visione casalinga. È bene notare che in caso di solo noleggio, il titolo sarà a disposizione per un determinato limite temporale, entro cui bisognerà effettuare la visione. Il film sarà inoltre trasmesso in televisione il giorno giovedì 7 luglio alle ore 21:00 sul canale Iris.

Fonte: IMDb, Ranker

 
 

La tavola di Natale: recensione della rom-com Netflix

La tavola di Natale recensione

È finalmente arrivato quel periodo dell’anno tanto temuto e detestato dai grinch di tutto il mondo. Il periodo in cui, tra luci colorate, plaid dalle stampe discutibili e tazzoni di cioccolata calda, ci si piazza davanti il piccolo schermo per perdersi in lunghe sessioni di binge watching di film e serie tv natalizie di ogni genere. Proprio per questo motivo, ogni anno sempre più, Netflix arricchisce il suo catalogo con una lunga lista di prodotti adatti all’occasione. Infatti, di recente è stata aggiunta la tenera rom-com La tavola di Natale (titolo originale Catering Christmas) che, nell’arco di pochi giorni, ha raggiunto l’ambita classifica italiana della Top10 Netflix.

Il film, dalla durata di 1 ora e 25 minuti, è diretto dal regista canadese T.W. Peacocke, veterano nella realizzazione di commedie romantiche, e nasce dal grembo della nota rete televisiva Great American Family.

La tavola di Natale trama

La tavola di Natale segue il fatidico e dolce incontro tra Molly Frost e Carson Harrison, interpretati rispettivamente da Merritt Patterson e Daniel Lissing. Molly è una giovane cuoca e imprenditrice in cerca di opportunità per lanciare la sua nuova attività di ristorazione, il Molly’s Menu Magic. Carson, invece, è l’attraente nipote della tanto stimata e rispettata Jean Harrison (Rosemary Dunsmore), proprietaria della Harrison Foundation. Ogni anno la signora Jean organizza il più grande evento di beneficenza nel New Hampshire, il gala di Natale della Harrison Foundation. E proprio per questa attesa occasione che l’esigente zia Jean, dopo un disguido con il catering già scelto tempo prima, chiama il secondo servizio di ristorazione più richiesto in città, quello di Molly. Entusiasta per la possibilità di occuparsi dell’organizzazione di un evento tanto importante, Molly si ritrova così a passare molto tempo con Carson, a cui la zia affida l’incarico di responsabile nella speranza che possa accettare di ereditare la grande fondazione di famiglia.

La tavola di Natale – In foto Merritt Patterson e Daniel Lissing

Un film che non lascia spazio all’immaginazione né al sentimentalismo

Il connubio Amore e Cucina ha caratterizzato alcune delle pellicole romantiche più celebri di sempre, come l’indiscusso cult Mangia Prega Ama di Ryan Murphy. E se a questa accoppiata si aggiunge anche la suggestiva e commovente atmosfera natalizia, si può quasi pensare di avere la ricetta invincibile per la rom-com perfetta. Ma basta questo per creare una emozionante e indimenticabile storia d’amore? Sfortunatamente per Peacocke, no.

La tavola di Natale è una commedia romantica che fatica a farsi guardare. Infatti, al di là della trama semplice e già vista, e dei personaggi principali bidimensionali e poco efficaci (per non parlare dell’inutilità di quelli secondari), la storia – minuto dopo minuto – finisce per essere fortemente penalizzata da dialoghi scialbi, irrilevanti e privi dell’appassionante e travolgente romanticismo che tanto distingue questo genere. Mancano la profondità, la poesia, l’entusiasmo e la delicatezza del sentimento amoroso. Più che una relazione d’amore, i due protagonisti sembrano unirsi l’un l’altra da un freddo e labile rapporto di stima e fiducia. Persino l’improvvisata coppia composta dalla zia e dal suo collaboratore appare, alla fine del film, più affiatata e intraprendente della coppia protagonista.

Una rom-com da mettere in sottofondo

La tavola di Natale è, dunque, la dimostrazione che sempre più spesso i prodotti televisivi e cinematografici finiscono per assoggettarsi a una richiesta di mercato che punta più sulla quantità che sulla qualità. La storia di Molly e Carson – così frettolosa, piatta e priva di sorprese – non riesce a coinvolgere, emozionare e né, tanto meno, a intrattenere il pubblico.

Il film di Peacocke manca di opportunità e finisce per presentarsi come il classico prodotto audiovisivo da mettere in sottofondo, quando si è stanchi della playlist di Mariah Carey, mentre si decorano distrattamente i biscotti di Natale.

 
 

La Tamburina (The Little Drummer Girl): la serie evento in prima tv su laF

La Tamburina (The Little Drummer Girl)

La Tamburina (The Little Drummer Girl) è la serie vento BBC/AMC dagli autori dell’acclamata “The Night Manager” e tratta dall’omonimo best seller di John le Carré.

La Tamburina (The Little Drummer Girl): quando esce e dove vederla in tv e in streaming

La Tamburina (The Little Drummer Girl) uscirà arriva a settembre in prima tv su laF (Sky 135)

La Tamburina (The Little Drummer Girl), la trama e il cast

La Tamburina (The Little Drummer Girl) è la serie evento firmata BBC/AMC, una spy story all’ultimo respiro. Spionaggio, amore, intrighi politici, tradimento, manipolazione: un thriller in 8 episodi ambientato nel 1979 dove nulla è come sembra diretto da Park Chan-wook, già all’opera con la trilogia della vendetta (Grand Prix Speciale della Giuria di Cannes 2004 con “Old Boy”).

In La Tamburina (The Little Drummer Girl) protagonisti sono Alexander Skarsgård (vincitore di un Emmy, un Golden Globe e un Critic’s Choice Award per “Big Little Lies”), Florence Pugh (candidata all’Oscar per “Piccole donne”), Michael Shannon (candidato due volte agli Oscar per “Revolutionary Road” e per “Animali notturni”).

Gli episodi di La Tamburina (The Little Drummer Girl)

Episodio 1: Charlie, una giovane attrice focosa e brillante, incontra un misterioso sconosciuto sulla spiaggia in Grecia e lui la trascina in un’operazione di spionaggio internazionale ad alto rischio.

Episodio 2: Charlie viene reclutato con la promessa del ruolo di una vita per infiltrarsi in una pericolosa cellula rivoluzionaria. Come storia di copertina, lei e Becker devono fingere di essere amanti.

Episodio 3: Charlie guida un’auto carica di esplosivo verso un deposito in Austria, mentre Kurtz e Becker corrono per salvarla da un errore fatale.

Episodio 4: Charlie attende il contatto dalla rete di Michel, ma la sua performance potrebbe non reggere sotto esame. Lei e Becker condividono un ultimo momento insieme prima che lei attraversi il punto di non ritorno.

Episodio 5: Charlie si unisce a un gruppo di rivoluzionari in Libano, senza nessuno che la salvi se viene smascherata come spia. Lavora per guadagnarsi la fiducia di Khalil e della sorella di Michel, Fatmeh.

Episodio 6: Charlie si prepara per la sua parte nel prossimo sciopero di Khalil.

 
 

La Talpa: recensione del film con Gary Oldman

La Talpa

Passato quasi in sordina a Venezia a causa dell’effetto Shame, arriva in Italia La Talpa (Tinker, Tailor, Soldier, Spy in originale) opera secondo di Tomas Alfredson. Si tratta di uno dei film più attesi della stagione, dal momento che oltre ad avere al timone il regista rivelazione di Lasciami Entrare, ha al suo attivo un cast di pezzi da novanta, capitanati nientemeno che da Gary Oldman, già bravissimo e amatissimo commissario Gordon per Christopher Nolan. Insieme a lui sua altezza reale Colin Firth, il bravissimo John Hurt, Mark Strong che sta diventando uno dei migliori caratteristi in circolazione, il Warrior Tom Hardy e Benedict Cumberbatch, noto ai più come Sherlock Holmes, protagonista dell’omonima e recentissima serie tv della BBC One.

La Talpa, tratto dal romanzo di John le Carré, si concentra in un periodo storico molto teso, che vede al suo apice le tensioni tra USA e URSS nel corso della Guerra Fredda. Di mezzo c’è una presunta ‘talpa’, un infiltrato nei servizi segreti britannici che sta dalla parte dei sovietici e che potrebbe incrinare i preziosi rapporti di amicizia che ci sono tra Regno Unito e i cugini d’Oltreoceano. Incaricato di stanare la talpa è assegnato a George Smiley (Gary Oldman), che mettendosi sulla pista lasciatagli dal suo superiore dal nome in codice Controllo (John Hurt), si muove con astuzia in mezzo alle difficili trame nascoste dei servizi segreti. Alfredson mostra per la seconda volta la sua accattivante eleganza con la macchina da presa centellinando parole e note, per lasciare spazio alle immagini, ai piani larghi e ai gesti misurati di un protagonista immenso, che con uno sguardo, un’inclinazione del viso o un’increspatura delle labbra riesce a dire tutto ciò che serve.

La Talpa, tra stile e regia

Lo stile del regista riesce, rinunciando a qualsiasi espediente esterno come la musica e il montaggio frenetico, a mantenere alta l’attenzione in una vicenda che ne richiede molta, soprattutto considerando che viene raccontata in base ad un susseguirsi di eventi cronologicamente non lineari e che, soprattutto all’inizio rischiano di confondere lo spettatore. Purtroppo, proprio questo interessante elemento di ricercatezza stilistica ha il difetto di appesantire la narrazione, rendendo il film un po’ meno appetibile. La sensazione che si ha alla fine è quella di un film concluso, compiuto nella sua contingenza narrativa ma che promette un futuro in cui altro deve ancora accadere e dando l’impressione che infondo non è veramente importante chi sia la talpa, ma chi, una volta rimossa ‘la mela marcia’, riesce ad ottenere il permesso di guidare i meccanismi segreti che reggono una nazione.

 
 

La Talpa – Trailer Italiano

La talpa (Tinker, Tailor, Soldier, Spy) è un film del 2011 diretto da Tomas Alfredson, basato sull’omonimo romanzo del 1974 di John le Carré. Il film è interpretato da Gary Oldman, nei panni di George Smiley, con Colin Firth, Tom Hardy, Mark Strong, Ciarán Hinds e Benedict Cumberbatch. È stato presentato in concorso alla 68ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Il romanzo di John le Carré era già stato adattato per il piccolo schermo nel 1979, in una miniserie TV diretta da John Irvin ed interpretata da Alec Guinness. Il progetto è stato inizialmente avviato da Peter Morgan quando scrisse una bozza della sceneggiatura, che venne offerta alla Working Title Films. Morgan ha poi abbandonato il film come sceneggiatore per motivi personali, ma rimanendo i vesti di produttore esecutivo. A seguito della partenza di Morgan, la Working Title ingaggia Peter Straughan e Bridget O’Connor per riformulare lo script. Il regista svedese Tomas Alfredson è stato confermato per dirigere la pellicola nel luglio 2009. La talpa è il suo primo film in lingua inglese. Il budget del film si aggira attorno ai 30 milioni di dollari, con il sostegno finanziario del francese StudioCanal.
Gary Oldman è stato scelto per il ruolo del protagonista, George Smiley. Successivamente si sono uniti al cast Colin Firth e Mark Strong. Michael Fassbender è stato in trattative per il ruolo di Ricki Tarr, ma il programma delle riprese andava in conflitto con il suo lavoro in X-Men – L’inizio, così la parte venne affidata a Tom Hardy. Jared Harris era stato scelto per far parte del cast, ma dovette abbandonare il progetto, a causa di conflitti di programmazione con Sherlock Holmes – Gioco di ombre, venendo sostituito da Toby Jones. Le riprese del film si sono svolte tra Budapest, Istanbul e Londra.

 
 

La Svolta: trailer del film italiano in arrivo su Netflix

Dopo essere stato presentato in anteprima Fuori concorso alla 39a edizione del Torino Film Festival, esce su Netflix il 20 aprile il film La Svolta, esordio al lungometraggio di Riccardo Antonaroli con, tra gli altri: Andrea Lattanzi, Brando Pacitto, Ludovica Martino, Max Malatesta, Chabeli Sastre Gonzalez, Federico Tocci, Tullio Sorrentino, Cristian Di Sante, Aniello Arena, Grazia Schiavo, Claudio Bigagli, con la partecipazione straordinaria di Marcello Fonte e un brano scritto e interpretato appositamente da Carl Brave.

La Svolta, prodotto da Rodeo Drive e Life Cinema con Rai Cinema, è un racconto intimo e delicato di due solitudini che si incontrano: Ludovico (interpretato dal talentuosissimo Brando Pacitto in un ruolo insolito), che vive rintanato nel vecchio appartamento della nonna ed è troppo spaventato dalla vita per uscire fuori nel mondo e mostrare se stesso, e Jack (l’ottimo Andrea Lattanzi) che invece ostenta durezza e determinazione.

