Haunter è il film del 2013 diretto da Vincenzo Natali con protagonisti Abigail Breslin, Stephen McHattie, David Hewlett e Michelle Nolden.
Haunter, la trama
In Haunter Lisa è una ragazzina come tante che vive con la sua famiglia nell’America di inizio anni ’80. La giovane segue quotidianamente i normali rituali che scandiscono l’esistenza di ogni essere umano, come mangiare, lavare i piatti e fare il bucato. Ma qualcosa in tutto questo perfetto quadro sembra non andare come dovrebbe. Lisa e la sua famiglia infatti vivono sempre lo stesso giorno all’infinito, come in una spirale senza soluzione di continuità dove le stesse identiche azioni e le stesse identiche parole si susseguono sempre uguali. L’unica che sembra accorgersi di tutto ciò è proprio Lisa, la quale però non riesce in alcun modo a farlo notare agli altri, mentre ogni tentativo di spezzare la routine sembra portare a risultati spaventosi. Lisa poi crede di non essere sola e che qualcuno stia cercando di entrare in contatto con lei.
L’Analisi
Una buona premessa che si tra forma nella più classica e prevedibile delle storie di fantasmi, talmente prevedibile che anche uno spettatore non avvezzo ai macchinosi e celebrali giochi d’intrigo riesce nel primo quarto d’ora a capire dove la pellicola vuole andare a parare. Peccato perché da un tema iniziale così insolito e da un regista di gran talento visionario come Vincenzo Natali (gloriosamente meglio conosciuto per alcuni piccoli capolavori come The Cube, Cyper e Splice) ci si poteva aspettare di gran lunga molto di più, visto e considerato che alla sceneggiatura partecipa un mostro di bravura come Brian King. Partendo da un’immagine evocativa come quella delle farfalle intrappolate nelle bottiglie di un entomologo, che rimandano al tema della prigionia fisica e mentale in cui Lisa e la sua famiglia si trovano (richiamato dagli ambienti claustrofobici di The Cube), il film si dipana lentamente verso una narrazione senza tono, dove appunto il già visto è sempre dietro l’angolo e in cui i colpi di scena sono tutto fuorché colpi. Natali appare inoltre appesantito ed affaticato nello stile visivo che tanto lo ha fatto conoscere nell’ambiente e che grazie a piccoli gioiellini visionari come Nothing gli ha quasi affibbiato l’etichetta di autore di culto, rinunciando alle solite trovate estetiche in grandangolo e optando per la fotografia piatta e patinata di Jon Coffin che di fatto appare anonima fino alle lacrime. Niente guizzi di genio, niente trovate in grado di risollevare una storia che attinge a piene mani dai classici del genere ghost-story, da The Others (in cui si rischia addirittura il plagio) a Gli Invasati.
Molta carne viene gettata al fuoco e solo una piccola parte viene cotta, mentre il resto rimane bruciacchiato e fumoso, a cominciare dal tentativo di voler usare più piani temporali sovrapposti e di optare per ben tre diversi risvolti (nemmeno troppo originali) che hanno per tema il ritorno soprannaturale. Risulta poi difficile capire in che genere inserire la pellicola, che transita dal thriller al mistery, passando poi per la crime-story e con qualche piccola ventata di horror che subito si esaurisce. Tutto il peso grava poi sulle esili ed ancora immature spalle di Abigail Breslin, che seppur con ruoli di tutto rispetto in La custode di mia sorella, Signs ed Ender’s Game dimostra di aver ancora molta strada da fare nei ruoli da protagonista pura. La ragazzina si aggira spaurita per un universo in continua riproduzione infinita che simboleggia fin da subito l’eterno ritorno della morte, ma non appare convinta fino in fondo delle azioni che è portata a compiere e degli eventi che le accadono intorno a velocità supersonica, in una cacofonia narrativa che alla fine può lasciare solo delusi e sconcertati.
Nemmeno un nome come quello di Stephen McHattie riesce a far vibrare questo esile castello di celluloide, per giunta se un attore del suo calibro viene ingabbiato in un ruolo monolitico e allo stesso tempo confezionatissimo come quello dell’oscuro Edgar, fattorino dai mille segreti che poi segreti non sono proprio. Eccessivi e pedanti appaiono addirittura gli effetti visivi, inoculati a dosi massicce in un universo che avrebbe potuto benissimo reggersi con la pura realtà ma che invece non resiste a voler sconfinare in un trend ormai diventato di rigore per tutto il cinema a cavallo fra il fantasy e il visionario. Peccato perché materiale su cui lavorare ce ne sarebbe stato molto, potendo dar vita a un prodotto che avrebbe potuto essere originale e apprezzabile ma che alla fine si risolve solo in un grande sbadiglio liberatorio dopo 97 minuti di cinema mediocre.
Natali ha sicuramente avuto giorni migliori, sia come narratore che come creatore di immagini, e ci piace pensare che abbia solo voluto allenarsi con un divertissement di genere, pronto a tornare con qualcosa degno del suo nome.





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