La convivenza forzata dei due protagonisti, però, si trasforma man mano in un vero e proprio percorso d’iniziazione all’età adulta, alla scoperta dei rispettivi veri caratteri, in un’alternanza di comico e drammatico, di gioia e di dolore. E quando la realtà dura che li bracca spietata arriva a presentargli il conto, dovranno affrontarla, forti di una nuova consapevolezza e di un insperato coraggio.

L’alternanza dei registri del film è accompagnata anche da una cifra stilistica che si muove con abilità fra inquadrature statiche e composte, che ritraggono una suggestiva location come lo storico quartiere popolare di Roma Garbatella (in cui il film è interamente ambientato), e una dimensione estetica più “sporca” e mobile, in cui a soffermarsi sul volto dei due attori è una macchina a mano.

La Svolta è un film che gioca con i generi, presentandosi come una sorta di “road movie da fermo” ma è anche un omaggio al cinema di genere (e non solo). Per l’intero decorso narrativo, infatti, si colgono numerose citazioni e ispirazioni – da quelle più esplicite come il celebre film di Dino Risi Il Sorpasso, a quelle più estetiche che si rifanno all’immaginario letterario del comics.

Il tutto viene accompagnato dalle note e dalle parole di Carl Brave, uno dei rapper più noti e acclamati della scuola romana, che per il film ha scritto e interpretato l’omonimo brano musicale La Svolta.

 
 

La Svolta: dal 20 aprile su Netflix l’esordio di Riccardo Antonaroli

La Svolta

Dopo essere stato presentato in anteprima Fuori concorso alla 39a edizione del Torino Film Festival, esce su Netflix il 20 aprile il film La Svolta, esordio al lungometraggio di Riccardo Antonaroli con, tra gli altri: Andrea Lattanzi, Brando Pacitto, Ludovica Martino, Max Malatesta, Chabeli Sastre Gonzalez, Federico Tocci, Tullio Sorrentino, Cristian Di Sante, Aniello Arena, Grazia Schiavo, Claudio Bigagli, con la partecipazione straordinaria di Marcello Fonte e un brano scritto e interpretato appositamente da Carl Brave.

La Svolta, prodotto da Rodeo Drive e Life Cinema con Rai Cinema, è un racconto intimo e delicato di due solitudini che si incontrano: Ludovico (interpretato dal talentuosissimo Brando Pacitto in un ruolo insolito), che vive rintanato nel vecchio appartamento della nonna ed è troppo spaventato dalla vita per uscire fuori nel mondo e mostrare se stesso, e Jack (l’ottimo Andrea Lattanzi) che invece ostenta durezza e determinazione.

La convivenza forzata dei due protagonisti, però, si trasforma man mano in un vero e proprio percorso d’iniziazione all’età adulta, alla scoperta dei rispettivi veri caratteri, in un’alternanza di comico e drammatico, di gioia e di dolore. E quando la realtà dura che li bracca spietata arriva a presentargli il conto, dovranno affrontarla, forti di una nuova consapevolezza e di un insperato coraggio.

L’alternanza dei registri del film è accompagnata anche da una cifra stilistica che si muove con abilità fra inquadrature statiche e composte, che ritraggono una suggestiva location come lo storico quartiere popolare di Roma Garbatella (in cui il film è interamente ambientato), e una dimensione estetica più “sporca” e mobile, in cui a soffermarsi sul volto dei due attori è una macchina a mano.

La Svolta è un film che gioca con i generi, presentandosi come una sorta di “road movie da fermo” ma è anche un omaggio al cinema di genere (e non solo). Per l’intero decorso narrativo, infatti, si colgono numerose citazioni e ispirazioni – da quelle più esplicite come il celebre film di Dino Risi Il Sorpasso, a quelle più estetiche che si rifanno all’immaginario letterario del comics.

Il tutto viene accompagnato dalle note e dalle parole di Carl Brave, uno dei rapper più noti e acclamati della scuola romana, che per il film ha scritto e interpretato l’omonimo brano musicale La Svolta.

La Svolta – il poster

 
 

La Svastica nel Ventre: recensione del film

La Svastica nel Ventre è il film del 1977 diretto da Mario Caiano con protagonisti nel cast Sirpa Lane, Giancarlo Sisti, Roberto Posse e Marzia Ubaldi.

A partire dagli anni ’70 molti autori e registi sembrano restare affascinati dalle malvagità e dalle nefandezze del regime nazista, tanto da restituire nelle loro pellicole un ritratto scandaloso, erotico e perverso del Reich e di tutti coloro che avevano contribuito alla sua macabra ascesa.

Secondo la critica, si trattava in realtà dell’unica possibilità per le piccole case di produzione di realizzare horror a basso budget esplorando i nuovi sentieri del marketing: film come Salon Kitty (Tinto Brass, 1976), Ilsa la Belva delle SS, La Bestia in Calore, Il Portiere di Notte (Liliana Cavani, 1974) o Il Fantasma di Sodoma di Lucio Fulci- datato, però, 1988- contribuiscono a creare un vero e proprio sottogenere cinematografico ribattezzato nazisploitation, (che si colloca nel macro- genere dell’exploitation tanto in voga negli anni ’70) Erossvastica o porno- nazi, proprio perché tutte le pellicole erano accomunate da un gusto particolare per l’erotismo violento, i film di guerra e la classica tipologia da women- in- prison film.

Nel 1977 il regista Mario Caiano, con lo pseudonimo di William Hawkins, dirige un cult del genere che ha, addirittura, influenzato Quentin Tarantino nelle sue scelte cinefile, nonché nella realizzazione dello script di Inglourious Basterds: La Svastica nel Ventre – questo il titolo- racconta la storia di Hannah, una giovane ebrea moglie di un militare tedesco, che viene catturata dalle SS dopo che la sua famiglia è stata sterminata. Internata in un campo di concentramento, viene costretta a subire in silenzio violenze e soprusi, finché non viene notata per la sua bellezza da un alto ufficiale che prima la fa trasferire in un bordello per soldati e poi, dopo essersi invaghito di lei, la fa diventare sua amante affidandole la direzione di un altro bordello di lusso: questa lenta discesa negli inferi rientra nel piano della donna per vendicarsi dei suoi aguzzini, nonostante lo sforzo titanico del marito per ritrovarla e salvarla.

La trama del film ha palesemente ispirato Tarantino nella stesura dello script di Bastardi Senza Gloria, a partire dalla scelta della protagonista: una donna che ha vissuto sulla sua pelle l’odio, la violenza, l’orrore e che decide di portare avanti la sua vendetta- tremenda e spietata- a qualunque prezzo, fino a sacrificare la propria vita. Hannah come Shosanna (notare anche la curiosa assonanza dei due nomi): figure femminili dominanti, in entrambi i casi due storie di guerra atipiche dove il fil rouge è proprio la vendetta, quella possibilità per il più debole, per la parte lesa della situazione, di diventare per la prima volta fautore del proprio destino e delle proprie scelte, ribellandosi all’oppressore e alle sue torture.

Tecnicamente il film non brilla certo per la perizia tecnica: presenta delle ingenuità registiche notevoli, delle ricostruzioni d’epoca improbabili e delle scelte paesaggistiche improprie che non permettono ad un’idea interessante di avere il giusto sviluppo diegetico, rendendola un po’ figlia del suo tempo e relegando il film al cimitero cinefilo destinato ai patiti del genere.

 
 

La Supplication: domani al Trieste Film Festival in ricordo di Černobyl’

Nel trentesimo anniversario del disastro di Černobyl’ (26 aprile 1986), il cinema ricorda il più grave incidente mai verificatosi in una centrale nucleare con un film, La Supplication di Pol Cruchten, che avrà la sua anteprima mondiale al 27. Trieste Film Festival domani, sabato 23 gennaio, alla presenza dell’autore.

Tratto dal romanzo “Preghiera per Černobyl’. Cronaca del futuro” del premio Nobel Svetlana Aleksievič (un classico contemporaneo tradotto in tutte le lingue del mondo occidentale) il film trova nello straordinario lavoro della scrittrice un’inesauribile fonte di ispirazione, rielaborando le testimonianze raccolte per il libro in una forma cinematografica non convenzionale.

Le voci che danno forma a La supplication – spiega il regista – sono innumerevoli e di diverso tenore. Sono voci che ci parlano direttamente e testimoniano quella catastrofe di proporzioni universali. Ci toccano con la loro autenticità, la loro intelligenza, il loro coraggio e la loro umanità. E ci toccano anche perché sono più che mai pertinenti e rilevanti. Il materiale nel libro di Svetlana aveva già un suo fascino universale. In quel libro lei parlava non solo delle conseguenze della catastrofe nucleare ma anche della natura, della Terra, degli uomini che si mettono al posto di Dio, della paura e della fiducia nel futuro, della Fede e dell’amore. In poche parole, della nostra condizione umana“.

Giunto quest’anno alla 27. edizione, il TRIESTE FILM FESTIVAL è il più importante appuntamento italiano con il cinema dell’Europa centro-orientale: nato alla vigilia della caduta del Muro di Berlino (l’edizione “zero” è datata 1987), il festival continua ad essere da quasi trent’anni un osservatorio privilegiato su cinematografie e autori spesso poco noti – se non addirittura sconosciuti – al pubblico italiano, e più in generale a quello “occidentale”. Più che un festival, un ponte che mette in contatto le diverse latitudini dell’Europa del cinema, scoprendo in anticipo nomi e tendenze destinate ad imporsi nel panorama internazionale.

 
 

La Summit produce Revoc di Olaf de Fleur!

Olaf de Fleur-revoc-filmLa Summit Entertainment si è assicurata i diritti di un’idea originale per un nuovo film Sci-Fi scritto da Olaf de Fleur, famoso per aver scritto e diretto City State. The Hollywood reporter

 
 

La Stuart ancora a lavoro

Kristen Stewart si sta decisamente dando da fare per costruire al meglio la sua immagine di attrice completa, senza adagiarsi sugli allori che la Bella di Twilight le sta offrendo in tutto il mondo.

 
 

La strega Sabrina diventa un supereroe!

Sony Pictures sta gettando le basi per un film che presenterà la famosa strega Sabrina, protagonista del fumetto americano “Sabrina the Teenage Witch”, alla stregua

 
 

La strega dell’ovest nel poster Il grande e potente Oz

Un nuovo splendido poster per Il Grande e Potente Oz di Sam Raimi, atteso nuovo adattamento dell’intramontabile storia fantasy, con un cast d’eccezione che comprende James Franco, Michelle Williams, Mila Kunis, Rachel Weisz, Abigail Spencer e Zach Braff. La locandina ritrae una delle streghe più famose della storia: La strega dell’Ovest.  La Sceneggiatura è stata scritta da Mitchell Kapner, David Lindsay-Abaire, mentre l’uscita è stata fissata per in Italia per 7 Marzo 2013.

 
 

La straziante storia vera di Baby Reindeer

Baby Reindeer storia vera

Penso quasi che si potrebbe mettere ‘basato su una storia vera’ prima di ogni spettacolo, perché tutti i migliori spettacoli provengono da un certo posto all’interno di qualcuno“. Questo è ciò che lo scrittore e interprete Richard Gadd, che interpreta il protagonista Donny Dunn nel nuovo show di successo di Netflix, Baby Reindeer, dice al The Guardian riguardo al tema dell’ispirazione dal proprio io per raccontare una storia. E, sì, ha ragione. La maggior parte degli artisti scava nei propri sentimenti più profondi o addirittura nelle proprie esperienze più oscure quando crea un nuovo lavoro. Tuttavia, c’è ancora una differenza tra una storia basata su eventi reali e una completamente inventata. Mentre la seconda può avere una certa somiglianza, accidentale o meno, con persone reali, la prima è un resoconto di qualcosa che è realmente accaduto nel mondo reale.

Baby Reindeer è una serie basata su eventi reali. Lo show, della durata di otto episodi, segue l’alter ego del suo creatore, Donny Dunn (interpretato dallo stesso Gadd), mentre viene tormentato da un implacabile stalker. Mentre nomi come Martha (Jessica Gunning), Teri (Nava Mau) e Darrien (Tom Goodman-Hill) sono stati scelti unicamente per raccontare una storia, tutti questi personaggi hanno delle controparti al di fuori dello schermo. Non dovrebbe essere una sorpresa: Baby Reindeer è una di quelle storie così intime e brutalmente oneste che sarebbe strano se non fosse basata su qualcosa che il suo autore ha vissuto. Diventata un successo per Netflix, attualmente al primo posto in tutto il mondo, la miniserie ha spinto i fan a cercare di capire la vera identità dei personaggi che compaiono nello show. Il problema è che questa potrebbe non essere una buona idea…

Baby Reindeer racconta la relazione tra un uomo e il suo stalker

Baby Reindeer inizia in modo abbastanza innocente con una donna che entra in un pub senza soldi e a cui il barista offre una tazza di tè offerta dalla casa. Tuttavia, per Donny e Martha, questo simpatico scenario si rivela un punto di svolta che trasformerà le loro vite in un incubo. Donny, aspirante comico con l’e-mail facilmente reperibile sul suo sito web, viene immediatamente inondato di messaggi dall'”iPhone” di Martha, che vanno dall’affascinante al sessualmente esplicito, fino al limite della violenza. All’inizio Donny non se ne rende conto, ma ha trovato una stalker che lo tormenterà per anni a spese del suo benessere fisico e mentale. Con il tempo, arriverà anche a tormentare i suoi genitori e ad aggredire fisicamente le sue precedenti e attuali fidanzate.

Donny non sa esattamente come affrontare l’interesse di Martha per lui. Per un po’, addirittura lo accoglie e lo incoraggia, perché ha i suoi demoni da affrontare. Infatti, anni prima di incontrare Martha, Donny era stato preso sotto l’ala di un comico più anziano e di maggior successo che lo aveva adescato, drogato e violentato ripetutamente. Questo ha lasciato un segno nell’immagine di sé di Donny e il fatto di tenere tutto segreto ha avuto ripercussioni sul suo rapporto con gli altri. Così, quando Martha capisce che è stato ferito e si complimenta con lui per i suoi tratti forti, Donny non può fare a meno di sentirsi visto e persino amato. Inoltre, c’è una certa ironia nel consegnare alla polizia questa donna chiaramente malata di mente, ma non l’uomo violento che lo ha ferito tanti anni prima.

Baby Reindeer è basato su due spettacoli teatrali di Gadd

Sia lo stalking che l’abuso descritti in Baby Reindeer sono eventi reali accaduti nella vita di Richard Gadd. Inoltre, Baby Reindeer non è la prima volta che lo scrittore e interprete parla del suo trauma. La serie di Netflix è un amalgama di due one-man show che Gadd ha messo in piedi negli ultimi dieci anni. Il primo, in cui esorcizza i suoi demoni di violenza sessuale mentre corre su un tapis roulant inseguito da un gorilla, si chiama Monkey See Monkey Do. Acclamato dalla critica, lo spettacolo ha vinto gli Edinburgh Comedy Awards 2016. Il secondo one-man show, Baby Reindeer del 2019, ha esordito al fringe di Edimburgo, è passato al West End e ha fatto vincere al suo creatore un Olivier Award, uno dei più alti riconoscimenti del teatro britannico.

Questi due spettacoli entrano a far parte della miniserie Netflix Baby Reindeer sotto forma di una sfuriata non programmata che Donny sfoga durante uno sfortunato spettacolo comico. La sfuriata diventa poi virale, spingendo la sua stalker, che si era presa una pausa dalla sua vita, a tornare e a minacciare di raccontare ai suoi genitori quelli che lei percepisce come difetti della sua mascolinità: lo stupro, le sue esperienze sessuali con gli uomini, la sua relazione con una donna trans… Si tratta, in effetti, di una rappresentazione in qualche modo romanzata di ciò che è accaduto a Gadd nella vita reale dopo la prima di Monkey See Monkey Do. Al Guardian, il comico ha raccontato di come lo spettacolo abbia riportato la sua stalker nella sua vita e di come lei abbia minacciato di riprendere a chiamare i suoi genitori. Tuttavia, il loro sostegno e il caloroso abbraccio del pubblico lo hanno aiutato ad andare avanti.

Quanto sappiamo della vera storia di Baby Reindeer?

vera storia di Baby Reindeer

Questo è il caso di molto di ciò che vediamo in Baby Reindeer: Gadd ha alterato molti fatti ed eventi per scopi drammatici o per tenere al sicuro l’identità di altri, persino dei suoi abusatori. Dopo tutto, quando parla della vera Martha, il cui nome potrebbe essere qualsiasi cosa, da Abigail a Zelda, è categorico sul fatto che non è l’unica persona da incolpare per quello che è successo. “Sarebbe ingiusto dire che lei era una persona orribile e io una vittima“, ha detto al Guardian quando è uscita la commedia. “Non mi sembrava vero“. Gadd è ben consapevole di aver gestito l’intera situazione in modo estremamente scorretto e che il suo stalker è una persona con problemi mentali. Per questo motivo, il suo spettacolo è estremamente attento a non rendere mai nota la sua identità.

Abbiamo fatto di tutto per camuffarla al punto che non credo si riconoscerebbe“, ha detto a GQ. “Quello che è stato preso in prestito è una verità emotiva, non un profilo di qualcuno fatto per fatto”. Quindi, della stalker di Gadd si sa ben poco, a parte il fatto che, in sei anni, lo ha tormentato con 41.071 e-mail, 744 tweet e 350 ore di segreteria telefonica. Per non parlare del caos che ha provocato nella vita delle persone a lui vicine. Nemmeno il suo destino è noto: mentre nella serie Martha viene arrestata e condannata al carcere, Gadd è estremamente riservato quando si tratta di parlare di ciò che è accaduto alla sua stalker.

Lo stesso vale per Darrien, la controfigura del comico più esperto che ha abusato di Gadd all’inizio della sua carriera. Quello che lo spettacolo ci racconta è la verità emotiva di Gadd e uno schema di base degli eventi. I nomi reali non vengono mai fatti. Nella serie, Darrien lavora per uno show televisivo fittizio chiamato Cotton Mouth e attira Donny nel suo mondo con promesse di ricchezza e fama. Se il vero Darrien avesse o meno un lavoro in TV è qualcosa che non sapremo mai, e questo per volontà di Gadd.

Perché le persone non dovrebbero andare alla ricerca della vera Martha o Darrien

Purtroppo, questo non ha impedito ai fan di cercare di capire chi sia la vera Martha o il vero Darrien. Persino uno degli amici di Gadd, il regista Sam Foley, è stato accusato di essere il vero Darrien. “Vi prego di non fare ipotesi su chi potrebbero essere le persone reali. Non è questo lo scopo del nostro spettacolo“, ha implorato Gadd ai suoi follower su Instagram, un’affermazione che l’interprete di Martha, Jessica Gunning, condivide ampiamente. E, in effetti, basta un episodio di Baby Reindeer per capire che si tratta di una serie su come le persone ferite interagiscono tra loro, invece di puntare il dito. Tuttavia, c’è qualcosa nelle parole “storia vera” che non lascia tranquilli.

Alla fine, ci sono ottime ragioni per non andare alla ricerca della vera identità di Martha e Darrien. Innanzitutto, si tratta di rispettare la volontà di Gadd. Questa è la sua storia da raccontare, e dovrebbe poterla raccontare secondo le sue condizioni. Non è raro che le persone abusate non siano pronte a confrontarsi con i loro abusatori, e non dovremmo forzarle. Inoltre, c’è lo stato mentale della vera Martha: come Gadd stesso afferma più volte, è una donna malata e come tale merita la sua privacy.

Ma, soprattutto, non dovremmo andare in giro ad accusare persone che non conosciamo di cose che crediamo abbiano fatto a causa di un programma televisivo. Non solo è crudele, ma potrebbe essere pericoloso sia per gli accusati che per gli accusatori: la polizia è stata coinvolta nella vicenda di Sam Foley, e a contattarla è stato lo stesso Foley. Quindi, sì, Baby Reindeer è basato su una storia vera e no, non sappiamo molto di ciò che è realmente accaduto. Ma, ehi, forse dovremmo lasciar perdere.

 
 

La straordinaria vita di David Copperfield, recensione del film con Dev Patel

La straordinaria vita di David Copperfield recensione

La straordinaria vita di David Copperfield porta al cinema un Charles Dickens che ci stupirà. Punto cardinale della letteratura popolare inglese, l’autore, che ha promosso la cura dell’infanzia e ha denunciato attraverso i suoi romanzi la condizione in cui versavano i più deboli all’inizio dell’epoca vittoriana, non era mai stato rappresentato al cinema o in tv con un approccio tanto fresco, libero, moderno, fedele allo spirito più che alla storia. A farlo è Armando Iannucci, che firma il suo primo film non vietato ai minori, insieme a Simon Blackwell, che collabora alla sceneggiatura e all’adattamento del romanzo di Dickens.

La storia è quella di David, un ragazzo che cresce senza padre e che si trova costretto a crescere in una fabbrica di cristalli a Londra quando la madre si sposa con un uomo burbero e intransigente, che vede il ragazzo come un ostacolo. Lo manda quindi in città, dove David alimenterà la sua intelligenza e crescerà bene, remissivo ma non certo sciocco, in mezzo alle brutture del mondo. Diventato un giovane uomo e messo al corrente della morte della madre, David abbandona la fabbrica e si rivolge ad una zia, sorella del padre, che si prenderà cura di lui e lo aiuterà a concludere gli studi ed a trovare lavoro. Di nuovo in città, con tutt’altre prospettive, David lotterà per trovare la sua strada, sempre attratto dalle parole, dalle storie, dall’esigenza di raccontare la sua.

La straordinaria vita di David Copperfield è un adattamento nello spirito

La straordinaria vita di David Copperfield è un adattamento dal classico di Charles Dickens che si distingue per due caratteristiche fondamentali, che ne attestano unicità e valore. In primo luogo, l’adattamento del regista Iannucci, insieme allo sceneggiatore Blackwell, è una modernizzazione mai vista prima dell’opera più personale di Dickens stesso. La storia si apre con lo stesso David che racconta in prima persona la sua vita, racconta la sua nascita e quello che non poteva ricordarsi, fino all’infanzia, dove tutto appare più colorato e vivace di come è in realtà, la sua fantasia, l’immaginazione, la passione per giocare con le parole e metterle ferme su carta, fino all’età adulta alla ricerca della fortuna, al trovare un amore, una storia, una vita da raccontare, trovare le parole giuste per la sua stessa storia.

Iannucci racconta tutto con un spirito leggero, allegro, giocoso, usando uno stile visivo originale, in cui i racconti dei personaggi prendono vita sui fondali delle scene, come fossero proiezioni, in cui si viaggia da un luogo all’altro con balzi in avanti o indietro, da slapstick comedy, con battute sopra le righe e personaggi bizzarri, assurdi, a volte sgradevoli, ma sempre accarezzati da una mano divertita.

La vita straordinaria di David CopperfieldUna bella boccata d’aria fresca rispetto a quanto era stato fatto rpima di adesso con i personaggi dickensiani, tutti appesantiti dalla polvere vittoriana, dagli scenari desolanti delle città, dalla Londra iconograficamente legata al fumo e alla povertà. La straordinaria vita di David Copperfield è, secondo le parole del regista stesso, più fedele allo spirito di Dickens che alla storia stessa, come dimostra anche il casting, che è il secondo elemento di originalità e pregio del film.

Un trionfo di etnie diverse

Per interpretare i personaggi del romanzi, tutti bianchi scritti per bianchi, Iannucci sceglie una varietà di etnie che arricchiscono di colori vivacissimi ogni singola scena, completamente incurante non solo dei testi originali, ma anche della genetica, tanto che lo stesso David, ad esempio, è interpretato da Dev Patel, di origini indiane, e sua madre e sua zia paterna, ad esempio, sono attrici bianche (Morfydd Clark e Tilda Swinton). E così la madre del migliore amico di David, interpretato da un attore caucasico (Aneurin Barnad) è interpretata da un’attrice di colore (Nikki Amuka-Bird). Una mescolanza di etnie che rende il film estremamente contemporaneo, quasi una fotografia di quello che è diventato adesso il tessuto sociale londinese, in particolare.

La regia si lascia andare a momenti molto romantici e toccanti, cambiando rotta e toccando punte di epica e adagiandosi al sicuro tra le braccia della commedia, non la caustica a cui il regista scozzese ci ha abituati, ma un linguaggio vivace e leggero, ma mai superficiale, che fa di La straordinaria vita di David Copperfield un film adatto alle famiglie di ogni foggia e tipo.

 
 

La stranezza: la storia vera e il significato dietro il film

La stranezza storia vera

Roberto Andò è uno di quei registi che negli ultimi anni ha regalato al cinema italiano film in grado di suscitare domande e riflessioni, spesso attraverso l’utilizzo di generi diversi. Da Viva la libertà a Le confessioni, da Una storia senza nome e fino Il bambino nascosto. Con quello che ad oggi è il suo ultimo film, La stranezza (qui la recensione) si è poi riconfermato come uno dei più interessanti registi attivi oggi in Italia. Distribuito nel 2022, il film porta a riscoprire la figura di Luigi Pirandello attraverso una storia che, nel pieno dell’intenzione celebrativa dell’autore premio Nonel, si muove tra realtà e finzione, divertendo ma anche sollevando importanti riflessioni sulla natura umana.

Candidato a ben 14 David di Donatello (vincendo poi quelli per Miglior sceneggiatura originale, Miglior produttore, Miglior costumista e Miglior scenografo), il film ha dunque presentato una serie di elementi che hanno subito attirato l’attenzione della critica e del pubblico, facendo registrare incassi superiori ai 5 milioni di euro. Si tratta dunque di uno dei maggiori successi per un film italiano negli ultimi anni, favorito anche da un crescente passaparola che ha permesso di rendere tale pellicola sempre più popolare. Indubbiamente la presenza dei tre principali protagonisti, Toni Servillo e il duo Ficarra e Picone ha aiutato in tal senso.

Grazie ora al suo passaggio televisivo, è dunque questo un titolo da non perdere, meritevole anzi di più visioni affinché si possano cogliere le sue numerose sfumature che tanto ci dicono dell’arte cinematografica e teatrale quanto dell’essere umano e della vita. In questo articolo, approfondiamo dunque alcune delle principali curiosità relative a La stranezza. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast di attori e alla storia vera a cui si ispira. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

La stranezza cast Ficarra e Picone

La trama e il cast di La stranezza

Nel 1920, Luigi Pirandello torna per motivi personali in Sicilia e all’arrivo a Girgenti apprende della morte dell’amata balia Maria Stella. Al funerale incontra due becchini, Nofrio e Bastiano, esseri singolari che per diletto praticano anche il teatro. Sempre più incuriosito dal fascino singolare dei due becchini, Pirandello decide di spiarne le prove e assiste alla prima della loro nuova farsa: La trincea del rimorso, ovvero Cicciareddu e Pietruzzu. Durante lo spettacolo, però, accade un evento imprevisto che costringe Nofrio e Bastiano a interrompere la rappresentazione. Per Pirandello, presente tra il pubblico, sarà la scintilla che darà forma a quella stranezza che aveva in mente da un po’.

Leggi anche: La stranezza, la recensione del film con cui (ri)scoprire Pirandello

Ad interpretare Luigi Pirandello vi è l’attore Toni Servillo, mentre Sebastiano “Bastiano” Vella e Onofrio “Nofrio” Principato sono interpretati rispettivamente dal duo comico Salvatore Ficarra e Valentino Picone. I due sono poi stati candidati insieme come Miglior attore protagonista ai David di Donatello. Fanno poi parte del cast l’attrice Giulia Andò nel ruolo di Santina Vella, sorella di Sebastiano e amante di Onofrio, mentre l’attore Rosario Lisma è Mimmo Casà e Aurora Quattrocchi è la balia Maria Stella. L’attrice Donatella Finocchiaro interpreta invece Maria Antonietta, mentre Luigi Lo Cascio è il capocomico e Renato Carpentieri fa una breve comparsa nel ruolo dello scrittore Giovanni Verga.

La storia vera e il significato del film

Nel pieno rispetto della poetica pirandelliana, dove verità e finzione si mescolano continuamente, anche il film presenta una combinazione di vicende e personaggi realmente esistiti e altri invece pura invenzione degli sceneggiatori Roberto Andò, Ugo Chiti, Massimo Gaudioso. La stranezza propone dunque un ipotetico antefatto all’ideazione di Sei Personaggi in cerca d’autore, inscenando la vicenda di due personaggi in realtà mai esistiti: i becchini appassionati di teatro Nofrio e Bastiano. Questi personaggi servono infatti al film unicamente come presenza che scatena l’intuizione in Pirandello di quel qualcosa a cui non riusciva a dare forma.

Nel corso del film, l’autore premio Nobel è infatti quasi un personaggio secondario, più spettatore che non attivamente coinvolto nelle vicende. Egli si limita ad osservare le loro vicende teatrali, trovando ispirazione in esse per quella serie di tematiche che gli interessava affrontare e che confluiranno poi in Sei Personaggi in cerca d’autore. Se dunque gli elementi biografici di Pirandello sono ispirati alla realtà, dal suo ritorno in Sicilia per il compleanno di Giovanni Verga fino agli accenni riguardanti la salute di sua moglie Maria Antonietta Portulano. Dal momento in cui incontra Nofrio e Bastiano, però, subentra la finzione.

La stranezza trama film

Sarà dunque osservando le situazioni di vita quotidiana che i due becchini teatranti portano in scena, con i loro paradossi, contraddizioni e quelle maschere indossate per rispettare certe convenzioni, che Pirandello sviluppa l’idea per Sei Personaggi in cerca d’autore. Opera che, come mostrato nel finale del film, verrà poi accolta in modo contrastante al momento della sua prima il 9 maggio del 1921 al Teatro Valle. Il pubblico presente in sala scatenò infatti una vera e propria rivolta nei confronti di Pirandello, accusandolo di averli ingannati con una farsa. Nel 1923 l’opera diverrà però uno dei maggiori successi di Pirandello e lo porterà a ricevere il Premio Nobel nel 1934.

Per quanto riguarda Nofrio e Bastiano, invece, il finale del film solleva dubbi non sulla loro reale esistenza, che sappiamo non trovare conferme nella realtà, bensì sulla loro effettiva presenza nelle vicende del film. Quando nel finale Pirandello chiede all’assistente di scena se i biglietti per i due becchini siano stati ritirati, questi gli dice di non aver mai ricevuto disposizione di invitare nessuno che corrispondesse a quei nomi, lasciando il grande autore in preda ai dubbi. Anche Nofrio e Bastiano sono dunque personaggi inventati dalla mente di Pirandello? Possibile che l’autore abbia immaginato tutte le vicende dei film, assistendo dunque ad un mero manifestarsi dei fantasmi della sua mente?

Sono domande che si pongono anche gli spettatori di una rappresentazione dei Sei personaggi in cerca d’autore. Cos’è vero e che cos’è falso? Dove inizia la persona e dove il personaggio? Nel sollevare tali domande mentre racconta la finta genesi della vera opera, La stranezza si dimostra dunque intenzionato a replicare a sua volta gli espedienti del testo di Pirandello, suscitando medesime domande e riflessioni sulla natura umana e i confini tra persona e personaggio. Il film, dunque, ci racconta della celebre opera non in modo lineare ma ricorrendo a quel teatro nel teatro e a quella frammentazione della linea temporale teorizzata da Pirandello, per il quale la vita non segue un corso lineare.

Il trailer di La stranezza e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire di La stranezza grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Apple TV e Prime Video. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e ad un’ottima qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di mercoledì 1° maggio alle ore 21:30 sul canale Rai 1.

 
 

La stranezza, la recensione del film con cui (ri)scoprire Pirandello

Vada come vada, La stranezza di Roberto Andò resterà un film emblematico, per la collaborazione tra RAI e Medusa che il regista ringrazia per il “gesto particolarmente significativo in un momento così difficile”. E sia come sia, la fantasia del regista sulla “nascita di un capolavoro che ha cambiato per sempre e in ogni latitudine l’idea del teatro” potrebbe sostituire gli altri titoli della sua ricca filmografia nel cuore degli appassionati. Sicuramente quelli di Ficarra e Picone (qui alla loro prova migliore) e di Toni Servillo, che offre l’interpretazione di un Pirandello che difficilmente potremo scindere dall’immagine che abbiamo del grande autore siciliano.

La stranezza di Pirandello, e dei suoi amici

Ed è proprio Luigi Pirandello, in occasione dell’ottantesimo genetliaco dell’amico Giovanni Verga nel 1920, a intraprendere un viaggio di ritorno nella sua terra. A Girgenti conosce i due singolari becchini Nofrio e Bastiano, impegnati per passione nella preparazione di uno spettacolo teatrale, alle prove del quale lo scrittore finisce per assistere anche per distrarsi dalla preparazione della sua nuova commedia, ancora in fieri eppure in grado di ossessionarlo con visioni spettrali, ricordi, malinconiche apparizioni.

Invitato da Nofrio e Bastiano alla prima della loro farsa – La trincea del rimorso, ovvero Cicciareddu e Pietruzzu – Pirandello assiste alla trasformazione della recita in una tragedia che coinvolge tutti gli abitanti presenti nel piccolo teatro. Una resa dei conti totale in cui a confrontarsi sono la platea e gli attori, alla quale lo scrittore assiste turbato. Ma che sembra in grado di lasciare un segno, al punto da spingere l’autore a ricambiare l’invito ai due, che ritroviamo a Roma, nel 1921, alla prima dei Sei personaggi in cerca d’autore in programma al Teatro Valle.

Un’opera immortale, un omaggio unico

Nelle mani di Andò, questa volta, invece, tutti i personaggi trovano un autore, e una loro vita, ma soprattutto un equilibrio del quale non si può che dare i meriti al regista di Palermo. Che fa un lavoro egregio nel gestire un trio di protagonisti tanto ‘ingombranti’ (per visibilità e importanza), e ad alternarli in scena, dopo aver realizzato una sceneggiatura – insieme a Massimo Gaudioso e Ugo Chiti – di quelle che non si vedono spesso sui nostri schermi.

Di certo, l’amore per il soggetto e il ricordo del giorno in cui fu lo stesso Leonardo Sciascia a regalargli la splendida biografia di Luigi Pirandello curata da Gaspare Giudice devono averlo motivato in maniera particolare, ma questo non inficia in alcuna maniera l’apprezzamento per un risultato sorprendente. Un film pieno, godibile, ben realizzato, divertente e commovente insieme, nel quale mito, folklore e fantasia si mescolano rapendo lo spettatore, felice di abbandonarsi a un’avventura verosimigliante che gioca con l’esito surreale – eppure reale – che la storia della nostra letteratura e del nostro teatro ci raccontano.

La creazione resta ‘Stranezza‘ fino a che non trova una propria voce, o qualcuno che parli la stessa lingua. E mentre il dramma rappresentato si sovrappone a quello vero, in un gioco di finzioni e ambiguità, va svelandosi il paradosso che permea questa strana commedia, divertente e stratificata. Che gradualmente ci conquista, prima con l’umorismo più riconoscibile e definitivamente con i fantasmi di una storia che fa indissolubilmente parte del nostro DNA.

 
 

La strana signora della porta accanto: la spiegazione del finale del film

La strana signora della porta accanto spiegazione finale

Quello del vicino di casa misterioso che potrebbe rivelarsi essere un assassino è uno scenario che il cinema ha affrontato in numerose occasioni. Da un classico come La finestra sul cortile fino a Disturbia, film che lo omaggia, passando poi per titoli come Il ragazzo della porta accanto. Ad essi nel 2021 si è unito anche il thriller diretto da dal titolo La strana signora della porta accanto.

In questo film si mescolano infatti elementi come l’ossessione, segreti dal passato, follia omicida e malattia mentale, proponendo dunque un racconto che non può soddisfare i gusti di ogni appassionato di questo genere. Il film viene inoltre proposto in prima visione assoluta sulla televisiione italiana per il ciclo di Rai 1 “Nel segno del giallo”, dedicato appunto a film di mistero che richiedono un’attenta partecipazione dello spettatore per cogliere tutti gli indizi seminati lungo il percorso.

In questo articolo, approfondiamo dunque alcune delle principali curiosità relative a La strana signora della porta accanto. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast di attori e alla spiegazione del finale. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

La trama e il cast di La strana signora della porta accanto

Protagonista del film è la giovane coppia formata da Sarah e Kyle Collins. I due, che aspettano un bambino, si sono appena trasferiti in un nuova casa, in quello che sembra il quartiere ideale dove crescere un figlio. Al loro arrivo, quando ancora stanno trasportando le loro cose nella nuova casa, fanno la conoscenza della loro vicina Helen, un’anziana signora che vive sola, da quando qualche anno prima la sua unica figlia Layla si è tragicamente tolta la vita.

All’inizio, l’impressione che hanno di Helen è quella di una simpatica, benevola e carismatica vecchietta. Tuttavia, con il tempo, l’anziana sembra sviluppare una crescente attenzione nei confronti di Sarah, che si trasforma ben presto in vera e propria ossessione. Mentre persone accanto al loro iniziano a scomparire, la futura mamma apprenderà con orrore il passato di Helen e i suoi piani per lei e si troverà a dover lottare per la propria sopravvivenza.

Ad interpretare Sarah vi è l’attrice Julia Borsellino, attrice vista anche in Puoi baciare la damigella e Una giusta causa. Suo marito Kyle è invece interpretato da Mark Taylor, mentre la madre di lui, Judith, è interpretata da Marium Carvell. Nel ruolo di Helen vi è l’attrice Deborah Grover, nota per le serie Jann e Chiamatemi Anna. Completano il cast Cait Alexander nel ruolo di Angela, ex di Kyle, Michelle Chiu in quello di Jennifer, amica di Sarah, e Deanna Jarvis in quello di Grace, terapeuta di Helen.

La strana signora della porta accanto cast

La spiegazione del finale del film

Nel corso del film scopriamo che Helen non è la tranquilla e simpatica anziana che fa credere di essere. Da qualche mese è stata rilasciata da un istituto psichiatrico, dove era stata rinchiusa dopo la morte della figlia. Tornata a casa sua, l’anziana donna continua però ad essere ossessionata dall’idea di ricostruirsi una famiglia e di trovare una sostituta alla figlia morta. Sarah, naturalmente, diventata la candidata ideale per quel ruolo, a maggior ragione essendo incinta, cosa che permetterebbe ad Helen di diventare anche nonna.

Per ottenere tale obiettivo, l’anziana è pronta ad eliminare quanti si pongono sul suo percorso. Ed è così che prima elimina Grace, la sua terapeuta, e Judith, la madre di Kyle venuta a trovare la coppia nella loro nuova casa. A questo punto, rimane da far separare Sarah dal marito e per far ciò propone ad Angela, ex di Kyle, di lavorare insieme per far separare i due. La ragazza accetta e, si fa fotografare durante un incontro con l’uomo, in modo da mandare le foto a Sarah.

Questa, appena le vede, distrutta, decide di andarsene di casa ed accetta l’invito di Helen di trasferirsi nella sua casa nel bosco. Una volta qui, però, Sarah capisce ben presto di essere una vera e propria prigioniera. Nel mentre, Angela pentendosi di quanto compiuto avvisa Kyle della follia di Helen e l’uomo insieme a Jennifer, amica di Sarah, si mettono sulle sue tracce. Individuata l’abitazione dell’anziana, Kyle riesce a riprendere con sé sua moglie, lasciando l’anziana disperata a riflettere finalmente sugli orrori compiuti.

Dove vedere La strana signora della porta accanto in streaming e in TV

Sfortunatamente il film non è presente su nessuna delle piattaforme streaming attualmente attive in Italia. È però presente nel palinsesto televisivo di sabato 22 giugno alle ore 21:20 sul canale Rai 2. Di conseguenza, per un limitato periodo di tempo sarà presente anche sulla piattaforma Rai Play, dove quindi lo si potrà vedere anche oltre il momento della sua messa in onda. Basterà accedere alla piattaforma, completamente gratuita, per trovare il film e far partire la visione.

 
 

La strage di San Gennaro: la recensione del docufilm prodotto da SkyCrime

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Asseriva Peppino Impastato, ne I Cento Passi di Marco Tullio Giordana, che “se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità […] e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre”. A risvegliare questa memoria ci hanno provato gli autori del docufilm La Strage di San Gennaro, una produzione di SkyCrime diretta da Matteo Lena. Al centro della storia, l’omicidio di sei immigrati africani a Castel Volturno, in provincia di Caserta, il 18 settembre 2008. Una strage senza un movente diretto verso gli uomini che rimangono a terra, raggiunti da un volume di fuoco di centinaia di bossoli sparati da kalashnikov e pistole al servizio di un boss della camorra in cerca di una rapida ascesa al potere. Questo è l’orrore, senza dubbio, ma come ci siamo arrivati?

Alle origini della strage di San Gennaro

La sceneggiatura di Carlo Altinier e Stefania Colletta racconta la strage di San Gennaro partendo dagli anni Settanta, quando il degrado dell’odierna Castel Volturno era un’ipotesi impossibile da formulare per i suoi ricchi frequentatori. La cartolina di un mare cristallino, con una pineta tra le più estese d’Italia, villette curate e un turismo d’élite a meno di un’ora da Napoli, rappresenta uno sbiadito ricordo a cui, nel tempo, si sono sovrapposti proprio gli orrendi palazzi predetti da Impastato. Otto, per la precisione, costruiti sulla spiaggia ad opera dei fratelli Cristoforo e Vincenzo Coppola, originari di Casal di Principe, che sognavano di impiantare qui una Rimini campana nella completa ignoranza di qualsivoglia vincolo paesaggistico.

Le torri di Pinetamare, come era conosciuto il villaggio, vennero abbattute tra il 2001 e il 2003, con una serie di interventi registrati dal film documentario L’esplosione di Giovanni Piperno. Restituire quel tratto di terra al mare non è stato sufficiente a ripristinare l’antica bellezza: l’abuso edilizio, nel suo degradare l’ambiente, aveva nel frattempo aperto la strada alla cultura dell’illegalità, come se il ‘brutto’, come viene testimoniato in questo docufilm, avesse cominciato a permeare la mentalità stessa degli abitanti. Scomparsi i turisti benestanti, anche i privati hanno progressivamente abbandonano i propri immobili e in una generalizzata mancanza di cura, il territorio di Castel Volturno ha finito per diventare un luogo fatiscente, preda facile di qualsiasi forma di criminalità.

La ricostruzione dei fatti di cronaca di Castel Volturno

Lo dichiara Cesare Sirignano, pubblico ministero nel processo contro Giuseppe Setola, il mandante della strage di San Gennaro e lui stesso a capo del gruppo di fuoco che nel 2008, nella frazione di Ischitella, a Castel Volturno, si scagliò contro la sartoria del ghanese El Hadji Ababa. Quella sera, per caso fortuito, nel locale si trovavano anche i connazionali Joseph Ayimbora, Kwame Antwi Julius Francis, Affun Yeboa Eric, Christopher Adams, oltre a Samuel Kwako, originario del Togo, e a Jeemes Alex, originario della Liberia. Ayimbora, l’unico sopravvissuto, riuscì a salvarsi perché il suo corpo insanguinato fu protetto da quello di un compagno colpito più duramente e caduto a morte.

Il documentario parla di loro, delle vittime degli spari, perché Setola è solo uno dei tanti pervasi dal ‘brutto’ e indagare la sua storia non sarebbe sufficiente per rispondere alla domanda: “per quale motivo?”. Alle ore 19.55 di quella sera di fine estate, Setola, ancora in umore di sangue dopo aver sparato ad Antonio Celiento, un pregiudicato ritenuto informatore delle Forze dell’Ordine, chiede ai suoi scagnozzi di trovare dei neri. Il suo messaggio deve arrivare forte e chiaro alla cosiddetta mafia nigeriana, che da anni sfrutta la prostituzione per reinvestire i proventi nel traffico di stupefacenti sul ‘suo’ territorio. La sua bestialità non è unica, distintiva, e la scelta di campo degli autori è molto precisa nel ricollocare l’arroganza di un atteggiamento omicida nel quadro di miseria di un territorio abbandonato a se stesso, senza servizi, né possibilità di crescita. Solo attraverso la lucidità di quest’analisi diventa chiaro che si tratta esclusivamente di una questione di tempo prima che il prepotente di turno voglia riattivare un clima di violenza per imporre la propria legge personale, come ammonisce sul finale Vincenzo Ammaliato, giornalista del Il Mattino, tra i primi ad accorrere sul luogo della strage di San Gennaro.

Un docucrime che sa mantenere l’impianto informativo

Non è la prima volta che il regista Matteo Lena si confronta con il racconto del Male: già Premio Ilaria Alpi per il documentario Le mani su Palermo, ha firmato la sceneggiatura e la regia della docuserie Il Mostro di Udine. La forza del lavoro realizzato per SkyCrime risiede in un trattamento del soggetto che sposta l’attenzione dai fascicoli delle indagini, dalle intercettazioni, dai verbali degli interrogatori alle condizioni di una comunità intera per allargare il campo della responsabilità e la capacità di identificazione di un pubblico abituato a trovare il focus del docucrime nel vicino della porta accanto, che si tratti della vittima o dell’aggressore.

L’influenza degli standard imposti da Gomorra, produzione originale Sky, a questo tipo di narrazione sono visibili nei passaggi legati alla ricostruzione del fatto di cronaca, sovrapposti alle riprese d’archivio, La Strage di San Gennaro, tuttavia, riesce ad andare oltre. L’impianto giornalistico rimane infatti l’asse portante di un racconto che non concede facili risposte. La ‘soluzione’, contrariamente a quanto accade nei classici docucrime, non risiede nella possibilità di delimitare la violenza al percorso deviato di una sola mente criminale: il pericolo è molto più pervasivo e nessuno di noi può dirsi davvero immune.

 
 

La storia: tutto quello che c’è da sapere sulla nuova serie RAI con Jasmine Trinca e Elio Germano

La storia recensione serie tv Rai
Foto di Lacovelli Zayed

Debutterà l’8 gennaio 2024 in prima serata la nuova serie tv di RAI FICTION, La storia, creata da Giulia Calenda, Ilaria Macchia, Francesco Piccolo e diretta da Francesca Archibugi.  Protagonisti con Jasmine Trinca, Elio Germano, Asia Argento, Lorenzo Zurzolo, Francesco Zenga e con Valerio Mastandrea

La storia è composta da 4 puntate da 100 minuti ciascuno scritti da Giulia Calenda, Ilaria Macchia, Francesco Piccolo e Francesca Archibugi e tratto da “La Storia” di ELSA MORANTE pubblicato in Italia da Giulio Einaudi Editore, Torino.

La storia: la trama

La storia trama cast
Foto di Lacovelli Zayed

Roma, quartiere San Lorenzo. Alla vigilia della seconda guerra mondiale, Ida Ramundo, maestra elementare rimasta vedova con un figlio adolescente di nome Nino, decide di tenere nascoste le proprie origini ebraiche per paura della deportazione. Un giorno, rientrando a casa, viene violentata da un soldato dell’esercito tedesco, un ragazzino ubriaco.

Dopo lo sgomento, l’angoscia e la vergogna, scopre di essere incinta. Mentre Nino trascorre l’estate al campeggio degli Avanguardisti, Ida partorisce in segreto un bambino prematuro, piccolo e quieto, con gli stessi occhioni azzurri del padre, quel soldato ragazzino tedesco già morto in Africa. Quando Nino torna a casa e scopre il fratellino, lo accetta di slancio e se ne innamora. Lo soprannominerà Useppe.

La piccola famiglia viene stravolta dagli eventi della guerra: prima Nino, fascista convinto, decide di partire per il fronte contro il parere di Ida, lasciandola sola con Useppe; poi, nel bombardamento di San Lorenzo del luglio 1943, la loro casa viene distrutta, Ida perde tutto ed è costretta a sfollare a Pietralata. Da quel momento, ogni giorno diventerà una lotta per la propria sopravvivenza e per quella del suo bambino. Intanto, Useppe cresce aspettando i ritorni di suo fratello, al quale è legato da un amore inossidabile, mentre una vitalità a tratti disperata spinge Nino verso la lotta armata di Resistenza, verso l’amore, verso i compagni, pieno di desideri; più soldi, più affari, più avventura. Dopo la guerra si darà al contrabbando, prima di sigarette e poi in quello delle armi. Vuole una vita migliore per sé, per Ida e per Useppe.

Note di regia

Tutta la Storia e le nazioni della terra s’erano concordate a questo fine: la strage del bambinello Useppe Ramundo. “La Storia”, Elsa Morante, 1974 Ida Ramundo vedova Mancuso viene violentata. Tutto nasce da una violenza sessuale di un giovane soldato tedesco su una donna incapace di difendersi. Quel giovane soldato morirà poco dopo, in guerra. Tutti sono incapaci di difendersi. I personaggi di questo grandioso libro sono creature senza nessun potere, attraversate da forze collettive, piccole figure che tentano di sopravvivere nel decennio di un secolo che ha attraversato l’orrore assoluto. Come mettersi al servizio di un’idea tanto semplice quanto gigantesca? Con tutta l’umiltà e la fedeltà possibili. Attenzione spasmodica alla distribuzione dei ruoli, alla scelta degli attori e delle attrici, dei cani e dei bambini, delle case, delle piazze, delle scarpe e delle ciabatte. Immagini. Voci. Luci. Suoni. Il lavoro di regìa è una sequenza infinita di scelte macro e microscopiche, grandi impostazioni e minimi dettagli. Guidare una armata di collaboratori geniali, tutti tesi allo stesso scopo: cercare di restituire nei personaggi e nelle scene lo stesso stupore, divertimento, orrore, disperazione che si è provati leggendo La Storia da adolescenti. Con la precisa certezza che sarebbe stato impossibile. È stato terrificante e bellissimo. Francesca Archibugi

Jasmine Trinca La Storia

La storia, trama del primo episodio

La maestra Ida Ramundo è ebrea, ma lo tiene nascosto. Il marito è morto anni prima e lei vive con suo figlio Nino, adolescente bellissimo ed esuberante. La vita di Ida, fra scuola e San Lorenzo, procede impaurita ma tranquilla, aiutata spesso dall’oste Remo.  Un giorno di gennaio del 1941 tutto cambia: Gunther, un giovanissimo soldato tedesco, la segue in casa e la violenta. È quello il giorno in cui la Storia bussa alla porta di una donna normale: Ida si scopre incinta. Mentre Nino è lontano al campeggio con gli Avanguardisti, nasce un neonato magico, con degli occhi azzurri bellissimi.

La storia, trama del secondo episodio

Al ritorno, Nino non fa domande e si innamora istantaneamente del fratellino.  E il piccolo di lui. Fra i due fratelli s’instaura un legame fortissimo. Però Nino, fascista esaltato, abbandona la famiglia e il liceo, spezzando i sogni di Ida, e si arruolerà in guerra volontario, salutato da tutto il quartiere. Ida resta sola con il piccolo soprannominato Useppe. Ma la guerra sconvolgerà ben presto le vite di tutti. San Lorenzo viene bombardato,  la casa di Ida distrutta  e Blitz, il cagnolino di Nino, morirà sotto le macerie.

Il cast di La storia

Ida Ramundo vedova Mancuso (Jasmine Trinca): è una diligente maestra elementare, figlia di maestri, semplice, infantile, conserva ancora una “faccia da bambina sciupatella”.  Crede con fervore nell’istruzione e solo dentro l’aula con i suoi scolari prova un po’ di pace. Il mondo le fa paura.   Rimasta vedova e sola da giovane, mezza ebrea, attraversa il fascismo, le leggi razziali e l’occupazione di Roma da parte dei nazisti con un terrore occulto.

Ama i suoi figli come un’innamorata, prima di Nino, adolescente bello e inquieto che la tiene in un continuo stato d’agitazione, e poi di Useppe, il suo pupetto dallo sguardo celeste. I suoi figli sono la sua unica ragione di vita, “come certe gatte malandate”.

Nino (Francesco Zenga): cresce durante i cinque anni di guerra. Odia andare a scuola, al liceo classico, e infrange i sogni di Ida di vederlo laureato abbandonando gli studi per arruolarsi volontario nell’esercito fascista. S’immerge nel caos della guerra, ritorna a casa dopo essersi unito a sorpresa ai partigiani della cellula dei castelli romani. L’Italia sobbolle, lui viaggia, attraversa il fronte, va a Napoli, si unisce agli americani. Nino è sempre in movimento, pieno di idee, a volte in conflitto fra loro; da orfano di padre, comanda sulla madre ed è intollerante a tutte le autorità, correndo a perdifiato felice e disperato verso il suo destino.

Useppe (Christian Liberti/Mattia Basciani): frutto della violenza sessuale di un soldato tedesco, è un bambino di una dolcezza quasi soprannaturale, pieno d’amore per l’universo, gli uomini e gli animali. Il suo sguardo azzurro conquista il mondo e tutte le persone che lo incrociano.  Durante la terribile occupazione nazista che affama Roma, Ida si batte come una lupa per cercare di trovare per lui qualcosa da mangiare, farlo crescere, non farlo ammalare. Perché Useppe soffre di assenze, chiamate Piccolo Male che finita la guerra lo faranno passare attraverso la trafila di medici e medicine. Ida è fiduciosa perché è la stessa malattia di cui soffriva lei da piccola e dalla quale è guarita.

L’oste Remo (Valerio Mastandrea): proprietario di un’osteria a San Lorenzo, è una specie di capo di quartiere, amato e rispettato, l’unico che Nino sta a sentire e, per questo, amato anche da Ida. Si scoprirà essere uno dei capi della resistenza armata e farà da tramite per passare le notizie tra Ida e il figlio Nino. Non abbandonerà mai Ida e le sarà sempre vicino.

Eppetondo (Elio Germano): Giuseppe Cucchiarelli è un marmista che dopo il bombardamento di San Lorenzo sfolla a Pietralata insieme a Ida e Useppe. Chiamato Giuseppe Secondo per l’eccesso di Giuseppi nel capannone degli sfollati, viene ribattezzato Eppetondo da Useppe che non sa pronunciarne il nome. Comunista, d’animo gentile e generoso, è uno strano tipetto che si lega con amicizia fortissima e anomala prima a Useppe e poi a Ida.

Quando compare Nino partigiano, si unisce di slancio alla lotta armata. Catturato dai nazisti, si comporterà da piccolo grande eroe per non tradire i compagni.

Carlo Vivaldi (Lorenzo Zurzolo): il cui vero nome è Davide Segre, studente ebreo di Mantova, è un anarchico nonviolento. Scampato alla deportazione che ha sterminato la sua famiglia, dopo l’incontro con Nino si convince a partecipare attivamente alla lotta partigiana. L’uccisione violenta di un tedesco, lo porterà a un conflitto interiore che lo consumerà. Dopo la guerra, ritrova Useppe conosciuto durante lo sfollamento a Pietralata. Il bambino si legherà a lui, lo cercherà, mentre Davide, incapace di riprendersi dalle ferite della guerra, sprofonderà sempre di più nella solitudine.

I Mille (Vincenzo Antonucci, Anna De Stefano, Rosaria Langellotto, Arcangelo Iannace): famiglia mezza romana mezza napoletana, scampata ai bombardamenti a tappeto di Napoli.  Si sono rifugiati nel ricovero per gli sfollati di Pietralata, guidati dalla furbizia di Domenico (Vincenzo Nemolato). Chiamati così perché numerosi, sono tutti imparentati tra loro. Sono allegri, spregiudicati, ridono, litigano, fanno la borsa nera. Tra loro si distingue la sora Mercedes (Carmen Pommella), matrona della famiglia, che nasconde sotto una coperta i beni alimentari e li smercia anche all’interno del capannone; e Carulina (Flora Gigliosetto), chiamata da Useppe Ulì, una quindicenne già madre di due gemelline di cui dice di non sapere chi è il padre. Affettuosa, allegra, “canterina e piagnona”, resterà nei ricordi di Useppe per sempre.

La famiglia Marrocco: Ida e Useppe affittano una stanza nella loro casa di Testaccio una volta abbandonata Pietralata.  Sono ciociari: in casa ci sono il nonno, un vecchio un po’ rimbambito che vuole solo bere vino, il signor Tommaso Marrocco (Enzo Casertano) che lavora come portantino in ospedale, la signora Filomena Marrocco (Antonella Attili), sarta in casa, brutale e sboccata, sempre dietro al lavoro delle macchine da cucire e circondata di clienti, e Annita (Ludovica Francesconi), la piccola sposina del figlio Giovannino, disperso in Russia. L’attesa del ritorno di Giovannino è il pensiero fisso della famiglia. Il suo nome e la sua foto campeggiano nella casa e nei pensieri.

Santina (Asia Argento) è una prostituta che va a casa Marrocco a leggere i tarocchi, di cui è esperta, interrogata come un oracolo da Filomena e Annita sulla sorte di Giovannino. Lì conosce Davide Segre, con il quale intreccia una relazione intima, anche di pensieri e conforto, che ingelosisce Nello (Josafat Vagni) il suo magnaccia violento e possessivo.

Blitz e Bella: sono i cani della famiglia Ramundo-Mancuso. Blitz, voluto da Nino quando è nato il fratellino, come una sorta di risarcimento. Quando parte soldato, lo affida a Useppe, in segno del loro legame speciale. Ma il cagnolino morirà sotto le macerie del bombardamento di San Lorenzo, il primo trauma indelebile per Useppe. Bella, invece, è una magnifica maremmana enorme e bianca, di cui s’innamora Nino come fosse una ragazza e che va a vivere con loro appena finita la guerra. Sarà compagna di grandi avventure per Useppe e nelle sue scorribande romane starà sempre appiccicata a lui, per proteggerlo da tutto. Quando Nino non c’è, Bella veglia sulla famiglia e sulla malattia di Useppe come una seconda mamma.

Patrizia (Romana Maggiora Vergano): è la fidanzata di Nino, di cui si innamora anche Useppe, per la sua dolcezza e la sua allegria. Fanno giri in moto in tre e, durante una scampagnata al lago, Useppe li vede fare l’amore. Insieme trascorrono momenti intensi di felicità. Da questa felicità resterà Ninetta, la pupetta che Patrizia avrà da Nino.

Vilma (Giselda Volodi): è una strana donna, un po’ maga, un po’ strega, che Ida incontra al ghetto. È considerata  dagli altri ebrei una che vaneggia, poiché riporta le notizie delle radio straniere che ascolta dalla signora da cui lavora. Notizie che sono prese con fastidio, come profezie squinternate di una donna fuori di sé. C’è troppo orrore in quello che racconta, morte, deportazione, nessuno le crede.

Signora Di Segni (Anna Ferruzzo): ha un negozio di tessuti nella piazza principale del ghetto. È la più scettica sulle profezie di Vilma, non vuole crederle. Ida la incontra di nuovo vicino alla Stazione Tiburtina, dopo che tutta la sua famiglia è stata rastrellata il 16 ottobre del ’43. Ida la segue fino al treno, e la vede gridare ai fascisti e ai nazisti di fare partire anche lei con i suoi cari, pensando che andranno in un campo di lavoro e non in un campo di morte.

 
 

La Storia: trailer della nuova serie Rai dal romanzo di Elsa Morante

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Foto di Iacovelli Zayed

Rai Fiction ha diffuso le prime immagini de La Storia di Francesca Archibugi in anteprima alla Festa del Cinema di Roma la serie tratta dal capolavoro di Elsa Morante.

Roma, quartiere San Lorenzo. Alla vigilia della Seconda guerra mondiale, Ida Ramundo, maestra elementare rimasta vedova con un figlio adolescente di nome Nino, decide di tenere nascoste le proprie origini ebraiche per paura della deportazione. Dopo l’ingresso dell’Italia in guerra, un  giorno, rientrando a casa, viene violentata da un soldato dell’esercito tedesco, un ragazzino ubriaco.

Si apre così “La Storia”, la serie tv firmata da Francesca Archibugi e tratta dall’omonimo romanzo di Elsa Morante, edito da Giulio Einaudi Editore, di cui sono ora disponibili le prime immagini. I primi due episodi della serie, interpretata da Jasmine Trinca, Elio Germano, Asia Argento, Lorenzo Zurzolo, Francesco Zenga e con Valerio Mastandrea, saranno presentati in anteprima mondiale venerdì 20 ottobre alla Festa del Cinema di Roma. “La Storia” – alla cui sceneggiatura hanno lavorato Giulia Calenda, Ilaria Macchia, Francesco Piccolo e Francesca Archibugi – è una coproduzione tra Picomedia e la società francese Thalie Images in collaborazione con Rai Fiction.

La trama di La Storia

Dopo lo sgomento, l’angoscia e la vergogna, Ida scopre di essere incinta. Mentre Nino trascorre l’estate al campeggio degli Avanguardisti, Ida partorisce in segreto un bambino prematuro, piccolo e quieto, con gli stessi occhioni azzurri del padre, quel soldato ragazzino tedesco già morto in Africa. Quando Nino torna a casa e scopre il fratellino, lo accetta di slancio e se ne innamora. Lo soprannominerà Useppe. La piccola famiglia viene stravolta dagli eventi della guerra: prima Nino, fascista convinto, decide di partire per il fronte contro il parere di Ida, lasciandola sola con Useppe; poi, nel bombardamento di San Lorenzo del luglio 1943, la loro casa viene distrutta, Ida perde tutto ed è costretta a sfollare a Pietralata. Da quel momento, ogni giorno diventerà una lotta per la propria sopravvivenza e per quella del suo bambino. Intanto, Useppe cresce aspettando il ritorno di suo fratello, al quale è legato da un amore inossidabile, mentre una vitalità a tratti disperata spinge Nino verso la lotta armata nella Resistenza, verso l’amore, verso i compagni. Nino è  pieno di desideri:vuole più soldi, più affari, più avventura. Dopo la guerra si darà al contrabbando, prima di sigarette e poi in quello delle armi. Vuole una vita migliore per sé, per Ida e per Useppe.

 
 

La Storia: recensione dei primi due episodi della serie Rai

La storia recensione serie tv Rai
Foto di Lacovelli Zayed

La ormai totale diffusione delle piattaforme streaming quali Netflix, Prime Video e Disney+, ha portato a sempre un maggiore accantonamento della televisione nazionale, almeno per le fascie più giovani. Il grande pubblico in cerca di qualcosa di nuovo da guardare, lo cerca sempre meno spesso sulla Rai, nonostante qui si possano ritrovare diverse serie degne di nota. Un esempio ne è La Storia, diretta e co-scritta da Francesca Archibugi (Il colibrì). La serie, formata da una stagione di otto episodi, ognuno di circa 50 minuti, è la trasposizione cinematografica del noto omonimo romanzo di Elsa Morante. Nel cast ritroviamo Jasmine Trinca (La dea fortuna, La scuola cattolica) nel ruolo della protagonista Ida, mentre Valerio Mastandrea interpreta Remo. Altre figure importanti del cinema italiano presenti sono Elio Germano (L’incredibile storia dell’isola delle rose, Palazzina Laf) e Asia Argento. I primi due episodi de La Storia, inoltre, erano già stati proiettati in anteprima alla Festa del Cinema di Roma.

La Storia: la guerra attraverso gli occhi di una donna

La Storia racconta le vicende di Ida, una vedova con un figlio, Nino, che vive a Roma. Le vicende del secondo conflitto mondiale fanno da sfondo alla vita di Ida, influenzandola abbondantemente: con l’arrivo in città la donna viene violentata in casa sua da un giovane soldato tedesco. Da questo stupro Ida scoprirà di essere rimasta incinta. Nel frattempo, nel quartiere ebraico di Roma iniziano a circolare delle voci sui rastrellamenti degli ebrei negli altri stati europei da parte delle forze naziste.

I mesi passano e Ida, preoccupata del giudizio altrui, cerca di nascondere il più possibile la propria gravidanza, anche allo stesso Nino. Il ragazzo, un giovane di 16 anni esaltato dalla cultura fascista, non si accorge dello stato della madre fino al ritorno dal campo estivo. La guerra entrerà a quel punto prepotentemente nei quartieri romani, portando i giovani lontani da casa e sostituendoli con le bombe nelle strade.

Ida: il dramma e la vergogna dello stupro

Uno dei primi elementi che salta all’occhio ne La Storia è proprio l’evento iniziale dello stupro. Nel momento in cui le si presenta davanti alla porta di casa il soldato tedesco, Ida non fa alcuna resistenza, lo accoglie nel proprio appartamento. Un tale comportamento è probabilmente dovuto alla paura stessa della figura del soldato tedesco. Dall’altro lato invece il giovane sembra non comprendere l’importanza o la gravità del proprio gesto, che tormenterà il sonno di Ida per tante notti. Il tedesco porta con sé un piccolo fiore in ricordo del momento passato insieme, trattando la donna con gentilezza dopo l’atto in sé.

Ida continua però a sentire vergogna anche della propria gravidanza: non essendo più sposata, ha timore della reazione della gente del quartiere. Per questo motivo decide di partorire in segreto e di nascondere il bimbo, chiamato Useppe, il più possibile.

La storia Jasmine Trinca

Nino e la cultura fascista

Il giovane Nino è invece la rappresentazione perfetta di un giovane fascista: forte, fedele ad un ideale che ancora non comprende fino in fondo e disposto a sacrificare la propria vita per la patria. O almeno, questo è ciò che emerge dalle sue parole: ben presto però si comprende che Nino è in realtà un ragazzo dolce, e molto amorevole nei confronti del piccolo fratellino. Il giovane si limita quindi a ripetere ciò che gli è stato indottrinato dopo anni di scuola fascista, non sapendo realmente in cosa consiste il regime totalitario. Ciò si può notare specialmente nella scena in cui Nino viene deriso dagli adulti nel rifugio antiaereo per le sue farneticazioni fasciste.

Ed è proprio in quella scena di La Storia, come da altre affermazioni fatte da Remo, che si comprende come il popolo non appoggi nettamente il regime, ma semplicemente si tenga lontano dalla politica. Il fascismo è ben noto per essere definito nella filosofia politica come un Totalitarismo imperfetto: oltre al mantenimento di poteri paralleli a Mussolini, quali la monarchia e la Chiesa, qui ci viene mostrato come, nonostante la forte propaganda, i cittadini italiani non abbiano sviluppato in massa un sentimento di forte patriottismo e devozione al regime.

Un dramma con un’interpretazione monotona

Per quanto possa essere discutibile la lentezza ed eccessiva drammaticità de La Storia, questa è più propriamente attribuibile alla Morante più che alla serie in sé e certamente dipende dal gusto personale. Ciononostante, qui è riscontrabile una certa mancanza di pathos e espressività da parte dell’attrice protagonista. La tragicità delle vicende non viene percepita adeguatamente dalla performance di Jasmine Trinca, o almeno questo è ciò che emerge dai primi due episodi: si può solo attendere le prossime settimane per vedere come si evolverà la serie e l’espressività della protagonista.

 
 

La Storia: recensione degli ultimi episodi della fiction Rai

La Storia recensione fiction

Continua su Rai 1 La Storia, fiction firmata Francesca Archibugi e adattamento dell’omonimo romanzo di Elsa Morante, che con gli ultimi episodi del 22 e 23 gennaio vince per share e telespettatori, consolidando il proprio successo e decretandosi vincitrice della serata sulle reti generaliste. Negli episodi finali (quinto, sesto, settimo e ottavo) subentrano nuovi personaggi, uno fra questi la prostituta Santina di Asia Argento e il nuovo amore di Nino, Patrizia, interpretata da Romana Maggiora Vergano (la Marcella di C’è ancora domani), e si completano gli archi narrativi dei protagonisti, in particolare quelli di Ida, Useppe e Nino. Ricordiamo, inoltre, che per chi non avesse avuto modo di seguirla in diretta, La Storia può essere recuperata sulla piattaforma Rai Play.

La Storia, trama degli ultimi episodi

Nella puntata andata in onda il 15 gennaio, avevamo visto Ida e Useppe abbandonare il caseificio di Pietralata dove hanno trascorso diverso tempo con i Mille. La donna è riuscita a trovare una camera in affitto dalla famiglia Marocco, in zona Testaccio, ma la condizione di povertà in cui riversa le fa patire la fame. Nel mentre, Useppe inizia a manifestare delle assenze, seguite da alcune convulsioni, che portano alla diagnosi di epilessia infantile, stessa patologia che aveva afflitto Ida da piccola. Nel frattempo, lontano da Roma, Nino è impegnato nel contrabbando e inizia a guadagnare soldi sporchi, potendo così permettere alla sua famiglia di trovarsi una casa tutta propria. Sfortuna vorrà che, in un viaggio per trasportare la merce, sarà coinvolto in un incidente e morirà. Intanto, la patologia di Useppe sembra non migliorare…

La Storia

I difetti delle ultime due puntate

In questi ultimi episodi andati in onda di La Storia, si riscontra quasi nell’immediato una maggiore falla all’interno della sceneggiatura e dei piani temporali, qualcosa che avevamo già accennato nella recensione del terzo e quarto episodio, che qui però diventano più evidenti. Alcuni si presentano come dei veri e propri buchi di trama, in cui a essere compromessa è anche un po’ la linearità del racconto. Altri invece sembrano delle disattenzioni in fase di montaggio, con alcune sequenze narrative in cui non si distingue bene il cambiamento in corso e che possono confondere gli spettatori.

Fra queste incrinature a essere più evidente è in primis il tempo che passa su tutti i personaggi tranne che sul piccolo Useppe, un comunque bravissimo Mattia Basciani, che sembra essere graziato dalla giovinezza eterna. Nei volti e nei corpi di Ida e degli altri comprimari è invece ben rappresentato con un considerevole lavoro su trucco e parrucco, il quale chiarisce gli anni che scorrono, e dà un’idea di quanto gli orrori della guerra abbiano segnato e stravolto. Inoltre, gli ultimi episodi appaiono ingolfati di inserti tragici, provocando una reazione a catena che non permette di prendere un respiro e dare la dovuta importanza a quanto sta accadendo, pur riuscendo comunque ad essere emotivamente impattanti. La regia, invece, risulta sempre raffinata ed elegante, improntata a mettere in risalto ogni minimo dettaglio di uno spazio scenografico curato minuziosamente.

Jasmine Trinca in stato di grazia

Al netto di qualche problema strutturale, non si può non lodare ancora una volta la performance di Jasmine Trinca, che raggiunge lo stato di grazia in questi ultimi episodi in cui il livello drammatico si alza enormemente, riempiendo la scena e sorreggendo il racconto, sempre più pesante e complesso, sulle proprie spalle. Trinca ingloba alla perfezione dentro di sé rabbia, preoccupazione, terrore, timori e coraggio di una madre che, se prima doveva proteggere il figlio dai nazifascisti, ora si ritrova a doverne affrontare gli strascichi.

La fame, la povertà e la malattia galoppante di Useppe, traumatizzato e scosso dalla guerra, si fanno sempre più presenti nella narrazione, diventando primari, e servono a risaltare le capacità recitative di Trinca, la quale esprime con il solo uso dello sguardo lo stato d’animo di una donna in frantumi, spezzata dagli agghiaccianti eventi, che cerca in ogni modo possibile di non soccombere al dolore e sollevarsi. Apparsi i titoli di coda dell’ultima puntata, quello che resta da dire è: Jasmine Trinca è stata davvero meravigliosa.

 
 

La Storia: recensione degli episodi 3 e 4 della fiction di Rai 1

La Storia recensione seconda puntata

Prosegue in prima serata su Rai Uno La Storia, adattamento per la televisione del romanzo omonimo di Elsa Morante, i cui primi due episodi sono stati presentati alla 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma. Il debutto ufficiale per il pubblico è però avvenuto l’8 gennaio scorso, il cui successo è stato registrato nell’immediato con il 23.5 % di share, che si è tradotto in 4.5 milioni di telespettatori. Un risultato che, per la tematica portata sullo schermo non sorprende affatto, soprattutto se si considera anche il fenomeno C’è ancora domani di Paola Cortellesi, il quale, a ben rifletterci, si avvicina molto alla serie firmata da Francesca Archibugi, sia per gli argomenti trattati e intenti, sia per la figura femminile scelta per rappresentarli.

Tra l’altro, La Storia, pur mettendo in scena il passato, sembra non essere troppo distante dal nostro presente. Oltre alle guerre che si consumano oggi, è recente la notizia del saluto romano espletato da un gruppo fascista durante la manifestazione a Roma per commemorare i morti di Acca Larentia, un gesto che oltre ad aver turbato e toccato la sensibilità di molti, è stato oggetto di discussione in molti programmi tv, fra cui Tv Talk, dove a essere intervenuta è stata proprio Jasmine Trinca, che presta il volto alla protagonista della serie, Ida. La seconda puntata de La Storia, come vedremo nella recensione dei nuovi due episodi, entra ora nel vivo della narrazione, dopo i primi due preparatori, e segna anche l’ingresso di nuovi personaggi, come Giuseppe Cucchiarelli, il marmista partigiano interpretato da Elio Germano.

La Storia, la trama degli episodi 3 e 4

Dopo aver perso la propria casa per via di un bombardamento Ida, insieme a Useppe, sfolla a Pietralata. Lungo la strada fa la conoscenza di Giuseppe Cucchiarelli, un comunista dall’animo buono, con cui stringe un’amicizia solida. Arrivati a destinazione, entrambi trovano riparo in un caseificio, dove al suo interno c’è una numerosa famiglia napoletana pronta ad accoglierli. Useppe si sente subito a suo agio in quell’ambiente, e passa spesso le giornate insieme a Cucchiarelli, iniziandolo a chiamare teneramente “Eppetondo”. Nel frattempo, Ida è preoccupata per il figlio Nino, che non vede da almeno due mesi e mezzo e non sa se stia bene o addirittura se sia ancora vivo.

Una sera, però, il ragazzo si presenta al portone del casale, in vesti completamente diverse: ha abbandonato gli abiti da fascista per indossare quelli da partigiano. Nell’insurrezione del movimento Nino trascina con se anche Cucchiarelli desideroso di combattere per il suo credo e un altro sfollato, Carlo Vivaldi, un anarchico che da quanto si apprende in seguito è stato testimone di alcune atrocità perpetrate dai tedeschi nei confronti degli ebrei. Ida, intanto, si trova un giorno di fronte a una scena straziante: alla Stazione Tiburtina incontra il treno della morte… gli ebrei sono in partenza verso i ghetti.

 

La Ida di Archibugi come la Delia di Cortellesi

Come abbiamo detto in apertura, in La Storia c’è molto di C’è ancora domani, come in Ida c’è molto da rintracciare di Delia. Sullo sfondo, pur essendo periodi diversi – il primo entra nel vivo della Seconda Guerra Mondiale, il secondo mette in scena il Dopoguerra – c’è un’Italia oppressa, affaticata, che a stento respira. Nella nuova puntata andata in onda, le somiglianze fra Ida e Delia si fanno sempre più evidenti: intanto emerge la stessa determinazione a lottare per sé stesse, per la loro identità e per i loro figli, per un mondo migliore da lasciar loro, nonostante debbano fare di tutto per nasconderlo. Entrambe sempre vigili e mai sopra le righe, per non rischiare di rimetterci la vita e dover abbandonare una missione in cui credono con corpo, anima e cuore.

Vittime, ma al tempo stesso guerriere silenziose. Mai realmente assoggettate, pur essendo etichettate come sbagliate – nel caso di Ida grava su di lei l’essere ebrea – e facente parte di una minoranza. Messe al margine dalla società, dai pregiudizi, da uno Stato fondato su un’ideologia terrificante e totalitaria, alla cui base c’è un sistema patriarcale, ma che pur camminando ai bordi trovano ugualmente il coraggio resistere, scoprendo di non essere sole. Avvicinarsi empaticamente a Ida, legarsi saldamente a lei, è sempre più naturale man mano che le vicende si fanno più decisive e incisive, e il trasporto emotivo diventa più forte, andando di pari passo con il dramma che si compie e si intensifica.

La Storia Jasmine Trinca Elio Germano

Jasmine Trinca, la sua Ida è spiazzante

Se il momento storico raffigurato stringe in una morsa tutti i personaggi di La Storia, a incarnare a pieno una delle ideologie del periodo arriva Giuseppe Cucchiarelli, personaggio più politico, che racconta in particolare il comunismo, o meglio il movimento dei partigiani, con le sue convinzioni, regole e modus operandi. Attraverso le sue parole e il suo animo battaglierlo si concretizza la guerra vissuta, rendendola ancora più presente e percepita nella narrazione. Elio Germano è ben calato nel ruolo, un comprimario di assoluto valore, e le sue scene con il piccolo Useppe, da cui si evince una bella complicità, sono fra i migliori inserti di questi episodi. Ma a splendere, ancora, è Jasmine Trinca, la cui performance drammatica restituisce a pieno l’affresco di una donna provata dal dolore ma che, nonostante la paura, reagisce e si spinge in avanti, attaccandosi alla speranza per non lasciarsi sopraffare.

Volto segnato, sguardo deciso, espressioni accorate che al tempo stesso trasmettono attaccamento alla vita, l’attrice recita in sottrazione e dà il meglio di sé per farci dono di una protagonista integra nell’animo e corazzata, la cui bravura buca lo schermo. Brilla, Jasmine Trinca, come la sua Ida di cui ha colto tutte le sfumature emotive e caratteriali, tanto da poter considerare questa una delle sue migliori interpretazioni. L’unica pecca della nuova serie targata Rai risiede in alcune poco chiare e deboli sezioni di sceneggiatura, che si tramutano in passaggi narrativi a volte frettolosi, i quali si evincono nello specifico nella crescita di Useppe e nel cambio di bandiera di Nino, da fascista a partigiano. Al netto di qualche difetto di scrittura, La Storia si conferma con il terzo e quarto episodio un prodotto valido, che si erge sulle solide basi del romanzo di Elsa Morante, non porgendo il fianco a sentimentalismi o retorica, ma rimanendo lucido nel fotografare, gradualmente, un popolo resistente, una donna resiliente e un’Italia ferita.

 
 

La storia vera di Braveheart e tutto ciò che il film di Mel Gibson ha di giusto e di sbagliato

Braveheart - Cuore impavido (1995)
© 1995 Paramount Pictures

Braveheart è un film emozionante, ma è uno dei film meno accurati dal punto di vista storico mai realizzati. “Potranno toglierci la vita, ma non ci toglieranno mai la libertà!“. Il discorso di William Wallace è uno dei più famosi della storia del cinema. Per una generazione di spettatori, il film Braveheart di Mel Gibson ha cementato il posto di William Wallace come uno dei più grandi leader militari di tutti i tempi. Il film di Gibson ritrae William Wallace come un eroe riluttante che sfodera la spada per vendicarsi dopo l’assassinio dell’amata moglie. Il film racconta la storia della sua vita, esplorando alcune delle sue battaglie più importanti, e alla fine si conclude con una nota tragica: Wallace viene tradito e messo a morte dagli inglesi. La conclusione di Braveheart è tuttavia ottimista, in quanto presenta il protagonista come l’ispiratore di Robert the Bruce, che alla fine avrebbe condotto la Scozia alla libertà.

Purtroppo, per quanto il film possa essere emozionante, in realtà è generalmente considerato uno dei film meno accurati dal punto di vista storico. Ciò è dovuto in gran parte al fatto che il regista e protagonista di Braveheart, Mel Gibson, si è basato sul racconto di un bardo di nome Blind Harry, un narratore che sosteneva di aver utilizzato fonti primarie per scrivere il suo resoconto su Wallace, ma probabilmente non lo fece. Blind Harry scrisse di William Wallace circa 100 anni dopo che gli eventi della sua vita si erano verificati, e non si sa quanto dei suoi resoconti fosse reale. Tutto ciò significa che Braveheart deve essere visto come un film basato su un racconto di fantasia liberamente ispirato a eventi storici, e non sorprende che il film sia storicamente inaccurato.

William Wallace non era affatto “Braveheart

Mel Gibson come William Wallace in Bravehearth
© 1995 Paramount Pictures

Braveheart si rallegra delle sue imprecisioni, e le possiede fin dall’inizio, perché persino il titolo è sbagliato. La maggior parte degli spettatori penserà naturalmente che “Braveheart” si riferisca a William Wallace, ma in realtà il nome è associato a Robert the Bruce. Secondo lo scrittore del XIV secolo John Barbour, Robert the Bruce si pentì sempre di non aver partecipato a una crociata. Fece giurare a uno dei suoi cavalieri di portare il suo cuore in Spagna in un astuccio d’argento dopo la sua morte, in modo da trovare un modo per partecipare a una crociata. Nella foga della battaglia, questo cavaliere lanciò l’urna contenente il cuore contro l’esercito avversario, gridando: “Avanti cuore coraggioso, ti seguirò!”. Il titolo di Braveheart non ha nulla a che fare con William Wallace, né il motivo del nome viene mai mostrato nel film (per fortuna).

È interessante notare che anche altre scene che coinvolgono Robert the Bruce nel film sono storicamente inaccurate. Robert the Bruce viene ritratto come un nobile che tradisce William Wallace più di una volta nelle sue battaglie contro gli inglesi, ma ciò non accadde. Questo è dovuto soprattutto al fatto che Robert the Bruce inizialmente non era affatto coinvolto nella ribellione scozzese contro gli inglesi. Il clan Bruce aveva una legittima pretesa al trono scozzese, ma il Paese era talmente in subbuglio che non fece pressioni per rivendicare il trono, ma attese fino a quando non ci fu un sufficiente sostegno scozzese per la ribellione. Per questo si dice che Robert the Bruce sia stato “ispirato” da Wallace e che abbia sposato la causa dopo la morte di quest’ultimo.

La storia di William Wallace in Braveheart è completamente inventata

Mel Gibson interpreta bene il ruolo di William Wallace, aprendo con un racconto degli anni formativi di Wallace pensato per renderlo simpatico. Purtroppo, si tratta di un racconto in gran parte astorico, perché in realtà Wallace era un nobile minore; suo padre e suo fratello non sono certo morti in battaglia contro gli inglesi. Infatti, quando il conflitto con gli inglesi giunse al culmine, William Wallace era già adulto, non un bambino che guardava i suoi familiari più anziani andare in battaglia.

Sebbene Blind Harry racconti della morte della moglie di Wallace in circostanze simili a quelle del film, la sua versione di Wallace è già un leader sanguinario. È interessante notare che Blind Harry non sembra aver mai nominato la moglie di Wallace: il nome “Miranda” è stato aggiunto da studiosi successivi che hanno copiato i suoi manoscritti e “Marion” è stato usato da altri, ma non viene utilizzato nel film per non sembrare simile alla leggenda di Robin Hood. Braveheart sceglie un nome più tradizionale: Murron.

Braveheart inventa il motivo della guerra di William Wallace contro gli inglesi

Mel Gibson e Catherine McCormack in Braveheart - Cuore impavido (1995)
© 1995 Paramount Pictures

La guerra di William Wallace contro gli inglesi non aveva nulla a che fare con la vendetta nel mondo reale e di certo non aveva a che fare con il “diritto nobiliare” dello Jus Primae Noctis, il diritto di un nobile di andare a letto con una sposa locale durante la prima notte di nozze. Sebbene le testimonianze sullo Jus Primae Noctis risalgano all’Epopea di Gilgamesh di circa 4.000 anni fa, in realtà non ci sono prove storiche che sia mai stato praticato in nessuna parte del mondo, compresa la Scozia medievale. Il motivo di Wallace era infatti politico: si opponeva all’invasione della Scozia da parte di Edoardo I dopo la morte del re scozzese Alessandro III. Il primo atto di ribellione noto di Wallace fu l’assassinio di un alto sceriffo inglese nel 1297, ben prima della leggendaria morte della moglie.

Braveheart ignora l’abbigliamento e le armi dell’epoca di William Wallace

Braveheart non è più storicamente accurato quando si tratta di rappresentare l’abbigliamento e le armi degli scozzesi o degli inglesi. I soldati inglesi non avrebbero indossato per secoli il tipo di uniformi standardizzate che si vedono in Braveheart di Mel Gibson, mentre i kilt degli scozzesi sono altrettanto antistorici. I tartan di famiglia sarebbero stati stabiliti, ma i kilt con cintura non sarebbero stati usati in battaglia per altre centinaia di anni. Wallace non avrebbe mai indossato una vernice blu per il viso; è associata ai Picti. “Picti” è il nome che i soldati romani davano ai soldati tribali scozzesi con cui si scontravano quando cercavano di invadere la Scozia. La pittura facciale blu sarebbe passata di moda circa 1.000 anni prima del suo tempo.

Anche la leggendaria lama di William Wallace è sbagliata, sebbene ispirata alla Wallace Sword esposta nel National Wallace Monument di Stirling. Come ha dichiarato lo storico David Caldwell alla BBC:

La cosiddetta Spada di Wallace è in realtà un tipo di spada scozzese che risale alla fine del XVI secolo. Questa spada fu vista al Castello di Dumbarton dal famoso poeta William Wordsworth e da sua sorella Dorothy quando visitarono la Scozia nel 1803. Uno dei soldati della guarnigione disse loro che era quella di Wallace. È la prima volta che la spada viene associata all’eroe scozzese: il soldato stava deliberatamente raccontando una storia ai visitatori inglesi?

In realtà, però, questo particolare elemento di imprecisione storica è del tutto comprensibile. La Spada di Wallace può anche non essere autentica, ma ha un’enorme importanza simbolica.

Il film Braveheart di Mel Gibson sbaglia persino le sue battaglie

Braveheart sbaglia persino le battaglie. La più eclatante è la battaglia di Stirling Bridge; per prima cosa, nel film non c’è traccia di un ponte. Nel mondo reale, la genialità delle tattiche di William Wallace non risiedeva nell’uso di lunghe lance – una tattica comune – ma piuttosto nella scelta del campo di battaglia. L’esercito di Wallace era posizionato su un lato di un ponte e gli inglesi erano costretti ad attraversarlo. Il ponte fungeva da imbuto, neutralizzando la superiorità numerica. Ironia della sorte, questa non fu la strategia di Wallace, ma è accreditata ad Andrew de Moray, un altro capo militare scozzese che morì poco dopo la battaglia di Stirling Bridge a causa delle ferite riportate sul posto. Questa figura non compare mai in Braveheart, ma il suo contributo alla ribellione scozzese contro gli inglesi fu altrettanto importante di quello di Wallace.

La battaglia di Falkirk è invece più interessante, con alcuni dettagli che corrispondono a quelli di Braveheart. La cavalleria scozzese ha effettivamente disertato durante questo conflitto inaspettato, ma non ci sono prove che i nobili siano stati corrotti; piuttosto, è probabile che siano stati demoralizzati e abbiano semplicemente abbandonato la battaglia piuttosto che affrontare l’inevitabile sconfitta.

La morte di William Wallace

mel gibson Braveheart

La morte di William Wallace è una delle parti più storicamente accurate di Braveheart, anche se resa molto meno macabra. Gibson sceglie di accennare soltanto agli orrori che Wallace subisce: viene impiccato, poi sventrato fuori campo, prima di essere decapitato. Alcuni aspetti più raccapriccianti della tortura, come l’intestino di Wallace che viene bruciato davanti a lui, sono comprensibilmente tagliati. Tuttavia, è strano che un film come Braveheart, che non è particolarmente apprezzato per la sua accuratezza storica, gestisca le scene di morte in modo abbastanza accurato.